La città oltre il muro

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LA CITTÀ OLTRE IL MURO

Progetti per la seconda casa di reclusione di Milano - Bollate

a cura di Andrea Di Franco, Cristiano Gerardi e Nicola Gurrieri

politecnica

LA CITTÀ OLTRE IL MURO

Progetti per la seconda casa di reclusione di Milano - Bollate a cura di Andrea Di Franco, Cristiano Gerardi e Nicola Gurrieri

con la collaborazione di Madeleine de Bellaing e Elena Calvano

DIPARTIMENTO DI ARCHITETTURA, INGEGNERIA DELLE COSTRUZIONI E AMBIENTE COSTRUITO

DIPARTIMENTO ARCHITETTURA E STUDI URBANI

L'ARCHITETTURA NECESSARIA

Questo lavoro è tratto dal corso di Progettazione architettonica del primo anno di Laurea Magistrale, Anno Accademico 2017/18, presso il Politecnico di Milano, campus

Leonardo. Professori: Lorenzo Consalez, Andrea Di Franco, Chiara Merlini, Michele Moreno, Gianfranco Orsenigo. Assistenti: Andrea Fradegrada, Sandra Maglio, Davide Simoni e Valentina Zucca.

ISBN 978-88-916-2489-5

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Finito di stampare nel mese di ottobre 2018 nello stabilimento Maggioli S.p.A

Santarcangelo di Romagna (RN)

INDICE

IL CARCERE COME TEMA DEL PROGETTO

Andrea Di Franco

A LEZIONE CON I DETENUTI

Cristiano Gerardi, Nicola Gurrieri

ANCHE IL CARCERE È UN LUOGO DELLA CITTÀ

Chiara Merlini

LO SPAZIO APERTO COME RISORSA

Lorenzo Consalez

LO SPAZIO SCELLERATO

Michele Moreno

IL GRUPPO DELLA TRASGRESSIONE

Angelo Aparo

9 25 33 45 55 67

STORIE E PROGETTI

ARIA NUOVA

Claudia Cuccaro, Alessandra Murelli, Martina Paganini

LA SERRATURA NEL MURO

Maddalena Boscolo, Alessandro Capetti, Lucia Giordano, Alessandro Selmi

OLTRE IL LIMITE

Marta Damia, Silvio De Mio, Gemma Galassi, Stefano Zuppelli

LA SCELTA

Martina Clara, Caterina Coli, Laura Ehrenheim, Erica Zanella

DIFFERENZA

Claudia Castelli, Valentina Corti, Xiao Xu

IL FORUM DELLE POSSIBILITÀ

Elena Busoni, Luca Pugliano, Elena Ramondetta, Lucrezia Rossi

CONTATTO

Martina Carnelli, Elena Percivalle, Chiara Ponti, Federica Savini

73 81 89 97 105 113 121

GRADI DI AFFETTIVITÀ

Alessandro Bucchi, Nadia Buelli, Stefania Rasile, Marta Riccò

LA CITTÀ INVISIBILE

LA CITTÀ E LO SCAMBIO

SITUAZIONI URBANE

Marco Bonsembiante, Claudio Sberna, Laura Soldati, Eleonora Zepponi

DISLIVELLI

Nicole Cortinovis, Eleonora Fusetti, Chiara Midali, Lara Salmoiraghi

L’ALTROVE

Eleonora Bianchi, Henrietta Demma, Stefano Di Zazzo, Marta Ferrario

LA CASETTA ROSSA

Alessandro Bucchi, Nadia Buelli, Stefania Rasile, Marta Riccò

129 137 145 153 161 169 177
Elena Calvano, Niccolò Cellina, Madeleine De Bellaing, Cristiano Gerardi, Nicola Gurrieri
Rachele Fuduli, Alice Palese, Eleonora Pompei, Chiara Tartarone

IL CARCERE COME TEMA DEL PROGETTO

Un laboratorio di Progettazione nella casa di reclusione di Bollate

IL PROBLEMA DELLE CARCERI

Il laboratorio di Progettazione architettonica ha esplorato, attraverso gli strumenti del progetto d’architettura e del progetto urbano, il tema dello ‘spazio del carcere’, con tutte le criticità che lo afiggono. Si tratta, infatti, di un’emergenza civile rivelata dalla sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che, l’8 gennaio 2013, ha condannato il malfunzionamento del sistema penitenziario nazionale a causa di una serie di fattori critici, primo fra tutti il sovrafollamento di quasi tutte le strutture penitenziarie1. Questo presupposto, la mancanza di spazio, è però solo uno dei fattori, forse il più eclatante ed evidente in quanto riconducibile a dati oggettivi ed incontrovertibili, quali sono quelli relativi alle misure di corpi e spazi. Dietro la sovraesposizione del fattore quantitativo, difatti, si cela una molteplicità di caratteri ‘qualitativi’ che compongono l’universo carcerazione e che, a guardare più a fondo, incidono altrettanto pesantemente su questo mondo parallelo. Il quale stagna come in una sorta di intervallo di sospensione tra società civile e struttura militare, dislocato sui margini via via più eccentrici degli agglomerati urbani; da un lato rimosso e dall’altro tenacemente autistico, è circondato da tensioni ideologiche contraddittorie e configgenti che lo possono intendere, alternativamente, come un grande contenitore che sigilla e nasconde le colpe del mondo, o

9 La città oltre il muro

Il carcere come tema del progetto come un servizio che, capillarmente, individuo per individuo, debba reintegrare i suoi abitanti forzati nella vita collettiva. Il laboratorio ha dunque cercato di sondare in profondità la complessità del fenomeno, procedendo per fasi, verso l’interno del ‘problema carcere’. Davanti a sé, come riferimento della ricerca, sta l’interrogativo di quale sia il ruolo civile che lo spazio della pena oggi ha nella società e nella città che lo ospita e quali potrebbero essere le possibili modifcazioni di quello spazio. La complessità del problema ci ha indotto a svolgere la ricerca coinvolgendo i protagonisti ai diversi livelli e portando i tavoli di lavoro fsicamente all’interno del muro di cinta.

Accanto ai tanti segnali di disagio provenienti da tutti i fronti (primo tra tutti –come detto– quello legato al sovrafollamento), un dato inequivocabile e sintetico di ulteriori criticità è quello della cosiddetta ‘recidiva’: oggi, circa il 70% di coloro che transitano in prigione vi fa ritorno in regimi detentivi più coercitivi, per reiterazione e aggravamento degli atti criminosi. Cioè a dire che il carcere, a fronte di costi fnanziari e sociali altissimi, non risolve il problema per cui è stato istituito. Coloro che vengono incarcerati, di norma, sono messi nella condizione di incrementare la propria dannosità.

Se a questo primo dato certo, i cui efetti coinvolgono più direttamente di altri la sensibilità esterna, si aggiungono i numeri allarmanti legati ai casi di suicidio o autolesionismo dei detenuti (in Italia i casi di suicidio nel carcere sono, proporzionalmente, del 400% superiori ai casi registrati all’esterno), si comincia, a partire

1 Sarzotti, 2014

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dai suoi efetti, a delineare il senso del problema. Da qui inizia il percorso che tenta di risalire alle cause, entro le possibilità concesse dalla forma e dall’uso dei luoghi.

In merito agli usi, cioè alle pratiche ospitate nei luoghi detentivi, considerando soprattutto le sperimentazioni recenti dei paesi del Nord Europa, una strada che appare efcace è quella che fa spazio alle cosiddette pratiche ‘trattamentali’: cioè quegli ambiti destinati al ‘recupero’ di una vita ‘normale’ delle persone detenute. È una linea peraltro già indicata dalla Costituzione italiana, all’articolo 27, seppure con un termine vagamente paternalista, quando indica il ruolo ‘rieducativo’ degli istituti di detenzione.

Mauro Palma, fgura istituzionale di ‘Garante nazionale dei diritti dei detenuti e delle persone private della libertà personale’, co-fondatore dell’Associazione Antigone, usa più appropriatamente il termine di ‘responsabilizzazione’2. Responsabilizzazione, rispetto alle dinamiche della vita libera e della vita collettiva cui è necessario tendere.

In che modo, nella società occidentale contemporanea, l’istituto del carcere può essere messo in condizioni di assolvere a questo compito? E in che modo il progetto di architettura può attrezzarsi a diventare uno dei passaggi chiave dell’intero processo di trasformazione: dalla individuazione dei presupposti, alla composizione di un linguaggio comune, alla formulazione di un sistema di luoghi e di relazioni spaziali interni ed esterni che si inseriscono nelle strutture esistenti? A queste domande è stata dedicato lo studio biennale degli Stati Generali dell’esecuzione

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2
2011
Palma,

Il carcere come tema del progetto

penale, presentati a metà 2016 e condotti a partire dal Tavolo 1 dedicato proprio allo spazio e all’architettura delle carceri3. A partire da qui, il Politecnico di Milano con gli studenti e i docenti del laboratorio di Progettazione architettonica, la Direzione e il personale di Polizia del carcere di Bollate e il Gruppo della Trasgressione condotto da Angelo Aparo4, che raccoglie gruppi di detenuti su progetti formativi, hanno collaborato per sperimentare delle ipotesi sulle pratiche e i relativi luoghi che possano trasformare il tempo dell’attesa nel carcere in un tempo del progetto, e per promuovere il detenuto da ostaggio del suo passato ad architetto del suo presente.

RELAZIONE, PARTECIPAZIONE, PROGETTO

L’impegno laboratoriale in ambito didattico afanca e alimenta la ricerca dipartimentale fnanziata dal Fondo di Ateneo per la Ricerca di Base 2016 (‘L’architettura del carcere, da spazio di detenzione a luogo di relazione’) condotta dal nostro gruppo di ricerca e coinvolgente, come oggetto di studio, anche altre realtà carcerarie milanesi, nazionali ed internazionali. Questa ricerca è divenuta il motore che ha attivato l’interesse a estendere il metodo di studio e progetto all’ambito didattico, coinvolgendo anche gli studenti: la presenza dei giovani progettisti permette di ampliare fortemente le dinamiche del confronto tra i soggetti coinvolti, mettendo in discussione e riassegnando i ruoli e attribuendo nuove responsabilità.

È un’idea che considera la pratica architettonica quale parte

3 Ministero della Giustizia, 2016

4 trasgressione.net

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di un lungo e composito processo di relazione che il progetto deve necessariamente agire come proprio materiale costituente. In merito a questo aspetto, il progetto di architettura, e in modo ancor più cogente se applicato al tema specifco dell’architettura penitenziaria, per poter comporre risposte spaziali adeguate, deve a priori e senza possibilità di delega chiamare in causa, dare voce e tentare di coordinare domande e risposte di una grande pluralità di soggetti: sia relativi alle discipline specifche della modifcazione dello spazio, sia relativi agli ambiti percorsi dalla ricerca: amministrazione pubblica (nazionale, comunale, di zona), amministrazione penitenziaria (direttori, provveditori), il personale di polizia penitenziaria, il personale interno –educatori e psicoterapeuti che conducono le attività trattamentali–, le importanti fgure di tramite tra società carceraria e società civile quali sono i garanti (nazionale e locale) della dignità delle persone private della libertà personale; oltre, naturalmente, alle persone detenute, quali ‘abitanti loro malgrado’. Studenti, ricercatori e detenuti si trovano dunque di fronte per intraprendere questo particolare dialogo tra progettista e committente, afancati da due mondi istituzionali, la scuola e l’amministrazione penitenziaria, che cercano un linguaggio comune. Nell’ottica sopra decritta il ruolo dei progettisti e degli ‘abitanti’ si compone. Ancor più lo fa in questo speciale ambito in cui l’abitabilità è forzosa. Più che altrove il senso della partecipazione è restituire la progettualità a chi l’ha perduta o non l’hai mai conosciuta: il progetto acquista valore in quanto possibilità di scelta e necessità di confronto tra diversi punti di vista. Il processo d’intersezione e

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Il carcere come tema del progetto

scambio tra progettisti e fruitori dello spazio conduce ad innescare un pensiero di progetto proprio nel luogo in cui quel pensiero è programmaticamente escluso in quanto destabilizzante: escluso, di norma, da una prassi sostanzialmente reiterativa che persegue necessariamente il disinnesco di ogni eccezione e trasgressione.

Evidentemente, l’esito vuole essere, oltre alla formulazione di una risposta ‘tecnica’, quello della costruzione di un metodo di progettazione condiviso. Non si mette però in discussione la necessità di chiarezza delle competenze, dei ruoli e la riconoscibilità delle specifche esperienze. Viceversa, è proprio il dialogo tra voci che si riconoscono come distinte che può condurre ad un’idea di architettura ‘integrata’, vale a dire composta sulla base di istanze e possibilità tanto distinte quanto rilevanti.

BOLLATE

Il caso studio è quello della II Casa di reclusione di Milano – Bollate, ambito privilegiato di progetto per via della sostanziale attitudine di questa struttura, dal suo nascere all’inizio di questo millennio, ad ospitare progetti avanzati di riabilitazione dei detenuti. Un carattere non avvalorato dalla forma dello spazio, considerato che il progetto della struttura è stato condotto secondo i generici dettami tipologici dei penitenziari ad alta sicurezza degli anni ’80, che avevano come priorità il controllo delle spinte terroristiche nazionali di quegli anni5. Inoltre, questo istituto, seppure con un certo miglioramento rispetto ai dati del 2013, anno della condanna europea, non ha

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5 Marcetti, 2011

5 Marcetti, 2011

6 Palma, 2016

afatto superato i problemi di sovrafollamento, oltre che delle celle, anche in termini di possibilità di accesso alle attività trattamentali. La relativa provvisoria normalizzazione dei dati quantitativi post-sentenza Corte europea, in particolare nell’ambito milanese, rende ancora più attuale la necessità e la possibilità di un pensiero progettuale, per via delle condizioni più favorevoli, non ostaggio del precedente stato di grave emergenza. «Alcuni risultati sono stati raggiunti, una fase strettamente di emergenza è stata superata, questo però non signifca che la situazione attuale vada bene, tutt’altro; però signifca che possiamo riaprire uno sguardo progettuale»6 .

La particolarità della struttura di Bollate, che la rende simile a quella di Opera e la diferenzia da altri istituti nazionali costruiti in periodi antecedenti, è la grande disponibilità di spazio che si afanca paradossalmente al suo mancato utilizzo per ragioni sostanzialmente legate a vuoti normativi e mancanza di presidio. Mancanza di presidio signifca non solo mancanza di personale di Polizia Penitenziaria, quanto piuttosto carenza di sistemi efcaci di controllo supportati da tecnologie in remoto, oltre che inerzie nell’attivazione di procedure di gestione degli spazi, da parte del personale, diferenti dal passato.

In questo senso, l’identifcazione della nuova procedura di sorveglianza detta ‘dinamica’, dà un segnale positivo nel senso di un sistema più agile e snello nel rapporto detenuti – polizia. Si tratta di una pratica, teoricamente legata alla conoscenza più approfondita del ‘materiale umano’, che afda a pochi agenti circolanti il controllo di aree di detenzione ampie. Questa procedura di sorveglianza ha

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Il carcere come tema del progetto

accompagnato, dall’anno della condanna europea, il processo di apertura delle celle che si sono trasformate in ‘camere di pernotto’, lasciando ai detenuti la facoltà di uscire negli spazi ‘comuni’ dodici ore al giorno.

La particolarità della dotazione di spazio della struttura milanese, oltre che della sua notevole dimensione, conduce la nostra ricerca e di conseguenza il lavoro del laboratorio, a prevedere, come principio d’intervento, quello della modifcazione per parti, escludendo la demolizione totale e la ricostruzione ex-novo.

In generale, oltre a ragioni di tipo tecnico-economicoamministrative, la nostra convinzione relativa alla priorità della qualifcazione e dell’ottimizzazione degli spazi esistenti versus l’edifcazione di nuove strutture, assume anche una valenza politica che sposa, da una parte, la volontà di radicale ripensamento della stessa ‘istituzione carcere’ quale strumento appropriato di reintroduzione nel mondo civile7 e, dall’altra, quella di non snaturare o rimuovere il carcere come elemento simbolico, in special modo nel caso di antiche strutture inglobate nel tessuto urbano storico8.

TEMI DEL PROGETTO

Obiettivo del laboratorio è dunque quello di qualifcare il tempo delle persone detenute dilatato fuori dalle celle, o camere che dir si voglia, qualifcando lo spazio che questo tempo ‘libero’ ha pervaso, spesso senza un preciso obiettivo. Parlare di ‘tempo libero’ in carcere, detto per inciso, può assumere evidentemente i toni della befa

7 Anastasia, 2011

8 Giannattasio, 2014

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9 Michelucci, 1994

crudele, se non è accompagnato da una nozione di ‘spazio libero’. Cosa signifca allora spazio libero, dentro i confni del muro di cinta? Libero nel senso più costruttivo del termine: che signifca, per un soggetto, libertà di assumersi la responsabilità di un progetto per la propria vita, per quanto reclusa, in relazione ai progetti delle vite altrui. La libertà dello spazio è cioè intesa come possibilità di abitare quello spazio con un’idea di progetto che orienti, che dia un senso al proprio tempo.

Il progetto di spazio libero dunque volge a determinare le valenze ‘relazionali’ dell’istituto di detenzione, attraverso interventi puntuali di riuso e trasformazione di una pluralità di tipi di spazi: gli spazi della vita quotidiana dei detenuti e degli operatori penitenziari; quelli preposti allo svolgimento di attività lavorative da parte dei detenuti; gli spazi destinati agli incontri tra detenuti e familiari (momenti dei colloqui e dell’afettività); gli spazi adibiti allo svolgimento di attività culturali e formative; gli spazi destinati alle attività ludicoricreative e sportive.

Per quanto solo sforati dallo sguardo del progetto, gli ambiti nei fatti più privati, quelli delle celle/camere, sollecitano alcune considerazioni. Considerare gli spazi extra-residenziali quali ambiti della relazione, o destinati alle attività che possano ofrire (o ricostruire) delle opportunità relazionali, porta a rifettere sul signifcato di termini quali ‘relazione’ , ‘comunità’ e ‘luogo’, in rapporto al tema dell’individualità9. Il progetto come impostato tenta di defnire ambiti complessi e articolati di comunità che possano riscattare l’assenza, di fatto, di luoghi intimi ed individuali,

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Il carcere come tema del progetto

o di coppia. La negazione della sfera individuale dell’ambito della cella conduce allora anche ad una rifessione sulla necessità e sulla modalità di costruzione del rapporto tra individuo singolo e spazio. La questione interroga il senso, tutto speciale date le condizioni di ‘luogo pubblico permanente’, degli attributi dello spazio ‘privato’: in particolare, la questione diventa molto delicata in rapporto al tema della sessualità10. La riconoscibilità e la considerazione dell’identità dell’individuo è di fatto un fondamentale passo verso ogni processo di responsabilizzazione e contro ogni deriva di ‘infantilizzazione’ delle persone detenute. Il sintetico excursus che i progetti degli studenti, all’interno del lavoro complessivo di laboratorio, hanno dedicato al tema delle camere individuali, ha il senso di aprire a questa complicata ma basilare questione.

Oltre agli spazi relazionali interni al recinto, il progetto di ‘integrazione’ considera anche gli spazi esterni al perimetro murario che connettono, bene o male, l’ambito del carcere e la realtà urbana in cui esso è inserito11. L’ambito circostante la casa di reclusione, percorso negli ultimi anni da potenti spinte alla modifcazione legate sia alla costruzione della Fiera, sia alla esperienza dell’esposizione universale, sia alla sua attuale (ancora incerta) riconversione, inquadra un preciso problema di forma urbana, tuttora in trasformazione. Sono evidenti le possibilità che questa ‘città in movimento’ potrebbe ofrire a un’idea di carcere come strumento di relazione e non di esclusione nei confronti del proprio contesto.

10 Pugiotto, 2013

11 Fondazione

Michelucci, 1983

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12 Fondazione

Michelucci, 1983

13 Santangelo, 2017

14 Di Franco, 2014

UNA TRACCIA DI LIBERTÀ

Il procedimento del laboratorio ha infne tentato di innestare un progetto nel progetto, dotato della quasi utopica ambizione di giungere, all’interno della struttura carceraria, a una realizzazione concreta attraverso il meccanismo della partecipazione. Si tratta di un procedimento che ha un importante riferimento nell’esperienza svolta nel carcere di Sollicciano con il ‘Giardino degli Incontri’, di Giovanni Michelucci, nella seconda metà degli anni ’80 del

Novecento12. Seppure di portata maggiore, il “giardino degli incontri” non è l’unico riferimento del nostro tentativo di realizzazione: recentemente, altre interessanti esperienze, in particolare a Torino e Napoli, hanno esplorato questa possibilità di concretizzare piccoli progetti che sollevano grandi temi13.

Il lavoro svolto con gli studenti a Milano - Bollate si è quindi composto di due progetti, svolti in parallelo seppure connessi tematicamente: uno teorico, alla scala dell’intero impianto carcerario e che ha coinvolto anche il contesto urbano esterno, ed un secondo, pratico, alla scala minima della piccola architettura, da inserire nell’area colloqui all’aperto, collocata di fanco al vivaio interno al carcere (‘Cascina Bollate’). La ‘Traccia di Libertà’, questo è il nome dell’esperienza, esprime e concretizza la possibilità di progetto che ancora sopravvive dentro le mura, nelle mani e nel pensiero dei suoi ‘abitanti’, ed associa proprio alla possibilità di progetto la natura più profonda dell’idea di libertà14. In seguito ad un concorso interno tra gli studenti del laboratorio, che hanno fatto la loro proposta dopo

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aver lavorato insieme ai detenuti del ‘Gruppo della Trasgressione’ e ai rappresentanti della Polizia Penitenziaria e che ha permesso di selezionare, da parte di una giuria composta da detenuti e docenti invitati, un solo progetto tra i tredici gruppi del laboratorio, la Traccia premiata con la realizzazione (di cui vengono raccontati i caratteri all’interno di questo libro) esprime ed ospita il tema dell’afettività: essa dedica alle famiglie dei detenuti in visita una piccola struttura, di legno dipinto in rosso, che allude alla forma della casa, con un albero interno in crescita, svettante oltre un foro del tetto a falde.

Oggetto abitabile di grande valore simbolico, spazio di gioco, di sosta e d’incontro, la ‘casetta rossa’ è stata resa possibile, oltre che da una piccola parte dei fondi della nostra ricerca dipartimentale FARB, dalla donazione dell’associazione Onlus Civicum, e dalla grande disponibilità di collaborazione dagli artigiani associati della ‘Fabbrica Recuperata’ Rimafow, di Trezzano sul Naviglio (MI).

Il lavoro del laboratorio, di tutti i progettisti coinvolti, studenti, detenuti e personale penitenziario, è descritto sinteticamente nelle pagine seguenti di questo libretto, sia nel suo esito ‘teorico’ –un’idea di modifcazione complessiva del carcere– sia nel suo esito pratico –la Traccia di Libertà– da inserire concretamente nel giardino degli incontri. Un lavoro infnitamente piccolo in confronto alla complessità e alla mole del problema che osserva, ma sostenuto dalla consapevolezza del ruolo determinante che azioni minime, anche solo febili tracce, possono avere per recuperare e mostrare la direzione del progetto: progetto come pratica di dignità e di libertà, dentro e fuori dalle mura.

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Il carcere come tema del progetto
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RIFERIMENTI E BIBLIOGRAFIA

Anastasia S., 2011, La forma della pena: alternative nelle politiche penitenziarie, in: Il corpo e lo spazio della pena, in: S. Anastasia, F. Corleone, L. Zevi, a cura di, Il corpo e lo spazio della pena, Architettura, urbanistica e politiche penitenziarie, Ediesse

Corleone F., 2011, Risorgere dalle macerie del carcere, in: S. Anastasia, F. Corleone, L. Zevi, op.cit.

Di Franco A., 2014, Architettura come progetto di libertà, pp. 7-17.

In: A. Mariotti, L'architettura penitenziaria oltre il muro, Maggioli Editore

Fondazione Michelucci, 1983, Carcere e città - La nuova città, n. 1, La nuova Italia

Grande M., Serenari M., 2002, In-out: alla ricerca delle buone prassi, Formazione e lavoro nel carcere del 2000, Franco Angeli

Marcetti C., 2011, L’architettura penitenziaria dopo la riforma, in: S. Anastasia, F. Corleone, L. Zevi, op. cit.

Michelucci G., 1994 L’architettura delle prigioni, in: Immagini

dal carcere, Ministero di Grazie e Giustizia, Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria

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Il carcere come tema del progetto

Ministero della Giustizia, 2016, Documento fnale, Stati Generali dell’Esecuzione Penale, www.giustizia.it

Palma M., 2011, Due modelli a confronto: il carcere responsabilizzante e il carcere paternalista, in: S. Anastasia, F. Corleone, L. Zevi, op. cit.

Giannattasio M., 2014, Pisapia difende San Vittore: il carcere resti dentro la città, Corriere della Sera, 20 ottobre 2014

Pugiotto A., 2013, Progettare lo spazio della pena: il fatto, il non fatto, il mal fatto, in: F. Corleone, A. Pugiotto, a cura di, Volti e maschere della pena, Ediesse

Santangelo M., 2017, a cura di, In prigione, architettura e tempo della detenzione, LetteraVentidue

Sarzotti C., 2014, Oltre i tre metri quadri. Undicesimo rapporto sulle condizioni di detenzione in Italia, in Antigone, n. 2

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A LEZIONE CON I DETENUTI

Racconti di progettazione partecipativa in carcere

Il laboratorio sul carcere di Bollate non è stato il tipico esame di progettazione architettonica. Il lavoro svolto è andato oltre l’esercizio formale dell’apprendimento di concetti spaziali, programmatici o costruttivi: è stato richiesto di formulare un pensiero sugli spazi della vita di una grande comunità di reclusi. La rifessione è infatti partita dalla condizione umana del singolo detenuto e del gruppo di persone che vi ruota attorno; sui limiti, le possibilità, il presente e il futuro della popolazione carceraria che spesso rischia di essere dimenticata dal resto della società. Un muro e l’assenza di mezzi di comunicazione separano fsicamente gruppi di individui di ogni genere ed età, che scontano la pena della reclusione per aver commesso azioni che valicano i limiti della civica convivenza. I detenuti, confnati dalla realtà quotidiana, si ritrovano in una situazione spazio-temporale specifca e distante, regolata da dinamiche complesse, che necessita –come per la città– di un’attenta pianifcazione e progettazione.

Noi studenti abbiamo avuto modo di accedere a una struttura impenetrabile e sconosciuta ai più, un luogo sul quale si fondano storie, curiosità e pregiudizi. Lo sguardo su questa città oltre il muro ci ha oferto l’occasione –piuttosto rara e pertanto preziosa– di entrare in contatto con tale comunità e prendere visione dei luoghi della vita quotidiana (fatta esclusione per gli ambienti delle celle) ed è culminata nell’incontro con i suoi abitanti per ascoltare le

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Cristiano Gerardi, Nicola Gurrieri

loro testimonianze e intavolare discussioni sui progetti di cui, loro malgrado, risultano i virtuali clienti.

Il penitenziario di Bollate, ritenuto da molti “il migliore d’Italia”, è stato aperto nel 2001 e versa in buone condizioni. Un chilometro e mezzo di muro perimetra i sedici ettari dell’enclave carceraria collocata in un contesto industriale in prossimità dell’area Expo, all’estrema periferia nord-ovest di Milano. Da qui, nelle giornate terse, sull’orizzonte si può ammirare la cornice naturale delle Alpi.

A Bollate vige il “regime aperto”: i detenuti sono liberi di uscire dalle proprie celle durante la giornata e hanno la possibilità di circolare tra le mura dell’interconnesso fabbricato. Diversamente, i generosi spazi aperti sono fruibili soltanto in minima parte nelle cosiddette “arie”1 –quattro suoli pavimentati e recintati per ogni reparto–, negli spazi limitrof dove vengono coltivati degli orti e nei campi sportivi da calcio e tennis. La libera circolazione incentiva la partecipazione alle varie attività: oltre a laboratori per la piccola manifattura, cappelle, palestre e stanze dedicate alla musica –ripetuti per ogni reparto– sono disponibili diversi posti di lavoro in un call center, una falegnameria, una vetreria e una ditta di riparazione di macchine da cafè. Accanto alle istituzioni scolastiche ordinarie, si trova poi una scuola di informatica specializzata in cyber-sicurezza, un teatro che si apre al pubblico in determinate occasioni, alcune serre e il fore all’occhiello del carcere: un maneggio con una scuderia di circa venti cavalli.

Considerando i molti aspetti positivi e valutando i margini di miglioramento possibili, gli studenti hanno avanzato con la guida del

1 dall’espressione “ora d’aria” ovvero il tempo all’aria aperta concesso ai detenuti.

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A lezione con i detenuti

Dati 2015:

popolazione: 1125

casi di aggressione: 20

autolesionismo: 10

digiuni: 54

evasioni: 2

regime aperto: 8:00 -20:00

fenomeno recidiva: 70%

cavalli: 20

Carcere di Bollate:

dimensioni: 330 x 500 m

perimetro: 1660 m

area: 16,5 ha

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28 ortofoto con contesto
A lezione con i detenuti

corpo docente diverse proposte di futuri scenari, senza porsi vincoli dettati dalle contingenze attuali ed esplorando tematiche diferenti per progettare soluzioni concrete. Nella presente pubblicazione si è pensato di restituire questa esperienza in forma narrativa piuttosto che didascalica, attraverso un racconto per episodi che illustra le visioni dei giovani progettisti evidenziando come la spinta immaginifca –e per certi versi utopica2 che trova spazio nella libertà del contesto universitario– faccia emergere le idee che si pongono alla base dei processi di cambiamento.

Nella volontà di accendere il dibattito su un tema centrale che riguarda migliaia di famiglie, si riporta il risultato di un processo di progettazione partecipativa, che non solo intende accrescere la consapevolezza generale, ma che propone e richiede risultati concreti per la vita di chi con noi ha lavorato a questo progetto di futuro.

Riteniamo che l’individuo costretto alla reclusione debba essere rimesso al centro degli spazi della propria vita, in luoghi dignitosi che facciano nascere eventi, ofrano possibilità, incentivino relazioni anziché isolare; in strutture che diano la possibilità di impiegare il proprio tempo costruttivamente piuttosto che afogare nel tedio le speranze di espiazione e recupero; in architetture che possano porsi non come luoghi di punizione ma come sistemi di crescita, apprendimento e reinserimento nella società.

2 Bonazzoli F., 2018, Milano, Bollate: il carcere riprogettato da futuri architetti e detenuti, Corriere della sera, 8 gennaio 2018

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spaziale - assonometria A lezione con i detenuti

Il carcere al Politecnico

Corpi di fabbrica del carcere di Bollate riposizionati sul sedime urbano del campus Leonardo del Politecnico di Milano. La sostituzione aiuta a comprendere l'importanza dello spazio pubblico e della relazione con la città.

sostituzione

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Il Politecnico al carcere

L'inserimento, tra gli edifci del campus Leonardo del Politecnico di Milano, delle recinzioni e 'arie' del carcere di Bollate mette in luce le problematicità della condizione di enclave e della parcellizzazione dello spazio aperto.

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ANCHE IL CARCERE È UN LUOGO DELLA CITTÀ

DOPO L'ALLONTANAMENTO

Nella lunga tradizione della città europea il carcere è, come è noto, un luogo “lontano”. Al pari di altre grandi attrezzature urbane che progressivamente si specializzano assumendo forme e ruoli specifci –il cimitero, il macello, la grande fabbrica, l’ospedale, la caserma, ecc. – esso è parte del lungo processo di allontanamento e di espulsione che, tra ‘800 e ‘900, delinea l’assetto fsico della città e, insieme, i suoi confni simbolici. Nelle parti più dense e centrali: i luoghi del potere, delle istituzioni, della cultura, le funzioni attrattive e di eccellenza; fuori: ciò che si vuole nascondere, che è disturbo, rumore, problema. L’equipaggiamento urbano e la formazione delle periferie è parte di questo stabilire distanze: un continuo spostare oltre orientato dai valori economici e simbolici e dai principi di convivenza di volta in volta ritenuti possibili, e a cui si assocerà una rappresentazione stigmatizzante estremamente persistente.

Le carceri contemporanee di Milano – Bollate e Opera – non sfuggono a questo criterio localizzativo: nascono alla periferia e ne incorporano la lontananza in modi per certi versi esemplari. Gli abitanti del carcere sono per loro natura espulsi, confnati in uno spazio che sta altrove rispetto al corpo più denso e riconoscibile della città, in un indissociabile legame tra marginalizzazione nello spazio fsico e negli immaginari collettivi.

Cosa sopravvive oggi di questo principio di allontanamento

33 La città oltre il muro

Anche il carcere è un luogo della città

e separazione, di questa sorta di extraterritorialità fsica e sociale? Quale posto occupa, o può occupare, un carcere in una grande città come Milano? L’evoluzione più recente del territorio ci ha abituato a considerare la complessità della nozione di periferia, smontando sia la fgura di una corona intorno al nucleo più antico e compatto della città, sia un principio concentrico e relativamente omogeneo di distribuzione dei valori. Il posto che l’abitato di Bollate via via assume è indicativo di questa mappa più articolata: da insediamento periferico e lontano, è oggi un ambito “di mezzo”, caratterizzato da quell’ambiguità che deriva dalla compresenza tra edifci vecchi e nuovi, tra pezzi di città progettata e manufatti isolati e anonimi, tra ritagli rimasti inedifcati ed infrastrutture che separano o collegano, che creano enclaves o opportunità localizzative. Un mondo eterogeneo di oggetti e grandi recinti – il recinto del carcere, quello contiguo di Expo, quello della Fiera di Rho, quello non molto distante del Cimitero Maggiore – che scardinano rappresentazioni semplifcanti, dove valori e disvalori si toccano, dove inerzie e intense dinamiche di trasformazione possibile convivono.

È anche a quest’ambito ampio, ai suoi caratteri, problemi e potenzialità, che occorre probabilmente guardare per ridefnire la qualità dello spazio abitabile all’interno del carcere di Bollate. Da un lato “facendogli posto” nella città, nei suoi sistemi di prossimità e di relazione e nelle sue prospettive di trasformazione, ridefnendo un’appartenenza che il muro carcerario tende a negare. Dall’altro lato facendo sì che anche il carcere “sia città”, che sia cioè non solo un posto “nella” città, ma “della” città. Un posto abitabile per chi

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vive al suo interno, ma anche appartenente alla città e alle diverse popolazioni che la attraversano e la abitano. Su questo sfondo, qui appena tratteggiato, emergono alcuni temi più specifci. I progetti presentati nelle pagine che seguono ne abbozzano il trattamento.

Non è facile oggi arrivare fno al carcere di Bollate. La linea di metropolitana arriva poco distante, ma ci fa emergere nel paesaggio nello stesso tempo sfavillante ed un po’ disorientante della Fiera di Rho. Edifci specchiati e grandi infrastrutture, parcheggi e svincoli. Quasi impossibile avventurarsi a piedi; non sempre comodo attendere l’autobus che da qui porta al grande slargo asfaltato davanti all’ingresso. Eppure questo non è un luogo scarico; il fusso di persone che quotidianamente entra ed esce dalla casa di reclusione è signifcativo. Popolazioni diferenti che vivono lo spazio del carcere con ragioni, intensità, emozioni diversissime; coloro che vi stanno forzatamente, coloro che vi lavorano, ma anche soggetti che si sforano per qualche ora accostando vite che hanno, nell’ordinarietà, luoghi e ritmi diferenti: pezzi di famiglie, bambini, mogli, compagni, genitori.

Nel movimento della città, il carcere è un recapito e un luogo di passaggio, usato a intermittenza secondo un calendario stabilito e secondo procedure di ingresso rigidamente vincolate. Per coloro che sono “in visita”, così come per coloro che vivono nel carcere e a cui

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ARRIVARE AL CARCERE (in modo meno faticoso)

Anche il carcere è un luogo della città

sono consentite uscite nella città, il modo di approdare qui – arrivare, entrare, uscire, rientrare – può essere dunque straordinariamente importante.

In tal senso, un progetto che intenda riqualifcare il carcere di Bollate dovrebbe anche fare in modo che questo fusso incontri una città possibilmente più “friendly” di quella che si dà ora: un trasporto pubblico più efciente, un luogo di attesa più confortevole, un percorso pedonale o ciclabile più praticabile e meno faticoso, un viale alberato e un parcheggio adeguato per forma, materiali, dimensioni, una facciata meno respingente. La vicina presenza di Expo potrà divenire una straordinaria occasione, modifcando in modo radicale i recapiti urbani. Passare davanti al carcere, dissolvere questo luogo nella città, evitare che sia un approdo esclusivo e terminale, frequentato solo da chi è diretto proprio lì per farne un luogo di passaggio per tutti.

IL SUOLO INTORNO (come dotazione collettiva della città)

Chi va nel carcere di Bollate per recarsi in visita a qualche familiare potrebbe arrivare da lontano. Giungerà a Milano in auto, con un treno o con un pullman. La città potrebbe essergli estranea: vicino scorgerà edilizia di poca qualità, capannoni recenti e vecchi spazi artigianali, qualche ritaglio di prato e di vegetazione spontanea, la strada perimetrale ben attrezzata ma priva di urbanità, il grande parcheggio all’entrata, le reti da cui potrà intravedere i retri degli edifci. Un paesaggio eterogeneo, in cui il recinto carcerario sarà

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percepito come un elemento di discontinuità circondato da superfci spoglie e anonime. Di fatto, la separazione tra carcere e città sembra darsi ben prima del limite fsico della recinzione: nell’interruzione delle relazioni urbane, nell’assenza di carattere dello spazio pubblico, nell’indiferenza alla forma e alla scala inconsueta.

Per ridare qualità e ruolo al carcere di Bollate occorre probabilmente guardare con attenzione anche a questa città vicino: chiedersi come si abita oggi lì nei dintorni e quanto il carcere sia presente nella rappresentazione locale dei cittadini; immaginare processi di trasformazione del settore urbano capaci di rispondere a necessità di accoglienza e di fornire qualche servizio aggiuntivo a chi, per ragioni diverse, al mondo del carcere è legato; portare un progetto dello spazio pubblico meno banale e tecnicamente determinato fno a toccare il recinto del carcere se non fno ad entrare dentro; rompere il legame tra questo luogo e il suo volto un po’ ostile facendo sì che l’ampio spazio antistante non sia solo parcheggio spoglio ma sia piazza, parco, mercato, giardino della città; fare in modo, più in generale, che la città prossima non sia solo una periferia che contiene un carcere, e neppure sia la periferia del carcere, inteso come unica ragione del trovarsi in questa parte della città.

Certamente la riconversione dell’area di Expo potrà essere decisiva per afrancare questo luogo da una condizione di lontananza. Ma ciò potrà darsi soprattutto se si avrà cura dello spazio collettivo compreso tra le due grandi enclaves. Ciò che oggi manca è forse proprio un progetto di suolo che riformi un pezzo di città segnato

La città oltre il muro 37

Anche il carcere è un luogo della città

da oggetti sigillati e dal loro intorno depotenziato, che interpreti le pratiche d’uso che potrebbero attivarsi calibrando rispetto alla loro varietà e mutevolezza scelte precise in merito a materiali, dimensioni, superfci, zone d’ombra e di sole, luoghi per stare e da attraversare, e così via. Un progetto che introduca con modestia qualche elemento di comfort, evitando tanto la riduzione tecnica e semplifcatrice che insegue la prestazione, quanto la scorciatoia dell’abbellimento superfciale e privo di ragioni.

Il carcere di Bollate è naturalmente una macchina complessa e introversa, con precisi codici di funzionamento. Lo spazio immediatamente fuori è spoglio, ridotto, muto; al più è uno spazio tecnico che risponde a specifche esigenze di sicurezza o accessibilità. Lo spazio dentro il recinto, sia pure fortemente condizionato e regolato negli usi e nelle forme, è per certi versi più complesso: edifci di diversa dimensione, sagoma, natura, uso; superfci diferenti, permeabili o impermeabili, accessibili o inaccessibili; percorsi, passaggi, ostacoli, muri, reti, dislivelli. Tra interno ed esterno, un alto muro di cemento e una doppia recinzione metallica. L’elemento di interfaccia è qui ridotto al suo ruolo – tecnico e simbolico – di dispositivo che contiene e separa.

Riconsiderare questo ineliminabile elemento di divisione diviene fondamentale per ripensare al carcere di Bollate come luogo in cui si vive e come luogo della città. Non solo assumendolo come un

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LO SPESSORE DEL RECINTO (come spazio da abitare)

elemento che – dividendo – contiene suoli, manufatti, persone, ma piuttosto attribuendogli uno spessore, facendolo divenire occasione per defnire l’ambito interno come il paesaggio esterno, considerandolo uno spazio abitabile che può ospitare anche funzioni di interesse pubblico aperte alla città, non necessariamente legate alla sola popolazione carceraria.

Si tratta di una mossa elementare ma dal potenziale urbano straordinario che, da un lato, può cambiare radicalmente il volto del carcere, il suo apparire nella città come anomalia impermeabile a ogni elemento del contesto o piuttosto come pezzo, sia pure eccezionale, della compagine urbana; dall’altro può attivare un incontro e uno scambio tra popolazioni – chi vive dentro e chi vive fuori – a cui oggi è il più delle volte precluso ogni contatto e dialogo. Un recinto che in altri termini divenga frontiera, che consenta, o favorisca, l’incontro.

STRAORDINARIO E/O NORMALE

(un luogo simbolico, un posto per abitare)

Un’ambiguità caratterizza sovente lo spazio del carcere, teso tra straordinarietà del ruolo e del funzionamento, e banalità dell’architettura. Si tratta di uno spazio dichiaratamente “altro”: emergente dal contesto circostante per scala e connotati spaziali, per regole e consuetudini d’uso, per densità simbolica, perché luogo di un vivere in certa misura estremo, che ridefnisce in modi peculiari l’esperienza dell’abitare, delle condivisioni e dei confitti

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Anche il carcere è un luogo della città

che ne fanno parte.

Nel caso di Bollate concorrono a questa alterità diversi fattori. Certamente l’eccezionalità spaziale. Cinquecento metri di lunghezza e trecento di larghezza: al recinto di Bollate corrispondono circa una dozzina di isolati del tessuto della Milano berutiana. Una sorta di “manufatto mondo”, di grande oggetto unitario e specializzato –l’invaso del muro perimetrale – ma anche in un certo senso pezzo di città, organismo composto da più cose: edifci, giardini, recinti, strade, percorsi, alberi, prati, orti. Ma non soltanto. L’eccezionalità è naturalmente anche nelle specifche condizioni dell’abitare che impone: la privazione della libertà individuale implica una dimensione relazionale che si dà con modalità del tutto particolari, in una tensione inedita tra condizioni di isolamento e obbligo ad una vita comunitaria e perennemente esposta, priva di una solitudine scelta. Nulla in fondo somiglia alla vita e all’evidenza formale del carcere.

Nello stesso tempo, la macchina del carcere è uno spazio normalizzato, unifcato, anonimo. Un’opera edilizia, esito di una sorta di sospensione del pensiero e dell’azione progettuale, se non nel suo essere quasi esclusivamente funzionalmente determinata. Un’architettura spoglia e specializzata, che sembra derivare linearmente da principi distributivi, norme di sicurezza, codici di comportamento.

Riqualifcare il carcere signifca forse anche ripensare a questo duplice aspetto: riassegnargli dignità per mezzo dell’architettura, tenendo conto sia dell’ineliminabile dimensione simbolica e

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del posto emergente che esso assume in quella specifca parte della città, sia della sua natura di luogo quotidiano e domestico, sede di un abitare fatto di gesti ripetuti e routine, di ricerca di personalizzazioni e appropriazioni individuali. Una grande casa che si è costretti a condividere, ma che non impedisca qualche forma di riconoscimento soggettivo.

Un progetto per il carcere di Bollate deve probabilmente cogliere questa doppia specifcità. Da un lato è chiamato a interrogarsi sul suo posto nella città, cogliendone la particolarità ma anche facendolo diventare un luogo di passaggio, noto, visibile, urbano, sottraendolo alla dimensione del “recapito” e del luogo “di consegna”. Allo stesso tempo è chiamato a rifettere su una condizione di “urbanità” che può forse anche darsi dentro i confni del muro, in quel microcosmo che contempla dimensione domestica e modi di stare in pubblico, movimenti e stanzialità, incontri e confitti.

Dentro le mura sono evidentemente impedite tutte le opzioni che esprimiamo nei nostri piani di vita quando scegliamo dove abitare, con chi abitare, come abitare. Ma non solo. Le rigidità dello spazio e delle regole, aggiunte ad un approccio sovente infantilizzante al recupero dei detenuti, tendono a impedire le possibilità di scelta individuale, a inibire le attribuzioni di senso oltre che gli utilizzi materiali. L’attenzione che a questi temi viene riservata nella specifca gestione di Bollate, fa tuttavia immaginare una virtuosa convergenza

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DENTRO E FUORI (un po' più vago, un po' più urbano)

Anche il carcere è un luogo della città

con le prospettive esplorate in alcuni dei progetti qui presentati, che sondano le potenzialità urbane insite in un organismo che funziona come una macchina, in cui ogni componente ha compiti stabiliti e univoci.

Lo spazio esercita sempre una forma di attrito rispetto al libero movimento, e orienta in questo modo le pratiche d’uso, fornendo opportunità o impedimenti all’espletarsi delle azioni. La straordinarietà dello spazio collettivo della città è sovente proprio nelle possibilità che consente all’interpretazione; luogo del confitto e della competizione tra usi diferenti oltre che della condivisione, ha spesso in sé una singolare vaghezza che lo rende ciò che è in relazione alle pratiche che vi si svolgono e ai signifcati che vi si attribuiscono.

La riorganizzazione degli spazi collettivi dentro la struttura carceraria, l’individuazione di nuovi luoghi di incontro tra cittadini e popolazione penitenziaria accoglie questa sfda e quest’insegnamento. È possibile in certa misura portare dentro l’ambiente istituzionalizzato e vincolato del carcere questa possibilità di interpretare lo spazio e di esprimere opzioni da parte dei suoi abitanti? È possibile salvaguardare almeno in parte quest’esigenza di scelta individuale che rende l’abitare un’azione intenzionale? È possibile immaginare – dentro e fuori la macchina del carcere – spazi meno specializzati e univocamente defniti, più versatili e malleabili, più aperti all’appropriazione da parte di popolazioni diverse, più volutamente vaghi, e per ciò stesso più urbani?

Sono interrogativi che hanno attraversato l’esperienza qui

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presentata e che i dialoghi tra studenti e detenuti hanno più volte evidenziato. È anche a partire da questi che è forse possibile raforzare la dignità dello spazio carcerario e far sì che esso sia sempre più un luogo della città.

43 La città oltre il muro

LO SPAZIO APERTO COME RISORSA

Lorenzo Consalez

IL CARCERE E IL PROGETTO

L’esplorazione progettuale svolta in ambito universitario, coinvolgendo e mescolando la popolazione degli studenti e quella delle persone detenute, ha un doppio ruolo. Da una parte si tratta di un’esperienza di contatto tra due mondi separati, il dentro e il fuori, e tra due istituzioni pubbliche, quali l’università e il carcere: un ruolo di sviluppo e conoscenza civile che risponde a uno dei ruoli ai quali la scuola è chiamata. Da un altro punto di vista lo sguardo sul mondo penitenziario rivela alcuni temi di specifco interesse per le discipline del progetto. Dal suo posizionamento rispetto alla città, alla sua struttura distributiva fno alla defnizione degli ambienti per la vita relazionale e per la residenzialità, il carcere sembra estremizzare alcune condizioni che sono proprie, in realtà, di ogni tema di progetto.

Ogni scelta ha un forte valore politico e simbolico: la posizione del carcere rispetto al tessuto urbano esprime l’orientamento per un modello inclusivo, che privilegi la relazione tra carcere e città, o viceversa l’ipotesi esclusiva di confnare l’istituto di pena all’interno di enclaves extraurbane1.

La tipologia dell’edifcio rivela, come in una sorta di pedagogia della pena, il percorso riabilitativo al quale l’organizzazione spaziale si riferisce. I singoli elementi che compongono gli ambienti di vita

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sembrano distillare l’essenza stessa del loro ruolo. La fnestra, la porta, il muro non sono solo elementi architettonici ma sono anche i segni tangibili delle regole che governano il mondo penitenziario. Di conseguenza la demolizione di un muro o l’apertura di una fnestra diventano operazioni complesse e cariche di conseguenze pratiche e simboliche.

Lo spazio aperto che esiste all’interno degli istituti di pena italiani ha un carattere prevalentemente residuale. È il negativo di una tipologia insediativa sviluppata all’interno degli ufci tecnici ministeriali e improntata a una risposta semplicemente quantitativa dei bisogni del mondo penitenziario. Gli unici spazi organizzati sono le arie, perimetri cintati da muri e quasi completamente privi di attrezzature, e i campi sportivi. In entrambi i casi si tratta di spazi pensati per il controllo diretto e per un orario d’uso estremamente limitato, mentre la maggior parte del terreno interno al recinto penitenziario rimane sostanzialmente inutilizzato.

La tipologia prevalente delle carceri italiane può essere ricondotta alla struttura a “palo telegrafco”. A questa organizzazione spaziale corrispondono in modo proprio le carceri realizzate tra la prima e la seconda riforma penitenziaria (1889-1932), ma di fatto anche gli interventi successivi al 19492. Nelle variazioni intervenute negli anni rimane riconoscibile una struttura di corpi diferenziati collegati da passaggi coperti. È una struttura naturalmente estensiva e che

1 Scarcella L., Di Croce D., 2001

2 Marcetti C., 2011

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LO SPAZIO APERTO DA RESIDUO A RISORSA Lo spazio aperto come risorsa

ritaglia all’interno del perimetro degli ampi margini di spazio vuoto, solo parzialmente utilizzato da arie e campi.

Nelle carceri italiane la percentuale dello spazio costruito rispetto allo spazio libero oscilla tra il 20% e il 45%, con una media inferiore a 1/33. Ma la percentuale, che descrive una situazione potenzialmente virtuosa, nasconde in realtà il fatto che fno all’introduzione della sorveglianza dinamica, conseguente alla sentenza Torreggiani del 2013, questi spazi non erano utilizzati e nemmeno utilizzabili.

Gli spazi aperti possono essere classifcati come accessibili, inaccessibili o accessibili selettivamente solo da alcuni ambienti (come nel caso degli spazi interclusi). Nelle carceri storiche sono spazi modesti, mentre nelle strutture più recenti, alle quali appartiene la Seconda casa di reclusione di Milano Bollate sono spesso inaccessibili.

La sorveglianza dinamica che è stata introdotta successivamente all’apertura delle celle4 del 2013 è di fatto la precondizione per trasformare gli spazi residuali in risorsa. La relativa circolazione delle persone detenute garantita da un controllo zonale o remoto spinge naturalmente verso degli spazi esterni che diventano dei veri ambienti di vita, necessari sia in quanto aperti, sia per la mancanza

3 L’argomento è stato sviluppato in una tesi di laurea del Politecnico di Milano, scuola AUIC, tramite una analisi geometrica condotta sulle rilevazioni googlemaps dei principali istituti penitenziari italiani. Garibotti

A., ’Free space: lo spazio aperto nelle carceri: da spazio di risulta a risorsa’. Relatore Arch. Lorenzo Consalez,

AA 2014-2015

4 Di Franco A., infra

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Lo spazio aperto come risorsa

strutturale di luoghi specifci pensati per quelle che possono essere defnite “attività libere”. In sostanza gli spazi aperti diventano la risorsa più immediatamente disponibile per svolgere il ruolo di “Agorà” 5, di spazio di relazione, sia individuale, sia collettivo, che nelle carceri attuali semplicemente non esiste, in quanto i regolamenti penitenziari non prevedevano attività di tipo informale, di lunga permanenza e sufcientemente grandi da ospitare una percentuale massiccia della popolazione detenuta in contemporanea.

Due esempi recenti, che dànno forma a progetti gestionali più avanzati rispetto al quadro nazionale, esemplifcano due strategie di approccio della progettazione agli spazi aperti del carcere. In realtà il primo, che tratta lo spazio aperto come tema indipendente, appare più immediatamente adattabile alla situazione italiana e in particolare al caso della casa circondariale di Bollate, in quanto è facilmente applicabile a strutture esistenti. Il secondo viceversa, espressione di una realtà molto specifca, rappresenta l’esito di

5 Il termine ‘Agorà’ è stato introdotto nelle linee guida governative per l’edilizia scolastica del 2013 per indicare quegli spazi capaci di raccogliere l’intera popolazione delle strutture (in quel caso scolastiche).

L’ambiguità del termine (che richiama la piazza della città greca) viene chiarita delineando uno spazio chiuso indiferenziato, e di grandi dimensioni, dove possono avere luogo indiferenti attività collettive, individuali e microcomunitarie. Linee guida MIUR 11 aprile 2013, ‘Norme tecniche-quadro (…) indispensabili a garantire indirizzi progettuali di riferimento adeguati e omogenei sul territorio nazionale’.

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DUE ESEMPI: LE CORTI E IL CAMPUS

un approccio olistico nel quale il ruolo dello spazio aperto, della prossemica e del paesaggio diventano la matrice principale del progetto.

Nel 1999 la designer olandese Petra Blaisse, dello studio Inside Outside, realizza i giardini del penitenziario di Nieuwegein in Olanda. L’incarico riguarda il disegno di un nuovo carcere realizzato dallo studio Archivolt Architecten all’interno di un programma varato dal governo dieci anni prima. La struttura del progetto architettonico è di tipo cruciforme, sorta di riedizione della struttura a palo telegrafco. Petra Blaisse interviene all’interno delle corti del complesso, defnite “patii” con un doppio livello di disegno. Il segno unitario di un percorso garantisce il collegamento, volutamente meandrico ed esperienziale, tra i sei diferenti patii. Questi sono realizzati interpretando sia la funzione specifca (campo sportivo, cortile delle donne), sia un’identità simbolica che si oppone alla monotonia della struttura. Gli strumenti del linguaggio sono quelli tipici della progettazione paesaggistica nord europea, con materiali di recupero o poveri (conchiglie, pacciamature, pavimentazioni industriali) e specie aromatiche capaci di individuare anche sensorialmente i luoghi. In sostanza il progetto si sovrappone come un layer autonomo al disegno della struttura e ridisegna il carattere degli spazi in termine di luogo, defnendo una strategia facilmente applicabile anche nel caso di penitenziari esistenti6.

Il West Kimberly Regional Penitentiary, inaugurato nel 2012 presso Derby (West Australia), rappresenta un caso singolare di integrazione tra progetto di paesaggio e architettura nel mondo 6

La città oltre il muro 49
I.,
Curulli
2008

Lo spazio aperto come risorsa

penitenziario. Il progetto, realizzato da Tag Architects con Iredale Pedersen Hook Architects, ospita una popolazione detenuta interamente aborigena e propone un percorso riabilitativo che tenga presente il particolare modo di vita, strettamente legato alla natura e ai suoi ritmi, dei nativi. Il penitenziario è strutturato come un campus di padiglioni immersi nella natura. Quarantadue edifci che ospitano le funzioni residenziali, quelle comunitarie e la sorveglianza, sono disposti in maniera libera sul terreno rispettando gli alberi e la morfologia del suolo esistente. Il centro del complesso è un parco circolare attorno al quale gravitano tutte le funzioni. Lo spazio aperto diventa quindi la matrice dell’intero progetto e il principio organizzatore, attraverso l’individuazione di cluster di appartenenza dei diversi tipi di persone detenute, dei fussi stabiliti dalla natura normativa della funzione7.

STRATEGIE DI PROGETTO: L'APPROCCIO DEGLI STUDENTI

Gli studenti del laboratorio hanno afrontato il tema della riprogettazione degli spazi del carcere attraverso la lente dell’intervento sull’esistente. L’oggetto dell’esplorazione progettuale, la seconda casa di reclusione di Bollate presenta alcune caratteristiche riconoscibili nella maggior parte degli istituti di pena moderni italiani. Una griglia indiferenziata di padiglioni collegati da ampi corridoi e inframezzati da spazi aperti, normalmente inaccessibili. Gli studenti hanno scelto liberamente il livello di profondità della modifcazione dell’esistente, attingendo a diferenti modalità di

7 Grant E., Hobbs P., 2013

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progetto quali la densifcazione, la superfetazione, l’intervento sul limite. Questa varietà ha dato luogo ad approcci compositivi diferenti, ma tutti generati da uno stato di necessità comune: l’uso dello spazio aperto come risorsa.

Se si focalizza la lettura dei progetti sullo spazio tra le cose, piuttosto che sul costruito8, appaiono alcuni atteggiamenti riconoscibili. Alcuni progetti adottano una strategia colonica. Lo spazio delle corti e delle ex-arie, interno al recinto, è il luogo dove possono essere inseriti nuovi blocchi per ofrire al penitenziario quegli spazi di relazione oggi assenti, oppure padiglioni integrati in un disegno unitario con il verde, le pavimentazioni e le strutture leggere che trasformino le corti in luoghi abitabili per attività libere anche durante le stagioni rigide. Altri ricercano “forme di osmosi comunitaria tra interno ed esterno” 9 superando il limite delle mura per realizzare, sul terreno della città, piazze e funzioni ricreative che ofrano un segno tangibile del superamento di un confne, che oltre che fsico è culturale. Infne ci sono progetti che afrontano lo spazio aperto come tema autonomo, sia tramite il disegno di piazze e percorsi che organizzano in modo classico lo spazio disponibile, sia attraverso alcune strategie tipiche della progettazione paesaggistica a grande scala, quali la rinaturalizzazione degli interstizi e la costruzione di un nuovo paesaggio.

Di fatto si riscontra, a fanco di una strategia di intervento sul costruito, una costante attenzione allo spazio aperto. I progetti sviluppano il tema in maniera integrata o autonoma, a seconda dei casi, ma descrivono nella loro totalità la tensione a trasformare lo spazio tra le cose da residuo a risorsa.

La città oltre il muro 51 8 Aymonino A., Bosco V.P., 2006 9 Palma M., 2017

Lo spazio aperto come risorsa

RIFERIMENTI E BIBLIOGRAFIA

Aymonino A., Bosco V.P., 2006, Spazi pubblici contemporanei: architettura a cubatura zero, Milano: Skira

Curulli I., 2008, Giardini in prigione, in Capezzuto R. (a cura di), Sicurezza, Domus 915, p. 117

Di Franco A., infra, Il carcere come tema del progetto: un laboratorio di Progettazione nella casa di reclusione di Bollate

Gehl J., 2012 (prima ed. 1991), Vita in Città: spazio urbano e relazioni sociali, Santarcangelo di Romagna: Maggioli

Marcetti C., 2011, L’architettura penitenziaria dopo la riforma, in: S. Anastasia, F. Corleone, L. Zevi, a cura di, Il corpo e lo spazio della pena, Architettura, urbanistica e politiche penitenziarie, Ediesse

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Palma M., 2017, Relazione al parlamento 2017, www.garantenazionaleprivatiliberta.it

Scarcella L., Di Croce, D., 2001, Gli spazi della pena nei modelli architettonici del carcere in Italia. In Rassegna penitenziaria e criminologica, fascicolo 1-3

https://archivolt-bna.nl (consultato il 15 settembre 2018)

Grant E., Hobbs P., 2013. West Kimberley Regional Prison, Architecture Media Pty Ltd. Retrieved 11, https://architectureau. com (consultato il 15 settembre 2018)

La città oltre il muro 53

LO SPAZIO SCELLERATO

Verso l'architettura della detenzione

Chi appartiene alle realtà non ha bisogno di tanti dettagli, che come sappiamo, non corrispondono afatto alla forma di una visione reale. Ma chi appartiene alla profondità dell’infnito e del lontano, all’infelicità della dismisura, è condannato all’eccesso della misura e alla ricerca di una continuità senza difetto, senza lacuna, senza disparità... (Poichè) è la misura a impedire nell’opera che l’illimitato si compia...

CORPO E SPAZIO

Rifettere sulla realtà carceraria porta inevitabilmente ad una indagine sulle tematiche del corpo della detenzione, fsico e politico, e sulla percezione del suo spazio all’interno del grande tema dell’architettura totale del carcere, ‘luogo assoluto in cui si impone all’individuo la restrizione in una dimensione spaziale limitata’1.

Metaforica immagine sociale che registra l’attuale condizione politica, il carcere, nella sua ineludibile connessione con la città, rappresenta infatti un importante spazio di congiunzione tra il ‘corpo dei detenuti’ e lo ‘spazio collettivo’ 2, tra un interno ed un esterno,

55 La città oltre il muro

Lo spazio scellerato

tra l’individuo e la società, divenendo però in realtà troppo spesso simbolo di devianza destinato all’isolamento3.

Nella sua dimensione critica di ‘spazio eterotopico’, riprendendo la defnizione foucaultiana o, se vogliamo, di spazio assemblato e giustapposto di luoghi incompatibili tra di loro4, il carcere viene spesso pensato e defnito come ambiente della privazione, della segregazione, della limitazione del corpo del detenuto ‘senza nessuna possibilità di autodeterminazione’: ‘una sorta di eccesso normativo che alimenta una fragile paura nei confronti di quel corpo troppo spesso letto come ultima espressione di autonomia e di ribellione del singolo’5.

Una visione, questa, dal forte carattere punitivo, nella quale l’architettura e la città non hanno alcun ruolo. Si determina invece oggi il prevalere di una cultura dell’isolamento, per cui da un lato si aferma l’utilizzo di strutture rigide e seriali, quali forme razionali del potere e del controllo, dall’altro si incentiva la periferizzazione delle carceri, secondo una evidente volontà di esclusione, poichè ‘espressione sociale della devianza’ 6 .

Questa natura complessa costituita di corpo e spazio, di desideri e limiti, di individui che pensano e vivono diferenti spazi reali e mentali, evidenzia il carattere di luogo speciale, dove ogni azione, collocazione, pensiero ed emozione, pur nella sua apparente semplicità, acquista un valore singolare oltre le comuni defnizioni. Si tratta di una sorta di luogo sovraesposto all’eccezione, dove corpo e spazio rinnovano continuamente il loro legame sinestetico.

Qui in un equilibrio instabile, i caratteri dialettici di individuo-collettività,

1 Pietropaolo, 2014

2 Anastasia, 2011

3 Marcetti, 2011

4 Foucault, 1966

5 Palma, 2001

6 Paone, 2011

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7 Vidler, 1994

8 Fimiani, 2015

9 Vidler, 1994

di reale-mentale, di stanza-città, pur essendo referenti certi, si sfocano in una sorta di ‘dilemma fgurale’ sovraesposto, stratifcato, e drammaticamente rivolto ad una condizione di urgenza. L’essere un ambito forzatamente separato ed escluso dalla città enfatizza il legame nativo con la stessa, ma in modo eccezionale: come trauma, ferita e perdita, come necessità continua di compensare il sentimento iniziale di smarrimento di una memoria senza oggetti7 .

La città e le sue architetture inizialmente negate riemergono in modo violento come desiderio del luogo sottratto e interagiscono nella defnizione dello spazio reale di detenzione, attraverso una sorta di sovrapposizione di memoria ed immagini. Sull’iniziale décadrage dei riferimenti che lo spazio carcerario provoca, attraverso una sospensione narrativa della città, la mancanza di essa, sentita come disagio, innesca strategie di adattamento che operano attraverso analogie, risonanze morfologiche con la città stessa, una sorta di anamnesi spaziale nonché una ‘rammemorazione psichica’ dei luoghi afettivi.

Il carcere diviene un territorio separato dal mondo e allo stesso tempo, come in una sorta di anti-utopia, specchio del mondo stesso8. ‘Eterotopia, eterotoponimia, eterocronia’ sembrano drammaticamente ricomporsi in un unico spazio reale della detenzione: i luoghi, i nomi, le persone, le immagini, nelle loro diferenze di tempo, di storia, di cultura, di linguaggio, di desiderio e di speranze, si intrecciano in una sola scena patologica9 che è allo stesso tempo origine e metafora, luogo fsico e luogo mentale, fantastico, dove proiettare il proprio futuro.

La città oltre il muro 57

Lo spazio scellerato

TEMPO ED INVENZIONE

È in questo scarto fgurale, tra uno ‘spazio reale attribuito’, tecnico e depersonalizzato, e uno ‘spazio desiderato sottratto’, metaforico ed immaginifco, che l’architettura della detenzione deve ritrovare un ruolo attivo attraverso la sua funzione di progetto sociale, in sintonia con lo spirito legislativo indirizzato alla rieducazione.

Nell’attuale situazione fortemente indirizzata da una visione di ‘controllo’, una sorta di ‘razionalizzazione simbolica’ dello spazio voluta anche dal Piano Carceri del 2010, il corpo del detenuto diventa corpo di scambio ponendosi come mediatore tra l’uomo ed il potere normativo, tra il desiderio e il limite.

Troppo spesso il corpo del detenuto, già sotto controllo e simbolicamente limitato, viene successivamente svuotato delle sue qualità individuali e capacità sociali e portato ad una forma anonima estrema, ad un ‘tempo vuoto’, solo apparentemente riempito da attività lavorative, come anche evidenziato dal Gruppo della Trasgressione del carcere di Bollate. Si passa da un ‘uomo astratto’, di foucaultiana memoria, dove lo spazio viene controllato ed annullato, ad un ‘uomo immagine’ dove si assiste all’annullamento del tempo10. Passaggio ben individuato dall’autore negli esempi di Bentham e Piranesi, dalla ‘tortura dello spazio alla tortura del tempo’ 11 .

Nel primo esempio, ovvero il Panopticon con la sua struttura tipologica dotata di un centro visibile e politicamente sempre presente, si assiste ad un'interiorizzazione della norma, una netta separazione tra interno ed esterno, tra controllo e controllato.

10 Gallo, 1989

11 Ruggiero, 1989

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12 Gallo, 1989

13 Purini, 2008

Nella seconda metafora, Le Carceri d’invenzione di Giovan Battista Piranesi, il problema dello spazio diviene metafsico e apparentemente immateriale, condizione soggettiva ed interiore: un ‘infnito senza tempo’ 12 .

Ma se nella prima architettura proposta, quella del Panopticon di Bentham, l’ambiente controllato e statico nega la possibilità di avere uno spazio espressivo, necessario alla rieducazione dei detenuti, nell’architettura piranesiana invece il ‘tempo infnito dello spazio’, pur nella sua astrazione, introduce il tema della dinamicità e della partecipazione nella defnizione, fruizione e lettura dello spazio stesso.

È proprio la condizione di spazio infnito e stratifcato, di spazio quasi da riempire dove collocare le proprie azioni, che qualifca il luogo di detenzione, poichè costruisce paradossalmente un piano di fuga, di uscita dall’idea di pena, verso un percorso di presa di coscienza e di conquista dello spazio stesso.

In una sorta di ‘perenne attualità’ 13, le acqueforti de Le Carceri del 1761 di Gian Battista Piranesi, pur nella dimensione utopica dell’incisione, ovvero proponendo uno spazio in divenire tra disegno e sua traduzione immaginifca, possono introdurre quindi nel dibattito contemporaneo elementi di dinamicità e di partecipazione.

Le tecniche esplorative di Piranesi, le distorsioni semantiche di memoria tafuriana o, se vogliamo, lo spazio scellerato dell’architetto sono riconducibili a precise categorie compositive quali il ‘montaggio intellettuale’, dove lo spettatore partecipa alla costruzione della scena, l’‘esplosione dell’inquadratura’, quale amplifcazione delle possibilità

La città oltre il muro 59

di spostamento, l’‘organicità nella dinamicità’, come diferenti movimenti contenuti in una architettura apparentemente defnita, e la ‘materia polistratifcata’, quale compresenza di più tempi in un medesimo spazio14.

Apparentemente distanti dalla drammatica realtà carceraria e dalle stringenti esigenze di sicurezza e di controllo, queste visioni potrebbero tuttavia contribuire al dibattito in corso introducendo un cambio paradigmatico di prospettiva, delineando precisi innesti strategici di progetto e scoprendo inediti compositivi che possano decostruire l’attuale macchina razionale dell’isolamento e portare a considerare nuovamente il carcere come un'architettura più dinamica, partecipata e responsabile.

ARCHITETTURA E LIBERTÀ

In questo ambito teorico e pratico l’esperienza didattica del Laboratorio di Progettazione architettonica del Politecnico di Milano ha cercato di cogliere gli elementi strategici e potenziali di cambiamento della realtà carceraria di Bollate, II casa di reclusione di Milano, attraverso una straordinaria collaborazione partecipata in un workshop che ha coinvolto diversi attori: i detenuti, gli studenti, gli assistenti, i docenti, i visitatori, i politici e gli esperti del settore.

I progetti defniti da questa esperienza instaurano nei confronti della realtà carceraria un sistema dinamico, reale ed utopico allo stesso tempo, cercando di ri-defnire lo spazio controllato e suddiviso più volte rimarcato da soglie e muri che fltrano l’esterno e l’interno.

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Lo spazio scellerato 14 Tafuri, 1980

15 Ungers, 1976

Attraverso la tematizzazione di precise invenzioni tipologiche, fgur-azioni compositive connesse ai problemi della detenzione, gli interventi proposti aspirano a reintrodurre il tema dell’architettura con il ripensamento degli ‘spazi di relazione’, quegli spazi liberi che operano inevitabilmente in più ambiti: tra norma, prassi e promesse di cambiamento.

Qui la defnizione tipologica del carcere viene letta oltre i suoi elementi morfologici: il tipo, inteso come ‘invariante formale che si manifesta come struttura profonda delle forme15, viene colto nella sua possibilità di divenire processo e serie, spazio d’invenzione che presuppone la trasformazione. A partire da questo approccio, tutte le esperienze immaginate dagli studenti afrontano il tema dello spazio di relazione nelle diferenti aree del carcere, (prima della recinzione, tra il muro e gli edifci interni, tra le aree trattamentali e il grande corridoio) accostando al potenziale e minimo cambiamento architettonico una rifessione necessaria e profonda sullo spazio di detenzione nel dibattito contemporaneo in Italia:

SOGLIE E MONTAGGI

Oltre il limite, Contatto, e La serratura nel muro.

Il muro, limite simbolico, diviene occasione di contatto con il mondo esterno in una sorta di passe-partout morfologico che media l’isolamento ed il ruolo del carcere nella città. Il limite acquista spessore urbano e cerca di ripensare e ritrovare un ruolo civile dell’architetttura all’interno dell’ambiente metropolitano.

La città oltre il muro 61

Lo spazio scellerato

LUOGHI ED INNESTI

Aria Nuova, Forum delle possibilità, La città invisibile, Diferenza, Gradi di afettività, La scelta, Dislivelli.

Le aree trattamentali, gli unici spazi possibili dove svolgere attività lavorative secondo la normativa, diventano luoghi di scambio e di possibilità di scelta, dove defnire il proprio tempo con attività dinamiche che coinvolgono orizzontalmente tutti gli spazi del carcere. Il grande schema logico-tipologico di corridio-sezioni, un lungo spazio orizzontale e luogo collettivo di connessione tra le aree abitative, viene ripensato nelle sue soglie e spazi minimi tra l’interno e l’esterno. I nuovi innesti progettuali, le demolizioni e i nuovi corpi, cercano di costruire con varie attività di lavoro i nuovi luoghi e tempi della rieducazione.

ORIZZONTI E PROIEZIONI

La città e lo scambio, Situazioni urbane, L'altrove.

La città e l’ambiente costituiscono un riferimento essenziale dello spazio di reclusione, sia grazie alla costruzione di nuovi luoghi in contatto visivo con l’esterno sia tramite l’inserimento di forme di scambio analoghe, per dimensione e qualità, a quelle della città. Lo spazio viene defnito attraverso l’idea di partecipazione e di scelta, senza escludere forme di contatto con l’ambiente esterno.

L’architettura, così immaginata e disegnata, riscatta il dramma

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della detenzione costruendo uno spazio nuovo, uno spazio mentale forse, in ogni caso una possibilità di contatto e di bellezza per il corpo, attraverso la riscoperta del progetto come tensione e desiderio di vita.

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Lo spazio scellerato

RIFERIMENTI E BIBLIOGRAFIA

Anastasia S., 2011, La forma della pena: alternative nelle politiche penitenziarie, in: S. Anastasia, F. Corleone, L. Zevi, a cura di, Il corpo e lo spazio della pena, Architettura, urbanistica e politiche penitenziarie, Ediesse, Roma

Fimaini F., 2015, L’origine, la ferita. Memoria e immagini in Shutter Island, Aisthesis. Vol. 8, n°2. pag. 99-115

Foucault M., 2006, Utopie. Eterotopie, trad. A. Moscati, Cronopio, Napoli

Gallo E., Ruggiero V., 1989, Il carcere immateriale, Edizioni Sonda, Milano

Marcetti C., 2011, L’architettura penitenziaria dopo la riforma, in S. Anastasia, F. Corleone, L. Zevi, a cura di, Il corpo e lo spazio della pena, Ediesse, Roma, pp. 69-94

Pietropaolo L.,2014, Architettura delle istituzioni totali: carceri

d’invenzione ed eterotopie della detenzione, in: Arte e Critica

periodico trimestrale, anno XXII, numero 80/81

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Palma M., 2011, Due modelli a confronto: il carcere responsabilizzante e il carcere paternalista, in: S. Anastasia, F. Corleone, L. Zevi, op. cit.

Paone S.,2011, Dal carcere in città alla città carcere, in S. Anastasia, F. Corleone, L. Zevi, a cura di, Il corpo e lo spazio della pena, Ediesse, Roma, pp. 119-131

Purini, F., Neri G., 2008, Attualità di Giovanni Battista Piranesi, Libria, Melf

Ungers O.M., 1976, Progettare e pensare attraverso reppresentazioni, metafore e analogie, in: Caja M., Landnsberger M., Malcovati S., 2016, Tipo forma fgura. Il dibattito internazionale 1970-2000, Libraccio Editore

Tafuri M., 1980, L’architetto scellerato: G.B. Piranesi, l’eterotopia e il viaggio, in Tafuri M., La sfera ed il labirinto. Avanguardie e architettura da Piranesi agli anni ‘70, Einaudi, Torino

Vidler, A., 1994, Te Architectural Uncanny: Essays in the modern unhomely, MIT Press, Cambridge (Mass.)

La città oltre il muro 65

IL GRUPPO DELLA TRASGRESSIONE

Il Gruppo della Trasgressione è essenzialmente un laboratorio permanente di rifessione a cui partecipano detenuti, studenti universitari e comuni cittadini. Gli obiettivi principali sono: il riconoscimento reciproco, la formazione degli studenti, l’evoluzione del condannato, lo sviluppo di progetti comuni. Durante gli incontri i componenti del gruppo si confrontano su temi che riguardano la persona, le sue problematicità, il divenire dell’identità e le scelte personali dei singoli. Partendo dalle relazioni e dai vissuti dell’esperienza deviante, detenuti, studenti e comuni cittadini rifettono e producono testi su temi come: in che modo si diventa criminali; il modo confuso con cui il principio della giustizia è presente anche nel predatore; se e come si può rinunciare gradualmente all’eccitazione dell’abuso per il piacere della relazione; quanto sia difcile stabilizzare l’equilibrio psico-sociale del neo-cittadino proveniente da un’adolescenza vissuta nella devianza.

Le principali attività del Gruppo della Trasgressione riguardano incontri settimanali con ospiti esterni – fra cui artisti, studiosi, insegnanti, liberi professionisti, congiunti di vittime di reati –; convegni e concerti a tema, fnalizzati ad alimentare la relazione fra detenuti e mondo esterno; incontri di prevenzione al bullismo e alla tossicodipendenza nelle scuole medie inferiori e superiori di Milano e Provincia; tirocini con studenti delle università di Psicologia, Filosofa, Giurisprudenze e Scienze della Formazione; progetti di

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reinserimento lavorativo di detenuti ed ex detenuti attraverso la nostra cooperativa.

Tutti i progetti e le attività nascono dagli incontri settimanali che il Gruppo tiene nelle carceri di Opera, Bollate, San Vittore e nella sede esterna di Via Donizetti a Milano (dove siamo ospiti dell’associazione Libera). L’incrocio fra le diverse attività lavorative e culturali favorisce nel detenuto il piacere e l’esercizio della responsabilità nei confronti dei progetti comuni, l’acquisizione di funzioni sociali riconoscibili e gratifcanti, la progressiva emancipazione dall’identità deviante. Egli esercita un ruolo positivo e rassicurante per i ragazzi durante gli incontri nelle scuole per la prevenzione al bullismo ed è un utile stimolo per la crescita professionale degli studenti universitari e per il coinvolgimento dei detenuti che hanno meno esperienza del Gruppo.

L'associazione Trasgressione.net Onlus si occupa delle iniziative culturali del Gruppo della Trasgressione. Scopo principale dell'associazione è costruire e irrigare una rete di idee e di relazioni grazie alla quale i componenti del gruppo, senza particolari distinzioni fra comuni cittadini e detenuti, possano contribuire attivamente ai progetti che ci rappresentano.

La Cooperativa sociale Trasgressione.net risulta come il braccio imprenditoriale del Gruppo della Trasgressione. Il suo scopo principale è garantire ai componenti del gruppo (detenuti e non) un clima di progettualità permanente attraverso le attività lavorative

68 Il gruppo della trasgressione

e in combinazione con le attività culturali dell’associazione. Entrambe hanno lo scopo di fortifcare il senso di appartenenza e il reciproco riconoscimento fra chi è passato dal carcere e chi no. Il nostro obiettivo ultimo è rendere più difcile che per ciascuno di noi l’altro possa essere solo preda, carnefce, straniero.

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PROGETTI E STORIE

ARIA NUOVA

Un giorno, una folata di vento si abbatte sulla città invisibile di Bollate e spazza via una gran quantità di muri e recinzioni. Improvvisamente lo spazio esterno diventa ampio ed arioso e le possibilità di usarlo infnite. I reclusi, uscendo dai loro spazi privati, possono impiegare il tempo in modo diverso a seconda delle loro esigenze. Percorrendo l’asse principale si aprono di volta in volta scenari diferenti, e chi vi si addentra ha la possibilità di trascorrere il proprio tempo tranquillamente, in compagnia di chi preferisce. Il primo scenario che si intravede dalle grandi vetrate sono le aree della coltivazione della terra e della produzione di materie prime: gli orti e i frutteti costellano questi spazi, la natura ha preso il sopravvento sul cemento ed ogni tanto aforano puntuali spazi per leggere, cucinare, estraniarsi e per condividere momenti in compagnia. Continuando sull’asse, l’altro isolato da scoprire è quello dedicato allo sport e alla salute. Addentrandosi in quest’area l’atmosfera si fa più leggera e la voglia di svagarsi aleggia sempre più! Una gran quantità di campi da gioco permette ad ognuno di praticare diverse attività sportive, sia all’aria aperta che all’interno di un grande spazio coperto: la palestra. Questo è il punto in cui il percorso termina: un luogo dove ci si può riunire e confrontare e dove si accolgono anche coloro che occasionalmente entrano all’interno di questa realtà.

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La città oltre il muro
74 Aria nuova planimetria
75 La città oltre il muro

assonometria

assonometria

76 Aria nuova
vista La città oltre il muro 77
78 vista Aria nuova
79 vista La città oltre il muro

LA SERRATURA NEL MURO

Maddalena Boscolo, Alessandro Capetti, Lucia Giordano, Alessandro Selmi

Oggi sembra di stare al Colosseo, gente che entra ed esce, c’è anche qualcuno che non ho mai visto prima, deve essere per colpa di quei nuovi edifci che stanno aprendo poco più in là... Avevano invitato anche me, ma preferisco stare di gran lunga sotto il pergolato a leggere un libro e coltivare i miei ortaggi che mi danno un gran da fare. Le mamme sembrano più felici, si sentono le voci dei bambini del nuovo asilo nido. Si sente il sudore degli amici in palestra. Loro sono proprio fssati. Hanno detto di avere conosciuto gente nuova che viene da fuori.

Sta succedendo qualcosa.

Forse oggi potrei lasciare che le fragole restino da sole e andare su per vedere meglio. Da quando hanno messo questa passerella è tutta un’altra storia. Mi sembra di aver traslocato, ma io sono sempre nello stesso posto. Hanno anche messo su una pasticceria, una tintoria, una sartoria e un mercato in cui posso vendere le verdure ai miei clienti di fducia (le fragole le tengo per me e i miei compagni). Sì, deve esserci qualcosa di nuovo, sono arrivati anche i parenti dal Sud. Mi hanno detto di sbrigarmi che continuano a bussare sul muro. Speriamo abbiano sistemato le serrature. Questo vuol dire solo una cosa: dovrò salire in camera perché se il muro è diventata una porta, devo riuscire a trovare la beata chiave.

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82 La serratura nel muro planimetria prospettica generale

dettaglio planimetria

83 La città oltre il muro
84 La serratura nel muro pianta sezione

esploso assonometrico

sezione

85 La città oltre il muro
86 vista La serratura nel muro
87 vista La città oltre il muro

OLTRE IL LIMITE

Adesso non è più ai margini della città: la casa circondariale di Bollate esiste per chi la abita e per chi semplicemente la vede da lontano. Il limite è fnalmente superato, non solo quello del muro, ma soprattutto del senso comune, l’idea del carcere come realtà isolata. Ho saputo che nel weekend le famiglie di Baranzate adorano andare nel parco davanti all’entrata, quello che collegava l’area Expo. Questo è il primo limite che è stato superato: il parco e una vera piazza! Ci sono anche i negozi con i prodotti che realizzano dentro. La trasformazione del carcere mi è stata raccontata da un detenuto durante un corso di boxe a cui mi sono iscritto. Ora ai piani più alti del nuovo auditorium davanti all’entrata del carcere organizzano corsi a cui possiamo partecipare sia noi che loro, così ho conosciuto Carlo. Mi ha spiegato di essere un articolo 21, lavora sei ore al giorno nel ristorante in piazza e due volte a settimana partecipa ad un corso formativo, oppure grazie ai bonus ricevuti passeggia sotto al portico attorno al muro. I suoi compagni invece recitano per il laboratorio di teatro, ma Carlo è troppo timido. Mi ha confessato che, a seguito dell’introduzione di queste novità, si è sentito parte di un’evoluzione.

Chissà come sta ora, andrò a trovarlo presto, così potrà parlarmi con più calma nello spazio vetrato degli incontri, e se otteniamo il permesso lo invito a visitare la mostra d’arte che hanno allestito all’ultimo piano del cubo di entrata.

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90 Oltre il limite planimetria
91 La città oltre il muro

auditorium, ristorante e laboratori - sezione prospettica

92 Oltre il limite complesso - assonometria

cubo d’ingresso con ufci e spazio espositivo - sezione prospettica La città oltre il muro

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94 Oltre il limite portico per le passeggiate - vista

La città oltre il muro giardino degli incontri - vista

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LA SCELTA

Martina Clara, Caterina Coli, Laura Ehrenheim, Erica Zanella

Tema di italiano: Racconta la tua domenica ideale.

Questa Domenica come tutte le Domeniche sono andata a trovare mio papà a casa sua. Mio papà vive con molte altre persone e per questo ha un giardino molto grande. Quando vado a trovarlo possiamo sempre giocare insieme nel parco giochi, il mio preferito è l’altalena, papà mi spinge sempre in alto e mi sembra di volare! D’inverno quando fa freddo, invece, ci troviamo in un edifcio molto grande con il tetto di vetro e gli alberi dentro. Sembra un giardino al chiuso! Questa domenica però faceva molto caldo quindi abbiamo scelto di stare nel giardino e abbiamo giocato a nascondino. Papà era un po’ stanco, infatti alla mattina presto aveva scelto di andare a correre nell’anello intorno ai palazzi di casa sua. C’è un percorso molto lungo con uno strano terreno rosso per correre e aveva fatto addirittura dieci giri! Prima di andare via papà mi ha regalato un fore, mi ha detto che lo ha colto nell’orto di casa. Mi fa sempre dei regali con oggetti che costruisce lui perché al pian terreno del suo palazzo ci sono molti spazi per attività di laboratorio, giardinaggio, musica e sport. Ogni settimana può scegliere quale attività fare e ogni settimana mi porta in dono una cosa diversa. Mi piace sempre andare a trovare papà, mi diverto molto e il posto dove vive è pieno di attività da fare. Se potessi scegliere vorrei sempre che fosse domenica.

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98 La scelta reparti e giardino degli incontri - planimetria
99 La città oltre il muro

100 La scelta

nuovo giardino ed edifcio per gli incontri - sezione

nuovo giardino ed edifcio per gli incontri - vista

101
complesso degli incontri - assonometria La città oltre il muro
102 La scelta
sistema dei reparti - assonometria

spazio

esterno dei reparti - vista

La città oltre il muro

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piano terra comune dei reparti - vista

DIFFERENZA

Claudia Castelli, Valentina Corti, Xiao Xu

A Bollate, al di là dell’alto muro di cinta, coesistono due mondi apparentemente opposti e distinti: quello femminile e quello maschile. Il primo è un pianeta pieno di sfumature, ci sono recluse di ogni età: giovani, adulte, mature; alcune difdenti, altre più aperte al confronto. Poi ce ne sono alcune, quelle più fragili, che in questo piccolo angolo di Milano ci sono arrivate non da sole. Sono donne in dolce attesa, donne appena diventate madri e donne che lo sono da un po’. Per ognuna le giornate sono intense e sempre diverse.

Il secondo è un pianeta forse più forte ma altrettanto diversifcato. Ci sono individui riservati, altri spavaldi, ci sono i ‘nuovi’ e i veterani, che di Bollate conoscono ogni angolo.

Al centro, tra i due mondi, esiste poi uno spazio neutrale; uno spazio di interazione e scambio di esperienze. È una sorta di ‘terra di mezzo’ in cui mondo femminile e maschile possono incontrarsi e conoscersi, e infne migliorarsi. In questa terra ci sono luoghi in cui imparare e in cui socializzare, altri in cui poter trascorrere del tempo con i propri cari e amici. Il grande viale centrale, su cui si afaccia ogni situazione, funge da asse di collegamento tra i due mondi, e si anima sin dalle prime luci dell’alba, per poi spegnersi quando viene sera (fno al giorno seguente). In altre parole, una piccola oasi in cui sentirsi liberi.

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106 Diferenza planimetria
107 La città oltre il muro

sezione femminile e spazi condivisi- sezione

108 Diferenza piano terra - pianta
109 viale centrale di collegamento - vista La città oltre il muro
110 Diferenza reparrto femminile - sezione spazi condivisi - prospetto

spazio aperto del reparto femminile - vista

La città oltre il muro

reparto femminile e spazi condivisi - sezione

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IL FORUM DELLE POSSIBILITÀ

LUI. Uscito dalla sua camera si reca al piano terra del primo reparto e si immette nella strada cittadina su cui verte tutta la struttura di Bollate. Oggi è sabato e c’è un gran movimento. Alcuni suoi compagni lo aspettano in palestra per una corsa all’aperto, ma per oggi ha altri programmi. Si reca al mercato sulla sinistra, afanco al vivaio: “un mazzo di rose e una scatola di cioccolatini, grazie”. È una bellissima giornata, il corridoio è inondato di luce. Un saluto veloce al suo compagno di camera, che sta leggendo nella stanza della serenità. Il giardino zen è particolarmente invitante stamattina, ma qualcuno lo aspetta. Percorre la grande rampa che costeggia la piazza, già popolata dai suoi compagni che si dirigono al lavoro. Al termine una porta, un respiro profondo.

LEI. Ieri è arrivata a Bollate, all’ostello Plug-Inn, che connette dentro e fuori. È stato facile trovarlo grazie al ristorante all’angolo, un faro in quella realtà industriale. Questa mattina esce dalla stanza: la corte alberata porta una luce accogliente nel corridoio. Una fugace colazione nella cucina comune, poi giù veloce lungo la scala, posta proprio sul sedime del muro, fno al primo piano. Sulla sinistra una porta, un respiro profondo. La porta si apre, un lungo abbraccio.

Nell’area incontri c’è un sentore di libertà oggi, una concreta possibilità di ricominciare da dove si era lasciato.

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114 Il forum
planimetria
delle possibilità
115 La città oltre il muro

Il forum delle possibilità

area di connessione con la città - vista

116 ostello - pianta
117 ostello - modello La città oltre il muro
118 piazza - vista Il
forum delle possibilità
119 area colloqui
città
muro
- vista La
oltre il

CONTATTO

“…per questa mattina è tutto, ci rivediamo dopo pranzo, ragazzi.”

LEI – Finalmente la lezione è fnita e posso raggiungere gli altri alla tavola calda dall’altra parte della strada. Da quando seguo i corsi nel nuovo campus pranziamo lì praticamente tutti i giorni. È raro trovare un posto tanto piacevole a cavallo tra due realtà così distanti tra loro... Visto che sono in anticipo potrei anche fermarmi in biblioteca a prendere il volume che mi serve per biologia, è proprio lì accanto. Entrando mi lascio alle spalle gli schiamazzi dei bambini che giocano nella piazza. Mi dirigo verso gli scafali ma nella fretta urto un uomo carico di libri: “Mi scusi!”.

LUI – “Non si preoccupi!”. Quella ragazza distratta avrà avuto l’età di mia fglia, mi ricordo che domani è il giorno dei colloqui e fnalmente potrò vederla. Restituisco i libri che mi sono serviti in questi giorni per i corsi professionali: ora posso andare nella mia stanza a cambiarmi e poi tornare qui per allenarmi in palestra. Da quando hanno aperto questi nuovi spazi verso la città, si respira una nuova aria: posso riempire il mio tempo libero e sentirmi parte attiva della comunità. Il muro non è più un recinto invalicabile ma è diventato un luogo di dialogo, scambio e condivisione, un punto di contatto e un’occasione di riscatto per noi detenuti.

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Martina Carnelli, Elena Percivalle, Chiara Ponti, Federica Savini
122 planimetria - modello Contatto
123 La città oltre il muro
124 pianta sezione Contatto
125 La città oltre il muro
126 sezione - modello Contatto
127 La città oltre il muro

GRADI DI AFFETTIVITÀ

Ci sono due modi per conoscere questa città: viverla da dentro o raggiungerla da fuori. L’uomo che la vive tutti i giorni da lungo tempo sa che è la città più ostile che esista. Ha i muri fatti di cemento e le strade fatte di rimpianti ma arriva un momento in cui le porte della città si aprono lasciando uscire il freddo e la solitudine.

La donna seguita dal bambino che vuole entrare nella città pensa che il confne non sia facile da superare, ma in realtà viene accolta da un edifcio di patii e spazi dove trova altre donne e bambini. Una volta all’interno della città un lungo porticato li guida verso un giardino di fori, frutta e verdura circondato da un’architettura vetrata. Il bambino vuole subito attraversarla per andare a giocare sullo scivolo dell’altro giardino, insieme a bambini come lui. La mamma lo richiama e insieme attraversano questa architettura circondati dalle parole e dai sorrisi delle persone sedute a chiacchierare.

Appena usciti sul lato opposto, un bosco costellato di casette si presenta improvvisamente agli occhi della donna e del bambino, lo stesso che sta guardando felice anche quell’uomo. Un signore vestito tutto di blu indica al bambino la casetta color magenta, tra quella di legno e quella tutta dipinta. Il bambino corre e la donna lo segue, la porta si apre e ad aspettarli c’è l’uomo a braccia aperte. Sorridenti ammirano il bosco dalla grande vetrata. L’amore esiste anche in questa città.

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130 Gradi di afettività planimetria assonometrica
131 La città oltre il muro
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casetta degli abbracci - pianta e prospetti Gradi di afettività
133 La città oltre il muro area dei colloqui intimi - vista assonometrica

piazza dell’accoglienza - vista Gradi di afettività

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135 nuova intimità - vista La città oltre il muro

La città oltre il muro

LA CITTÀ INVISIBILE

Elena Calvano, Niccolò Cellina, Madeleine de Bellaing, Cristiano Gerardi, Nicola Gurrieri

A Bollate, all’interno di un invalicabile perimetro murario, si struttura una comunità di duemila reclusi e recluse che nel corso della giornata amano trascorrere ore di sole all’aperto e svolgere varie attività. La sera si rimane in casa, da soli nella propria stanza oppure in compagnia nelle aree comuni. Le camere sono piccole ma arredate con tutto l’essenziale e ofrono la possibilità di uscire sul balcone, da cui i più fortunati riescono a scorgere le Alpi. Una volta fuori casa, i reclusi raggiungono i luoghi delle attività diurne al riparo di un lungo porticato che inanella il foro, dove si anima il cuore di questa città invisibile. Un boulevard divide il complesso in due: da una parte la stecca delle istituzioni accoglie gli spazi per i culti e la cultura, dall’altra il loggiato si afaccia sulla grande piazza. Questo abbraccia diversi spazi per il lavoro e una palestra sotto un’ampia copertura, sulla quale spicca il volume del teatro con il suo orologio che scandisce il tempo. Dall’altro lato della piazza, i cari che vivono extra moenia vengono accolti nell’ampio e luminoso atrio della corte degli incontri. Da qui ci si dirige a colloquio privato in una delle cabine afacciate sui due chiostri. Fuori uno stadio, una pista per la corsa e una per i cavalli mettono lo sport al centro della vita quotidiana. Spesso una giornata di lavoro nell’orto o nelle serre si conclude con un picnic al campo del sole, un grande giardino dove passeggiare all'ombra degli alberi, in riva al naviglio.

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138 La città invisibile planimetria assonometrica
139 La città oltre il muro

140 La città invisibile corte degli incontri - pianta prospettica del primo piano

141 corte degli incontri - vista dell’atrio La città oltre il muro
142 cortile - vista serale La
città invisibile
143 La città oltre il muro balcone e camera - vista dall’esterno

LA CITTÀ E LO SCAMBIO

Sebbene il recinto fosse alto sette metri, un mondo intero si sviluppava all’interno di quella nuova città urbana. Per la prima volta il reparto femminile era collegato a quello maschile; la popolazione si incontrava all’interno di un nuovo, ampio edifcio destinato alla cultura. Finalmente vi erano spazi dove poter studiare, partecipare a laboratori didattici o assistere a manifestazioni teatrali che prendevano forma all'interno. Un fltro, quindi, che non solo forniva nuove scenografe urbane, ma restituiva ossigeno nel riuso degli stessi spazi aperti. Cura degli orti, libertà di praticare sport e possibilità di rilassarsi all’ombra di un faggio: ecco cosa rappresentava il nuovo polmone verde della città. Un luogo dove poter essere se stessi insieme ad altri. E proprio in quel nuovo parco si afacciava una moderna, accogliente biblioteca nata dal prolungamento dell’esistente stecca delle istituzioni. Dall’altro lato della corte ecco invece che i parenti attendevano i cari per poter condividere il tempo in un luogo adatto anche per i più innocenti. La traccia di libertà, una piccola struttura fatta di pieni e vuoti, prende forma dallo spazio che la circonda e accoglie luoghi di intimità e condivisione, per momenti leggeri o fatti di rimpianti, speranze e sogni.

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La città oltre il muro
146 planimetria La città e
scambio
lo
147 La città oltre il muro
148 disegni tecnici La città
e lo scambio
149 La città oltre il muro pianta

150 vista La città e lo scambio

151 La città oltre il muro

SITUAZIONI URBANE

Lontano, all’estremo limite ovest della città, in un territorio di grandi superstrade e cittadelle fortifcate, ce ne è una che si distingue per via delle sue mura più alte: Bollate. Questa, a diferenza delle altre, è l’unica abitata e la sua comunità è riuscita addirittura ad ottenere la costruzione di una piazza pubblica che da allora è diventata il cuore del piccolo centro. Su di essa si afacciano i monumenti, gli edifci pubblici, quelli dello sport e della cultura, mentre nell’anello più esterno si trovano i quartieri residenziali.

Non è difcile raggiungere la piazza dalla propria abitazione, è sufciente attraversare la strada principale della città. È una piazza piccola, circoscritta, ma che ofre tutte le comodità del caso. C’è chi alla pausa esce dal padiglione del lavoro per bere un cafè con i colleghi, chi studia in biblioteca, chi fa compere al mercato di frutta e verdura fresche, colte dall’orto poco distante. Anche al tardo pomeriggio la piazza continua a funzionare, c’è ancora movimento, qualcuno gode degli ultimi minuti dell’ora d’aria sui gradoni dell’arena, qualche spettatore entra per assistere allo spettacolo messo in scena nell’auditorium. Un papà saluta il proprio bambino; lo si intravede dal terrazzo in cima all’arena, attraverso il giardino, mentre rientra nella serra degli incontri per tornare a casa.

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154 planimetria assonometrica Situazioni urbane
155 La città oltre il muro
156 sopra: pianta Situazioni urbane
157 La città oltre il muro sotto: sezione
158 vista esterna
urbane
Situazioni
159 La città oltre il muro

DISLIVELLI

Esiste un piccolo borgo, a Bollate, invisibile agli occhi dei più. È uno sfondo anonimo in un paesaggio senza identità. Ma all’interno vive una comunità di circa duemila individui, fra uomini e donne. Duemila storie diverse, duemila scelte diverse che li hanno condotti a un destino comune. Un destino fatto di pareti di cemento che nascondevano loro l’orizzonte. Invece ora lo sguardo può correre verso l’infnito, nuovi spazi sono stati ricavati sulle coperture degli edifci, che da inutilizzati diventano vissuti: gli attici, la strada e la piazza, dove non mancano ampi spazi verdi, quali orti e giardini. L’obiettivo è stimolare coloro che qui risiedono ad alzare lo sguardo verso il cielo, dando loro la possibilità di osservare il paesaggio circostante e ciò che avviene oltre il perimetro. Quando si ritirano nelle proprie stanze possono godere della vista, soprattutto dai piani alti, accomodandosi sulle sedute ricavate grazie ai bow window, piccoli balconcini coperti, che si slanciano verso l’esterno con un gesto pieno di libertà. All’interno delle pareti che cingono gli edifci, si possono poi trovare spazi fruibili anche dalla società esterna, come un teatro e un ristorante, gestiti entrambi dagli abitanti della comunità, in modo che non esistano più due mondi separati, ma possano fnalmente venirsi incontro e trarre qualcosa l’uno dall’altro.

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162 attici, strada e piazza - planimetria Dislivelli
163 La città oltre il muro
164 strada - sezione prospettica Dislivelli
165 La città oltre il muro

Dislivelli

166 piazza - schizzo
piazza - vista
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città
muro
piazza - diagramma
La
oltre il
piazza - pianta

La città oltre il muro

L’ALTROVE

Eleonora Bianchi, Henrietta Demma, Stefano Di Zazzo, Marta Ferrario

Una natura incolta e spontanea aveva invaso il vecchio mondo riappropriandosi di ciò che le era stato sottratto. L’odore del muschio invadeva le narici, lo spazio aperto si popolava di una nuova fauna. I muri del vecchio mondo ostile avevano portato l’uomo a evadere, a spostarsi al di sopra delle rovine della monotonia e della noia. Limitato nell’espressione di sé, l’uomo aveva costruito il suo nuovo mondo: l’altrove. Nel percorso verso l’altrove si risvegliavano i sensi; l’uomo riacquistava una vista sulle cose oltre il muro, verso il cielo. All’arrivo lo sguardo si riapriva a un orizzonte più ampio, inquadrato da una struttura titanica. I contorni artifciali si fondevano con il disegno irregolare della natura. Si manifestava un paesaggio defnito da linee e geometrie regolari, la cui rigidità veniva interrotta dall’inaspettato susseguirsi di elementi sempre diversi. Tutto intorno si propagavano piazze, rampe, volumi e percorsi sospesi. Risultavano spazi liberi a usi diversi, spazi labirintici, in cui perdersi, spazi in cui esprimersi e scoprire la ritrovata libertà individuale. L’uomo progettava il suo mondo, lo costruiva, lo modifcava e al contempo l’altrove era in simbiosi con il proprio abitante, che riusciva ad avere fnalmente la percezione del trascorrere del tempo. Lo spazio non era più un limite, ma un’opportunità di cambiamento. Era un’altra terra, un altro vivere. Il mondo cambiava assieme all’uomo.

Era l’evasione dell’anima.

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170 planimetria assonometrica generale L’altrove
171 La città oltre il muro
172 reparto tipo - assonometria L’altrove

La città oltre il muro reparto - pianta tipo reparto - viste

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174 vista
L’altrove
175 La città oltre il muro

LA CASETTA ROSSA

Una traccia di libertà

Alessandro Bucchi, Nadia Buelli, Stefania Rasile, Marta Riccò

Il rosso di una casetta divampa sui fli verdi di un prato, contagia il grigio verticale di muri che stanno stretti tra di loro. Ai muri non ci si può aggrappare neppure con lo sguardo, la superfce è troppo liscia e gli occhi scivolano via, non potendo scalare.

Nella casetta si può trovare rifugio. Essa è la squillante materializzazione di un interstizio di pace in cui l’abitante della città murata può trovare riparo con gli afetti che vengono in visita. Qui chi ha bisogno di afetto trova sollievo, nella concretizzazione di un luogo da condividere con chi si ama.

Coloro che si ritrovano in quella fredda città murata e sono oramai lontani da quella dell’afetto quotidiano, tentavano invano di ricostruirsela con brandelli di tempo regalati dai cari che passano veloci, per una breve sosta. Questa costruzione era efmera, destinata ad infrangersi non appena i familiari partivano.

Però da quando è apparsa la casetta qualcosa forse è mutato, una visione persistente resta immobile nel prato, resiste per ricordare che gli afetti sono ancora lì, sono fuori che aspettano e che qualcosa può ancora cambiare. Una traccia è rimasta. La casetta è una traccia di libertà, una cosciente immagine di un desiderio di uguaglianza. Una consapevole dichiarazione della necessità urgente del riconoscimento dei bisogni primari e del rispetto tra gli esseri umani.

177 La città oltre il muro

178 La casetta rossa assonometria

La casetta durante la costruzione

La città oltre il muro

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RINGRAZIAMENTI

Per la collaborazione alla riuscita di questo corso universitario di progettazione architettonica e la pubblicazione che ne è seguita desideriamo ringraziare il Direttore del Carcere di Bollate Massimo Parisi per la grande disponibilità; il prof. Angelo Aparo per la gentile e simpatica mediazione con i detenuti; i partecipanti del Gruppo della Trasgressione composto da Antonio Avitabile, Cristian Belusini, Antonio Catena, Manuel Hernandez, Carmelo Impusino, Alberto Marcheselli, Giuseppe Marchiselia, Benedetto Masse, Claudio Palumbo, Ivan Puppo e Antonio Torretta per la stima dimostrata verso gli studenti e la forza di aprirsi a raccontare per progettare assieme; Claudio Villa, presidente dell'Associazione Salto oltre il muro per la interessante visita alla scuderia; l'assistente Daniele Arienzo (nello scatto di sinistra) per la pazienza nell'accompagnarci durante il servizio fotografco; Davide Rapp e Giorgio De Marco per il contribuito video al progetto e i compagni del corso per la disponibilità e l'entusiasmo nel condividere il materiale prodotto.

CREDITI

Tutti i testi sono proprietà intellettuale degli autori. Fonti bibliografche e sitografche sono citate in calce. Le immagini dei progetti studenteschi pubblicati da p. 81 a p. 183 sono di proprietà degli autori citati. Le immagini da p. 184 a 187 sono di Alessandro

Bucchi, Nadia Buelli e Marta Riccò.

Tutte le altre fotografe sono scatti inediti del carcere di Bollate

realizzati da Cristiano Gerardi e Nicola Gurrieri in pellicola Ilford

FP4 e Kodak Ektar, per mezzo di una Leica R6 e sono proprietà degli autori.

L’ARCHITETTURA NECESSARIA

è una collana diretta da Andrea Di Franco che traduce all’esterno del mondo accademico gli studi e le ricerche degli architetti del Politecnico di Milano. Il suo obiettivo è quello di raccogliere quei lavori che afrontano temi concreti, urgenti e necessari nell’orizzonte della crisi dell’attuale, multiforme ‘paesaggio umano’.

Nella stessa collana sono già stati pubblicati: Frammenti di eternità alle pendici del Monte Sodadura, progetto di riattivazione del paesaggio di Taleggio (2011) di Andrea Milesi, Luigi Snozzi a Monte Carasso (2014) di Giuditta Lazzati e Andrea Lo Conte, L’architettura penitenziaria oltre il muro (2014) di Alberto Mariotti, Shrinking San Siro, I vuoti come risorsa per un futuro possibile, di Silvia Commisso e Silvia Raineri, 2016

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