Sotto il segno di venere anteprima

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Sentii di fianco a me mia madre che serrava i pugni e le serve che si avvicinavano a lei. Quando mi voltai non vidi più Scribonia, ma una donna stanca, triste, privata di ogni forza o conforto. Il capo basso e chino nascosto dai capelli m’impediva di osservare le lacrime che sicuramente le stavano solcando le guance, ma potei udire i suoi disperati singhiozzi e la sua flebile voce che cercava di trattenersi senza successo. «Non puoi portarmela via» diceva con un tono di voce talmente basso da poter essere udito con estrema difficoltà. Subito iniziò a piangere, alzò il viso così dolce e delicato, eppure tanto sconvolto da emozioni contrastanti: paura, odio e rabbia si agitavano dentro di lei come un mare in tempesta. Anch’io fui spaventata da quelle emozioni così forti ed evidenti e fui costretta a fare un passo indietro. «Non riesci neanche a dominare le tue emozioni, Scribonia. Dubito che tu sia la persona più indicata per crescere una bambina. Per questo ho pensato che Livia sia una madre perfetta per lei». Quest’ultima dichiarazione di mio padre mi sconvolse e non riuscii a capacitarmi del tempo. Il battito del mio cuore si fece più forte e insistente, i movimenti di coloro che mi stavano attorno rallentarono e tutto si fece sempre più confuso. Vidi le ancelle sostenere mia madre che cadeva per terra, le sue grida sconnesse e prive di ogni logica, il suo sguardo terrificante che mi squadrava e che si spostava famelico, ora su di me ora su mio padre. Sentii delle braccia forti e ossute che mi portavano via e la mia stessa voce mi giunse da lontano. Molti in seguito mi raccontarono che avevo invocato il nome di mia madre e pianto a lungo, ma io non lo ricordavo. Quei lunghi e strazianti momenti scomparvero a poco a poco col passare dei giorni, insieme al dolore sordo e accecante che mi bruciava il petto. Fu allora che la mia vita iniziò veramente. «Il tragitto fino a Velletri è lungo. Mangia qualcosa! Ti sentirai molto meglio!». Per tutta la strada mio padre aveva tentato di farmi mangiare e di parlare con me, ma senza successo. Non avevo aperto bocca fin da quando eravamo partiti ed ero troppo sconvolta. Fino a pochi secondi prima avevo pianto e nemmeno le parole gentili di Ottaviano erano riuscite a calmarmi. «Dovrai pur parlarmi prima o poi. Sono tuo padre e anche se ciò non ti aggrada è un dato di fatto». Per molto tempo restammo in silenzio, ma la fame si fece sentire presto. Presi un pezzo di pane che mi era stato offerto da lui, ma evitai accuratamente di guardarlo negli occhi. «Immagino che questo sia il primo passo verso la pace» mi disse, ma non sorrisi. Mi limitai a guardarlo e annotai minuziosamente ogni suo gesto. Osservai che prendeva in mano gli oggetti con estrema grazia, come se avesse paura di romperli da un momento all’altro. Vidi che il suo sguardo, sebbene fosse sereno, non era allegro e mi chiesi se egli sapesse che cos’era veramente la felicità. «Sono stanca». Involontariamente parlai. Il suo sguardo stupito fu subito sostituito da uno compiaciuto. Mi accoccolai contro il suo petto e chiusi gli occhi, 10

Giulia.indb 10

30/08/14 13:24


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