Cultura Commestibile 108

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31 gennaio 2015 pag. 14 Manuela De Rosa manuelagiorgiaimpressions@gmail.com di

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ublic Space è un luogo della durata di tre minuti e quarantacinque secondi. Questo è il tempo concesso al pubblico per vedere e per vedersi, fino al punto da essere inglobato nella visione stessa, vertigo autoriflettente. Del resto, ogni spazio realizza la propria possibilità proprio grazie alla visione. Il regista Marcantonio Lunardi affronta un processo semantico-chirurgico sul linguaggio cinematografico attraverso il medium della videoart, intesa, strutturata ed mostrata come atto linguistico che si fa portatore di significato riassemblando e riassegnando valore agli strumenti del discorso filmico e dell’immagine alla base. Il discorso visivo di Public Space concede tutto alla dimensione visiva, ma attraverso una progressiva acquisizione di potere da parte dell’immagine rispetto agli altri sensi, depriva l’idea stessa della vista di un rapporto olistico con il corpo e la sensorialità. La società occidentale ha infatti sviluppato l’approccio alla multimedialità fin dagli anni Sessanta. Come teorizzato da Marshall McLuhan nel 1963, i media costituiscono un’estensione dei cinque sensi umani. La realtà diviene suscettibile di infinite riproduzioni attraverso la fotografia, e gli utenti sono chiamati ad un percorso che oscilla tra la consapevolezza e la cecità ogniqualvolta si interagisca con l’automatismo del medium. Public Space è dunque un processo di riscrittura il cui punto di origine converge nella possibilità di narrare per immagini, anche nel momento in cui esse hanno atrofizzato gli altri sensi, relegandoli ad una posizione marginale, e il cui consumo reso immediatamente accessibile, le ha trasformate in una auctoritas, in una “verifica di esistenza” che raramente viene messa in discussione. I progressi nella tecnologia nella diagnostica prenatale hanno modificato la percezione del proprio corpo durante la gravidanza. L’ascolto e la comunicazione della sfera sensoriale

Ri–costruzione negazione ossimorica in Pubblic space – emotiva che accompagna le trasformazioni della donna, sono state affidate al controllo dell’immagine digitale di ecografie e screening, i quali sostituiscono e rivelano ciò che prima era “segreto” ed esternato a partire dall’ascolto interno e personale della donna stessa. L’immaginazione della futura vita umana si trova ad essere ridefinita e ristrutturata dal medium dell’immagine divenuta simulacro. Le immagini mentali si separano dalla percezione del corpo, da un dialogo tra il tutto e le sue parti, per divenire entità autonome. Si sovrappongono al ciclo vitale. Sono divinità, e si tace ad ascoltarle. In Public Space, i personaggi si offrono per un’ibridazione con i dispositivi digitali che tengono appoggiati sul proprio ventre mentre mostrano immagini

ecografiche di feti. Le donne appaiono assenti, come assopite, appaiono sole, anche quando aumentano, moltiplicandosi nei passaggi da un’inquadratura all’altra. Moltiplicare è però sempre in relazione ad un’ osservatore. Spettatore non è solo quello all’interno dello schermo, colui che guarda rapito lo schermo ridotto di un tablet, ma lo sono anche coloro che si trovano all’esterno dell’inquadratura, chiamati in causa dallo sguardo diretto di una donna che guarda “in macchina” e attraverso i propri occhi chiede loro di “guardarsi”. Lunardi mette in atto una riflessione sulla negazione della realtà fisica e umana, servendosi degli stessi strumenti che hanno condizionato e asservito i suoi personaggi. Sebbene privati del dialogo e di emozioni fisiche,

nella scrittura visiva del regista i loro corpi parlano e producono effetti di senso. Arti drenati del vitalismo, si lasciano cadere su una culla, cercando di toccare un simulacro, un vuoto, in una staticità che richiama alla mente l’esattezza delle regole compositive della prospettiva rinascimentale italiana. Le immagini narrano secondo proprie regole e rompono con la convenzione della cinematografia classica che vieta all’attore di guardare attraverso l’obiettivo della macchina da presa (al fine di favorire l’illusione referenziale e l’immedesimazione di uno spettatore passivo). Non c’è alcun mondo parallelo lasciato agli osservatori fuori dallo schermo. Non ci lascia rifugiare da ciò che accade nel video Lunardi, perché i fondamenti della realtà all’interno della soglia estetica sono i medesimi della contemporaneità dello spettatore. L’inquadratura è lo strumento con il quale egli è chiamato a sentire, a condividere, a partecipare all’ossimoro di quei corpi deprivati, congelati e riassegnati ad una nuova parola, quella che agisce attraverso il mostrare, il negare, l’evocare, il condividere. A noi è richiesto di indagare la loro nuova natura, di ristabilire un dialogo sinestetico, che dalla vista si affranca proprio grazie alla visione stessa, per rimettere in discussione i processi che ci hanno formato, plasmato e condizionato. Senza scusanti. Non sono ammesse.


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