CortocircuitO n°7 - LIBERA DEMOCRAZIA IN LIBERO MERCATO

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S o c i et à & C u lt u ra

La Belleza Es Tu Cabeza

Tra l’industria dell’alternativo e quella dell’indignazione, alla ricerca di una coscienza critica Sono tempi bui questi... La crisi avanza, gli affitti sono cari, il lavoro non si trova, la pensione si allontana. Dalle televisioni, dalle radio, dai giornali, la richiesta che i governanti fanno al popolo italiano è una sola, chiara e forte: sacrifici. E così tirare avanti è sempre più dura, siamo sempre più infelici, ma sentiamo che in fondo è giusto: stiamo facendo qualcosa per salvare il nostro paese. Non è automatico e non è elementare, abituati come siamo ad essere bombardati di richieste: lavora, consuma, spendi, rassegnati. Ma, mentre tiriamo avanti la vita che ci hanno chiesto di condurre, possiamo comunque decidere di fare una scelta: prendere coscienza. Partiamo da questo presupposto: democrazia significa governo del popolo. La prima cosa da fare è accettare che, volenti o nolenti, siamo tutti parte del sistema. Viviamo in un capitalismo globalizzato, che ci ha illuso di poter scegliere, mettendoci poi davanti una macchina della Fiat e una della Renault, una maglietta di H&M e una del mercato, prodotte in Taiwan o chissà dove. Dobbiamo lavorare, e non abbiamo il tempo di costruirci una casa, di cucirci gli abiti e di coltivare un orto: siamo costretti a selezionare i prodotti più adatti a noi in un catalogo creato da altri. Prendere coscienza significa imparare ad essere critici. Ogni articolo nel ventaglio che ci è proposto porta in seno delle contraddizioni: verosimilmente porta il marchio di una multinazionale o di una sua sottomarca, quasi sicuramente qualcuno, da qualche parte del mondo, è stato sfruttato per produrlo e, con ogni probabilità, l’azienda che l’ha messo sul mercato finanzia commerci di armi o guerre civili. Ciò che noi possiamo fare è cercare di individuare le contraddizioni nelle scelte che facciamo, e, di conseguenza, provare a rispettare il più possibile la nostra integrità personale, morale e politica. Il morbo più grande che va ad infettare la nostra coscienza è l’autoassoluzione. È facile cadere nella sua trappola: ci rende tutto molto più semplice. È arrivata a permeare ogni aspetto della società odierna, diventando il leitmotiv delle nostre vite. Quanto è facile sentirci bene con noi stessi

quando condividiamo un link “politico” su Facebook, ci compriamo un paio di pantaloni per 150 che fanno molto squatter, infiliamo 5 nel barattolo di Emergency e andiamo alle feste nei centri sociali. Quanto è facile sentirci politicizzati quando scriviamo ACAB sulle porte dei bagni. Paradossalmente, l’”industria dell’alternativo” è alimentata da una larga parte di persone che hanno, sì, uno stimolo ad impegnarsi, ma preferiscono farlo nell’apparenza che non nella sostanza. Così si può dormire sonni tranquilli, perché pur non mettendosi in gioco quotidianamente si è comunque considerati parte di quell’area “antisistema”. Stessa cosa vale per la maggior parte dei meccanismi a cui siamo abituati: dalla delega, ingranaggio primario di questo sistema, che ci porta a proiettare su qualcun’altro i doveri che abbiamo nei confronti della società, fino alla scelta del meno peggio, perché qualcuno bisogna pur votare, e d’altronde i sogni appartengono ai giovani, che ancora, fintanto non dovranno iniziare a mantenersi, se li possono permettere. C'è chi si autoassolve così, dando fiducia ai paladini dell’industria dell’indignazione, ai vari Grillo, Travaglio, Saviano, Santoro, le figure che negli ultimi anni più ci hanno aiutato nel recitare il nostro quotidiano copione di “gente di sinistra”. Ciecamente applauditi anche quando si definiscono “uomini di destra”; idolatrati fino a diventare in-

toccabili mentre denunciano la corruzione, le mafie, la decadenza della democrazia, perché fa comodo sentirsi dire che se la società in cui viviamo è questa la responsabilità non è nostra, ma della “Casta”. La verità è che la semplice indignazione porta a deresponsabilizzarsi, a convincersi che non ci si debba mettere in gioco per cambiare le cose. Ma, mentre tiriamo avanti la vita che ci hanno chiesto di condurre, possiamo comunque decidere di fare una scelta: prendere coscienza. Ciò che dobbiamo fare è prendere coscienza. È nostro dovere, soprattutto se ci definiamo “democratici”, premere perché il governo sia davvero del popolo, perché le persone abbiano un peso nella collettività. Dobbiamo essere critici, in ogni contesto. Si deve cercare di essere sempre coerenti con noi stessi e con i nostri ideali. Altrimenti, altro non rimane da fare che guardarci allo specchio, e renderci conto che se viviamo in una società ingiusta, priva di uguaglianza e solidarietà, è ora di smetterla con l’incolpare qualcun’altro: la colpa è solo nostra.

- Marlene-


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