Shakespeare in ELAV - Pub Writing Session 1

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Shakespeare in Elav

PWS

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Pub Writing Session

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What’s Pub Writing Session PWS è lo spettacolo della scrittura nei luoghi pubblici, promossa da una nuova figura di mediatore culturale: il Pub Writer, lo scrittore di servizio, che ascolta e trascrive storie da pub davanti a una birra. L’idea nasce dall’incontro tra Leone di Calepio Press, Teo e Nick di CTRL magazine; nasce come provocazione, come piano B (o festival dell’ignoranza), in risposta alle supponenze municipali della “capitale della cultura”. Ospitati da Antonio del birrificio Elav, nel corso della II Yule Fest abbiamo fornito un “cartellone” delle storie da raccontare, storie vere, d’amore, di soldi, storie da dimenticare, storie da non credere.

Introduzione


Ne è uscita un’esperienza estrema, controtendenza, dal successo imprevisto. In un contesto per nulla letterario, senza altri mezzi che qualche portatile e una stampante, abbiamo raccolto e pubblicato in 4 serate circa 150 storie “vere”. Questa è una selezione di quel lavoro. La scrittura live, partecipata, è di fatto antica, ancestrale, cavernicola, rupestre, evoca uno spazio protetto dove gli individui stanno raccolti attorno al fuoco, in prossimità fisica e intimità spirituale.

Introduzione


A mente fredda, si notano i caratteri controtendenza dell’iniziativa: nell’epoca della creatività diffusa e del divismo di massa, tra scuole di scrittura e concorsi letterari, la PWS è un’esperienza di scrittura non creativa, non d’autore, ma di servizio, d’ascolto e trascrizione, a voce, a mano, a distanza d’alito. Ma soprattutto PWS è la scrittura come pratica sociale, fisica, conviviale, dove il Pub Writer è un nuovo tipo di writer, con i sensi accesi. Il Pub diventa così un luogo di produzione culturale e memoria collettiva, dove l’attività del “pubblicare”, rispetto a un social network astratto, è realmente vissuta, autentica e condivisa.

What’s Pub Writing Session


Le storie


Storie mai viste — Se rinasco — Giuro lo faccio — Neanche te lo immagini — Una bella storia

13 15 17 20

Storie di sesso — Avevo bevuto — Chiamami — Non così veloce — Non può funzionare

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Storie di soldi — Che pacco — Soldi buttati — Lo faccio per i soldi — Avendo i soldi

43 44 46 46

Storie da dimenticare — Una storia assurda — Sprofonderei — L’ammazzo — Una pietra sopra

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Indice delle storie




Storie mai viste


Se rinasco — Naming Out — Ti cambia la vita — Mi battezzo in svizzera — Cambio pelo — Fermare il tempo

13 13 13 14 14

Giuro lo faccio — Fufi, che dici? — La piccola vandala — Porno Food

15 16 16

Neanche te lo immagini — Noi non preferiamo aspettare fuori — Blatte e miele — Fai la brava — Le mani nella terra — Una volta nella vita — United Emirates of America

17 17 18 19 19 20

Una bella storia — Fare il giro — Giù in taverna — Bassa frequenza — Millefiori — La promessa — L’ultima notte

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Indice storie mai viste



Naming Out Se rinasco cambio nome. Sempre stato un bravo ragazzo puntuale, serio e studioso, di nome Dario. La prima volta che ho preso una sbronza ho cambiato completamente personalità. Casinista, molesto, incazzato e rompiballe. E ossessivamente convinto di chiamarmi Mario.

L’unico modo per rinsavire, e tornare Dario, come si scoprì dopo varie prove, era divorare un barattolo di cetriolini sott’aceto. Tutto bene fino a quando un mio amico mi ha offerto la prima canna della mia vita. A occhi chiusi, ero un altro ancora, languido, sensibile, logorroico. Hanno provato a darmi i cetriolini. Niente da fare, forse erano scaduti. Ma soprattutto, mi sentivo sereno, buono, paziente. I miei amici ridevano da matti, mi chiedevano: “Come ti chiami adesso?” e io, tranquillo: “Quante volte ve lo devo ripetere, smemorati? Mi chiamo Rosario”.

Ti cambia la vita Tre giorni fa ho saputo che una persona che amo profondamente ha una bruttissima malattia. Il solo venirne a conoscenza mi ha mandato in pezzi la realtà. Se rinasco

La cosa più difficile è stata trovare un modo per affrontare la notizia, e a risolvermi il dilemma è stata la persona stessa. Mi ha raccontato il suo percorso, e l’ha fatto col sorriso. Mi ha dato tutto il coraggio, lui a me, per viverla con normalità. Mi sono sentita spezzata e ricomposta immediatamente, riallineata con l’esistenza, la vita, il futuro. In suo onore ho in mente un viaggio importantissimo da fare, un viaggio per ritrovare le mie, le nostre radici. E stasera sono qui in birreria a raccontare questa storia. Questo respirare le persone, le cose, i momenti. Il viaggio è già iniziato, sì, e per prima cosa sono andata fuori di testa. Ho pianto, piangerò, ma in modo diverso. Ridendo, mi ha detto che la sua vita sarà diversa, adesso, ogni giorno. E quando sarà il momento, capisci, non ci metterò una pietra sopra. Adesso ho voglia di essere una persona diversa ogni giorno, non per voler vincere cose invincibili, ma per sentirle tutte. Ti cambia la vita, un uomo che ti dice “da quando ho saputo di dover morire, non mi sono mai sentito così vivo”.

Mi battezzo in Svizzera Di base ho sempre pensato, con terrore: se penso vivo, se vivo non penso. Una cosa che non riesco a capire se è vera o no. In ogni battaglia il biografo non combatte, è di lato. Però, a un certo punto, ho preso le chiavi dalla tasca. Ero seduta al tavolo di un ristorante, c'erano altre persone, le ho guarda→ te in faccia, due in particolare. 13


Mi sono alzata, ho detto: “Io ho finito di fare questa parte, mangiatevi tutto, anche me, ma io qui non ci sto più. Ciao ragazzi, saluti e baci, non ho più niente da dirvi, soprattutto a te.” E per sei mesi non gli ho più parlato - quando lo dicono al cinema, uau, sembra una figata - ma 180 giorni senza tirare su il telefono non è facile. Io lo sapevo, mentre mi alzavo, mi giravo, e sbattevo la porta del ristorante davanti a tutti. Poi, aprire la macchina, mettere i Pearl Jam, “Yield”, controllare quanti km avevo di benzina, e cominiciare a guidare oltre Milano, oltre Varese, fino in Svizzera, e piantare la macchina nel primo posto dove si vedeva il lago. C'era un piccolo sole, e non era male, quasi caldo. Era il giorno di Pasqua, il pranzo di Pasqua. Mi sono tolta i vestiti della festa, e ho fatto il bagno. Pasqua con chi vuoi. Io non soffro il freddo. Sono stracazzi loro, capiranno poi. A uno ho fatto in tempo a farglielo capire prima che morisse. Nell'acqua dimentichi che c'è di mezzo la pelle, alla fine nasci lì, nell'acqua. Non sono religiosa, per niente, ma l'acqua è come le persone a cui vuoi bene davvero. È sempre la stessa, ma non è mai la stessa.

Cambio pelo Questa domenica faceva già abbastanza schifo senza aver lo sbattimento di dover rinascere. Rinascere uguale, per fare tutto daccapo. Rinascere miope, ristudiarsi tutto dall'inizio, asilo-elementari-medie, compresa l'onnipresente coltivazione delle barbabietole da zucchero. Se rinasco vado a lavorare dopo la quinta elementare, come mio padre. Se rinasco voglio essere Kim Deal, Se rinasco

ma io mica li lascio i Pixies. Se rinasco non voglio finire su un video di youtube. Se rinasco non voglio morire. Ma se capita, se rinasco, voglio essere bionda.

Fermare il tempo Il tempo non è mica una convenzione. Esiste. Lei è riuscita a prenderlo, ribaltarlo, a farmi credere che era tutto uno scherzo. A farmi immaginare che noi - proprio noi due - saremmo riusciti a vincerlo, il tempo, saltando a piè pari in un mondo che fosse solo nostro, dove le lancette sarebbero girate all'incontrario, e il sole avrebbe rincorso la luna in una notte, o un giorno, senza fine. Era una storia di numeri, a ben guardare. È durata dieci anni, io avevo diciassette anni e anche lei diciassette, ma più di me. Ho conosciuto il suo vero nome solo dopo otto anni. Ci siamo visti cinque volte in due anni, ogni volta in una città diversa, città che io non conoscevo, città che spalancavano davanti a noi un cielo infinito di opportunità e mondi possibili. Ma la vita, quella vera, è un tritacarne, e trasforma i sogni in brandelli sanguinolenti. Ci perdiamo, dentro ai giorni, senza perderci mai veramente. Le scrivo ancora e una volta, alla fine dell'anno, le scrivo “buon anno, chiunque tu sia”. Lei mi risponde solo “io sono io”. Una frase che in nessun modo riesco a smentire. Passano altri anni, io cresco, studio, imparo a stare in piedi, a vivere senza farmi troppo male, ma lo stesso lei c'è in ogni pensiero, mi toglie l'aria in ogni respiro, il suo viso è quello che vedo nel buio dietro agli occhi quando li chiudo per addormentarmi. 14


È la mia ossessione, lo so, ma la vita senza di lei mi sembra soltanto un film in seconda serata, che nessuno guarda, quando dormi davanti alla televisione e sogni già domani. Che cosa credi, che sia facile morire per qualcuno? Un giorno come tutti gli altri la cerco - la differenza è che questa volta è lei a volermi. Gli anni le si sono rovesciati dentro e sente tutto quello che ho sentito io, fino a quel momento. Lei mi chiede di sposarla e io dico di sì. Decidiamo di farlo a ottobre, quando cadono le foglie, perché tutti trovano che sia una cosa triste tranne noi due, e allora vuol dire che è il mese giusto. È finito tutto in primavera, o forse non finirà mai. Lei sarà sempre la mia vita parallela, la mia anima gemella, uno strano sogno che nessuno conosce e forse neanche io, fino in fondo. E che cosa credi, che sia facile morire per qualcuno? È facile.

Fufi, che dici? Ti aspetto alla toilette. La toilette è un WC-BOX chimico con uno specchio e le trame geometriche, rosso su rosso con qualche inserto nero. Non c’è ancora puzza: solo un odorino chimico-sterile-piacevole, e soprattutto c’è la pioggia sul tetto, che fa una bella atmosfera. Il problema è il freddo sulle chiappe e sul pube, il pube che tu accarezzavi, lo chiamavi Fufi. Mi dava un po’ fastidio, ma non troppo. Lo guardo e mi sussurro: Fufi! Alla porta hanno bussato in cinque.

Solo uno ha provato ad aprire: prima dolcemente, poi un po’ più forte. Prima piano, poi un po’ più forte, come dicevi tu. Ho anche pensato che le cinque persone in realtà erano una sola, che ha bussato cinque volte e poi ha provato ad aprire – prima piano, poi un po’ più forte. Ho pensato che forse eri tu, ma poi ha provato a scardinare la serratura e poi ha detto: “C’è qualcuno?” Sono stato zitto. Non eri tu. Piove sul tetto. Fufi è infreddolito. Forse potrei vivere qui per sempre, aspettandoti, e mi porteranno via forse, mi caricheranno su un → Giuro lo faccio

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camion con qualche scossone, e poi metteranno in moto, eccetera, e chissà dove finiscono i WC-BOX chimici. Poi ho pensato: un cesso chimico, rispetto al pianeta Terra, è un po’ come il pianeta Terra rispetto all’intero universo. E chissà dove finirà il pianeta Terra. Se esco di qui, giuro che mi impegno a salvaguardare l’ambiente.

La piccola vandala Terza media, pianura cremonese. Io Sanguecaldo e la bidella Culogrosso. Io pedalavo su una Graziella Blu, lei guidava una Regata Grigia, eternamente accostata, nel parcheggio, al leggendario pino marittimo del cortile. Culogrosso ce l'ha con me. Non mi fa mai la cioccolata. Agli altri la fa, a me no. Le spaccherei la faccia! Ma è forzuta e me le suonerebbe. Idea: le sgraffio la portiera! Sìì! Una bella X tipo Xorro!

Era tutto perfetto, il piano perfetto. Ma mi confido con Schienadivetro, una a cui piaceva cantare, ma allora non lo sapevo. La malavita paga, ma la vita regala. Non sgraffierò mai più la macchina a nessuno. Parola di tredicenne cresciuta troppo in fretta. Giuro lo faccio

Porno Food La cosa è nata all'improvviso. Sono partita da una sottiletta, ho sempre pensato fosse il cibo più porno. Mangiavi direttamente dalla plastica, la sera tardi davanti alla tv, in penombra. Il parallelo era con la masturbazione: sentirsi in colpa, senza essere vista, mangiare con le mani. Poi ho cominciato a individuare cibi pornografici, perchè c'era il paragone con il sesso: ho sempre avuto la sensazione, quando entravo in un McDonald, di uno che entra a vedere uno spogliarello.

Ti dà quella sensazione di proibito, di sbagliato, di qualcosa che muori dalla voglia di fare, dunque hamburger + fast food + revival anni '80 + Spuntì + insalatissime Rio Mare, oppure il purè Pfanni, una polvere gialla che con l'acqua diventa purè. Il trionfo della chimica, contro natura. Cibi fantascientifici, che piacciono a tutti, e nessuno ne parla. Soprattutto le donne. C'è un forte pudore nel dire “Sì, lo mangio, sì, mi tocco, mangio cazzate, prendo il cazzo in bocca.” Per questo, “pornografie alimentari”: sono cose che tutti sentono il bisogno di fare, di farsi, ma nessuno lo ammette. Tutti dicono “Mi sono fatto un'insalata di farro”, ma tacciono come una colpa il McDonald. 16


Poi c'è una derivazione di cibo nazional popolare, come adesso per Natale le alici piccanti, o il dattero col ramo di palma di plastica. Sembrano creature aliene che una volta l'anno sbarcano sulla Terra, per il resto dell'anno non esistono. Una forma aliena, la personificazione del cibo: essere consumata in quel momento, senza fare una parola di sé. Ecco cos'è il cibo, sono sempre stata una persona a cui piace mangiare. È stato anche un mio grosso problema, ho avuto disturbi alimentari gravi. Sempre questa ambivalenza, e una fascinazione estrema che si trasformava nella sofferenza più grande. Passato questo periodo, è rimasto solo l'esorcismo porno-alimentare come fatto positivo, e la voglia di scagliarsi contro le donne, che devono sempre far veder che non mangiano, che non hanno fame, che non sono esseri umani. Perchè gli esseri umani hanno bisogno di mangiare.

Noi non preferiamo aspettare fuori Sono solo un bastardo con il pelo rasato. Nero, con una macchia bianca ad evidenziare il mio contorno occhi, profondi e assenti. Sguardo in cagnesco. Il mio padrone indossa un kilt, ma più che scozzese o irlandese sembra un napoletano a Carnevale. Suona il banjo, nessun pezzo in scaletta, tutto improvvisazione. Mentre lui sta sul palco io me ne vado in giro per le feste, in cerca di sguardi e di carezze, di solito date da chi, fumando una sigaretta, non sa che fare. Cerco sguardi, perchè le voci proprio non le sopporto, e se giro ad orecchie basse non è perchè sono triste, ma semplicemente non ho voglia di ascoltare. Perchè mi sento solo come un cane, un cane nero qualunque, ma felice di bere tutte le gocce di birra che cadono dai vostri bicchieri.

Blatte e miele Non è proprio sesso, è più platonico, ma è verso un animale. Un colpo di fulmine: alla tenera età di 20 anni suonati, il mio ragazzo mi porta a una fiera di insetti. Ce n’erano tantissimi orripilanti. Dentro una scatolina vedo questo insettone nero, corazzato, con antenne favolose. Era uno scarafaggio. Ero indecisa se fosse l’essere più schifoso del mondo, o se fosse bello. Solo un attimo di dubbio, poi subito, e per sempre, mi è parso bellissimo. Come quando ti portano a vedere gli animali pelosetti - il cagnetto, la gat→ tina. Neanche te lo immagini

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Allo stesso modo, io sono rimasta affascinata da un essere straordinario. L’ho comprato, portato a casa, presentato ai miei. E i miei genitori totalmente sbigottiti. “È una blatta soffiante del Madagascar”, ho detto loro. Avevo studiato gli insetti a scuola, avevo fatto Agraria, poi all’Università Entomologia. Ma da quella fiera sono diventata un’allevatrice. Ho portato a casa una coppia, dopo un po’ di tempo nascono i piccolini, una gioia indicibile, e poi i nomi: gronphadorina portentosa, ellipthorina javanica... Bellissimo guardare le loro storie nel loro piccolo mondo, riti gerarchici, balli, duelli per accaparrarsi le femmine migliori. Sembrano tori che si scontrano con potenza sovrumana. Li nutro con dei croccantini appositi, pond stick d’importazione, prodotti in Germania. Devi stare attenta a che non scappino, costruirgli la casetta e d’inverno il riscaldatore, tipo la copertina dei piedini che ti metti in fondo al lettino. D’estate stanno da Dio. Me li sono fatta anche tatuare, sulle spalle, come spille. Su internet tutti a dirmi “Che schifo”. Dal vivo invece, quando calo la spallina spacco. C’è gente che si innamora di uomini che sono scarafaggi, io mi sono innamorata direttamente degli scarafaggi. Poi, quando muoiono, li butto nel cesso e tiro l’acqua.

Fai la brava Me la ricordo la volta che R. mi ha dato della troia. Guardava in alto e nemmeno ci riusciva a reggere il mio sguardo. Quella mattina non era stato molto fortunato con me. Neanche te lo immagini

Me la ricordo perché R. era uno dei pochi che ancora non si era permesso di essere aggressivo con me. Era sempre stato gentile, con il suo testone lungo e pelato, e gli occhi impallati e umidi, da persona buona. Dagli altri, ero abituata anche ai calci, ai pugni, alle offese, alle sberle.

Avrei potuto riconoscerli ad occhi chiusi, tante ne ho prese. C’era M. che iniziava con piccoli calcetti timidi, nelle parti basse, ma ad ogni calcio, sembrava prendesse coraggio e mi faceva sempre più male, finché mi prendeva a calcioni, e lo sfogo si esauriva. S. invece preferiva usare le mani: mano aperta, cinque dita tozze, sulla faccia, forte. Me le meritavo, diceva, perchè “non facevo la brava”. Perfino la vecchia signora F. s’è lasciata scappare qualche sberlotto, nei momenti peggiori, e i peggiori insulti. Fanno così ogni volta che non sono molto fortunati con me. Si aspettano sempre che io possa cambiargli la vita. Ma io cosa c’entro con la loro vita? Sono solo una slot machine. 18


Le mani nella terra Con le mani nella terra ci sono nato. Mio nonno era ceramista, mio padre scultore, io vasaio. Ho imparato. Ho anche insegnato - ceramica, tornio. Adesso, ti dico che non funziona più, la gente non ne vuole più. Il mio primo vaso è stato fantastico. Ho cominciato col tornio a pedale, a spinta. Adesso usano quello elettrico, ma la tecnica vera è a pedale. Nessuno mi sta dietro al tornio a pedale, sono veramente bravo, posso sfidare chiunque. Qualsiasi cosa, facevo. Potevo creare albarelli da farmacia perfetti, oppure si facevano delle stufe. La ceramica è incredibile. Il segreto è l’impasto della terra, con le mani, perchè se lasci dentro le bolle è finita. Quando usi l’argilla senti il mondo in mano, perché puoi modellare quello che vuoi. Io lo modello, io lo faccio. tu mi dici fammi questo, io lo faccio. Vuoi una biscottiera con due animaletti sopra, facciamoli. Quello che vuoi. Ti dò il mondo, ti faccio tutto, dal precolombiano al Bauhaus. La ceramica è la creatività totale. Se vuoi, ti rifaccio da capo il vecchio salvadanaio, maialino o ippopotamo. Quello vero, che devi spaccarlo per aprirlo. Ho avuto la bottega, poi l’ho mollata. La cosa è cambiata davvero, dieci anni fa. Oggi è tutto cambiato. Questi ragazzi sanno fare tutto col dito, col telefonino, ma senza l’energia, con le mani, non sanno fare niente. I ragazzi vogliono roba di plastica, elettronica. La terra non gli dice niente, non hanno nemmeno i piedi per terra, figurati metterci le mani. Ma quando ho cominciato a insegnare, ho cambiato la vita ai miei allievi. Mi hanno ringraziato. “Sei un angelo”, mi hanno detto.

L’hanno capito: un pezzo unico ti permette di esprimerti, ti riporta alle basi della vita, creare con le tue mani. Fare altro non posso, devo fare quello, creare con la terra. È il mio mestiere.

Una volta nella vita Ho visto una cosa che tu non vedrai mai. Una cosa che la maggior parte della gente non vedrà mai. In mare. Era il tramonto, c'era un'atmosfera ovattata, forse per il clima umido di quelle zone tropicali. Quando navighi, a volte, serve restare ancorati per ammirare l'orizzonte, per avere dei riferimenti. E poi, nell'unico attimo in cui mi sono girato e il mio sguardo si stava perdendo all'orizzonte, lo vedo. Il salto fuori dall'acqua di una balena.

Nessuno è preparato a vedere un animale gigantesco uscire dall'acqua, è un gioco di masse che cambiano, di forze coinvolte, masse grandissime. Si sposta un mondo di acqua che potrebbe capovolgere l' imbarcazione. Ci sono persone che hanno navigato per cinquant' anni e non hanno mai visto niente di simile. Ti capita una sola → volta nella vita. 19


United Emirates of America Molta attenzione, grande cautela, precauzioni. Posto di blocco, sbirri, paura, via libera. Albergo, camera,porta richiusa a doppia mandata, tende oscurate, poi è fatta. Dallo zaino tiriamo fuori il sacchetto nero, dal sacchetto la bottiglia. Che gioia, che felicità, che scaltrezza, che spesa, che rischio. Neanche te lo immagini cosa sia bere con il Proibizionismo. Neanche te lo immagini cosa erano gli anni '20 in America. Finché non ti capita di dover fare un lavoro negli Emirati.

Neanche te lo immagini

Fare il giro Questa è una bella storia, anche se inizia come una brutta storia. Alle sette di sera stavo lavorando in una scuola, facevo colloqui. Finisco di lavorare, prendo la macchina e penso: mi fermo dai nonni, i miei fantastici nonni, nonno Stefano e nonna Santina, mamma di mia mamma. Poi mi dico: ma no, stanno cenando, li disturbo. Tanto li vedo a S. Stefano. Il rituale della famiglia è incontrarsi a S.Stefano, all'onomastico del nonno. Alle nove meno un quarto ero al pub, stavo bevendo una rossa, aspettavo un bel concerto e mi arriva una telefonata dalla mia sorellina, dieci anni meno di me, molto sensibile, molto fragile. Ha la voce strozzata, e mi dice: la nonna Santina è morta. Ma come, quando, cosa? Stava benissimo, mai un acciacco. Confusa, prendo la macchina, torno indietro, sbaglio strada tre volte. Sarà stata la birra, la paura, il panico. La nonna Santina si era addormentata guardando un film accanto al suo uomo. Senza un sussulto. Una morte dolce, guardando la televisione insieme. Aveva 84 anni. È morta alle 20.30, e la cosa assurda è che non è morta solo lei, quella sera, a quell'ora, ma anche mia prozia, sua sorella, 82 anni, che abitava sotto, di fronte. Proprio alla stessa ora, lo stesso giorno, muoiono tutt'e due, a distanza di pochi metri. Zii che urlano, è morta la nonna, è morta la prozia, sono morte tutte e due. Forse volevano passare il Natale insieme, nella stessa corte. La zia soffriva di demenza senile, si è lasciata andare. La cosa bella è che mia nonna ha dodici nipoti e due pronipoti, ed eravamo tutti lì. Siamo arrivati tutti lì con macchine diverse, storie diverse, Una bella storia

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e abbiamo ritrovato le nostre storie con la nonna, la nostra memoria, che rimane nonostante la morte, guardandoci negli occhi. La nonna Santina ha fatto questo miracolo, ci ha fatto ritrovare tutti lì, morendo. E alle nove e mezza, la cosa allucinante: la coniglia del nonno, ha partorito 24 coniglietti. Da qualche mese, mia figlia di 4 anni e mezzo mi chiede che cos'è la morte, e qualche giorno fa, forse l'ha sentito dire da qualcuno, mi dice: la morte è come fare il giro, nasci, diventi vecchio, muori, e poi rifai il giro, o da uomo, o da animale. E così, mia figlia di 4 anni mi ha detto questo: la nonna ha fatto il giro. Al funerale, con la sofferenza totale di salutare la nonna, mamma di mamma di mamma, mamma all'ennesima potenza, quando l'hanno chiusa, prima di chiuderla, ogni nipote, tutti i 12 nipoti, abbiamo preso una rosa bianca e l'abbiamo lanciata con la foto fatta l'anno scorso, con i nonni e tutti i nipoti. Negli occhi dei miei cugini ho rivisto la nostra storia, la nostra origine, il nostro legame. La morte c'è, arriva, la vita finisce, ma l'amore no.

Giù in taverna Mio padre vive in taverna da quando è in pensione. Tutto è cominciato un giorno qualunque del 1998. Egli disse soltanto: "Vado in taverna a stendere alcuni appunti", e da quel giorno non lo abbiamo più visto, se non per mangiare e dormire (in taverna c'è il bagno): tempo richiesto 10 minuti. Il motivo della sua autosegregazione?

Compilava sei - 6 - agende contemporaneamente, ognuna riguardante un aspetto della sua intensa vita da pensionato sotterraneo: 1 cosa ho mangiato, 2 medicine che prendo, 3 quella del cane, 4 quella del tempo, 5 cosa ho comprato, 6 quella dell'elemosina (quanto ho donato oggi?).

Per anni, noi abitanti della superficie, ci siamo chiesti perché si rifugiasse in tale antro autistico. C'era chi voleva estrarlo e chi voleva murarlo, ma la ragion di stato-famiglia prevalse in un amorevole "lasciamo stare", perché in quella taverna misteriosa e intima, il nonno aveva trovato un equilibrio che nessuno di noi vanta: il dono del Funambolo sulla Fune del Sottosuolo. Se cerchi la verità, devi scavare. E scrivere.

Bassa frequenza C’era una volta uno, cioè io, che lavorava di domenica in un posto della Bassa che ti mette in moto e dà la carica, e non per dire: è una ditta che produce batterie per auto. → 21


Com’è, come non è, la faccio breve: a un certo punto ho minacciato un mio collega col taglierino, così, giusto perché mi stava sul cazzo. Lui mezzo marocchino mezzo egiziano, io ignorante come pochi. Poi siamo diventati amici, adesso fumiamo insieme. Siamo amici ma, cioè, lui sta a casa sua, io sto a casa mia. Mi sono dato una calmata, prima ero troppo carico ma nel modo sbagliato. Adesso mi vorrei sposare. Ce ne sono tante qua. Ho idea che mi sposo. Dovevo venire nella Bassa per trovare la donna.

Millefiori Lo avevo chiamato Miele perchè aveva il manto come un barattolo di miele millefiori. Poi il ragazzo che me lo aveva regalato era un poeta, aveva scritto una bellissima poesia d'amore dal titolo “Miele”. Alla mamma piaceva, piaceva anche me.

La mamma mi ha detto che se Miele non è castrato, c'è il rischio che scappi, che corra appresso alla sua innamorata fino in capo al mondo, perdendo la strada di casa. Io sono pronta, sono pronta a perderlo, perché preferisco immaginarlo libero e felice dietro la coda della sua gatta, che pasciuto e senza palle a farsi rimpinzare di crocchette e bocconcini. Miele è scappato che aveva due anni e quell’estate io ho conosciuto il mio ragazzo.

La promessa Io avevo 15 anni, adesso ne ho 57. Mio marito 19, adesso non lo so. Io avevo il bar, ma non bevevo. Lui beveva, eccome, ma beveva sempre caffè. Anche 10 volte al giorno. Una volta si usava fare le feste in casa, e lui mi ha invitata. La festa era a casa sua. Io ci sono andata in treno. Il giradischi tuonava Pink Floyd e New Trolls. Mi ha fatto tre domande. Se gli piacevo. Se volevo frequentarlo. E se volevo, dopo aver passato insieme 40 anni, andare ancora con lui in birreria. Ho risposto tre volte sì, e stasera eccoci qui, 40 anni dopo.

L’ultima notte Miele mi piace proprio. Non lo voglio fare castrare. La mamma dice che se lo facciamo castrare lui non potrà più fare l'amore, trovare un'innamorata. Io non voglio che resti solo, voglio che anche lui trovi una gatta e i gattini per formare una famiglia. Una bella storia

Notte di freddo, notte che fuori piove, notte che intorno più niente si muove, la notte più lunga, il buio più nero, notte che scava in ogni pensiero, via le paure, fuori ogni affanno, notte che inizia un nuovo anno, l’inverno dura solo una sera, se sorridi, è già primavera. 22





Storie di sesso


Avevo bevuto — Pre Funeral Party — Jabba the Hutt — L’importanza di bere bene — 9 Mio nonno era garibaldino

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Chiamami — Fallo — Big Boobs — La testa altrove

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Non così veloce — Sveltina a Las Vegas — Stendiamo un velo — Vi muovete?

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Non può funzionare — La persona fantastica — Cinque stelle — Si avvicinava sorridendo — Tutto in tre sguardi — Ttt e xl — Il cavaliere nero — Troppo diversi

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Indice storie di sesso



Pre Funeral Party Non amo scrivere, mi costa fatica. Ed ho pure mal di testa. Eppure qualcosa mi costringe. Sarà. Ed ecco la storia. Vera. Almeno per me. Che poi il tempo fa il suo dovere, lucidando i ricordi, rendendoli più splendidi di quello che fu. Negli anni ‘50 una famiglia italiana, bergamasca, lasciò il suo paese per cercare fortuna in Belgio. Fabbrica o miniera. La famiglia aveva un cognome che tradisce radici profonde. Paesani. Contadini. E sono miei parenti, cugini di mia madre. Alla fine degli anni ‘90, non ricordo l’anno, la mamma degli emigranti muore. Per me era una sconosciuta, ma per mia nonna era come una sorella. Quindi funerale, quindi viaggio, in Belgio, con la nonna.

Carico mia nonna in auto e partiamo per Liegi. Resteremo in Belgio quattro giorni. Belli. Pieni di dialetto e abbracci. Una sera questi cugini alla lontanissima mi invitano ad uscire con loro. Vogliono farmi divertire, perché il funerale è una cosa seria ma per gli “emigranti” la famiglia italiana in visita è un regalo prezioso. Mi scorazzano per locali stracolmi di giovani. Il centro storico di Liegi è pieno di birra che scorre a fiumi. Mi ubriaco. Presto e bene. Li perdo. Sono così ubriaco che non posso ritrovarli. Mi lascio trasportare dalla corrente. Avevo bevuto

E la corrente mi lascia tra le braccia di una ragazza. Sono così annebbiato che la vedo bellissima ma non capisco che viso abbia, che corpo abbia, che sesso abbia. Per me è una ragazza bellissima. Piano piano albeggia. Resto con lei fino alle sei di mattina. Il giorno del funerale è arrivato, ma io sono sdraiato con lei ai piedi di un negozio, sul marciapiedi, sporco, sbronzo e sfinito. Non so dire quanto e quale sesso abbiamo fatto. So solo che l’ho amata davvero. Poi ho preso un bus. Sono arrivato a casa in tempo. Mia nonna mi aspettava. Stranamente serena. C’era il funerale.

Jabba the Hutt Brescia. Anno non lo ricordo. Tempo, di merda. Tipa del posto in grinta mi prende di mira, e parte all’attacco. Mi bombarda a montenegro, uno via l’altro. Al 15esimo mi dà l’assist: “Abito qua dietro”. Le guardo le chiappe e penso “Un bilocale”. In preda ad euforismo alcoolico e presobenismo ingiustificato, accetto l’invito e vado nella tana della lupa. Pensandoci bene, la Lupa era più carina di lei. Arrivo, mi spoglio e vado a cacare (il montenegro fa cacare). Esco dal bagno, lei si spoglia e io ritorno a cacare. Salto in camera e trovo Jabba The Hutt sul letto. Campo scuse sul mio cazzo e ritorno a Bergamo in treno. L’alcool non sempre ti fotte, a volte ti salva anche. 29


Cheers! Birrificio Indipendente Elav www.elavbrewery.com


Clock Tower Pub Viale del Partigiano, 33 — 24047 Treviglio, (BG)

Osteria della birra Piazza Mascheroni, 1/c — 24129 Bergamo Alta


L’importanza di bere bene La notte era ancora giovane e il mio sangue ancora troppo denso. Stavo vivendo un periodo incerto della mia vita. L’indecisione, la tristezza e gli spettri di un futuro ignoto e nebbioso mi attanagliavano. In quei momenti bevevo. Bevevo molto. Quella notte, lei si avvicinò a me. Inizialmente non ci feci molto caso, ero troppo immerso nei miei pensieri. Ma, più birre bevevo, più il mio interesse per lei cresceva. Quando il mio tasso alcolemico fu abbastanza alto, presi coraggio e le chiesi di uscire per concludere la serata da me. All’inizio si dimostrò titubante, ma non ci volle molto a persuaderla. Fu una notte strana, particolare, intensa. Non saprei ancora oggi come definirla. Una di quelle serate in cui non importa chi ti porti a letto, importa solo quanto hai bevuto. Ed è proprio in quei momenti che i tuoi problemi svaniscono e ti rendi conto che, in fondo, non c’è nulla di irreparabile. Quella notte avevo bevuto, e fu una notte indimenticabile.

Lei ne fu molto colpita, mi dava ragione, mi stava incollata... Quello che accadde poi non lo ricordo, ero troppo ubriaco. Pochi giorni dopo mi arriva una lettera, è lei, e mi confessa tutte le più intime emozioni che ha provato grazie a me, e così ricostruisco quello che era successo: sproloquiando di secessione, eravamo finiti al cesso a fare l’Unità d’Italia.

Mio nonno era garibaldino C’era questa ragazza del sud, e io avevo bevuto. In preda al delirio alcolico avevo tirato fuori certi discorsi politici non troppo simpatici per una persona del sud e con parecchia foga. Avevo bevuto

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Fallo Chiamami sul fisso. Chiamami on line, chiamami sul cellulare, chiamami in ufficio. Chiamami a voce, chiamami per strada, chiamami in macchina. Chiamami in qualunque momento, in qualunque giorno. Chiamami per qualsiasi motivo, per un momento, per delle ore. Chiamami per lavoro, per amicizia, per due chiacchiere, per noia. Chiamami per fare sesso, per fare silenzio, per piangere, per ridere. Chiamami per scherzo, per soldi, per cattiveria. Ma chiamami.

Big Boobs Al mare in colonia, era il 1996. Avevo tredici anni, le tette mi erano cresciute da spavento. Non sapevo dove metterle. In seconda media avevo due tettine a punta, in terza una quinta strabordante dura e soda, e così ero complessatissima per queste mega tette anzitempo. In colonia sono tutti più piccoli di me, ma c'è un ragazzo che mi avvicina, mi parla. Lo guardo, è vicinissimo. Lui di Milano, io più alta di lui, e le tipe di Milano tutte innamorate di lui. L'ultima sera c'è un quarto di luna rossa che imporpora il mare, capisci, e portavo panta pinocchietti rosa e una t-shirt di Kurt Cobain, ed ero complessatissima. Le tette, l'altezza, l'accento bergamo-magùt, e lui proprio di Milano centro. E invece ecco il mio primo bacio, davanti al mare, al tramonto. A tredici anni. Chiamami

Un ragazzo bellissimo, un bacio fantastico. Lì ho capito che le tette, d'accordo, è vero, possono essere un complesso. Ma anche un complesso rock.

La testa altrove Ero una ragazza felice. Io e lui convivevamo da due anni, stavamo insieme da sei. Ma ero divisa in due, questo è il problema, come se alcuni pensieri mi si insinuassero nella testa. Cioè: c’era quest’altro, ci sentivamo da quattro anni, ma non regolarmente. Era una cosa così, un modo di evadere. Sì, qualche volta pensavo a lui mentre scopavo col mio ragazzo, ma non avrei mai fatto niente nella realtà. Sarei potuta andare avanti per anni, e sarebbe andata avanti così, se il mio ragazzo non avesse scoperto le nostre conversazioni su Facebook. Che erano pesanti. Ci scrivevamo che volevamo farci cose di sesso. Mi sentivo una quindicenne, controllavo le risposte, i messaggi, di continuo. Volevo smettere, ma non riuscivo. Io pensavo che col mio ragazzo sarebbe stato per sempre. Adesso non sappiamo cosa fare: il mutuo, la casa, il cane. Ma la parte più triste è che quando sono uscita con l’altro, quello delle conversazioni, e abbiamo iniziato, quasi scopavamo in macchina. A un certo punto pensavo sarebbe stata la scopata del secolo, ma lui s’è accorto di qualcos’altro, mi ha detto che sentiva che avevo la testa da un’altra parte. Finito tutto lì. Adesso spero. Chiudo gli occhi, penso al mio ragazzo. Col pensiero gli dico: chiamami! 33


Sveltina a Las Vegas Estate a Las Vegas, serata in discoteca. Dovevo essere perfetta. Avevo un toppettino che mostrava tutti gli addominali, i pantaloni a fiori stile hippy, scarpe tacco 12.

Ok! Mi accompagna al mio piano. Davanti agli ascensori ci sono due divanetti e lì iniziamo a... Ad un certo punto esce uno dall’ascensore e mi vede lì mezza svestita.“Dobbiamo spostarci da un’altra parte”. Finiamo alle macchinette delle bibite e delle merendine, lui molto carino, la situazione quasi romantica, ci appollaiamo dietro una macchinetta e lo facciamo. È durato cinque minuti di numero, forse neanche. Se vogliamo entrare nei particolari, lui era in una posizione molto scomoda quindi non era in grado... era più attratto dai miei addominali che dal resto! Ma già dal drink pagato avrei dovuto capirlo che ero io l’uomo.

Stendiamo un velo

Ero l’unica ragazza insieme a quattro amici, ma arrivata lì, li perdo, e rimango completamente sola in questa discoteca enorme con ragazzi tutti americani. Balliamo, eccetera, finché mi propongo a uno che sembrava un attore: “Would you like drink something with me?”. E lui: “Yes, ok”. Go! Andiamo al bar. “Two drinks, long island and gin lemon”, ma questo non tira fuori la carta! “Qua finisce male”, mi dico. Pago i due drink, beviamo, parliamo, beviamo, parliamo, io capivo sì e no. Gli faccio: “Andiamo nel tuo hotel”. E cosa fa lui? Mi blocca a parlare parlare parlare... Allora dico: “Andiamo nel mio hotel”. Non così veloce

Ferragosto, i miei genitori in vacanza. Organizzo un festino con la mia fidanzata. Serata hard, molto hard, con feticismi come “fare sesso sul letto dove i miei genitori probabilmente fanno sesso settimanalmente, quindi in realtà le cellule epiteliali dei miei ancora hanno un pochino di vita e io le raccolgo col mio corpo intento a fare sesso” ( è disgustosoooo). La camera dei miei genitori però mi inquieta, e per creare un minimo di atmosfera prendo un'abat-jour, la fisso sopra alla testata del letto e la copro con un piccolo velo di finta seta. Luce perfetta, il profumo di fiori di zagara ti fa sentire al cimitero, ma ok. L’atmosfera si riscalda, santo cielo, si riscalda davvero. Inizio a sentire davvero caldo, cazzo durissimo, puzza di bruciato. Per fortuna spengo tutto con il mio getto precoce, sono un idrante. 34


La finta seta aveva preso fuoco, il divano aveva preso fuoco, la fidanzata è rimasta scottata, mezza camera distrutta e io nella merda.

Trovare un tappezziere + imbianchino a Ferragosto, cazzi durissimi.

Vi muovete? Siamo in bagno insieme, lei si sta truccando. Siamo in vacanza. Io la guardo, di spalle. Stiamo iniziando a... quando un mio amico mi chiama al cellulare. Chiacchiere, inutilità, stronzate. Ma la fiamma resta accesa, anzi, aumenta. Mi riavvicino, ricomincio. Il fatto è che in vacanza eravamo due coppie. Noi e l’altra coppia. L’altra coppia bussa alla porta. Era ora di cena: “Ragazzi! Vi muovete?!” “Si, arriviamo, un momento”. E intanto stiamo facendo... “Oh! Allora, vi muovete?”. “Veniamo!” ho detto, e nel dirlo sono venuto. E dopo 9 mesi è nato nostro figlio. Giuro.

La persona fantastica Lui è stata l’unica persona con cui ho fatto sesso dalle quattro del pomerig­ gio fino alla sera. Mi ha dato questo piacere per sette mesi, stavo bene, avevo 23 anni. Poi un giorno si è svegliato e mi ha det­ to basta. Fine. Una di quelle persone che danno il 100% a tutti in qualsiasi tipo di relazi­ one, anche amicale, non solo ses­ suale. Ma la tragedia è questa: la persona fantastica a un certo punto si stanca, ed elimina le persone. Ecco cosa mi è successo.

Cinque stelle Nel tempo non poteva funzionare, ma quel momento era fuori dal tempo. Lei era la donna più bella del mondo e io il solito sfigato. Ma quella sera, non so come, ero riuscito a dirle “Lasciami provare a farti una carezza”. E la carezza era partita dall’esterno ed era finita all’interno coscia. Io senza smettere di parlare, lei senza smettere di ridere. Le dicevo: “Guarda, non ci pensare, non ti impressionare, lasciati andare.” Chiudi gli occhi, non ci pensare, è solo una leccatina, un paio di leccatine, adesso ti penetro ma non ci pensare, senza impegno, scopo relax. Tu non devi fare niente, cerca pure di dormire. Adesso, dopo qualche colpo lo sento, sei sempre più bagnata e tra poco, con tanto benessere, arriverai al massimo della passione col massimo della passività. Lo senti, piano piano ti sto massag­giando il buchetto piccolo. Non ci pensare, sono cose da fare, pri­ma o poi, e ti servono sempre. → Non può funzionare

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Sono cose da conoscere. I muscoli diet­ro sono fatti per espellere, per questo la sodomia è detta contro­natura. Ma anche l’arte è contronatura, anche il genio, anche l’orgasmo estatico, e poco alla volta anche tu arriverai all’orgasmo anale. Fatto così mi sembra che funzioni, mi ha detto alla fine, la sua unica frase. Io avevo la lingua completamente secca, tra il parlarle e il resto. Del resto è questo il metodo spesso vincente del rospo, per farsi gratis la figa cinque stelle: parlarle come un grillo.

Tutto in tre sguardi La prima volta l’ho visto a un matrimonio. Nel vestito delle grandi occasioni, ero la copia sgraziata della Principessa Sissi. A me piace camminare a piedi nudi, odio le scarpe, figuriamoci con 12 cm di tacco. Mesi dopo, alla cena di una fondazione, e camminando in un prato per la noia tra un prosecco e l’altro, pensando alle ballerine di Toulouse-Lautrec, trovo ancora quello sguardo. Lo sguardo di chi si volta per caso, e l’occhio rimane sorpreso ed ammaliato.

Si avvicinava sorridendo Aveva la giacca più assurda del mondo, a quadratini microscopici bianchi e rossi. Se la guardavi troppo ti facevano male gli occhi, come quando guardi la televisione e ci sono quelle righe bianche su sfondo nero che in tanti chiamano "neve". In realtà non mi importava nulla di quanto fosse strana la sua giacca, quello che volevo era solo appoggia­rci la testa, vicino al suo collo, in quel punto in cui hai la sensazione di poter mordere l’arteria carotide e fare us­cire così tanto sangue fino a morire, fino a farlo morire, in quel momento in cui senti che la sua vita è nelle tue mani e tu potresti farla finire da un momento all’altro, se solo lo volessi. E invece non vuoi, anzi, vorresti che durasse per sempre. Pensavo a tutto questo, mentre lo ve­ devo sorridente avvicinarsi a me. Poi mi sono accorta che sorrideva alla mia amica, proprio dietro le mie spalle. Peccato. Non può funzionare

Ho ancora in corpo il riflesso di quello sguardo. E poi l’ho incontrato un anno dopo al “Festival della Mente” di Sarzana, ad una conferenza su Amore e Creatività. Hanno parlato della grandezza dell’essere rifiutati. L’amore è anche più forte del rifiuto, dicevano.

TTT e XL Lo chiamavano il TTT. Sparava caz­ zate a profusione e si diceva che la CIA avesse rubato un campione della sua gelatina per capelli per inventare e commercializzare il Super Attak. 36


Da dove veniva nessuno può dirlo, ma tradiva origini latine a causa della sua sfrenata passione per il sesso. E fu proprio il suo demone a tradirlo. Si innamorò di XL, la barista dalle tette atomiche, famosa per le sue strambe idee di contrabbandare sex-toys con il Vaticano. Tutti andavamo fuori di testa quando il TTT metteva su i dischi giù al pub, la birra diventava il nettare dell’eterna giovinezza e noi nuotavamo nei nostri corpi come pesci nell’ampolla di Net­ tuno. Quando vedemmo XL andarsene via su un tacco 12 con dietro il TTT che ti­ rava un troller da un quintale, abbiamo capito tutto. Nessuno ha parlato, nessuno se l’è sentita di fermarlo, perchè il TTT era così: nessuno poteva dirgli che cosa fare, perché lui poteva fare tutto. Non vedemmo più il TTT e nemmeno XL. Quando, dopo qualche anno, sentim­ mo dire che c’era un santone droga­ to che guariva miracolosamente le malattie degli organi genitali femminili, un brivido ci percorse la schiena, mentre ci guardavamo attoniti. Negli occhi la stessa certezza, il TTT è tornato.

Il cavaliere nero

nella sua macchina, con gli W.A.S.P. a palla mentre mi dico “rilassati, è solo una storia di sesso”, lui, pensando di fare colpo, riesce a dirmi: “Cavalcami, sono il cavaliere nero”.

Nemmeno come storia di sesso poteva funzionare. Detto questo, detto tutto.

Troppo diversi Io sono sadico, tu masochista. Io voglio dormire sul lato destro, tu sul sinistro. A me piacciono le donne, a te gli uomini. Non può funzionare, siamo troppo diversi.

Era un periodo buio, il tipo che mi piaceva non mi cagava, e da chissà dove sbuca fuori questo mandrillo, un incrocio tra Lenny Kravitz e uno zingaro. Mi offre da bere e mi dice: “Sei carina, dammi il tuo numero”. Ci esco, provo a parlarci. Occhi neri, espressione da duro. Ma è davvero vuoto, niente, lunghi minuti di silenzio davanti a una birra. Poi, nel buio del parcheggio, infrattati 37




Storie di soldi


Che pacco — Blu Russia — Doors&Beers — Vernissage in Venice

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Soldi buttati — La bionda all’arancia — Come te nessuna mai — Letteralmente

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Lo faccio per i soldi — Temperatura sullo zero — Storia pagata

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Avendo i soldi — Il vichingo e la shampista — Polizei paga da bere — Solo i titoli

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Indice storie di soldi



Blu Russia Sono sull’autobus, mi guardo intorno e incrocio gli occhi più belli e profondi degli ultimi mesi. Questi occhi appartengono ad un ragazzo russo biondo, biondissimo, e sono di un azzurro penetrante. È un angelo, penso. È Natale, le vetrine sono decorate e forse vedo angeli ovunque. Mi decido: inizio a parlargli e lui mi ascolta. Poco più tardi, sempre parlando, scendiamo dall'autobus ed io lo invito a casa, a fumare una canna e a bere una birra. All’inizio sembra rude e mi dice “sei gay”, “sei frocio”, ma io rispondo che le verità è che mi piacciono le cose belle. Lui capisce, c’è una speranza. Parliamo lungo il tragitto, lui viene dalla Siberia. A casa apriamo una bottiglia di vino, gli avevo detto birra, come si dice sempre, ma in realtà non ce l'avevo. Al primo bicchiere mi racconta tutta la sua vita, un fiume in piena di parole. Scopro che ha 20 anni e ha vissuto in tutti i carceri minorili italiani. Mi dice che in Italia è arrivato a 6 anni, con la mamma che doveva incontrare un uomo. Parla di rapine e pestaggi. Beve tutta la bottiglia. Una volta, dice, ha rubato una Maserati a Milano ed è andato a Venezia. Poi mi mostra dei tatuaggi, le cicatrici di un incidente. Io pensavo ai suoi occhi. Sono un esteta e non riuscivo a smettere di guardarlo, di ammirarlo. Cerco un contatto, gli parlo, ma lui diventa violento, si incazza, mi urla “frocio di merda”. Io cerco di calmarlo con una canna, lui mi dice che non è roba buona, ma che se voglio lui conosce gente. “Per me le cose importanti della vita sono alcool e figa”, afferma. Che pacco

Ma io continuo a pensare ai suoi occhi, non mi interessa. All’improvviso afferra il mio telefono, cambia il codice e mi chiede dei soldi per sbloccarlo. Io lo affronto ma non riesco, lui è grosso. Mi prende il portafoglio e trova 200 euro. Pensa che sono ricco. Inaspettatamente li rimette dentro, si calma, io gli dico che possiamo essere amici. Lui esce, ma io mi accorgo che mi ha rubato 100 euro. Il giorno dopo lo chiamo e lui ammette. Chiede scusa e dice: “Posso portarti della droga.” Non lo farà mai.

Doors&Beers Tipo un riassunto dei miei tre anni di sfiga: mùrusa, laùrà e i solch, che vengono di conseguenza al laùrà, e poi il mutuo. E l’amore? Che fine ha fatto? E i soldi? Il problema dei soldi arriva dal mutuo. Prima era nostro, ora è solo mio. E mi tocca tornare allo specchio, una vita precaria. Lo dicevano già i Doors, la fine è sempre vicina. Però la birra è buona. Se ti abitui a questa non la molli più. Contare sempre sui tuoi compaesani. Ho tante emozioni, ma la birra chiama.

Vernissage in Venice Quest'anno incontro per caso un'amica che conosco da 15 anni, senza mai troppo confidenza, reduce da incidente traumatico e furioso che quasi le ha cambiato i connotati. Ci scopriamo appassionate di champagne e arte contemporanea. Insieme alle bollicine, si crea un affetto e la voglia di lavorare insieme → 43


a un progetto che di fatto era solo suo. Poi, tanti incontri dove io cucino e lei non mangia niente, a dieta, anzi, dice anche a me di dimagrire. Alla fine organizziamo. Lei concupisce l'organizzatore di una mostra a Venezia, io sarei l'addetta alle pubbliche relazioni. Lei, come artista, avrebbe dovuto solo presenziare in silenzio, mentre io, sculettando sui tacchi diciotto, avrei dovuto irretire con la mia parlantina eventuali acquirenti. Per cominciare, prenotazione albergo e prenotazione galleria, e quando dico “prenotazione” dico “pagamento”. Al dunque partiamo, con la mia macchina. Arriviamo a Venezia, prepariamo l'installazione. Finalmente conosco il curatore irretito, discretamente voglioso, anch'egli artista. Mentre io, martello e chiodo, monto la mostra, lei dice: “Io vado a bere, tanto non devo guidare”. Lei beve beve beve. Io mi prendo un crostino. La notte rientriamo a Sirmione, l'indomani dobbiamo ripartire per Venezia per l'inaugurazione. Ma a metà strada lei, l’artista, dice: “Sento che c'è qualcosa che non va”. Io accosto. Autogrill. Cominciamo a bere, e lei parte con una filippica allucinante. Quattro ore di discussione, dentro e fuori il bar, la macchina, i servizi. Alla fine mi dice: “Scusami, non me la sento di inaugurare con te questa mostra. Ti ringrazio ma lasciami pure qui, non ti preoccupare, ho chiamato il mio amico, passa a prendermi in Porsche”.

La bionda all’arancia

Che pacco

Soldi buttati

Bar elegante, barista bionda, in bella mostra un vassoio di arance di Sicilia, grandi, rosse, succose. “Una spremuta d’arance, grazie” Bel bicchierone, anche una certa spesa, ma io: “Grazie, buonissima, tenga pure il resto”. Il giorno dopo, stesso bar, stessa barista bionda, stesse arance. E così il giorno dopo, e quello seguente, per settimane. Ormai non dovevo nemmeno dirle “tenga il resto”, lo capiva dal mio sorriso ebete, quasi non mi salutava nemmeno, ero diventato parte integrante dell’arredamento, ma non me ne rendevo conto. Finché un brutto giorno l’asprezza delle arance e l’acidità di stomaco mandano tutto in frantumi come uno specchio che esplode e la cruda realtà mi colpisce come un ceffone: le arance non mi piacciono, non mi sono mai piaciute, e la barista bionda non mi ha mai cagato e non mi cagherà mai. “Dammi un’altra birra, Mario, e non fregarmi sul resto!”

Come te nessuna mai Sono una bionda ultra naturale, capelli biondissimi, occhi azzurri. Da sempre lo stesso tono, lo stesso taglio lungo, lunghissimo. Nel mio quartiere sono una certezza, una specie d’icona, la bionda vera. I miei capelli sono un vanto, morbidi e profumati. Ogni uomo li sogna come il miglior cuscino su cui risvegliarsi. Non so come, due giorni fa, una mia grande amica mi convince a fare la prima tinta della mia vita. “Con i tuoi occhioni, da nera saresti una gran figa! 44


Vedrai quanti ti moriranno dietro!” “In realtà di uomini non ne mancano. E l'affetto pure...” “Non hai capito! Io non parlo di affetto di biondine fragili. Parlo di diventare un’altra, una star, una dark lady, una bomba...” Così mi convince, e tradisco la mia tinta naturale per trenta denari (euro). E i miei capelli da biondo puro diventano di uno slavato nero corvino. Un nero che secondo alcuni poteva far dimenticare il dolore. Quel nero, per me, è diventato il segno della perdita. Del tentativo di rimuovere ciò che sono per una finta immagine di me. Più forte, più carismatica. Mi guardo allo specchio, e mi viene da piangere.

Letteralmente Un omaccione tutto d’un pezzo, capelli ramati, sempre allegro ed ottimista, di mestiere minatore: era mio padre. Morì poco prima della mia nascita. Mia madre invece era una donna fredda e inesorabile. Lavorava in fonderia, e aveva tanti, troppi, amanti. Il destino, mio e dei miei fratelli, era chiaro: l’abbandono. In orfanotrofio, noi mingherlini dai capelli ramati eravamo gli ultimi, e anche una volta usciti, e finiti sulla strada a battere, contavamo poco. Quasi niente. Ci gettavano letteralmente via, si parlava addirittura di abolirci. Ma anche se hai scritto sopra che vali 1 centesimo, hai sempre un cuore di metallo, e speri sempre un giorno di ritrovare i tuoi 99 fratelli, e tutti insieme, finalmente, sentirsi utili a qualcuno.

Non so se per consolarmi o per farmi ridere, lo scrittore a cui ho raccontato il mio dramma al pub ha commentato: “In 30 anni che sono in giro, anche lavorando per quei settimanali di vicende vissute che trovi dalle parrucchiere, ne ho conosciute tante di bionde tinte, ma come te nessuna mai.” E giù lacrime. 45


Temperatura sullo zero

Il vichingo e la shampista

Lugano, freddo. Gelo. Per scaldarci entriamo al Casinò. Il mio socio inizia a puntare sullo zero, solo qualche puntata. Una, due, tre, quattro volte. Niente. Uscivano tutti i numeri, ma mai lo zero. Allora comincio io. Volevo vincere, anch’io sullo zero. Escono il 2, il 10, il 20, l’1, lo zero mai. Intanto il mio socio ha finito i soldi, e mi guarda giocare. Finché mi chiede: “Ma hai ancora soldi?” “Questi sono gli ultimi 50 franchi!”, dico gasato, e li piazzo sullo zero. “Ma sei fuori? E poi come torniamo?” “Hai ragione”. E rapidamente li riprendo prima che chiudano le giocate. E mi sento un cretino, e mi alzo. E in quel mentre il croupier annuncia: “Zero!”

Avendo capelli e barba rossi, mi sono sempre sentito un vichingo, e ho sempre raccontato questa favola nordica che chi ha capelli e barba rossi può tirare con barba e capelli due volte il proprio peso.

Storia pagata Una storia da raccontare non ce l’ho, o forse ne ho troppe. Tutta la mia vita è una continua ricerca di storie. Ogni cosa che faccio la faccio per soldi, sempre e solo per soldi.I soldi mi servono per le storie, capisci. Che senso ha raccontare tante storie, a me servono soldi. Tira fuori i soldi e ti racconto tutte le storie che vuoi. Non sarebbe male farsi i soldi raccontando storie, eh? Come dici? È esattamente questo il lavoro dello scrittore?

Lo faccio per i soldi

Così, una sera, facendo una scommessa con una shampista e con dei magazzinieri dell’ipermercato, mi attaccano ai capelli un bancale di 150kg di shampo per capelli rossi, valore oltre 1000 euro. Se riesco a trascinarlo è mio. Adesso preferirei averla persa quella scommessa, perchè poi in pochi mesi ho perso i capelli. Anche la barba la tengo corta, e ho ancora in garage 500 shampi specifici per capelli rossi.

Polizei paga da bere Capodanno 2005 o 2006, non ricordo di preciso. Avevamo deciso di andare a Berlino in auto. Faceva un freddo glaciale, ed eravamo in giro con la mia BMW usata, trovata a 1000€. Il dubbio principale era se portarci del fumo, e nel caso, dove nasconderlo. Avendo i soldi

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Alla fine, per caso, scegliamo di non portarlo. Freddo glaciale. Già ad Innsbruck rischiamo di terminare il viaggio perchè la vecchia BMW non voleva ripartire dopo l’autogrill. Arriviamo verso le 22 dopo Norimberga, e una pattuglia di sbirri ci affianca, puntandoci la luce in faccia, con delle sirene veramente crucche. Accostiamo in questa piazzola di servizio, e loro iniziano a farci le solite domande. Tutto va bene, a parte il fatto che eravamo su un'auto da spacciatori rumeni, fino a quando qualcuno ha la brillante idea di pronunciare la frase “Andiamo a Berlino a ballare la techno”. Sbam. Ci perquisiscono da capo a piedi. La macchina pure: arrivano a smontarci i pannelli delle porte! Che a dir la verità poi ce li hanno pure rimontati. Non trovano nulla. Mi prendono le urine. Quando gli ridò il barattolo, lo annusa e mi fa: “Hai fumato erba!”. Pota, confermo. La sera prima avevo fumato e mia madre m'aveva pure beccato il mozzicone nel cesso. “Almeno tira l'acqua”, era stata la sua reazione. Mi portano in caserma e dopo poco arriva un medico, a mezzanotte. 20 minuti di test idioti come camminare su una linea immaginaria, stare in equilibrio su una gamba ecc. Riesco a fare tutto, quindi passano al sangue. Dò loro 'sto sangue, e come ringraziamento mi chiedono 550€ di multa sull'unghia. Non avendo i soldi, colletta fra amici. E possiamo partire. Fine. Anzi, la fine vera è che dopo qualche mese c'è stato il processo e m'hanno riconosciuto innocente, quindi mi hanno ridato tutto. E così, avendo i soldi, siamo venuti a berceli qui, non a Berlino.

Solo i titoli Neanche te lo immagini che storia assurda. Da dimenticare. È stata una storia di sesso, una storia mai vista. Avevo bevuto, e sprofonderei piuttosto di dirgli chiamami, che pacco, mettiamoci una pietra sopra, non può funzionare, ma se rinasco giuro lo faccio, l’ammazzo, e non così veloce, finito? Soldi buttati? Usati tutti i titoli? No, dimenticavo che non lo faccio per soldi. La tipica frase che si dice avendo i soldi.

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Storie da dimenticare


Una storia assurda — Vodkalirio — Nel cassetto del falegname — Londra è una metropoli in provincia di Bergamo

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Sprofonderei — Sfigato squallido smart — L’indiano della tribù del SERT — Dieci anni dopo — Padre, perché dici codeste cose? — Dolcevita color porpora

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L’ammazzo — Aspetto fuori — Il tedesco in Patagonia

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Una pietra sopra — Friend-zone — Pera meccanica — Perchè si chiama verbale se è scritto?

Indice storie da dimenticare

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Vodkalirio Serata in casa con amici. Guardiamo dei video su youtube. Finiamo su un video dove ci sono dei russi che bevono in modo strano. Cioè, per far entrare in circolo l’alcool più velocemente, invece che buttarsi la vodka giù per il gargarozzo, se la calano goccia a goccia negli occhi, come collirio.

Giornate tetre, lavori monotoni. A volte mi sento pazzo. Certe notti apro quel cassetto, ho in mente un progetto, una piccola barchetta, una grande fuga.

Londra è una metropoli in provincia di Bergamo In quel periodo vivevo a Londra. Non stavo bene ed ero andato in centro a bere in Brick Lane. Sul tardi stavo tornando a casa e non c’erano più mezzi, avrei dovuto prendere i night bus, ma non avevo più credito nella tessera.

E tutti a dire: non ci credo, è una bufala, sono pazzi, si diventa ciechi. Ma ecco che invece l’amico anziano, con esperienze di mondo, dice: "ma certo, negli anni Novanta si faceva", "Ma chi lo faceva? Russi?" "No, tutti, entravi in un bar e vedevi gente che beveva vodka con gli occhi. Alle tipe prendeva da Dio, se le guardavi ti mangiavano con gli occhi."

el cassetto del N falegname Zona industriale, falegnameria industriale. Ormai ho cellule di truciolato, pensieri di cellulosa. Ogni mattina alla macchinetta del caffè, il peggiore del mondo, e tengo via il bastoncino, di legno, lo metto nel cassetto. Una storia assurda

Ho camminato da Brick Lane alla fermata di Liverpool Street, che non è molto, per poi scoprire che la linea azzurra era bloccata. Ok, proseguo fino a Trafalgar Square. A Trafalgar Square, due ore di cammino, problemi lungo la linea. Ad un certo punto incontro questa ragazza thailandese, a piedi come me, → camminiamo insieme. 53


Dopo un’ora ci fermiamo a mangiare Falafel. Poi la perdo di vista, anzi no: la vedo salire in una macchina con due senegalesi alla guida. Ennesima birra e continuo a camminare. Verso le tre di notte, davanti ad una casa-fabbrica, reincontro la tipa thailandese in compagnia dei due senegalesi: erano in coda per entrare in uno squat. Lì dentro incontro dei ragazzi di Bergamo. Resto lì con loro a questa festa fino alle sette del mattino, ed ero ancora molto lontano da casa. Mentre torno realizzo che non ho ancora caricato la tessera, quindi altra camminata, mangio pita-hummus-ceci, finalmente arrivo a casa alle otto e mezzo. A casa trovo il mio coinquilino nigeriano, allora andiamo a prendere la ganja, ancora a piedi, mezz’oretta da casa per prendere le storie. Sulla via del ritorno, colazione con riso e pollo fritto. Alle dieci del mattino finalmente vado a letto, fumandomi un porro e pensando: città strana, Londra.

Sfigato squallido smart

Una storia assurda

Sprofonderei

Mi trovavo alla recita scolastica dei miei figli. Scuole elementari, tutto secondo i canoni, con maestre sbraitanti a incentivare novelli attori ansimanti.

Per chi si trova nel felice ruolo di genitrice bella e femmina di pargoli in età (pa)scolare, non è raro incappare in sguardi allupati di padri marpioni che aspirano a portarsi a letto la madre di un compagno di classe dei figli. In effetti, sai che palle sciropparsi recite, attese all’entrata/uscita, riunioni, colloqui, etc...? Niente di meglio che condire il tutto con una bella storia di sesso extra coniugale, magari con amplesso nascosto in palestra o bagno docenti. Ma come rimorchiare queste giovani mamme fighe, che la mente dei playboy italici proietta come donne che tengono ormai tra le mani solo il manico del Folletto e in bocca il ciuccio da ripulire, prima di infilarlo in bocca al pargolo per zittirlo? Gli sguardi, si sa, non portano a nulla se non vengono suggellati da un concreto “ti voglio”. Avvicinarsi e sussurrare nell’orecchio? Troppo sgamo. Recapitare un mazzo di rose? Troppo costoso. Abbassare la cerniera? Da denuncia. Così il padre italico si mette al passo 54


coi tempi, e mi si avvicina con fare sornione con lo smartphone in mano, come se volesse farmi vedere la foto dei suoi bimbi, magari alla prima comunione... Invece sul piccolo schermo che mi mostra c’è un messaggio, e il messaggio dice: “Mi piaci un casino!” Con lo smartphone puoi fare veramente tutto. Anche il peggio squallore.

L’indiano della tribù del SERT Era una festa di Carnevale, eravamo molto ubriachi, in questo locale di xxx. Tutti travestiti, ok? Io ero vestito da indiano, indiano d’America, ed ero molto ubriaco, e purtroppo dovevo guidare per tornare a casa. Che poi casa mia era a 500 metri dalla festa. Sbaglio la curva, l’unica curva: bum! Palo, muretto, scendo. Poi vedo due sbirri che si avvicinano. Non gli lascio il tempo di parlare. “Augh! Eravate anche voi alla festa eh! Puttanica che bel travestimento!” No, non erano anche loro alla festa. Loro stavano fuori, erano due sbirri veri. Secondo me si erano piazzati lì fuori giusto per ritirare qualche patente. Finisce con un anno di sospensione della patente, 3.000 euro di danni, visite regolari al SERT. La prossima mi travesto da sbirro.

Dieci anni dopo Era una calda estate di 10 anni fa, e noi avevamo 20 anni. Con i nostri amici una tendata da paura, e l’idea malsana di affidare la mis-

sione della gestione alcolici a uno che è partito in moto e ha preso tre birre da 66, una bottiglia di vodka, una di sambuca e il limoncello, e fin qui ok: Il problema è che poi, mentre girava la bottiglia di vodka, lui si è bevuto tutto il resto. Abbiamo capito che era ubriaco quando ha cominciato a chiedere l’ora. Ce l’avrà chiesta 10 volte, ed erano sempre le nove e dieci. Ad un certo punto doveva pisciare, non stava in piedi. Mi sono offerto d’accompagnarlo, l’ho portato e appoggiato a una pianta, e lui mentre pisciava dietro la pianta è scivolato e caduto nella sua piscia e della sua piscia si è inzuppato. Nessuno voleva tenerlo nella propria tenda, erano quasi tutte prese in prestito. Alla fine l’abbiamo messo nella mia, e ha cominciato a vomitare. Siccome un nostro amico abitava non lontano, abbiamo deciso di portarlo a casa sua. L’abbiamo fatto sdraiare su un materassino gonfiabile da piscina, e ha iniziato a stare male sul serio. Allora abbiamo chiamato i suoi, che poi vedendolo si sono messi a ridere: “Ce l’aveva detto che voleva ubriacarsi stasera!”. È andato in coma etilico. È arrivata l’ambulanza e l’ha portato via. Il giorno dopo siamo andati a trovarlo e lui, poverino, era in uno stato pietoso. Il problema è che da quella volta a lui piace bere, sono tre anni che gli diciamo di smetterla e lui non ce la fa. Non è più stato in ambulanza, però adesso se lo beve sempre il bianchino, prima di andare al lavoro. Il bello è bere il giusto, ma non diventare alcolizzati. È come fumare una sigaretta dopo il → caffè, non 2 pacchetti al giorno. 55


O giocare al lotto ogni tanto, o la schedina con gli amici, ok . Ma adesso ho amici con la scimmia fissa del gratta e perdi, e altri che giorno dopo giorno stanno annegando nelle slot.

Padre, perché dici codeste cose? Sabato scorso, serata fra ventitroienni e musica tamarra. Come prevede il bon ton, bevo 5 Negroni e uno Sbagliato. Alla fine i soci mi scaricano dall’auto davanti a casa, mi allaccio tutti i bottoni della camicia e riesco perfino a centrare il buco della serratura. Apro la porta, entro, cerco di darmi un contegno e soprattutto cerco di non urtare quel cazzo di vaso enorme che mia madre ama al punto da tenerlo in bilico in una posizione di passaggio. Superato. Sto per avvicinarmi alla mia camera quando sento dei rumori, alzo gli occhi e vedo mio padre.

Dolcevita color porpora È un normale pomeriggio di ottobre, quando accade. Accade che i loro sguardi si incrociano, tra gli scaffali di H&M, tra un paio di pantacollant leopardati taglia XXS e una t-shirt di Audrey Hepburn. L’incrocio di sguardi diventa dialogo, al momento dell’acquisto: “Posso pagare con la carta di credito?” dice lui. “Mi serve la carta d’identità” dice lei. Mi-serve-la-carta-di-identità. Mi-serve-la-carta-di-identità. Mi-serve-la-carta-di-identità. Da lì, ogni sabato, per i due mesi successivi, lui torna ad infilare lo sguardo tra quei pantacollant tigrati taglia XXS e quelle t-shirt di Audrey Hepburn. Spera di incrociare gli occhi di Miss-serve-la-carta-di-identità. Un fatidico sabato, gli incroci, di nuovo, si trasformano in dialogo. “Bisogno di aiuto?” “Ecco... ti andrebbe di bere un caffè insieme?” balbetta lui. Lei solleva la mano, e gli piazza davanti agli occhi un anello di dimensioni cosmiche. “Capito... cioè, avrei bisogno di un bel dolcevita color porpora.”

Lo saluto cercando di mostrarmi stanco e non distrutto. “Hai bevuto” mi fa. “Padre, perchè dici codeste cose?” rispondo tranqui. “Primo, perchè parli come un coglione, secondo, perché quello con cui stai parlando è lo specchio. Io sono alle tue spalle, pirla.” Sprofonderei

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Aspetto fuori Una sera stavamo per andare a un rave a Milano. Ritardo, soliti sbattimenti, entro, saluto, saluto i cani, mi carico in macchina un bimbo di 18 anni, che mi chiede: “Dove andiamo?” “Al campo nomadi”. Mi chiama un socio tunisino, che vuole una strappo a xxx. Arriviamo al campo nomadi, salgono in macchina il tunisino e un giovane rom. Dico “Ti fiondo rapido a xxx, che abbiamo fretta.” La risposta è inaspettata: “No, noi andiamo a yyy.” A pochi km da yyy il Tunisino dice: “Entrate voi, io non posso farmi vedere”. Si fa lasciare giù e ci aspetta nascosto. Entriamo io e il giovine, l’atmosfera è pesante, ci danno la roba, capisco la mala parata, il Tunisino aveva accoltellato un tizio proprio lì, dove doveva prendere le roba. Mi infilo il pacco in mutanda e cambio aria e direzione. Avrei potuto lasciarci le penne, invece ci ho lasciato il Tunisino.

Passa un’altra macchina. Sono brutti tipi, allora mi offro volontario, salgo con questi brutti ceffi, portandomi la ruota sgonfia, e dopo molte ore e soldi e sbattimenti e passaggi vari e molto camminare, finalmente riesco a tornare. Aiuto il tedesco a montare la ruota. Bene, possiamo ripartire, ma il tedesco mi dice che non può più portarci alla nostra destinazione, vuole tornare indietro, adesso, perchè non si fida ad andare in giro senza la ruota di scorta. Col cric in mano, penso: l’ammazzo.

Il tedesco in Patagonia Viaggio in Patagonia post laurea, per vedere il mondo alla fine del mondo. Dopo una serie di disavventure mi ritrovo con una ragazza francese per nulla attraente a camminare per 37 km introno a un lago nel deserto, al confine con il Cile. Arriva una coppia di tedeschi con un pick-up noleggiato e ci danno un passaggio. Dopo pochi chilometri, foriamo. Ma il tizio si era dimenticato di controllare la ruota di scorta, che è sgonfia.

L’ammazzo

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Friend-zone Visita in ospedale, visita medica per il fubol. Normale amministrazione - pressione, frequenza cardiaca, l’elettrocardiogramma, poi il dramma: è mora, bellissima, ha un sorriso disarmante. La conosco da anni, e non le ho mai chiesto di uscire, ma non l’avevo mai vista così bella, bellissima. Lei mi saluta e mi chiede se sono pronto. “Cosa?” Ah già, la visita. Cerco coraggio con gli elettrodi che pulsano sul petto. “Sei agitato? Cento battiti al minuto sono tanti!” sussurra. Con il mio sorriso incerto le dico che è colpa sua. “Scemo!” dice, e ride. Ormai la figura l’hai fatta, lanciati. Alea iacta est . “Che ne dici se un giorno di questi andiamo a bere qualcosa insieme?” Un caffè? Ok, un caffè. Perfetto. Esco dalla stanza colmo di speranza, fiducia e felicità immotivata. Le scrivo, chiedo conferma: "Usciamo vero?". E lei: “Te lo dico subito, per me sei solo un amico”. Friend-zone per sempre. “Però se vuoi usciamo comunque a bere qualcosa”. No, dai, mettiamoci una pietra sopra.

Per me c’è sempre stata una misura: quando si esagerava dovevo intervenire, dovevo far capire agli altri che la droga la compravo io, con misura. Così una sera, per procurarci questa eroina, andiamo fino a xxx, vicino a xxx, veramente un posto di merda, non c’è niente se non una tribù di eroinomani. Ci accompagnano su un cavalcavia, ci fanno scendere, ci dicono di percorrere un sentiero che inizia proprio alla fine del cavalcavia, una strada sterrata in mezzo alla campagna. Buio. Scendiamo dalla macchina, percorriamo a piedi un tratto, passa una volante dei carabinieri, ci prendiamo cosi a male che scavalchiamo il guard rail e ci spalmiamo nell’erba ascoltando ogni minimo suono, sirena, voce, qualsiasi cosa di vagamente umano. Tutto tranquillo. Riprendiamo a camminare, facciamo 1 km e mezzo, poi qualcuno urla. Non sembra italiano. Urla di fermarci. Deve essere un nordafricano. In realtà sono 3 nordafricani. Uno ci punta una pistola.

Pera meccanica Avevo 19 anni; cercavo me stessa; nella compagnia cominciava a circolare l’eroina e tutti volevano provarla: eravamo in quattro, 2 ragazzi e 2 ragazze, abbiamo cominciato a fumarla. Solitamente erano i ragazzi della compagnia a procurarla, però io sono stata sempre orgogliosa: non accettavo che mi fosse offerto troppo. Una pietra sopra

Il tizio con la pistola ci dice di alzare le mani e inginocchiarci altrimenti ci spara. Il mio amico grida il nome della persona che ci ha mandato lì. Niente da fare. Il tizio con la pistola si avvicina, arriva a 2 metri, io resto con le mani alzate in ginocchio. 58


Poi il nordafricano scoppia a ridere. Scoppiano a ridere anche gli altri. Scherzavano. Siamo tornati alla macchina. Ho detto al mio amico: “Ti ho visto morto! Nel mio cervello tu eri morto, vedevo il foro del proiettile nella tua testa, eri per terra e io rimanevo in ginocchio, con le mani alzate”.

Perchè si chiama verbale se è scritto? 21esimo compleanno, si prospetta serata alcoolica, bevuto l’impossibile a casa di un’amica, poi un locale della Bassa, altro giro di negroni, e un amico propone di uscire per concludere la serata in bellezza con un cannone kilometrico. Rolliamo appartati, ci sentiamo invincibili e immortali, ritorniamo verso il locale e dietro l’angolo taaac, volante dei caramba. Vengo portato in caserma, ma nonostante sia nella merda fino al collo l’alcool mi fa sentire un perfetto nuotatore. Attendo un’ora e mezza in cui compilo un verbale chiedendo: “Perché si chiama verbale se è scritto?” Quindi sbocco abbondantemente sulla scrivania della caserma, con l’appuntato che sbotta: “Ma minchia, non potevi andare in bagno?” Ci vado e collasso abbracciato al cesso. Mi risveglio al pronto soccorso di Zingonia con una flebo al braccio. “E ai tuoi cosa hai detto?” “Niente, ho fatto i 21 anni ormai”

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Shakespeare in Elav © Pub Writing Session è un’idea e un format Calepio Press – CTRL magazine

Selezione tra le 150 storie raccolte in occasione del II° Yule Fest, Comun Nuov (BG) 19-22 Dicembre 2013

Writers: Leone Belotti, Chiara Brembilla, Linda Caglioni, Dario Cattaneo, Nicola Feninno, Lorenzo Gaspari, Gionata Giardina, Dario Incandenza, Susanna Marchini, Alessandro Monaci, Gianluca Piretti, Maddalena Ramolini, Serena Valietti. Selezione ed editing: Emiliano Azzoni, Leone Belotti, Matteo Postini, Dario Stefanoni Allestimento: ORO Progetto grafico e illustrazioni: Temp Stampa: LG grafica



Pub Writing Session è la trasformazione ad opera dei Pub Writers delle storie orali raccontate davanti a una birra in un testo collettivo fatto di racconti brevi. Un format CalepioPress-CTRL magazine. Realizzato in occasione del II° YULE fest con il contributo di birrificio ELAV.


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