S - Lo Sport in Statale - Febbraio 2021

FEBBRAIO 2021

IN QUESTO NUMERO:

04

IN PEDANA CON ROBERTA MARZANI, LA SCHERMITRICE CHE FA SOGNARE LA STATALE

06

PER IL SUCCESSO NON SEMPRE COMANDA L’ISTINTO

08

MUSCOLI E CUORE, TOMMASO JANNELLI PORTA IN ALTO IL VESSILLO DI SCIENZE MOTORIE

10

I TRE MINUTI PIÙ BELLI DELLA MIA VITA

12

VIRGINIA TROIANI, AMBASSADOR DI SCIENZE E TECNOLOGIE, DUE VOLTE CON LA NAZIONALE, TRA SPORT E STUDIO, PENSA AL FUTURO

14 VIRGINIA TROIANI, AMBASSADOR DI SCIENZE E TECNOLOGIE,

CI PARLA DI “YOKOHAMA 2019” E DELL’INIZIO DELLE SUE ASPIRAZIONI

s 2

16

UNA “STORICA” ALEXANDRA TROIANI ALLA GUIDA DI STUDI UMANISTICI COME SPORT AMBASSADOR

18

STAND BY ME – RICORDO DI QUELLA GARA IN ESTATE

20

LINDA GUIZZETTI, UNA GIURISTA IN PISTA!

22

CADUTE CON STILE E MANI BIONICHE, AD HOC EXEMPLUM LINDA GUIZZETTI: COSA SIGNIFICA AVERE LA FORZA DI RIALZARSI?

24

AVVOLTA TRA I DRAPPI VOLA SILVIA DE DONATO: ATLETA DI ACROBATICA AEREA, STUDENTESSA DELLA STATALE DI MILANO E SPORT AMBASSADOR DI MEDICINA E CHIRURGIA

26

SILVIA DE DONATO, AMBASSADOR DI MEDICINA E CHIRURGIA, CI RACCONTA DEL POTERE MIRACOLOSO DELLO SPORT

28

ALLA SCOPERTA DI SOFIA GIARDINA, TRA SPORT E VITA DURANTE LA PANDEMIA

30

SOFIA GIARDINA, CAMPIONESSA IN CAMPO E NELLA VITA

32

SCOPRIAMO INSIEME PAOLA ACETI: GUERRIERA SIA IN CAMPO CHE FUORI E SPORT AMBASSADOR DI MEDICINA VETERINARIA PER IL CUS STATALE

34

PAOLA ACETI, SPORT AMBASSADOR DI MEDICINA VETERINARIA RACCONTA LA FINALE PIÙ IMPORTANTE DELLA SUA VITA, TRA INFINITE INCERTEZZE E UNA GRAN VOGLIA DI VINCERE

36

INTERVISTA A GIULIO PANARA, SPORT AMBASSADOR DI SCIENZE AGRARIE E ALIMENTARI, PUNTA SEMPRE PIÙ IN ALTO

38

METTERSI IN GIOCO, SFIDARE I PROPRI LIMITI, SALTARE E… RAGGIUNGERE IL SETTIMO CIELO! GIULIO PANARA CI RACCONTA UNA LOTTA CONTRO SÉ STESSO

40

UNA PASSIONE SENZA LIMITI. IL SEGRETO DELLE UNDER 19 PER NON SMETTERE MAI DI SOGNARE

42

IN OCCASIONE DELLA RIPRESA DELLE ATTIVITÀ ABBIAMO INTERVISTATO IL COORDINATORE TECNICO DI ASPES VOLLEY DIEGO DONOLATO

s 3

SCIENZE DEL FARMACO

La ventiquattrenne campionessa di Bergamo ci racconta come ha bilanciato lo studio di Farmacia con l’attività agonistica della Spada.

G

rinta, precisione e prontezza di riflessi sono i primi aggettivi che ci vengono in mente quando parliamo di una schermitrice. Roberta Marzani ha dimostrato precocemente di possederli tutti conquistando nel 2017 sia il titolo di campionessa italiana Under 23, sia quello assoluto. Questo titolo le ha permesso di esordire giovane in Coppa del mondo con la nazionale maggiore. Nella prima gara del 2019, a Tallinn, la Marzani si è resa protagonista di un percorso netto, interrotto solo ai sedicesimi di finale da una stoccata della campionessa uscente, la hongkongese Kong Man Wai Vivian. Decisa sulla pedana, come nella vita, Roberta si è laureata in Scienze del Farmaco a dicembre. Facoltà che ha voluto rappresentare per l’anno accademico in corso in veste di Sport Ambassador per i CDF. Ciao Roberta, conosciamoci meglio.

«Ciao. Sono Roberta Marzani. Ho 24 anni.

Ho studiato farmacia fino a dicembre, quando mi sono laureata. Sono un’atleta del gruppo sportivo dell’Esercito. Pratico scherma, specialità spada. Sono nel giro della nazionale da quando avevo quindici anni, nella categoria Under 17, poi la trafila nelle categorie cadetti, giovani, Under 23 fino a quella assoluta. La mia passione più grande è la scherma. Nel tempo libero mi piace guardare le serie tv e quando posso mi concedo un aperitivo con i miei amici».

Per quale motivo hai scelto Scienze del farmaco e come ti sei trovata?

s 4

«È una tradizione di famiglia nata dai miei nonni che erano entrambi farmacisti.

Dopo di loro lo sono diventati anche i miei genitori e mio zio. Anche mia cugina studia farmacia a Torino. È la facoltà di famiglia. I miei primi anni di università

sono stati i più duri, una volta superati sono andata via più tranquilla. Farmacia nei primi anni crea una forte selezione tra gli iscritti e ti richiede molti sacrifici.

Nonostante i primi anni, sono riuscita comunque a laurearmi in tempo».

Che programmi hai ora che ti sei laureata?

«Molto difficile a dirsi. Noi della scherma non abbiamo ancora ripreso l’attività.

L’ultima gara svolta è stata a marzo, dopodiché a causa della pandemia non abbiamo più gareggiato. In questo periodo, noi dodici ragazze della nazionale effettuiamo una settimana di ritiro al mese in modo da poter svolgere tutte insieme gli allenamenti. Per la ripresa delle gare non abbiamo ricevuto nessuna comunicazione in merito. Ho quindi sfruttato questo stop forzato per potermi laureare. Lavoro? Per il momento rimango molto più concentrata sull’attività sportiva ma nei momenti in cui sono libera vado in farmacia per aiutare i miei genitori. Per definire meglio il mio futuro attendo l’arrivo di tempi migliori».

Parlando invece di sport, come ti sei avvicinata alla scherma?

«Mi sono avvicinata alla scherma grazie a mio fratello maggiore. Lui ha cominciato a tirare a dieci anni quando io ne avevo quattro ed andavo a vedere le sue gare.

Appena ho potuto iscrivermi a sei anni ho iniziato anch’io. Ho cominciato qui a Bergamo, alla “Bergamasca Scherma Creberg”, tirando sia di spada che di fioretto. Poi la mia società ha deciso di tenere come prima arma la spada, indirizzandomi verso questa disciplina. A nove anni ero già solo sulla spada con il mio maestro di allora, un signore polacco di nome Zibi».

SCIENZE DEL FARMACO

Come sei finita a gareggiare per il gruppo sportivo dell’Esercito e che emozioni provi nel farlo?

«Mi hanno cercato loro durante l’ultimo anno da cadetta. Mi hanno contattata dicendomi che avrebbero puntato su di me, nonostante la mia giovane età.

I miei risultati nelle categorie superiori li avevano convinti a farmi entrare nella loro squadra. Ho accettato subito perché era chiaro che volessero valorizzarmi.

Ho tanta gratitudine nei loro confronti perché sono stati i primi a scegliermi. Mi sostengono, mi supportano tutt’ora nel mio percorso. È un grandissimo onore per me vestire questa maglia perché tanti sportivi illustri l’hanno indossata».

Come è stato vincere una medaglia di bronzo alle Universiadi di Napoli del 2019? È stata la tua prima medaglia importante?

«Avevo già vinto una medaglia di bronzo alle Universiadi di Taipei nel 2017. A Napoli ho vinto un bronzo individuale e un argento a squadre. Le emozioni che ho provato a Napoli? A Napoli c’era un tifo caldo, sembrava di essere in uno stadio e non avevo mai vissuto un’esperienza simile. Appena chiamavano il tuo nome o la tua nazione il coro ti inneggiava. È stato veramente coinvolgente ed emozionante. Delle Universiadi di Taipei ricordo invece l’organizzazione impeccabile e le strutture gigantesche.

La mia vittoria più importante non è legata a queste due manifestazioni ma riguarda i Campionati Italiani di Gorizia del 2017 quando appena uscita dalla categoria Under 23, ho vinto sia il titolo italiano Under 23 che quello assoluto, battendo per due volte la campionessa mondiale Rossella Fiamingo».

Quali sono i tuoi obiettivi per questa stagione di spada femminile che si concluderà con i giochi olimpici di Tokyo?

«Ad oggi non c’è una stagione.

Attualmente non sono nelle prime quattro che prenderanno parte alla competizione ma faccio parte delle otto che gravitano intorno alla nazionale maggiore. Il mio obiettivo è quindi quello di farmi trovare pronta nel momento in cui si tornerà in pedana».

Come mai hai deciso di diventare Sport Ambassador di Scienze del Farmaco e che messaggio vuoi trasmettere agli studenti della Statale che vogliono praticare sport?

«Quando mi è stata chiesta la disponibilità per diventare Ambassador ero già al termine del mio percorso di studi. Posso quindi solo dire che è stato semplice conciliare entrambi gli impegni. Ho posto la mia esperienza di atleta-studente al servizio della Statale di Milano. Il messaggio che mi sento di dare ai miei colleghi è quello di continuare la loro pratica sportiva anche durante il periodo universitario in quanto può essere d’aiuto alla socializzazione e al benessere, in un periodo della loro vita in cui si è sottoposti a stress e a lunghe sedute di studio individuali».

Roberta, conciliando studio e attività agonistica, ha già raggiunto traguardi prestigiosi nella sua vita. Si è laureata e realizzata pienamente in ambito sportivo, diventando un modello da seguire per tutti i ragazzi che frequentano l’università.

Ringraziandola per la disponibilità mostrata, il CUS Statale le augura una lunga carriera piena di successi, sperando, incrociando le dita, di vederla in pedana già ai prossimi giochi olimpici di Tokyo. di Domenico Barbato

s 5

SCIENZE DEL FARMACO

Roberta Marzani, schermitrice di Spada e Sport Ambassador di Scienze del Farmaco: impegno, determinazione, costanza e passione sono solo alcuni dei valori che l’hanno proiettata ai vertici del ranking mondiale.

«Il mio primo allenatore non mi ha insegnato solo uno sport, mi ha forgiato per affrontare la vita, aiutandomi a diventare la persona che sono ora».

Ci sono momenti che incidono più di una vittoria o di una medaglia.

Attimi che ti segneranno per sempre, ovunque andrai e qualunque cosa farai. Sono quelli gli istanti in cui si decide una carriera.

s 6

«Al primo anno giovani, nella categoria Under 20, ero impulsiva e mi comportavo come una “testa calda”. La scherma è uno sport dove

bisogna avere la mente fredda e, in quel momento, era proprio quello che mi mancava. Quando ero piccola era difficile gestirmi. Soprattutto il mio primo maestro faticava a tenermi a bada».

A volte la pressione gioca brutti scherzi. Che sia una competizione locale o mondiale il mancato controllo del le proprie emozioni rischia di compromettere tutto. Con l’istinto le azioni avvengono naturalmente e si pensa di non aver più bisogno di imparare.

«Mancavano due gare alla fine dei

Quando tutto sembrava perduto. Un anziano saggio polacco si avvicinò e, come un maestro Jedi, mostrò la via giusta alla discepola. Per sconfiggere i tuoi problemi dovrai seguire un allenamento fisico e spirituale durissimo, solo così saprai e imparerai a sfruttare tutte le tue doti.

«Una volta tornati a Bergamo, il mio maestro mi prese da parte e mi disse: “Roberta stai attenta! Se in gara perdi la testa, perdi l’assalto. Così facendo rischi di buttare via il tuo grande talento”. Compresi che non potevo comportarmi così se volevo riprendere in mano la mia carriera sportiva».

“You’ll lose everything If you don’t stop being crazy!” - Perderai tutto se continui con il tuo folle comportamento.

«Era il momento giusto per darsi una regolata. Mancava una sola settimana alla penultima gara di Coppa del Mondo a Mödling in Austria. Le parole del maestro mi avevano rimotivata, tuttavia, mi sentivo piccola e temevo di non riuscire a seguire i suoi consigli.

Alla fine, vinsi la gara e ritornai nelle prime quattro posizioni del ranking nazionale».

L’aspirante campionessa è tenuta a confermarsi. Una sola stoccata può confermare o ribaltare il risultato. Ma qui Borghese non c’entra niente.

«Neanche il tempo di gioire per il successo ottenuto che era già arrivato il tempo di una nuova sfida.

La settimana dopo gareggiai in Svezia a Göteborg. Mi classificai seconda, raggiunsi così i vertici del ranking mondiale e la conseguente partecipazione ai Campionati Europei e al Mondiale. Continuando a seguire i saggi consigli ricevuti dal mio maestro vinsi la medaglia d’argento agli Europei e quella di bronzo al Mondiale. Questi successi ottenuti nel primo anno dei tre totali della categoria giovani, mi proiettarono verso la prima coppa del mondo di spada femminile Under 20».

SCIENZE DEL FARMACO

campionati di Coppa del Mondo prima degli Europei e dei successivi Mondiali. A quel punto ero fuori dalla squadra, fuori dalle prime quattro.

C’era una gara nazionale e persi con una ragazza più piccola.

Andai in tilt buttando via un assalto e così persi la gara. Il rammarico di essere stata sconfitta era pesante».

Mantenere il successo costa impegno e determinazione. Una volta raggiunto deve essere continuamente coltivato.

«Dopo il duro lavoro nelle categorie inferiori e le vittorie raggiunte in quelle categorie fui convocata in nazionale maggiore che avevo già assaporato da cadetta. Da quel momento grazie al duro lavoro quotidiano e ai saggi consigli ricevuti non sono più uscita dal giro della nazionale».

Gli avveduti consigli ricevuti spingono Roberta ad abbandonare la confusione e sono ancora oggi il motore principale deli suoi successi.

«Il discorso del mio maestro non solo mi ha permesso di raggiungere delle vittorie giovanili, ma sono ancora oggi una guida della mia attività sportiva».

Essere un buon allenatore significa affrontare una serie infinita di sfide: La maggior parte delle quali hanno a che vedere con la fragilità dell’essere umano.

s 7

di Domenico Barbato

SCIENZE MOTORIE

Tommaso Jannelli, Ambassador della Facoltà di Scienze Motorie, si presenta tra rugby ad alto livello, studio ed eventi di solidarietà.

I

l leone è il predatore per antonomasia, simbolo di forza e autorità, Re della Savana. Il leone è il simbolo e la mascotte della Facoltà di Scienze Motorie, eccellenza dell’Università degli Studi di Milano e pluripremiata nell’albo d’oro dei Campionati di Facoltà. Ed un Leone, non in senso animale, lo è anche l’Ambassador di Scienze Motorie Tommaso Jannelli, giocatore professionista di Rugby per il CUS Milano in Serie B e Azzurro con la Nazionale di Rugby Seven. Noi di “S” l’abbiamo intervistato in esclusiva per voi!

Ciao Tommaso, presentati ai lettori di “S”!

«Ciao ragazzi, sono Tommaso Jannelli, ho 21 anni e frequento l’ultimo anno del corso triennale della Facoltà di Scienze Motorie in Statale. Sono un giocatore di rugby ed attualmente milito tra le fila del CUS Milano, società con la quale collaboro come preparatore atletico con le giovanili. Inoltre, rappresento l’Italia con la maglia azzurra della Nazionale di Rugby Seven. Proprio in questo momento sono in ritiro a Parma!»

Oltre ad essere un atleta ad alto livello sei impegnato anche nell’ambito della preparazione atletica. Com’è nata la tua voglia di metterti nei panni dell’allenatore accanto a quelli del giocatore?

s 8

«Durante il quarto anno di Liceo ho svolto le mie ore del progetto di Alternanza Scuola-Lavoro collaborando come aiuto-allenatore dei bambini dell’Under 8 del CUS Milano. L’esperienza mi è piaciuta molto, così, l’anno successivo, al di fuori della scuola, ho continuato a lavorare sempre come aiuto-allenatore,

questa volta con l’Under 12, per poi assumere il ruolo di preparatore atletico dell’Under 14 e dell’Under 16 e, da quest’anno, dell’Under 18. Ho quindi una solida esperienza in tutte le categorie giovanili».

Preferisci lavorare con i bambini o con i ragazzi più grandi? Come ti rapporti con loro essendo molto giovane, quasi coetaneo?

«Tra i due direi che il lavoro con i ragazzi più grandi è decisamente quello maggiormente stimolante, molto specifico e tecnico a differenza dell’educazione motoria di base che, ovviamente, caratterizza i bambini. Per quanto riguarda il rapporto con loro, invece, cerco sempre di pormi come un fratello maggiore, non voglio che mi vedano come una figura che gli impone degli esercizi e li punisce. Riconosco non sia sempre facile, il rispetto reciproco è fondamentale e sotto quest’aspetto aiuta molto essere un giocatore della prima squadra, i ragazzi sono i primi tifosi sugli spalti durante le partite e probabilmente saranno anch’essi sul campo in futuro. Il mio obbiettivo è certamente quello di trasmettergli la mia esperienza, per permettergli di elevarsi sia come atleti che, come persone, è importante che non eseguano e basta, sono sempre disponibile per spiegazioni in modo tale che capiscano quello che gli viene spiegato».

Ormai sei all’ultimo anno di Triennale e la laurea è in vista. Cosa ti ha dato l’Università degli Studi di Milano e quali sono i tuoi progetti per l’immediato futuro?

«La bellezza di Scienze Motorie sta

Come dici tu, la fine del percorso è vicina. L’idea è quella di laurearsi a luglio per poi continuare con un Master all’estero. Pensavo all’Irlanda, dove la cultura rugbistica è molto forte, in modo tale da poter studiare e continuare a giocare a buon livello. Vorrei specializzarmi in tema di preparazione atletica, magari seguendo un corso di “Strenght and Conditioning” oppure di “Sport Exercise”. Non ancora ho deciso di preciso, ma i tempi stringono e presto farò la mia scelta».

Il Rugby è un esempio nel mondo sportivo per quanto riguarda il Fair Play, tanto che il famoso Terzo Tempo (momento di convivialità post-partita tra le due squadre avversarie) è diventato un simbolo iconico del tuo sport. Com’è il rapporto con i tifosi, avversari e non?

«L’ambiente rugbistico è estremamente positivo, fa parte assolutamente del DNA della disciplina, seppur ultimamente ad alti livelli, in particolare in alcune tifoserie, si stia subendo l’influenza negativa di fattori estranei a questo mondo, precisando che sono delle eccezioni rispetto alla maggioranza dei casi. Per esempio, in questo momento sono in ritiro con la Nazionale e condivido la stanza con un giocatore di una nostra acerrima rivale ma tra noi non c’è nessun attrito, anzi, siamo grandi amici. La rivalità in campo rimane lì, questo anche grazie al Terzo Tempo che permette di conoscersi meglio tra avversari. Stessa cosa accade con i tifosi, può esserci qualche coro durante la partita, ma al termine si applaude per entrambe le squadre e non è insolito che i giocatori si intrattengano sugli spalti a chiacchierare con i tifosi prima di tornare in spogliatoio a fine partita».

SCIENZE MOTORIE

proprio nel suo doppio approccio, pratico e teorico. Ti permette di vedere sul campo l’effettivo lavoro di uno specialista sportivo, non solo sul piano tecnico, ma anche umano. Al contempo accompagnato da un approfondito studio teorico, che fornisce una cognizione chiara degli effetti delle singole attività fisiche, potendo così adattare le proprie conoscenze alle necessità dei più disparati sport.

La figura dell’Atleta è in questo periodo una delle più influenti e sotto i riflettori, soprattutto tra i giovanissimi. Cosa ne pensi da esponente della categoria, della responsabilità e dell’impegno nel sociale degli sportivi?

«Personalmente mi ritengo molto fortunato ad aver avuto la possibilità di partecipare alla bellissima iniziativa “Rugby in Ospedale” promossa dall’associazione “Portatori di Sorrisi”, che si è posta l’obbiettivo di portare un sorriso ai bambini e ai ragazzi ricoverati nei reparti pediatrici. Pur non conoscendoti, presentandoti come atleta, magari della Nazionale come mi è capitato l’ultima volta a Napoli, accendi un grande entusiasmo, cominciano e chiederti foto e autografi, si stampano un sorriso in faccia che li aiuta a distaccarsi per un momento da quella che è per loro una sfortunata realtà. Credo che ogni atleta, da quello della squadra di paese alla superstar internazionale, abbia un ruolo fondamentale per la trasmissione di messaggi positivi. Bisogna sfruttare la grande visibilità di cui gode lo sport oggi per essere un esempio, in particolare per i giovanissimi».

Atleta e tanto altro, Tommaso Jannelli si è dimostrato una persona con un gran cuore, sponsor ideale per la Facoltà di Scienze Motorie dell’Università degli Studi di Milano. Un grande grazie da parte del CUS Statale e un altrettanto grande in “bocca al lupo” anche se, si sa, contro un leone, non c’è storia. di Tommaso Ricci

s 9

SCIENZE MOTORIE

Qual è il momento di maggior esaltazione per uno sportivo?

Superare un record mondiale? Vincere una medaglia olimpica?

Portare la propria squadra alla vittoria all’ultimo secondo? E se, invece, questo momento non fosse in gioco? Se, invece, l’adrenalina, l’emozione, la carica precedessero il traguardo e si collocassero temporalmente alla partenza? «È l’estate del 2019, sono a Napoli a rappresentare l’Italia alle Universiadi, l’equivalente delle Olimpiadi ma per gli atleti universitari. Il 3 luglio è la data della Cerimonia d’Apertura, come quella Olimpica, al San Paolo.

Copertura mediatica pazzesca, trasmessa in diretta su Rai 2, pagare il Canone ha un senso ora. Ci saranno i miei genitori sugli spalti. Ed anche il Presidente Mattarella, ma è un dettaglio».

La TV in diretta nazionale, il Presidente della Repubblica, interromperanno le repliche di “Squadra Speciale Cobra 11”. Sembra davvero un grande evento, di quelli che accadono una volta nella vita.

«Il Villaggio degli Atleti è al Porto, su delle navi da crociera, da lì partiamo verso lo stadio. Prima di arrivare ci fanno attendere in una sala con tutti gli atleti delle altre delegazioni. Comincio a fare amicizia con i ragazzi degli altri sport e anche con quelli delle altre nazioni, il clima è fantastico».

s 10

Migliaia di persone provenienti da 118 Paesi, tutte accolte dalle braccia aperte del San Paolo, oltre clima “fantastico” direi anche “tropicale”.

«Arriviamo finalmente al San Paolo.

Come Paese ospitante dobbiamo entrare per ultimi, c’è ancora molto tempo da aspettare. Ogni nazione che fa il suo ingresso, si avvicina sempre di più il nostro momento e ci avviciniamo sempre di più, fisicamente, all’uscita del tunnel. La prima è l’Albania, ancora non ci rendiamo esattamente conto di cosa stia succedendo fuori. Quando tocca allo Zimbabwe, penultimo, sentiamo la bolgia del San Paolo tutto esaurito. Siamo tutti carichi, abbiamo la pelle d’oca, cominciamo a cantare, ad abbracciarci con le bandiere, a saltare».

Sembra la descrizione di una scolaresca delle medie in viaggio d’istruzione a Riccione. Però, questa volta, l’entusiasmo è giustificato. Uno stadio gremito, mentre rappresenti il tuo Paese in casa e sai che non potrai deludere né la maglia che indosserai sul campo né la tua famiglia e i tuoi amici che, per la cronaca, stanno per vederti su Rai 2!

«Tutto lo stadio è in piedi, il pubblico rumoreggia, la nostra portabandiera esce, si sentono scrosciare gli applausi, non riusciamo a sentirci a un metro di distanza, ad accompagnare

SCIENZE MOTORIE la nostra sfilata parte “Gloria” di Umberto Tozzi. Ma sarebbe potuta partire anche “Anima Mia” dei Cugini di Campagna tanta era l’emozione.

Arriviamo nella nostra postazione dopo un giro che avrei voluto non finisse mai».

Tre minuti che valgono una vita.

Anche se, sulla scelta musicale avrei da ridire, ma non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca.

«Siamo arrivati al momento clou, quello più spettacolare, dopo una serie di esibizioni e i giuramenti, tra i quali, quello degli atleti pronunciato proprio dal Capitano della mia squadra, Luca Zini. È arrivato il momento della Fiamma delle Universiadi. Così come quella delle Olimpiadi ha attraversato il globo e ora è qui, a decretare l’inizio delle competizioni».

«A celebrazione finita abbiamo cominciato a scambiarci le spillette, le magliette, i cappelli, praticamente ogni cosa con i ragazzi delle altre Nazioni, una vera e propria festa. Dormire, una volta ritornati negli alloggi è stato praticamente impossibile. Il giorno successivo arriviamo al campo per l’esordio ancora carichissimi per la sera prima. Mai stato così eccitato per una partita. Mai stato così gasato in generale. Decisamente l’esperienza più bella che abbia mai vissuto grazie allo sport».

Chi l’avrebbe mai detto? Non un ricordo di gioco, bensì una cerimonia come ricordo indelebile nella mente di un atleta. Non una meta all’ultimo secondo, ma una sfilata davanti a degli spalti gremiti. A ripensarci, non è affatto male. di Tommaso Ricci

s 11

SCIENZE E TECNOLOGIE

Virginia Troiani, quattrocentometrista e studentessa dell’Università degli Studi di Milano ci ha raccontato dei suoi studi e di come li ha applicati all’atletica, dei propri obbiettivi e progetti per il futuro.

C

ome ci hai raccontato in precedenza su Unimisport, sei una studentessa di Biologia applicata alle Scienze della nutrizione.

I tuoi studi hanno influito sulla tua dieta come atleta?

s 12

«È risaputo che la nutrizione è un fattore di grandissima importanza in qualsiasi sport e chiaramente anche nell’atletica è un fattore chiave. Come atleta, dovrei essere seguita da un nutrizionista o da una figura professionale, soprattutto dopo gli ultimi anni dove la mia carriera sportiva è cresciuta di livello, tuttavia, non sono seguita da nessuno. Fino ad ora ho sempre cercato di mantenere una dieta equilibrata, non ne seguo una specifica anche se, chiaramente, ogni tanto mi tolgo qualche sfizio. Il desiderio di interfacciarmi con un nutrizionista è dettato dal mio interesse di bilanciare meglio il rapporto di nutrienti in modo da favorire il muscolo e magari valutare la necessità di un’integrazione alla dieta con integratori specifici per il mio sport».

Come si relaziona la scelta di studiare Biologia con lo sport che pratichi?

«Studiare Scienze della nutrizione e praticare atletica sono in simbiosi: amo ogni aspetto dell’atletica e l’idea di poterla continuare a vivere in qualità di nutrizionista riempie di energia e positività per il futuro. “Scegli il lavoro che ami e non lavorerai mai, neanche per un giorno in tutta la tua vita” diceva Confucio; impegnandomi in pista e dedicando tempo allo studio spero un giorno di riuscire a unire i miei due mondi, l’atletica e il benessere alimentare».

L’atletica come ti ha aiutato negli studi?

L’atletica mi ha aiutato e sostenuto nel mio percorso da studentessa, dalle medie fino alle superiori e all’università.

Come sport, è molto formante a livello fisico e mentale. Gli insegnamenti più importanti sono la capacità di organizzarsi, gestire saggiamente il tempo a disposizione, infine, saper gestire lo stress prima di una prova importante, che siano i blocchi di partenza o l’aula di un esame. Mentre il mio percorso di studi mi aiuta a essere un’atleta sempre più meticolosa, spero, in un futuro, di poter condividere il mio

SCIENZE E TECNOLOGIE

aiuto e la mia esperienza con gli atleti nell’ambito della nutrizione, aiutandoli a ottenere il massimo dal proprio corpo».

Chi o cosa credi abbia avuto un maggiore impatto nella tua carriera sportiva?

«Il supporto dei miei genitori è stato fondamentale. Non hanno mai influito sulla mia scelta per l’atletica, anche se praticavano sport differenti, e per questo gli sono davvero grata. Mi hanno sempre sostenuta e non mi hanno mai posto troppe aspettative sulle spalle; si sono sempre mostrati fieri di ogni risultato, anche se piccolo.

Questo mi ha concesso di vivere la mia vita sportiva con serenità».

«Posso anche contare sulle mie sorelle gemelle Alexandra e Serena (che praticano il suo stesso sport n.d.r.) con cui sento di condividere tutto: davvero pochi nel mondo possono sperimentare una cosa del genere, trovo fantastico avere due sorelle gemelle, due migliori amiche, con cui posso condividere tutto, questo mi ha spronato e permesso di superare momenti difficili».

«Una menzione d’onore la dedico assolutamente al mio allenatore, Vittorio Ramaglia che ci ha viste per la prima volta a una gara della scuola e ci ha proposto subito di provare atletica, probabilmente aveva visto in noi del potenziale. Sicuramente aveva notato la determinazione poiché, inizialmente, le qualità atletiche lasciavano a desiderare. Alla fine, siamo riuscite a costruire davvero una bella squadra: io, le mie sorelle e Vittorio. Ha creduto sempre in noi, ci è stato sempre vicino per gli allenamenti, spronarci e ascoltarci, ha davvero determinato tutto il mio percorso. Tantissimi ragazzi, ad esempio, non trovano la motivazione anche per via di un allenatore che non sa comprenderli o magari guarda di più al risultato, e questo fa davvero la differenza, fortunatamente, non ci sono molti allenatori così. Vittorio, nonostante sia allenatore da tantissimi anni è in continuo aggiornamento, studia sempre nuove tecniche, nuovi metodi per aiutarci a migliorare e proteggerci dagli infortuni. Lo voglio ringraziare sia come allenatore, che come persona».

«Man mano che il livello della mia carriera è cresciuto sono entrate in scena altre figure in mio supporto: sento di dover ringraziare la mia psicologa sportiva Stefania Ortensi che mi ha davvero aiutato negli ultimi anni. Quando ho iniziato a ottenere i primi risultati ho avvertito la necessità di imparare e gestire le emozioni pregara e durante gli allenamenti per essere più performante, questo è stato fondamentale».

Cosa vorresti dire ad un ragazzo o una ragazza che si avvicina allo sport per la prima volta?

«Lo sport è davvero qualcosa che ti cambia la vita: che sia di squadra o individuale. L’attività fisica è la valvola di sfogo che tutti i ragazzi dovrebbero usare a partire dalle scuole elementari, per poi scegliere se portarlo avanti a livello agonistico, imparando così a gestirlo come un impegno e non solo più come un gioco. Si deve sentire lo sport come parte integrante della vita: ti insegna a non arrenderti e a rialzarti, ad affrontare situazioni stressanti, a conoscere e apprezzare i propri limiti e punti di forza. non sottovalutate la saggezza degli antichi: “mens sana in corpore sano”!». di Claudio Leuci

s 13

SCIENZE E TECNOLOGIE

Virginia, studentessa di Scienze e Tecnologie, rappresenta la perfetta sintesi di passione per lo sport e amore dello studio.

Tutto nasce ai World Athletics Relays di Yokohama.

«Un’avventura che porterò sempre nel cuore è stato il mondiale di staffetta a Yokohama del 2019 al quale ho partecipato con la nazionale italiana per le staffette 4x400 femminile e 4x400 mista».

Chi non vorrebbe vivere un’avventura del genere? Per uno sportivo competere con quelli che erano i propri idoli è qualcosa di inspiegabile, il sogno di una vita.

«La chiamo Avventura perché è stata la prima volta nell’atletica dei grandi, quella che ho sempre visto da dietro uno schermo, quella per cui, prima, era solo ammirazione per quegli atleti perfetti nella corsa e così irraggiungibili, poi è diventato un sogno e ora è diventato un obiettivo. Ritrovarmi lì è stata la svolta che mi ha fatto capire quello che cercavo davvero da questo sport e da me stessa. È stata un’emozione incredibile, qualche anno fa non avrei mai pensato di poter arrivare a questo livello anche se lo desideravo con tutto il cuore e ora, invece, so di poterlo fare e l’ho fatto».

s 14

«È stata un’esperienza molto particolare perché è stata la prima volta in cui sono andata davvero lontano da casa, in Giappone a Yokohama. Non ho mai viaggiato tanto se non per le competizioni internazionali ma fino ad allora era stato tutto circoscritto all’Europa (Svezia, Polonia Francia), non molto lontano. Andare dall’altra parte del mondo è stata una nuova esperienza: dalle dodici ore di volo in aereo fino a immergermi totalmente in un’altra cultura è stato magnifico. È stato come

cambiare pianeta. Per chi non è mai stato così lontano da casa all’inizio può sembrare strano, può fare un pochino di paura, infatti, pensavo avrei sentito tantissima nostalgia e che avrei avuto un po’ paura di trovarmi così lontano. Invece è stata un’esperienza magnifica potermi confrontare con un mondo così diverso».

Un mondo diverso anche per quanto riguarda la cultura sportiva, in Giappone, l’atleta, è un eroe «Mi ha stupito tantissimo la cultura sportiva giapponese: quando con la nazionale andavamo ad allenarci, sia nel campo dell’università, sia nel campo vicino allo stadio in cui si sono tenute le competizioni, mi sono resa conto di come le persone fossero interessate anche solo per venire a guardare i nostri allenamenti, come fossero entusiasti nel vederci o nel potersi anche solo avvicinare. Folle di bambini esagitati che urlavano in giapponese perché volevano gli autografi degli atleti, firme che non avrebbero nemmeno mai compreso, eppure tutti lì perennemente entusiasti accerchiavano ogni atleta a cui potevano avvicinarsi. È stato bellissimo vedere bambini tanto piccoli quanto appassionati e contenti di avvicinarsi a questo sport. Durante le competizioni lo stadio era gremito, cosa che Italia difficilmente si vede, se non per le partite di calcio. Alle Universiadi di Napoli del 2019 purtroppo, seppur con biglietti a prezzo molto ridotto, non si è mai arrivati a più di un centinaio di persone al giorno in tutto il San Paolo. Era davvero desolante vedere lo stadio vuoto in una competizione così importante. In

SCIENZE E TECNOLOGIE

Giappone lo stadio da 20.000 posti ogni giorno era completamente esaurito ed era assolutamente inebriante vedere tutta la folla tifare gli atleti di ogni Paese».

Ma poi, arrivò una notizia inaspettata…

«In quell’occasione ho corso la finale della 4x400 mista, una nuova tipologia di staffetta creata nel 2019 solo per le competizioni di livello mondiale con due ragazzi e due ragazze disposti a scelta della Federazione. È stato davvero una sorpresa: non mi aspettavo di correre in quell’occasione perché, stavo bene, ma nel test fatto prima della partenza non avevo brillato».

«La finale della staffetta 4x400 era l’ultimo giorno e io, fino a circa quattro ore prima della gara, non sapevo di dover correre: ero lì, in mezzo ad atleti di caratura mondiale quando, all’improvviso, mi hanno comunicato che la sera avrei dovuto correre. È usanza della squadra comunicare la formazione della staffetta all’ultimo in modo che tutti i convocati si tengano pronti e non si rilassino. La finale della staffetta era circa alle cinque o alle sei di pomeriggio. Proprio per questo motivo, dopo pranzo, è stata organizzata la riunione per definire i nomi di chi avrebbe corso la staffetta, l’ultimo nome è stato Troiani e, in quel momento, ho avuto un attimo di blackout; mi sono chiesta, tra me e me, la conferma che il mio cognome fosse Troiani perché non me l’aspettavo in nessun modo. Sentire il mio cognome è stato quasi uno shock, naturalmente positivo. Ho avuto una mezz’ora di palpitazioni, ho chiamato le mie sorelle, la mia famiglia, il mio allenatore, chiunque per dirgli che avrei corso la finale di un mondiale».

«Alla sera mi sono ritrovata a scaldarmi con atleti che fino a quel momento avevo visto solo in televisione e invece ora mi ritrovavo a correrci fianco a fianco, in uno stadio pieno di gente che acclamava e tifava. È stata una sensazione bellissima e inspiegabile».

«Purtroppo, non è stata la mia miglior performance atletica per diversi fattori

(clima leggermente freddo dovuto all’inizio di stagione), ma, nonostante questo, aver corso in quella occasione è stata un’emozione che conserverò sempre nel cuore, una grandissima soddisfazione. Alla fine con la staffetta siamo arrivati quarti: un quarto posto al mondo, e chi se lo aspettava?!». È stato un quarto posto che ha cambiato la vita di Virginia e il suo modo di vedere e realizzare i propri sogni «Questo mi ha fatto davvero capire che quando un sogno diventa un obiettivo, quando ci metti tutti i giorni passione e sudore per raggiungerlo, per quanto possa sembrare inarrivabile, per quanto possa essere sorprendente, lo puoi raggiungere».

«Arrivarci facendosi trovare pronti e mettendoci il 100% di te stessa ti darà la soddisfazione più grande del mondo. Anche se non sarà la tua miglior performance, anche se non sarai soddisfatto del tutto sarà un’emozione che ricorderai sempre con tanto orgoglio e affetto. È stata la prima volta nella vera atletica, sapendolo soltanto poche ore prima della gara. La sorpresa ha svoltato la mia vita, una sorpresa inaspettata che mi porterò sempre nel cuore e nella mente come un ricordo e un traguardo bellissimo». di Claudio Leuci

s 15

STUDI UMANISTICI

Abbiamo intervistato Alexandra Troiani, studentessa di Scienze storiche, approfondendo il suo rapporto con lo studio, lo sport e i motivi che l’hanno convinta a diventare una figura di riferimento per la sua facoltà.

C

om’è nata la passione per la Storia e l’intenzione di studiarla in università?

«Storia mi è sempre piaciuta, ma solo al liceo ho iniziato a studiarla con vero interesse e, grazie agli stimoli di una bravissima professoressa, si è trasformata in una grande passione.

I libri di scuola e di Ken Follett mi hanno spinta a ragionare attivamente sui processi storici e andare oltre la semplice memorizzazione di date.

Quindi, ho iniziato vedere la Storia come uno strumento conoscitivo e non una banale materia scolastica.

I dubbi ci sono sempre stati, alcune persone mi hanno consigliato percorsi più sicuri e io le ho ascoltate, ma dopo neanche un anno a Lingue e letterature straniere ho capito che dovevo tornare a studiare Storia. Oggi sono quasi alla fine del mio percorso universitario e sono soddisfatta di aver seguito la mia volontà e non quella di qualcun altro».

Fare sport ad alto livello sta avendo un’influenza positiva sul tuo percorso di studio o è solo un ostacolo?

s 16

«Molto positiva, sono una persona abbastanza insicura e ansiosa e avevo paura che le mie fragilità potessero rovinare la mia esperienza universitaria, invece lo sport mi ha insegnato a essere sicura e conscia

delle mie potenzialità, mi ha permesso di costruire un metodo per lavorare al meglio e ottimizzare i tempi della mia giornata. Avere la testa focalizzata anche sullo sport, paradossalmente, mi permette di valorizzare il tempo passato sui libri. Impegnarmi su più fronti mi spinge a non distrarmi un attimo e a dare il massimo in ogni attività che svolgo. Devo ammettere che non è sempre facile, l’università vede ancora troppo spesso lo sport come un passatempo e non permette a noi atleti di gestire tutti i nostri impegni in modo agevole, ma sono fortunata perché ho trovato nel CUS Statale un’organizzazione che mi ha sempre aiutata e permesso di vivere da atleta e studentessa allo stesso tempo».

Per quale motivo hai deciso di diventare Sport Ambassador per Studi Umanistici?

«Per me è importante trasmettere il messaggio che avere delle passioni - oltre lo studio - è essenziale!

L’università certo è fondamentale, ma anche tutto il resto non deve essere trascurato e lasciato in disparte. Io non vivo lo sport come un lavoro o un dovere, per me è solo divertimento puro. Ho deciso di diventare Sport Ambassador proprio perché credo di essere l’esempio che sport e studio

STUDI UMANISTICI possono convivere, che si possono ottenere grandi soddisfazioni in entrambi i campi con il necessario impegno e la giusta consapevolezza nei propri mezzi».

Come Sport Ambassador è stimolante rappresentare la tua facoltà in Italia e all’estero durante le competizioni?

«Moltissimo, indossare la maglia della mia facoltà mentre corro è una sensazione unica e continuerò a farlo finché non finirà il mio percorso.

Sono molto fiera di rappresentare Studi Umanistici perché voglio sfatare il mito che ci vede solo come topi da biblioteca, anche chi studia materie più astratte e lontane dall’attività fisica può arrivare a competere ad alto livello. Una cosa non esclude assolutamente l’altra e sono felice di definirmi una sportiva che ama allenarsi tutti i giorni e una studentessa che ama stare ore sui libri. Rappresentare tutti i miei compagni è gratificante perché la

mia facoltà nel corso degli anni mi ha dato tanto, ora cerco con tutte le mie forze di ripagarla ed essere un esempio che trasmette positività.

Essere Sport Ambassador significa avere più responsabilità e questo mi stimola ancora di più ad impegnarmi al massimo».

Obiettivi universitari e sportivi futuri?

«Per quanto riguarda il lato dello studio l’obiettivo principale è finire entro un anno la magistrale e poi passare tutti gli esami necessari per poter accedere all’insegnamento, invece dal lato sportivo vengo da anni costellati di infortuni, quindi, innanzitutto, voglio divertirmi il più possibile e godermi una stagione agonistica serena e positiva. Per ora non voglio pormi obiettivi, voglio solo tornare a correre e fare esperienze memorabili con i miei compagni di viaggio». di Federico Metri

s 17

STUDI UMANISTICI

Alexandra Troiani, Sport Ambassador di Studi Umanistici, ci rivela le difficoltà e le soddisfazioni della strada che l’ha portata dal record personale al terzo posto ai Campionati italiani e al titolo universitario.

«Il 4 giugno 2016 la mia vita sportiva è cambiata».

Un giorno qualunque di una torrida e desertica estate milanese può cambiare una persona? Per scoprirlo, riavvolgiamo la pellicola, lo schermo è in bianco e nero immergendo noi spettatori nel passato, a quando non sembrava esserci una via d’uscita a una situazione logorante e distruttiva.

s 18

«Il 2015 è stato l’anno in cui ho toccato il fondo. La maturità e l’ansia che sentivo non mi hanno permesso di concentrarmi sull’atletica. Ero demoralizzata e quando non sono riuscita a qualificarmi per gli europei junior ho pensato di smettere, di mollare tutto quello ciò che avevo

costruito. Non trovavo più stimoli, iniziai a provare il terrore di correre e di allenarmi, non riconoscevo più me stessa».

L’unico via per uscirne è chiedere aiuto, anche se, tendere la mano in cerca di un’altra, è il gesto più difficile da compiere. Chiedere consiglio non significa essere deboli o che si hanno problemi irrisolvibili, significa solo ammettere a sé stessi di essere in difficoltà dimostrando saggezza.

«Ho chiesto così l’appoggio di una psicologa sportiva. Sentivo la necessità di ordinare le mie idee, le mie priorità e soprattutto un modo per conciliare l’inizio degli studi universitari insieme alla passione per lo sport. Il percorso

L’arena di Milano non pare trovarsi sul pianeta Terra, ma su un Marte abitato da fastidiosi minuscoli insetti, non il clima ideale per disputare i regionali assoluti.

«Non trovavo la volontà di gareggiare.

La settimana prima avevo perso l’opportunità di andare in nazionale, convocarono mia sorella e io ero infuriata con me stessa. I 400 metri stavano diventando il mio incubo».

I campionati nazionali incombevano, presentarsi all’evento più importante dell’anno con un risultato negativo era sinonimo di non essere all’altezza, piazzarsi con un buon risultato significava dimostrare di meritare la convocazione. Era, tuttavia, il momento sbagliato.

«Avevo paura, passai l’intero riscaldamento a lamentarmi, ero stanca, non sopportavo il caldo e le zanzare erano onnipresenti. Mi preparai malissimo, l’ansia mi logorava e dovetti fare esercizi di respirazione per smettere di tremare. Il mio personale era 55.03, ma da un anno faticavo a scendere sotto il 56. In quel momento credevo in tutto tranne che in me stessa, anche se il mio allenatore e le mie compagne continuavano a incitarmi dagli spalti». È il momento, il giudice chiama le atlete, spunta i loro nomi e le accompagna ai blocchi di partenza. Alexandra è in quarta corsia, perfettamente al centro, internamente ha la sorella Serena, esternamente due ragazze esperte che, come personale, hanno 54 alto.

Trema come una foglia appena nata, Alexandra non è padrona del proprio corpo. Lo sparo assolve il tempo delle attese.

STUDI UMANISTICI

che ho iniziato con lei, nel 2016, mi ha portato a quel giorno che mi ha cambiato per sempre».

«Sono partita e ho sconnesso il cervello, ho smesso di preoccuparmi, di pensare al dopo, al prima, ero concentrata solo sul presente. Fino a metà gara controllo le mie avversarie e mi rendo conto di essere partita troppo lenta, ma sento di poter spingere.

Preparo bene la curva e riesco ad uscire forte per dare tutto sull’ultimo rettilineo, sono ancora in corsa. Vedo il traguardo, lo taglio e leggo 54.95».

La gara di quel lontano 4 giugno è una di quelle gare in cui non importa il risultato, non importa se abbia vinto o no, è importante quello che è avvenuto dopo, il terzo posto agli italiani, il titolo universitario e la consapevolezza di essere un’atleta di un livello superiore. Il miglioramento del personale è minimo, meno di dieci centesimi, ma vedere quel maestoso “54” ha cambiato tutto.

«Per me è stato qualcosa di indescrivibile, un risultato che inseguivo da molto e che quasi avevo rinunciato a rincorrere. Vedere quei numeri è stata una liberazione, ho sentito il corpo spezzare le catene in cui ero costretta da troppo tempo. Ho guardato il mio allenatore e anche lui sorrideva, aveva capito che quel risultato era troppo importante e che mi avrebbe permesso di tornare a godermi lo sport che amo.

Quella gara è stata la chiave di volta della mia carriera atletica, uno dei momenti più strani e gratificanti della mia vita. Tutti i successi arrivati dopo mi riportano alla mente l’attimo in cui ho esplorato e compreso le mie reali potenzialità».

«Affrontare la paura è fondamentale, io sono stata spinta a farlo, da sola non mi sentivo in grado di superare quel muro che mi sembrava invalicabile, ma, grazie all’aiuto del mio allenatore e della mia psicologa, sono riuscita a scavalcarlo e a diventare una persona diversa».

s

di Federico Metri 19

GIURISPRUDENZA

Ostacolista di carattere internazionale, Linda Guizzetti è l’Ambassador della Facoltà di Giurisprudenza, divisa tra l’amore per l’Atletica Leggera ed il sogno dell’aula di un Tribunale.

S

pesso si dice che l’università sia una corsa ad ostacoli, con i suoi esami e i suoi imprevisti. Se dovesse essere così, Linda Guizzetti non avrebbe alcun problema. Primatista italiana assoluta nei 60 ostacoli, Linda è una studentessa della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Milano, della quale è stata scelta, per ovvi motivi, come Ambassador dal CUS Statale. Bresciana DOC, ha iniziato con l’Atletica Leggera ad appena 6 anni e dal 2019 corre con i colori del CUS Pro Patria Milano.

Ciao Linda! L’Atletica leggera è una costante della tua vita da ormai 16 anni. Hai mai fatto qualche altro sport o è il tuo unico grande amore?

«Ciao! Prima di cominciare con l’Atletica ho fatto sia danza che nuoto. Avevo dei problemi alla schiena e i miei genitori volevano la rinforzassi, che avessi una postura corretta. Dato che volevo assolutamente provare l’Atletica, dopo non poche insistenze, mi hanno portato al campo. Da lì è stato un colpo di fulmine, mi sono innamorata della libertà della corsa, di non avere limiti».

Il senso di libertà immagino non sia l’unica cosa che ti abbia donato l’Atletica.

s 20

«Assolutamente, all’Atletica devo molto, soprattutto per quanto riguarda lo studio. L’organizzazione e il senso del dovere, per esempio. Quando andavo a scuola sapevo che avrei dovuto prima studiare, fare i compiti e poi andare all’allenamento. Anche se passavo meno tempo sui libri rispetto ai miei compagni di classe,

sfruttavo al massimo le mie ore di studio. Con l’università il discorso non è cambiato molto, basti pensare alla programmazione degli esami.

Ma oltre all’organizzazione, l’Atletica è stata d’aiuto anche per lo studio in senso stretto. Capita spesso che, dopo essermi allenata, nonostante la stanchezza riesca ad essere molto più concentrata e a studiare meglio.

Per me l’attività fisica è un’importante valvola di sfogo».

«In generale, nella vita, oltre che in campo accademico, lo sport mi ha insegnato il valore del sacrificio, l’essere determinata nel superare le difficoltà che ci si pongono davanti per raggiungere i propri obbiettivi. Penso che le soddisfazioni sportive, figlie di grande abnegazione, siano impagabili, senza la mia vita sarebbe diversa».

Personalmente ho sempre praticato sport di squadra quindi, ogni successo, ma anche ogni delusione, veniva condivisa e in un certo senso anestetizzata. Da atleta di uno sport pressoché individuale, quanto sono diverse le sensazioni che si provano?

«Sono un’ostacolista, quindi la maggior parte delle volte gareggio da sola ma mi è capitato di fare qualche staffetta ed è sicuramente molto bello correre in squadra. Tuttavia, l’Atletica è uno sport individuale e i risultati che si raggiungono sono il frutto di tutti i sacrifici, del lavoro e del sudore che si realizzano in pista».

«Ovviamente il merito è anche dell’allenatore e del gruppo di allenamento, ma è naturale che

GIURISPRUDENZA

l’emozione sia molto più personale».

Sei l’Ambassador di Giurisprudenza, facoltà che ha la triste abitudine di piazzarsi come fanalino di coda in ogni edizione dei Campionati Di Facoltà. Credi che l’immagine dello studente di Legge come non-sportivo sia solo un cliché oppure ci sia un fondo di verità?

«Personalmente ho sempre avuto queste due passioni, da una parte l’Atletica, dall’altra lo studio del Diritto, tant’è che il mio sogno è sempre stato quello di diventare, un giorno, magistrato. Due strade che, però, sono andate avanti insieme parallelamente, senza incontrarsi mai. Molto probabilmente il punto è proprio questo, ciò che studiamo non ha nessuna connessione diretta con lo sport, come invece accade, per esempio con i corsi di Scienze Motorie e Medicina. Ovviamente questo varia di persona in persona, conosco tanti compagni di corso, anche molto studiosi, che non sono legati a passatempi sedentari».

L’Italia non è esattamente tra i Paesi in cui lo sport universitario e la figura dello studente-atleta vengano valorizzati al meglio. Qual è la tua esperienza a riguardo e cosa pensi si possa fare per migliorare la situazione?

«Personalmente parlando posso dire che, almeno per quanto riguarda Giurisprudenza, non ci sia un grande interesse e apertura da parte dei professori nei confronti dello sport e degli sportivi che studiano, purtroppo.

Questo nonostante, nel mio caso, si sia interessata anche la Professoressa Boschiero (Preside uscente della Facoltà di Giurisprudenza, n.d.a.), che ha mandato una e-mail a tutti i professori della Facoltà raccontando la mia storia. Una possibile soluzione potrebbe essere, innanzitutto, quella di far conoscere il nostro mondo e la nostra situazione. Nello

specifico, poi, incentivare il dialogo tra professori universitari e studentiatleti, implementare la “Dual Career” e fornire un servizio di tutoraggio che permetta di riuscire a frequentare nel miglior modo possibile nonostante gli impegni sportivi».

Due grandi passioni all’apparenza così lontane ma accomunate dal grande sacrificio che richiedono per eccellere. Un grande sacrificio che potrebbe essere agevolato da progetti ad hoc come quello della “Dual Career”, che aiuterebbe gli studentiatleti a proseguire la carriera sportiva senza sacrificare lo studio. CUS Statale augura a Linda di diventare portabandiera di questo pioneristico progetto e la ringraziamo per la sua immensa disponibilità! di Tommaso Ricci

s 21

GIURISPRUDENZA

Linda Guizzetti, studentessa e Ambassador di Giurisprudenza, ci ha mostrato cosa vuol dire “rialzarsi” e non smettere mai di credere Si sente spesso parlare di storie di cadute e rivalse, “tuffi” figurati nella maggior parte dei casi. Ma la caduta in questa storia è vera, e fa male, Linda Guizzetti, fidatevi, lo sa bene. Ma, al contempo, la rivalsa è memorabile.

«Era il 2017, un anno incredibilmente impegnativo. Frequentavo la quinta liceo, avevo l’esame della patente, Donald Trump era diventato Presidente degli Stati Uniti. No, ok, questo non c’entra. Sta di fatto che, al netto della fatica, il 2017 è stato anche l’anno della svolta. Sono cominciati ad arrivare i primi risultati importanti e stavo migliorando in maniera esponenziale.

La ciliegina sulla torta è arrivata il 10 giugno, ai Campionati Italiani Under 20 a Firenze, dove ho conquistato il bronzo nei 100m ostacoli e con 14.03 ho raggiunto il minimo per partecipare agli Europei Under 20 a Grosseto in programma a luglio. Un sogno!»

Hai capito che anno! Menomale che era stato pesante, se Linda non avesse avuto pensieri che avrebbe fatto, vinto le Olimpiadi con tre anni d’anticipo?

Pensare che il mio highlight quell’anno fu una vacanza a Gallipoli.

s 22

«Una volta archiviata la maturità ero pronta ad allenarmi senza più pensieri se non quello dell’Europeo.

Ma la fortuna avrà avuto un giorno di ferie proprio nel momento sbagliato.

Mi stavo allenando, avevo appena finito una prova ad ostacoli e stavo continuando a correre per decelerare quando un tacchetto si è incastrato nel terreno. Nella caduta il “morbidissimo” tartan non ha avuto pietà di me: mi sono scorticata tutta, ero ricoperta di graffi e lividi e, cosa peggiore di tutte, sono caduta sulla mano destra che si è storta completamente».

La mano destra come? Così all’improvviso non me l’aspettavo, dovevo mettere un avviso ai lettori… dicevi Linda?

«Il dolore era abnorme, ma non potevo certo lasciare l’allenamento a metà.

Una volta finita la sessione, tuttavia, la situazione non migliora. Dopo che, tornata a casa, mia madre mi ha visto in quello stato, è impallidita. Il conseguente bagno di disinfettante mi ha ricordato i tempi in cui andavo al mare con le ginocchia sbucciate, solo che qui, il bruciore si sentiva su tutto il corpo. La mattina dopo il dolore si sveglia con me, decidiamo di andare al Pronto Soccorso. Verdetto delle lastre: frattura scomposta del quinto metatarso».

Ok, forse prima, quando ho parlato dell’anno incredibile, ho portato un po’ sfiga. Ma chi se lo aspettava?

«I medici mi hanno fatto subito

GIURISPRUDENZA

l’anestesia per ricomporre la frattura, in modo da evitare l’operazione. Ma allo stesso tempo hanno detto quello che non avrei mai voluto sentire: “Devi stare in assoluto riposo, niente Europei”. Sono andata nel panico, era la mia prima esperienza con la Nazionale. Era il mio primo Europeo.

Un’occasione che non poteva sfuggirmi così. Una volta a casa ero disperata, non accettavo la realtà, volevo trovare a tutti i costi una soluzione, un modo per non buttare tutto all’aria. In quel momento è arrivato in aiuto il mio allenatore».

Eccolo, l’uomo più atteso che salva la situazione in zona Cesarini. Mi stavo onestamente preoccupando ma ero sicuro che non potesse finire così. Aspetta, no, non voglio portare ancora sfortuna, mi correggo, può finire in ogni modo, non so il finale, sono solo una voce fuori campo che non sa nulla.

«Mi ha indirizzato verso un chirurgo specializzato nelle mani, molto quotato, tanto da aver avuto come pazienti famosi pugili e piloti. Anche la visita, però, non è stata una storia semplice. All’epoca abitavo a Brescia e la visita era la mattina presto a Milano, quindi la sveglia non poteva che essere alle 5. Una volta finita ho dovuto aspettare in giro per la città con la mia mano dolorante i risultati dei vari accertamenti ma nel pomeriggio è accaduta la magia.

Ritornata nello studio mi sono trovata davanti ad un tutore progettato per correre e modellato sulla forma della mia mano sui blocchi di partenza.

Ero salva. Potevo allenarmi. Potevo andare agli Europei».

Ma “All’s well that ends well”

«La settimana successiva ero già al raduno pre-Europei, ad allenarmi con il mio tutore su misura. La parte divertente è che poi, all’Europeo vero e proprio, non ho potuto gareggiare indossandolo dato che il regolamento non lo permette, quindi mi sono dovuta arrangiare legando le due dita. Ma se non fosse stato per lui non avrei mai potuto allenarmi e avrei perso totalmente la speranza».

«Nonostante tutte le difficoltà e le paure, sono riuscita a coronare il mio sogno e provare l’onore di indossare la maglia azzurra per la prima volta nella vita. Questa storia è la dimostrazione che non importa quante volte si cade, in questo caso letteralmente, ma rialzarsi sempre.

Senza mollare mai». di Tommaso Ricci

s 23

MEDICINA E CHIRURGIA

Tra acrobazie e volteggi Silvia De Donato è anche studentessa di Medicina in inglese all’Università degli Studi di Milano, Sport Ambassador per il CUS Statale e insegnante di acrobatica aerea.

Ciao Silvia. Oltre ad essere un’atleta, sei anche un’istruttrice di acrobatica aerea. Come riesci a coniugare il tuo impegno lavorativo con lo studio?

s 24

«Lavoro sin dalle scuole Superiori e ho imparato negli anni a gestire i diversi momenti della mia giornata. Di solito su un calendario segno tutto ciò che ho da fare e, nei buchi di tempo, trovo anche il tempo per studiare. Mi piace avere l’opportunità di organizzarmi e capire in che modo posso investire

le mie ore. Tutto questo non mi pesa: stare a contatto, grazie al mio lavoro, con grandi e piccini mi offre tante soddisfazioni. Sono anche convinta del fatto che, anche se il tempo a disposizione per lo studio sia poco, questo mi sprona a fare sempre meglio. In fondo, basta trovare il giusto equilibrio».

Chi ti ha trasmesso questo amore per lo sport?

MEDICINA E CHIRURGIA

«Devo ringraziare molto mio padre: un uomo molto sportivo, da sempre, che mi ha supportato e spinto a fare sport.

Anche se la ginnastica e l’acrobatica aerea gli fanno un po’ paura. Voglio riservare un pensiero anche alla mia prima società di ginnastica, dove sono cresciuta, dove ho mosso i primi passi in questo mondo: un ambiente fantastico, familiare, la sento come una mia seconda casa».

Ci sono delle esibizioni che ti sono rimaste più impresse, che ricordi con più piacere?

«In generale, ogni momento in cui faccio ginnastica o volteggio tra i drappi è speciale per me. In particolare, ricordo una manifestazione in cui io e le mie colleghe di lavoro in cui abbiamo dimostrato tutta la nostra arte con salti e acrobazie, in Corso Buenos Aires. L’episodio, invece, più divertente è quello in cui mi sono esibita in un matrimonio. Un bel momento che mi torna spesso in mente perché è stato un po’ come ritrovare un certo spirito di agonismo, quando, invece, l’acrobatica aerea è più un’arte espressiva. È stato emozionante contribuire alla felicità di una coppia nel loro giorno più importante, facendo ciò che mi piace e condividendo la mia passione».

Che significato ha per te essere Sport Ambassador di Medicina e Chirurgia?

«Sono molto felice di essere Sport Ambassador, soprattutto perché mi dà l’opportunità di far scoprire questo sport di nicchia, come quelli che pratico, ad altre persone. Sono orgogliosa di rappresentare la mia facoltà e i miei compagni. Con questo ruolo così prestigioso spero di trasmettere passione per lo sport

e far capire la sua importanza a tutti gli studenti di Medicina della Statale. Voglio dimostrare che non è impossibile praticare sport anche nel nostro ambiente universitario.

Certo, una facoltà come Medicina richiede tempo, impegno e testa, tuttavia, lo sport forma le persone ed è fondamentale per la nostra salute».

Una ragazza che ha dedicato, e che dedicherà ancora per tanto tempo, la sua vita per lo sport: il suo impegno, la sua dedizione, la sua passione sono un messaggio stupendo per tutta la comunità universitaria. Ringraziamo Silvia per il suo impegno come esempio sportivo per gli studenti e le auguriamo il meglio per i suoi studi. di Francesco Martignano

s 25

MEDICINA E CHIRURGIA

Silvia De Donato, studentessa di Medicina e Chirurgia al polo internazionale, ci ha mostrato quanta motivazione lo sport possa donare per tornare a sorridere.

«Ho visto la luce in fondo al tunnel uscita da quella sala operatoria.

Avevo così tanta voglia di tornare ad allenarmi che respiravo già l’aria della palestra: ero contenta, felice, euforica, impaziente di tornare a fare quello che mi faceva stare bene: sport».

In principio era… «…il saggio di fine anno, l’ultima esibizione prima di un po’ di relax, soprattutto in vista dell’inizio della sessione. Ammetto di non aver dato il meglio, forse la mia distrazione dipendeva dalla preparazione degli esami, “come gremlin irlandesi, esseri invisibili che mi aspettano al varco, pronti a nutrirsi delle mie ansie e angosce”, o, più semplicemente, ero stanca. Dopo un avvitamento dietro, mentre il mio corpo era ancora convinto di roteare, i piedi rimangono fermi, piantati, la tibia e il perone mi salutano. Insomma, il crociato era rotto».

Sicuramente non sarà stato il miglior modo di chiudere l’anno, ma la forza di combattere e di rialzarsi di certo non mancano.

s 26

«Per me è stato un vero trauma, anche perché era il mio primo vero infortunio

e non sapevo davvero cosa fare, mi sentivo persa, vuota. “Devo rimanere ferma? Io che sin da piccola non faccio altro che muovermi, danzare, volteggiare. Non posso non allenarmi, con chi o cosa mi posso sfogare ora?”.

Ma il destino gioca brutti scherzi, e, quella volta, con me è stato beffardo.

Non riuscivo a capire come andare avanti, mi mancava il mio sport, il mio lavoro, la mia vita».

Qual è quella forza che ci permette di riprendere un cammino che si è interrotto? Cosa si fa per riprendere la marcia? «È stata la fisioterapia a farmi riprendere il sorriso, riuscivo finalmente a sfogare tutte le preoccupazioni di quei giorni così pesanti. È stata di grande aiuto anche la curiosità. La curiosità di apprendere e conoscere un mondo che fino a quel momento non sentivo particolarmente mio. Dopo il percorso riabilitativo ho approfondito di più quel che si nasconde dietro al mondo dei tessuti aerei. Scoprire maggiormente ciò che amo mi ha teso una mano dalla cima del dirupo».

Reinventarsi e non arrendersi alle difficoltà del momento: bisogna sempre guardare oltre e riuscire ad

MEDICINA E CHIRURGIA adattarsi ai cambiamenti, questo il segreto per superare le tappe della vita.

«Dopo l’intervento, mi sentivo come nuova. Potevo finalmente tornare alla mia routine, fatta di allenamenti, intenso studio, sudore e fatica.

Tutto sembrava essere tornato alla normalità ma, il crociato operato, si rompe ancora dopo solo pochi mesi dall’operazione».

Dopo due infortuni non è facile rialzare la testa, ma, come si dice: “ciò che non ti uccide ti fortifica” «Non mi sono abbattuta come è successo dopo il primo infortunio. Ho imparato a superare i problemi grazie a nuove passioni e hobby che mi hanno stimolato e che mi hanno insegnato

tantissimo. Ora sono anche molto più consapevole su come gestire il mio corpo. Ma soprattutto, sono riuscita a trovare una nuova passione che mi ha travolta e conquistata, quello dell’acrobatica aerea. In questa nuova disciplina sono riuscita a trovare tanta adrenalina e infinita motivazione, emozioni che, forse, non riuscivo più a trovare nella ginnastica. Un nuovo sport mi ha dato la voglia di tornare a imparare, di rimettermi in gioco, di tornare a sorridere».

La magia dello sport è questa, ti dà sempre una seconda opportunità.

Come Silvia, atleta-istruttrice e studentessa universitaria.

Mai rinunciare ai propri sogni perché sono la ragione del nostro cammino. di Francesco Martignano

s 27

SCIENZE DELLA MEDIAZIONE LINGUISTICA E CULTURALE

Prosegue il nostro viaggio alla conoscenza di Sofia Giardina, Sport Ambassador per la facoltà di Mediazione Linguistica e stella della nostra squadra femminile di futsal in Serie C.

C

ome stai passando le tue giornate lontano dai campi da gioco? Pensi che questo possa influire sulla tua condizione fisica in occasione del ritorno alle attività sportive?

s 28

«Sicuramente stare lontano dai campi o dal luogo di gara è l’evento più nefasto che possa capitare a un’atleta. Il campo manca molto, soprattutto per quanto riguarda la condivisione di momenti preziosi con le mie compagne. Ma anche dal punto di vista atletico questa situazione crea problemi: ho cercato, da quando non è più possibile allenarsi sul rettangolo

verde e in compagnia, di farlo a casa senza stravolgere quella che sarebbe stata la routine settimanale degli allenamenti. Devo dire, purtroppo, che la preparazione ottenuta sul campo è totalmente diversa. Tuttavia, sono convinta che non si debba mai mollare e tenere duro focalizzandosi sul momento in cui saremo chiamate a tornare in gioco».

Quali pensi che siano gli esercizi ideali per tenersi allenati senza le partite?

«Penso che sia molto soggettiva,

una questione quindi a puro

Che cosa si prova ad essere Sport Ambassador? È una situazione che crea più stimoli o pressioni?

«Penso che sia stato una grande motivazione per me: la nomina a Sport Ambassador ti dà quella carica per sentirti ancora più sicura di te stessa ed andare oltre i tuoi limiti; ma soprattutto penso che debba rappresentare anche uno stimolo in più per tutte le ragazze a buttarsi ed intraprendere questo sport meraviglioso dando sempre il massimo».

Che cosa ti è piaciuto di più dell’organizzazione della squadra e delle attività sportive in Statale?

«Non ho dubbi: la struttura organizzativa è costruita in modo tale da invogliarti e darti tutte le possibilità per esprimere sempre il meglio di te stessa, siano partite per i Campionati di facoltà, campionato, amichevoli o allenamenti. Penso che un ruolo fondamentale, in questo senso, lo ricopra lo staff tecnico, il quale ci segue sempre con attenzione e fa di tutto per farci sentire importanti, sempre con la filosofia che il divertimento è la cosa più importante».

SCIENZE DELLA MEDIAZIONE LINGUISTICA E CULTURALE

titolo personale dico che l’ideale è sempre tenere allenato tutto il corpo, in particolare con esercizi a corpo libero. Chiaramente l’enfasi va messa sulle gambe e sul fiato, visto lo sport che pratico, quindi una certa regolarità nell’andare a correre è molto importante. Inoltre, non dobbiamo scordarci l’aspetto tecnico, che è preponderante nel futsal, di conseguenza mi alleno molto con la palla tra i piedi per migliorare sensibilità e controllo del pallone».

Cosa pensi ti possa aver tolto questo forzato e prolungato periodo di stop?

«Dal punto di vista sportivo è molto complicato mantenere la stessa costanza, continuità e routine senza allenamenti, anche se ci si sforza al massimo per farlo. Penso che l’aspetto ancora più importante sia quello sociale ed affettivo: mi manca molto vedere le mie compagne, con le quali avevo un rapporto bello non solo sul campo ma soprattutto fuori. Le compagne di squadra sono elementi che fanno bene alla tua salute mentale, avendo di conseguenza ripercussioni anche sulle proprie prestazioni in campo».

Che cosa diresti ad una ragazza appena iscrittasi alla Statale, desiderosa di iscriversi alla squadra ma troppo timida o timorosa di farlo?

«Quella ragazza potrei essere io!

Infatti, io sono sempre stata una ragazza molto timida ed introversa, ma nonostante questo, entrando in squadra ho subito stretto dei forti legami con le mie compagne e lo staff, condividendo ricordi bellissimi che nessun gol ti può dare e questo penso che sia ciò che conta di più nella vita. Quindi, cara ragazza timida ed introversa, se stai leggendo quest’intervista ti dico: se ami fare qualcosa, ed in questo caso particolare ami praticare il tuo sport, non avere paura di buttarti, perché la Statale te lo farà amare ancora di più, aggiungendo all’esperienza di sport un’esperienza di vita che nessuno sarà in grado di darti!». di Lorenzo Rezzonico

s 29

SCIENZE DELLA MEDIAZIONE LINGUISTICA E CULTURALE

s 30

Sofia Giardina, Sport Ambassador di Mediazione Linguistica e stella in ascesa della Prima squadra di futsal della Statale racconta sé stessa tra aneddoti ed episodi emozionanti.

«Mi chiamo Sofia Giardina e sono una studentessa di Mediazione Linguistica in Statale. Da sempre sono una grande appassionata di calcio, in particolare di futsal, sono arrivata a Milano l’anno scorso senza avere molte conoscenze, quindi ho colto l’esperienza nella squadra di calcio a cinque come “trampolino” per ambientarmi e costruirmi una rete di amicizie, affrontando così anche la mia timidezza. Ho avuto poi l’immenso onore di diventare Sport Ambassador della mia facoltà.

Ho pensato fin da subito che mi aspettavano chili di divertimento ma, sicuramente, non così tanto quanto poi ho effettivamente vissuto!»

L’anno scorso, appena entrata nella seconda squadra della Statale, Sofia era stata notata per le sue doti, debuttando così tra le più “grandi” in Serie C. Nonostante l’elevata qualità di una categoria superiore, Sofia si è distinta come una delle migliori tra le valchirie stataline: raffinata qualità tecnica, dedizione e costanza maniacale (in senso positivo) in allenamento, sempre disponibile nei confronti degli allenatori, tutto questo fa di Sofia un’atleta, e una studentessa, modello. Quando sospinta a ricordare un episodio particolare della sua carriera universitaria, rivela timori interiori e così, anche il suo lato umano.

«La mia prima esperienza in assoluto nel mondo del futsal è stata proprio all’Università degli Studi di Milano e,

da subito, si è rivelata un’esperienza fantastica. Oltre a liberarmi la mente, mi accompagna nella vita quotidiana perché ormai posso definire le mie compagne di squadra come una “famiglia”. Questo mi porta ad avere dolci ricordi della prima partita del campionato nazionale Under 19 contro Aosta, ormai più un anno fa».

In questo momento incomincia il viaggio interiore di Sofia per andare a recuperare quei sentimenti che solo lo sport può darti, riuscendo a porti davanti a sfide che ti spingono a superare i tuoi limiti, proprio come è successo alla nostra atleta.

«Mi ricordo, prima della partita, di aver avuto una paura terribile di sbagliare o di non essere utile alla mia squadra, paure dovute anche dal mio alto livello di autocritica. Il tutto era condito dal fatto che, solo qualche giorno prima, in allenamento, per colpa di una brutta caduta, mi ero fatta male al polso.

Ma indovinate un po’? Pochi minuti dopo il calcio d’inizio, cado sul polso infortunato! Il dolore era opprimente, tuttavia, l’incitamento delle mie compagne mi ha donato la forza di rialzarmi e riprendere a giocare. La partita era dura, l’avversario ostico, ma da quella caduta in avanti mi ricordo di aver raccolto una forza interiore molto potente, che riconoscevo sui visi delle mie compagne che lottavano su ogni pallone. Più giocavo e più la paura di sbagliare si dissolveva e la mia mente si liberava, allo stesso tempo cercavo di essere più tranquilla

SCIENZE DELLA MEDIAZIONE LINGUISTICA E CULTURALE

e seguire i consigli del mister. In altre circostanze probabilmente avrei lasciato prevalere il dolore ma, quel giorno, tutto era diverso.

L’urlo di battaglia prima di scendere in campo con tutta la mia squadra, così liberatorio, mi aveva fatto capire che avremmo vinto noi quella partita - e così è stato!».

Ripensando a quei momenti, dalle parole di Sofia traspare viva emozione e ci aiuta a capire quanto la squadra le ha saputo dare tanto in così poco tempo: arrivata da “forestiera” nella grande mela di Milano e con pochi punti di riferimento. Un racconto che suscita sentimento a chi lo sta scrivendo, a chi lo ascolta e a chi lo legge.

«La caduta e le urla di incoraggiamento della mia squadra, della mia famiglia, le interpreto come una metafora della vita e degli ostacoli che ci si presentano davanti tutti i giorni. Tutto il gruppo, in particolare i miei coach, mi hanno fatto capire che cadere o essere in difficoltà se non si riesce in qualcosa non è importante, tutto ciò che conta è rialzarsi e avere la forza di affrontare i propri limiti con saggezza non rifiutando l’aiuto di chi ti sta intorno. La partita contro Aosta mi ha fatto riflettere e mi ha permesso di acquisire una maggiore sicurezza.

Da quel match è iniziata un’avventura che custodisco nel cuore, grazie ad amici e amiche che sono diventanti molto importanti per il mio inserimento nel mondo universitario e nell’ambientamento in una grande città, lontano da casa. Lo ammetto, è stato un anno difficile, tuttavia, la fiducia di chi mi sta attorno mi ha fatto capire quanto gli altri credessero in me».

«Lo ammetto: è stato un anno piuttosto pesante, ma la fiducia trasmessami da chi mi stava attorno

mi ha dato la forza di andare avanti, facendomi riflettere sul fatto che tutti hanno sempre creduto in me, quando, la prima a non farlo, ero proprio io».

«Ero convinta di non essere all’altezza delle sfide che avrei dovuto affrontare: per questo, uno dei miei obiettivi è diventato non soltanto elevarmi, ma “riuscire”, ripagando il debito di fiducia contratto nei confronti di chi, per me, c’è sempre stato. Mi ritengo fortunata di poter contare su persone che mi sostengono, sperando che il nostro rapporto continui a rafforzarsi nel tempo, nonostante la lontananza dai campi».

Sofia si dimostra non solo una stella in campo, ma anche una ragazza riflessiva, sensibile e suscettibile alle sue insicurezze, senza avere tuttavia il timore di esporsi e raccontarle al pubblico, ponendo l’enfasi su chi ti sta intorno e sull’importanza che la squadra ha avuto nell’affrontare un momento delicato della sua vita.

Proprio come i grandi dello sport, campionessa in campo e fuori! di Lorenzo Rezzonico

s 31

MEDICINA VETERINARIA

Abbiamo intervistato Paola Aceti, studentessa di “Allevamento e benessere dell’animale”, per farci raccontare la passione per il suo percorso di studi e per il Football americano.

Per quali motivi hai scelto allevamento e benessere dell’animale?

s 32

«Ho scelto il corso di allevamento e benessere Animale perché fin da bambina sono sempre stata appassionata al mondo degli animali, alla natura e agli allevamenti.

L’università e il corso che ho scelto mi stanno preparando a rendere la mia passione in un lavoro e non potrei essere più contenta di così».

L’aspetto che ti piace di più del football americano e quello che ti piace di meno?

«L’aspetto che più mi piace del football americano è che lo considero lo sport di squadra per eccellenza.

Nel football gli schemi di gioco sono studiati appositamente per ogni ruolo e la riuscita dello schema è determinata solo ed esclusivamente dal lavoro sinergico di ogni componente presente in squadra, se un pezzo del puzzle non si incastra l’intero meccanismo si interrompe.

Inoltre, uno dei concetti fondamentali del football americano è la fiducia, se non si entra in campo convinti le che tue compagne bloccheranno perfettamente le avversarie ad ogni

Secondo te perché il Football americano è ancora così poco seguito in Italia?

«Personalmente penso che il football americano sia così poco seguito in Italia perché legato ad alcuni stereotipi come la fisicità, rischio elevato di infortuni e la possibilità di farsi male.

Purtroppo, le scarse informazioni divulgate sulle regole di questo sport non lo rendono apprezzabile ed è un peccato perché sono convinta che piacerebbe a tante persone».

Cosa ti ha spinto a diventare sport Ambassador di medicina veterinaria?

«Ho deciso di diventare Ambassador di medicina veterinaria perché volevo trasmettere la passione anche ad altre studentesse e per dare visibilità ad uno sport ancora troppo sconosciuto, soprattutto il lato femminile. Sono contenta perché in poco tempo sono riuscita ad aggregare due mie compagne di corso alla squadra di football, testimonianza che il nostro ruolo funziona all’interno dell’università».

Durante l’università lo sport è stato solo un ostacolo allo studio o ti ha aiutato in qualche modo?

«Lo sport è stato fondamentale per me durante questi anni di università, mi ha insegnato il concetto di perseveranza e impegno, indispensabili per raggiungere gli obbiettivi che mi sono posta. Senza allenamenti costanti non si vincono le partite e senza studio costante non si passano gli esami. Lo sport per me ha sempre rappresentato un momento di sfogo e di stacco dallo studio per non restare fossilizzata su una realtà e avere la testa impegnata su più fronti».

MEDICINA VETERINARIA

azione il touchdown non arriverà mai.

L’aspetto che meno mi piace del football americano è che purtroppo il reparto femminile è ancora poco conosciuto in Italia rispetto al comparto maschile, di conseguenza non esistono molte squadre femminili e questo non ci permette di organizzare tornei o partite amichevoli, ma solamente di partecipare al campionato nazionale».

Obiettivi universitari e sportivi futuri?

«Mi sto per laureare alla triennale, ma vorrei inscrivermi alla magistrale a settembre in Scienze e Tecnologie delle Produzioni Animali. Per quanto riguarda lo sport, nonostante il periodo di fermo dovuto all’emergenza sanitaria covid-19, continuo ad allenarmi costantemente a casa in vista del nuovo decreto che permetta di tornare effettivamente in campo, così da ripartire per la nuova stagione di campionato».

La redazione del CUS Statale ringrazia Paola per essersi raccontata ed essere una delle poche voci che trasmettono la passione per uno sport ancora troppo poco conosciuto in Europa. Le auguriamo di realizzare i suoi sogni e di portare il nome della nostra università più in alto possibile, in bocca al lupo Paola! di Federico Metri

s 33

MEDICINA VETERINARIA

Paola Aceti, studentessa di Medicina Veterinaria, ci fa conoscere il Football americano femminile: sport affascinante, elegante e degno delle guerriere più coraggiose.

A

utostrada A1, le ragazze sono in macchina per andare a Firenze e quando arrivano a Parma, per paura del traffico, decidono di fare la strada della Cisa invece che continuare verso Bologna. La strada è leggermente più lunga, ma manca ancora tanto alla finale del campionato e preferiscono guidare in libertà, piuttosto che restare in fila imbottigliate tra le altre macchine.

Proprio tra le fitte curve di quella strada, ricevono la chiamata che mai aspettavano. 5 gennaio 2019.

«Ho risposto io al telefono, sulla tabella di marcia eravamo le prime ad essere partite per la trasferta e non pensavamo di sentire la notizia che, l’allenatore della difesa, si era ammalato e non riusciva a essere dei nostri. In macchina calò il panico. Ci aspettava la partita più importante della nostra carriera e affrontarla senza un tassello fondamentale della nostra squadra ci spaventava. Il resto del viaggio si è trasformato in un funerale, nessuna di noi ha più parlato e la paura di vanificare tutto il lavoro fatto fino a quel momento ci stava logorando».

s 34

Il football americano è un mosaico di incastri, di schemi e di situazioni, le componenti in gioco sono tantissime e niente può andare storto se si vuole vincere una partita. Affrontare una finale

importante senza uno dei tasselli più grandi e che incastra maggiormente tutti gli altri può spaventare, sembrava un’impresa impossibile.

«Le nostre avversarie erano le Underdogs Bologna, una squadra molto forte che ci aveva già dato del filo da torcere con un una fase offensiva molto dinamica e, senza il nostro faro in difesa, iniziammo a temere il peggio. Scure in volto e demoralizzate, tutto ci è stato chiaro alla vista del campo da gioco, finché non abbiamo capito che eravamo ad un passo dal coronare il nostro sogno. Conoscevamo gli schemi, i “compiti” li avevamo fatti, mancava solo l’atto finale».

La partita inizia. Paola è ancora una rookie ed è seduta, impassibile, in panchina, forse sperando di entrare in un paio di azioni e dare il suo piccolo contributo alla sua squadra, ma accade un fatto imprevisto: il ricevitore titolare si infortuna dopo poche azioni di attacco, l’allenatore urla il nome Paola, è arrivata la sua occasione.

«Non ci credevo affatto. È accaduto tutto in una frazione di secondo, ero pronta in campo ancora prima di ricordarmi di mettere il casco e faticavo a mettere a fuoco la situazione. Avevo paura, non mi sentivo pronta e mi mancava ancora

MEDICINA VETERINARIA

l’esperienza necessaria, ma non potevo deludere le mie compagne, non volevo sprecare la nostra occasione. Dopo qualche minuto, mi sono sciolta e concentrata al massimo».

Una partita nervosa, molto fisica.

Entrambe le squadre rischiavano poco, gli attacchi preferivano portare la palla invece che lanciarla e le difese marcavano preventivamente ogni possibilità di incursione. Vincere faceva quasi paura e il rischio di perdere era troppo alto per azzardare la giocata spettacolare. Le squadre non riuscivano a conquistare le dieci yard nei quattro tentativi e il possesso cambiava in continuazione senza sbloccare il risultato.

«All’intervallo è cambiato tutto. La difesa si ergeva a muro e resisteva bene, ma in attacco eravamo troppo insicure e se avessimo continuato così avremmo sicuramente perso.

In cerchio, guardandoci negli occhi, abbiamo promesso di provarci, di giocare come sapevamo fare senza pensare alle circostanze o al valore della partita».

avanzare per più di dieci yard. La mia corsa ha permesso alla squadra di prendere fiducia e arrivare al touchdown che ci ha permesso di passare da 13-6 a 19-6. Una volta assicurato il vantaggio, ormai irrecuperabile a 35 secondi dalla fine, il sogno della nostra squadra, le Sirene Milano, fra il giubileo del pubblico, era stato raggiunto. Vincitrici della Youth Bowl 2018».

«Siamo tornate in campo con una voglia differente riuscendo, da quel momento, a imporci. Vincere l’emozione nella mia prima finale era la prima sfida, ma ben più forte era la voglia di vincere per ricambiare la fiducia del mio allenatore, questo mi ha permesso di fare la differenza».

«Questa è stata forse la vittoria più bella della mia carriera, tutto sembrava andare in pezzi, tuttavia, non ci siamo arrese, abbiamo lottato e conquistato il titolo nazionale, anche nella difficoltà siamo rimasta una squadra unita, salda nella marcia verso un obbiettivo».

Le Underdogs Bologna resistono, il risultato è di 13 – 6 per le sirene milanesi, bastava un’ultima carica per portare a casa il sogno «Eravamo a metà campo e non riuscivamo ad avanzare, con una finta sono riuscita a smarcarmi, il quarterback mi ha servito perfettamente e dopo aver ricevuto la palla sono riuscita ad

È l’attaccamento a una maglia che ti porta a dare tutto, è la voglia di vincere che ti permette di fare quel passo in più e Paola è un esempio lampante di come l’università non impedisca agli sportivi di gareggiare ad alti livelli. La ringraziamo per aver condiviso una delle sue più grandi gioie sportive e le auguriamo di giocare altre mille finali. di Federico Metri

s 35

SCIENZE AGRARIE E ALIMENTARI

Giulio Panara, Sport Ambassador per la facoltà di Scienze Agrarie e Alimentari si rivela, tra impegni di studio e ambiziosi obbiettivi abbiamo avuto l’occasione di intervistarlo

C

iao Giulio. Tu sei studente del corso di “Agrotecnologie per l’Ambiente e il Territorio” e sei ormai un atleta da diversi anni.

Come ti sei avvicinato al mondo dell’atletica?

«Ciao a tutti! È vero, l’atletica oramai è la mia compagna di vita dal 2013.

Tuttavia, ho cominciato a praticare sport grazie al calcio. Dopo la fine della stagione, quando non dovevo più disputare alcun torneo, passavo le mie giornate sulle piste: la disciplina che, fin da subito, mi ha catturato e appassionato è stato il salto in alto, ammetto anche che me la cavavo abbastanza bene. Soprattutto agli inizi della mia carriera sportiva, mia madre è stata importante per il mio percorso di crescita: lei, che è stata un’ottocentista per la nostra Nazionale, mi ha sempre supportato durante i miei allenamenti e le mie gare, anche se non mi ha mai forzato nelle scelte. Dopo un po’ di tempo, infatti, ho deciso io di lasciare il calcio e di dedicarmi completamente all’atletica».

s 36

Secondo la tua esperienza, ci sono delle differenze tra questi due sport?

Perché hai cambiato strada?

«In una squadra di calcio, sia che si vinca o che si perda, puoi trovare

degli alibi e delle scuse che possono giustificare un determinato risultato, non sai mai se è merito tuo o no.

Nell’atletica, invece, tutto dipende solo ed esclusivamente da te: certo, la preparazione, il lavoro con il tuo allenatore sono passaggi obbligati e fondamentali per il raggiungimento di un traguardo importante, ma credo che sia il singolo atleta a contare veramente perché si mette in gioco da solo contro i suoi avversari».

Hai iniziato con il salto in alto, eppure hai optato per il salto in lungo, raggiungendo risultati importanti.

So che la tua prima gara in questa disciplina è stata particolare. Com’è andata?

In quel periodo, non riuscivo ad esprimermi al meglio nel salto in alto.

Quando la società, con cui gareggiavo, mi ha chiesto di partecipare ad un campionato nel lungo, ero un po’ titubante. Ho preparato la gara in due settimane, ero accreditato praticamente tra gli ultimi. Ho addirittura gareggiato con scarpe da mezzo fondo, non proprio il massimo.

Invece, come spesso accade, sono riuscito a fare un ottimo salto nel mio ultimo tentativo possibile. Da quel momento ho continuato in questa disciplina.

SCIENZE AGRARIE E ALIMENTARI

Non è la prima volta che ottieni risultati inaspettati. Giusto?

«L’esperienza più incredibile che l’atletica mi ha regalato sono stati i Campionati Italiani di Ancona del 2019, in cui, senza alcuna aspettativa, sono riuscito ad aggiudicarmi il quarto posto con un salto di 7.58. Per me è stato qualcosa di sorprendente soprattutto perché non mi aspettavo niente di particolare da quell’esperienza. Sono stati giorni vissuti in totale tranquillità e spensieratezza, non avevo l’obbligo di fare per forza risultato e fisicamente non mi sentivo neanche al top. Eppure è diventato un giorno indimenticabile per me».

Cosa significa per te praticare sport?

«Lo sport mi fa divertire, mi fa vivere gioie ed emozioni inaspettate. Ma, soprattutto, mi dà l’opportunità di stringere relazioni umane molto

forti, soprattutto coi miei compagni d’allenamento, rapporti che mi hanno fatto tanto crescere e maturare e reso ciò che sono ora».

In quale momento della tua carriera ti trovi? Cosa ti auguri per il futuro?

«Sto vivendo un periodo un po’ di crisi, non stanno arrivando i risultati attesi. Anche se mi sento abbastanza bene fisicamente, non riesco ad esprimere tutto il mio potenziale e sto facendo fatica. Quindi quello che spero è di riuscire a tornare, al più presto, ai miei livelli».

Si sa che le difficoltà rafforzano la mente, come la fatica rafforza il corpo. CUS Statale crede in Giulio, che conquisterà traguardi sempre più ambiziosi, svettando, insieme al toro di Scienze Agrarie e Alimentari, sulle cime più alte del mondo sportivo. di Francesco Martignano

s 37

SCIENZE AGRARIE E ALIMENTARI

Giulio Panara, studente di Scienze Agrarie e Alimentari, ci ha parlato del percorso che lo ha portato al record personale tra esami e poche aspettative.

s 38

L

e cose più belle sono quelle inaspettate. “Miracoli” che non ci sappiamo spiegare, che non ci sembrano logici. Cambiano il corso della nostra vita. La gara di Giulio

rappresenta il mito.

«Sono rimasto incredulo dopo quel salto. Non mi aspettavo niente di eccezionale. Non riesco ancora a

La legge di Murphy dovrebbe essere adattata: “se qualcosa può andare storto, tranquillo, poi ci si mettono anche gli esami” «Dopo qualche buona prestazione, con la mia società, partiamo per i Campionati Italiani indoor ad Ancona.

Non c’erano aspettative e alcuna pressione: “Ma sì dai facciamoci una trasferta”. Come potete capire, non ci attendevamo niente di particolare».

Sembrava una gita tra amici. In realtà, è stato molto di più…

«Il giorno della gara, ero tranquillo, rilassato, non aspiravo a niente di eccezionale e non avevo niente da dimostrare o da perdere. Faccio i salti di riscaldamento e riesco a trovare molto bene la rincorsa. Il problema è non fare nullo e non staccare troppo lontano».

E “la calma è la virtù dei forti” «Ero il secondo atleta in gara. Il primo fa nullo. Senza un filo di tensione o preoccupazione, faccio la mia

SCIENZE AGRARIE E ALIMENTARI

spiegare quel risultato. Sono esploso dalla felicità, ero fuori di me dalla gioia. Sono stati attimi incredibili. Per me, era un periodo particolare. Certo, fino a quel momento, la stagione era stata discreta e di questo non potevo lamentarmi ma, tuttavia, sentivo che avrei potuto dare di più. Fisicamente avvertivo di non essere al massimo e cercavo forza e spinta nelle gambe.

Inoltre, essendo febbraio, che ve lo dico a fare, anche l’università e la sessione d’esami esigevano il proprio tributo in energie».

rincorsa. Salto e finisco sulla sabbia.

Tutto normale. Pensavo di aver raggiunto i 7 metri e 20 o i 7 e 30. Non era un risultato eccezionale, ma, per la mia condizione, mi accontentavo.

Invece, scopro di aver saltato 7.58.

Non ci potevo credere, ero attonito di fronte a quel punteggio».

E l’importante è solo crederci…

«Devo ammettere che, dopo quel salto, sono riuscito ad inanellare quattro nulli. Nell’ultimo salto valido sono anche saltato male, e non è andata benissimo».

«Ero totalmente imploso, il punteggio, ancora riflesso nei miei occhi, mi lasciava incredulo. Ero al settimo cielo. Nonostante non fossi riuscito ad allenarmi al meglio in quei mesi, e nonostante il fatto non mi sentissi al massimo della forma, il coniglio è uscito fuori dal cilindro. Ad oggi è stata, senza dubbio, la mia migliore prestazione. È proprio vero che, quando meno te l’aspetti, riesci a tirare fuori prestazioni incredibili. La tranquillità, la spensieratezza, il non pensare a niente se non godermi quell’esperienza sono stati tutti fattori fondamentali per quel risultato».

Lo sport è sempre in grado di regalarci sorprese e magie, attimi ci permettono di sognare. La ricetta: sempre mettersi in gioco, anche quando non siamo la versione migliore di noi stessi, affrontare le sfide e non temere il fallimento. È la voglia di giocarsela sempre, di continuare a lottare e a sacrificarsi che ci fa emozionare, questo è lo sport. di Francesco Martignano

s 39

Le ragazze di Mister Franco non hanno perso l’entusiasmo, diventando un esempio per le altre squadre della Statale.

I

n un periodo pieno di insidie le ragazze dell’Under 19 continuano i loro allenamenti. Il loro allenatore, Riccardo Franco, ci ha spiegato in che modo la società ha permesso loro di giocare nel pieno rispetto delle norme sanitarie.

Salve Mister Franco, da quanto tempo allena le ragazze dell’Under 19?

s 40

«Alleno le ragazze e i giovani da oramai cinque anni. Prima sono stato nel maschile per dieci anni, svolgendo diverse attività in tutte le categorie, comprese quelle nazionali. Nel 2019

ho frequentato a Coverciano il corso di massimo livello per allenatori di calcio a 5, conseguendo così il patentino da allenatore che mi permette di allenare ogni squadra di qualsiasi categoria.

La passione per il calcio si somma al mio vero lavoro di consulente per la progettazione d’interni orientata al risparmio energetico».

Lei è anche Direttore Tecnico, quali sono le principali differenze tra i due ruoli?

«Voglio precisare che i due incarichi sono distinti tra loro. Svolgo il ruolo di Direttore Tecnico di tutto il progetto

del calcio a cinque femminile del CUS Milano-Statale. Sono poi l’allenatore dell’Under 19. In questo ruolo ho molte più responsabilità sui risultati sportivi, gestendo in prima persona gli aspetti tattici della squadra, non dimenticando però la preparazione fisica delle giocatrici. Come Direttore Tecnico, gli obiettivi sono di mediolungo periodo, valutando nel tempo la qualità delle conduzioni tecniche di tutte le squadre».

Le è mai capitato di dover gestire una situazione complicata come quella attuale? Ritiene che in una situazione del genere possa ulteriormente consolidarsi lo spirito di squadra?

«Spero che una situazione del genere non si riproponga mai più. Il mio augurio è che si possa tornare alla “vera normalità” il prima possibile.

Lo spirito di squadra non è mutato, tuttavia ritengo che sia difficile consolidarlo ulteriormente in questa situazione, dove la mancanza di gare non permette di rafforzarlo.»

In che modo la società sta applicando i protocolli sanitari definiti dalla FIGC? «La società sta seguendo alla lettera tutti i protocolli stilati dal governo e dalla FIGC. La partecipazione a un campionato di rilevanza nazionale ci ha permesso di continuare gli allenamenti, nel rispetto di ogni protocollo richiesto».

Come ha motivato le ragazze a rimanere attive durante questo lungo periodo pieno di difficoltà?

«Le ragazze trovano le motivazioni sul campo. Vengono, si allenano, divertendosi e distraendosi,

attenuando periodo.»

così

le

tensioni

del

Che tipo di competizioni affronteranno le ragazze in questi mesi?

«Se le condizioni lo permetteranno, verrà organizzata una competizione a livello nazionale. Non siamo ancora a conoscenza della formula. Potrebbe essere svolta sotto forma di Coppa Italia o campionato tradizionale, questo non lo sappiamo. Attendiamo a breve una comunicazione. I turni iniziali potrebbero essere definiti in base ad un principio di vicinanza, per poi concludersi con le finali disputate in una bolla in un posto deciso dalla FIGC.» Quali sono i vostri obiettivi principali per concludere l’anno?

«Il nostro obiettivo è quello di essere pronti alla ripresa delle gare, consolidando i buoni risultati ottenuti finora. Altrettanto importante è avvicinare al Futsal un numero sempre più crescente di ragazze giovani che possano appassionarsi e divertirsi, praticando questo sport formativo di squadra. Lo slogan che meglio ci rappresenta è: “entusiasmo e divertimento”».

In questo delicato momento la squadra ha mostrato tutta la sua compattezza e forza di volontà, proseguendo la preparazione iniziata a settembre.

Le nuove modalità d’allenamento non spaventano le ragazze che sono motivate come lo staff a continuare il cammino iniziato lo scorso anno, con la speranza che nessuna misura impedisca loro di giocare e di vedere il cuore verde Statale tornare a battere in campo. di Domenico Barbato

s 41

L’accordo tra ASPES e CUS Statale, dopo essere stato confermato a dicembre, è finalmente entrato in azione. Diego ci racconta tutte le novità sulla ripartenza degli allenamenti.

Ciao Diego, spiegaci qual è il tuo ruolo all’interno di ASPES Volley e di cosa ti occupi esattamente?

«ASPES è una società sportiva per le giovani pallavoliste di Milano e io sono il coordinatore dell’area tecnica, mi occupo soprattutto di gestire il lavoro in palestra e di stilare i programmi tecnici delle squadre. Le mie non sono imposizioni, ma sono il frutto di un costante confronto con tutti i miei collaboratori e degli allenatori di ogni singola squadra. Alleno attivamente quattro squadre, le under 12-13-1415, e assisto gli allenatori delle under 17 e under 19. Mi occupo anche della parte comunicativa, della gestione del sito, dei nostri social network e dei moduli per i tesserati».

L’accordo con il CUS Statale, che ha avuto modo di concretizzarsi ora, quali novità porterà?

s 42

«Ad ASPES mancava una localizzazione precisa, una casa dove mettere le radici e la partnership con il CUS Statale ci ha permesso di sfruttare le loro infrastrutture, trovando così nell’ISU un impianto perfetto alle nostre esigenze. Manca ancora una sala pesi attrezzata, ma stiamo

lavorando per ampliarla mentre il resto è bellissimo, la sua verticalità e gli ambienti puliti sono molto stimolanti e ci permettono di lavorare al meglio.

Anche noi però possiamo dare tanto al CUS, l’obiettivo che ci siamo imposti è quello di gestire il lato pallavolistico dell’università e quindi creare una sinergia totale per quanto riguarda la pallavolo. ASPES Volley ha la competenza e la tecnica per dare spazio agli studenti di scienze motorie e altre facoltà che vogliono iniziare ad approcciare il mondo del lavoro».

Sei soddisfatto dell’accordo con l’università?

«Siamo tutti molto soddisfatti ed entusiasti. Il nostro è un accordo che migliora tutti, che ci permette di fare il salto di qualità che entrambi cercavamo e che adesso abbiamo raggiunto. Molti aspetti sono ancora da migliorare, soprattutto il lato politico e la gestione dei ruoli, ma è normale quando due società importanti si uniscono e iniziano un percorso di collaborazione. Il tempo risolverà gli aspetti più burocratici, tuttavia, siamo estremamente fiduciosi perché il lato sportivo funziona benissimo».

Come state gestendo la ripartenza degli allenamenti? Si può finalmente ripartire senza più interrompere le attività?

«Noi non abbiamo mai fermato l’attività, ma adesso abbiamo la possibilità di tornare ad allenarci nelle nostre strutture. La Federazione Italiana Pallavolo non ha mai fermato gli allenamenti e noi a settembre 2020 siamo partiti con la normale programmazione, ma le restrizioni successive hanno di nuovo cambiato i nostri piani. I nostri protocolli sanitari stanno funzionando bene e ci permettono di dare continuità all’attività, ci stiamo impegnando in ogni modo per evitare contagi e per ora siamo a zero contagi all’interno delle squadre. Non conosco il futuro e le ordinanze che arriveranno, noi quando siamo in zona rossa ci alleniamo individualmente, mentre quando siamo in zona gialla ci alleniamo in presenza con tutte le precauzioni necessarie».

Obiettivi futuri?

«Stiamo lavorando per dare vita ad una squadra junior di serie. Il nostro obiettivo primario è formare il giovane per poi lasciarlo libero di andare in una società con una prima squadra senior. Noi abbiamo scelto di focalizzare le nostre forze sui giovani per dedicare tutto a loro e non disperdere energie su altri aspetti.

L’imperativo che seguiamo è quello di accompagnare le ragazze nella loro crescita rendendole delle sportive e delle persone pronte ad affrontare lo sport e la vita con i nostri valori».

L’accordo è l’ennesima dimostrazione del costante impegno da parte del CUS Statale per migliorare l’offerta sportiva universitaria sul territorio di Milano. ASPES Volley, invece, darà un contributo fondamentale alla nostra pallavolo e non vediamo l’ora di mostrare a tutti i miglioramenti che questa partnership porterà. di Federico Metri

s 43

S LO SPORT IN STATALE

RIVISTA SPORTIVA BIMESTRALE DELL’UNIVERSITÀ STATALE NUMERO SEDICI | FEBBRAIO 2021

Direttore Marco Pini Responsabile fondi Roberto Sergio Responsabile Comunicazione Nicoletta Panunzio Caporedattore Nikita Benedusi Redattori Domenico Barbato, Claudio Leuci, Francesco Martignano, Federico Metri, Lorenzo Rezzonico, Tommaso Ricci Grafica Michela Russo

Registrazione Tribunale di Milano n. 111 del xx febbraio 2011 Stampato con il contributo dell’Università degli Studi di Milano derivante dai fondi previsti per le attività culturali e sociali

Fotografi Alessandro Di Cio, Davide Gambaro, Nicoletta Panunzio Stampa Flyeralarm.it

Quest’opera è stata rilasciata con licenza Creative Commons Attribuzione Non commerciale - Condividi allo stesso modo 3.0 Italia

UN’ORA DI SPORT LIVE “SE VINCIAMO LIMONIAMO” OGNI VENERDÌ DALLE 16:00 IN DIRETTA SU RADIOSTATALE.IT

SEGUICI E METTI UN LIKE!

SE VINCIAMO LIMONIAMO

RADIO STATALE

www.unimisport.it