Spazi interclusi. Immagini come strumento di analisi del territorio

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FIRENZE SCUOLA DI ARCHITETTURA CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN ARCHITETTURA IMMAGINI COME STRUMENTO DI ANALISI DEL TERRITORIO FIRENZE 2017



Le immagini raccolte in questo volume sono il frutto di un seminario tematico organizzato all’interno del Dipartimento di Architettura dell’Università di Firenze. In questo lavoro, sviluppato nel corso dell’anno accademico 2016/17 ci siamo proposti di studiare le caratteristiche di quelli che vengono definiti “spazi di margine e spazi interclusi” e che sono il risultato di processi di trasformazione dei tessuti urbani tradizionali, inseriti in un quadro di crescita dell’edificato oggi profondamente mutato. Questi spazi sono il risultato di errori o più spesso di dimenticanze della pianificazione. Sono annidati negli intrecci fisici, simbolici e politici delle trame territoriali: luoghi degradati, poco conosciuti, non visti se non come un retro della città “normale”, ma oggi significativi dal punto di vista dell’ospitalità di nuove comunità, delle loro funzioni ecologiche, per l’opportunità di esperienze produttive innovative e come luoghi ricreativi. Contemporaneamente abbiamo considerato il tema del riuso come il centro di un dibattito che parte dalla necessità di bloccare il consumo di suolo e dalla constatazione che il vuoto e il non usato, sono fenomeni caratterizzanti la città attuale; allo stesso tempo, problema e risorsa fondamentale per il suo futuro. Riutilizzare brani di città in stato di abbandono o di marginalità è questione che ha a che vedere con strumenti, politiche e regole che fanno riferimento alla filiera tecnica della pianificazione, ma anche questione che ha a che vedere con la capacità di cogliere aspetti qualitativi rilevanti della natura di tale città in disuso, sia dal punto di vista delle forme dei tessuti, sia delle funzioni e delle relazioni sociali ed economiche che ospita. La fotografia ci è servita per indagare in maniera sistematica la natura di questa parte della città contemporanea, cercando una chiave di interpretazione innovativa finalizzata a comprendere la natura di questi luoghi fondamentali per il futuro

della città, ricchi di potenzialità, accoglienti per nuove istanze sociali, economiche, ecologiche che emergono dalla metropoli contemporanea in mutamento. Alla fotografia dunque abbiamo affidato il compito di strumento analitico, capace di rendere in forma sintetica una controgeografia potenziale dei luoghi marginali. Le foto che seguono sono state ordinate secondo alcune tematiche che gli studenti hanno elaborato autonomamente a partire dagli spunti precedentemente riassunti. Simone Corsinovi si è concentrato su un edificio specialistico abbandonato da anni che è stato anche sede di usi temporanei, occupazioni e proposte ed in cui si leggono le tracce del suo uso originario, ma anche della storia recente e del potenziale per futuri usi sociali. Carlos Rotundo e Ilaria Conti hanno evidenziato gli elementi che generano interclusione e frammentazione dei tessuti marginali concentrandosi sulle barriere, sia quelle fisiche più evidenti che quelle costituite da elementi di passaggio fra spazi costruiti e margini urbani e rurali. Alessandra Alessandrelli e Roberto Fiaschi (in due diversi lavori) hanno descritto la natura complessa di due aree industriali ormai abbandonate da tempo, dove l’interesse per l’archeologia industriale si mischia con la possibilità di immaginare un futuro diverso dall’abbandono. Jessica Innocenti ha preso in considerazione contesti analoghi, dove però l’abbandono è anche causa e occasione per una riconquista di spazi costruiti da parte della natura e dove le piante, con le loro dinamiche, sembrano indicare strategie di riuso che sfruttino i tempi biologici più che le tecnologie. Valentina Nasi ha lavorato sul tema della spontaneità, contrapponendo luoghi ordinari dello spazio urbano a trasformazioni minute autoprodotte che evidenziano


come la vita quotidiana trovi nello spazio strategie proprie di adattamento. Alessandra Bressan, in parziale analogia, ha ricercato “luoghi negletti” dove però le tracce di un utilizzo passato, o delle vite quotidiane, forniscono spunti per possibili strategie di riuso o di miglioramento dello spazio pubblico o di luoghi che di uso pubblico potrebbero diventare facilmente. Giulia Guerri mostra uno spazio completamente circondato dal tessuto urbano, ma rimasto sospeso da e per lungo tempo nel percorso di costruzione di un nuovo edificio. Uno spazio sottratto alla città e che ha subito una forma di abbandono ancora prima di raggiungere il suo uso programmato. Chiara Chiari e Francesca Tommasoni chiudono il volume con fotografie scattate a Buenos Aires e che inseriscono in queste pagine un elemento di confronto con le trasformazioni di una grande metropoli americana. Quest’ultima, per dimensione e forza dei processi di trasformazione, rende ancora più evidenti le contraddizioni, ma anche le potenzialità, che questo lavoro cerca di evidenziare nel contesto della città a noi geograficamente più prossima. Il seminario ha visto il contributo di: Davide Virdis che ha messo a disposizione gli spunti derivanti dal suo lungo lavoro di analisi del paesaggio costruito attraverso la fotografia (davidevirdis.it). Lorenzo Tripodi che ha presentato il lavoro di indagine sulla città sviluppato dal gruppo Ogino Kanuss: Exercises of Urban Reconaissance (exercises. oginoknauss.org). Iacopo Zetti (che ha coordinato il seminario), Fabio Lucchesi, Maddalena Rossi ed Alessandro Merlo che come docenti del DiDA hanno progettato e seguito il seminario, proponendo gli spunti di ricerca che gli studenti hanno poi sviluppato.


La foto di copertina e quella di questa pagina sono di Davide Virdis www.davidevirdis.it



ABBANDONO

S I MONE CORSI NOVI



THE CITY IS A FABRIC OF MEMORY


THE CITY IS A FABRIC OF MEMORY: a palimpsest of remembrances continuously scrapped and rewritten by shifting events and ideologies. It is wrought by the dynamic of removal and substitution and informed by dialectics of decay and persistence. It is a political construction, narrated by the monuments of the winners and by the absence or occasional traces of the losers. It is marked by remnants of catastrophes and destructions, magnified by celebrations and epiphanies http://exercises.oginoknauss.org/


LA CITTÀ È UN TESSUTO DI MEMORIE: un palinsesto di ricordi continuamente scartati e riscritti dallo spostamento di eventi e ideologie. È compiuta dalla dinamica di rimozione e sostituzione del decadimento e della persistenza. È una costruzione politica, raccontata dai monumenti dei vincitori e, dalla mancanza o dalle occasionali tracce dei perdenti. È segnato da resti di catastrofi e distruzioni.













SPAZI INTERCLUSI IN AREE URBANE

ILARIA CONTI CARLOS ROTUNDO



BARRIERE



Il limite o confine è sempre stato un elemento di sicurezza o appartenenza evocati dalla città; infatti nella storia le città murate o le fortezze avevano mura difensive che segnavano una divisione netta tra cosa c’era all’interno e cosa c’era all’esterno della città. Oggi questa suddivisione sia strutturale che funzionale è andata persa soprattutto con l’espansione dei centri abitati a macchia d’olio lungo le maggiori direttrici. Questo fenomeno di diffusione urbana ormai segue lo stesso andamento su scala globale creando così dei margini piuttosto frastagliati, indecisi e abbandonati alla loro evoluzione, perdendo così valore e cura. La nostra ricerca si è spinta a individuare non solo aree marginali della città, ma soprattutto quelle intercluse tra edifici, rendendo così i tessuti disomogenei, incompleti e incompiuti, non fruibili e con un’estetica fatiscente. Le aree prese in analisi sono state individuate in aree centrali e periferiche delle città di Pontedera, Cascina e Bientina e nell’area industriale di Cascina. Le foto non si focalizzano tanto sui caratteri delle aree in sé quanto sui temi di permeabilità e interclusione; per questo motivo abbiamo voluto evidenziare due tipologie di margini: naturali e artificiali.

Per le aree caratterizzate da vegetazione semi-naturale, abbiamo preso come casi tre funzioni diverse: - Barriera che scherma la ferrovia - Barriera divisoria tra area pubblica e area privata - Barriera divisoria tra area verde e zona periurbana agricola . Le barriere artificiali sono state divise tra barriere impenetrabili e barriere potenzialmente penetrabili.


Area industriale di Cascina


alto - Area residenziale di Cascina; basso - Area residenziale di Fornacette


Il nostro oggetto di studio riguarda margini di tipo “artificiale”, in quanto barriere costruire dall’uomo, con una caratteristica di soglia permeabile dal punto di vista fisico o visuale. Il margine acquisisce il carattere di chiusura quando non permette il passaggio da una parte a un’altra e quando racchiude ambiti che si vogliono proteggere dall’esterno. Gli elementi che formano e caratterizzano un margine chiuso sono rigidi e invalicabili. La chiusura può essere determinata da diversi fattori: volontà di difesa rispetto a una situazione esterna estranea, sconosciuta e per questo ritenuta pericolosa; volontà di protezione e sicurezza nei confronti di un esterno conosciuto e dal quale ci si vuole tenere lontani; volontà di marcare fortemente un territorio con un segno importante che indica l’inizio o la fine di una situazione. Ad ogni modo, un margine chiuso costituisce una barriera poco permeabile che separa due zone e le lascia ben distinte. I margini sono forti e costituiscono un muro sia quando sono segnati da elementi ben visibili sia quando gli elementi hanno un andamento ininterrotto, lineare, poco penetrabile e che non permette l’attraversamento. I margini forti sono i nuovi muri della città, come la ferrovia; tanto forte da frammentare l’ambiente urbano, da segnalare la fine o l’inizio di un ambito Mentre s’intendono margini deboli quei margini segnati da un insieme di strutture visibili, alte che possono essere anche lineari, come le alberature, e che quindi non comportano cesure sul territorio ma che visivamente segnalano l’inizio o la fine, come fossero porte di una città. Nonostante la presenza di alberature o strutture, questi margini permettono un riconoscimento sensoriale e di poter vedere lontano verso il panorama. Ciò nonostante, ad esclusione dei margini segnati da infrastrutture, le altre barriere sono considerate “nomadi”, perciò removibili lasciando una possibilità di eliminazione o riduzione dell’accessibilità; per questo possiamo considerare questi paesaggi in trasformazione come i loro confini, che “muoiono, risorgono, si cancellano e riappaiono inaspettati”1.

1- C. Magris, Come i pesci il mare, in AA.VV., Frontiere, supplemento a Nuovi Argomenti, 1991, n. 38, p. 12



Nell’indagine sul territorio, durante la quale sono state effettuati gli scatti fotografici, e nella fase di rielaborazione, sono emerse due tipologie di aree intercluse; ovvero le aree intercluse delimitate da barriere antropiche e le aree intercluse per mezzo di barriere naturali. Si tratta di due casi diamentralmente opposti sia per tipologia sia per l’impatto che hanno sul territorio. Infatti le prime, ovvero le barriere antropiche, sono barriere che si presentano maggiormente in spazi urbani. Sono caratteristiche di aree intercluse in stato di abbandono e si presentano con caratteri “fatiscenti” e a basso livello estetico se messe in relazione con aree urbane residenziali. Si presentano come elementi ad alta e media porosità in quanto permettono una certa continuità visiva tra l’osservatore e l’area retrostante; inoltre tale tipologia di barriera è spesso “aggirata” in quanto non si presenta come un unico elemento lineare ma piuttosto come un’insieme di elementi singoli collegati tra loro per mezzo di giunture metalliche. Al contrario le barriere naturali si presentano come sistemi lineari compatti e non porosi che delimitano aree a differente destinazione d’uso. Sono infatti caratteristiche di aree urbane confinanti con aree agricole o come “schermature” per linee autostradali e ferroviarie. A differenza delle barriere antropiche quelle naturali hanno un medio- alto potenziale estetico qualora il loro mantenimento sia costante ed adeguato. Caratteri estetici, porosità, facilità di attraversamento e contesto sono tutti elementi che devono essere presi in considerazione al fine di determinare la relazione presente tra l’area interclusa ed il territorio. La barriera è quindi assimilabile ad un filtro attraverso il quale osserviamo, o non osserviamo, l’area interclusa delimitata dalla barriera stessa.


Partendo dalla definizione di Milieu, ovvero la relazione che si sviluppa tra l’osservatore, di un dato territorio o ambiente, e l’elemento osservato è possibile comprendere l’importanza delle barriere. Con Milieu è possibile inotre definire il potenziale progettuale di una determinata relazione osservatoreoggetto osservato. La funzione di filtro che può essere attribuita alla barriera incide in maniera rilevante in questa relazione; infatti se consideriamo una barriera compatta non porosa, il livello della relazione sarà minore rispetto ad una barriera porosa. Non sempre il basso livello relazionale è qualcosa di negativo. Si prenda ad esempio un’area intreclusa di stampo industriale in stato di abbandono, l’assenza di relazione visiva può essere considerata positiva in quanto impedisce una continuità visiva con un’area a basso carattere estetico. Possiamo dunque concludere che all’interno di ogni relazione territorio-area interclusa la barriera è quell’elemento che ha il potere di caratterizzare l’area in maniera positiva (qualora si presenti come ostacolo alla continuità visiva con un’area fatiscente o viceversa) o in maniera negativa.



Con il lavoro presentato abbiamo voluto mettere in evidenza quanto siano limitanti le barriere, sia dal punto di vista visivo che per l’accessibilità. Per quanto riguarda quelle naturali sono tollerabili e qualificano le aree, in più arricchiscono l’area di vegetazione e attutiscono i rumori (come nel caso della ferrovia). Inoltre sono potenzialmente attraversabili e potrebbero essere oggetto di connessione ecologica, come nel caso della vegetazione in prossimità di verde pubblico che si trova adiacente ad aree agricole o ad aree in prossimità di argini fluviali. Perciò dovrebbero essere un elemento di valorizzazione e riqualificazione dell’area stessa e non elementi lineari che adornano aree abbandonate o marginali, per questo motivo le aree in oggetto dovrebbero essere considerate la porta di accesso all’area contigua e non area di margine o di limite. Le barriere artificiali invece risultano logore e fatiscenti dequalificando le aree che circondano e spesso trascinano il degrado anche al loro interno. Queste aree spesso abbandonate al loro destino, si trovano in realtà in zone in cui potrebbero avere una nuova vita. Inoltre essendo recintante escludono i cittadini a qualsiasi azione che potrebbe attivare processi di riqualificazione.







L’ABBANDONO DEI LUOGHI DEL PROGRESSO

ALESSANDRA ALESSANDRELLI




La ricerca, qui di seguito presentata, si è mossa nell’esigenza di suscitare letture e pensieri su quello che rimane dei “luoghi del progresso”. L’area presa in esame si sviluppa all’interno di un territorio caratterizzato da un forte tessuto produttivo e da una solida e continua tradizione industriale. Gli ex stabilimenti elettrochimici si presentano ai piedi del borgo antico di Papigno, in un’area compresa tra il comune di Terni e l’ambito naturalistico delle Cascate delle Marmore, simbolo e testimonianza di storia e cultura in continua evoluzione, sia per il suo passato che per le attività tutt’ora presenti. Questo repertorio fotografico, vuol dare l’occasione per riflettere sullo stato di abbandono e degrado in cui vertono molte aree ex industriali, un tempo luogo di vita e di lavoro per molte persone.



In Italia il dibattito sul futuro delle aree industriali dismesse si è acceso a partire dagli anni ottanta e continua tutt’ora senza approdare ad esiti concreti. Il tema ha una valenza culturale, oltre che urbanistica: la questione dei resti della rivoluzione industriale si intreccia, inevitabilmente, con quella più generale della conservazione del patrimonio. È evidente, infatti, che qualsiasi strategia urbana di trasformazione di queste aree debba partire dal riconoscimento del loro valore culturale, sociale, identitario, oltre che architettonico. L’incertezza riguardo il significato testimoniale di questi luoghi ha prodotto anni di interventi di demolizione e ricostruzione, con l’obiettivo primario di “riempire i vuoti industriali”. Il recupero delle aree dismesse dovrebbe tener conto della memoria storica dei luoghi.




È compito dell’urbanistica definire le linee guida per gli interventi di trasformazione di quei territori che hanno perduto la loro funzione originaria. Il riuso rappresenta un’attività chiave della pianificazione moderna; ad oggi la parte più significativa di interventi e trasformazioni che interessano le nostre città si esprime quasi esclusivamente su superfici “liberate” in seguito a dismissioni.


Sul territorio italiano vi sono circa 100 milioni di metri quadrati di aree industriali dismesse, ed è un dato destinato a crescere: il processo di dismissione continua a colpire gli attuali siti produttivi, per effetto sia della globalizzazione, che negli ultimi anni ha spostato verso oriente il centro della capacità produttiva mondiale, sia della crisi economica in atto che sta colpendo il settore produttivo con chiusure, ridimensionamenti e delocalizzazioni.


L’ archeologia industriale può essere una valida risorsa a disposizione delle comunità locali al fine di comprendere come si è venuto a costituire il tessuto territoriale e sociale di un luogo, sia nei casi in cui c’è stata una deindustrializzazione con una conseguente dismissione degli apparati produttivi, sia quando essi sono tuttora funzionanti e costituiscono parte imprescindibile della quotidianità cittadina.




Il termine “archeologia industriale” fu coniato in Inghilterra da Michael Rix, docente universitario di Birmingham, all’interno di un articolo intitolato Industrial Archeology e pubblicato nella rivista The Amateur Historian, nella prima metà degli anni Cinquanta, un’epoca in cui, terminato il secondo conflitto mondiale, molte nazioni europee erano coinvolte in un’attività di ricostruzione delle cittadine distrutte dai bombardamenti, che avevano causato anche una perdita del patrimonio risalente al periodo della Rivoluzione Industriale che proprio in Inghilterra aveva preso avvio. L’ archeologia industriale si può configurare come una chiave di lettura della realtà territoriale, grazie alla quale è possibile ricostruire ed interpretare il passato (ed il presente) di un luogo e della vita della sua comunità, consentendo inoltre di analizzare le motivazioni e le diverse fasi di sviluppo delle attività produttive. Questo interesse nei confronti del paesaggio industriale e dei manufatti che ad esso si ricollegano si è sviluppato in ritardo rispetto ad altri rami disciplinari non solo per una concezione di “archeologia” che guarda più al passato remoto rispetto a quello recente, ma anche perché in diversi casi gli impianti produttivi sono ancora in funzione oppure al contrario rimangono abbandonati o semi abbandonati. Progressivamente essi diventano muti, potenziali “luoghi della memoria” solo quando hanno cessato di essere significativi “luoghi di identità” per chi ci lavora dentro”.








DENTRO GLI SPAZI INTERCLUSI

ROBERTO FIASCHI



ABBANDONO



Il seminario “fotografare gli spazi interclusi” si propone di utilizzare la fotografia come metodo per l’individuazione, lo studio e l’analisi di queso genere di spazi, attraverso l’osservazione e l’elaborazione di immagini appartenenti alla città e al territorio.




Uno spazio intercluso è uno spazio che per diversi motivi viene sottratto alla fruizione diretta da parte delle persone . Questo book fotografico indaga lo spazio intercluso attraverso il tena dell’abbandono. Il soggetto delle immagini è l’edificio della ex-cartiera di Roffia a San Miniato in Provincia di Pisa.


In questa ricerca fotografica si mettono in evidenza alcune caratteristiche proprie dell’abbandono di uno spazio o di un edificio. Il degrado, i segni di un’attività passata, gli usi impropri, il vuoto e l’improduttività del luogo, raffigurati dall’interno all’esterno, nella loro totalità e nei loro particolari.


Tesmonianze di un “movimentoâ€? e di una vitatlitĂ ormai perduta.


Così come la scala, anche la ruota di questo ingranaggio ormai fermo è adesso soltanto la memoria di un’attività, di una vitalità e di una partecipazione del luogo ormai passate.



Ampi spazi inutilizzatii, tappezzati di macerie e ormai spogli dell’arredamento che ne caratterizzavano l’impiego, rendono l’idea del vuoto, del degrado e della perdità di uno spazio un tempo più vivo.







IL RITORNO DELLA NATURA NEI LUOGHI DELL’ABBANDONO

JESSICA INNOCENTI




Tutte le foto presenti in questo book sono state scattate nella zona industriale di Santa Croce Sull’Arno, in provincia di Pisa, al fine di individuare e presentare alcune situazioni di abbandono in ambito urbano presenti in questo territorio. In passato la città vantava un gran numero di stabilimenti produttivi legati alla lavorazione delle pelli, ma gran parte di questi oggi sono dismessi. Attraverso questa ricerca fotografica emerge sia lo stato in cui versano ad oggi gli ex stabilimenti produttivi, un tempo fonte di ricchezza per il territorio, ora trasformati in simbolo di degrado e povertà urbana, ma viene dato particolare rilievo al ruolo della natura, e a come questa torna a prendere campo e possesso di questi spazi. Talvolta può sembrare che sia il degrado a vincere, piuttosto che la natura, tuttavia è proprio scopo della ricerca fotografica mostrare che anche se in alcuni casi, la presenza di elementi naturali (che siano piante rampicanti, piccoli arbusti, piante selvatiche, erba) è ancora debole, la natura ha volontà di tornare a popolare i luoghi che un tempo la mano dell’uomo gli ha sottratto.




La ricerca fotografica è stata strutturata in primo luogo attraverso il sopralluogo della città di Santa Croce sull’Arno, al fine di andare ad individuare le aree maggiormente interessate dall’abbandono e dal degrado. In seguito, al fine di dare un senso alla ricerca, si è cercato di trovare un elemento che fosse comune a tutte le aree interessate. Da qui è nata l’idea della natura che si riprende pian piano gli spazi che gli sono stati sottratti dall’uomo. In alcuni casi, la sua presenza ancora scarsa, può stare ad indicare il recente abbandono degli edifici da parte dell’uomo, visto che tutti gli edifici ospitavano attività produttive e/o uffici che fino a poco tempo fa erano attivi ed utilizzati. Probabilmente tra qualche anno, se l’uomo non tornerà ad intervenire con opere di manutenzione, questi luoghi saranno stati quasi inghiottiti da piante rampicanti, erba, arbusti selvatici.



L’ortofoto qui di fianco è utile ad avere un’idea dell’inquadramento dell’area in cui sono stati fatti gli scatti presenti in questo book. L’area si trova in una zona di confine tra l’area urbanizzata di Santa Croce sull’Arno e la campagna, caratterizzata da terreno attualmente destinato a prato. E’ interessante vedere come lo spazio del tutto abbandonato sia circondato da residenze. Durante l’indagine sul territorio si è potuto notare come gran parte delle abitazioni che circondano l’area siano particolarmente curate all’esterno, sia per quanto riguarda l’edificio in se, ma anche il piccolo giardino, di cui tutte sono dotate. Ci si trova quindi a passare in una zona dove villette signorili circondano uno spazio caratterizzato da degrado e abbandono, che sicuramente ha segnato la vita dei residenti. Nonostante il sopralluogo sia stato fatto di domenica, durante una giornata dal clima gradevole di fine settembre, nessuno si stava godendo il sole in giardino o stava facendo una passeggiata all’esterno. Si percepiva dunque oltre il degrado e l’abbandono dell’area industriale anche una sorta di abbandono di tutta questa zona anche da parte degli abitanti che ancora qui vivono.


In molti casi durante il sopralluogo e gli scatti fotografici non è stato possibile avvicinarsi di più agli edifici, sia perchè molto spesso questi erano pericolanti o circondati da recinzioni, sia perchè rumori provenienti dall’interno facevano pensare che questi fossero attualmente abitati da senza tetto. Nel caso dello scatto qui di fianco, si è potuto cogliere il degrado dello spazio e la presenza della natura soltanto da lontano per motivi di sicurezza e incolumità. Questo però non deve essere letto come una mancanza della ricerca fotografica, ma come una caratteristica, una sorta di vincolo imprescindibile dal tipo di spazio fotografato. E’ interessante notare come nonostante sia presente una recinzione, la natura tenti quasi di scavalcarla, non curandosi dei limiti che invece sono stati imposti dall’uomo.




RESISTENZA

VAL ENT I NA NASI



LUOGO: PERIFERIA DI FIRENZE E PRATO



T EM A 1 SOPRAVVIVENZA Q UO T IDIA N A_ SPO N TA N EO U S CITY


SPONTANEOUS CITY: The city is a self-regulating organism seeking homeostasis through the conflictual stances of a multitude of individuals, institutions, political aggregations and corporate agencies. It is reinvented by everyday life practices that challenge rules and normative powers, transformed by the dialectical relationship between formal and informal, legal and illegal, chaos and order, constantly building new orders. Vantages burdening the weaker components of society.

http://exercises.oginoknauss.org/spontaneous-city


In questa categoria sono state inserite fotografie che raccontano la capacità delle persone del luogo di creare degli spazi privati aggiuntivi per le proprie esigenze ed attività , nella limitatezza dell’area a loro disposizione. Le fotografie sono state scattate a colori e sottoposte a piccoli interventi di foto-editing al fine di rendere al meglio la resa e il messaggio che esse comunicano.


Si può chiaramente notare come un piccolo box di fortuna sia stato adibito a posto auto privato, in mancanza di spazio circostante in cui parcheggiare il veicolo.


Il protagonista è uno spazio verde per colture, situato vicino ad un edificio industriale dismesso; pone dunque in evidenza la volontà e lo sforzo di creare un luogo di attività comune in un ambiente apparentemente limitato, ovvero in una ex area industriale.


In questo caso viene invece espressa la volontà di creare una piccola attività di ristoro in una zona di sosta limitata (si noti infatti lo spazio minimo asfaltato e la parte affiancata sterrata sul quale il prefabbricato è posto).


L’elemento culminante è il pino marittimo, il quale rappresenta simbolicamente l’adattamento non solo umano, ma anche della natura, in uno spazio reso minimo dall’intervento dell’uomo.


Un prefabbricato di fortuna, probabilmente contenente attrezzi da lavoro o finalizzato ad una specifica attivitĂ , all’interno di una recinzione privata. La decorazione sulla facciata del box è sinonimo di abbellimento del prefabbricato stesso e sta a significare l’utilizzo di uno spazio limitato in maniera ottimale, attribuendo ad esso valore estetico.


Questa scena, ovvero l’interno di un oratorio, è caratterizzata da una muratura degradante, ma recuperata attraverso disegni che ravvivano il luogo e gli danno nuova identitĂ .


L’elemento principale è il banco ortofrutticolo mobile posizionato in un piccolo spazio di sosta marginale. Rappresenta anch’ esso un esempio di occupazione alternativa di uno spazio limitato.


L’elemento aggiunto è, in questo caso, la panca a fianco del segnale di fermata dell’ autobus. La seduta rappresenta la volontà dei cittadini di creare una situazione di maggior agio durante l’attesa del bus in un piccolo spazio di margine.



TE M A 2

STRATEGIE SPAZIALI_DISADVANTAGED CITY


DISADVANTAGED CITY: The city is a discriminatory apparatus, stressing distinctive capabilities and privileges distributed among the population. Cities are designed and built according to parameters established by statistically and politically dominant classes, and seldom respond to the limitations and disadvantages burdening the weaker components of society. By the dialectical relationship between formal and informal, legal and illegal, chaos and order, constantly building new orders. Vantages burdening the weaker components of society. http://exercises.oginoknauss.org/disadvantaged-city


In questa categoria sono state inserite fotografie che raccontano la limitatezza degli spazi disponibili all’interno dei quartieri periferici e dunque l’appropriazione di questi ultimi seguendo un processo di adattamento. Questa variante della tematica analizzata è stata valutata con accezione negativa ed è stata utilizzata la tecnica del bianco e nero durante la fase di editing.


Si nota in questa scena il posizionamento di un box di fortuna ai margini di un marciapiede a ridosso di un palazzo, mostrando in modo evidente la limitatezza di questo spazio e dunque il tentativo di poterlo in qualche modo utilizzarlo per le proprie esigenze.


Tra le due murature di questo edificio è stata posizionata una serra con piante tropicali all’interno; anche questo caso rappresenta il riuso di uno spazio limitato, laddove non è possibile trovarne uno più ampio o alternativo che goda, in questo caso, di maggior luce per il benesssere delle piante.


L’ampia facciata di questo edificio è rivolta direttamente sulla strada senza spazi di filtro. Gli abitanti di questo stabile sono costretti ad utilizzare le finestre, solo alcune delle quali dotate di balcone, per asciugare i vestiti, in assenza di spazi piĂš ampi da occupare.


Si può notare come, nel mezzo di un parco pubblico, sia stato creato uno spazio di deposito attrezzi ed elementi inutilizzati, è stato dunque sfruttato uno spazio ristretto tra gli alberi. Si ha quindi un esempio di appropriazione di uno spazio pubblico per esigenze personali, a causa probabilmente di un proprio limitato spazio.


Questo scatto è stata inserito in entrambe le tematiche trattate, poichè potebbe esser valutato sia come la volontà di creare una piccola attività di ristoro all’interno in uno spazio limitato, ma anche con accezione negativa, ovvero come questo piccolo stabilimento sia costretto in questa piccola area con poca possibilità di espansione e possibilità di allestimento di tavoli e panche.




ABBANDONO - RELITTI

ALESSANDRA B RESSAN



NEGLECTED CITY “La città è un costruito degradabile: per mantenere il suo equilibrio omeostatico ha bisogno di attenzioni ed energia. Si continua a modellare sulla dialettica di ABBANDONO e RIAPPROPRIAZIONE, di SPOSTAMENTO e di RIGENERAZIONE, di DISTRUZIONE e RICOSTRUZIONE”. http://exercises.oginoknauss.org/


“Il RESTO è il luogo di un NUOVO IMMAGINARIO, è il luogo dove si concentra la possibilità di RINNOVO URBANO [...] diventa GENERATIVO”.

The Unnecessary Recycling, Aracne editrice, a cura di Aberto Bertagna, Massimiliano Giberti, Roma, marzo 2015


Luogo: Periferia di Prato, Firenze, Rifredi (Fi)

Le foto selezionate trattano il tema della Città Negletta, cioè di quegli spazi in disuso, di spazi che possono essere considerati morti, presenti in ogni città che a volte però riprendono vita, riacquistano nuova identità quando l’uomo o la natura stessa li rivendica. Queste selezioni di spazi devono essere lette in coppia: la prima di ogni coppia rappresenta il luogo non vissuto, o in apparenza abbandonato, la seconda invece mostra come lo stesso luogo o situazioni simili, abbiano riacquistato un valore.


In apparenza questa fabbrica di Prato si presenta come un luogo abbandonato, in forte contrasto con l’edificio accanto ancora funzionante. Tutto ne accentua il suo stato d’abbandono: le vetrate rotte del portone principale e la trascuratezza del prospetto, dove l’intonaco è rimasto solo come traccia.


Il suo interno però narra di un luogo vissuto: la presenza di una sedia, di un giaciglio di fortuna e di una scatola, di un divano e di un pneumatico. Nessun strumento ci racconta ciò che si svolgeva all’interno di questa fabbrica, ma da questi oggetti si capisce che ll’uomo è ancora presente o lo è stato fino a poco tempo prima.


Una caratteristica molto ben evidente nella città di Prato è la coesistenza ed integrazione delle abitazioni dei cittadini con le fabbriche, molto spesso abbandonate e lasciate in degrado. Non si percepisce tuttavia una disarmonia in questa unione, poichè esse sembrano coesistere in una pacifica convivenza, data dalla memoria della città stessa.


Pur essendo un luogo abbandonato nella sua funzione, la presenza dell’uomo appare ancora forte: grazie alla sua struttura trovano riparo i mezzi di spostamento, molto probabilmente di coloro che vivono nelle abitazioni adiacenti. E’ un luogo ancora utilizzato, che è stato rigenerato.


Tutto di questa fabbrica trasmette una sensazione di abbandono: l’edificio fatiscente, dove il degrado dell’intonaco è bene visibile, e il giardino di pertinenza, non più curato, è lasciato all’abbandono.


Un particolare, discostante da tutto ciò, attira però l’attenzione dell’osservatore: la presenza nell’angolo dell’edificio di un’edicola votiva. Questa è evidentemente ancora meta di qualche abitante della zona, che rispettoso, ha deposto un fiore.


Questa grande fabbrica di Prato, anch’essa inutilizzata, si colloca in un’area diversa rispetto a quelle precedentemente fotografate: non si trova infatti all’interno di un tessuto costruito ma in uno spazio più aperto.


Questo spazio però non è lasciato all’abbandono, ma si pone in forte contrapposizione alla trascuratezza dell’edificio grazie alla presenza di un grande orto sociale ben sfruttato dagli abitanti dell’area.


Molto forte appare questa contrapposizione “nell’uso e non uso” dei prospetti secondari di questi due edifici speculari collocati a Rifredi, poco distanti dall’uscita della stazione ferroviaria. Abbandono da un lato, forse solo momentaneo, che però, a causa della grande dimensione dello spazio pubblicitario, appare molto forte.


Appropriazione, dall’altro lato, similmente presenza greve sulla città .


Fabbriche dismesse inserite in un tessuto ancora vivo sono state identificate anche nel quartiere di Rifredi. Ne è un esempio questo comlesso di edifici fabbrica tutti lasciati all’abbandono, luoghi “morti” che stridono con la città circostante.


A questa perdita di vitalità dell’edificio, causata dall’abbandono dell’uomo, la Natura si pone in contrapposizione: essa non segue più le volontà umane ma si riappropria di un suo spazio a piacimento.


Cosa può diventare un marciapiede? Un luogo di abbandono di beni privati non più considerati utili, di beni destinati quindi ad essere semplici “resti” di ciò che erano stati in passato.


Oppure un momento di sosta e di ripensamento per un futuro nuovo utilizzo di oggetti che per alcune persone non avevano più vita. “Resto” come possibile “nuovo immaginario”. [The Unnecessary Recycling, a cura di Alberto Bertagna, Massimiliano Giberti, Aracne editrice, Roma, 2015]



LA DISTRUZIONE DI UN CANTIERE ABBANDONATO NELLA PIANA FIORENTINA

GIULIA GUERRI




Attraverso questa serie di fotografie si vuole documentare lo stato di abbandono e di degrado di un’area collocata nel tessuto urbano di Firenze nord, prossima alle colline fiorentine. Tale area è stata interessata da un cantiere per la realizzazione di un parcheggio nei pressi della zona del Poggetto in Via Carlo Burci a Firenze, ma ad oggi risulta un’area abbandonata ed in progressivo stato di degradamento e declino. Il cantiere abbandonato risulta particolarmente interessante in quanto testimonia l’evoluzione della distruzione di un’area abbandonata a causa dell’intervento incompiuto dell’uomo che ha radicalmente mutato la destinazione dell’area. L’area risulta di notevole impatto sul tessuto urbano del quartiere e sul paesaggio urbano con conseguenze negative sulla vivibilità dei luoghi e degli spazi verdi del quartiere. L ’abbandono è evidente da ogni prospettiva dell’area e ne è partecipe anche la vegetazione, la quale prende posto e si dirama irregolarmente fra gli elementi di ferro e di cemento del cantiere. Vi è l’acqua, elemento della narrazione che svolge un ruolo secondario ma complementare alla distruzione dell’area. Lo scorrere inesorabile del tempo ha compromesso la stabilità dell manufatto, rendendo ogni struttura debole, satura e permeabile all’acqua. La progressiva distruzione delle strutture e l’abbandono compromette l’attuale paesaggio urbano e le aree verdi di cui il quartiere è ricco, in particolare influisce negativamente sulla percezione del paesaggio della collina soprastante. La rigenerazione dell’area risulta prioritaria insieme alla rigenerazione delle funzioni pubblico e/o private in quanto il cantiere abbandonato si inserisce in un contesto urbano rilevante sia dal punto di vista urbano, vista la vicinanza di aree a verde pubblico, università e servizi, sia dal punto di vista paesaggistico e ambientale.




La pianura di Firenze, insieme a quella di Prato e Pistoia, presenta una notevole pressione insediativa, con periferie di notevole estensione, edificato residenziale sparso, vaste aree commerciali e/o industriali, elevata densità delle infrastrutture lineari di trasporto. Il paesaggio della pianura è stato, e viene continuamente, ridisegnato dall’uomo. La pressione insediativa rappresenta il principale fattore di criticità. Le trasformazioni urbanistiche più recenti sono avvenute dagli anni Sessanta ad oggi. E’ evidente un’urbanizzazione pervasiva, avvenuta prevalentemente lungo le direttrici storiche, che ha dato luogo ad una vasta espansione urbana, con interclusione di spazi agricoli e fenomeni di diffusione. La costante domanda di suoli edificabili ha parzialmente obliterato lo stretto legame tra modelli insediativi e struttura geomorfologica. La collina, fertile e prospiciente grandi insediamenti, è completamente vestita dell’opera dell’uomo, fatta di innumerevoli piccole modifiche ai versanti il cui insieme dà al paesaggio la sua forma specifica, tipica dell’ambito e sottolineata dalle emergenze di collina. L’area presentata attraverso questa serie di fotografie si trova nel tessuto urbano residenziale del Poggetto a Firenze, in via Burci. Il contesto urbano in cui si inserisce è costituito da edifici residenziali lungostrada e da aree verdi e agricole. Non vi sono tracciati storici rilevanti in quanto i processi di urbanizzazione dell’area risalgono agli anni ‘50-’60. L’area è stata interessata fin dagli anni ‘90 da un cantiere, attualmente in stato di abbandono, per la realizzazione di un complesso residenziale di circa 9000 metri quadrati. Detto complesso era ricompreso all’interno di una lottizzazione convenzionata ed era stato autorizzato nel 1990. La costruzione del manufatto edilizio, conosciuto come “mostro del Poggetto”, è iniziata nel 1990 ed è stata subito interrotta per l’inizio di un difficile percorso giudiziario tra il Comune di Firenze e la proprietà. A seguito di verifiche condotte dagli Uffici comunali competenti, furono rilevati sia un contrasto tra il progetto autorizzato e la disciplina del Piano di lottizzazione, sia un rilevante incremento volumetrico rispetto al progetto originario, e pertanto si procedette a sospendere i relativi lavori e successivamente l’amministrazione annullò le concessioni edilizie nel 1993. I lavori fin da subito iniziarono a provocare fenomeni quali crepe, fessurazioni e danni alle costruzioni limitrofe. Attualmente, oltre al degrado dell’area in abbandono è evidente il dissesto idrogeologico derivante dai precedenti lavori di cantiere.


Il tessuto urbano in cui si inserisce l’area abbandonata è stato originato dalle costruzioni degli anni ‘60-’70. Risulta un tessuto prevalentemente residenziali ma allo stesso tempo ricco di servizi quali università, aree verdi di quartiere, aree sportive, edifici religiosi e di interesse storico-culturale quali la Villa Fabbricotti, il Parco e il Museo dello Stibbert. Si tratta di un’area urbana ricca di aree verdi e distaccata dal traffico della città, in cui la componente urbana si arricchisce e si relaziona con l’area collinare vicina.


Come possiamo vedere il decadimento e la distruzione sono percepibili da ogni prospettiva.


Anche la vegetazione esterna all’area è in un evidente stato di abbandono e degrado che si sta progressivamente estendendo alle strutture in cemento e quelle in ferro.








SPAZI INTERCLUSI E NUOVE FORME NELLA CULTURA ARGENTINA

CHIARA CHIARI FRANCESCA TOMMASONI



Nell’ambito del seminario tematico “Fotografare gli spazi interclusi” è stata studiata la fotografia come strumento di analisi del territorio. E’ stato dato inizio ad un progetto inerente il tema degli spazi interclusi e abbandonati, sia all’interno che all’esterno della città. Lungo il percorso si è potuto testimoniare, attraverso interpretazioni fotografiche, le realtà sociali locali. Attualmente le problematiche di abbandono e di emarginazione di uno spazio, o soltanto di una porzione di esso, hanno una particolare importanza e rilevanza nelle tematiche fulcro di discussione. Questo perchè costituiscono una questione da affrontare per l’intero territorio. Più forte è lo sviluppo della società moderna, più è elevato il numero di spazi e strutture abbandonate, non più al passo con le necessità dell’abitare odierno, riscontrato all’interno di un’area. Il reportage fotografico, nel paesaggio argentino, è stato un modo per far uscire allo scoperto il delicato intreccio tra spazi completi e spazi incompleti, tra segni permanenti e segni labili.



VUOTI URBANI


Buenos Aires, Argentina


Ci troviamo immersi nel paesaggio argentino, precisamente nell’agglomerato urbano di Buenos Aires. Durante il viaggio sono state immortalate le nuove forme urbane che l’abitare quotidiano ed attuale ha generato nella città, modificandone il suo passato e trasformandone gli spazi. Un presente caratterizzato e influenzato da una forte componente economica, su cui si basa la nuova trasformazione della città e la nuova disposizione degli usi. Così escludendo ed emarginando alcuni spazi. Un’abitare, una città, che si nutrono del loro passato e che delle loro cicatrici fanno la loro forza. Abbiamo cercato di ricreare la stessa scena che vedevamo e percepivamo mentre eravamo all’interno dello spazio, ma la quantità di immagini che l’occhio è in grado di catturare è molto più ampia di quello che una fotocamera è in grado di restituire. La scelta di pensare in bianco e nero racchiude in se il tentativo di riportare all’interno dello scatto la realtà dei dettagli e così di raccogliere i tratti caratteristici e la struttura dello spazio segnato dal tempo, enfatizzando un ritorno al passato, in quanto lo spazio si è andato a sgretolare, ma i segni che lo caratterizzavano sono ad oggi una permanenza. In tutti i fotogrammi sono state catturate forti linee guida, così da trasportare e dirigere lo sguardo dell’osservatore. “Vuoti Urbani” rappresenta la prima sezione di fotografie in cui si sviluppa un approccio formale alla realtà. Nella fotografia, la città emerge e si rappresenta come un costruito degradabile, essendo continuamente modellata, sia dall’abbandono prima e dalla riappropriazione in seguito, sia da un precedente spostamento e una conseguente rigenerazione. Il primo obiettivo durante la strutturazione del fotogramma ha a che fare con la volontà di differenziare la funzione precedente da quella attuale di un determinato spazio. All’interno di tale differenziazione, a livello ideologico, stanno i diversi contenuti culturali protagonisti dell’abitare argentino.


paesaggio urbano rugoso della cittĂ di Buenos Aires



Si è trattato dunque di concepire un ambiente costituito da una storia e da una cultura diversa da quella italiana. Inoltre la scelta di tale modalità di fotografare i contenuti e i significati, si è posta nella logica di avvicinare il più possibile tratti culturali, posizioni sociali, idee e valori molto diversi da quelli con cui siamo soliti confrontarci. In tutti i fotogrammi si è cercato di far emergere un contenuto, un segno, che andasse a personalizzare e collegare a livello comunicativo ciascuno spazio. Nelle fotografie si è voluto manifestare e cogliere le connessioni e le interelazioni tra lo spazio completo e quello incompleto. In primo luogo si è tentato di rappresentare il dialogo, talvolta forzato, tra gli elementi che determinano la funzione precedente dello spazio e quelli che ne determinano la situazione attuale. Dalle rappresentazioni fotografiche emerge uno spazio e una struttura discontinua dell’agglomerato urbano caratterizzante il paesaggio argentino. La città di Buenos Aires presenta al suo interno molti spazi soggetti ad abbandono ed a emarginazione. Tutto ciò compone uno skyline rugoso e costantemente non saturo.



Anche se la città a livello amministrativo dispone di diverse soluzioni per ottemperare a tale problematica gli spazi interclusi rimangono molti e per questioni economiche non viene rimarginato lo strappo nel tessuto lasciando tali spazi come sono. Un’altra problematica è l’illegalità della nuova destinazione d’uso che caratterizza tali spazi. Da ciò emerge un degrado simbolo di una mancata appartenenza al luogo e di un assente sensibilità verso il mantenimento del decoro.

completamento spazi incompiuti


schema agglomerazione urbana della cittĂ di Buenos Aires





SPAZI INCOMPIUTI


Cordoba, Argentina


Nella seconda fase sono stati raccolti frammenti di spazi in attesa di uno sviluppo, come la città in cui sono situati. I frammenti si trovano all’interno di uno spazio in cui tutto è in continuo movimento e trasformazione. Tra i tanti oggetti, presenti nella scena, l’attenzione è ricaduta sulla composizione costituente la struttura dello spazio che comprende la presenza di due elementi di natura architettonica: l’elemento compiuto e radicato nel luogo, e l’elemento incompiuto lasciato a metà. Affiancando i due elementi nella fotografia, si è cercato di evidenziare maggiormente lo stato incompiuto di uno dei due oggetti. La fotografia ha assunto la simbologia di risposta ad una ipotetica domanda. La ricerca delle figure da fotografare, durante tutto il percorso, rivela attraverso un filtro una trama complessa e significativa poiché caratteristica di gran parte dello spazio della città. La città che è sempre stata considerata un prodotto e una risorsa economica, frutto di un’attività finanziaria, in continuo cambiamento. Tutto ciò ha portato ad una città sopraffatta da regole, movimenti frenetici e trasformazioni repentine. In questo progetto la scelta del bianco e nero nasce per conferire una dimensione estetica ed accentuare il lato culturale dell’argomento.


“La Boca” Buenos Aires




Santa Fe, Argentina


La rappresentazione di tali oggetti nei fotogrammi è un pretesto da cui avviare una propria riflessione, argomentare un ragionamento o sviluppare una propria teoria. Abbiamo cercato di non trasformare il fotogramma con altri filtri così da trasmettere allo spettatore un’immagine quanto più possibile neutra della realtà esaminata. Con il termine incompiuto descriviamo un progetto non completato, una mancata o parziale realizzazione. Una entità che, al contempo, esiste e non esiste. In ogni caso però è una entità che pesa e incombe con la sua presenza e la sua imprecisione nello spazio. Rimane un quesito costante il compimento della propria iniziale identità, rafforzato e ricordato dalla presenza dell’elemento incompiuto. Con l’utilizzo del bianco e nero si è voluto, anche, evidenziare e accentuare il peso e l’immagine che l’elemento dà allo spazio in cui si trova. L’insieme di tutte le immagini cerca di rendere una testimonianza oggettiva rappresentando più punti di vista e di ripresa: trattare sotto vari lati uno stesso argomento permette di descrivere meglio quest’ultimo e offre allo spettatore una serie di informazioni che, sommate fra loro, creano un quadro più comprensibile della realtà in esame, molto spesso sconosciuta.

Buenos Aires


Camminando nelle città Argentine, molto spesso, ci imbattiamo in edifici ibridi, frammenti di parti complesse, lavori in corso, vuoti, edifici in costruzione, complessi da completare, ma anche tracce, rovine più o meno distrutte di costruzioni precedenti. Questo è lo scenario che si è voluto rappresentare nella raccolta fotografica. Uno scenario in cui costruzione e distruzione sono continuamente interrelate e molto spesso fuse l’una con l’altra, sia come effetti che come processi. Sempre più l’incompleto e il distrutto sono considerati come etichetta del degrado e del rifiuto di un determinato spazio o oggetto. Come la scuola territorialista ci insegna, si possono vedere come sorgente di vita per nuovi spazi e per nuove idee.






UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FIRENZE SCUOLA DI ARCHITETTURA CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN ARCHITETTURA IMMAGINI COME STRUMENTO DI ANALISI DEL TERRITORIO FIRENZE 2017


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