Il giardino incantato

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IL GIARDINO INCANTATO …la strada per la felicità

ANNÉE SCOLAIRE 2014/2015 Textes des élèves de II B Istituto comprensivo “Dante Alighieri” Scuola secondaria di I grado Cornate d’Adda Italia

Istituto comprensivo “Dante Alighieri”

C’era una volta, in una terra lontana e sperduta, il regno di Eudamonia. Il re di quel paese, che non amava essere circondato da persone meste e tristi, aveva dato ordine a tutti i suoi sudditi, a mezzo proclama, di essere felici, affinché nelle terre allora conosciute si diffondesse la fama di quel luogo virtuoso e straordinario. E la felicità, che sfugge ad una definizione univoca, se non a quella di momentaneo appagamento delle proprie aspirazioni e dei propri desideri, assumeva in ogni cittadino forme diverse: vi era chi si dava da fare per raggiungerla attraverso la ricchezza, chi attraverso il potere, chi attraverso l’amore, chi attraverso la bellezza, la generosità e l’altruismo. Ma una felicità imposta non è mai una felicità vera e sincera; ciononostante, gli abitanti di Eudamonia cercavano di convincersi di esserlo davvero; pertanto, nei reciproci rapporti, assumevano comportamenti ispirati a tale sentimento. Vi era chi, tuttavia, non riusciva a sentirsi felice: Zoe era una giovane ragazza che avvertiva un profondo disagio, quando vedeva intorno a sé tanta ostentata felicità, seppur fittizia, ed aspirava a diventare come i suoi concittadini.

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Aveva urgente bisogno di qualcuno che le insegnasse come diventare felice. E certo non mancava, in un regno in cui la felicità era un imperativo categorico, chi si fosse industriato per spacciarsi per esperto senza rivali. Al di fuori delle mura della città, in una dimora modesta, risiedeva una maga i cui consigli erano stimati da tutti e che godeva di una tale credibilità da essere considerata una vera autorità in materia.

La giovane Zoe pensò che consultarla fosse il primo passo sulla via della ricerca della felicità.

“Entra, pure, mia graziosa fanciulla! Dimmi quale aiuto potrei darti!” chiese con melliflua cordialità la maga.

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“Nel mio regno tutti sono felici- cominciò a dire con tono accorato Zoe-Eppure io non riesco ad esserlo! Ci sono tanti aspetti del mio carattere che non mi piacciono e che vorrei cambiare e penso che, una volta acquisite le caratteristiche che oggi mi mancano, potrei anch’io essere come i miei concittadini”.

“Non hai, dunque, bisogno di molti consigli, piccina, se già sai ciò che ti manca! Perché allora perdi del tempo prezioso qui con me, anziché cominciare la tua ricerca?” replicò in modo sentenzioso e quasi irritato la maga.

“Dite bene: io so ciò che voglio, ma non so dove andare a procurarmelo!”

“Mia cara, perfezionare se stessi ed accrescere le proprie qualità è un esercizio lungo, faticoso, impegnativo, che può richiedere anche una vita intera!”

“Ma io non ho una vita intera da dedicare a questa ricerca! Se tutto il mio tempo se ne andasse nel cercare, non ne avrei più per essere felice! Non credete?” ribatté Zoe, quasi infastidita.

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“Non voglio rispondere a questa tua domanda! Tu stessa troverai la risposta al termine della tua ricerca. Se dunque vuoi che ti indichi la via più breve, perché tu raggiunga la felicità, sappi che esiste un giardino magico, ricco di meravigliosi fiori, che potranno darti ciò che cerchi. Ciascuno di essi corrisponde ad una virtù e tu potrai ottenerla, solo se la desidererai con tutto il cuore.

Quando avrai attraversato quella magnifica distesa fiorita, non ti mancherà più nulla e, forse, potrai finalmente dirti felice. Eccoti una mappa che ti condurrà nel giardino incantato. Entraci all’alba e, quando ne sarai uscita, torna da me e solo allora ti darò la risposta che attendi, se non l’avrai trovata da te!”.

Pronunciate quelle parole dal tono vagamente inquietante ed enigmatico, che crearono nell’interlocutrice una certa sospensione, la maga si congedò da Zoe. Non fu difficile per la bambina orientarsi e trovare il giardino della felicità. Non appena vi giunse, sperimentò un’immediata sensazione di gioia e, sopraffatta dalla frenesia di vedere quel luogo magnifico, cominciò a correre 4

oltre il piccolo cancello che ne delimitava l’ingresso. Un lungo corridoio a volta, sovrastato da uno splendido glicine rampicante, conduceva al giardino vero e proprio.

Quale stupore dovette provare Zoe quando vide dinanzi a sé una distesa multiforme di essenze di varie dimensioni e colori, attraversata da un piccolo ruscello e punteggiata da alberi di alto fusto! Non vedeva l’ora di poter parlare con ciascun fiore, con uno per ogni specie, benché ve ne fossero molti all’interno di ciascuna aiuola.

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Il primo fiore cui la ragazza prestò la propria attenzione era una lussureggiante peonia, di un rosa intenso, che si imponeva per fascino ed eleganza su tutti gli altri fiori e che, quasi, sembrava ostentare con consapevolezza la propria bellezza.

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“Bentrovata, splendida peonia rosa! Sapessi quanto sono felice di incontrarti e di cominciare con te la mia nuova esperienza! Mi chiamo Zoe e sono qui per raggiungere la felicità. Dovrò relazionarmi con molti fiori, se vorrò ottenere il loro aiuto, percorrendo in lungo e in largo questo giardino” esordì la bambina con la voce rotta dal respiro affannoso e carica di entusiasmo.

“Benvenuta a te, piccola cara! In cosa posso esserti utile?” affermò con disponibilità la peonia.

“L’impresa che mi appresto ad affrontare non è cosa da poco; conoscendo me stessa, temo che dopo un po’ potrei perdere la fiducia nella realizzazione di ciò che desidero e potrei desistere dal perseguire lo scopo che mi sono prefissa di raggiungere!” rispose Zoe, dopo aver meditato in silenzio per qualche minuto.

“La speranza è la virtù che ti dovrà sostenere affinché tu possa portare a termine la tua missione; alberga in me” dichiarò la peonia, non senza una punta di presunzione.

“Ma cosa devo fare per attingere ad essa?”

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“Nulla di complicato: come vedi albeggia ed i miei petali sono bagnati dalla rugiada. Bevi l’acqua che cola da essi e, poiché hai sete di nuove virtù, sarai dissetata!”. Un leggero fremito trascorse le sue membra: Zoe si sentiva già rinfrancata e la rinnovata convinzione che percepiva scorrere nelle proprie vene le dava ancora più determinazione nel proseguire il proprio viaggio, benché si sentisse frastornata dalla caleidoscopica ricchezza di colori del giardino.

Il sentiero principale era delimitato da una siepe di bosso, dietro alla quale a Zoe parve di scorgere un’intensa macchia di un colore acceso. Si avvicinò curiosa, scostò i 8

rametti e, in una posizione defilata, vide un fiore giallo chiaro, una celidonia.

“Come sei bella!” esclamò. “Grazie!” replicò il fiore, con un compiacimento misto a stupore per l’inaspettata attenzione.

“Perché te ne stai così nascosto?”

“Tutti gli altri fiori mi odiano e, solitamente, nessun umano si interessa a me!” spiegò con tono accorato.

“Che strano! Eppure sei così grazioso!”.

“Nessuna stranezza: io sono il fiore che fa desiderare di aiutare il prossimo, ma di persone disposte a farlo, ce ne sono poche; tutti preferiscono accumulare ricchezze e tenersele ben strette! È per questo che me ne sto in un angolo appartato del giardino.” commentò la celidonia.

Zoe provò un profondo scoramento nell’udire quelle parole, sia per la triste verità che esse rivelavano sia per il tono accorato con cui il fiore aveva alluso alla propria solitudine; gli si avvicinò ulteriormente e gli chiese con un 9

fare risoluto di infondere nel suo cuore il seme della generosità e dell’altruismo: “Io voglio essere benevola col prossimo, voglio dare ciò che ho agli altri, perché mi hanno detto che nel dare e non nel ricevere risiede la vera felicità”.

La celidonia fu ben felice di elargire la propria virtù: dalle sue foglie, improvvisamente, quasi fosse un sortilegio, si esalarono dei vapori che la bambina poté facilmente inspirare. Entrambi erano soddisfatti: quasi senza accorgersene, ciascuno dei due aveva fatto del bene all’altro. Zoe prese congedo dal bel fiore giallo, non senza averlo ringraziato, e avanzò in quel meraviglioso dedalo naturale (Matteo Dossi).

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Riprese il cammino lungo il sentiero ghiaioso e procedette, finché si imbatté in una macchia scura, nella quale non riusciva a discernere alcun fiore, alquanto strana in mezzo a quell’esplosione di colori. Vi si accostò con circospezione, spinta da una irrefrenabile curiosità e solo allora, con grande stupore, si accorse che si trattava di una famiglia di fiori tanto inconsueti quanto affascinanti: sorprendenti rose nere, i cui petali vellutati e lucenti erano simili alla seta. Il loro singolare colore creava una sorta di contrasto fra l’eleganza e la signorilità del portamento e l’aspetto cupo ed austero.

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“Ciao” disse timidamente Zoe. “Buongiorno, bambina! Cosa ci fai in questo giardino?

Cosa ti ha portato qui da me?” replicò la rosa nera.

“Voglio essere felice, perché tutti nel mio regno lo sono, ma io no; ebbene, voglio essere completa e possedere tutto ciò che fa la felicità! Quale virtù sei in grado di dispensare tu?”

La rosa nera, cui i raggi del sole nascente conferivano un aspetto cangiante, tendente all’argento, in tutto il suo splendore replicò: “Io sono il fiore della positività, con me vedrai tutto rose e fiori e smetterai di compiangerti inutilmente: io ti darò la capacità di essere indifferente ai giudizi negativi che gli altri daranno di te. Saprai riconoscere le critiche costruttive dalle accuse sterili ed infondate; delle prime farai tesoro, le seconde te le lascerai scivolare addosso. Devi essere libera come una farfalla, devi fare quello che vuoi ed essere come vuoi, inseguendo i tuoi sogni, senza che il giudizio altrui possa in alcun modo limitare l’espressione della tua personalità!

Anch’io sono diversa dalle mia sorelle, note per i loro 12

festanti colori, e della mia diversità mi faccio vanto, considerandola un tratto distintivo ed esclusivo del mio essere. Perciò non mi curo di ciò che gli altri dicono di me!” ribatté il fiore con una specie di rancore sopito.

Zoe, che apprezzava molto quelle parole e già pregustava la sensazione di libertà che di lì a poco avrebbe assaporato, prontamente chiese: “Come posso fare a ricevere la tua virtù?” “È semplice!” replicò il magnifico fiore “È sufficiente che tu inspiri un po’ del mio polline, mentre pronunci queste parole- io voglio essere forte- e tutto si compirà”.

Zoe seguì le istruzioni ed entrò in possesso di una nuova qualità; accarezzò leggermente i petali della rosa nera in segno di gratitudine e riprese il suo cammino nel giardino.(Aurora Schenoni) Procedendo, Zoe vide davanti a sé un tronco d’albero tagliato e vi si sedette; guardò il sentiero che sembrava perdersi all’infinito in mezzo a quel tripudio di colori e cominciò a riflettere su se stessa: certo sino a quel momento erano già intercorsi alcuni importanti 13

cambiamenti nel suo modo di essere, ma la strada da percorrere era ancora lunga. Rifletté su quale fosse l’aspetto del carattere che più le premeva modificare e subito pensò alle tante giornate trascorse in compagnia dei suoi familiari, con i quali non sempre era stata educata.

Le tensioni accumulate a scuola, le piccole liti con gli amici, le delusioni proprie dell’età spesso si esternavano attraverso momenti di rabbia, proprio con le persone più care. Zoe sapeva che i suoi sarebbero sempre stati comprensivi con lei, ma non poteva certo approfittare del loro buon cuore. Decise allora che avrebbe cercato il fiore in grado di renderla più gentile ed educata. Si guardò attorno, un po’ frastornata da tanti colori, finché la sua attenzione fu richiamata da un fiore viola brillante.

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Si accostò e disse: “Cara viola, sono venuta qui, perché mi manca un po’ di educazione nei confronti dei miei genitori e dei miei amici; sapresti indicarmi a chi devo rivolgermi, per favore?”

Il fiore, con innata e spontanea gentilezza, rispose:” Ma certo, mia cara; la tua ricerca può dirsi conclusa: sono io il fiore che stai cercando e sono qui proprio per te. Ora strizza un mio petalo e bevine il succo!”. Zoe chiese nuovamente conferma al fiore su come dovesse procedere: le sembrava che avrebbe usato violenza contro una creatura inerme, se ne avesse strizzato un petalo. La viola sorrise davanti a tanta ingenuità e la rincuorò: “Comprendo il tuo timore, ma non ce n’è motivo; forse hai dimenticato che questo è un giardino magico!? Fa’ come ti ho detto e vedrai che in men che non si dica la mia corolla tornerà ad essere completa!”.

Zoe mise da parte ogni tentennamento, strizzò un petalo e si chinò per assaporarne il succo; attese qualche minuto per assistere alla miracolosa nascita di un nuovo calice, quindi si congedò dalla viola del pensiero fra mille 15

inchini. Il siero della gentilezza faceva già sentire i suoi prodigiosi effetti.(Sara Spadotto) Zoe andava saltarellando qua e là lungo il sentiero e nel frattempo assaporava il piacere di essere migliore dopo ogni incontro. Improvvisamente vide abbassarsi davanti a sé degli enormi girasoli, che sembravano volerle impedire il passaggio.

Sulle prime la bambina arretrò spaventata; poi l’enorme muro giallo lentamente si aprì e due girasoli, flettendosi dolcemente verso di lei, la sospinsero delicatamente, invitandola ad avanzare.

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Il più grande di tutti le si fece incontro: “Non aver paura di noi, siamo semplici girasoli. A differenza dei nostri simili che seguono il movimento del sole e tengono il loro volto rivolto verso l’alto, noi seguiamo coloro che hanno bisogno di noi e ci chiniamo per accoglierli. Abbiamo un gran fiuto! A te, mia cara bambina, che lo sappia o no, servono fiducia in te stessa e coraggio e noi siamo in grado di darteli. Lo vedi come siamo sicuri di noi nel mostrare al mondo il nostro magnifico colore che non passa certo inosservato!?”.

Il girasole, contorcendosi sul suo vigoroso e sinuoso stelo, si allontanò da Zoe, attendendo la sua risposta.

“Non sai quanto mi faccia piacere sentire le tue parole. Il coraggio non è il mio forte; te ne sarai accorto anche tu, vedendomi arretrare all’inizio del nostro incontro. Tutte le volte in cui devo prendere una decisione o devo mettermi in gioco, durante un’interrogazione o in qualsiasi altra circostanza, io ho paura di sbagliare. Non riesco mai a fare il primo passo, non parlo mai di mia spontanea iniziativa, non sono mai sicura della validità delle mie 17

idee; quando sono chiamata in causa da altri, divento tutta rossa e vorrei essere da un’altra parte; temo sempre di dire sciocchezze e cose imprecise, per le quali gli altri potrebbero ridere di me! Perciò se puoi darmi una mano, per superare la timidezza che mi affligge e che mi rende incerta ed esitante in tutto quello che faccio, fammi sapere cosa devo fare”.

“Darti una mano, mi è impossibile, cara mia; capirai bene che io non ho mani…” ribatté ironicamente il girasole, per allentare la tensione. “Hai proprio bisogno di una buona dose di autostima e di un briciolo di sfrontatezza! Dimostrami che vuoi veramente diventare sicura ed impavida: arrampicati su di me, fino a raggiungere il cielo!”

Zoe rabbrividì all’idea di sfidare l’altezza, ma non poté tirarsi indietro. Cominciò a scalare il girasole, e, ogni qual volta guardava in basso, il mondo le appariva sempre più piccolo. Non appena toccò la cima, sospirò profondamente ed alzò le braccia al cielo: Zoe si sentiva padrona del mondo! Dopo un’esperienza così rischiosa e, 18

nel contempo, esaltante, niente l’avrebbe più spaventata.

La bambina, che si sentiva un’altra, scivolò rapidamente lungo lo stelo del fiore, zigzagando qua e là per evitare le foglie, fino a raggiungere terra. Abbracciò con grande trasporto il girasole e, spavaldamente, riprese il cammino, inoltrandosi in un boschetto. (Sara Passarelli) Passeggiando fra gli alberi, Zoe venne attratta da un profumo dolcissimo che la invitava a seguirlo; più lei avanzava, più quella fragranza si percepiva con maggiore intensità. Fino a quando, nel bel mezzo del fitto dei rami, incontrò una rosa che non era uguale a tutte le altre, perché non aveva spine nel gambo e i suoi petali erano di diversi colori.

Zoe, incuriosita, le chiese: “Come mai i tuoi petali non sono tutti uguali?” E la rosa le rispose: “Io sono la regina delle rose e ogni colore ha un significato diverso: il giallo corrisponde all’armonia, il bianco alla purezza, il rosso alla passione, il blu alla saggezza, l’arancione alla vivacità e il rosa alla bellezza.”

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Zoe, che da tempo desiderava essere più bella, era tentata di chiederle se potesse darle una mano, così si fece coraggio e le domandò: “Cara rosa, potresti donarmi un po’ della tua bellezza?”. Il magnifico fiore, senza alcuna esitazione, le rispose: “Stacca il mio petalo rosa, stringilo forte tra le mani ed esprimi il tuo desiderio.”

Zoe seguì le indicazioni, quindi si congedò dalla rosa multicolore e corse precipitosamente sulla riva di un piccolo torrente che attraversava il giardino per verificare che il suo sogno si fosse realizzato.

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Si specchiò e finalmente vide riflessa l’immagine di sé che da tempo desiderava vedere. (Aurora Puglisi) Sollevato lo sguardo, scorse accanto a sé una meravigliosa fioritura di azalee, dalla chioma compatta e raccolta. I loro petali avevano colori vivaci che andavano dal bianco al magenta, con leggere sfumature di rosa.

Erano così belle che Zoe, quasi incantata, non riusciva a distoglierne lo sguardo.

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“Ciao, come ti chiami?” chiese amichevolmente uno di quei fiori.

“Il mio nome è Zoe” rispose la bambina, esitando.

“Come mai ti sei precipitata con tanta foga sulle sponde del ruscello? Per un attimo ho temuto che tu potessi finirci dentro!”

“Beh...hai proprio ragione, non so controllare le mie emozioni e sono impulsiva; pensa che proprio per questo motivo, benché solitamente io sia educata e controllata, 22

talvolta mi ritrovo a rispondere male alla gente e ad essere arrogante e sfacciata. Questo mio difetto non mi piace affatto e vorrei cambiarlo” “Quindi vuoi che io ti doni la calma e la ponderatezza: è così?”

“Già, proprio così. Almeno gli altri non penseranno che sono odiosa ed io impaperò a riflettere prima di parlare, anziché dire la prima cosa che mi passa per la mente, come ho fatto sino ad ora!”

“Bene, condivido le tue motivazioni, perciò sarò felice di donarti questa qualità. Ma non sarà facile: prima dovrai risolvere un enigma”.

Zoe, che non riusciva a frenare l’istintiva apprensione, ribatté con una specie di risentimento: “Non capisco.

Perché dovrei?”

“Perché mi devi dimostrare che aspiri davvero ad ottenere questa virtù e che sei pronta a tutto per coronare il tuo sogno” puntualizzò l’azalea.

“Se le cose stanno così, lo farò con piacere” concluse Zoe 23

indispettita.

“Allora ascoltami bene. C'è un paese dove vivono confinate delle persone. In questo luogo non esistono i riflessi, né dell'acqua né di altre superfici lucide, per cui nessuno ha mai visto la propria faccia. Queste persone si incontrano ogni mattina in piazza e tutti obbediscono ciecamente e di loro spontanea volontà al re del paese. Un giorno, quando questi sono in piazza, il Re ordina che tutte le persone con gli occhi blu si sparino. I cittadini tornano nelle loro case.

Il giorno dopo si incontrano in piazza e poi tornano a casa.

Il giorno dopo si rincontrano in piazza e di nuovo ritornano a casa. Il giorno dopo si ripete lo stesso fatto ma, questa volta, si sentono degli spari. Sai dirmi quante persone sono morte?”

“Ci posso pensare un attimo?”

“Certo che puoi. Dovrai rispondermi entro la fine della giornata”.

Zoe si sentiva confusa, ma non intendeva rinunciare: attingendo alla propria capacità logica, cominciò a fare 24

una serie di ragionamenti e di ipotesi, parlando ad alta voce: “Supponiamo che io abbia gli occhi azzurri, ma non lo sappia. Vado in piazza e vedo che c'è una persona con gli occhi azzurri; se questa persona si uccide, vuol dire che non ha visto davanti a sé nessuno che abbia gli occhi azzurri, quindi io non ho gli occhi azzurri. Se non si suicida, pur avendo gli occhi azzurri, allora ha pensato esattamente come me, quindi si aspettava che io mi suicidassi. Insomma ha verificato anche lui se aveva o meno gli occhi azzurri; a questo punto, dopo esserci visti per la seconda volta, ci uccideremo entrambi dopo il secondo incontro, perché avremo capito che tutti e due abbiamo gli occhi azzurri. Se io vado in piazza e vedo che ci sono due persone con gli occhi azzurri, so anche che, secondo il ragionamento appena fatto, loro non si suicideranno il primo giorno, ma il secondo. Ma, evidentemente, visto che nessuno di loro è morto il secondo giorno, allora deve esserci un'altra persona con gli occhi azzurri! Allora quella persona sono io. Se infatti le persone fossero state 30, avrebbero dovuto incontrarsi 25

trenta volte prima di stabilire di avere o meno gli occhi azzurri. Questo criterio può essere quindi applicato a ogni sistema!”

Convinta della bontà e del rigore logico del proprio ragionamento, Zoe si avvicinò al fiore e rispose: “Sono morte tre persone!”

“Esatto, brava!” replicò con soddisfazione l’azalea.

Improvvisamente si compì un altro miracolo: i petali del fiore si sollevarono in volo, come mille farfalle, e avvolsero la bambina, facendo cadere sul suo capo la polverina magica della calma e della riflessività, quindi tornarono al proprio posto e riacquistarono le loro iniziali fattezze.

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Zoe, che ancora faticava ad adattarsi alle stranezze di quel luogo magico, incredula ringraziò e proseguì il suo sorprendente viaggio.(Marina Kuzmanovic) Zoe camminava allegramente, facendo ruzzolare davanti a sé i ciottoli che intralciavano il suo cammino, e ripensava ai prodigiosi fiori che aveva incontrato fino a quel momento. D’un tratto sentì un sonoro lamento: “Ahi, mi hai fatto male!”

“Chi parla?” chiese la bambina, guardandosi attorno preoccupata.

“Sono io, sono quaggiù. Guarda in basso. Mi hai appena colpito con un sasso!”.

Quando Zoe abbassò lo sguardo, vide una tenera primula e fra sé e sé si chiese quale virtù potesse possedere quel fiore così esile e delicato.

Si chinò con grazia, accarezzò i petali, quasi volesse rimediare al danno fatto e bisbigliò: “Scusami, piccolo fiore dai petali blu, non era mia intenzione ferirti!”.

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“Devi prestare maggiore attenzione a quel che fai, altrimenti potresti ferire o offendere qualcuno, a prescindere dalla tua volontà. Non ti sarà certo semplice costruire nuove amicizie o mantenere le vecchie, se ti comporti così” ammonì la primula.

“Suppongo tu sia il fiore dell’amicizia, da quel che dici.

Avrei proprio bisogno di una buona dose della tua virtù, per potermi relazionare positivamente con gli altri. Ma cosa devo fare per averne un po’?”

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Nulla di impossibile” replicò la primula con tono rasserenante “Dovrai semplicemente rispondere a questo indovinello: A ciuffi gialli o rossi, su pendii o in riva a fossi, aprono gli occhi a primavera per donar gioia sincera.

Sapresti dirmi cos’è? Hai tre possibilità per indovinare la soluzione; se non ci riuscirai, non ti donerò la mia virtù”.

Zoe si precipitò a dare una risposta, senza riflettere: “È la rondine!”, ma il cenno di diniego della primula la spinse a meditare con più calma, finché, dopo un silenzio riflessivo, gridò: “É la rosa!”

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La primula rispose: “No, ma ci sei andata vicina! Fai attenzione! Ti è rimasta l’ultima possibilità. La soluzione è proprio davanti ai tuoi occhi!”

Finalmente Zoe comprese il senso di quelle parole: il fiore che spunta in primavera, dopo che si è sciolta la neve invernale, e che irradia intorno a sé il suo colore rosso o giallo è la primula. Non appena ebbe pronunciato a gran voce il nome del fiore, un fumo bluastro la avvolse, mentre la primula, in una specie di rito magico, pronunciava solennemente delle parole sconosciute. Zoe non ne comprese il senso, ma capì che si trattava di una formula grazie alla quale ricevette il dono dell’amicizia.(Tommaso Crippa) Mentre Zoe continuava ad inoltrarsi nel giardino magico, ad un tratto lo sguardo le cadde su un fiore ancora chiuso che, all’esterno, era bianco. Dopo aver visto meravigliosi fiori variopinti, quella creatura, dall’apparenza così modesta e semplice, le sembrava quasi fuori luogo.

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“Povero fiore, così diverso da tutti gli altri! Sono certa che soffrirà a confronto con i suoi simili!” sussurrò con tono triste, quasi immedesimandosi in lui.

Ma, in quello stesso istante, il fiore si dischiuse e apparve in tutta la sua straordinaria bellezza: era una magnifica dello stesso colore rosa di cui si tinge il cielo, quando nevica.

“Eccomi, ti ho sentita compiangermi. Non ti devi addolorare per me: io sono .

Ti aiuterò a scoprire l’immensa ricchezza che si nasconde in ogni persona e ti insegnerò a guardare la realtà non con gli occhi ma con il cuore. Dimmi, ora: cosa vedi se guardi al mio interno?”.

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Per quanto Zoe fissasse intensamente i petali dell’orchidea, non riusciva a vedere niente altro che il loro colore. “Guarda bene, mia cara, e vedrai un essere che vive dentro di me”.

La bambina affinò la vista, si accostò maggiormente al fiore e finalmente riuscì a distinguere nettamente la fisionomia di una piccola rondine che la fissava intensamente e che dispiegava le ali, come se stesse per prendere il volo.

“Ho visto! Ho visto! - gridò soddisfatta -Ho visto il piccolo tesoro che si nasconde in te” replicò al colmo della felicità.

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L’orchidea, che ammirava con fare materno l’entusiasmo di Zoe, la invitò a riflettere: “Anche tu, ragazza mia, dovrai imparare a vedere oltre le apparenze, senza fermarti alla superficie. Lo dovrai fare con gli altri, ma anche con te stessa e scoprirai di avere mille qualità da donare al mondo!”.

Zoe fece con la testa un cenno di approvazione e ringraziò l’orchidea, ma la sua mente continuava a riflettere sul senso di quelle parole ancora piuttosto oscure:” Quali tesori potranno mai essere custoditi nell’animo di una bambina come me?”. Con quell’ interrogativo nella testa, riprese a camminare.(Aurora Pignanelli) Cammina, cammina, Zoe giunse in una distesa verde punteggiata da tante piccole macchie bianche, che, a mano a mano che si avvicinava, andavano prendendo forma: erano migliaia di piccole margheritine fra le quali campeggiava un bellissimo esemplare gigante.

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Stupefatta, andò da loro per coglierne qualcuna, ma sentì una voce che la ammoniva: “Cara bambina, non raccogliere le piccole margherite! Se darai loro il tempo di crescere, diventeranno belle e grandi come me”.

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Zoe arretrò di un passo e, spaventata, chiese: “M…ma chi parla?” e la vocina rispose: “Guarda in alto, mi vedrai! Sono io, il fiore della pazienza: la margherita.

Insegno agli uomini ad attendere il tempo opportuno, perché ottengano dei risultati migliori”.

“Gran bella cosa! Non sapevo della tua esistenza. Visto che tu sei un esperto in materia, insegnami ad essere paziente. Cosa devo fare?”

“Quando i miei petali saranno caduti tutti, solo allora potrai cogliermi e usare il mio capolino per preparare un infuso che, una volta bevuto, ti regalerà l’arte di saper aspettare”.

Zoe andò a cercare un posticino riparato, nell’incavo di un albero, per poter riposare in attesa che i petali cadessero.

Vi trascorse quel che restava del giorno e l’intera nottata.

L’indomani si accostò alla margherita per verificare lo stato dei suoi petali, ma tutto era integro. Tornò al rifugio e vi passò un’altra notte. Il terzo giorno fece visita al fiore e, con suo disappunto, vide che era caduto un solo 35

petalo. Mentre si apprestava ad allontanarsi, sentì una vocina familiare: “Fermati, Zoe, con la tua perseveranza mi hai dimostrato di apprezzare la virtù della pazienza e di saperla già mettere in atto. Non aspettare che tutti i miei petali cadano. Riprendi pure il tuo cammino; la pazienza da oggi sarà sempre tua fedele alleata!”.

Zoe sorrise compiaciuta e, senza farselo ripetere, tornò sulla via maestra.(Gabriele Prone) Dopo aver camminato a lungo, Zoe si sedette a riposare ai piedi di un albero dalla maestosa chioma.

Ogniqualvolta si guardava attorno provava un senso di compiacimento e di stupore, che si rinnovava giornalmente, 36

alla vista di tante meravigliose creature che con i loro colori ed i loro profumi inondavano i suoi occhi e le sue narici. Nel piegare la testa di lato, notò far capolino fra i sassi una piccola famiglia di stelle alpine che riposavano serenamente. Si avvicinò lentamente e, con tono cordiale, disse a quella che si ergeva sopra le altre:” Ciao, piccolo fiore dai petali di velluto. Donami la tua virtù, qualunque essa sia!”

Il fiore, con una vocina flebile, sussurrò: “Come ti chiami? Come mai sei qui tutta sola?”

La bimba, con tono risoluto e baldanzoso, rispose:” Mi chiamo Zoe, sono qui perché voglio raggiungere la piena felicità! Ora mi potresti donare la tua virtù?”

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Il fiorellino, per nulla soddisfatto della breve risposta, si informò ulteriormente, chiedendo:” E perché vuoi essere felice? E perché dovrei darti qualcosa di me? E perché sei capitata proprio in questo giardino? È stata una tua libera iniziativa o qualcuno ti ha inviata qui?”

Zoe, indispettita da tanta insistenza, spiegò:” Voglio la felicità, perché la impone il mio re! Non voglio essere da meno rispetto ai miei concittadini! Ti può bastare questa risposta?! Ora, per favore, mi potresti concedere un pizzico della tua virtù!? E poi basta con tutte queste domande! La tua curiosità mi infastidisce!!”

La stella alpina, con un sorriso malizioso, rimarcò: “Sono il fiore della curiosità, non posso fare a meno di esserlo!! So bene che le mie innumerevoli domande possono infastidire e, talvolta, stremare il “malcapitato” interlocutore. Tuttavia, non credere che la mia voglia di sapere sia fine a se stessa: la mia curiosità non degenera mai nel pettegolezzo o nella indiscrezione, ma è voglia di conoscere, di dilatare gli orizzonti del sapere, di imparare sempre qualcosa di nuovo. Se io ora ti tempesto di mille 38

domande, è perché voglio capire le ragioni profonde della tua ricerca, poiché, solo così, potrò esserti utile e, nel contempo, potrò anch’io imparare qualcosa da te!”

“Scusami, tu, sono stata indisponente; non sopporto che qualcuno metta il naso nelle mie faccende personali; ma, non temere, ho perfettamente capito lo spirito che anima la tua curiosità” replicò Zoe, la cui voce era divenuta morbida e conciliante.

“Nessun problema! Comunque se credi che un po’ di sana curiosità, nell’accezione di cui ti ho parlato, possa esserti utile, basterà che tu stacchi un mio petalo e ne faccia un unico filo” Zoe cominciò a tirare e dopo qualche minuto il petalo di “seta”, che si andava disfacendo fra mani, si trasformò in un unico filo. Ma quanto bambina tirava, tanto più quello si allungava, sembrava che il petalo continuasse a rigenerarsi.

piccolo le sue più la sì che

“Di questo passo non finirò mai!” si lamentò Zoe, mentre avvolgeva la matassa sempre più corposa.

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“Non ti preoccupare! Ci penserò io, ora, a spezzare ciò che ci unisce. Vorrei solo che tu capissi che la curiosità, da oggi in poi, dovrà accompagnarti per sempre: essa è inesauribile, proprio come questo filo. Assecondala e ti permetterà di conoscere il mondo e darà un senso alla tua vita!”

Zoe comprese la lezione e nel salutare la stella alpina aggiunse: “Ho inteso. Non permetterò che la pigrizia, la superficialità, l’indifferenza e la fretta facciano di me una persona priva di interesse per la realtà circostante.

Sfrutterò ogni occasione per imparare e accrescere il mio bagaglio di conoscenze. Te lo prometto!”

Seguì uno scambio di sorrisi; quindi ognuno tornò al proprio destino.(Aurora Giani) Il meraviglioso giardino era una specie di piccolo cosmo: vi si potevano trovare ambienti e fiori così diversi che nel mondo reale sarebbe stato necessario il giro del pianeta per vederne altrettanti.

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Proseguendo di alcuni metri, Zoe vide un’aiuola, al cui centro si trovava un fiore che prima di allora non aveva mai incontrato: era di medie dimensioni e la sua corolla, costituita da tre petali bianchi come la neve, punteggiati di macchie rosse come il fuoco, era contornata da molte foglie verde scuro.

Intorno ad esso altri piccoli fiori simili, di svariati colori: bianchi con le sfumature blu, viola con bellissime sfumature nere, arancioni e gialli con sfumature viola scuro.

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Ma il più bello rimaneva sempre lui,

Zoe gli si avvicinò di soppiatto, quasi volesse fare una sorpresa, e lo salutò con un sonoro: “Buongiorno!”.

Il fiore, che si stava godendo il caldo sole mattutino e che sino ad allora non si era accorto della sua presenza, al suono della voce, sobbalzò, allungando di poco lo stelo e scomponendo la propria corolla: “Ehi, mi hai fatto spaventare! Guarda cosa hai combinato! I miei poveri 42

petali disordinati! Tu non puoi immaginare quanto tempo ci voglia ogni mattina a sistemare ogni petalo al proprio posto! Dovrò di nuovo pettinarmi, per poter apparire al meglio!” sbottò la viola screziata.

“Che modi!” replicò Zoe “sei davvero scortese! Non era mia intenzione farti spaventare!”

“Sei davvero una bella bambina: dal tuo sguardo dolce e dai tuoi lineamenti signorili si direbbe proprio che tu non sia capace di fare del male e quasi certamente, anzi certamente, non intendevi suscitare paura in me, almeno non intenzionalmente. Ti chiedo umilmente scusa. Ho avuto una reazione esagerata. Facciamo come se non fosse accaduto nulla. Ti va?” propose il fiore con fare conciliante.

A quelle parole Zoe voltò le spalle, standosene a braccia conserte, e a denti stretti ribatté: “Sono davvero risentita e offesa! Trattarmi così, come fossi una bambina inopportuna e di cattive maniere! Proprio io che me ne sto

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qui per rendere me stessa migliore! Non so se potrò concederti il mio perdono!”

“Ma senti un po’! La signorina è davvero suscettibile!

Adesso l’arrabbiata è lei! A quanto vedo e sento, sei una che si adombra facilmente e per cose futili! O forse sospetti che ci possa essere cattiveria dietro i miei gesti e le mie parole? Ho semplicemente manifestato il mio disappunto per essere stata destata di soprassalto, mentre prendevo il sole; non è il caso di farne una tragedia e di legarsela alla foglia, o meglio, al dito, come dite voi umani” precisò il fiore, aggrottando il proprio calice.

“La fai facile tu, adesso, ma poco fa ti sei espresso con ben altri toni! Mi ci vuole un po’ di tempo per far decantare il mio risentimento” ammise in tono piccato Zoe, con una punta di arroganza.

“Mi è parso di sentirti dire che sei qui, nel giardino magico, per perfezionare te stessa; se, dunque, questo è il proposito che ti anima, credo che tu abbia urgente bisogno di una massiccia dose di . Devi 44

imparare a non offenderti per un nonnulla, a valutare criticamente te stessa ed a chiedere scusa, secondo necessità- sentenziò saggiamente la viola -Sappi che sei nel posto giusto: io posso dispensare questa virtù a fiumi”.

Non appena ebbe pronunciato tali parole, dalla corolla zampillò un liquido che bagnò la testa di Zoe; la bambina, che in altre circostanze, si sarebbe subito adombrata, avvertendo immediatamente gli effetti benefici dell’acqua magica, non interpretò il gesto come un affronto, anzi ringraziò umilmente, fece un inchino e sorridendo si allontanò.(Chiara Desole) Era giunta l’ora del tramonto e Zoe non vedeva l’ora di concedersi un po’ di riposo. Tutti quegli incontri, per quanto piacevoli, l’avevano frastornata: perciò avrebbe allestito un giaciglio per la notte e l’indomani avrebbe ripreso la propria ricerca. Si scostò dal sentiero, per cercare un luogo riparato e, proprio mentre avanzava nel prato, vide una magnolia. Decise di 45

farne conoscenza, dopodiché si sarebbe concessa un meritato riposo.

“Buonasera, signora magnolia! Vedo che anche lei, a dispetto del suo signorile portamento, comincia ad avvertire la stanchezza di una lunga giornata! I suoi petali si stanno chiudendo!”

“Non sarai venuta sin qui per dirmi una simile ovvietà” rimarcò il fiore la cui vanità, un po’ permalosa, era stata offesa.

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“Ti prego, non essere risentito per questa mia affermazione: era un modo come un altro per attaccar bottone. Mi rincresce d’averti offeso. Come posso rimediare?”

“Non fare troppe storie! Non è il caso che ti preoccupi tanto! Farò finta di non aver sentito!” rimbrottò il fiore “Ad ogni modo, io non ho tempo da perdere con te. A me piace fare le cose subito e nei tempi opportuni, senza mai rimandare nulla ad un altro momento. Perciò, poiché è giunta l’ora di chiudere la corolla, non posso indugiare oltre. Il mio motto è “Non rimandare a domani ciò che puoi fare oggi!”

“Siamo davvero agli antipodi- replicò Zoe, un po’ intimorita da tanta determinazione- io sono un tipo pigro, rimando tutto ad un domani dai confini incerti e nebulosi, e, quando faccio qualcosa, è perché chi mi sta accanto mi ha sollecitata migliaia di volte. Insomma, diciamo che non mi stresso e che me la prendo con molta calma” “Ah, bè, di sicuro tu vivi tranquilla, ma sono certa che chi ti è accanto si logora per questa tua indolenza. Io 47

sono il fiore della solerzia e ti garantisco che non potrei vivere con una come te!” rimarcò la magnolia.

“Quello che dici è tutto vero; so di irritare gli altri e di perdere molte occasioni preziose, ma la mia pigrizia è tale da vincere ogni buon proposito. Da sola non potrò mai farcela; ho bisogno del tuo aiuto!” supplicò Zoe. “Lo avrai, ma c’è una cosa che dovrai fare per me prima che calino le tenebre” “Ma non manca molto; il cielo imbrunisce ed io sono stanca. Non potremmo rinviare a domani?” implorò la bambina, cedendo all’innata pigrizia.

“No, Zoe, non arrenderti! Supera i tuoi limiti ed essi saranno sconfitti per sempre! In breve tempo dovrai costruirmi un riparo; io soffro l’umidità della notte!”, La bambina, memore del consiglio della magnolia, prontamente si mise alla ricerca di frammenti di corteccia con i quali predispose una piccola casetta per il fiore infreddolito. La magnolia apprezzò lo zelo ed il tempismo con cui Zoe aveva operato e, nel salutarla, le garantì che, 48

avendo superato la prova, avrebbe per sempre goduto di tale virtù. Poi, accovacciatasi nella sua nuova dimora, si chiuse per la notte. Zoe, che desiderava fare altrettanto, ringraziò e decise che quello sarebbe stato l’ultimo incontro della giornata.(Martina Guarisco) La sera stava calando, il sole tramontava e le ombre degli alberi si prolungavano all’infinito, disegnando a terra strane figure. L’oscurità rendeva difficile orientarsi in quel luogo nuovo e i suoni degli animali assumevano toni funesti. Zoe si guardava intorno intimorita e le sembrava che tutto avesse acquisito un aspetto lugubre e minaccioso: non riusciva a discernere realtà e immaginazione.

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La piccola ebbe un momento di cedimento: l’ora tarda, la stanchezza, le mille situazioni vissute e le prove superate avevano indebolito il suo corpo ed il suo animo; si sentiva priva di forze ed incapace di proseguire in quell’impresa, benché la meta fosse ormai vicina. Avanzava lentamente, scrutando guardinga attorno a sé. Nonostante il cielo si fosse imbrunito, Zoe sbirciò in lontananza un tulipano di un vivido color giallo: i suoi petali dalle mille sfumature si stavano chiudendo ed un’ape che ne aveva succhiato il polline si alzava in volo per raggiungere l’alveare attaccato ad un albero rigoglioso di foglie e frutti.

L’immagine ridente riportò Zoe alla realtà.

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Si accostò al fiore che la guardava e si presentò: “Ciao, sono Zoe. Ti prego, aspetta ancora un attimo, prima di chiuderti definitivamente! Sono giorni che mi aggiro in questo magnifico giardino, ma, quando arriva la sera, sento le mie forze venir meno! La determinazione e l’ostinazione che hanno guidato i miei passi durante il giorno lasciano spazio all’arrendevolezza! Non mi abbandonare, almeno non prima di avermi indicato il fiore cui devo rivolgermi per ottenere la perseveranza, una virtù che, come puoi notare, posseggo solo in minima parte!”.

Il fiore rispose: “So già tutto di te; la mia amica ape, saltellando di fiore in fiore, ti ha vista aggirarti nei dintorni e poco fa mi ha anticipato l’eventualità di una tua visita. Ma non ti sembra di essere un po’ in ritardo!? È sera! Ad ogni modo vedrò di fare il possibile. La presenza di un umano è sempre gradita! Sono anni che nessuno viene qui da me a chiedere il mio sostegno: nel mondo ci sono milioni di persone che in tutta fretta intraprendono un’impresa e poi la lasciano incompiuta!

Purtroppo, sei in bella compagnia!

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Facciamo così: tu ti prenderai cura di me, mi procurerai un po’ di acqua ed io farò in modo di farti avere la mia caratteristica morale, che, per tua fortuna, è proprio quel che cerchi. Ti va bene? É così piacevole farsi coccolare da qualcuno, anche per noi che siamo abituati a cavarcela da soli!”

Zoe raccolse da terra una foglia appena caduta, la curvò leggermente e la utilizzò come contenitore per l’acqua.

Ritornò indietro, fino al punto in cui sgorgava una piccola sorgente naturale, attinse dell’acqua e la portò al tulipano giallo che immediatamente crebbe di due o tre centimetri.

Il fiore, al colmo della felicità, ringraziò la bambina: “Ti sarò per sempre riconoscente; adesso stacca quanti petali vuoi, intrecciali sino a farne una collana che porterai a contatto con il tuo corpo e, quando ne avrai bisogno, loro ti infonderanno tenacia, ostinazione e perseveranza” quindi concluse con tono sentenzioso:” Ciò che si inizia va portato a compimento, nonostante le asperità della vita. Ricorda che solo nelle situazioni difficili si dimostra di essere veri fiori, oh, dimenticavo…

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veri uomini!”

Ciò detto, il tulipano si chiuse; anche quell’incontro ebbe un esito felice.(Stefano Sottocorno) Le tenebre avvolgevano ormai ogni cosa, ma Zoe non aveva più nessun timore: il coraggio e la perseveranza, ricevuti in dono dal girasole e dal tulipano giallo, la rendevano forte, determinata e capace di affrontare qualunque impresa.

Finalmente la realtà intorno a lei aveva riacquistato le sue vere sembianze. La bambina si adagiò sul prato, ma, un attimo prima di chiudere gli occhi assistette all’ennesimo prodigio: i suoni, i colori ed i profumi del giorno lasciavano spazio a quelli della notte. Il giardino prese nuova vita: dai fiori chiusi, dagli alberi a riposo e persino dalle pietre si alzarono lentamente in volo piccole stelle luminose: erano i geni del giardino incantato, straordinarie creature che con la loro presenza rendevano magico e miracoloso quel luogo. Lo spettacolo era di ineffabile bellezza, tuttavia gli occhi di Zoe, vinti dalla 53

stanchezza, si chiusero dolcemente, mentre sul suo volto rimase scolpita un’espressione di gioioso stupore.

Alle prime luci dell’alba Zoe spalancò gli occhi, si guardò attorno e rimase immobile a contemplare il paesaggio: il silenzio del mattino, la foschia lattiginosa dell’alba ed il luccichio della rugiada sui petali che, incerti, si dischiudevano al baluginio del primo timido raggio di sole creavano un’atmosfera magica. La nuova Zoe era ansiosa di riprendere il cammino. Ritornò sul sentiero e avanzò fra mille splendidi fiori, rinvigoriti dal riposo notturno.

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In un angolino, nascosto da imponenti agapanthus, individuò un tulipano azzurro che si andava lentamente aprendo, lasciando intravvedere il suo pistillo giallo.

Si appropinquò e lo salutò cordialmente: “Ben alzato, signor tulipano!”

“Buona giornata anche a lei, signorina Zoe!”.

La bambina interdetta aggiunse: “Come sai il mio nome?”

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“Non si parla che di te nel giardino. Si dice che da alcuni giorni ti vai aggirando fra i fiori per cogliere il meglio di ciascuno di noi. Non è forse così?” puntualizzò il tulipano.

“Hai ragione e, visto che sai tutto di me, non ti stupirai se chiederò un aiutino anche a te?”

“Niente affatto; mi offenderei se tu non lo facessi! La mia miglior qualità è la prontezza di calcolo. Ne hai bisogno?”

“Esattamente come ho bisogno dell’aria per respirare: sono una frana in matematica, gli abitanti del mio villaggio mi superano ed io sono diventata lo zimbello di tutti! Che umiliazione!”

“Non posso sopportare di vederti così affranta. Ti aiuterò, ma prima dovrai affrontare una prova: io pronuncerò una specie di scioglilingua e tu, con estrema prontezza, dovrai individuare i nomi dei fiori nascosti fra le lettere in libertà”.

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Ciò detto, il tulipano cominciò a inanellare una serie di strani suoni: Torchidealuazaleantoribiscusopomeliantergeranioplolis Ciclaminooliciclaminoggelsominoorchideailtagapanthus Peoniapsurfiniagoairisnzinniaocrisantemorosasabegonia Zoe si concentrò e, uno dopo l’altro, mise in sequenza tutti i nomi; il tulipano rimase stupito di tanta bravura e un po’ piccato aggiunse: “Devo ammettere che sei davvero brava! Complimenti! Ora tocca a me mantenere la parola data: prendi un mio petalo e mettilo fra i tuoi capelli.

Rimani immobile, finché esso stesso non sarà diventato un capello. Quando ciò sarà avvenuto, potrai andartene e, se lo vorrai, potrai sfidare il miglior matematico del tuo villaggio.” Pronunciate queste parole, il tulipano si chiuse per un istante e, quando si riaprì, la sua corolla era perfettamente integra.

Zoe, ormai avvezza a simili prodigi, salutò e riprese la strada. (Miriam Tiziani) 57

Non aveva percorso che poche decine di metri, quando un inebriante ed intenso profumo la avvolse: poco più avanti si apriva una distesa violacea di lavanda. La bambina camminò in mezzo a quei fiori che ondeggiavano sospinti dal vento.

“Finalmente sei giunta anche da noi!” disse un fiore, mentre accarezzava la veste fluttuante di Zoe “Noi siamo i fiori della forza, anche se, a prima vista, sembriamo esili e sottili. Il vento ci piega, ma non ci spezza!”.

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“E anche quando abbiamo smesso di vivere, tagliati dalla falce dell’uomo, continuiamo a esalare il nostro intenso profumo!” commentò con orgoglio uno di loro.

“Proprio vero! Non avevo mai pensato a voi in questi termini!” replicò Zoe. “Sono certa che mi potrete aiutare, ma voglio che sappiate che io non desidero possedere la forza fisica, bensì quella dell’animo, per poter resistere a tutte le difficoltà della vita in modo dignitoso!”.

La maturità delle parole di Zoe sorprese i rametti di lavanda: “Respira profondamente, riempi i polmoni della nostra essenza. Non serve altro: da oggi la forza sarà con te!” sentenziarono in coro.

La bambina inspirò più che poté, quindi fece un inchino e si allontanò.(Issam Quarrouti) Mentre procedeva serena e festante, avvertì un leggero fruscio, che andava lentamente aumentando a mano a mano che lei avanzava lungo il sentiero. Il suono crebbe fino a diventare assordante: Zoe comprese che quello era un richiamo. Si lasciò guidare dal suono e si ritrovò ai piedi di un magnifico ciliegio: 59

aveva l'aria di essere una giovane pianta, ma in realtà aveva ben cinquecento anni. Era un albero secolare, maestoso e resistente, con una folta chioma simile ad una nuvola di piccoli fiori rosa, il quale, nel corso della sua lunga vita, aveva aiutato molte persone. Durante la conversazione, Zoe apprese che l’albero di ciliegio era riuscito a vivere così a lungo grazie alla temperanza: in ogni occasione aveva tenuto sotto controllo il proprio comportamento, agendo con misura. La bambina, che sapeva di essere poco riflessiva, pensò che quell’incontro non fosse casuale e che il destino volesse ancora una volta renderla migliore: se l’avesse aiutata, avrebbe imparato a frenare le proprie reazioni impulsive che spesso, in passato, l’avevano portata ad avere atteggiamenti non adeguati ai contesti in cui si trovava.

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“Meravigliosi fiori di ciliegio, donatemi un po’ della vostra temperanza, ve ne sarò grata a vita!” supplicò Zoe. “Siamo ben disposti verso di te, ma prima dovrai rispondere a questa domanda: la curva si dice dritta o diritta?” puntualizzarono con un sorriso beffardo. Zoe rimase un po' perplessa, perché lì per lì le sembravano giuste entrambe le definizioni, ma, ripetendo nella mente la frase, capì che era soltanto un trabocchetto. La curva non può essere né dritta né diritta, ma è semplicemente curva. I piccoli fiori si congratularono con Zoe per la prontezza e aggiunsero che le avrebbero dato ciò che voleva.

La invitarono a sedersi ai piedi del maestoso albero; la chioma cominciò ad ondeggiare e dai fiori cadde a terra una sottile polverina che ricoprì il capo di Zoe. “Ecco ciò che desideri” sentenziò l’albero “da oggi in poi userai moderazione in tutto ciò che farai”.

Zoe si alzò, si strofinò gli occhi, per poter vedere, abbracciò il tronco e salutò i fiori di ciliegio che ricambiarono con il loro leggero fruscio.(Luca Passeri) 61

Decise di fermarsi a riposare pochi minuti, almeno finchĂŠ non avesse recuperato perfettamente la vista: gli occhi le lacrimavano, ma il cuore le traboccava di gioia. Si mise a sedere su alcune piccole pietre, dalla forma irregolare, ma non trovava pace. Fu proprio mentre si girava per cercare una superficie piana, che vide nascondersi fra le rocce miriadi di piccolissimi fiorellini azzurri, del color del cielo.

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“Buongiorno, chi siete voi, che ve ne state appartati?

Siete così belli! È un vero peccato che non mostriate la vostra bellezza al mondo intero!”.

Alla domanda di Zoe rispose un tenero fiore: “Gli uomini ci chiamano “Occhi della Madonna”, perché siamo dello stesso colore. Ma non è questa la sola cosa che ci accomuna: la Vergine aveva una bellezza modesta e pudica che non mostrava al mondo; anche noi siamo così, non ci importa di esibire la nostra leggiadria, vogliamo mantenere la nostra semplicità e preferiamo che siano gli altri ad accorgersi di noi.”

Zoe da quelle parole comprese che doveva trattarsi del fiore della modestia e della verecondia; rifletté su se stessa e capì che aveva bisogno di quella virtù, perché nella vita, vissuta sino a quel momento, aveva dato molta importanza all’apparire. Chiese ai fiorellini celesti cosa dovesse fare per avere un po’ della loro semplicità e questi le risposero: “Se davvero vuoi essere come noi, lascia su questa roccia un oggetto prezioso che sia il simbolo della tua vanità. Al resto penseremo noi.”

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La bambina si sfilò dal collo una collana di grande valore, della quale andava fiera, e rivolse agli occhi della Madonna una sguardo d’intesa; questi cominciarono ad ondeggiare ed il prato si trasformò in una distesa azzurra simile al mare increspato.

Zoe rimase alcuni minuti a gustare quello spettacolo, poi riprese la via.(Jennifer Sibillano)

Decise di abbandonare il sentiero ghiaioso e di addentrarsi nel vasto giardino fra grandi cespugli e fiori multicolori. Era intenzionata a trovare il fiore che l’avrebbe resa responsabile e matura, in grado di provvedere personalmente a tutto ciò che la riguardava.

Nel frattempo il sole era alto nel cielo e la bambina cominciava ad avvertire un caldo soffocante. Trovò riparo ai piedi di un folto albero; si sedette, appoggiandosi al tronco e, chiusi gli occhi, assaporò la piacevole frescura.

Poco dopo li riaprì, desiderosa di capire da dove provenisse il leggero gracidio, che le sembrava di sentire.

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Si alzò, fece alcuni passi e vide uno stagno pieno di rane festanti che si tuffavano qua e là.

In mezzo alla pozza d’acqua riconobbe il fiore della responsabilità: una splendida ninfea dai petali rosa pastello.

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Zoe si avvicinò alla riva ed il fiore fece altrettanto: “Ciao, Zoe, ben arrivata!” le disse con gioia.

“Ma come fai a sapere il mio nome?”

“Io conosco i nomi di tutte le persone che mi desiderano e tu sei una di loro”.

Quindi Zoe le chiese:” Mi potresti offrire un po’ della tua responsabilità?”

“Certamente, ma solo se sei veramente sicura di volere quello che sto per donarti! Una volta divenuta responsabile, non potrai più agire con superficialità, ma dovrai riflettere su ciò che starai per fare e sulle conseguenze di ogni tua azione. Non è semplice, ma quando avrai imparato, vivrai meglio tu ed anche tutti coloro che ti stanno intorno”, puntualizzò il fiore, con estrema saggezza.

La bambina, che mostrava una consapevolezza da adulta, rispose: “Sì, sono pronta. Troppe volte mi sono sentita rinfacciare la mia irresponsabilità. Voglio cambiare per me e per chi mi vuole bene!”. La ninfea replicò:” Per 66

ricevere un po’ del mio senso di responsabilità, dovrai accompagnarmi dalle mie sorelle, mostrando di essere in grado di portare a termine il compito che ti viene affidato” Zoe accettò; si tuffò nello stagno, benché l’acqua limacciosa fosse poco invitante, e sospinse il fiore fino al centro; le rane le si strinsero intorno, come se dovessero assistere ad un rito magico: la bambina inspirò profondamente e fu inebriata dal profumo esalato dalle ninfee che sembrava nascesse dalla fusione di mille fiori messi insieme. Sorrise compiaciuta, quindi guadagnò la riva e si lasciò cadere sull’erba.

Zoe si sentiva stordita, perciò decise di rimanere lì sdraiata, per riprendere i sensi e far asciugare i propri vestiti, allietata dalla compagnia delle piccole rane.(Alexia Jaimes)

Guardando verso l’alto, vedeva il cielo mutare e tingersi di arancio e di rosa nell’ora del 67

tramonto. Zoe rimase ferma a contemplare, estasiata, quello spettacolo naturale finché, recuperate le forze, si alzò e avanzò di alcuni metri. Vide aprirsi dinanzi a sé un’immensa distesa di calle bianche, dall’aspetto nobile, altero e raffinato, con intense sfumature rosacee: per un attimo le sembrò che il cielo e la terra fossero divenuti la stessa cosa.

La bambina, che si sentiva attratta dal colore tanto rilassante dei petali che faceva contrasto con il verde brillante delle foglie.si avvicinò.

Un fiore catturò la sua attenzione: era la calla da cui sentiva provenire una sottile vocina: “Ti ho vista guardare 68

intensamente in questa direzione: cerchi qualcuno?”

“Per la verità cerco qualcosa; che poi sia tu o un altro a darmi quel che desidero mi è del tutto indifferente!” concluse Zoe. “Che sfacciataggine! Dovresti riflettere di più, prima di parlare! Non ti pare?” sbottò il fiore, vistosamente infastidito. Zoe capì di aver esagerato e, nel porgere le proprie scuse, aggiunse: “La saggezza è una delle virtù che ancora non posseggo, purtroppo!”

“L’avevo intuito” commentò sarcasticamente la calla, che aggiunse: “Io sono il fiore della saggezza. Per evitare che tu faccia altre brutte figure, ti darò quel che cerchi, a patto che tu mi sappia recitare un proverbio sulla saggezza”.

“Non permettere alla lingua di oltrepassare il pensiero- credo che questo aforisma si adatti perfettamente al mio comportamento” commentò Zoe con umiltà.

“Vedo con piacere che hai già imparato la lezione: su questa corteccia sono incise molte massime sulla saggezza.

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Leggine una ogni giorno e, così facendo, questa tua virtù diventerà sempre più forte!” consigliò la calla.

Zoe aveva acquistato un’altra importante qualità e la sua esperienza volgeva quasi al termine.(Albino Sollaku)

Quando ormai mancavano pochi metri alla fine del giardino magico, la bambina poté assistere ad uno spettacolo meraviglioso: una distesa di papaveri rossi fluttuava al soffio di una leggera brezza.

Si avvicinò ad un fiore, chiedendo cosa stessero facendo: 70

“Andiamo dove ci porta il vento: un tempo eravamo fiori robusti e resistenti ed eravamo tanto fieri della nostra forza da diventare orgogliosi, testardi e un po’ saccenti.

Ma per questi nostri difetti siamo stati puniti: ora, come vedi, siamo fiori delicati e caduchi e siamo costretti a piegarci al soffio del vento ed a chinare il capo, non appena l’acqua appesantisce la nostra corolla. Non ci è rimasto più nulla dell’antica boria. Siamo i fiori dell’umiltà” Zoe riconobbe sé stessa in quelle parole; sapeva di essere testarda e sorda ai consigli altrui in alcune circostanze, perciò dichiarò di desiderare di essere docile, flessibile e condiscendente.

Il fiore, che comprendeva le ragioni di Zoe e condivideva le sue aspirazioni, le disse: “Sono felice del fatto che tu, pur essendo così giovane, abbia capito il valore dell’umiltà! Per essere meno testarda e presuntuosa, dovrai portarmi sempre con te; due dei miei petali si poseranno sulle tue guance e le tingeranno di rosso, per 71

ricordarti, ogniqualvolta peccherai di arroganza, che nella vita bisogna praticare la via della cedevolezza”.

“Un’ultima raccomandazione: perché la tua metamorfosi possa dirsi completa, dovrai recarti dal fiore che insegna l’arte dell’ascolto.

L’essere umili presuppone la capacità di ascoltare gli altri e la volontà di seguire i loro consigli, riconoscendone la validità.

Per affinare questa virtù, che noi papaveri possediamo solo marginalmente, dovrai seguire le indicazioni dei fiori di campo che vivono a pochi passi da qui!” aggiunse premurosamente il papavero.

Zoe annuì e subito due petali si sollevarono in volo e si adagiarono sul suo volto; piena di modestia, la bambina ringraziò e riprese il cammino in direzione delle pratoline, in prossimità dell’uscita.(Davide Redaelli) “Ciao, io sono Zoe e tu che fiore sei?” domandò la bambina, per essere certa di aver trovato il fiore indicato dal papavero rosso.

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“Io sono una pratolina; in cosa posso esserti utile? Perché sei venuta da me, bambina?” indagò il fiore.

“Ho bisogno che tu mi dia qualcosa, per portare a termine la mia ricerca” “Mi dispiace, ti stai sbagliando: i fiori di questo giardino non possono donare alcun oggetto. Devono averti dato un’informazione errata!”

“Ma, no, cos’hai capito! Veramente io non cerco nulla di materiale, cerco solo la felicità. E per poterla raggiungere, devo far mia la capacità di ascoltare il prossimo e di seguire il consiglio altrui. Nella vita di tutti i giorni ho commesso molti errori a causa della mia 73

presunzione che mi spingeva a credere che nessuna opinione valesse quanto la mia. Non voglio che ciò si ripeta oltre.

Mi han detto che tu puoi aiutarmi in questo; è così?”

“Ora sì che ci capiamo! Certo, ti darò un po’ della mia virtù, ma prima dovrai fare una cosa” sentenziò la pratolina.

“Di cosa si tratta? Cosa dovrei fare?” chiese Zoe incuriosita.

“Non sei la sola ad aver bisogno della mia virtù; come te ci sono milioni di persone nel mondo là fuori che sono sorde ai consigli altrui e che perseverano per la propria strada, pur sapendo di sbagliare. Quel che ti chiedo in cambio della mia virtù è che tu prenda i nostri semi e, una volta uscita da qui, li vada spargendo nel tuo mondo, in modo che la gente impari a prestar ascolto ai consigli ed ai bisogni del prossimo” Zoe fece quello che la pratolina le aveva detto; non appena ebbe riempito le tasche del suo vestitino, la sua capacità di ascolto crebbe in modo esponenziale.

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La bambina lasciò quei teneri fiorellini di campo e riprese il cammino. La giornata era stata intensa; ancora uno sforzo ed il viaggio di formazione si sarebbe concluso.(Mattia Nava)

Nell’ultimo tratto che le rimaneva da percorrere, Zoe si avvicinò a una piccola , delicata e graziosa che se ne stava china su se stessa, lasciando i posti migliori agli altri.

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Zoe le parlò:” Cara violetta, sei per caso ?”

Il fiore le rispose sottovoce: “Sì, bella fanciulla, sono io.

Da cosa l’hai intuito?”

“Dal fatto che te ne stai in un angolino, schiva e dimessa. Anche il tuo tono di voce, così flebile e pacato, è proprio di chi non vuole emergere sugli altri” commentò la bambina.

“Hai colto con precisione i tratti distintivi del mio carattere. Ma ora dimmi che cosa vuoi da me” sussurrò il fiore.

E Zoe: “Mi piacerebbe tanto essere discreta come te” “Ah sì, e perché mai? “ “Perché non vorrei mai diventare vanitosa e supponente; mi danno fastidio le persone così.”

“Mi sembri sincera, perciò asseconderò il tuo desiderio, anche se mi rincresce un po’ privarmi dei miei poteri, sempre che si possano definire tali, perciò ti voglio 76

sottoporre a questa prova: dovrai fare un complimento sincero a qualcuno.”

Zoe annuì, pensando che sarebbe stato facile vincere quella sfida. La violetta si trasformò in una vecchietta orribile, grassa, coi capelli lunghi e unti e con un naso aquilino pieno di verruche.

Zoe sulle prime inorridì, soffermandosi esclusivamente sulle caratteristiche esteriori, però poi, ad uno sguardo più attento, si accorse che la donna aveva degli occhi bellissimi, limpidi e grandi.

La ragazza a quel punto seppe cosa fare e disse sinceramente ammirata: “Hai degli occhi splendidi!”

La vecchia sorrise sdentata e in un baleno si ritrasformò nella violetta, riacquistando il suo grazioso aspetto: “Hai detto la verità ed hai colto l’essenziale, anche se non era semplice farlo. Hai vinto la sfida cui ti ho sottoposto, pertanto avrai ciò che ti spetta.

A pochi passi da qui troverai una fontana da cui zampilla un’acqua fresca e ristoratrice: bevine in 77

abbondanza e dentro di te si compirà l’ennesimo miracolo. È stato un piacere incontrarti, ma ora è tempo che tu concluda il tuo viaggio” raccomandò la viola bianca.

Zoe si apprestò a fare ciò che il fiore le aveva detto e subito si sentì pervadere da un dolce aroma di freschezza.

Zoe, che ora poteva aggiungere la discrezione alle sue molteplici virtù, sorrise compiaciuta e pronunciò parole di ringraziamento alla violetta che, schiva e modesta qual era, arrossì, screziando momentaneamente di rosso i suoi bianchi petali.(Anna Lanfranconi)

Zoe cominciava ad intravvedere il cancello che delimitava il giardino e che si apriva sul mondo reale.

Pur desiderando oltrepassarlo, non mancò di fare la conoscenza dell’ultimo fiore che si frapponeva fra lei ed il raggiungimento della perfezione: il fiore della memoria, un bellissimo giglio arancione.

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Il fiore, appena si accorse di lei, la salutò molto calorosamente: “Buonasera bambina, come ti chiami?”

Zoe rispose: “Ciao, io mi chiamo Zoe” “Se ti trovi in questo punto, vuol dire che hai attraversato tutto il giardino; cosa ti ha portato ad affrontare questo lungo cammino?”

“Prima che io vi entrassi, non mi sentivo completa e la strega cui mi ero rivolta per ottenere la felicità mi 79

consigliò di venire in questo magico luogo, per avere tutte le virtù presenti sulla Terra”.

“Bene … quindi sei qui per ricevere anche la mia di virtù, la memoria?”

“La memoria!? Non credo di averne bisogno!

Difficilmente dimentico qualcosa io; mi vanto di saper memorizzare in breve tempo poesie, canzoni, formule di matematica, persino pagine e pagine di storia!” dichiarò Zoe con una sicumera che infastidì il giglio.

“Non essere troppo piena di te, altrimenti non saranno valsi a nulla gli incontri con gli occhi della Madonna e con la viola bianca! Tu stessa, con la tua arrogante superbia, mi stai dimostrando di aver bisogno della memoria: è come se tu avessi rimosso e dimenticato tutto ciò che hai imparato sin qui! Quando parlo di memoria, io alludo a qualcosa che va oltre lo sciorinare il proprio sapere.

Tu devi imparare a conservare dentro di te, come fosse un tesoro, lo scrigno delle esperienze pregresse, perché ognuna 80

di esse, tirata fuori nel momento opportuno, possa esserti di insegnamento e possa aiutarti a superare una nuova difficoltà. Io sono l’ultimo fiore del giardino, proprio perché devo verificare che chi esce da qui conservi memoria di ciò che ha vissuto al suo interno! Mi capisci ora?”

“Perdonami, hai ragione! Sono bastate poche parole, perché io, sopravvalutando me stessa, dimenticassi ciò che i fiori mi hanno insegnato sin qui. Ho davvero urgente bisogno di te, prima di lasciare questo magico luogo” dichiarò Zoe, con il tono dimesso di chi si è ravveduto.

“Ben detto! Ma non pensare che sia facile ricevere questa virtù molto importante. Ti svelerò un segreto: solo poche persone, fra quanti ti hanno preceduta, sono riuscite ad ottenerla, vanificando così la propria fatica.

Nonostante ciò, ti proporrò lo stesso questo indovinello che ti permetterà di ottenere ciò che vuoi.

La regola è solo una: da quando l’avrò formulato, ti saranno concessi solo alcuni minuti; se risponderai

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correttamente, riceverai la virtù da te desiderata. Sei pronta?” chiese il giglio.

Zoe che fremeva al pensiero di ultimare il proprio percorso, rispose: “Sì, va bene, sono pronta”.

“L’ indovinello è il seguente: “È il diario che ciascuno porta sempre con sé” sentenziò il fiore.

Zoe si appartò in un angolino a riflettere; dopo aver pensato alla risposta, si decise a tornare dal luminoso amico. Non appena gli fu dinanzi, disse, piena di entusiasmo: “Ho la risposta al tuo indovinello” “Sì, dimmi!”

“La risposta è la memoria!”

“Brava, Zoe! È proprio così; ora va’ e rifletti sull’aforisma che hai appena ricomposto” La memoria è il diario che ciascuno di noi porta sempre con sé” e fa’ in modo che possa esserti d’aiuto nel mondo là fuori”.

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Quelle furono le ultime parole che la bambina sentì pronunciare da un fiore.(Tommaso Mauri)

Zoe si avviò verso il cancello d’uscita del giardino; non appena lo ebbe oltrepassato, si voltò a guardarlo, quasi con nostalgia, contemplando la magica sinfonia di forme, profumi e colori in cui si era persa e ritrovata. Giurò a se stessa che non avrebbe mai dimenticato le straordinarie creature che aveva incontrato e che, per il futuro, avrebbe fatto tesoro dei loro preziosi insegnamenti.

Alla fine del proprio viaggio si sentiva pienamente realizzata: in quel momento non le mancava proprio nulla di ciò che riteneva essere indispensabile per raggiungere la felicità e non vedeva l’ora di poterlo dimostrare a se stessa ed agli altri.

Fece, dunque, ritorno a casa, oltrepassando le mura che circondavano il regno di Eudamonia e vide accalcarsi nei pressi del ponte levatoio tanta gente che chiedeva di essere 83

ammessa in quel luogo straordinario in cui tutti potevano essere felici. La ragazza si sentiva orgogliosa di appartenere a quel regno tanto ambito e non vedeva l’ora di confrontarsi con i suoi concittadini, per mettere alla prova se stessa ed avere conferma della propria infrangibile felicità.

Finalmente era completa e perfetta: osava parlare, persino senza richiesta, interveniva in una conversazione senza abbassare lo sguardo, si lanciava nelle avventure con quel pizzico di sfrontatezza che scioglie qualsiasi remora, era generosa con il prossimo, altruista, coraggiosa, paziente e, all’occorrenza, riflessiva, creativa, metodica e puntigliosa. Era tutto ciò che si può desiderare di essere, eppure…

Eppure, ogni sera, prima di coricarsi, Zoe rifletteva sulla propria giornata ed era consapevole di avere fatto ogni cosa esattamente nel modo in cui andava fatta, ma quella certezza non le procurava soddisfazione ed appagamento: sentiva di non essere spronata a fare nulla di nuovo e di diverso e di ripetere meccanicamente ogni 84

giorno sempre lo stesso stereotipo comportamentale. Era nato in lei un senso di pienezza che la rendeva arrendevole, apatica, abulica e priva di volontà; poiché tutto era raggiunto, non restava più niente da fare. Immaginava che la propria vita futura sarebbe stata sì felice, al pari di quella dei suoi concittadini, ma non avrebbe avuto mordente: si sarebbe consumata in una sequenza di atti convenzionali e perfetti, ma non le sarebbe rimasta nessuna meta da raggiungere. Di fatto le mancava un obiettivo, uno scopo per il quale valesse la pena vivere la vita, le mancava il desiderio di desiderare sempre qualcos’altro che trasformasse l’esistenza nell’eterna ricerca, mai soddisfatta, della perfezione.

Pensò allora di fare ritorno dalla strega che le aveva indicato la via per la felicità, per sapere da lei la risposta a quell’iniziale quesito che era rimasto insoluto.

“Accomodati, mia cara bambina!” con queste dolci parole accolse l’ospite che non ostentava sul viso la felicità che ci si sarebbe attesi. “Raccontami, dunque, del tuo viaggio!

Hai conosciuto i fiori della felicità e suppongo tu abbia 85

attinto ciò che ti mancava da ciascuno di essi: sarai perfetta ora e, di conseguenza, sarai felice, come desideravi” affermò la strega, il cui ghigno malizioso rivelava il chiaro intento di provocare la bambina.

“No, Baba Yaga, non sono felice “sussurrò sommessamente. Quindi guardò la vecchia e non colse sul suo viso alcuna smorfia di disappunto o di stupore. Baba Yaga sorrideva, con un’espressione piena di comprensione materna, come se si aspettasse quella risposta e ne fosse compiaciuta. “Cosa turba la tua felicità, dimmi!”

“Non è semplice da spiegare: io ho ottenuto tutto ciò che volevo, tutte le possibili virtù risiedono in me, non esiste creatura perfetta quanto me in questo regno, eppure io non ho nessun motivo per essere felice, non ho più nessuna voglia di vivere, di andare avanti e non so spiegarmene la ragione” “Comprendo” replicò con indulgenza la vecchia, annuendo col capo e accompagnando quel gesto con un sospiro accorato “Ti manca un bene prezioso, proprio quello che 86

ha alimentato il tuo desiderio iniziale di perfezionare te stessa e che tu hai annullato, colmandolo con ogni forma di perfezione: la vita di tutti noi, mia cara, ha bisogno di uno scopo per essere vissuta ed è necessaria la nostra imperfezione, perché essa rappresenta esattamente il motore della nostra ricerca. Impara a guardare alla nostra esistenza come ad un lungo percorso costellato di tanti piccoli traguardi.

Quando ne avrai raggiunto uno, non ti sentirai appagata, se non momentaneamente, ma la soddisfazione di quel singolo obiettivo realizzato ti darà la forza e l’energia per rincorrerne subito un altro. Ma non temere, c’è un rimedio a questa tua infelice felicità: torna nel giardino e vedrai che in un angolo, acquattato dietro un rigoglioso cespuglio di candida spiraea, si nasconde il fiore del desiderio del desiderio. Tu inietta un po’ della sua linfa e lui, in cambio, si prenderà una parte di tutte le tue virtù, sì che in te nasca subito la percezione della mancanza ed il conseguente desiderio di cercare altro. Va’, non aspettare!”

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La bambina, colma di gratitudine, ringraziò Baba Yaga e si incamminò nuovamente verso il giardino magico.

Passò velocemente attraverso i fiori che aveva già conosciuto, ma che, in quel momento, non attiravano più la sua attenzione e non le sembravano altrettanto importanti rispetto a quando li aveva incontrati la prima volta.

Si precipitò alla ricerca della siepe di spiraea e, aprendo un piccolo varco con le mani, vi si infilò.

Nascosto dietro la lussureggiante infiorescenza, un piccolo, semplice fiore dall’apparenza modesta e dall’espressione dimessa, se ne stava lì dimenticato da tutti. Alla vista, 88

lo si sarebbe definito “un fiore da nulla”: aveva una corolla con una sola fila di petali.

“Oh, mio povero fiordaliso, come mi dispiace che tu te ne stia lì in disparte, quasi invisibile, mentre tutti gli altri fanno sfoggio della propria bellezza! Perché vivi in solitudine?” sospirò Zoe. “Cara e dolce bambina, la mia solitudine non è per me motivo di sofferenza: chi viene a me, non deve incontrarmi per caso sul suo cammino, ma deve cercarmi con vivo desiderio. Del resto sono o non sono il fiore del desiderio e 89

della vera felicità!? Non mi amano in molti, perché tutti sanno che desiderare qualcosa significa non possederlo ancora e sono pochi quelli che vogliono rinunciare al possesso di un bene. Ma chi mi cerca, sa che solo il desiderio di ciò che manca spinge l’uomo a tramutare una vita banale nella ricerca della pienezza e della felicità.

Se dunque vuoi che io instilli in te il seme del desiderio, devi rinunciare in piccola parte a ciò che già hai. Io trarrò nuova energia dalle tue virtù e tu troverai in me la ragione del tuo vivere. Mi sembra uno scambio equo ed equilibrato” affermò con un tono risoluto che poco si confaceva alla dolcezza della sua espressione ed alla fragilità del suo aspetto.

“Certo, mio dolce amico, sono qui per questo. Non avrei mai immaginato che alla fine del mio percorso io desiderassi ricominciare da capo. Mi ero illusa di poter essere felice, ponendo rimedio a tutti quei limiti che ritenevo fossero un ostacolo, mentre ora scopro che proprio le mie mancanze possono trasformarsi in un motivo di felicità. E sì che Baba Yaga aveva insinuato qualcosa, 90

ma io non ero ancora in grado di comprendere!”. Ciò detto, la bambina si punse un dito e lo accostò al fiore, esercitando una leggera pressione sul suo stelo, affinché quello potesse risucchiare un po’ della sua perfezione e cedere un po’ della linfa del desiderio. Lo scambio era avvenuto; prodigiosamente le ferite si rimarginarono.

Dopo gli inevitabili convenevoli, le formule di saluto piene di riconoscenza e ravvivato entusiasmo, la bambina si congedò dal fiore e si lasciò alle spalle per sempre il giardino della felicità.

Ritornò al regno, si guardò attorno, quasi compassionando i propri concittadini che orgogliosamente ostentavano il loro simulacro di felicità.

Ricominciò a vivere, da quel momento, consapevole delle tante cose che ancora le mancavano, per ottenere le quali, concesse a se stessa il tempo di una vita intera.

E, come nelle migliori fiabe, visse felice e contenta…

(a cura della II B, a.s.2014-2015) 91