Giorgio Ciacci: dipinti

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FERRONI: Per seguire la sua richiesta di cercare di ricostruire l’ambiente artistico senigalliese degli anni Cinquanta e Sessanta devo dire che Cavalli aveva alle spalle un bagaglio culturale elevatissimo, Mario Giacomelli aveva invece un’intuizione straordinaria. In ogni modo credo si possa affermare che gli anni dell’esperienza dell’Associazione Misa sono stati il periodo più bello della fotografia italiana, quando, cioè, oltre l’amicizia che legava tutti i fotografi, c’era una collaborazione sincera e leale. Chi faceva la fotografia lo faceva per amore. Lo posso dirlo con molta serenità e tranquillità, perché se penso all’amico Piergiorgio Branzi, se penso a Paolo Bocci, se penso a Silvio Pellegrini e a tutti gli altri, non c’era l’arrivismo che è venuto dopo. Prima di tutto perché la base di qualsiasi discorso sulla fotografia derivava sempre da una formazione culturale profonda. BUGATTI: Mauro Marinelli mi ha dato in questi giorni una fotografia in cui ci sono Giogio Ciacci, Giacomelli e vari pittori senigalliesi di quell’epoca, che erano soliti incontrarsi nella bottega del corniciaio Angelini. La foto si riferisce all’associazione degli artisti senigalliesi, della quale facevano parte autori come Bonazza, Donati e vari altri. Lei di quel periodo cosa ricorda? FERRONI: Sì, in un certo senso tutti frequentavamo la bottega di Angelini, però tra noi fotografi e gli altri artisti non c’erano contatti particolari. Cavalli era un uomo dalla profonda preparazione culturale, cosa che non sempre era riscontrabile in altri artisti di quel periodo. Non vorrei con questo essere ingeneroso nei confronti di tutti gli altri artisti per la cui creatività, del resto, nutro il massimo rispetto. BUGATTI: Il paesaggio è stato ritenuto il tema cen20

trale della pittura di Ciacci, che, però, si è espresso anche con gruppi di figure e composizioni floreali. Qual’è la sua valutazione? FERRONI: Ciacci era un uomo geniale, veramente geniale, e poi aveva una dote straordinaria: la semplicità. Amava effettivamente il suo lavoro, e in questo era totalmente onesto. Nel senso che sapeva quali erano i suoi limiti. Quando lavorava, quando faceva dei bozzetti aveva una straordinaria semplicità. Io credo che la dote caratterizzante di Giorgio fosse proprio la straordinaria semplicità delle sue opere. BUGATTI : Questo dunque indipendentemente dai soggetti. FERRONI: Esatto, indipendentemente dal soggetto. Io possiedo alcuni lavori di Ciacci, a cui sono molto affezionato, e devo dire prima di tutto che aveva veramente una mano felice. Nel senso che alcuni segni servivano già ad abbozzare un’idea. BUGATTI: Lei dunque parla di “segno”, e non di colore, identificando nel “segno” una delle chiavi di lettura dell’opera di Ciacci? FERRONI: Ritengo, facendo un’affermazione che potrà sembrare un po’ azzardata, che tra il bianco e nero e il colore non v’è nessuna differenza. A volte infatti c’è più colore in certi bianco e nero che in alcune opere dove c’è effettivamente la presenza dei colori. Questo vale anche per la pittura. Parlando di fotografia poi, nonostante il fascino che può esercitare una stampa a colori, la possibilità di intervenire tecnicamente sulle tonaIità cromatiche è, almeno un tempo lo era, molto limitata.


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