Il bambino che viveva nello specchio

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BRINDISI € 15,00

ROCCO BRINDISI

IL BAMBINO CHE VIVEVA NELLO SPECCHIO

Quando passò davanti allo specchio, si ricordò che era notte. Fece un passo indietro e si bloccò, incuriosito: gli era sembrato di vedere qualcuno seduto sulla sponda del letto. Al bambino venne il pensiero di bussare allo specchio, come si bussa a una porta, ai vetri di una finestra. Sorpreso dal rumore, il bambino dello specchio si voltò, con gli occhi sperduti e dolci… Un quaderno di appunti accompagnati da brevi, brevissime storie, dove affiorano, tra l’altro, l’incantevole ironia dei bambini, le ferite che non osiamo chiamare “dolore”. Principesse afgane scappate dai libri che le tenevano prigioniere; Gesù pellegrino che attraversa i boschi della Lucania, assieme a Lucifero, per vedere l’incrocio dei pali centrato dal leggendario Ciarlicià; bambini venuti da un pianeta dove non esistono ombre e dove gli abitanti sono stanchi di non morire…

DIABASIS

IL BAMBINO CHE VIVEVA NELLO SPECCHIO DIABASIS

Rocco Brindisi è nato a Potenza 65 anni fa da genitori contadini. Verso la metà degli anni Ottanta, Einaudi pubblica due suoi poemetti: Lucia che non ama il mare e Mia madre, Miskin e la neve. Segue la raccolta di poesie dialettali Rosa du pruatorie. Del 1992, la sua prima raccolta di storie Racconti liturgici. Del 2002, Il silenzio della neve. Nel 2004, Elena guarda il mare, candidato al premio Strega. Nel Meridiano Racconti italiani del Novecento compare il suo racconto La pietra, sulla morte di Pier Paolo Pasolini. Nel 2006 esce la raccolta La figliola che si fidanzò con un racconto, nel 2007 il poemetto Morte de nu fra ca uardava, che ha vinto il premio di poesia dialettale “Città di Ischitella”.


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Progetto grafico e copertina BosioAssociati, Savigliano (CN)

ISBN 978 88 8103 644 8

Š 2009 Edizioni Diabasis via Emilia S. Stefano 54 I-42100 Reggio Emilia Italia telefono 0039.0522.432727 fax 0039.0522.434047 www.diabasis.it

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Rocco Brindisi

Il bambino che viveva nello specchio

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Il bambino che volò sull’asino

Si era stancato di leggere, aveva sonno, ma il letto era sparito. Al posto del letto c’era un asino dal pelo grigio e gli occhi dolci. L’odore era proprio quello di una bestia. Chissà come se lo ricordano, come lo pensano, gli asini, il sonno. Il bambino era un po’ spaventato, e rideva, per la sorpresa, e perché quella mattina, a scuola, avevano letto “Lo cunto dell’uerco”, uno dei favolosi Cunti, dove c’è un asino fatato che, se uno gli diceva di cacare oro, quello ti stava a sentire e sul serio cacava oro, e zaffiri e rubini. Preso dalla speranza di abitare un racconto, il bambino si fece scappare: “Arri, cacaure!”, che era la formula magica della fiaba. E l’asino, impassibile, cacciò decine di monete d’oro, rubini e zaffiri, pietre preziose che nessuno ha mai visto al mondo o nominato. Il bambino si piegò accanto a quel tesoro, sfiorò le monete, e si guardò le mani; accostò le dita al naso, che arricciò, anche se non mandavano alcun odore, e rise, pensando da dove era uscito quel bene di Dio. Meno di un minuto, e le monete d’oro, i zaffiri, i rubini… spariscono. Il bambino vorrebbe svegliare il padre, raccontargli quello che succede, ma il suo timore è che, se si allontana da quella stanza, non troverà più l’asino, al ritorno. Intanto, gli è passato il sonno. Forse l’asino ha fame. Il bambino si guarda attorno e gli accosta alla bocca un biscotto che stava in bilico sul comodino. I bambini pensano sempre che gli animali abbiano fame: i gatti, le lucertole, i draghi, i dinosauri, i pesciolini, i cani… Il biscotto sparisce in bocca all’asino, che guarda il bambino placidamente, e, allo stesso modo, muove la coda. Il bam-

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bino avvicina alla bocca dell’asino un secondo biscotto e tira svelto la mano, con la paura di vedersela inghiottire. I dentoni dell’asino lo fanno sorridere. Adesso ride, come si fosse salvata la mano per miracolo. L’asino lo guarda con una dolcezza d’asino e caccia la sua cacca rotonda, forse per l’emozione di stare in un racconto. All’improvviso, il bambino ha voglia di salirgli in groppa; trascina una sedia quasi sotto la pancia dell’animale, e quando, finalmente, riesce a montarlo, ha l’impressione di stare in trono. L’asino scuote la testa, emette un dolcissimo raglio, infila la porta, avanza con cautela, si ferma davanti alla camera dei genitori, e lì, dalla soglia, il bambino vede il padre che bacia la madre, nel letto. Ma la madre era andata via di casa due anni prima, non si era fatta più sentire né aveva mai scritto o telefonato. Il bambino guarda il padre e la madre che si baciano e spera che l’asino non si metta a ragliare proprio adesso. L’asino rimane in silenzio. Anche più tardi, mentre vola, dopo avere scavalcato la finestra. Volano tutti e due, l’asino e il bambino, nell’aria della notte spalancata.

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Umeima è una bambina. Quando l’ho conosciuta aveva cinque anni. Mi chiese di sciogliere l’elastico che le stringeva il codino. Feci un tentativo maldestro. Mi disse, senza guardarmi, che ero un po’ scemo. Avevo portato “Il circo” di Charlot, e Gionata rideva come un pazzo. Se non rideva con la bocca, gli ridevano gli occhi. Umeima faceva la distratta. Speravo di vederla sorridere, quando le scimmiette assaltano Charlot che cammina su una corda, quando Charlot è inseguito dal ladro, e poi dal poliziotto, al luna park, nella camera degli specchi… quando fa fuori un’intera guantiera di paste senza che il venditore ambulante, l’uomo con i baffoni, riesca a sorprenderlo con le mani nel sacco… Umeima, il film, e la malinconia; il fastidio di Umeima, fatto passare per distacco (era bravissima, in questo), di non afferrare il senso di una scena. Se solo i film le scompigliassero i capelli! Umeima e la gioia d’innamorarsi di un compagno. Gl’innamoramenti non richiedono sforzi, concentrazione. Umeima abbassa gli occhi, fa il nome di un compagno e ride. Umeima impara a scrivere in corsivo. Umeima impara le figure geometriche. Umeima recita la poesia “Fanciullezza” di Fra’ Guglielmo Postiglione. Nella poesia il poeta dice di quando era bambino, racconta i sentieri, le vigne; i lacci alle scarpe erano fatti di ginestre… Umeima si è innamorata di nuovo. Passerà la vita a innamorarsi.

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Dicembre 1969

Il bambino vide la madre assopita; le sfilò le scarpe e le spinse i piedi sul divano. La madre si era assopita con un libro sul petto, la sigaretta accesa tra le dita. Il bambino tirò via la sigaretta, andò in cucina, la mise sotto il rubinetto e la gettò nella pattumiera. Tornò dalla madre, e s’incantò a guardare la mano sospesa nel vuoto. Il padre viveva con un’altra donna, lontano. La madre ritrasse la mano, senza riaprire gli occhi, e se la riportò sulla pancia. In quel momento, il bambino era già sulle scale. Aveva lasciato la porta socchiusa; non avrebbe bussato, al ritorno; non avrebbe svegliato la madre. Sul portone, si meravigliò un poco che ai lati della strada non vi fossero automobili, che non ne passasse neanche una. Non si sentiva una voce, né il minimo rumore. Un gatto, fermo su un davanzale, sparì nell’ombra della finestra spalancata. Il bambino pensò che la madre stesse sognando e che quello era il sogno. Si sentiva protetto dal sogno della madre. S’incamminò in direzione di una piazzetta dove a quell’ora incontrava i compagni per due tiri a pallone. Le vie erano deserte, i negozi, i bar vuoti, non si vedeva in giro neanche un tram. Nella traversa che portava il nome di un patriota milanese, era sparita la lambretta, scassata, che stava lì da mesi, legata a un palo della luce. Gli alberi del viale erano così inanimati che uno avrebbe avuto paura, fissandoli, di diventare una delle loro ombre. Il bambino non era assalito da questi timori. Man mano che andava avanti, dimenticò che quello era un sogno della madre. Forse non era un sogno della madre. Forse non era un sogno. Aveva sem-

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pre amato i racconti di fantascienza, soprattutto quelli dove gli alieni hanno la faccia di esseri umani e scendono sulla terra per ritrovare un amore perduto, la madre, un figlio… perché, là dove essi vivono, si racconta che i morti finiscono sulla Terra. Non aveva paura di smarrirsi nella città dove sua madre bambina era stata felice; sentiva che, appena lo avesse voluto, si sarebbe orientato verso casa, incontro al braccio della madre che sporgeva dal divano; avrebbe ritrovato quella stanza, anche se fosse stato catapultato al centro di una galassia. Guardò il cielo, più calmo e inerte di una rondine morta. Fissò un paio di nuvole immobili, incollate all’azzurro. Dove camminava il bambino c’era un po’ di vento. Dal fondo di un vialone grigio veniva avanti un’ombra. Quando la figura si fece più chiara, il bambino si accorse che si trattava di un uomo in bicicletta. Non si sentiva il fruscìo delle ruote, e il bambino ne ebbe nostalgia. Era una bicicletta da passeggio. L’uomo seduto sul sellino pedalava lentamente, con il bavero della giacchetta rialzato. L’uomo frenò a un paio di metri dal bambino; scese dalla bicicletta, la poggiò a un lampione, tirò fuori un pacchetto di sigarette stropicciato; cercò l’ultima sigaretta, la trovò, con un sorriso di soddisfazione; accartocciò il pacchetto e lo gettò via. Si frugò nelle tasche dei pantaloni, in quelle della giacca, poi, con un po’ d’imbarazzo, chiese un fiammifero al bambino. Il bambino lo guardava come se quella visione fosse uscita dalla mano della madre, la mano abbandonata nel vuoto (non aveva visto che la madre se l’era riportata sulla pancia). Il bambino sapeva di non avere fiammiferi, ma li cercò lo stesso. Si frugò nelle tasche e ne scovò uno. Sorrise di quella magia e lo porse all’uomo. In quello stesso momento gettò un’occhiata alle facciate dei palazzi, ed ebbe l’impressione che tutte quelle finestre, i balconi avessero segreti fantastici e lievi. Pensò alla madre che dormiva e immaginò di piegarsi su di lei e di soffiarle in un orecchio finché la madre non avesse fatto il gesto di chi sente prurito e si gratta. L’uomo strusciò il fiammifero sul lampione e comparve la fiammella

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trasparente. Mentre fumava, dritto sulle gambe, un po’ sperduto, raccontò che era morto la notte prima. Aggiunse, sorridendo, che non sperava di sentire ancora il vento sulla faccia, il sapore del tabacco. Non credeva fosse bello andare in bicicletta, da morti. Disse che non guidava una bicicletta da anni, che aveva sempre girato in motorino, e che all’inizio di quella passeggiata pensava di non sapersi tenere in equilibrio. Sorrise con una bella malinconia e rimase a guardare quello che aveva davanti agli occhi, senza mai girarsi, come avesse dimenticato il gesto di voltarsi. Raccontò che lo avevano spinto da una finestra, si tastò la fronte e sorrise al pensiero di non essersi fatto neppure un bernoccolo. Gli vennero in mente i capelli spettinati della moglie. Prima di risalire in bicicletta, passò una mano nei ricci del bambino. Il bambino lo seguì, con lo sguardo, fino a che l’uomo in bicicletta non tornò ad essere un’ombra.

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L’insegnante con i jeans mi chiede se l’accompagno in libreria: una passeggiata con i bambini di quinta. I bambini guardano i libri, li sfogliano. Ne lasciano uno, ne prendono un altro e un altro ancora… Due minuti e diventano irrequieti. Si annoiano. Com’è triste una libreria con venti bambini! A quell’età, i libri dovrebbero arrivare per caso, dalle mani di qualcuno che ti conosce. Una poesia di Leonardo Sinisgalli, quella dove il poeta e la madre sono seduti sulla porta, un sera d’estate. Il bambino sfiora la gamba della madre. Lo fa apposta. La madre fa un gesto come per scacciare una mosca. I bambini recitano la poesia. Ne leggiamo un’altra. In questa poesia la madre del poeta abbraccia il figlio. Non lo ha mai fatto prima, non le capiterà mai più. Mancano pochi minuti alla campanella e chiedo ai bambini se gli piacciono i film dell’orrore. Una bambina mi confessa che ha visto “L’esorcista” e che si è divertita molto. Ride ancora. La poesia dove Rocco Scotellaro canta le trappole che da bambini preparavano per gli uccelli nella neve. Il poeta dice: “La maestra, a scuola, legge un verso d’amore per gli uccelli. Mi piacevano i versi e la tagliola”. I bambini che ripetono la poesia non hanno mai piazzato una tagliola per gli uccelli. Non hanno mai sentito la parola “tagliola”. Per i versi d’amore… S’innamorarono delle rondini, nella pancia della madre…? di un corvo solitario? Dipingono la neve, la tagliola. Come si disegnano i versi d’amore? La bambina che si è sbucciata un ginocchio, alla fine della poesia si passa un dito bagnato di saliva sulla ferita… Gli chiedo se hanno mai guardato il cielo da un’auto in corsa, da un treno, da una finestra. Alcuni non sono mai saliti su un treno. Gli sembra curioso il fatto che si possa raccontare il cielo. Ci provano… senza convinzione. “Il piccolo imbecille e il suo grande pranzo”. Un racconto indiano. I bambini disegnano meravigliosi imbecilli. Racconto la città della mia infanzia, le bambine che abitavano sottoterra e portavano gli specchi al sole, per riscaldarli…

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Bambini di Tashkent Una città dell’Asia Centrale. È una notte d’estate. Lungo la Moskovaja, un viale lunghissimo rischiarato dalle piccole lampadine dei chioschi, s’intravvedono i venditori di cocomeri: tra loro, ci sono bambine, bambini. Le file di cocomeri, riscaldati dal sole, di giorno, si rinfrescano un poco. Sotto la strada, una rete metallica, ripescata chissà, dove fa da letto. Un bambino e una bambina, uno di fronte all’altro, su una coperta. Si dicono qualcosa, ridono. Li metteranno a vendere le stelle e rideranno alla stessa maniera. Bambini di Samarcanda In uno spiazzo di terra, bambini che giocano a palla davanti a un muro lungo, alto un paio di metri e dipinto di azzurro. Nel gruppo c’è anche una bambina. Un gioco senza regole davanti a un muro azzurro. Se è stato dipinto d’azzurro è perché così piaceva a qualcuno. In lontananza, le cupole delle moschee. In un vicolo della mahallà, un ragazzino accanto alla sua bicicletta. I cerchioni dipinti di blu, giallo, azzurro. Il ragazzo ha disegnata sulla guancia la punta di una lancia. La pelle scura, la punta rossa. Sorride come avesse appena trasformato un poeta in un cane dagli occhi dolci. Bambini di Buhkara Mohamad, e Momin, suo padre, accompagnano fuori dalla mahallà gli amici italiani che hanno cenato da loro. È così che il padre di Momin si guadagna da vivere. Il bambino si è portato un fischietto, e ogni tanto rompe il silenzio. È notte. Mohamad è scalzo. La sorellina di Mohamad, Dilfusa, ha regalato a uno degli ospiti un cartoncino con su disegnate piccole lune, stelle, una mano piena di anelli e numeri della matematica celeste. Dilfusa ha ballato con l’ospite, e quando lo ha visto sudato è andata a prendere una foto piuttosto grande. Nella foto c’era lei. Ma non è per fargli vedere il ritratto che l’ha presa. Voleva fargli vento.

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Bambini di Bucaletto È seduta davanti alla porta. Ha nove anni. Per i passanti, dodici, tredici anni. Ma io conosco il suo cuore di bambina, i suoi abbracci, quando mi avvolge con i suoi lunghi capelli, in classe. Così lunghi! Conosco i suoi occhi fiduciosi, le sue mani, sul banco, che non prendono pace, il sorriso, quando cerca, nel paradiso della memoria, il trapassato remoto del verbo essere. Siede sul gradino di cemento, non sa che fare, e finge di guardare il cielo; a furia di fingere, alla fine, lo guarda davvero, e se ne innamora, per un momento… Bambini di Rossellino Ho portato un film muto. Mi chiedono: “perché non parlano?”. C’è la musica, ma non sono abituati alla musica. Alla fine del film, qualcuno dice che è bellissimo; un bambino dice che è “annoiante”. Una bambina, dagli occhi storti e dolcissimi dice che la ragazza che vola (sul trapezio) è bella. Bambini di Bucarest Si sono fidanzati a nove anni. Tatiana e Kostia. Un fidanzamento nelle fogne della città. Poi lei gli ha tolto i pidocchi dalla testa; Kostia stava lì, inginocchiato su un cappottino ripiegato che odora di merda. Lei è brava a schiacciare pidocchi. Ma mentre li schiaccia si addormenta. Bambini del Darfur Abdellah conosce una storia. Se non la canti, le parole ti rimangono in bocca. È la storia un antico guerriero del Sudan che lottava contro un principe malvagio. Mohamad il Guerriero uccise il principe malvagio e lo sotterrò sotto una pianta che aveva le radici dolci; dal suo cadavere nacque un cavallo invincibile. Fu così che Mohamad il Giusto combatté e vinse mille battaglie con il cavallo del nemico.

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Francesco gira in mezzo ai banchi, agita un pezzettino di carta trasparente, ripete parole senza senso. Oggi racconto una fiaba africana, “Come il ragno Ananse ebbe i racconti del dio-del-cielo”. Il dialetto può scorrere come un fiume in questa fiaba antichissima… Quando il ragno si presenta dal dio del cielo, intenzionato a comprare i suoi racconti, il dio del cielo lo guarda, stupefatto, e gli dice: − Sono venuti principi con le orecchie d’oro e d’argento, regine più belle della luna… volevano comprarsi i miei racconti… ma tutti, dal primo all’ultimo, se ne sono tornati “carichi di meraviglia”, a mani vuote… − E tu, cosa curiosa, “nu Scazzuppuliedd” che non si vede da terra, vorresti i racconti del dio del cielo?! −. Francesco sorride al racconto. Scrive il mio nome e i suoi pensieri sulla fiaba di Liombruno. Ma non capisco. Quando entro in classe, mi passa accanto e mi spinge di lato, con forza, perché mi accorga di lui. L’altro giorno ho portato le comiche di Stanlio e Ollio, quelle dei calci negli stinchi, delle torte in faccia… Ho detto a Francesco di venire avanti, di sedersi per terra. Lui e Gabriele ridono che è una bellezza. Stamattina ho portato un altro film: “Il ragazzo selvaggio”. Non ricordo a che scena, ho pianto. Forse quando il ragazzo che un tempo viveva nella foresta, e azzannava i cani, viene spinto sulla carriola da un altro bambino, davanti alla casa del suo tutore (il dolce Truffaut), ed è felice. Francesco muove le mani in continuazione, ripassa il pollice sulle altre dita; rigira un pezzetto di carta. Sotto quei polpastrelli vorrebbe stare la pelle di film morti… I bambini che guardano il film di Truffaut non conoscono il bianco e nero. Tra mille anni, altri bambini vedranno questo film; Victor, il ragazzo selvaggio, porgerà ancora una volta la ciotola alla governante (che gli vuol bene), per avere il latte; griderà, nel ripostiglio scuro, dove lo ha chiuso il suo tutore, per un castigo che servirà a capire e ad aiutarlo; servirà a capire che Victor soffre se viene punito ingiustamente. I bambini sanno che nessuno, neanche Dio, potrà cambiare questo racconto; nessuno mai ruberà la felicità, la tristezza a questo film.

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La palla

Da un po’ di tempo sentivano rimbalzare una palla sulle scale. Succedeva di notte. Solo di notte. I ragni non fanno rumore. Benedetti i ragni che non fanno rumore. Costruiscono tele d’incredibile precisione. Senza mai gettare un sospiro. Chi ha mai sentito il sospiro di un ragno? Chi ha mai udito un sospiro di Dio? D’improvviso tornava il silenzio, e quando molti pensavano che lo scherzo fosse finito, riprendeva, in modo eguale, ossessivo, quel rimbombo. Un minuto di pace, ed ecco, la palla tornava a rimbalzare. All’inizio era prevalsa la curiosità, il divertimento. Gl’inquilini non avevano dubbi: il rumore era quello di una palla che rimbalza, anche se, un maestro elementare del terzo piano, frequentatore di corsi yoga, asseriva che quello strano rumore era il battito del cuore della celeste armonia… Le prime notti furono notti di festa, di grande affabilità condominiale. La gente usciva sui pianerottoli, si organizzavano spaghettate notturne. Un farmacista, che puzzava con i piedi, e che aveva provato tutti i balsami possibili, spulciando in antichi libri di medicina popolare, venne salvato dal brigadiere del quinto piano che conosceva un rimedio miracoloso. Un fabbricante di bilance, che viveva da solo nella mansarda, non provava più vergogna né amarezza per il fatto che soffrisse d’insonnia. Nessuno si lamentava del chiasso che facevano i bambini rimasti svegli. Una parrucchiera biondosciapita, nonostante l’artrite galoppante, improvvisava meravigliosi giochi dell’Oca sul pianerottolo, si era sognata di fare la permanente a San Michele Arcangelo, e lo raccontava; non era

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mai stata così felice, preparava dolcetti della sua infanzia… Una cosa era chiara: il rumore della palla veniva dai piani alti e proseguiva, scala dopo scala, fin giù, nell’androne. Dopo una settimana di feste, sorrisi, effusioni e confidenze che nessuno si sarebbe mai sognato di fare prima di allora, affiorò, un po’ in tutti, una sensazione di fastidio, di stanchezza. La palla, o quella presenza misteriosa, che faceva pensare a una palla, continuava a rimbalzare. I giornalisti della carta stampata e della televisione regionale, che si erano accampati nel portone, cominciarono a dare segni di una profonda delusione, e sloggiarono in massa, appena si sparse la notizia di un uomo di novantatre anni trovato cadavere nella sua cantina… Gli inquilini della palazzina erano tornati a guardarsi in cagnesco. Nel giro di qualche giorno, ognuno riprese le abitudini, il tono e l’atteggiamento distaccato di sempre. Quando s’incontravano, nell’ascensore, sulle scale, non sapevano che dirsi e non vedevano il momento di sparire. Prima di allacciarsi le scarpe su un gradino, gettavano sguardi furtivi intorno. La palla rimbalzava, indomita, notte dopo notte, ma nessuno ne parlava più. Si vergognavano di raccontare o anche solo di accennare a quella storia. Benedetta la ragnatela di stelle senza il ronzio di una mosca. Tutti si rinchiusero nelle proprie case e tenevano il muso persino ai loro gatti, ai cani domestici. Una notte, senza dire niente a nessuno, un bambino del secondo piano, che leggeva storie di meraviglia, prese la sua palla bianca, salì fino all’ultimo piano, e ridiscese le scale fino al portone, facendola rimbalzare. Da quella notte non si sentì rimbalzare più nulla e dormirono tutti più tranquilli.

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Rocco Brindisi

Il bambino che viveva nello specchio

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Un punto lontano

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Il bambino che volò sull’asino

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Dicembre 1969

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Il bambino con le unghia smaltate

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Viaggio dopo la luna piena

27

Vico Paolo Cortese

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La cagnetta e la musica

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Vico VI Rosica

39

L’ascensore matto

43

Compiti per casa

45

Figure della notte

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Due storielle nervose

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La bambina e la mano

56

Autunno

57

Inverno

58

Biciclette

63

Estate

66

Un racconto che sembra inventato

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Raccontino d’orrore, quasi d’amore

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L’occhio magico

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Racconto quasi per niente immaginato

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Cosa può diventare la notte

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Il bambino che viveva nello specchio

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Racconto breve e un po’ malinconico

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Falangette

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Lo spettro canterino

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La palla

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La regina Hatsesowe

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Apparizione

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Vicolo Orazio Gavioli

128

Il bambino e il poeta

131

La sfera di sole

133

Il cavaliere dalla triste figura e la bambina

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Dall’ombra si capisce se un bambino è felice

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Giornaletti

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La madre col moccolo al naso

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Il giorno che Ciarlicià tirò all’incrocio dei pali

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Fiaba di fiabe sul mestiere di maestro e i suoi bambini nell’epifania creatrice della vita e degli incontri questo libro viene stampato nel carattere Simoncini Garamond su Carta Arcoprint delle Cartiere Fedrigoni dalla tipografia SAGI di Reggio Emilia per conto di Diabasis nel dicembre dell’anno duemila nove

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Al Buon Corsiero

Manlio Cancogni, Sposi a Manhattan Manlio Cancogni, L’impero degli odori Giovanni Michelucci, Lettere a una sconosciuta Carlo Frabetti, I giardini cifrati Emilia Bersabea Cirillo, Fuori misura Silvio D’Arzo, Casa d’altri. Il libro Andrea Briganti, Ramblas e altri racconti iberici Foscolo Focardi, L’anglista sentimentale Stefano Scansani, Orapronòbis Roberto Amato, Le cucine celesti Manlio Cancogni, Gli scervellati Stefano Scansani, L’Amor morto Eugenio Turri, Il viaggio di Abdu Gino Montesanto, Cielo chiuso Tano Citeroni, Il canto del verzellino Nicolas Bouvier, La polvere del mondo Giorgio Messori, Nella Città del Pane e dei Postini Emilia Bersabea Cirillo, L’ordine dell’addio Roberto Amato, L’agenzia di viaggi Salimbene de Adam, Cronaca Antonio Bassarelli, Di Elena e dell’ombra Manlio Cancogni, Caro Tonino Racconti dalla Bosnia, a cura di Giacomo Scotti Nicolas Bouvier, Diario delle isole Aran Vittore Fossati, Giorgio Messori, Viaggio in un paesaggio terrestre Francesco Petrarca, Lettere all’imperatore, a cura di Ugo Dotti Adriana Zarri, Vita e morte senza miracoli di Celestino VI Antonio Bassarelli, La trovatura Aleksandar Gatalica, Secolo Rino Genovese, Ci sono le fate a Stoccolma

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Alessandra Sarchi, Segni sottili e clandestini Cesare Padovani, Paflasmòs. Il battito del Mar Egeo Giorgio Messori, Storie invisibili e altri racconti, a cura di Gino Ruozzi Eça de Queirós, La corrispondenza di Fradique Mendes. Memorie e note, a cura di Roberto Vecchi e Vincenzo Russo Evgénij Rejn, “Balcone e altre poesie” Francesco Permunian, Dalla stiva di una nave blasfema Giorgio Prodi, L’opera narrativa Luan Starova, Il tempo delle capre Pepetela, La generazione dell’utopia Ludovico Ariosto, Lettere dalla Garfagnana, a cura di Vittorio Gatto Ferruccio Masini, Tutte le poesie, a cura di Mario Specchio

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