Cultura commestibile 247

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storo nominò cardinali il nipote Latino, il fratello Giordano e il cugino Giacomo. In seguito nominò un altro nipote, Orso, podestà di Viterbo. Bisogna dire che il buon Latino non cominciò benissimo. Ancor prima di arrivare in città, emise un solenne editto nei riguardi delle donne fiorentine, evidentemente troppo sfacciate, che obbligava al capo velato le donne sposate e riduceva “lo scollo a due dita e lo strascico a due palmi”. Quando arrivò in città, l’8 ottobre 1279, le fiorentine si erano adeguate: peccato che, alla faccia della morigeratezza dei costumi, indossassero tutte vestiti accollati fino al mento ma di stoffe preziose e con ricami pregiati. Superato questo infortunio iniziale, il cardinale si dette da fare: fece rientrare in città i fuoriusciti ghibellini, espulse da Firenze gli elementi più facinorosi (fra i quali spiccavano i Buondelmonti), favorì in ogni modo il processo di pacificazione tanto che, quando lasciò la città, il papa revocò la famosa scomunica. Nel 1281 i ghibellini furono di nuovo cacciati dalla città.

Via Cardinal Latino Scollo a due dita,

strascisco a due palmi di Fabrizio Pettinelli Se vi capita di passare, in zona Gavinana, da cia Cardinal Latino, potrebbe cogliervi la curiosità di sapere chi era questo prelato, che ha giocato un ruolo non secondario nella storia di Firenze. A papa Gregorio X, assurto al trono pontificio nel 1272, venne il ghiribizzo di mettere pace fra i guelfi e i ghibellini che si stavano scannando a Firenze. Avendo convocato un concilio a Lione, niente di meglio che fermarsi di passaggio a Firenze, che si trovava per l’appunto lungo l’itinerario, per vedere che cosa poteva fare. Gregorio arrivò a Firenze il 18 giugno 1273 con un seguito imponente guidato dal re di Napoli Carlo d’Angiò; non erano della partita i Polo, intimi amici del Papa, che li aveva appena spediti in Cina con una lettera per Kublai Khan. L’imponente spiegamento di forze ridusse a più miti consigli i capi-fazione e guelfi e ghibellini, il 2 luglio 1273, sancirono un solenne accordo di pace siglato sull’attuale Lungarno Serristori. Il papa, che si trovava bene a Firenze (vuoi mettere con Lione, a quell’epoca non c’era nemmeno la Fête des lumières), si sarebbe anche fermato un po’ di tempo, ma nel giro di pochi giorni guelfi e ghibellini ripresero a darsela di santa ragione e Gregorio, infuriato, lasciò la città non prima di averla scomunicata il che, come si può facilmente immaginare, non fece né caldo né freddo ai contendenti; anzi, cacciati i ghibellini, i guelfi pensarono bene, per non perdere l’allenamento, di dividersi in due sotto-fazioni (una faceva capo agli Adimari, l’altra ai Tosinghi) e di continuare a scontrarsi. Nel 1276 la situazione era diventata così insostenibile che i più ragionevoli fra i guelfi e i fuoriusciti ghibellini implorarono il nuova Papa, Niccolò III, di tentare una nuova mediazione. A tal fine, il papa inviò a Firenze il nipote, che altri non era se non il cardinale Latino Frangipani de’ Brancaleoni. A proposito, è a papa Niccolò che risale il termine “nepotismo”: nello stesso Conci-

La memoria di Ryts Monet Curata da Pietro Gaglianò si aperta a Firenze alla SRISA SRISA Gallery of Contemporary Art Via San Gallo 53/r, la prima personale a Firenze di Ryts Monet incentrata sulla criticità della memoria collettiva che si sedimenta nelle forme dei monumenti storici, il cui portato simbolico è riconoscibile a tutti, e nella declinazione che ne ha dato la cultura di massa. L’artista si è concentrato in vari modi su questo tema nel corso della sua ricerca, isolando ogni volta fattori controversi del rapporto che l’uomo contemporaneo intreccia con il vasto panorama della produzione di immagini, delle iconografie del potere, dei miti dell’identità e della realizzazione personale sollecitati dal sistema consumista. Dalla furia iconoclasta dell’ISIS, che producendo rovine di rovine ha moltiplicato il feticismo occidentale nei loro confronti, allo svuotamento di

senso delle immagini nelle ricaduta della loro moltiplicazione (attraverso lo spazio e attraverso il tempo), Ryts Monet descrive senza moralismi una irrevocabile vocazione dell’umanità a contraffare i simboli, a distruggerli, a crearne di nuovi. In mostra vengono presentati lavori recenti ripensati in un nuovo allestimento e una serie di opere appartenenti a un progetto più ampio esposto in questa occasione per la prima volta. Fino al 1 febbraio 2018. Lunedi – Venerdi 10:00 – 21:00

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