‌ a mia moglie, Maria Teresa e a tutti quanti amano la Valle di Giorgio ...
INDICE
Introduzione .................................................................................... 2 io e GIORGIO ................................................................................... 4 Nel 2004 a Genova ......................................................................... 9 Ricordi di un'alunna di Giorgio .................................................... 10 Appunti su Olga Franzoni ............................................................ 18 O mæ òmmo o lȇ furèsto ............................................................ 21 L'eredità di Caproni al Territorio ................................................ 24
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Introduzione
Primavera 2017 Negli ultimi anni alcuni giovani mi hanno chiesto informazioni sul poeta Caproni, così mi sono attivato a raccogliere i frutti di diverse mie ricerche sul “Caproni in Val Trebbia”, senza la presunzione di aggiungere materiale critico sulla poesia ma concentrandomi sulla “prospettiva territoriale”. A quanti amano la Val Trebbia ricordo che nel 1997 diversi amministratori del Comune di Rovegno e alcuni abitanti di Loco, con l'aiuto dei figli del poeta Silvana e Attilio Mauro, diedero vita al “Premio Nazionale di Poesia Giorgio Caproni”. Racconto questo fatto, da cui mi fa piacere cominciare la raccolta di appunti, perché partecipai anch'io con un coinvolgimento sincero, e ritengo che tante persone amanti dell'argomento saranno orgogliose di sapere che si è svolto questo evento e che viene ancora ricordato dopo diversi anni. In quei giorni, 19 e 20 Luglio 1997, parteciparono artisti, poeti, critici e divulgatori del sapere poetico del “maestro”, tutti presenti nel piccolo borgo di Loco. Oggi ci ritroviamo a ricordare quello straordinario momento, con la convinzione che molti giovani, e molti turisti e amanti della valle, non siano a conoscenza della grandezza di Giorgio Caproni e di quanto lustro abbia dato alla nostra Val Trebbia.
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Con questa breve raccolta di appunti sul poeta, suggestioni personali e riferimenti al territorio, colgo l'occasione per far riferimento, non solo al ventennale del Premio, ma anche al progetto “BORGHI – un viaggio in Val Trebbia”, per trasmettere l'idea del maestro nei suoi luoghi più amati, come Loco di Rovegno, paese natale della moglie Rina Rettagliata, Fontanigorda, Casanova e molti altri. Mi auguro possa essere una lettura interessante.
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io e GIORGIO Loco – 30 Agosto 1986
La mia storia a Loco di Rovegno inizia il 26 luglio 1975, sposando Maria Teresa Poggi nativa del posto. Una decina di anni dopo, nell'agosto del 1985, davanti all'abitazione dei miei suoceri e in prossimità del Km 46 della statale 45, noto passare una figura che non conosco. Come tante altre volte, considerando che ancora non conoscevo tutti gli abitanti di Loco, chiedo a mia moglie chi fosse quella persona. Maria Teresa mi svela che quella persona era Giorgio Caproni, un poeta affermato che veniva a passare le ferie a Loco e che viveva con la moglie e i figli a Roma, dove svolgeva la sua professione di maestro. Ebbene, da quel momento non riesco più a placare la mia curiosità e chiedo a Pietro Cuneo, amico di mio suocero, di potermelo presentare. Nei giorni successivi, una breve presentazione porta ad un primo incontro di poche parole. Un anno dopo esce il libro “Il Conte Kevenhüller”. Come prima cosa ne compro una copia, per mettermi alla prova cercando di capire quanto Giorgio ha scritto e finendo per mettere il mio intelletto in grave difficoltà data la mia impreparazione riguardo argomenti letterari. Nell'agosto del 1986 ricapita l'occasione propizia, allorquando il Maestro transita sullo stradone nella direzione di Rovegno per una piccola passeggiata. Mi sono fatto coraggio, ho preso per mano mio figlio Stefano e con l’altra la
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copia del libro e mi sono avviato fino alla curva della Cappelletta, dove Giorgio Caproni sedeva solitario. Nell’avvicinarmi mi sono fatto riconoscere, dopodichè ho manifestato tutte le mie perplessità a seguito della lettura del libro e, con cortesia, il Maestro mi ha dedicato una breve dedica, di cui vado orgoglioso. Nel breve mi ha consigliato di leggere qualcosa di più leggero, dopo ho lasciato il caro Giorgio libero e pensieroso e con Stefano per mano mi sono allontanato. Queste due occasioni sono state le uniche in cui ho avuto modo di altercare con Giorgio Caproni.
Con il passare del tempo ho iniziato a leggere quanto scritto dal poeta in tempi lontani, curiosando fra gli anni Trenta e Quaranta del secolo scorso in Alta Val Trebbia, fra gli argomenti e le poesie dell'emigrazione verso la città ed in particolare durante il tempo trascorso tra l'8 settembre 1943 e la fine della guerra. Pregi e bellezze del borgo di Loco e della città di Genova nel periodo della 5
gioventù di Giorgio Caproni, il centro storico di Genova lo avevo scoperto in occasione del mio primo impiego avvenuto in via Posta Vecchia, in prossimità di via della Maddalena, tra gennaio e la fine anno 1964, all'età di 17 anni. Leggere Giorgio Caproni negli anni '80 è stato veramente importante in quanto mi ha permesso di ricordare le emozioni della mia gioventù e le situazioni che si vivevano nella parte storica della mia città. In particolare gli odori del centro storico, le persone del commercio, i frequentatori delle latterie dei vicoli, i venditori di accendini o articoli di contrabbando. Nel tempo ho iniziato, con una certa costanza, a leggere articoli di Giorgio pubblicati sui vari giornali, a frequentare le manifestazioni promosse dalla Provincia e dal Comune di Genova, come ‘”incontri con il poeta” oppure “La consegna delle chiavi della Città di Genova”.
Nel 1992, a due anni dalla scomparsa, la Società Turistica Loco ha fatto collocare sul muro della casa del poeta una lapide che lo commemora e nell'anno successivo, con alcuni componenti della stessa società, in particolare con il sig. Ferdinando Pili, nella ex scuola di Loco è iniziata una raccolta di libri. Tante persone hanno donato quanto potevano, Sandro Vigo, grande lettore, Sandro Poggi che ha contribuito a rendere agibili i locali, Albino e Giulietta Barbieri, negli anni trenta scolari del poeta, hanno contribuito a donare sedie e altro materiale per rendere lo stesso locale più accogliente. 6
Nello stesso periodo con il contributo dei figli Silvana e Attilio Mauro, la casa editrice Garzanti ha donato una bella raccolta. Tutto questo materiale è stato conservato sotto il nome di Centro Culturale Rina e Giorgio Caproni.
Durante tutti questi anni e fino ai giorni nostri ho raccolto quanto era possibile, soprattutto video e audio, relativi i diversi momenti della vita del poeta e al Premio Caproni; in occasione del centenario della nascita ho esposto tutto il materiale durante Expo Alta Val Trebbia 2012 in uno stand adibito alla consultazione per tutte le persone interessate all'argomento. Al termine della commemorazione svolta con la partecipazione dei lettori delle poesie; su consiglio di Mauro Caproni, ho preso l'impegno di raccogliere quanto ricavato in una raccolta di articoli e testimonianze. Nel tempo ho avuto l'opportunitĂ di conoscere numerosi brillanti studiosi di Giorgio Caproni: Luigi Surdich e Stefano Verdino, l'editore Giorgio Devoto, mio collega di lavoro in Telecom, che durante il periodo svolto come Assessore alla Cultura
della
provincia
di
Genova,
ha
organizzato
convegni
e
commemorazioni, in particolare nell'atrio del Teatro della Corte di Genova, 7
dove sono stati organizzati eventi di rilevante interesse e dove studiosi del poeta hanno reso un grande servizio a tutti gli amanti genovesi del Poeta. I diversi eventi sono stati per me di grande aiuto, nel comprendere ed ammirare sia l'opera svolta, sia la grandezza della persona da me conosciuta in modo semplice in pochi minuti di conversazione. Tante volte mi piace pensare che io e il Poeta abbiamo sposato in epoche diverse due donne di Loco. E chissà quali altre affinità potremmo avere, quali battute avremmo potuto scambiarci
nell’ironizzare
sull’argomento,
sulle
affinità
che
contraddistinguono le nostre amate, sulla loro apparente durezza ma anche sulla loro dolcezza e semplicità. Mi sarebbe piaciuto chiedergli come erano le feste una volta nei vari paesi, come era davvero il ballo a Fontanigorda e dirgli come invece è adesso l’atmosfera e l’odore di una sera di campagna, pardon, silvana. Ah, mi sono dimenticato di dirvi una cosa. Adesso sono io che scrivo. Avevo 7 anni ed ero insieme a mio papà. Pur essendo trascorso molto tempo ho un ricordo nitido di quel momento passato su quel muretto, là dal curvone prima del dritto di Rovegno. Impresso nella mente quell’omino gentile e discreto che credo mi abbia teso una mano. Se in quel gesto mi hai trasmesso un poco del tuo dono letterario, un poco della tua squisita ispirazione e del tuo docile sapere, beh, non grazie poeta o maestro, ma grazie Giorgio. Oggi saremmo amici e ti ringrazierei così, come uno che semplicemente ama Loco e ora è partito, come tutti gli altri del resto. Come uno di Loco. Giorgio. Giovanni e Stefano Parodi 8
Appunti di Giovanni Parodi
Nel 2004 in occasione di “Genova Capitale della Cultura” In occasione di “Genova Capitale della Cultura” non potevano mancare riferimenti al Poeta della Val Trebbia; il sottopassaggio di Piazza Corvetto (lato adiacente galleria) è stato infatti decorato da studenti del liceo artistico “Klee Barabino” e tra i soggetti dipinti c'era appunto Giorgio Caproni. Nell'occasione ho avuto l'onore di fare una foto agli artisti. Sul web non si trovano immagini di tale evento, per cui sono grato a tutti quanti apprezzeranno la pubblicazione.
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Appunti di Giovanni Parodi
Ricordi di un'alunna di Giorgio Loco – 2010 Nella primavera 2010 mi è stato richiesto se conoscevo qualche persona che potesse aver avuto Giorgio Caproni come maestro. Ho chiesto ad alcune persone ma solo Maria Fulvia Poggi mi ha dato qualche speranza e dopo alcuni mesi è spuntato una pagella della stessa Fulvia, firmata dal Maestro. Per l'occasione ho chiesto alla stessa Fulvia di raccontarmi di quando era giovane e viveva, come molti, rifugiata a Loco nel periodo della ultima guerra, potendo in questo modo ricomporre un panorama di vita vissuta in Val Trebbia durante la Seconda Guerra Mondiale, nella quale la figura del Poeta, al tempo maestro nel paese, è molto importante.
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“Sono figlia unica di genitori originari di Loco che a Genova conducevano un negozio di Frutta e Verdura, avevo circa quattro anni quando decisero di mandarmi dai nonni perché il cambio d’aria mi avrebbe giovato, così mi trovai catapultata nei Cotti, piccola frazione di Loco. I miei nonni si chiamavano Pedrin (Pietro) e Fulvia (“famiglia CABAN”) e in casa con loro c’erano gli zii, Angiolino, (guardia pesca) Giacomino, Olimpia e Santina. Il primo impatto non fu facile, sentivo la mancanza dei miei genitori, ma con il passare del tempo mi abituai a quel cambiamento, certamente non c’era il pane bianco, la minestra verde con il pesto e non mi piaceva la polenta che ogni giorno regnava in tavola. In quella piccola frazione con circa venti case, quasi tutte a schiera, mancavano i bambini della mia età, quindi dovetti fare amicizia con gli adulti, in breve tempo mi sentii bene accolta. Escluso qualche uomo un po’ burbero, trovavo la gente molto semplice e assai buona e gentile, andavo in casa loro e ascoltavo con interesse ciò che mi raccontavano, si stava bene in loro compagnia. Nella strada principale che portava all'entrata dei Cotti si trovava una fontana di acqua fresca e c’era l’abbeveratoio delle mucche, poi una piccola edicola, davanti alla quale ogni volta che si passava si doveva fare il segno della Croce, di fronte ad essa una casa dalla porta sempre aperta e con un interno assai buio, ci abitava un uomo solo Antonio (Scaretta), in discesa una casa con una rampa di scale, vi abitava una signorina arzilla “Angiolina” poiché era sola, doveva pensare ad accudire alle sue mucche, quindi doveva andava a tagliare l’erba, per portarla a casa la riponeva in un grande lenzuolo di iuta lo legava e se lo poneva in testa, poiché l’erba era soffice, la testa sprofondava nel sacco pieno di erba e si vedeva solo un corpo che ondeggiava camminando, faceva una bella figura (così dicevano le male lingue). Una stradina, divideva le altre tre case case sempre unite una all’altra, nella prima vi abitava una amica di mia zia Olimpia, si chiamava Lina, a dire il vero a me sembrava un pò uomo, aveva barba e baffi ma era tanto buona, molto 11
burbero il suo papà, sua mamma la ricordo che camminava un po’ curva con un fazzoletto in testa che le nascondeva il viso. Subito dopo la casa di Giò con la sua paziente Carmela e i suoi tre figli, Giò aveva anche una sorella che si chiamava Giovanna, io l’avevo conosciuta a Genova perché prestava servizio da una famiglia che abitava nello stesso stabile nostro. Nella terza casa confinante abitava “Lessi” Alessio, il padrino di battesimo di mio padre, era buono e paziente aveva una bella moglie (Carmela) sempre intenta a pulire, ricordo che lucidava gli ottoni appesi sopra al lavandino di marmo e poi con delle strisce di carta li copriva perché non si sporcassero, avevano dei figli ma io ricordo bene solo Nicola che tutti chiamavano Gerbi, per la sua bici (il nome della casa costruttrice). Quasi al centro del paese si trovava la casa dei miei nonni, al piano terra c’era il ricovero per le mucche e il sottoscala era riservato al maiale, una scala esterna portava alla cucina e una saletta e poi sopra le camere da letto, unico neo mancava il gabinetto. Una costruzione simile ad una cabina come quelle delle spiagge dove ci si spoglia prima di fare il bagno, era situata nell’aia. Mia nonna sapeva cucire bene e continuava ad aggiustare pantaloni e camicie. Dopo aver munto le mucche si scambiava il latte con altre vicine e faceva il formaggio, a me piaceva il formaggio fuso sulla stufa calda, mentre ai miei zii piaceva il formaggio “sciaccü” così lo chiamavano, a me faceva senso vedere saltare tutti quei vermi bianchi che uscivano dalle forme andate male. Oltre al formaggio faceva anche il burro, alla sera dopo aver munto le mucche, il latte veniva posto in un largo contenitore di terra cotta, al mattino seguente, il latte veniva schiumato e posto in un fiasco spagliato e dopo averlo chiuso con un tappo la nonna cominciava a scuoterlo, e tanto lo scuoteva finché il latte si raggrumava e diventava burro. Mio nonno era mutilato di guerra, aveva combattuto alla baionetta e portava i segni sulle mani, da piccolo era cresciuto in Corsica, quindi parlava molto bene il 12
francese, ricordo un suo racconto che mi aveva scioccato molto, quando in Francia vi era la pena capitale, in una piazza nel centro di Bastia vi avevano posto la ghigliottina, il giorno che giustiziarono un uomo, perché condannato, la mamma di mio nonno, con i suoi figli andarono a vedere l'esecuzione, la lama tagliente della ghigliottina si abbassò velocemente, e videro la testa del decapitato sobbalzare più volte nella cesta, per la mia bisnonna quello doveva essere un insegnamento al comportamento retto che ogni uomo deve avere per non finire come quel disgraziato. Il nonno possedeva alcuni libri di astronomia, conosceva tutte le costellazioni e i vari mutamenti delle festività degli anni a venire, era un cacciatore e quando tornava da una battuta con la preda ossia la lepre, si elevava una discussione un po' animata di come si doveva essere cucinata. Veniva festeggiato da tutta la famiglia quando la si gustava con la polenta o nel sugo dei taglierini. Il nonno era anche un artigiano e costruiva oltre i mobili anche le casse da morto. Subito dopo la casa del nonni si trovavano altre case a schiera, nella prima Tugnin (Antonio) e Luigina con i figli Giuseppin (Giuseppe) e Nicoletto (Nicola), una sorella, Maria era già sposata e abitava nel centro del paese di Loco, erano persone molto attive, lavoravano senza sosta , forse come tutti gli altri abitanti, ma essendo vicini di casa li notai di più. Nella casa dopo c'era Matilde e Matteo (Mattelin) quest'ultimo con faceva il contadino ma indossava una divisa e girava sulle strade (faceva lo stradino) avevano due figlie Luisa e Rina, io in casa loro credo di non essere mai andata. Invece molto spesso andavo dai “Badaracchi”, era una casa isolata e molto grande l’ultima casa della frazione. Nell'aia vi era un gabinetto più comodo, era presente un cane volpino rossiccio, legato ad una lunga catena, e difficilmente ci si poteva avvicinare, io dopo alcuni tentativi andati male pensai di sputare su quel muso ringhioso e ai quei denti affilati, il risultato fu ottimo, lui si leccò e io riuscii ad accarezzarlo ed avere libero il passaggio. Questa casa era abitata da 13
una persona alta e magra la Nettina (Antonia), aveva tre figli Antonio (Tugnin) Nicolin (Nicola) e Maria gli uomini facevano i contadini mentre Maria faceva la sarta, io andavo spesso da lei perché con i ritagli di stoffa che lei mi regalava, io cercavo di vestire le mie bambole, in quella casa c'erano delle belle foto delle grotte di Postumia, e nel centro di un tavolo c'era un contenitore di vetro, che mi incuriosiva molto, era fatto in un strano modo nel suo interno c'era dell'acqua e le mosche ci finivano dentro ma non ho mai capito quale fosse l'ingresso. A proposito di mosche, io non ne avevo mai visto tante (forse perché c’erano le stalle), tutte le famiglie per difendersi appendevano alle travi del soffitto delle strisce di carta intrise da una sostanza collosa e dolciastra, così le mosche venivano attirate verso di essa e vi rimanevano appiccicate, quando la striscia era satura la staccavano dal soffitto e la mettevano dentro la stufa rovente. Nelle porte di casa vi era un buco da cui passavano i gatti (gattaiö) serviva per introdursi in casa senza la presenza di una persona che aprisse la porta, al tempo i gatti servivano per la caccia ai topi, e un passaggio veloce poteva servire. I primi anni a seguire ogni estate tornavo in quel borgo, e tutto trovavo come avevo lasciato, ma con i primi anni di guerra, la piccola famiglia dei Cotti s'ingrandì. Con i primi bombardamenti sulla città di Genova, le persone si stabilirono nella frazione, alcuni occupavano le case vuote e altri venivano ospitati da parenti. I Cotti come per incantesimo si trasformarono, (come un alveare) le mamme con i loro ragazzi più o men grandi popolavano i Cotti, i papà erano a Genova a lavorare per sostenere il disagio. Nel paese, la popolazione aumentava sempre di più quindi a poco a poco cominciarono a scarseggiare tante cose di prima necessità, come farina, olio e sale. Nel 1942 anch'io rimasi dai miei nonni per un anno intero, nell'autunno frequentai “terza”, in una sola aula vi erano tre classi, i primi banchi venivano occupati dai bimbi più piccoli, quelli del primo anno e così per le due altre classi, 14
la nostra maestra si chiamava Capellini Rosa (abitava in Valle, frazione di Rovegno) e poiché noi eravamo tanto distratti, lei si innervosiva spesso e con ragione. Nel centro della classe una stufa di ghisa ha due buchi serviva come riscaldamento, ogni bambino doveva portare a scuola un legno per facilitare l'accensione, io portavo i “truccioli” della pialla che prendevo nel laboratorio di falegname di mio nonno. Ricordo tanta neve, che per noi ragazzi era motivo di svago, tanto ghiaccio, anche il fiume Trebbia era totalmente ghiacciato, e sui letti una montagna di coperte pesanti che ci tenevano pressati al materasso, nelle corte giornate invernali le donne si riunivano e in compagnia e lavoravano, chi cuciva, chi filava, chi confezionava maglioni e calze di lana, si scambiavano consigli e ricette. Nel silenzio della notti si udivano dei suoni spaventosi provenire dal boschi, era la galaverna che mutilava gli alberi spezzandone i rami. Per necessità di calore, quasi tutti si recavano a raccogliere legna, i contadini con scope fatte di rami di alberi, raccoglievano le foglie secche che servivano per il letto del bestiame, quindi i boschi erano belli e i funghi si trovavano con facilità e si potevano raccogliere le castagne che allora erano il pane quotidiano, si mangiavano arrostite, pelate e bollite (i baletti). I contadini facevano seccare le castagne nel fugurà (seccatoio), una costruzione composta da una stanza con il soffitto a grate dove venivano poste le castagne e nel centro della stanza una stufa sempre accesa con dei grossi ceppi roventi, al momento giusto venivano separate dal guscio quindi portate al mulino e tramutate in farina. Non essendovi di ulivi, l'olio si faceva con le nocciole, si andava alla colonia di Rovegno dove le piante abbondavano e si tornava a casa con un sacco sulle spalle a forma di zaino, dopo venivano portate in un mulino in un paese vicino, e si otteneva l'olio. Per fare il sapone, bisognava andare a prendere dal macellaio delle ossa farle bollire con la soda caustica fino a farle sciogliere, mettere il liquido in cassette lunghe e strette, farlo rassodare poi capovolto e tagliato a 15
pezzi e metterlo all'aria ad essiccare. A fine estate feci ritorno a Genova e frequentai la quarta tra i bombardamenti, mio papà voleva tenermi vicino a lui ma poi pensò bene che Loco fosse il posto migliore per togliermi da quell'inferno, Così l'anno successivo ritornai a scuola a Loco, l'ambiente era diventato diverso si respirava un'aria di tensione, “partigiani”, “tedeschi”, “mongoli”, “camicie nere”. In un soffitto della cucina c'erano nascosti alcuni ragazzi compreso mio zio, l'arrivo di un plotone di tedeschi che guarda caso si erano stabiliti proprio in casa nostra, ci aveva terrorizzati poiché se li avessero scoperti ci avrebbero bruciato la casa, mi ricordo che il loro parlare era incomprensibile per noi, aveva una cadenza secca e manifestava una forma di ordine, e noi non sapevamo come comportarci. Ho visto il modo in cui si lavavano i mongoli, solo con un paio di calzoncini sull'aia in pieno inverno, buttandosi addosso dei secchi di acqua gelata. Poi vennero gli aerei e con il lancio di paracaduti fornirono aiuti ai partigiani, di viveri e munizioni. La gioventù di allora malgrado i disagi aveva ancora voglia di divertirsi, così quando regnava un po' di calma organizzavano nell'aia tra le cascine un ballo campestre, due lampadine davano una luce fioca al ballo che venivano subito spente quando si sentiva passava il “Pippetto”, un aereo di ricognizione che ogni tanto sorvolava sulle nostre teste. Un pomeriggio un tragico avvenimento scosse l'intero paese accendendo ancora di più l'odio della popolazione, un giovane ragazzo di 16 anni Enrico Poggi figlio di Giò fu ucciso dai tedeschi mentre stava rincasando.
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Tra le molte tensioni e dispiaceri di quegli anni, la scuola a Loco, dove frequentai la quinta, rappresentava un momento diverso. La scuola era nella casa dei “Sartù”, al primo piano c'era la quarta e la quinta, il nostro maestro era Giorgio Caproni, un uomo dall'aspetto severo ma buono e paziente e pacato nel comportamento, la scuola era nella sua casa, dato che aveva sposato Rina Rettagliata della famiglia soprannominata Sartù (sarti), in un angolo della stanza su di un tavolo piccolo c'era sempre un violino nella sua custodia, noi ragazzi curiosi di ascoltare il suono di quel strumento, chiedevamo al maestro di esaudire la nostra curiosità, lui ci accontentava e un suono melodioso invadeva l'aula. Fulvia Poggi
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Appunti di Giovanni Parodi
Appunti su Olga Franzoni Loco – 22 Gennaio 2012 Da una indagine eseguita in rete trovo la seguente ricerca di Elisa Donzelli, di cui cito una parte che ha stuzzicato il mio interesse. “Neiron” un libro da attribuire a Giorgio. Metamorfosi della Bestia di Elisa Donzelli Ci sono cinque libri di Jouve nel Fondo romano ma quell’edizione curata da Capasso ha qualcosa in più rispetto agli altri volumi della Biblioteca. Chi si appresta a sfogliarla troverà tra le pagine ingiallite alcuni appunti che Caproni aveva segnato a margine dei testi. Fino a qui nulla di nuovo perché i libri del Fondo Marconi si presentano proprio così: note, pensieri, versi interrotti e scritti a mano con una grafia cuneiforme. Ma nel libretto di Jouve accanto alla poesia diciassettesima, sotto la traccia sbiadita di un rossetto rosso depositato sul margine del foglio, Caproni aveva scritto a matita un appunto veloce che a tentare di rileggerlo appare più o meno così: “Il segno rosso è un bacio di Olga datovi a Neiron[…] in una giornata di serenità”. Perché cadde proprio in questa poesia? E per di più è 17esima (17 febbraio amandoti, 27 febbraio peggiorando, 7 marzo morta a 27 anni!). Di Olga Franzoni, prima fidanzata del poeta morta in Val Trebbia nel 1936, la critica ha parlato molto. A quella ragazza, da poco scomparsa, Caproni aveva dedicato la prima edizione di Come un’allegoria e l’ultima poesia di Ballo a Fontanigorda. L’episodio della sua morte l’aveva ricordato nel racconto Il gelo 18
della mattina, iniziato nel 1937 e simile allo Jouve di Dans les années profondes del 1935. Poi il nome di Olga era scomparso ma la sua ombra era tornata a vivere nei Sonetti dell’anniversario del 1942 e nei versi di E lo spazio era un fuoco entrambi ambientati in una Roma di rovine e macerie dove il rossetto di quella ragazza spargeva, in incognita, i suoi segni febbrili: “Rivedo / i tuoi netti confini / d’iridata fanciulla / – il fuoco sulla bocca / d’una chiusa rincorsa”. Nel segno di Olga erano nate queste poesie della “stagione rossa” di Cronistoria rispetto alle quali la critica caproniana ha saputo dare i suoi migliori frutti. Oggi, grazie al libretto di Jouve conservato nel Fondo Marconi, la sua immagine di ragazza-lettrice scavalca ulteriormente l’eterno femminino della tradizione lirica italiana per mostrare una nuova natura camaleontica. Considerando i diversi nomi di paesi dell'entroterra genovese è possibile che la studiosa non conosca il paese di Neirone in Fontanabuona. Questo potrebbe dare un nuovo impulso alle ricerche e allora approfondisco... Durante l'estate del
2012 contatto così Maria Laura Moglia, che abita a
Moglia, borgo del Comune di Rovegno al quale è anche intitolata una poesia, donna dall'età ragguardevole e dalla notevole personalità, madre di Roberto Poggi, Pubblico Ufficiale del Comune di Rovegno. Dopo aver manifestato le mie curiosità, lei inizia a narrare: “Mi chiamo Maria Laura Moglia, sono figlia unica di Gabriele (di Spescia) e Isola Luigia (di Isola). Nel 1935 o l'anno successivo mi capitò di aiutare a salire le scale del Municipio di Rovegno, dove vi erano le scuole, la signorina Olga Franzoni, la fidanzata di Giorgio Caproni, a quel tempo frequentavo la scuola per svolgere un corso di cucito”. Viste le novità e la concreta possibile di trovare qualcosa in più, decido di 19
proseguire nella ricerca di ulteriori notizie di Olga Franzoni e così decido di chiamare i responsabili dell'ufficio comunale di Neirone. La segretaria del Comune mi invia una e-mail in cui afferma che a Neirone è esistita una famiglia genovese composta da Giuseppe Franzoni 05/11/1880 nato a Genova e morto a Genova il 17/08/1964, residente a Neirone in localtà Costa n°1, sposato con Romagnano Caterina (i due si erano sposati nel 1906). A questo punto ritengo che potessero essere i genitori di Olga. Il giorno 09/04/2013 mi sono recato in Corso Torino all'ufficio demografico del comune di Genova e ho scoperto che Olga Franzoni è nata a Genova il 2 novembre 1909 in via Bottini, con un secondo nome “Elvira” da Giuseppe e da Romagnano Caterina, e morta a Genova il 7 marzo 1936 nella casa posta in via Lucca n°1. Dall'ufficio dati cimiteriali mi è stato confermato che è stata sepolta a Staglieno, in seguito il loculo non è stato riconfermato, e i resti sono stati sistemati nella fossa comune, per cui ad oggi non esistono tracce di lapidi commemorative.
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O mæ òmmo o lȇ furèsto Il foresto Giorgio trova la compagna di vita a Loco di Rovegno e il 27 agosto 1938 si sposa con Rina Rettagliata, nata da Luigi e Teresa Conio il 6 Maggio 1916. Rina, con tutti i bimbi di età scolare, ha frequentato l'edificio dei Rettagliata, considerato che oltre da abitazione fungeva anche da scuola nel primo piano all'altezza della strada statale.
Dalla foto si evince che vi era una maestra per tutte le classi e la nostra Rina era vicino alla sorella maggiore con un berretto bianco al centro della foto.
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Con buona probabilità alla festa di S.Giacomo a Fontanigorda (la domenica pomeriggio data l'usanza dell'epoca) in compagnia di conoscenti e forse una sorella si cimentano in qualche ballo giovanile. Sarebbe curioso sapere se un conoscitore di musica come Giorgio abbia veramente ballato con la musica del clarinetto e la fisarmonica nell'aia del paese come si usava. A Giorgio nasce comunque l'idea di scrivere la famosa poesia dedicata al "Ballo a Fontanigorda" e questo, per noi amanti di questi luoghi, è veramente piacevole e lusinghiero (l'evento "ballo" all'epoca era addirittura osteggiato dalla Chiesa ma non, ovviamente, dalla gente della vallata) .
Negli anni a seguire 1939 e 1941 nascono Silvana e Attilio Mauro a Genova, in un periodo in cui Giorgio insegna ed è richiamato a soldato mentre Rina e i figli vivono a Loco nella casa della famiglia materna. Rina e i figli sono a Loco l'8 settembre 1943 ed è presente anche Giorgio, per cui per tutto il periodo della Resistenza sino al 25 Aprile 1945 saranno involontariamente coinvolti nella guerra. Giorgio pubblica un articolo "La Liguria non cede" nel 1946, che racconta le difficoltà della moglie Rina e dei bimbi sfollati a Casanova in una casa ancora, all’epoca, con la stalla nella parte bassa dell'edificio. Consiglio vivamente di leggere l'articolo sopra indicato che narra della casa dei Rettagliata requisita in un periodo dalle milizie fasciste comandate da tedeschi. Nello stesso tempo Giorgio svolgeva il ruolo di insegnante (maestro) e da rappresentante delle forze ribelli locali in incognito. Tanti giovani che ora non ci sono più sono stati in quel periodo allievi di Giorgio Caproni, tutti quelli da me conosciuti sono grati del privilegio di aver avuto un maestro di tale fama. Nel dopoguerra scrive per Il Lavoro Nuovo e per L'Unità diversi articoli, le cui fotocopie sono state da me raccolte alla "Biblioteca Berio" sotto forma di 22
microfilm. Poeta, saggista, traduttore di diversi autori Francesi, tutte le Sue attivitĂ culturali e tutti i Suoi personali interlocutori mi rendono orgoglioso di aver conosciuto Giorgio, Rina e i loro figli.
Rina Rettagliata e Silvana Caproni mentre vengono premiate dell'agosto 1992 nel bosco della Giaia nell'occasione della posa della targa nella casa dei "SartĹą".
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L'eredità di Caproni al territorio Loco – 7 Luglio 2017 Per concludere Vi racconto come è nata l'idea, di cui si è accennato in precedenza, di aprire una biblioteca nella ex scuola di Loco dedicata a Giorgio Caproni e a Rina Rettagliata.
Alla fine degli anni '80 in compagnia di Sandro Poggi, Sandro Vigo, Ferdinando Pili
e altri collaboratori, ci siamo impegnati a sistemare la sala e
l'arredamento per preparare al meglio gli spazi, oltre a redigere lo statuto. Dai figli Silvana e Attilio Mauro Caproni abbiamo ottenuto diversi libri grazie all'editore “Garzanti”. L'avventura del “Centro Culturale Rina e Giorgio Caproni” non si è conclusa con il successo sperato e nel tempo si è affievolita la disponibilità, ma i libri di maggior pregio li conservo ancora, e sono a disposizione per essere consultati, mentre una parte dei libri raccolti sono tutt'ora negli stessi locali della scuola 24
a disposizione dei Volontari del Soccorso.
Termino con una breve riflessione sull'eredità di Caproni alla Val Trebbia. Nonostante gli alterni successi celebriamo il ventennale dal Premio Nazionale di Poesia Giorgio Caproni con la certezza che le parole del “maestro” risuonino ancora e ci stimolino a contribuire ad un'ulteriore evoluzione, per far conoscere a sempre più persone il territorio e le poesie del suo cittadino più illustre. Si ringraziano i figli Silvana e Attilio Mauro per il loro supporto e quanti hanno contribuito con interviste e materiali alla realizzazione di questa modesta raccolta. Giovanni Parodi
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