Il contributo dei paracadutisti alla Resistenza friulana. Il caso Osoppo: “Folgore” e “Nembo”.

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Il contributo dei paracadutisti alla Resistenza friulana.

Il caso Osoppo: “Folgore” e “Nembo”.

Fin dalle sue origini, oltre che un mezzo di salvataggio per il personale di volo, il paracadute ha rappresentato un eccellente strumento d'infiltrazione oltre le linee.

Prima ancora della costituzione di reparti organici di paracadutisti, concepiti per l'impiego bellico in operazioni di massa, la dottrina fu improntata sulla possibilità di oltrepassare silenziosamente le linee nemiche per condurre operazioni di osservazione, collegamento e sabotaggio.

Il primo lancio di guerra in assoluto è da attribuirsi al Tenente Alessandro Tandura da Vittorio Veneto, che nell'agosto del 1918, senza alcuna preparazione ed in condizioni meteo proibitive, effettuò un lancio notturno allo scopo di essere infiltrato oltre le linee austriache con il compito di raccogliere e trasmettere al comando italiano informazioni sulla dislocazione e sui movimenti delle forze nemiche, sulle opere difensive, etc.

In breve Tandura, con il coraggioso aiuto della sorella e della futura sposa, non solo riuscì nel suo incarico di osservazione e collegamento, ma diede vita ad un vero e proprio “movimento di resistenza”, raccogliendo sotto la sua guida vari militari sbandati dopo la rotta di Caporetto, organizzando con essi delle vere e proprie bande armate dedite al sabotaggio di ponti, ferrovie e linee di comunicazione, provocando il caos nelle retrovie e nelle linee logistiche del nemico. Durante la battaglia di Vittorio Veneto, queste “bande” organizzate da Tandura contribuirono a stringere gli austriaci nella morsa finale insieme ai reparti regolari. (Non a caso, tra i caduti della resistenza, si ritroverà anni dopo ancora il nome di Tandura: quello del figlio Luigi, allievo ufficiale degli alpini, nome di battaglia “Nibbio”, caduto in combattimento contro i tedeschi il 28 giugno 1944 nei pressi di Orsaria (UD), decorato di MOVM).

Dopo Tandura, lanciato nella zona del vittoriese, altri due coraggiosi ufficiali friulani, Ferruccio Nicoloso e Pier Arrigo Barnaba, entrambi originari di Buja, furono lanciati nel Friuli invaso, sempre col medesimo scopo di raccogliere informazioni di carattere militare, legando indissolubilmente il Friuli alla storia del paracadutismo militare italiano.

Già in quei tempi non sospetti, il Tenente Barnaba, radunando i militari italiani che vivevano alla macchia dopo essere sfuggiti alla cattura dopo Caporetto, li chiamò quasi profeticamente “Nuclei Verdi”.

Dopo queste esperienze, con la fine della guerra, il paracadute inteso come mezzo di infiltrazione venne abbandonato in favore di un concetto strategico e tattico differente, ovvero la creazione di Grandi Unità organiche di paracadutisti, destinate, nella corsa all'ammodernamento e al riordino delle Forze Armate, a operare su vasta scala in un contesto di cooperazione tra aeronautica e forze terrestri, come già in via di sperimentazione ed attuazione presso altri eserciti. Non più dunque lanci di personale isolato ma lanci di massa su obiettivi strategicamente vitali altrimenti imprendibili.

Esaurito il primo esperimento su suolo libico con la scuola di Castel Benito vicino Tripoli e la nascita dei “Fanti dell'Aria”, reparto composto da personale coloniale, e poi del “1° Battaglione Nazionale Paracadutisti della Libia” con personale italiano, dalla Scuola Paracadutisti di Tarquinia (VT) prese vita la “1ª Divisione Paracadutisti”. Concepita per portare a termine l'occupazione dell'isola di Malta mediante aviolancio, venne invece malamente insabbiata nel deserto africano, a seguito di sopravvenute esigenze di carattere superiore. Così la Divisione, assunto il nome “Folgore”, fu appiedata e destinata alla dissoluzione e all'annientamento sul suolo africano.

La Divisione “Folgore” fu immolata quasi per intero e i pochi superstiti miracolosamente sfuggiti alla cattura e i feriti che in precedenza erano stati ricoverati negli ospedali delle retrovie si riunirono nel 285° Battaglione “Folgore” continuando a combattere strenuamente fino al maggio del 1943, in Tunisia, ove furono definitivamente annientati dopo aver resistito nuovamente come veri leoni.

Qualcosa di particolare e unico univa quei “ragazzi” forgiati alla severa scuola di Tarquinia che avevano così valorosamente affrontato i duri combattimenti in Africa, distinguendosi per il proprio valore e soprattutto per la loro fermezza morale, soverchiati dalla superiorità numerica del nemico ma indomiti e invitti nello spirito e negli ideali.

Un ideale che troppo spesso si è insinuato essere ideologia nazionalista, mentre il vero e proprio cemento che univa i paracadutisti era il non comune Amor di Patria: un sentimento comune a tutti, autentico e spontaneo, espresso con fermezza ma in modo civile, rispettoso e pulito, senza prevaricazioni nei confronti di nessuno.

Quello dei ragazzi di Tarquinia fu vero patriottismo e spirito di corpo e di fratellanza, ben lontano dal cieco e becero nazionalismo.

Mentre la Folgore in Africa si dissolveva nel vento, alcuni paracadutisti feriti nel corso dei combattimenti prima della grande battaglia di El Alamein e rimpatriati a causa della gravità delle ferite riportate, dopo lunga convalescenza vennero reinseriti nei ranghi delle truppe paracadutiste,

destinati alla nuova Divisione Paracadutisti “Nembo” in fase di costituzione in Italia.

All'atto dell'armistizio la risposta dei paracadutisti della Divisione “Nembo” fu piuttosto netta: salvo due interi battaglioni che defezionarono sotto la carismatica guida dei loro comandanti, schierandosi con i tedeschi e continuando a combattere contro gli anglo americani perseguendo, a loro modo, l'onore militare, l'intera Divisione passò nel Corpo Italiano di Liberazione cobelligerante con gli alleati, dando prova di grande valore, risollevando l'onore delle armi italiane infangato dall'ignobile 8 di settembre.

Ancora una volta i paracadutisti dimostrarono il loro coraggio ed entusiasmo a terra, appiedati, qualificandosi degni eredi dei loro fratelli che avevano combattuto in terra africana. Nell'ultima fase della guerra ebbero finalmente modo di realizzare il loro sogno infrantosi prematuramente tra le sabbie del deserto: il 20 aprile 1945 un pugno di uomini dello Squadrone “F” e della Centuria “Nembo” venne paracadutato oltre le linee nella operazione denominata “Herring”, per creare scompiglio e danno e impegnare i presìdi tedeschi al fine di agevolare l'avanzata finale degli alleati.

Oltre a questa azione fortemente rilevante dal punto di vista militare, gli unici lanci di guerra sono da registrarsi tra il personale dei vari servizi di informazione, il più delle volte destinato ad operazioni di collegamento tra i comandi militari alleati e i reparti partigiani operanti nei territori occupati. Inevitabilmente il pensiero corre alla nostra MOVM, professoressa Paola Del Din - Carnielli, che ne rappresenta la magnifica ed esemplare testimonianza vivente.

Vi fu tuttavia un contributo molto meno spettacolare e passato quasi del tutto inosservato, ovvero quello dei paracadutisti passati a combattere tra le fila dei patrioti della resistenza. Trattandosi di casi isolati, di singoli e non di reparti interi, dietro ciascuno di essi vi sono motivazioni personali molto difficili da interpretare, ma certamente alla base della scelta non può non considerarsi quale spinta ideale quel forte Amor di Patria che poco sopra abbiamo ricordato.

Non tutti i casi verificati fanno riferimento alle formazioni osovane; volendo citare, per par condicio, anche i paracadutisti ascritti alle formazioni garibaldine, ricordiamo: il Capitano Marco Ippolito Cristofori, da Aviano, una delle più illustri figure di ufficiale paracadutista, decorato di MAVM per l'eroico comportamento durante la grande battaglia di El Alamein, rimpatriato ed entrato subito nelle fila della resistenza, successivamente deportato in Germania; il paracadutista Carlo Bellina “Augusto”, da Cleulis di Paluzza, che aveva combattuto in Africa nella 29ª compagnia del X Btg/187° Rgt della Divisione “Folgore”, MBVM della guerra di liberazione; il Sergente

Maggiore Valentino Candussi, di Remanzacco, già istruttore alla Scuola di Tarquinia e di Viterbo, protagonista di una rocambolesca fuga mentre era già riunito insieme ad altri prigionieri in attesa di essere deportato in Germania ed unitosi alle formazioni partigiane; il Sergente Maggiore Bruno Corrado Cocianni, da Gorizia, che dopo un breve periodo di addestramento trascorso in Germania avendo aderito alla Repubblica Sociale disertò per unirsi alle formazioni dei volontari della libertà; il Caporale Giovanni Bolcina, originario di Aidussina, ferito in combattimento nella seconda battaglia di El Alamein e congiuntosi dopo il rientro nei ranghi delle truppe paracadutiste alla resistenza jugoslava operante nel goriziano.

Per quel che riguarda le formazioni Osoppo è necessario citare un'altra figura di spicco della storia del paracadutismo, l'udinese Danilo Pasqualin, Sergente Maggiore, tra i primi istruttori di Tarquinia e poi Viterbo, passato successivamente al comando di Divisione della Nembo, attivo patriota.

Una narrazione a parte va dedicata invece a due patrioti fortemente legati alle tradizioni della “Folgore” e della “Nembo”, confluiti nella realtà osovana per la liberazione e la difesa della Patria e della loro “piccola Patria”, poiché accomunati dalle medesime origini.

Parliamo di due giovani carnici, originari di Ravascletto, il Sergente Maggiore paracadutista Giovanni Battista Da Pozzo e il paracadutista Casimiro De Colle.

Il Sergente Da Pozzo venne ferito in Africa Settentrionale e da lì rimpatriato, prima della grande battaglia. Risultato ancora idoneo all'impiego nella Specialità Paracadutisti, a seguito dello scioglimento della “Folgore” per i noti fatti d'arme, viene aggregato alla Divisione “Nembo”.

Durante il periodo di convalescenza a Ravascletto venne costretto a rientrare al centro di reclutamento paracadutisti della R.S.I a Spoleto, per essere inserito negli organici dei reparti paracadutisti repubblicani in fase di costituzione. Da lì riuscì a ritornare a Ravascletto ed ebbe modo di informare Casimiro, suo compaesano, originario della frazione di Zovello, che questi era segnalato tra i ricercati per aver abbandonato il proprio reparto.

Casimiro De Colle infatti era stato in forza al XII Btg del 184° Rgt della Divisione “Nembo”, comandato dal Maggiore Mario Rizzatti, friulano di Fiumicello, che, schierato in Sardegna, alla data dell'armistizio aveva seguito compattamente il suo comandante aggregandosi alle truppe tedesche di stanza sull'isola. Rientrato in continente, il battaglione di Rizzatti insieme agli altri reparti che scelsero di seguire l'ex alleato tedesco formò il Raggruppamento Volontari Paracadutisti Italiani, inserito nell'organico delle forze armate germaniche, dando vita in seguito al Raggruppamento

Paracadutisti “Nembo”, articolato sui due battaglioni 1° “Nembo” e 2° “Folgore”, combattendo, a onor del vero, con estremo valore sul fronte di Anzio e Nettuno. Casimiro riuscì ad allontanarsi dal reparto e dopo essere stato ripreso, riuscì a fuggire nuovamente raggiungendo prima Udine e poi la Carnia.

Al suo arrivo in Carnia Casimiro si unì immediatamente alle formazioni partigiane Osoppo assumendo su disposizione di Giobatta Da Pozzo “Folgore”, divenuto comandante di compagnia del Btg. Divisionale “Monte Canin”, l'incarico di Aiutante Maggiore. Scelse, con chiaro riferimento alla Divisione Paracadutisti cui aveva appartenuto, il nome di battaglia “Nembo”.

“Nembo” e “Folgore”, riuniti sotto la bandiera della libertà e dell'indipendenza della Patria, ebbero destini diversi. “Nembo” riuscì, nonostante le varie vicissitudini, a sopravvivere alla guerra, lasciando peraltro dei meravigliosi quaderni di memorie, relativi non solo al periodo bellico, che meriterebbero ben altra attenzione che queste poche righe; “Folgore” purtroppo subì il destino insito nel suo nome: come la gloriosa Divisione in cui aveva servito combattendo in Africa, offrì se stesso in olocausto dopo la battaglia del Monte Rest, cui coraggiosamente aveva preso parte. Un tragico quanto banale incidente d'arma lo tolse ai vivi il 20 ottobre 1944.

Un volantino verde, stampato in occasione del suo funerale, ne tratteggia le doti, ricordando in particolare “quell'amor patrio e quell'ardore attinti quando militava nella sua gloriosa Divisione paracadutisti dalla quale volle trarre il suo sferzante nome di sprone e di battaglia”.

Sul passo Rest, divenuto luogo di memoria e di ritrovo per commemorare le gesta dei patrioti caduti per la libertà, una targa posta sul monumento ad essi dedicato lo ricorda, col suo bel nome di battaglia chiaramente inciso a grandi lettere.

Stando ai dati a disposizione, “Folgore” dovrebbe essere sepolto nel cimitero di Tramonti di Sotto, tuttavia non sono riuscito a trovare traccia della sua tomba. Mi sono però spinto fino al cimitero di Zovello, su indicazione del nipote di Casimiro, per visitare la sua sepoltura. Non un monumento per lui, sopravvissuto alla guerra, ma una semplice tomba simile alle altre, sulla quale però è fissata una frase che rivela a chi si sofferma per un attimo a leggere, quale fosse il suo profondo e non comune sentimento di libertà: “Impara a non essere né inglese, né francese, né ebreo, né cristiano, ma semplicemente un uomo libero”.

Folgore! Nembo! Viva l'Italia libera!

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