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IL RESTAURO DELLA PORTA PALATINA DI TORINO Passato, presente e futuro di una città fluida



IL RESTAURO DELLA PORTA PALATINA DI TORINO Passato, presente e futuro di una città fluida


IL RESTAURO DELLA PORTA PALATINA DI TORINO Passato, presente e futuro di una città fluida a cura di Luca Emilio Brancati Con il patrocinio di:

Abbreviazioni ASAP: Archivio Soprintendenza Archeologia del Piemonte ASAV: Archivio Soprintendenza Archeologia del Veneto ASCT: Archivio Storico della Città di Torino Progetto grafico Angelo Gaidano Crediti iconografici Archivio Consorzio San Luca (ph. Luca Emilio Brancati, Angelo Gaidano, Cesare Matta) Archivio Soprintendenza Archeologia del Piemonte Archivio Soprintendenza Archeologia del Veneto Archivio Storico della Città di Torino Francesco Corni, Strambino, (To) Servizio Edilizia per la Cultura della Città di Torino Studio De Ferrari Associati, Torino Studio Isola Architetti, Torino Studio Land, Milano Impaginazione e Stampa Gaidano & Matta snc, Chieri (To) Si ringrazia per la collaborazione la Soprintendenza Archeologia del Piemonte. Un particolare ringraziamento a Stefano Benedetto e al personale dell’Archivio Storico della Città di Torino che per l’occasione ha graziosamente concesso la riproduzione delle carte storiche e messo a disposizione inedito materiale fotografico. Seconda edizione - giugno 2015 © Consorzio San Luca per la cultura, l’arte ed il restauro I diritti di riproduzione, di memorizzazione e di adattamento totale o parziale con qualsiasi mezzo elettronico e meccanico (compresi microfilm e copie fotostatiche) sono riservati. ISBN 978-88-97329-22-0

Il restauro della Porta Palatina è stato eseguito grazie al sostegno di


Sommario

Presentazioni 5 Piero FASSINO Antonella PARIGI Egle MICHELETTO Luca REMMERT Introduzione Luca Emilio BRANCATI

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Stefania RATTO La Porta Palatina e le mura romane di Torino: simboli della dignitas urbana attraverso i secoli

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Luisella PEJRANI BARICCO Note sulle vicende delle mura e della porta dal Medioevo ai restauri del Novecento

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Armando BAIETTO L’area della Porta Palatina nelle trasformazioni del Novecento

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Cristina VOLPI Il progetto di restauro della Porta Palatina e del muro romano

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Marina LOCANDIERI - Michelangelo VARETTO Un testo materico per la storia del restauro

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Francesca BOSMAN - Luisella PEJRANI BARICCO Analisi stratigrafica delle mura tra la Porta Palatina e via XX Settembre

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Rosalba STURA Un nuovo punto di vista: la Porta Palatina centro della futura progettualità del parco archeologico torinese

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Andreas KIPAR L'area delle Porte Palatine e la "città fluida”

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4 - Il restauro della Porta Palatina di Torino Statua di Giulio Cesare, 27 giugno 1979 (ASCT, GDP sez I 1180G_026)


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ntroduzione allo spazio urbano in età romana, monumentale vestibolo d’ingresso alla città oltre che posto di controllo e probabilmente di riscossione dei dazi verso la fine dell’età repubblicana, porta Doranea nel XII secolo e completata da merli a scopo difensivo all’inizio del XV, la Porta Palatina (il nome con cui la conosciamo oggi si impone solo più tardi) continua a funzionare fino all’inizio del XVIII secolo, perdendo il suo ruolo originale nel Settecento. La Porta è oggetto di restauri, discontinui, fin dalla seconda metà del 1800. Ma è oggi che la Porta Palatina, uno dei simboli di porte urbane antiche meglio conservati dell’era moderna e una testimonianza preziosa dell’età romana in Italia, torna alla sua linearità iniziale, restaurata e restituita alla cittadinanza come bene pubblico e godibile. Non più elemento divisorio ma catalizzatore: vicina all’area del quadrilatero romano e al Museo di Antichità, snodo di cardini e decumani, la Porta è per i torinesi un elemento identificativo e forte della storia antica e nobile – da castrum a capitale – che la nostra città può raccontare, e che il recente restauro valorizza perfettamente. Piero Fassino sindaco di Torino

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Veduta di via Porta Palatina da nord-est, dopo 1945 (ASCT, FT 25B02_018)


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monumenti da sempre rivestono un ruolo fondamentale nella vita di un territorio, assumendo un elevato valore simbolico che spesso ne fa veri e propri strumenti di richiamo identitario, capaci cioè di suscitare e rafforzare lo spirito di appartenenza, o comunque di rappresentare un forte elemento di riconoscibilità all’interno come all’esterno di una comunità. In tal senso la storia di Torino, la sua origine e addirittura la sua stessa struttura urbanistica moderna, trovano nella Porta Palatina uno punti di riferimento più importanti, attraverso il quale è possibile conoscere e comprendere, innanzitutto per i suoi stessi cittadini, il percorso che ha trasformato l’antica Augusta Taurinorum nella città in cui viviamo oggi. Il restauro del complesso architettonico, sapientemente compiuto nei mesi scorsi, riconsegna quindi ai torinesi un prezioso patrimonio collettivo, non soltanto perché la Porta Palatina rappresenta la principale testimonianza archeologica dell’epoca romana in città, ma in quanto essa, simbolicamente, assume nuovamente l’originaria funzione di varco accesso: il luogo da cui entrare e immergersi nella Torino contemporanea, la Torino turistica, la Torino dell’arte, della cultura e degli eventi. Antonella Parigi assessore alla cultura e al turismo della Regione Piemonte

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Fervono i lavori per una degna sistemazione della zona archeologica torinese attorno alla Porta Palatina, 2 febbraio 1935 (foto Ottolenghi - ASCT, GDP sez. I 1180G_001)


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a Porta Palatina rappresenta la più rilevante testimonianza archeologica della fondazione romana di Torino e, ancora oggi, uno dei monumenti simbolo della città. Essa si inserisce inoltre in un comparto urbano che assomma in sé, meglio di ogni altro, la stratificazione storica che ha modellato il paesaggio della metropoli moderna, comprendendo nello spazio di pochi isolati anche il teatro romano, l’area archeologica del complesso episcopale paleocristiano, la cattedrale rinascimentale e il “polo di comando” sabaudo. Il restauro della Porta Palatina, realizzato dal Consorzio San Luca e condotto dalla Città di Torino in stretta sinergia con la Soprintendenza Archeologia del Piemonte, che costituisce l’oggetto di questo volume e che ha fornito l’occasione per avviare, con metodologie aggiornate, nuovi studi sulla struttura e le sue complesse vicende storiche, non deve essere letto dunque come un intervento concluso in se stesso, ma nella più ampia prospettiva di un progetto di restituzione alla libera fruizione di un’intera area archeologica, il cui potenziale rimane oggi valorizzato in minima parte. Rientrano in tale visione un intervento di recupero del teatro come monumento antico dotato di un’attrattiva propria, svincolata dalle sporadiche aperture in occasione di spettacoli e rappresentazioni, e l’attesa apertura al pubblico del percorso archeologico della basilica di San Salvatore, che potrà costituire anche l’anello di congiunzione, fisico e ideale, fra la sezione del Museo di Antichità dedicata alla città di Torino, inaugurata nel 2013, e l’area archeologica di San Giovanni e Santa Maria all’interno del Museo Diocesano. Egle Micheletto soprintendente per l’archeologia del Piemonte

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10 - Il restauro Porta Palatina Torino Palatina: sullo sfondo a destra la cupola della Sacra Sindone, Veduta di della scorcio delladiPorta a sinistra la scuola ÂŤTorquato TassoÂť, 1935 circa (ASCT, FT 25B02_016)


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a Compagnia di San Paolo riconosce il ruolo strategico del patrimonio culturale. Concepito come risorsa in grado di migliorare il presente e indirizzare la costruzione del futuro, il patrimonio culturale è anche asse portante della ricchezza di ogni territorio ed elemento da cui avviare politiche di sviluppo che possano migliorare la qualità della vita delle comunità. Per tale ragione la Compagnia ha impegnato ingenti risorse per sostenere il restauro della Porta Palatina e del muro di cinta romano, straordinaria testimonianza storica e architettonica. La Porta Palatina è un elemento fondamentale per comprendere la storia della città. Fermarne il degrado è stato ritenuto un passo necessario e urgente, anche in considerazione della posizione strategica del monumento all’interno del tessuto urbano, prossimo sia al Polo Reale, il nuovo sistema museale tra i più importanti d’Europa, sia a Porta Palazzo, il luogo simbolo delle azioni di rigenerazione urbana. Infatti, quando la tutela dei beni si allaccia alla produzione di cultura e al miglioramento dello spazio sociale, si genera un’opportunità di crescita al servizio di tutti. Ed è questo l’obbiettivo che la Compagnia di San Paolo, attraverso la sua attività, intende continuare a perseguire. Luca Remmert presidente della Compagnia di San Paolo

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Veduta dall’alto di piazza Cesare Augusto con la Porta Palatina, sullo sfondo piazza della Repubblica, 1959-1965 (foto Bressano - ASCT, EPT 01420_02)


Introduzione Luca Emilio Brancati

Le Palatine offrono uno speciale punto di vista. Dall’alto dei venticinque metri delle torri si presenta un panorama critico e privilegiato sviluppato su di un’area che è al contempo temporale e spaziale. Certamente non è da tutti – almeno per ora – guardare da lassù a duemila anni di storie: il distendersi della campagna che si apre verso nord e, alle spalle, l’urbe che, con regolarità geometrica, si distribuisce ai due lati del Cardo Maximum; Palladio che visita la città e resta ammirato dalle sue mura; i canonici di San Salvatore protetti all’interno del castrum; gli assedi alla città degli Acaia e dei Savoia poi; lo stupore archeologico di Filiberto Pingone e, molti anni dopo, di Carlo Promis; l’afflizione dei carcerati lì rinchiusi; la desolazione dei mucchi di macerie dopo i bombardamenti del 13 luglio 1943 che, miracolosamente, risparmiano il monumento; e chissà quante altre storie ancora. Ma anche le borse della spesa colmate al vicino mercato di Porta Palazzo; le automobili; quelli che si rigenerano nel vicino prato a sud e chi, invece, tenta di sfangarla dalla parte opposta. E si resta stupiti di come, a differenza di tante altre porte superstiti, questa continui ad esercitare una funzione, seppure in un modo altro: ma oggi, più che barriera, la Porta e il suo intorno devono essere pensati come cerniera tra due mondi, in questo luogo che, come scriveva Carlo Olmo, è «delle storie possibili e di quelle consolidate».

costituiscono la premessa progettuale delle pagine che seguono. Stefania Ratto ci offre il punto di vista dell’archeologo che ricostruisce un passato sulla base dell’analisi incrociata delle emergenze superstiti; e Luisella Pejrani Baricco ne prosegue il discorso tracciando le tappe fondamentali delle vicende degli ultimi cinquecento anni segnalando, in ultimo, la necessità di migliorare l’irrisolta sistemazione del parco archeologico. Un compito a cui hanno atteso in molti negli ultimi cent’anni, come raccontato da Armando Baietto. Del presente parlano i progettisti della Città di Torino e i restauratori del Consorzio San Luca che da poco hanno terminato l’ultimo degli interventi di recupero e restauro che hanno interessato il monumento. Ma era anche importante offrire un punto di vista sul futuro: più concreto quello di Rosalba Stura che racconta i piani immediati che la Città ha sull’area; più visionario e propositivo, infine, quello di Andreas Kipar che riflette sul senso e la funzione del monumento nel contesto di evoluzione di una città “fluida”. Punti di vista, quindi, impreziositi da quelli dei fotografi che hanno scattato le belle immagini di archivio, di cui molte inedite, recuperate grazie a Stefano Benedetto nei preziosi depositi dell’Archivio Storico della Città di Torino. E poi un ultimo punto di vista, non scritto: quello dell’architetto Luisa Giacomelli che, proprio duranTali pensieri, alimentati dai tanti giorni trascorsi lì te il corso del cantiere, è stata costretta a lasciarci e a a curare le piccole ferite del grande monumento, guardare le cose da molto più in alto. Il restauro della Porta Palatina di Torino -

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Felice Fiesta, Palazzo creduto augustale, 1824 (ASCT, Collezione Simeom, D715)


16 - Il restauro della PortaePalatina di Torino della Porta Palatina, 7 giugno 1956 Statua di Augusto particolari (foto Ghidoni - ASCT, GDP sez. I 1180G_024)


La Porta Palatina e le mura romane di Torino: simboli della dignitas urbana attraverso i secoli Stefania Ratto*

A partire dall’inizio del ‘900, quando d’Andrade la liberò definitivamente dalle superfetazioni, restituendole autonomia funzionale e riscattandone le origini dall’oblio, la Porta Palatina rappresenta la più evidente testimonianza della fondazione romana di Torino.

babilmente di riscossione dei dazi, e di eventuale trappola per gli assedianti che fossero riusciti a forzare la prima porta; torri laterali poligonali fungevano da rinforzo solo della cortina esterna o anche di quella interna.

In età romana gli ingressi allo spazio urbano, che segnavano il punto di passaggio dall’esterno all’interno, erano dotati di una forte valenza simbolica che ne richiedeva, a prescindere da reali esigenze difensive, una monumentalizzazione spesso corrispondente anche a un’evoluzione del tutto separata da quella delle cortine murarie1. Dal punto di vista della tipologia architettonica la Porta Palatina costituisce, insieme alla Porta Leoni di Verona (fig. 1), forse di poco precedente, e alla coeva Porta Pretoria di Aosta (fig. 2), il punto di arrivo di una sperimentazione che si sviluppa in Italia a partire dalla fine del III sec. a.C., traendo spunto dal modello delle porte greche ed ellenistiche “a tenaglia” e “a corte aperta”, e che ha il suo primo esempio compiuto nella Porta Venere di Spello, ancora di età triumvirale2. Si tratta di porte doppie a cavedio centrale, dotate di una facciata rivolta verso la campagna, chiusa da una saracinesca o da battenti, e di una aperta rivolta verso la città, che racchiudono un cortile interno circondato da alte mura (fig. 3). Esso, oltre a costituire un monumentale vestibolo d’ingresso, svolgeva la funzione di posto di controllo e pro-

Fig. 1. Ricostruzione della Porta Leoni di Verona (ASAV, dis. di R. Giacometti) Il restauro della Porta Palatina di Torino -

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Fig. 2. Ricostruzione della Porta Pretoria di Aosta (dis. di F. Corni)

La struttura dell’arx, ovvero dell’edificio interno che si sviluppava intorno al cortile centrale, e che doveva accrescere l’aspetto “palaziale” della porta principalis sinistra, da cui discende la sua denominazione tarda3, non è ben precisabile e le poche tracce superstiti consentono di ricostruire 18 - Il restauro della Porta Palatina di Torino

solo le dimensioni del cortile, di 11,2x12,2 metri circa (fig. 4). La parte oggi conservata è invece la facciata esterna, con le due torri a sedici lati, alte poco meno di venticinque metri, erette su una base quadrata con zoccolo piramidale e forse coronate da merlature quadrate, che affiancano il


Fig. 3. Ricostruzione della Porta Palatina di Torino (dis. di F. Corni) Il restauro della Porta Palatina di Torino -

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corpo centrale lungo circa venti metri nel quale si aprono due fornici carrai e due piÚ piccoli fornici pedonali laterali. Nel corpo centrale (interturrio) si trovano due ordini sovrapposti di finestre, ad arco il primo e con piattabanda piana il secondo, corrispondenti a due livelli di camminamenti di ronda. Le torri conservano all’interno le tracce dei solai originali in legno che separavano i diversi

piani, forse cinque, e quattro ordini di finestre ad arco si aprono su lati alterni. Sulle pareti interne dei passaggi sono ancora visibili le guide di scorrimento delle grate di chiusura delle saracinesche, che venivano manovrate dal piano superiore. Un tratto tipico delle fortificazioni romane della regione transpadana è costituito dal largo uso del laterizio4. La muratura ha infatti nucleo costituito

Fig. 4. Il lato interno della Porta Palatina con i resti del cavedio in una fotografia del 1954 (ASCT, GDP sez. I 1180G_005)

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della dignitas della città5: i fornici sono delimitati in alto da una fascia di pietra chiara, forse destinata ad accogliere un’iscrizione mai realizzata (fig. 6), e da una cornice aggettante con gocciolatoio a dentelli; nel primo ordine leggere paraste inquadrano le finestre, mentre nel secondo, sottolineato da un’altra cornice con gocciolatoio a dentelli, le finestre sono profilate da una elaborata piattabanda con archetto di scarico. Assai poco note sono invece le altre porte cittadine, a eccezione della porta decumana, ubicata all’estremità orientale del decumano massimo – l’attuale via Garibaldi – e in tutto simile alla Porta Palatina, che nel corso dei secoli è stata inglobata nella costruzione del castello divenuto poi Palazzo Madama. L’occidentale porta praetoria (poi Porta Segusina), che marcava l’ingresso in città della via proveniente dalle Gallie e da Susa (Segusio), è ben distinguibile sia nella pianta disegnata da Giovanni Caracha e incisa da Giovanni Criegher nel 15726 (fig. 7), che in quella di Girolamo Righettino, del 15837, e in entrambe appare anch’essa molto

Fig. 5. Particolare dell’interno dei fornici con mattoni bipedali a cuneo

da conglomerato di ciottoli e malta ma, a intervalli regolari, il piano è segnato da due corsi di mattoni sesquipedali (un piede e mezzo per un piede: 0,45 x 0,30 x 0,06 m), con cui sono realizzati anche i paramenti esterni, fatta eccezione per gli archivolti dei fornici nei quali sono messi in opera mattoni speciali a cuneo di formato diverso (fig. 5). Mentre la facciata interna è liscia, motivi decorativi architettonici movimentano quella esterna, fondamentale per l’autorappresentazione della ricchezza e

Fig. 6. Particolare della fascia in marmo bianco sulla facciata nord della Porta Palatina Il restauro della Porta Palatina di Torino -

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Fig. 7. Augusta Taurinorum, incisione di Giovanni Criegher su disegno di Giovanni Caracha, 1572 (ASCT, Collezione Simeom, D1)

simile, nella struttura generale, alla Porta Palatina. Nulla è invece noto della porta principalis dextera, all’estremità meridionale del cardo maximus, risultando ormai chiaro che il celebre disegno di Giuliano da Sangallo, a lungo ad essa riferito8 e da cui deriva la definizione di Porta Marmorea, ritra22 - Il restauro della Porta Palatina di Torino

eva invece, reinterpretandola con una certa libertà, una delle altre porte all’epoca ancora integre, probabilmente la stessa Porta Palatina9. Pur in assenza di specifici dati archeologici, la probabile similitudine tipologica delle quattro porte urbiche induce a ricondurle a un unico momento


costruttivo, prima concretizzazione di una sistemazione urbanistica programmata per fornire il segno di una nuova vita urbana strutturata che, sia i confronti architettonici, sia i dati derivanti dai pochi materiali ceramici provenienti dagli scavi di d’Andrade a ridosso della Porta Palatina, recentemente ripresi in esame, collocano in un momento immediatamente successivo all’atto di fondazione della colonia Iulia Augusta Taurinorum, fra il 27 e il 22 a.C.10 I dati archeologici acquisiti negli ultimi decenni dimostrano tuttavia che il compimento del disegno urbanistico fu un processo lungo e complesso e che la stessa costruzione della cinta muraria venne avviata con notevole ritardo, lasciando a lungo le sole porte a delimitare un perimetro astratto o segnato da una semplice palizzata che divideva dal punto di vista giuridico e religioso la città dalla campagna.

Sebbene sia nei trattati degli agrimensori che in Vitruvio11 la nozione stessa di città sembri indissolubilmente associata alla presenza di mura e, ancora di recente, la costruzione della cortina sia stata annoverata fra le operazioni fondamentali nella deduzione di una colonia12, nella realtà non tutte le nuove fondazioni furono dotate di strutture difensive13. Restando in ambito piemontese, si può ricordare come l’altra fondazione augustea del Piemonte, Augusta Bagiennorum - l’attuale Bene Vagienna - fosse provvista di porte e di torri angolari, ma non di mura, sostituite da semplici aggeres associati a fossati14. Alcuni sondaggi degli anni ’90 nell’area del teatro romano, che occupava l’estremo isolato nordorientale di Augusta Taurinorum (fig. 8), hanno infatti dimostrato la stretta contemporaneità del lato settentrionale della cortina e della seconda fase edilizia del teatro. Si è verificato che il muro occi-

Fig. 8. Veduta dell’area del teatro romano

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Fig. 9. Torre del lato settentrionale delle mura e lato occidentale del porticus retrostante il teatro (foto P. Martelli)

dentale del porticato retrostante la scena e la cortina si collegano in fondazione alla prima torre a est della porta (fig. 9), consentendo di datare l’edificazione del complesso tra il 15 e il 30/40 d.C. Un possibile elemento di cronologia relativa, emerso dalle indagini sulla stratigrafia muraria condotte durante l’ultimo restauro, è inoltre rappresentato dal reimpiego nel nucleo cementizio della cortina di frammenti di tegole oltre che di mattoni15, verosimilmente provenienti da edifici realizzati durante i primi interventi di urbanizzazione della zona, contemporanei o immediatamente successivi all’edificazione delle porte, e già in fase di ristrutturazione o demolizione. L’ambizioso progetto di monumentalizzazione della cinta comportò poi, forse per lo straordinario impegno economico richiesto alla comunità locale, fasi di realizzazione dilazionate nel tempo e solo tra il 50 e il 75 d.C. si procedette all’edificazione del tratto orientale. Le indagini archeologiche condotte a più riprese fra il 1991 e il 200116 (fig. 10) hanno permesso di effettuare verifiche su alcuni tratti della fossa 24 - Il restauro della Porta Palatina di Torino

di fondazione, in cui sono stati raccolti materiali databili in modo omogeneo all’età tiberiano-clau-

Fig. 10. Veduta degli scavi archeologici del 2001 in piazza Castello (ASAP, foto F. Gallino)


Fig. 11. Spazio sacrificale a ridosso della cortina orientale delle mura in piazza Castello (ASAP)

dia, portando anche alla scoperta delle tracce di una cerimonia sacrificale verosimilmente connessa con l’inaugurazione di questo lato della cortina17. Nell’area compresa tra Palazzo Reale e Palazzo Madama, un tempo collegati dalla Grande Galleria di Carlo Emanuele I, sul suolo che segna la fase conclusiva del cantiere per la costruzione delle mura, quattro anfore infisse nel terreno in verticale delimitavano un quadrilatero ideale (5.30 x 4.15 x 5.60 x 4.50 m) al cui interno sono state rilevate tracce di strutture precarie e fosse con terra mista a legni carbonizzati e cenere (fig. 11). Le anfore, contenenti segmenti di costole di bovino, appartengono a una tipologia di produzione iberica (Beltran IIA1), databile alla seconda metà del I secolo d.C., con particolare diffusione in età neroniano-flavia. Benché poco sia per ora noto della cronologia dei lati occidentale e meridionale della cortina, e sulla eventuale contemporaneità di edificazione dei diversi tratti, è probabile che l’intera opera fosse compiuta entro la fine del I secolo d.C., un’epoca in cui in molte città della Transpadana risulta già

avviato un processo di progressivo degrado delle mura, che perdono la loro funzione difensiva a causa del perdurare di una situazione militare stabilizzata ormai da lungo tempo. Il completamento tardo delle mura di Augusta Taurinorum rende quindi particolarmente evidente il significato eminentemente simbolico di tale realizzazione, che veicola soprattutto la necessità propagandistica di completare il “paesaggio turrito” della città, anche in assenza di reali preoccupazioni difensive18, e restituisce forse ragione di un altro fenomeno indagato durante gli scavi del 2001 nell’attuale Piazza Castello e in altri cantieri nell’area dei Giardini Reali19. Dentro la città, gli isolati più esterni erano separati dalla cinta muraria mediante una fascia di rispetto di 60 piedi (poco meno di diciotto metri) priva di costruzioni e destinata alla via sagularis, la strada che consentiva la circolazione lungo il perimetro delle mura e il rapido accesso alle fortificazioni in caso di necessità20. In un momento di poco successivo al completamento della cortina est, negli ultimi anni del I secolo d.C., lo spazio pomeriale interno Il restauro della Porta Palatina di Torino -

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Fig. 12. Torino, Museo di Antichità. Allestimento delle discariche presso le mura (ASAP, foto G. Lovera)

ed esterno alle mura comincia a essere impiegato come discarica di rifiuti, comprendenti anche grandi quantità ceramica e anforacei, e l’accumulo, che si protrae almeno fino alla fine del III secolo d.C., raggiunge gradualmente un’altezza notevole, probabilmente ben al di sopra della quota della piazza attuale (fig. 12). In età alto-imperiale la presenza di così estesi immondezzai a ridosso delle mura, soprattutto sul lato interno, non trova frequenti confronti, mentre abbondano le testimonianze relative a provvedimenti proibitivi, sia legati a preoccupazioni di ordine sanitario sia al senso del decoro urbano21. L’occupazione di quest’area, che aveva forse perso la sua utilità in termini difensivi, ma che era comunque oggetto di una particolare pietas, difficilmente avvenne senza una specifica delibera in materia, e si può ipotizzare che le discariche rivestissero un carattere pubblico22. Alla fine del I secolo d.C. si conclude dunque la realizzazione in termini monumentali di un pro26 - Il restauro della Porta Palatina di Torino

getto urbanistico la cui unitarietà viene perseguita per oltre un secolo e la cui coerenza, nonostante lo iato cronologico, si coglie anche nelle scelte tecniche e architettoniche. Anche nelle mura, i mattoni sesquipedali sono utilizzati in modo esclusivo nel paramento rivolto verso l’agro, sentito come il “fronte di rappresentanza”, mentre la cortina interna è in ciottoli spaccati, con fasce di due assise di laterizi che si ripetono ogni 60 cm circa, occupando l’intero spessore del muro con la funzione di rafforzare la coesione fra il nucleo e i paramenti e di esercitare un continuo controllo sull’orizzontalità delle murature. Le torri che aggettano dal perimetro della cortina a distanze regolari di circa 70 metri, in corrispondenza delle strade tra gli isolati, recuperano inoltre, secondo una modalità assai poco attestata in ambito italico23, la pianta poligonale già impiegata nelle porte, sebbene ridotta a otto lati, con base quadrata raccordata tramite gradini.


Fig. 13. Carta archeologica di AugustaTaurinorum nel II secolo d.C. (ASAP, dis. di A. Gabucci) Il restauro della Porta Palatina di Torino -

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La cerchia muraria, con le porte monumentali ubicate in corrispondenza dei principali assi viari e le torri che scandiscono l’incrocio fra la cortina e le strade minori (fig. 13), costituisce inoltre la puntuale proiezione, rivolta verso l’esterno, dell’ordinato reticolo dell’abitato interno, comunicando un’immagine di organicità e di funzionalità ancora percepita nel ‘500, quando Palladio ne loderà il «drittissimo e politissimo lavoro»24 , e dettando anche in seguito gli assi delle successive espansioni e il modellarsi del paesaggio urbano. * Funzionario archeologo, Soprintendenza Archeologia del Piemonte

Note 1 Sulla concezione romana di città, di cinta e di porta urbica cfr. Gros, 1996, pp. 26-27 e Bonetto, 1998, pp. 166-169. 2 Cfr. Gros, 1996, pp. 37-39 e, per una recente trattazione sulla Porta Leoni di Verona, Cavalieri Manasse, 2013, p. 30. 3 Cfr. Franzoni, 2010, p. 18. 4 Bonetto, 1998, pp. 28-29. 5 Bonetto, 1998, p. 58. 6 Augusta Taurinorum, incisione di Giovanni Criegher su disegno di Giovanni Caracha, 1572, Archivio Storico della Città di Torino, Torino, Collezione Simeom, D 1. 7 Pianta della Città di Torino entro cornice allegorica, Gerolamo Righettino, 1583, Archivio di Stato di Torino, Corte, Museo Storico. 8 Cfr., da ultima, Mercando, 2003, p. 40. 9 Franzoni, 2010, pp. 16-17. 10 Definitivamente accantonata l’ipotesi della doppia deduzione, ancora ripresa da Torelli (Torelli, 1998, pp. 35-37), il terminus post quem della fondazione di Augusta Taurinorum è ritenuto oggi oscillante fra il 27 a.C. (Paci, 2003, p. 112) e il 25 a.C. (sulla datazione successiva al 25 a.C. basata sul silenzio di Strabone e la non sicura attendibilità della fonte vd. Cresci Marrone, 1997, p. 147). Un sicuro terminus ante quem è invece stato fissato da Mennella al 22 a.C. sulla base di un recente rinvenimento epigrafico (Mennella, 2012, p. 394 ).

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1 1 Vitruvio, De Architectura, I, 3, 1. 12 Paci, 2003, pp. 111-112. 13 Cfr. Gros, 1996, p. 44. 14 Preacco, 2014, pp. 102-103. 15 Pejrani Baricco-Ratto-Bosman-Genta, 2012, p. 308. 16 Brecciaroli Taborelli, Gabucci, 2007, pp. 244-246. 17 Questa interpretazione sembra preferibile a quella proposta in un primo tempo, circa il rito di riconsacrazione del confine urbano tracciato al momento della fondazione (Brecciaroli Taborelli, Pejrani, 2000, p. 282), che ha generato l’equivoco, privo di fondamento archeologico, circa l’appartenenza delle attuali mura romane a una seconda fase costruttiva successiva alle mura di età augustea (Paci, 2001, p. 112). 18 A sostegno della lettura in chiave prevalentemente simbolica della cinta e dell’assenza di cogenti motivazioni di carattere poliorcetico (per la quale vd., ad esempio, Torelli 1998, p. 40 e Bonetto, 1998, p. 70) si possono citare anche alcune caratteristiche costruttive, come la mancanza di fossati esterni e di aggeres interni di contenimento e la disposizione delle torri, troppo rada per consentire una mutua protezione. 19 Brecciaroli Taborelli, Gabucci, 2007, pp. 254-258. 20 Le misure della fascia pomeriale sono state recentemente rilevate, con lievi differenze, presso la Porta Palatina, per la distanza fra il fronte degli isolati e la cortina nord, in via Cesare Battisti, per la cortina orientale, e in via San Francesco d’Assisi per la cortina meridionale (cfr. Pejrani Baricco, Gabucci, 2009, p. 230 e Greppi, 2009, p. 123). Solo nel tratto descritto da Barocelli (Barocelli, 1932, p. 254) presso la cinta meridionale, in prossimità della torre angolare di via Maria Vittoria, è documentata la conservazione di un basolo della lastricatura. 21 Cfr. Panciera, 2000, pp. 97-99. 22 Sull’ipotesi della diffusione da parte di Roma, forse già dalla prima metà del I secolo, di specifiche normative che autorizzassero lo spostamento della linea pomeriale verso il suburbio, permettendo varie forme di “invasione” del suolo pubblico, quali l’avanzamento dell’edificato fino alle cortine o parziali demolizioni delle stesse, cfr. Bonetto, 1998, pp. 183-184. 23 Bonetto, 1998, p. 67 sulla rarità di questa tipologia in ambito italico e la derivazione dal mondo ellenistico; p. 68 sull’osservanza del precetto vitruviano circa l’aggetto delle torri sulle cortine, utile a fornire ai difensori una posizione avanzata rispetto alla linea murata. 24 Palladio, 1570, cap. IX.


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Il restauro della Porta Palatina di Torino -

Pianta di Torino Romana (ASCT, Tipi e disegni, 64.1.23)

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30 - Il restauro della Porta Palatina di Torino


Augustae Taurinorum Prospectus. Incisione anonima in Theatrum Statuum Celsitudinis Sabaudiae Ducis, I, Amstelodami, Blaeu, 1682, (ASCT collezione Simeom, N 1, tavola 9)Il restauro della Porta Palatina di Torino - 31


32 - Il restauro della Porta Palatina di Torino Torino antica e moderna, litografia a colori dello studio tecnico Caneparo, 1892 (ASCT, collezione Simeom, D 123)


Note sulle vicende delle mura e della porta dal Medioevo ai restauri del Novecento Luisella Pejrani Baricco*

Nel Medioevo le porte romane della città furono quasi tutte riutilizzate come sedi fortificate del potere pubblico o come castelli delle dinastie dominanti, come accadde alla porta occidentale, detta Segusina, citata come castrum fin dal X secolo e che nell’XI divenne residenza della contessa Adelaide e dei marchesi arduinici1. Anche la Porta Principale Sinistra fu trasformata in un castrum di proprietà dei canonici di San Salvatore, citato nel 1047 in un diploma di Enrico III che lo dice ubicato «supra portam eiusdem civitatis» 2. Questa porta aperta verso la Dora Riparia assunse il nome di Doranica o Doranea e poi fu denominata anche porta Palacii, Porta Palazzo, a partire dagli ultimi decenni del XIII secolo in riferimento al non lontano palacium diruptum, ipotizzato come palazzo di fondazione regia o imperiale3. Il cambio di funzione delle porte comportò la chiusura dei fornici, talvolta ridotti a uno solo dei quattro varchi originari, magari anch’esso poi del tutto occluso, come si è potuto constatare analizzando archeologicamente le vicende edilizie della porta orientale, sulla quale si sviluppò il castello degli Acaia, ora Palazzo Madama4. Analogamente furono murati i fornici della Porta Palatina a eccezione di quello orientale, rimasto passante fino al 17015. Se permangono piuttosto oscuri gli eventuali interventi sulla cinta urbica attuati durante i secoli dell’alto medioevo, è invece certo che mura e por-

te subirono gravi spoliazioni negli anni 1317-1320, quando Filippo d’Acaia le depredò sistematicamente per ricavarne materiali e «pietre grosse» da riutilizzare per costruire – o forse ampliare – il castello di Palazzo Madama6. Per non sguarnire pericolosamente le difese della città, alle spoliazioni fecero seguito lavori di riparazione e ripristino con materiali meno pregiati, come ancora testimonia il rifacimento in mattoni della parte superiore della cortina conservata a est della Porta Palatina7. Asportazioni, rappezzi e rifacimenti dovevano aver sminuito non poco l’immagine e la monumentalità della cinta, ma nonostante questo nei primi anni del Cinquecento emerge una consapevole e corretta lettura storica dei resti della città romana dal ben noto disegno di Giuliano da Sangallo8, che ritrae una porta antica «a Turino», tradizionalmente identificata con la Porta Marmorea, ma ora più verosimilmente attribuita proprio alla Porta Palatina9. Ancora nel 1570 Andrea Palladio, nel suo trattato sull’architettura, esamina le mura romane di Torino annotandone le caratteristiche con illustrazioni sulle tecniche murarie, con un approccio di analisi diretta e comparativa dei monumenti antichi straordinariamente anticipatore della moderna archeologia10. In seguito però l’ammirazione e le competenze storiche rinascimentali lasciano il passo a sempre più confuse congetture interpretative finché, alle soglie delle grandiose trasformazioni settecenteIl restauro della Porta Palatina di Torino -

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Fig. 1. Palazzo creduto augustale in Torino, incisione in rame di P. Giarré, 1845 (ASCT, Collezione Simeom, D 717)

sche della città, ampliata da nuove mura e rimodellata nel suo tessuto urbano, per poco la Porta Palatina, avendo perso il suo ruolo originario, non viene demolita, salvata da questo destino dall’intervento dell’architetto Antonio Bertola nel 1706. Nel 1724 Vittorio Amedeo II dona alla città «le due antichissime torri e muraglie fra esse esistenti della Porta Palazzo vecchia»11, da allora trasformate nelle carceri del Vicariato. La memoria storica della funzione e dell’appartenenza alla città romana della porta si erano dun34 - Il restauro della Porta Palatina di Torino

que appannate nel tempo: definita come «torri», «palazzo» o «palazzo delle torri», la sua attribuzione cronologica spazia dall’antichità all’epoca longobarda fino a metà dell’Ottocento (fig. 1), quando finalmente Carlo Promis la interpreta correttamente come una delle porte della città romana12. Con l’avvio del progetto di costruzione delle Carceri Nuove, si afferma l’interesse della municipalità verso il recupero del monumento e data al 1861 la prima delibera del Comune sull’eliminazione


Fig. 2. La Porta Palatina prima dei restauri del 1861-1873 (ASCT, NAF 05_42)

del fatiscente istituto di detenzione, destinato in ultimo a carcere femminile, per liberare la porta isolandola, restaurandola e riaprendone i fornici centrali (fig. 2). Trasferite definitivamente le carceri alle «Nuove», il restauro, affidato a Carlo Promis e, dopo la sua morte, a Carlo Gabetti, riguarda anche la ricostruzione del fabbricato sul lato sud della porta, com-

pletato nel 1875 e destinato a una scuola di disegno e poi a un liceo musicale13 (figg. 3-5). Negli ultimi due decenni del secolo il rinnovamento urbano in nome del risanamento e della modernizzazione si accompagna all’interesse per lo studio e la valorizzazione dei monumenti dell’antichità, da mettere in luce liberandoli dalle fasi edilizie successive. Il restauro della Porta Palatina di Torino -

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Risalgono a quegli anni i primi studi sulla porta e le mura di Alfredo d’Andrade, membro della Commissione nominata nel 1883 dal Ministero dell’Istruzione Pubblica per curare un progetto di restauro di Palazzo Madama e poi dal 1891 direttore del nuovo Ufficio Regionale per la Conser-

vazione dei Monumenti del Piemonte e della Liguria, che ne sintetizza i risultati nella Relazione a stampa del 189914. Nelle pagine dedicate a Palazzo Madama e ai ritrovamenti avvenuti a fine Ottocento, già annota che «Le torri a sedici lati delle porte e della cinta di Torino vennero costrutte se-

Fig. 3. La porta dopo i restauri del 1861-1873 (ASAP, Archivio fotografico, inv. 3419)

36 - Il restauro della Porta Palatina di Torino


Fig. 4. L’edificio addossato alla fronte meridionale della porta costruito dopo i restauri del Promis, terminato nel 1875 (ASAP, cart. 285) Il restauro della Porta Palatina di Torino -

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Fig. 5. Lo stesso edificio ripreso da ovest (ASAP, Archivio disegni, cart. 278)

38 - Il restauro della Porta Palatina di Torino


paratamente e prima delle cortine, cioè dei muri tra le torri…»15: fatto pienamente confermato dalle indagini più recenti. Purtroppo però l’intervento sulla Porta Palatina non è stato oggetto di una simile relazione, ma è ricostruibile dai disegni, dalle fotografie e dalle notizie riportate a più riprese negli «Atti della Società piemontese di archeologia e belle arti» e nelle delibere conservate negli Atti del Municipio

Fig. 6. La torre orientale della porta durante le demolizioni del 1914 (ASAP, inv. 1747)

di Torino (Archivio Storico della Città di Torino), che documentano la progressione dei lavori e dei relativi finanziamenti16. Nel 1903 la Giunta municipale istituisce anche per questo importante restauro un’apposita Commissione con l’intento di recuperare completamente l’antica porta eliminando gli interventi del Promis e liberandola da tutte le costruzioni posteriori; l’esecuzione dei lavori è affidata al d’Andrade. Gli scavi iniziano dallo scoprimento della base della torre orientale e riportano in luce anche i resti del cavaedium sul lato verso la città, dopo la demolizione dell’edificio scolastico costruito pochi decenni prima. Il cantiere procede abbastanza regolarmente e per l’esposizione internazionale del 1911 si vorrebbe fosse terminato, ma dopo il 1909 i lavori rallentano, pur proseguendo fino al 1914: questa è la data impressa sui mattoni impiegati nelle ampie integrazioni murarie, che risarciscono anche la parte interna della torre orientale (fig. 6). L’anno successivo si devono però interrompere per lo scoppio della Prima guerra mondiale e non riprenderanno fino al 1922, ma è soprattutto un progetto del 1935 a delineare una sistemazione generale dell’area archeologica romana che valorizzi non soltanto la porta, ma anche le mura, da liberare dalle costruzioni addossate. L’intervento, favorito dalla propaganda fascista del recupero della romanità, si realizza tra il 1935 e il 1938 completando il coronamento della torre orientale e chiudendo con solai in cemento armato la sommità delle torri, rinunciando invece alla costruzione degli orizzontamenti lignei interni (figg. 7-8). I merli della torre occidentale rimangono quelli, non demoliti, del restauro di Promis17. Ma le polemiche suscitate da alcune scelte di allestimento vengono drammaticamente interrotte dall’inizio del secondo evento bellico, che produce gravissime distruzioni ai palazzi intorno alla porta, salvatasi fortunosamente con pochi danni. Il restauro della Porta Palatina di Torino -

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Fig. 7. Veduta degli scavi avviati nel 1935 (ASCT, FT 25B02_001)

Fig. 8. L’area archeologica dopo i restauri degli anni Trenta e prima del bombardamento del 13 luglio 1943 (ASCT, FT 25B02_007)

40 - Il restauro della Porta Palatina di Torino


Il lato settentrionale delle mura antiche, a suo tempo risparmiato dalla demolizione nei tratti immediatamente adiacenti alle torri per l’autorevole intervento del Promis18, era rimasto per secoli nascosto dagli edifici costruiti contro le sue cortine e soltanto alla fine della seconda guerra mondiale, dopo i bombardamenti del 1943 su Torino che atterrano le scuderie dei duchi di Genova e gran parte degli isolati adiacenti alla porta, si manifesta l’esistenza di questo lungo tratto di mura ancora ben conservato (fig. 9). Dal settembre 1946 il soprintendente Carlo Carducci inizia a risarcire i danni parzialmente subiti anche dalla porta, mentre le demolizioni degli

edifici bombardati rendono sempre più evidente la consistenza delle mura e l’opportunità di isolarle senza dar corso alle nuove edificazioni, che vengono invece ipotizzate a più riprese dai piani di ricostruzione e sono oggetto anche di un concorso pubblico indetto nel 1951; ma infine prevale la linea della soprintendenza nella scelta di liberare e restaurare le mura lasciandole emergere in un ampio spazio aperto di rispetto. I lavori di recupero e restauro, iniziati nel 1953 e condotti discontinuamente per piccoli lotti, si concludono nel 1956, con la completa liberazione dalle strutture addossate e il ripristino di entrambe le superfici della cortina19.

Fig. 9. Il quartiere che inglobava le mura a est della porta atterrato dai bombardamenti (ASCT, FT 25B02_0015) Il restauro della Porta Palatina di Torino -

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teatro romano, circondata da brutti edifici moderni; sembra ridotta a funzionare da spartitraffico. Non certo per risuscitare le glorie di Roma, ma per un preciso dovere di salvaguardia e tutela, il vecchio e tormentato monumento meriterebbe una sorte migliore»20. (fig. 10) Per una ripresa dei restauri conservativi occorre attendere gli anni Novanta del secolo scorso, quando la Porta Palatina viene sottoposta ad accurate analisi diagnostiche21 sui fenomeni di degrado e in buona parte restaurata, sia nelle parti originali, sia in quelle relative agli interventi di Alfredo d’Andrade22. La sistemazione attuale è decisamente migliorata e il nuovo restauro ha riparato i danni che il tempo inesorabilmente infligge ai monumenti, ma alcuni nodi del palinsesto che comprende l’area archeologica centrale, la Manica Nuova di Palazzo Reale e il Duomo attendono ancora di essere affrontati e risolti, per ricomporre un’immagine e una funzione di questo un po’ disarmonico “retro” di piazza Castello.

Fig. 10. La porta e il parcheggio delle auto alla fine degli anni Cinquanta: un assedio che dura da sessant’anni, foto Ghidoni, s.d. (ASCT, GDP sez. I, 1180G_021)

L’area archeologica rimane tuttavia una ferita aperta nel tessuto urbano e nel 1981 Liliana Mercando scrive: «Oggi la Porta Palatina si presenta come qualcosa fuori posto, in un piazzale amorfo e pieno di automobili che la assediano da ogni parte; non più connessa alle sue mura, divisa dal 42 - Il restauro della Porta Palatina di Torino

* Funzionario archeologo, Soprintendenza Archeologia del Piemonte


Note 1 Settia, 1997, pp. 787-799; Franzoni, 2010, p.19. 2 Monumenta Germaniae Historica, Diplomata regum et imperatorum Germaniae, IV, pp. 251-52, doc. 198b (1047, 1° maggio); Gabotto, Barberis, 1906, pp. 7-10, doc. 5; Casiraghi, 1997, p. 523. 3 Settia, 1997, pp. 796-799. 4 Pejrani Baricco, Maffeis, 2006; Pejrani Baricco, 2010. 5 Promis, 1869, pp. 214-215; Boggio, 1908, fasc. 3, p. 27 e fasc. 5, p. 62, n. 12. 6 Il Libro di spese del clavario Pietro Panissera riporta con dovizia di particolari l’asporto dei materiali da costruzione dalle mura e dalle porte cittadine da riutilizzare nel castello: Monetti, Ressa, 1982. 7 Si vedano il contributo seguente sull’analisi stratigrafica delle mura e la notizia già edita: Pejrani Baricco et al., 2012. 8 Codice vaticano Barberiniano 4424 Latino (f. 41), Biblioteca Apostolica Vaticana, Roma. 9 Borsi, 1985, pp. 206-207; Franzoni, 2010, pp. 16-17. 10 Per il riferimento alle mura di Torino: Andrea Palladio, I Quattro libri dell’architettura, I, capitolo IX, 1570; Franzoni, 2010, pp. 13-14. 11 Promis, 1869, p. 215. 12 Franzoni, 2010, p. 17. 13 Papotti, 2003, p. 270. 14 D’Andrade, 1899, pp. 7-21. 15 D’Andrade, 1899, p. 9. 16 Mercando, 1981, pp. 93-100; Papotti, 2003, pp. 270-271. 17 Una relazione del sindaco Frola del 1908, descrivendo lo stato di avanzamento dei lavori e prospettando le demolizioni ancora da compiere, cita «tutte le ingannevoli mal compiute opere che si sono aggiunte nei ristauri di un trentennio addietro, specialmente le merlature delle torri...» Il brano è riportato da Mercando, 1981, p. 98. 18 Mercando, 1981, p. 98, Ead., 2003, pp. 75-76; Papotti, 2003, p. 265. 19 Documentazione importante per la ricostruzione della vicenda è conservata presso gli archivi della Soprintendenza Archeologia del Piemonte e in particolare i rilievi e le fotografie restituiscono le immagini della progressiva eliminazione dei fabbricati addossati alle mura. Papotti, 2003, pp. 274-278, figg. 264-267. 20 Mercando, 1981, p. 100.

21 Grassi et al., 2003. 22 Papotti, 2003.

Il restauro della Porta Palatina di Torino -

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44 - Il restauro Porta Palatina di Torino Veduta delladella Porta Palatina, sullo sfondo a sinistra la cattedrale di San Giovanni Battista, il campanile e la cupola della Sindone, 1935 circa (ASCT, FT 25B02_008)


Il restauro della Porta Palatina di Torino -

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Vecchio e nuovo nel cuore della “città romana”, 2 febbraio 1961 (ASCT, GDP sez. I 1180G_013)


L’area della Porta Palatina nelle trasformazioni del Novecento Armando Baietto*

A Torino, l’impianto romano conserva una sacralità antica che la storia sembra non cancellare: luogo di fondazione, origine della città, memoria di riti archetipi. La porta, il teatro, i lacerti di muratura di mattoni pedali, le pavimentazioni in gneiss della Valle di Susa, evocano ancora oggi quella sacralità, insieme ai più recenti episodi di una storia urbana, qui ricchissima di testimonianze. Una storia che registra progetti e trasformazioni dal ‘700 fino ai primi anni del XXI secolo: un susseguirsi di idee e interventi che, con destini diversi, hanno contribuito a definire l’immagine attuale di questa parte di città1. Tasselli importanti, molti, ne riporto qui alcuni, in modo didascalico, riferendomi alla vasta letteratura sull’argomento, con lo sguardo di chi si occupa di progetto, ma che, in quest’area, ne ha sviluppato soltanto uno, in occasione della tesi di laurea2; anche quelle pagine mi aiutano a definire un telaio delle progettualità che hanno segnato nel tempo questo luogo; lascio invece agli storici il compito di giudizi più analitici, più meditati e per questo più autorevoli. Tuttavia i grandi temi progettuali che hanno attraversato il Novecento e hanno lasciato segni importanti fra il XX e il XXI secolo, derivano in gran parte dalla necessità di riammagliare un tessuto urbano compromesso da progressive demolizioni e perdita delle originarie funzioni, a partire dal XVIII secolo. Serve quindi uno sguardo al passato. Serve ricordare che, a seguito delle grandi ristrutturazioni urbanistiche del ‘700 e del completamento della nuova cortina difensiva, la Porta perde la sua funzione di via di accesso alla città e viene ce-

duta, nel 1724, dal re Vittorio Amedeo II al comune di Torino, che trasforma il complesso in carcere vicariale, evitandone la demolizione3. In quegli anni, nel 1729, prendeva il via il progetto di raddrizzamento di contrada di Porta Palazzo, in attuazione alle idee di Filippo Juvarra. Come ricorda Liliana Mercando, «l’accesso alla città veniva così definitivamente spostato ad occidente in corrispondenza di una nuova piazza porticata; intorno a essa cresceva velocemente un borgo extramuraneo, il Borgo Dora, fitto di insediamenti artigianali, diviso dalla città dal filo dei bastioni»4. Un vero interesse culturale e scientifico per la Porta Palatina, si manifesta, con interventi significativi, solo nella seconda metà dell’800, quando, a seguito della costruzione delle Carceri Nuove, il comune sceglie di liberare la struttura antica dagli edifici addossati nel tempo e di riaprire i due fornici centrali. Un precedente progetto di restauro, presentato da Carlo Promis e Davide Bertolotti, nel 1852, viene rifiutato perché ritenuto troppo costoso5. Il processo di restituzione del monumento antico si completa poi nei primi anni del Novecento, contestualmente agli scavi di rinvenimento del teatro di epoca romana, riportato alla luce dalle fondazioni dell’antico palazzo del vescovo. La regia dell’intervento è dell’architetto d’Andrade, allora autorevole direttore regionale per la Conservazione dei Monumenti del Piemonte e della Liguria, che attua una riqualificazione in contrasto con i precedenti interventi: cancellare tutto ciò che non ha carattere di autenticità romana. Ciò porta a liberare il monumento dalle superfetazioni, ma anche al crescente diradare dei voIl restauro della Porta Palatina di Torino -

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Fig. 1. Veduta d’insieme della sistemazione della zona della Porta Palatina, 1935 circa (ASCT, FT 25B02_006)

48 - Il restauro della Porta Palatina di Torino


lumi presenti nell’area, specie delle tracce lasciate dal medioevo. Azioni utili a una lettura più chiara del monumento, ma responsabili delle lacerazioni e dei vuoti urbani sofferti fino alle ricostruzioni degli ultimi anni. Aspetti disciplinari di una cultura del progetto urbano non sempre in sintonia con gli studi di archeologia, attenti ad una ricostruzione filologica dell’area della Porta e delle condizioni di giacitura dei diversi manufatti presenti. Il periodo che precede la stesura del Piano Regolatore del 1935 registra lo smantellamento edilizio dell’area (fig.1): l’abbattimento della cinta fortificata cinquecentesca e del corrispondente bastione - il muro romano viene compreso nelle strutture di fondazione di edifici lì costruiti, l’eliminazione del palazzo porticato del Castellamonte, di fronte al Duomo di San Giovanni, la demolizione della scuola Torquato Tasso e la cancellazione delle «ultime testimonianze di una Torino popolare e vivace che caratterizzava il circondario del mercato di Porta Palazzo»6. La Porta Palatina rimane così isolata al centro di uno spazio che viene chiamato piazza Cesare Augusto. A questo nuovo disegno dell’area concorrono anche la costruzione della manica nuova di Palazzo Reale e il tracciamento della via IV Marzo7. Nel dopoguerra, agli inizi degli anni ’50, l’area, ormai colpita da degrado urbano e sociale per la presenza del vicino mercato, è considerata tra i luoghi urbani di più urgente riqualificazione. Per questo, nel 1951, viene bandito un concorso urbanistico che prevede la realizzazione di scuole, di un edificio che ospiti le collezioni del Museo di Archeologia, di residenze e di commercio. Il concorso viene vinto dal gruppo degli architetti Nicola, Berlanda e Todros. L’assonometria di progetto (fig. 2), pubblicata sulla “Guida all’Architettura Moderna di Torino”8, mette in evidenza lo spirito con il quale venivano trattati i resti romani. La Porta è al centro di una piazza quadrata, delimitata al suo intorno da rigidi corpi di fabbrica; si privilegia un asse prospettico sul sito dell’attuale via Porta Palatina e viene eliminata la via XX Settembre. Ancora

imponenti blocchi di edifici completano l’intervento sull’area antistante la Porta verso il corso Regina Margherita. Al quarto posto si classifica il progetto di Gabetti & Isola con Giorgio Raineri. La loro proposta inserisce piazza Cesare Augusto nella direttrice diagonale che collega piazza Castello con il Duomo, le Torri e piazza della Repubblica, privilegiando con ciò un asse contraddittorio rispetto alla maglia ortogonale che regola il centro urbano torinese. Il loro linguaggio non appare univoco, sembrano entrare in contatto tradizione locale e tradizione razionale, dando origine ad una singolare sintesi formale. Nel giudizio della commissione9, non viene ritenuto idoneo all’adozione nessuno dei progetti presentati. Nella valutazione,

Fig. 2. Prospetto per la sistemazione della zona della Porta Palatina, 1957 (ASCT, GDP sez. I 1180G_007) Il restauro della Porta Palatina di Torino -

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l’asse prospettico privilegiato che lega le torri romane al Duomo quattrocentesco viene ritenuto di ostacolo alla “visibilità” delle torri limitata alla sola visuale del Duomo o dal Duomo10. Con il piano di ricostruzione del 1954 si decreta la riedificazione dell’isolato Santa Croce e la divisione dello stesso con la via Egidi. In prosecuzione di tale via viene previsto un percorso porticato sul tessuto del già sfrangiato isolato Santo Stefano; prescrizioni queste poi riprese, ma non attuate, dal successivo Piano Regolatore del 1959.

Nel 1956, in conformità con il Piano di Ricostruzione del 1949, viene bandito un concorso di architettura per la realizzazione del palazzo comunale dei Lavori Pubblici, sull’area dell’ex edificio del Castellamonte. Vince il progetto degli architetti Mario Passanti, Paolo Perona e Giovanni Garbaccio. L’edificio ha una storia segnata da giudizi contrastanti, contraddittori: chi ne legittima il risultato formale «per l’aulica posizione, tanto che l’architettura non poteva che assumere un ruolo di quinta sottomessa al tranquillo svolgimento delle facciate della piazza: la tessitura marmorea del

Fig. 3. Isolarchitetti, Parco archeologico della Porta Palatina, schizzo prospettico, 2003

50 - Il restauro della Porta Palatina di Torino


Fig. 4. Isolarchitetti, Parco archeologico della Porta Palatina, sezione, 2003

Duomo, la vibrante testata del Palazzo Chiablese...», ne sospende comunque il giudizio finale «...Tuttavia il risultato non assurge a quella chiara impostazione urbana del progetto del Palazzo della Provincia di Asti…»11. E sospesa appare anche l’architettura, all’interno della biografia dell’autore, così Carlo Olmo: «Il palazzo per uffici si colloca nel contesto storico più complesso di Torino, tra storie possibili (le rovine e le porte) e storie ormai consolidate (Guarini in primo luogo); eppure il dialogo con il luogo si presenta quanto mai problematico. L’architettura del palazzo sembra rivendicare un’autonomia che non sbocca nella rottura di una tradizione, ma che rifiuta anche le molte culture della simulazione, che Passanti aveva pur frequentato (Chevalley in primo luogo)»12. L’edificio viene poi realizzato a seguito di molte proposte morfologiche che declinavano in modo diverso il tema della facciata. I piani urbanistici si susseguono, ma senza lasciare segni significativi. Fra questi, nel 1967, lo studio di Piano particolareggiato commissionato dal comune di Torino a Roberto Gabetti con Giancarlo De Carlo e Giuseppe Varaldo, rimasto, come altri, senza seguito. Un Piano Particolareggiato nel 1971 introduce una variante al Piano Regolatore: prevede la ricostruzione de-

gli isolati Santo Stefano e Santa Rosa, con il raddoppio delle sezioni stradali di via della Basilica e di via Conte Verde, con destinazioni d’uso dei fabbricati poi specificate successivamente (nel 1973). In un ulteriore piano particolareggiato di esecuzione, nel 1978, vengono riproposti per l’Isolato Santo Stefano, il ripristino dei fili dell’isolato in parte con edificazione, in parte con una cortina alberata; le destinazioni d’uso sono residenza e scuola del preobbligo. Nel 1982, per Gabetti & Isola si presenta l’occasione di riconsiderare il sito, con il progetto del Museo di Antichità di Torino e il tema su cui si erano confrontati nel concorso del 1951, dove già era previsto lo studio di un edificio da adibirsi a museo archeologico13. A più di trent’anni di distanza, in occasione di un intervento effettivo, la realizzazione di un padiglione espositivo, l’elemento determinante è ancora la ricerca di un rapporto diretto con l’area archeologica, le torri, la cinta muraria, il teatro romano. Ma i caratteri morfologici che identificano il nuovo padiglione «vanno nella direzione di un nuovo rapporto con le preesistenze, fino a una pressoché totale scomparsa delle architetture progettate»14. Il restauro della Porta Palatina di Torino -

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Il tema della riqualificazione dell’area si ripropone nel 1995, quando il comune approva una scheda di Piano Regolatore, con indirizzi per la riqualificazione e la valorizzazione dell’area archeologica, collegata al nuovo museo e al sistema dei Giardini Reali, tra corso Regina Margherita, piazza San Giovanni, i Giardini Reali e l’isolato Santa Croce. Nel 2003 Aimaro Isola, con Giovanni Durbiano e Luca Reinerio vincono un concorso pubblico di regia, non direttamente di progetto, per una consulenza architettonica. Il loro incarico avrà come obiettivo principale quello di restituire all’area un carattere unitario. La proposta, seguita dal comune di Torino15, riguarda la sistemazione dell’area con un parco su di un piano orizzontale, verso il corso Regina, fino a formare un bastione sulla traccia delle fortificazioni demolite nel XIX secolo (figg. 3-4). La sistemazione è definita sul perimetro da una quinta naturale e

artificiale, costituita da un colonnato con passi e altezze differenti. Il limite verso corso Regina è segnato dalla ricostruzione «dell’antico bastione, contraddistinto dalla possente massa muraria in laterizio che all’interno dà ricovero alle strutture mobili della vicina area mercatale di Porta Palazzo»16. Di qualche anno precedente (iniziata nel 2000), ma compiuta insieme alla realizzazione del parco archeologico, è la ricostruzione dell’isolato di Santo Stefano (fig. 5). Incaricati dall’Impresa De. Ga, Gabetti & Isola con Franco Fusari (dal 2001 Isolarchitetti e Franco Fusari), progettano la cortina edilizia nell’ampio spazio vuoto antistante l’area archeologica della Porta Palatina, utilizzata come parcheggio. L’intervento propone una reinterpretazione della preesistente quinta edilizia e segue, nelle linee di fabbricazione, l’andamento

Fig. 5. Gabetti & Isola, isolato Santo Stefano, schizzo prospettico, 2000

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Fig. 6. Studio De Ferrari, Casa del Senato, 2006

dei tracciati storici. All’interno dell’isolato sono presenti più destinazioni: l’albergo, il collegio universitario e il parcheggio interrato. Lo snodo d’angolo tra le due maniche è risolto con una torre quadrangolare in mattoni che all’interno ospita un grande atrio cavo a sei piani, collegati fra loro da una rampa perimetrale in legno che, conduce ad un loggiato panoramico. La parte più alta è conclusa da una parete vetrata sormontata da una copertura in rame. Il carattere di continuità con i volumi della città settecentesca è dato dalla scelta degli intonaci delle facciate mentre l’utilizzo del laterizio rimanda alle mura romane, alla struttura

della Porta Palatina e agli edifici settecenteschi e ottocenteschi che si affacciano sul parco17. Un ultimo tassello, solo in ordine di tempo (20062012), è rappresentato dalla ricostruzione di una porzione della “Casa del Senato” (fig. 6), curata dallo Studio De Ferrari Architetti. Il loro progetto, «ripropone una torre che raccorda la facciata storica con la porzione di edificio di costruzione post bellica, una nuova configurazione mirata a ricucire lo strappo compositivo e funzionale provocato dalla riedificazione postbellica con l’inserimento di un fulcro tra la facciata storica sulla piazzetta e la facciata anni Cinquanta sulla via Conte Verde»18. Il restauro della Porta Palatina di Torino -

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Altri interventi importanti dovrebbero essere citati; fra questi, nel campo del restauro, il recupero della “Cà ‘d Monsù Pingon” (casa del Pingone)19, il restauro di Palazzo Chiablese20, il restauro, allestimento e nuova destinazione d’uso della Manica Nuova del Palazzo Reale21 (2014), il restauro del Duomo22 e della cappella della Sindone23, sono solo i principali, insieme al recentissimo restauro della Porta, curato dal Consorzio San Luca. Molti altri progetti non realizzati hanno contribuito al dibattito sulla riqualificazione di un’area complessa che sembra oggi aver raggiunto quella compiutezza e quell’unitarietà tanto cercate nel tempo. Le architetture, le funzioni, lo spazio pubblico sono ora in perfetto equilibrio fra lacerti di storia antica e interventi contemporanei, partecipi di una qualità nuova. Emerge qui, più che in altri luoghi, con chiarezza, la lezione di Roberto Gabetti sull’architettura torinese, quando, esprimendosi a favore di un «Eclettismo protratto oltre i suoi riconosciuti tempi», poneva i fenomeni dell’architettura in rapporto ai fenomeni della cultura24. In quelle riflessioni c’era il tentativo di considerare l’Eclettismo, per l’architettura dell’Ottocento e del Novecento, come momento di raccordo fra produzione industriale, edilizia e design, «in questo senso» - sottolinea Gabetti - «Torino può presentare credenziali proprie e salienti»25. E il significato della sorpresa che ancora oggi proviamo nell’osservare un luogo così denso di memorie, di progettualità, di arte, nel pensare al carattere di incertezza che ne ha segnato il destino nel tempo, nell’ammirare le opere di grandi autori che ne hanno tentato letture unitarie, forse sta proprio in quella lezione.

* Architetto, docente a contratto al Dipartimento di Architettura e Design del Politecnico di Torino, contitolare dello studio Baietto-Battiato-Bianco.

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Note 1 Nel corso dei secoli, Carlo Castellamonte, Benedetto Alfieri, Luigi Canina, Alessandro Antonelli, con i loro progetti di sistemazione monumentale avevano cercato di dare, un’immagine unitaria a questo ambito urbano. 2 A. Baietto, S. Battiato, G. Bianco, Un progetto per l’area della Porta Palatina, tesi di laurea, a.a. 1984-85. Lo studio propone la ricostruzione di alcune insulae intorno alla Porta, con un’architettura a bassa densità che fa da sfondo al monumento romano. Nel 1986 il progetto viene riconosciuto alle finali del Premio Internazionale di Architettura “Andrea Palladio”. 3 La decisione di non demolire la porta fu per merito dell’ingegnere militare Antonio Bertola. 4 Papotti, 2003, p. 263. 5 Grazzi, 1981, p. 56. 6 In Città di Torino (S.N.), Principali interventi di riqualificazione dello spazio pubblico - Area archeologica e piazza San Giovanni, allegato 38, p. 1 (http://www.comune.torino.it/trasporti/bm~doc/38-areaarcheologica.pdf) 7 Magnaghi et al. 1982, p. 446. 8 Il tracciamento della via IV Marzo avvenne all’interno dell’operazione di risanamento legata alla Legge Napoli del 1881. 9 La commissione era formata da Giovanni Bussa (presidente dell’Ente Provinciale per il Turismo), Maria Tettamanzi (rappresentante del sindaco), Carlo Carducci (Sovrintendente alla antichità), Vittorio Mesturino (Sovrintendente ai monumenti), Giovanni Chevalley, Natale Reviglio, Emilio Decker. 10 Testo rivisitato, tratto da: Manuela Morresi, 1951, Torri Palatine. Concorso per la riqualificazione di piazza Cesare Augusto a Torino. Progetto volumetrico e architettonico di massima, in Dal Co et al. 1996, pp. 15-17. 11 Magnaghi et al. 1982, pp. 163-164. 12 Carlo Olmo, Un edificio scomodo, in Rigamonti 1995, p. 59. 13 Il progetto è avviato per iniziativa della soprintendente di allora, Liliana Mercando, finanziato con i Fondi di Investimento e Occupazione – FIO – e approvato dal Ministero dei Beni Culturali nell’ottobre del 1983. 14 Manuela Morresi cit., p. 203. 15 Progetto degli architetti Egidio Cupolillo, Paola Giordano. 16 Parco archeologico della porta Palatina, Torino 2003-2006, in Leoni 2008, p. 126. 17 Testo rivisitato, tratto da Gabetti & Isola, Isolarchitetti, Franco Fusari, Isolato Santo Stefano, Europaconcorsi, pubblicato il 23 novembre 2007.

18 Studio De Ferrari Architetti, Casa del Senato, in Malcovati, et al. 2013, p. 426. 19 L’edificio risale ai secoli XV-XVI, posto in via della Basilica, di fronte al Duomo, è stato l’abitazione di Emanuele Filiberto Pingone, studioso e genealogista, la sua opera Inclytorum Saxonae Sabaudiaeque principum arbore gentilizia (Torino 1581), dedicata a Carlo Emanuele I, ricostruisce le origini della Casa di Savoia (fonte: museoTorino. it). Il restauro è opera degli architetti Federico De Giuli, Franco Fusari e Cristiano Pistis; l’intervento ha avuto il riconoscimento dell’Ordine Architetti di Torino: “Architetture rivelate” nell’edizione del 2005. 20 Dimora storica dei Savoia, opera dell’architetto regio Benedetto Alfieri, appartenente al complesso dei palazzi reali costituenti il polo centrale della capitale sabauda, oggi sede degli uffici della Direzione Regionale per i Beni Culturali del Piemonte e delle Soprintendenze per i Beni Architettonici e per il Paesaggio e per i Beni Archeologici del Piemonte e del Museo di Antichità Egizie, è stato restaurato alla fine degli anni Novanta del Novecento (fonte: museoTorino.it). 21 Il progetto, seguito dallo Studio Albini Associati, riguarda il trasferimento della Galleria Sabauda nella Manica Nuova di Palazzo Reale, ultimo atto della configurazione del Sistema dei Musei Reali, all’interno del programma strategico di recupero e valorizzazione del patrimonio museale torinese. 22 Danneggiato in gran parte nell’incendio del 1997, è stato restaurato (facciata e interni) con progetto dell’architetto Maurizio Momo. Il restauro ha riportato allo stato primitivo la chiesa sotterranea, dove è stato realizzato il Museo diocesano di Torino. 23 Il progetto seguito dai professori Giorgio Macchi e Paolo Napoli, dall’arch. Walter Cerreto e dagli ingegneri Stefano Macchi e Gian Carlo Gonnet, riguarda interventi di consolidamento della parte basamentale della Cappella della S. Sindone e delle strutture sottostanti (scurolo, cripta, muri longitudinali del Duomo). 24 Gabetti, 1982, pp. 355-360. 25 Gabetti, 1992, pp. 99-100.

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Il restauro della Porta Palatina di Torino - 57 La Porta Palatina e la statua di Giulio Cesare, 1959-1965 (foto Setaccioli e Bressano - ASCT, EPT 00913_06)


58 - Il restauro della Portadurante Palatina di Torino Gruppo di persone un sopralluogo nel cantiere della Porta Palatina, 1935 circa (ASCT, FT 25B02_002)


Il progetto di restauro della Porta Palatina e del muro romano Cristina Volpi*

Il complesso archeologico della Porta Palatina, principalmente costituito dai resti in elevato della porta urbica e da alcuni tratti della muratura di cinta della città, è inserito all’interno di una vasta area a verde integrata nel tessuto urbano centrale e adiacente al Duomo cittadino, oltre che a vie di traffico urbano intenso. Le sue origini risalgono al periodo romano, ma nei secoli ha avuto svariati rimaneggiamenti, cambi di destinazione d’uso e, infine, ripetuti interventi di restauro. Nella fase più recente si sono osservati evidenti processi di degrado, con le patologie tipiche dei manufatti archeologici collocati in ambiente esterno e soggetti agli agenti atmosferici e inquinanti. Nel marzo 2012, da parte dei tecnici del Servizio Edilizia per la Cultura della Città, è stato predisposto uno studio di fattibilità per l’intervento di «Restauro conservativo della Porta Palatina e del muro di cinta romani», sulla base del quale è stato sviluppato nel luglio 2012 un progetto preliminare e nel mese di novembre 2012 il progetto definitivo posto a base di gara, per un ammontare complessivo di 594.000,00 euro. Nel corso dell’elaborazione di questo progetto sono state effettuate le ricerche storiche e alcune indagini storico–stratigrafiche, in particolare sul tratto di muro di cinta, che in passato non era mai stato interessato da studi specifici, oltre all’esecuzione di un attento rilievo dello stato di degrado dei singoli manu-

fatti architettonici. La realizzazione del progetto è stata effettuata mediante una costante collaborazione con i funzionari dell’allora Soprintendenza per i Beni Archeologici del Piemonte e del Museo Antichità Egizie e della Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per le Province di Torino, Asti, Cuneo, Biella e Vercelli, oltre che con la collaborazione di un restauratore qualificato, che ha fornito le indicazioni specifiche circa le tecniche e i materiali più opportuni da applicarsi in relazione alle singole tipologie di degrado1. Il progetto ha affrontato prioritariamente la porzione di muro di cinta. Esso, infatti, presentava un consistente degrado e non era stato coinvolto da nessuno dei più recenti interventi di restauro. La Porta, invece, era stata già interessata dagli interventi di restauro a metà degli anni ‘90 del XX secolo, escluso il fronte nord della torre ovest, anch’esso con un degrado piuttosto evidente. Nell’ambito delle opere concluse di recente è stato inserito solo il restauro del fronte nord della Porta e le porzioni basse del fronte sud, mentre per le parti alte del fronte sud ne è stata prevista una semplice revisione, in quanto si presentavano ancora in buono stato di conservazione. L’idea conduttrice di questo intervento è stata quella di uniformare l’intero complesso architettonico, oltre che di risanare le più urgenti problematiche di conservazione. I lavori sono stati affidati, mediante procedura negoziata, al Consorzio San Luca per la Cultura, Il restauro della Porta Palatina di Torino -

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Il progetto di restauro della Porta Palatina – Mappatura del degrado e degli interventi previsti – Fronte nord della Porta.

l’Arte ed il Restauro di Torino, che ne ha affidato l’esecuzione alle imprese consorziate R.i.c.t. Tauro s.a.s. di Locandieri Marina & C. (capogruppo), di Torino e Varetto Michelangelo, di Chieri (To). L’esecuzione materiale degli interventi è iniziata nel mese di settembre 2013 ed è stata completata nel dicembre 2014. Le opere di restauro sono state finanziate per la maggior parte dalla Compagnia di San Paolo e in parte minore con fondi della Città, per un importo complessivo, al netto del ribasso di gara, di 454.025,75 euro. L’intervento è stato eseguito impiegando materiali e tecniche compatibili con l’approccio filologico del restauro e rispettando la ormai consolidata metodologia operativa, applicata attraverso le indagini preliminari, le mappature aggiornate dello stato di degrado, le analisi chimico-fisiche necessarie, i rilievi e la documentazione fotografica, al fine di chiarire con precisione lo stato di conservazione degli elementi e gli specifici interventi da realizzare. Nel corso delle opere è stato necessario approfondire alcune tematiche, come la ricerca della più idonea metodologia di pulitura delle superfici in 60 - Il restauro della Porta Palatina di Torino

relazione alla tipologia di sporco e in relazione al tipo di reazione della materia, differente per le singole porzioni del complesso. Un’altra tematica affrontata è stata quella della protezione e smaltimento dell’acqua meteorica, trattandosi di un complesso architettonico completamente esposto e con aggravanti dovute all’adiacenza con l’area prativa. Secondo le singole porzioni architettoniche tale tematica è stata affrontata in modo differente. Nella Porta e nelle torri sono state completamente riviste le copertine in lamiera di piombo alla sommità delle torri, dell’interturrio e delle varie cornici, oltre alle impermeabilizzazioni in guaina delle solette di copertura delle due torri. I materiali impiegati sono stati quelli già esistenti, sostituiti e migliorati nei dettagli di posa. Invece, nel tratto di muro di cinta e negli avancorpi del cavaedium verso sud della Porta sono state riviste e rifatte le copertine in sommità, mediante la realizzazione di cappette in malta, resa maggiormente resistente agli agenti atmosferici con l’aggiunta di additivi, compatibili con le porzioni conservate in opera ed ancora in efficienza.


Nell’ambito di tali opere sono state anche riviste alcune legature di porzioni di manufatti con problemi, mediante le tecniche del scuci–cuci e mediante l’impiego di elementi originali o analoghi, ricercati o realizzati appositamente. Particolare attenzione è stata posta a tutte le varie problematiche concernenti la decoesione, la scagliatura e l’abrasione del materiale, e la ripresa della stilatura delle diverse tipologie di giunti in malta. Tutte le operazioni sono state attentamente calibrate nel pieno rispetto dei materiali costruttivi originali, risalenti alle varie epoche che hanno interssato il complesso, ma anche nel rispetto degli interventi di restauro precedenti. Tutti i materiali impiegati sono stati anche valutati a in funzione della loro compatibilità ambientale ed alla loro possibile reversibilità in occasione di interventi futuri. A completamento generale delle opere si è proceduto con l’eliminazione delle intereferenze visive, al fine di ridonare una lettura gradevole e unitaria all’intero complesso. Il Consorzio ha concluso il suo intervento mediante la redazione di tutta la documentazione finale che illustra l’intero intervento di restauro, compresi i materiali e le tecniche impiegate, costituta dalla relazione tecnica, dalla mappatura degli interventi eseguiti e dalla documentazione fotografica. Questo primo passo per la restituzione ai cittadini del rinnovato Complesso delle Porte Palatine si colloca all’interno di più ampie prospettive di riqualificazione che riguardano l’intero comparto ed i vicini Giardini Reali. * Responsabile tecnico del Servizio Edilizia per la Cultura - Città di Torino - Direzione Servizi Tecnici per l’Edilizia Pubblica progettista opere edili e di restauro e direttore dei lavori.

Note 1 Nel progetto e nella realizzazione delle opere di restauro della Porta Palatina e del muro di cinta romani sono state coinvolte e, ivi, si ringraziano: - per la Città di Torino: arch. Manuela Castelli – progettista opere edili e di restauro e direttore operativo opere edili; ing. Fabrizio Passantino – progettista delle opere della sicurezza e collaboratore al progetto; geom. Federica Ghidella – collaboratore al progetto ed ispettore di cantiere; ing. Elena Grillone – supporto al R. P. per gli aspetti strutturali; geom. Claudio Mastellotto – coordinatore per la sicurezza in esecuzione; - per incarico della Città: dott.ssa Cristina Maria Arlotto – restauratore beni culturali e direttore operativo per le opere di restauro; dott.ssa Francesca Bosman – studio storico – stratigrafico; arch. Luisa Giacomelli – coordinatore per la sicurezza in esecuzione; - per la Soprintendenza Belle Arti e Paesaggi per il Comune e la Provincia di Torino: arch. Valerio Corino; - per la Soprintendenza per i Beni Archeologici del Piemonte e del Museo Antichità Egizie: dott.ssa Luisella Pejrani; dott.ssa Stefania Ratto; dott. Angelo Carlone; - per la Compagnia di San Paolo: dott.ssa Maria Rosaria Cigliano; dott.ssa Laura Fornara.

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62 - Il restauro della Portain Palatina di Torino Scavi archeologici via XX Settembre con la Torre Campanaria e la cattedrale di San Giovanni Battista, 1940 circa (ASCT, FT 33A02_012)


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64 - Il restauro della Porta Palatina di Torino La Porta Palatina, 14 febbraio 1964 (foto Ghidoni - ASCT, GDP sez. I 1180G_011)


Un testo materico per la storia del restauro Marina Locandieri*, Michelangelo Varetto**

La lunga vicenda della Porta Palatina e dell’adiacente cinta muraria romana racconta non solo duemila anni di storia della città, delle ristaurazioni e rimodernazioni1, degli interventi edilizi sull’area, ma ci riporta anche alle tante discussioni erudite, ai commenti, alle critiche e dibattiti sui diversi interventi di restauro svolti, come riportato diffusamente anche in questo volume. La coscienza di trovarsi in presenza di un monumento del restauro, ha stimolato in noi operatori un’attenzione particolare nei confronti di tutti i segni lasciati da coloro i quali ci hanno preceduto e, come sempre deve essere per un cantiere di restauro, anche il nostro2 è stato occasione di approfondimento della conoscenza del monumento, uno dei più studiati del territorio. Oltre alla ricognizione visiva ed alla mappatura manuale, alla documentazione aerea e fotografica, a quella grafica ed alle analisi di laboratorio, nel corso del cantiere si sono fatti alcuni approfondimenti di carattere archeologico ed in particolare di lettura stratigrafica dell’elevato del muro di cinta addossato alla torre est. L’intervento è stato quindi occasione di controllo e verifica dello stato di conservazione del monumento a distanza di vent’anni dall’ultimo restauro, effettuando inoltre una valutazione sullo stato di degrado delle superfici allora restaurate e parallelamente su quelle mai toccate, come il lato esposto a nord della torre occidentale. L’attenzione del gruppo di restauro – progettisti ed esecutori – si è foca-

lizzata su operazioni di minimo intervento che garantissero risultati equilibrati sia sotto il profilo materico che di lettura architettonica e percezione estetica. L’approccio cauto e rispettoso al monumento ha guidato all’impiego di prodotti il più possibile compatibili con quanto in opera; inoltre l’attenzione all’ambiente circostante ha condotto la scelta verso prodotti e materiali di sicura efficacia e di vicina reperibilità, ovvero i cosiddetti “a chilometro zero”3. Gli studi analitici già condotti nel corso del restauro degli anni 1994-19964 ci hanno fornito le informazioni basilari relative alla caratterizzazione dei materiali e del degrado, non molto dissimile da quello odierno anche se, fortunatamente, l’area ha visto in parte ridimensionata la spinta concentrica del traffico veicolare che prima soffocava la Porta Palatina da tutti i lati contribuendone al degrado. La campagna analitica di laboratorio effettuata nel corso dell’intervento ha interessato sia il muro romano sia la Porta Palatina ed ha avuto come scopo l’analisi del degrado superficiale e la ricerca di patinature o stesure di protettivi di natura organica, al fine di mettere a punto le necessarie operazioni di alleggerimento dei depositi di particolato atmosferico5. Il monumento è stato oggetto di una preliminare ricognizione particolareggiata con l’utilizzo di un drone6 funzionale ad evidenziare, e poi interpretare, sia i problemi di conservazione legati all’aIl restauro della Porta Palatina di Torino -

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Fig. 1. Il fronte nord della Porta Palatina prima dell’avvio dei lavori (ripresa aerea)

zione aggressiva degli agenti atmosferici sia quelli dovuti a localizzati difetti nel sistema di deflusso dell’acqua meteorica (fig. 1). Una delle cause principali era imputabile alla presenza di vie di ruscellamento preferenziali dell’acqua dovute al deterioramento della vecchia faldaleria di piombo che avvolgeva la copertura in lose di pietra. Oltre a revisionare e riparare tutte le protezioni ai pia66 - Il restauro della Porta Palatina di Torino

ni inferiori dell’interturrio, si è quindi deciso di sostituire la copertura con nuovi fogli di piombo - materiale durevole, ma molto flessibile - provvedendo al di sotto un’armatura in acciaio inox al fine di sorreggere il tutto per lo sbalzo necessario (fig. 2, 3, 4). In altre situazioni la protezione delle superfici orizzontali è stata migliorata con la realizzazione


Fig. 4. Interturrio: intervento di rifacimento della copertina in piombo. Da notare la tessitura muraria con ampie zone di rifacimenti di inizio ‘900

Fig. 2. Dettaglio della struttura in acciaio inox predisposta per sorreggere la nuova copertura in piombo dell’interturrio

di copertine di malta di calce idraulica e pozzolana in sostituzione di quelle cementizie fessurate e staccate dal supporto7 (fig. 5).

Fig. 3. Torre ovest: particolare della fase di ribattitura a mano del piombo

Solo dove necessario, e dopo puntuale confronto con la direzione dei lavori, si è intervenuti in localizzati interventi di scuci-cuci o di ripristino della tessitura muraria. Sulla torre ovest sono stati integrati alcuni mattoni mancanti sugli spigoli dei merli; e così anche si è proceduto alla base della torre est dove sono state risarcite due ampie lacune con mattoni identici agli originali8 (fig. 6).

Fig. 5. Cappa in malta di calce idraulica a copertura dei fornici

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Fig. 6. Integrazioni con laterizi fatti su misura

Fig. 7. Lavoro in fune all’interno delle torri

Questo intervento è stato occasione anche di un controllo della muratura interna delle torri: i restauratori, calati in fune a causa della totale mancanza dei solai, hanno verificato le condizioni strutturali ed eseguito alcuni interventi di risarcitura delle fessurazioni esistenti (fig.7). La cura del muro di cinta Insieme alla sua vetusta base romana questa muraglia, ancora oggi alta quasi dieci metri, porta con sé innumerevoli ricuciture che testimoniano una sorta di “storia del rappezzo” e della conservazione9. Lo stato di conservazione, rispetto alla porta, era decisamente peggiore e, se escludiamo la manutenzione effettuata nel 2011 per rimuovere le piante erbacee, il muro non era stato più oggetto d’interventi dalla metà del secolo scorso (fig. 8). 68 - Il restauro della Porta Palatina di Torino

La superficie della cortina muraria si presentava coperta da micro e macroflora10 che connotava la struttura muraria con il tipico aspetto delle murature romantiche ruderali, o «dei monumenti antichi delle vecchie mura, dei castelli, delle chiese, degli ambienti urbici vari» per citare lo studioso Oreste Mattirolo11. Sebbene da un punto di vista estetico possa esserci una certa compatibilità, è evidente il rischio di problemi di conservazione dei materiali connesso al radicamento degli arbusti, a sua volta favorito dalla presenza di depositi sedimentati, sostanze organiche e terriccio nelle numerosissime cavità. Alla disgregazione dei materiali provocata dal convogliamento di acqua all’interno delle fessure prodotte dalle radici si aggiungeva il danneggiamento dovuto al continuo lavorio di colonie di insetti. Il dilavamento della muratura, il ristagno delle acque meteoriche, la progressiva perdita della funzione legante delle malte di al-


Fig. 8. Il fronte nord del muro di cinta prima dell’avvio dei lavori: sono evidenti le crescite vegetali e i dissesti della muratura

lettamento avevano portato alla decoesione della materia e ad un dissesto, soprattutto nella porzione superiore, difficilmente immaginabile prima di rimuovere le vecchie e rovinate copertine cementizie che celavano una tessitura muraria completamente slegata. Per il consolidamento delle porzioni interne della muratura a sacco, originariamente protette dalle cortine di laterizi, ed oggi a vista a causa dei tagli e delle lacune della muratura, si è ottenuto un buon risultato effettuando numerose bagnature tramite nebulizzazione di acqua di calce, funzionali a ristabilire la necessaria coesione della malta tramite l’utilizzo del medesimo legante, cioè calce aerea12. Il successivo restauro della

muratura ha avuto come premessa lo studio degli antichi impasti in opera. Diversi infatti sono i materiali che sono stati utilizzati come allettamento nelle varie epoche: l’esecuzione della muratura romana, volutamente raffinata, prevedeva giunti sottilissimi di malta di calce aerea, mentre per le ricostruzioni del XIX e del XX secolo sono stati utilizzati impasti diversi, con l’utilizzo della calce idraulica e a volte anche del cemento. Le risarciture effettuate nel corso del nostro intervento hanno pertanto dovuto confrontarsi con tutte le tecniche ed i materiali in opera sul monumento e, per questo motivo, sono state messe a punto malte differenti da utilizzare nel corso del cantiere (fig. 9). Il restauro della Porta Palatina di Torino -

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Fig. 9. Campionature di miscele di malta di calce preparate ad hoc

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Fig. 10. Ripristino delle stilature con malta di calce

Con un impasto realizzato con calce aerea e aggregati di misure diverse, per soddisfare la corretta curva granulometrica, e con attenzione anche all’aspetto estetico volutamente simile a quello originale13, si sono attentamente ricomposti i vuoti e le lacune, rendendo nuovamente solido l’insieme murario (fig. 10). A completamento dell’intervento si è proceduto con l’applicazione a spruzzo sull’intera superficie di un ciclo di biocida ad ampio spettro14 per prevenire la formazione, a breve, di nuovi organismi autotrofi e di nuovi infestanti. Si è poi proseguito con la pulitura del manufatto il cui scopo non era certo quello di annullare il tempo trascorso sulle pietre e i mattoni che lo costituiscono, bensì quello di migliorare la lettura di una stratificazione complessa, rimuovendo i depositi di particellato e gli annerimenti eccessivi. In altri casi, come sulle superfici dei fornici e dell’attiguo muro, si è quindi proceduto ad effettuare numerose prove di pulitura che hanno in parte confermato le problematiche e gli esiti descritti nella relazione di restauro del 1994-1996 (fig. 11). Data la varietà dei materiali in opera, con diversa durezza, diverso livello di degrado e, quindi, differente risposta all’azione meccanica, si è optato per una pulitura differenziata a seconda della su-

Fig. 11. Prove di pulitura Il restauro della Porta Palatina di Torino -

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Tav. 1. Interventi di pulitura

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Tav. 2. Interventi di restauro

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Fig. 12. Interventi di pulitura e sigillatura fughe

Fig. 14. Pulitura mediante delicata aeroabrasione selettiva

Fig. 13. Una fase molto lunga, ma importante, è stata la sigillatura delle fratture dei laterizi in opera, con maltina di calce e cocciopesto

Fig. 15. Le malte utilizzate in interventi precedenti che a causa del degrado erano virate cromaticamente, ma che non costituivano pregiudizio per la conservazione, sono state equilibrate a tavolozza

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Fig. 16. Lo sperone prima dei lavori

perficie e del degrado15 (figg. 12, 13, 14, 15). Ciascuna di queste attività è stata quindi quotidianamente registrata graficamente in tavole tematiche (tavv. 1,2). La messa in sicurezza dello “sperone” Sin dalle prime fasi del cantiere una delle problematiche principali è stato l’intervento di restauro e consolidamento da eseguire sull’elemento murario presente sul tratto di cinta adiacente la torre est, a rischio di crollo (figg. 16 p. 96). Storicamente questo tratto di cortina muraria faceva parte

di una muratura completa, porzione della cinta romana rimaneggiata in epoca barocca, che collegava la porta con l’edificio delle scuderie ducali e in cui vennero aperti due passaggi su progetto di Promis16 (fig. 5 p. 90 e fig. 12 p. 94). Le evidenze archeologiche17 hanno costituito le premesse per la decisione, presa congiuntamente dai funzionari delle Soprintendenze e della Direzione Lavori18, per uno smontaggio cautelativo con consolidamento e rimontaggio parziale del manufatto; è stato quindi eseguito un rilievo accurato in scala 1:20 nel quale sono stati numerati i singoli Il restauro della Porta Palatina di Torino -

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Tav. 3. interventi sul muro adiacente la torre est

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elementi costitutivi e, parallelamente, sono state verificate le caratteristiche geometriche e fisiche della muratura rilevando alcune criticità sia statiche che di conservazione (tav. 3). I primi dodici corsi superiori della muratura sono stati accuratamente separati, mantenendo l’andamento a scalare del profilo superiore; quindi la muratura in opera è stata preliminarmente consolidata in modo tradizionale, attraverso l’eliminazione dei vuoti interni e la stilatura delle fughe tra i laterizi. È stato richiesto a questo punto di effettuare un ulteriore intervento che garantisse la solidità tra il muro romano sottostante e lo sperone che, anche se leggermente ridotto in altezza, in un

punto continuava a gravare su porzioni romane a sbalzo. La scelta dell’intervento è ricaduta su una nuova tecnologia di consolidamento a secco che prevede l’impiego di barre elicoidali di acciaio19 inserite per mezzo di speciali mandrini previa realizzazione di un apposito foro pilota di diametro leggermente inferiore rispetto alla barra (fig. 17). Sfruttando le specifiche caratteristiche meccaniche del supporto, la barra, ammorsandosi sul supporto, funge in pratica da grossa vite autofilettante: la tenuta è così garantita anche senza dover iniettare all’interno resine o altri adesivi, spesso invasivi e non reversibili. L’operazione possiede inoltre un buon grado di reversibilità potendo reIl restauro della Porta Palatina di Torino -

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* Consorzio San Luca - Architetto, restauratrice di beni culturali, direttore del cantiere ** Consorzio San Luca - Restauratore di beni culturali, direttore tecnico Fig. 17. La fase di inserimento delle barre di consolidamento

cuperare le barre con azione di rotazione inversa. Le teste degli elementi inseriti sono state poi schermate con stuccature mimetiche. Nel punto dove era presente la maggior sollecitazione è stato aggiunto un ancoraggio sul lato non a sbalzo che rendesse solidale l’intero blocco alla base resistente del manufatto.

Note 1 Di ipotesi di “ristaurazione e rimodernazione” parla il progetto dell’architetto Gaetano Bortolotti del 1860 (cfr. Papotti, p. 264 e nota 14 a p. 291). 2 Il cantiere di restauro è durato complessivamente 15 mesi, da settembre 2013 a dicembre 2014, per opera dei restauratori e collaboratori delle imprese consorziate R.i.c.t. Tauro s.a.s. e Michelangelo Varetto che con passione hanno apportato la loro opera: Alice Arvieri, Giovanni Cannaò, Fabio Di Dedda, Bogdan Georgescu, Eugen Frunza, Laura Martina, Laura Morra, Daniele Mulé, Emanuele Negro, Eleonora Pavanello, Aura Pilone, Laura Testa. La società consorziata di Cesare Matta e Angelo Gaidano si è occupata degli aspetti di documentazione. Hanno infine fornito opere specialistiche le ditte Idrotecnica Piemonte di Gianni Ghidone (lattonerie), la Edilpietro (opere edili) e non ultima la Khamis ponteggi. 3 Il cantiere ha costituito caso di studio per una ricerca svolta dall’arch. Michele Paleari del Politecnico di Milano sulle prestazioni ambientali nel ciclo di vita (LCA Life Cycle Assessment) dei prodotti e tecniche adottate per la conservazione e riqualificazione dei manufatti edilizi. 4 Per una dettagliata trattazione delle analisi fatte si veda il saggio di Grassi-Stafferi-Vernè del 2003.

Fig. 18. Bocche di aereazione in pietra calcarea, prima e dopo l’intervento di consolidamento, restauro e messa in sicurezza

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Fig. 19. Il fronte settentrionale della Porta Palatina dopo l’intervento di restauro 5 Alcuni campioni sono stati sottoposti ad indagini spettroscopiche infrarosse a trasformata di Fourier (FT-IR) per ottenere informazioni aggiuntive sui composti presenti, con particolare attenzione alla presenza di elementi di degrado. Alla pirolisi associata a gascromatografia/ spettrometria di massa (Py-GC/MS) è stata invece demandata la possibilità di ottenere informazioni sulla natura chimica così da caratterizzare elementi inquinanti e definire la presenza di eventuali patinature artificiali, successivamente esclusa dai referti. Le analisi di laboratorio sono state eseguite dal dott. Marco Nicola del laboratorio Adamantio s.r.l. di Torino. 6 La documentazione preliminare è stata eseguita, oltre che in fotografia digitale tradizionale, anche con l’impiego di un drone quadricottero con telecamera ad alta defi-

nizione (modello DJI Phantom 2 vision, con grandangolo a 120° e risoluzione 14 megapixel) in modo da poter visionare alla giusta e costante distanza ogni elemento del manufatto senza l’interferenza del ponteggio. 7 Il problema, puramente di natura estetica, di come proteggere il monumento senza avere una vistosa sottolineatura chiara in corrispondenza di ogni arco dei fornici, è stato risolto lasciando leggermente arretrata la malta di calce idraulica utilizzata per l’impasto e rifinendo verso il bordo con malta di cocciopesto, meno visibile). 8 Alcuni mattoni di formato romano sesquipedale ed altri di formato diverso sono stati realizzati appositamente a mano e su misura dalla Fornace di Sezzadio (Alessandria), con argille naturali essiccate lentamente all’aperto.

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9 La volontà di valorizzare la Porta, perseguita con l’intenzione di isolarla dal tessuto edilizio, ha messo a rischio la sopravvivenza stessa del muro e dobbiamo solo alla resistenza di Carlo Promis nel 1864 se oggi continua a segnalare simbolicamente, e non solo, l’inizio della città quadrata: un dibattito a cui posero termine le distruzioni belliche dell’ultimo conflitto che, pur risparmiando miracolosamente la Porta, hanno liberato il muro dagli edifici ad esso addossati, lasciando ai contemporanei il compito di riordinarlo e di risarcire i vuoti. 10 Sul lato nord del muro di cinta, oltre ai muschi, erano presenti anche felci di diverso tipo: da quelle a foglie allungate e finemente frastagliate che crescono sui muri umidi a quella più grande, la Felce dolce o Polipodio, insieme a quella più piccola, la Felicicchla, o Erba rugginina. Tra le altre piante erbacee infestanti era piuttosto diffusa la gramigna che con le sue radici fittonanti si insinua tra le pietre e i mattoni, anche in profondità, creando delle vere e proprie reti fitte e si riproduce da una qualsiasi parte delle proprie radici rendendone difficile l’eliminazione. 11 Mattirolo, 1923. 12 Questo grassello di calce magnesiaca, proveniente dalle cave di Piasco, è stato scelto - oltre che per l’efficacia per la certificata stagionatura (almeno 24 mesi in fossa) e per la vicinanza della cava di Rossana alla fornace, in linea con la nostra filosofia di sostenibilità dell’intervento che esamina anche il ciclo di vita dei prodotti utilizzati (LCA), ovvero le caratteristiche di produzione, trasporto e smaltimento finale. 13 Sulla base delle campionature delle numerose malte presenti in opera, sono state realizzate appositamente degli impasti di malta di calce naturale aerea e/o idraulica e aggregati a granulometrie e colore differenti. 14 Lichenicida concentrato 464 di Bresciani in base solvente (formulato a base di Di-Cloro-Octil-Iso-Tiazolone, Iodio-Propil-Butil-Carbammato, Octil-Iso-Tiazolone). Va rilevato però che, rispetto al passato, i biocida di nuova formulazione - meno impattanti per la salute e per l’ambiente - manifestano una sensibile riduzione dell’efficacia e della durabilità nel tempo dei trattamenti. 15 Gli impacchi in acqua demineralizzata posti sulla superficie e lasciati agire tempi diversi non hanno dato risultati apprezzabili, anche se, soprattutto sulla muratura a nord, hanno contribuito ad ammorbidire gli annerimenti di alcuni corsi di mattoni, poi ripuliti maggiormente con l’uso di spazzolini; e ugualmente anche gli impacchi caricati con carbonato d’ammonio, lasciati in posa e seguiti da una successiva rimozione manuale con risciacquo in acqua demineralizzata, non sono stati efficaci. Sono

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state quindi eseguite ulteriori prove con impacchi di gel AB57, ottenendo risultati migliori, ma comunque non soddisfacenti, e inoltre la necessità di eseguire risciacqui successivi, in presenza di strutture murarie composite, avrebbe comportato un’eccessiva bagnatura dei materiali e un grande consumo di acqua. Si è infine proceduto con delle prove di pulitura meccanica mediante utilizzo di macchina eco-sabbiatrice a vortice rotativo IBIX Elix 9 utilizzando inerti indicati per l’aeroabrasione, calibrando la pressione e la distanza del getto. Si è optato quindi per quest’ultima quale soluzione maggiormente selettiva e controllabile, mettendo a punto un sistema idoneo a rimuovere le croste ed il particolato atmosferico senza interferire con la superficie. Si è riscontrato, infatti, come l’utilizzo di carbonato di calcio (delicato e risolutivo per la pulitura degli elementi in pietra), non fosse così indicato sulla muratura di mattoni; in questo caso i risultati migliori sono infatti stati ottenuti con l’utilizzo di un minerale del gruppo dei granati composto principalmente da almandite (Garnet, granulometria 0,18-0,35 mm) ambientalmente sostenibile perché non tossico e privo di metalli. Altre varianti, quali la miscelazione dei due prodotti in percentuali diverse a seconda del punto da trattare, hanno contribuito alla definizione di una pulitura il più possibile omogenea e mai troppo aggressiva. 16 Questa muratura residua, al di sopra del filo della muratura romana, non è riportata nel progetto di sistemazione realizzato da Alfredo d’Andrade (cfr. Papotti 2003, fig. 258). Forse in un primo tempo egli riteneva di dover rimuovere la superfetazione che insisteva sul muro romano, ma la demolizione non venne di fatto attuata. 17 Lo studio eseguito dalla dott.ssa Francesca Bosman della società GEA S.A.R.T. ha previsto l’analisi diretta sulle due pareti del muro e l’individuazione dei diversi interventi edilizi raggruppati poi in fasi cronologicamente successive (USM). Si veda la relazione completa in queste pagine. 18 L’intervento è stato diretto per conto della Città di Torino dall’arch. Cristina Volpi e dall’arch. Emanuela Castelli, con la collaborazione dell’ing. Elena Grillone, della geom. Federica Ghidella e della dott.ssa Cristina Maria Arlotto, sotto l’alta sorveglianza della Soprintendenza ai Beni Archeologici del Piemonte nelle persone della dott. ssa Luisella Pejrani e dott.ssa Ratto, e della Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici del Piemonte con l’arch. Valerio Corino. 19 Si sono scelte barre di acciaio inox AISI 316 con trattamento perlitico Steel DryFix 10, di produzione Keracoll, lunghezza 800 mm e larghezza 10 mm, in grado di garantire una resistenza a trazione maggiore di 1100 MPa.


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Particolare della torre ovest, 25 agosto 1978 (foto Giovanni Perno - ASCT, GDP sez I 1180G_017)

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Il restauro della Porta Palatina di Torino - 85 Veduta della Porta Palatina, 1951 (ASCT, GDP sez I 1180G_003)


86 Il restauro della Porta Palatina di Torino la torre campanaria e la cupola della Sacra Sindone, 1962-1964 La -Porta Palatina, sullo sfondo (foto Bressano - ASCT, EPT 01661_04)


Analisi stratigrafica delle mura tra la Porta Palatina e via XX Settembre Francesca Bosman*, Luisella Pejrani Baricco**

Tra il 2011 e il 2015 gli interventi della Città di Torino hanno fornito l’occasione per riprendere con metodologie aggiornate l’analisi storico-stratigrafica delle mura e parzialmente della porta. I primi lavori di manutenzione e pulizia del tratto della cinta a est della porta (A) hanno permesso di individuare e documentare nel dettaglio la sequenza degli interventi edilizi conservati in tracce sulle due pareti della cortina, che qui si estende in

lunghezza per 40 metri, con uno spessore di 2 metri alla base e circa 9,50 metri in altezza1 (figg. 1-2). L’intervento archeologico svolto nella primavera del 2014 in concomitanza con il cantiere di restauro della porta ha invece riguardato il breve spezzone (B), lungo 12 metri, collegato alla torre orientale (figg. 3-4). Qui si è verificata una diversa successione delle fasi edilizie dovuta alla differente sorte di questo segmento della cinta, non

Fig. 1. Le mura presso la Porta Palatina: il tratto orientale A dopo i restauri

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Fig. 2. Prospetti schematici della stratigrafia muraria del tratto A delle mura (rilievo di Elisabetta Genta)

Fig. Fig. 2 Prospetti schematici della stratigrafia muraria del tratto A delle mura (rilievo di Elisabetta Genta).

Fig. 3. Veduta del tratto B e della porta dopo il restauro

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Tratto A: la fase romana Il fronte sud rivolto all’interno della città è in opus listatum come tutte le parti note del circuito murario di epoca romana (fig. 6): fasce di conglomerato con paramento in ciottoli si alternano a due ricorsi orizzontali di mattoni sesquipedali, posati sia di fascia, sia di testa, che attraversano tutto lo spessore del nucleo murario con funzione strutturale4. La conservazione delle superfici originali è molto limitata e per la maggior parte la parete è frutto dell’esteso restauro degli anni Cinquanta, quando si rifece il paramento per chiudere le brecce lasciate dagli edifici demoliti. Le parti nuove si distinguono per il taglio a macchina dei ciottoli in facciavista e l’utilizzo di un legante grigio simile al cemento, mentre i tratti originali presentano una tenace e più abbondante malta di calce bianca e corsi di ciottoli non sempre spaccati e di diverse dimensioni, con conseguente sdoppiamento dei filari in alcuni punti. Il nucleo, visibile in più punti, è in conglomerato di ciottoli, frammenti di tegole e mattoni manubriati. Fig. 4. Prospetti schematici della stratigrafia muraria del tratto B delle mura (rilievo di Enrica Calabria)

inglobato nei palazzi del quartiere, che ha invece condiviso con la porta il percorso di riscoperta e restauro. In una veduta del lato esterno antecedente i restauri del 1861-1873, (fig. 2 p. 35), compaiono già i due passaggi ad arco praticati nelle mura a est della porta, aperti nel 18662, che ancora sono visibili in una immagine che precede la loro eliminazione nel 1912 (fig. 5), per l’apertura di un nuovo tracciato tramviario3. Malgrado le condizioni poste dall’Ufficio regionale, a salvaguardia delle parti originali di questo tratto di mura che la stampa dell’epoca evidenzia in rosso, il taglio fu tale da separare completamente i due segmenti della cortina.

Sul lato esterno nord la muratura originale raggiunge i sei metri circa di altezza da terra: il paramento è completamente realizzato a corsi regolari di mattoni sesquipedali gravemente erosi, con letti regolari e molto sottili (0,5 cm) di malta tenace, biancastra e a grana media, con inclusi bianchi e neri (fig. 7). Piccole riseghe di 5 cm ogni 45 di altezza conferiscono alla parete un lieve profilo a scarpa, come peraltro già riscontrato negli altri tratti visibili della cinta urbica. Tratto A: la fase medievale Una ripresa tardo-medievale delle mura si imposta direttamente sulla struttura antica e ne rimodella la fascia superiore. Lo spessore di questa parte sommitale si riduce a circa un metro rispetto ai due misurati alla base, ma è importante notare come si tratti del rifacimento del solo rivestimento superficiale del nucleo antico, ritagliato dal lato Il restauro della Porta Palatina di Torino -

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Fig. 5. Gli archi aperti nel 1866 in una stampa fotografica del 1912 che evidenzia in rosso le parti originali delle mura (ASAP, Archivio disegni)

Fig. 6. La frattura evidenzia la tecnica muraria in opus listatum di etĂ romana, con i corsi di mattoni passanti alternati al conglomerato in ciottoli

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interno alla città a formare un cammino di ronda e rivestito con un nuovo paramento. Questo è in mattoni (modulo 27x7,5x10 cm), disposti a corsi orizzontali regolari, tenuti da malta grigia a grana fine e sabbiosa che in alcuni punti reca tracce delle stilature orizzontali impresse a cazzuola. I laterizi sono disposti in facciavista sia di testa che di fascia, ma senza un’alternanza fissa, e alla sommità la muratura è conclusa da due cornici sovrapposte decorate, sempre in mattoni (fig. 8). La cornice inferiore, in ottimo stato di conservazione, è costituita da due serie di dentelli aggettanti, mentre quella superiore, più danneggiata, presenta un motivo a triangoli parzialmente scalpellato, ma ancora individuabile (fig. 9).

Fig. 7. Il paramento laterizio del lato nord esterno alla città (USM 1)

Anche sul fronte nord la muratura medievale riveste il nucleo antico con un paramento analogo a quello sud, ma non vi si leggono più tracce di stilature.

Fig. 8. Il rifacimento della fascia sommitale delle mura nel tardo medioevo (USM 2)

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All’estremità superiore occidentale si individua la base di tre merli larghi circa 130 cm, privi di paramento, che risultano anch’essi ricavati ritagliando il nucleo del muro romano (fig. 10). Lo spazio tra l’uno e l’altro venne poi chiuso da tamponature moderne. La merlatura non è visibile dal lato sud perché, il colmo della parete è alterato da una fascia di restauro in mattoni disposti prevalentemente di testa che si sviluppa per tutta la lunghezza del tratto murario. L’intervento medievale pare dunque rispondere all’esigenza di adeguamento degli apparati di difesa, con la creazione di un cammino di ronda e di merlature. Le dimensioni dei mattoni paiono compatibili con la datazione al Quattrocento, già da tempo proposta per le cornici, e che trova riscontro nelle vicende della porta, dotata di merli sulle torri su delibera comunale da mastro Nicolino del 1402-14045.

Fig. 9. Particolare della cornice medievale superiore: si sono evidenziati a contrasto i resti del decoro a triangoli in aggetto (USM 3)

Fig. 10. Uno dei merli conservati tra murature di chiusura moderne (contornate in giallo)

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Fig. 11. Gli edifici rimasti addossati al lato nord delle mura alla fine della Seconda guerra mondiale (ASAP, inv. 6020)

I fabbricati ottocenteschi addossati alle mura e i restauri del dopoguerra Nella documentazione dell’archivio della Soprintendenza relativa alle demolizioni effettuate dopo la Seconda guerra mondiale, una fotografia evidenzia i resti degli edifici del complesso delle scuderie del duca di Genova addossati al lato nord delle mura, sviluppati su tre piani nel tratto occidentale (fig. 11). La muratura romana, in parte svelata dalle distruzioni del bombardamento del 1943, è ancora intonacata e vi si leggono gli innesti delle volte a sesto ribassato dei primi due piani e dei tramezzi che dividevano gli ambienti: le impronte di queste strutture sono rintracciabili ancora oggi in corrispondenza dei numerosi interventi di ripristino (almeno in 18 punti) effettuati durante i restauri del 1953-1956, quando le mura furono completamente liberate dai ruderi addossati (fig. 2).

Tratto B: la fase romana La muratura romana si presenta a sud quasi interamente ripresa dai restauri di primo Novecento, salvo due limitate parti originali alla base della cortina, con integrazioni del paramento listato che imitano perfettamente la tecnica muraria antica (fig. 12). Questa corrisponde a quella descritta nel tratto A e la possibilità di esaminare il nucleo interno nelle brecce ne conferma la composizione in conglomerato realizzato con successive gettate di malta mista a piccoli frammenti di laterizi. Il paramento nord, pur molto eroso, si conserva quasi integro da terra sino a 6 metri di altezza, fatta eccezione per limitati interventi di restauro del d’Andrade, localizzati nella parte superiore e ben riconoscibili per le caratteristiche dei laterizi utilizzati. Il restauro della Porta Palatina di Torino -

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Tra i mattoni originali, soprattutto al livello inferiore, molti hanno l’incavo della presa (manubriatura), sempre rivolta verso il basso. I letti di malta (tenace, biancastra e a grana media) sono anche in questo tratto molto sottili e regolari. La parte inferiore, leggermente aggettante, conferma il profilo a scarpa già descritto. Degna di nota è invece la cornice in cotto sporgente a 6,20 metri da terra, della quale si conservano due brevi tratti originali alle estremità del paramento rimasto: quello a est è costituito da tre mattoni sesquipedali con facciavista frammentata, mentre a ovest si trova un unico elemento di modulo uguale ai sesquipedali, sagomato con profilo convesso a quarto di cerchio. La posizione e la morfologia di questi elementi provano la correttezza della ricostruzione dell’attuale cornice di primo Novecento (fig. 13), che ripropone la decorazione architettonica antica formata da tre corsi sovrapposti di laterizi: i primi due a fascia liscia e l’ultimo in basso stondato. Fig. 12. Il rifacimento del paramento interno del tratto B durante i restauri d’Andrade, prima della demolizione degli archi ottocenteschi del 1912 (ASAP, cart. 286)

Fig. 13. La cornice sul lato esterno della cortina romana ricostruita dal d’Andrade sulla base di elementi originali conservati

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La pulitura e l’analisi della zona a piano terra hanno verificato l’aggancio tra le mura e il basamento quadrangolare della torre orientale della porta, realizzato anch’esso a gettate sovrapposte di conglomerato di ciottoli e abbondante malta, alternate a stesure di soli piccoli frammenti laterizi, probabilmente sistemati a regolarizzare la muratura in corso d’opera (fig. 14). Il conglomerato conserva parzialmente il rivestimento in mattoni sesquipedali disposti a scarpa, al quale si sovrappone il paramento nord delle mura (fig. 15), seguendone l’andamento obliquo, a ulteriore riprova che – almeno come sequenza di cantiere – le mura furono costruite dopo le porte della città. La connessione tra mura e torre fu già dettagliatamente documentata dal d’Andrade, che appositamente la conservò in vista senza rivestirla del paramento nuovo utilizzato per le altre parti piramidali dei basamenti delle torri. Tratto B: la fase seicentesca A differenza del tratto orientale A delle mura, nello spezzone B non c’è traccia della fase medievale,

Fig. 14. Particolare del nucleo interno del basamento della torre orientale con stesure di minuti frammenti laterizi alternate a corsi di ciottoli (USM 17)

evidentemente andata completamente distrutta, mentre sulla sommità residua della cortina romana, a 6,30 metri da terra, si eleva parte di una esile struttura in mattoni (25x8,5x5,5 cm) spessa soltanto 40 cm, legati da una malta grigio chiaro, friabile e grossolana di calce e ghiaia, stesa in letti abbastanza regolari spessi circa 2-2,5 cm (fig. 16). Il modulo dei mattoni e il tipo di malta suggeriscono una datazione compresa tra la fine del XVI e il XVII secolo. Nella fotografia antecedente il taglio del 1912 (fig. 5) questo muro si presenta molto più conservato rispetto alle attuali condizioni, ma l’andamento irregolare del profilo superiore fa pensare che fosse parte residua di una costruzione demolita, che aveva subito anche riparazioni e modifiche, come attestano le due ricuciture riscontrate alle estremità del lacerto murario sopravvissuto. I restauri d’Andrade, 1903-1915 Prima di intervenire sulla struttura, d’Andrade eseguì un approfondito studio sulla porta e sulle tecniche murarie originali, come attesta ad

Fig. 15. Particolare della sovrapposizione delle mura sul basamento della torre orientale della porta Il restauro della Porta Palatina di Torino -

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Fig. 16. Lo sperone murario seicentesco rimasto in cima al tratto B delle mura (USM 7, 11, 16)

esempio un suo foglio di appunti e disegni del 29 settembre 1884 (fig. 17), in cui annota la descrizione del basamento delle torri, del paramento sud delle mura e la composizione del conglomerato visibile nelle rotture della struttura: osservazioni tutte puntualmente riscontrate durante le ultime analisi archeologiche. Le riprese murarie del restauro che ne seguì, sebbene impieghino una malta che imita quella antica, sono ancora oggi ben leggibili su entrambe le superfici. L’opus listatum ricostruito sul lato sud si distingue per il taglio a macchina dei ciottoli, mentre il paramento nord è risarcito con mattoni fabbricati appositamente dello stesso modulo romano, ma con impressa la data 1908 (fig. 18) e anche su uno degli elementi di ricostruzione della cornice si leggono le lettere “...NITE” di un marchio di fabbrica (fig. 19). Si notano infine sulla superficie dei laterizi delle striature eseguite quando i mattoni erano già in opera, probabilmente per armonizzare le superfici nuove con quelle antiche. * Archeologa, titolare della Gea s.a.r.t. ** Funzionario archeologo, Soprintendenza Archeologia del Piemonte

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Fig. 17. Rilievi di particolari costruttivi e ipotesi ricostruttive in una tavola di Alfredo d’Andrade (Musei Civici Torino, Fondo d’Andrade). Da Papotti, 2003, fig. 252


Fig. 18. Particolare del paramento laterizio restaurato nel 1908, come attestano le date impresse sui mattoni

Fig. 19. Particolare della cornice ripresa con laterizi di primo Novecento, di cui uno lascia visibili le lettere finali ‌NITE del marchio

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Note 1 Pejrani Baricco et al., 2012, p. 308. 2 La ripresa fotografica è conservata in più copie negli archivi della Città e dei fondi d’Andrade delle soprintendenze. Per le notizie sull’apertura degli archi: Papotti, p. 268 e fig. 248 a p. 262. 3 La deliberazione dell’abbattimento degli archi è del 3 aprile 1912, conservata negli Atti del Municipio di Torino, 1912, p. 1580: Mercando, 1981, pp. 98-99, nota 98; Ead., 2003, p. 73, fig. 70. 4 Le fasce in ciottoli sono alte 62 cm; i mattoni misurano 43/44 x 7/7,5 x 29/30 cm. Sull’opus listatum: Righini, 2005. 5 Per la datazione delle cornici e la disamina sulla cronologia delle merlature delle torri, ancora visibili nella documentazione iconografica fino ai restauri avviati da Carlo Promis nel 1861, si veda Donato, 1993, pp. 352-355, con bibliografia precedente.

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Veduta della Porta Palatina, 1974 (foto Bressano - ASCT, EPT 00139_01)

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100 - Il restauro della Porta Palatina di Torino Veduta di via Porta Palatina angolo via della Basilica, dopo il 1945 (ASCT, FT 25B02_017)


Un nuovo punto di vista: la Porta Palatina centro della futura progettualità del parco archeologico torinese Rosalba Stura*

La Città di Torino, nell’ambito delle più ampie politiche di rinnovamento che hanno portato alle grandi trasformazioni del patrimonio culturale cittadino, ha avviato, in questi ultimi anni, importanti azioni per la conservazione e la valorizzazione di alcuni beni di interesse archeologico, integrati nel suo tessuto urbano centrale.

deliberazione di Giunta Comunale in data 20 novembre 2012, per un importo complessivo di Euro 594.000,00, finanziato in buona parte dalla Compagnia di San Paolo.

Dopo gli innumeroli rimaneggiamenti del passato, negli anni ‘90 furono eseguite alcune opere di restauro che hanno interessato la sola Porta Palatina, lasciando inalterato il tratto di muro di cinta.

L’intervento realizzato alle Porte Palatine non deve essere, però, inteso come semplice opera di restyling fine a se stessa, infatti si colloca all’interno di un programma assai più vasto che ha come finalità generale la riqualificazione ambientale dell’intero comparto, a partire dalla creazione, negli anni 2003-2004, del Parco Archeologico su progetto del prof. arch. Aimaro Oreglia d’Isola, fino al più recente programma per la valorizzazione dell’area dei “Giardini Reali”, costituita dai Giardini Reali Superiori, racchiusi fra Palazzo Reale ed i bastioni della cinta muraria della città, e i Giardini Reali Inferiori compresi fra corso San Maurizio, viale I Maggio, via Rossini, parte delle mura dei Giardini Reali Superiori e parte del viale Partigiani.

I lavori, iniziati a settembre 2013, si sono conclusi nello scorso mese di dicembre 2014, ad opera del Consorzio San Luca per la Cultura, l’Arte ed Tra questi, il complesso archeologico delle Porte il Restauro di Torino, sotto la direzione della Città Palatine, costituito dalla Porta urbica, dal tratto di di Torino – Servizio Edilizia per la Cultura e l’almura di cinta di periodo romano e dal giardino ta sorveglianza della Soprintendenza per i Beni circostante, rappresenta uno dei principali riferi- Archeologici del Piemonte e del Museo Antichità menti culturali-turistici della Torino centrale, con Egizie e della Soprintendenza per i Beni Architetimportanti ricadute per lo sviluppo dell’intero ter- tonici e Paesaggistici per le province di Torino, ritorio. Asti, Cuneo, Biella e Vercelli.

Recenti osservazioni e puntuali verifiche hanno portato a constatare l’elevato stato di degrado in cui versava il tratto di muro di epoca romana, collocato in un ambiente esterno fortemente esposto agli agenti atmosferici ed inquinanti. Dopo aver effettuato, nel corso del 2011, una prima pulitura superficiale per evitare il continuo proliferare delle vegetazioni sui resti del muro romano, la Città ha avviato l’intervento definitivo per il Restauro conservativo delle varie superfici delle Porte Palatine, approvando il progetto con

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ruolo del sito, attraverso la creazione di una serie di servizi (parcheggio auto, centro informativo e punto di ristoro), finalizzati ad una prima accoglienza dei turisti che intendono visitare i Giardini Reali ed il centro monumentale di Torino; in secondo luogo addivenire alla riqualificazione dell’area verde dei “Giardini Reali Inferiori” con una continuità sia ideale, sia materiale con i “Giardini Reali Superiori”; e, in ultima analisi, valorizzare i “Giardini Reali Inferiori”, immaginati non solo come parco urbano, ma come snodo di collegamento con il Museo di Antichità, il Parco Archeologico e con i “Giardini Reali Superiori”1. Fig. 1. Il Giardino Inferiore prima dell’intervento e in una simulazione del dopo intervento

Si tratta di un’area di elevato valore storico, ambientale, culturale ed artistico, collocata alle spalle di Palazzo Reale dove confina con importanti assi viari, offrendo percorsi culturali e turistici di grande interesse: - verso il centro storico; - verso i più importanti musei della città; - verso le più significative aree archeologiche, compreso il complesso delle Porte Palatine; - verso la zona della movida torinese; - verso Porta Palazzo, il ‘’ventre’’ di Torino. L’importanza e la centralità del luogo è stata alla base degli studi affrontati all’interno della Città di Torino che hanno portato, nel luglio 2014, all’approvazione, da parte del Consiglio Comunale, dell’Accordo e del Programma di Valorizzazione del compendio dei Giardini Reali, ai sensi del Decreto Legislativo 85/2010, dopo aver ottenuto il benestare dalla Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Piemonte e dall’Agenzia del Demanio. Gli obiettivi proposti dal Programma di Valorizzazione sono molteplici: in primis enfatizzare il 102 - Il restauro della Porta Palatina di Torino

Attraverso questo percorso immerso nel verde si può procedere per il Parco archeologico, attraverso il giardino del Museo di Antichità, l’area del teatro romano e della Porta Palatina, per arrivare al Duomo con la sua area archeologica e poi in piazza Castello; fulcro per la visita nei principali musei cittadini (Palazzo Madama, Polo Reale, Museo Egizio). Anche nella centralissima piazza Castello sono in corso alcuni interventi di completamento, già in parte attuati con un primo lotto tra il 2010 ed il 2011, per realizzare la copertura definitiva sui resti archeologici recuperati della Galleria ipogea di Carlo Emanuele I e rendere, così, nuovamente ripercorribile e visitabile uno dei più suggestivi spazi cittadini. Dall’area della Porta Palatina, inoltre, è possibile proseguire il percorso archeologico e culturale verso la zona della chiesa della Consolata e resti adiacenti, il Museo d’Arte Orientale, il Museo della Resistenza e, infine, il Mastio della Cittadella su via Cernaia, ultimo elemento architettonico rimasto dell’antica fortificazione pentagonale, realizzata da Francesco Paciotto da Urbino nella seconda metà del Cinquecento, dove, in occasione dei recenti lavori di restauro e di recupero funzionale, sono stati trovati, al piano terra, i resti di una necropoli forse risalente al IV-V secolo d.C. e quelli


Fig. 2. L’area giochi prima dell’intervento

di una struttura muraria di periodo antecedente alla costruzione del Mastio, con probabili relazioni alla chiesa medievale di San Solutore. La delicata tematica che riguarda i beni di interesse archeologico rimane tuttavia aperta, con molte situazioni ancora da affrontare che potranno trovare una valida risposta nelle sinergie derivanti dal coinvolgimento di soggetti pubblici e privati, in modo da superare le difficoltà economiche del periodo e individuare i migliori percorsi tematici da intraprendere per ottenere azioni concrete e su un ampio raggio. Altra tematica, ugualmente importante, è la programmazione degli interventi di carattere manutentivo per la conservazione nel tempo dei manufatti: anche in questo caso le difficoltà sono prevalentemente di carattere economico, pertanto occorre individuare le priorità, evitando il più possibile gli interventi in emergenza che spesso non portano alla risoluzione dei problemi. * Architetto, dirigente del Servizio Edilizia per la Cultura della Città di Torino - Direzione Servizi Tecnici per l’Edilizia - Responsabile dipartimento.

Fig. 3. L’area giochi dopo l’intervento

Note 1 La redazione del progetto di valorizzazione dei Giardini reali è stata realizzata mediante la collaborazione di: - Città di Torino – Direzione Patrimonio, Diritti Reali, Valutazioni e Valorizzazioni; - Città di Torino – Direzione Servizi Tecnici per l’Edilizia Pubblica - Servizio Edilizia per la Cultura; - Città di Torino – Direzione Edifici Municipali, Patrimonio e Verde - Servizio Verde Gestione; - Città di Torino – Direzione Infrastrutture e Mobilità Servizio Suolo e Parcheggi; - Città di Torino – Direzione Infrastrutture e Mobilità Servizio Mobilità. Il restauro della Porta Palatina di Torino -

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Il restauro della Porta Palatina di Torino - 105 L’area antistante la Porta Palatina, 18 agosto 1951 (ASCT, GDP sez. I 1180G_004)


La Porta Palatina vista dall’alto sotto una folta coltre di neve, 10 marzo 1960 106 - Il restauro della Porta Palatina di Torino (ASCT, GDP sez I 1441C_096)


L’area delle Porte Palatine e la “città fluida” Andreas Kipar*

La Porta Palatina testimonia i luoghi che sono cerniera tra un tessuto urbano e l’altro, e, specie qui, la trasforma in un vero monumento in verticale di quella parte di città. Quando si arriva al suo cospetto si prende immediatamente atto della mancata risoluzione di uno spazio pubblico continuo: c’è un monumento nel vero senso della parola, ma non c’è un continuum di uno spazio in grado di dare risposta funzionale e morfologica alla porta stessa. Nella trasformazione delle spine urbanistiche, dall’industria alla post industrialità, il progetto ha funzionato perché ha creato il nuovo. Oggi i monumenti devono saper essere invenzioni per dare una risposta al rapporto con lo spazio pubblico che li circonda. La vera qualità delle porte sta proprio nel fatto di essere in between, tra le cose: non è in mezzo a, ma è soglia tra un mondo e l’altro. Attraversando questo luogo si può notare immediatamente la mancanza di una riflessione su questo spazio pubblico, perché non viene dato atto della miscellanea tra un quartiere e l’altro, tra più tessuti urbani. Lì sta proprio il potenziale: chi ridisegna le città non lo fa più partendo da un approccio di tabula rasa. Il piano delle spine - fantastico piano regolatore - ha puntato sulle spine, ovvero sul nuovo. Il nuovo piano per la città di Torino dovrebbe essere considerato sui tessuti che sono ancora ambigui, che sono ancora in between e non più sulla addizione, ma semmai sulla detrazione. Quello di cui la Palatina ha bisogno è spazio all’interno di un tessuto

densamente stratificato, ma senza alcuna banalizzazione. Le città italiane sono piene di monumenti che sono parte della loro storia e del loro DNA estetico e funzionale. Conferire senso ai monumenti all’interno di un disegno strategico della città che si apre che diventa area a tessuto metropolitano, significa innanzitutto prendere coscienza del ruolo del monumento, operando anche delle scelte. Le porte in questo senso sono sempre simboliche perché “soglia” e quindi luogo a cui conferire spazio come area in mezzo a, ottenendo così la giusta provocazione per farla diventare qualcosa che va al di là della “Porta”. Probabilmente oggi non abbiamo più bisogno delle porte, ma del monumento ne sentiamo il bisogno: quindi se non abbiamo più bisogno di una porta probabilmente dobbiamo aprire lo spazio e lasciare la porta. Ecco che a questo punto la porta diventa di per sé monumento. Quando si parla di considerazione sulla città e sul paesaggio urbano, occorre fare i dovuti salti di scala: dalla scala macro alla scala micro per passare a pensare che uno spazio come questo assume un enorme potenziale all’interno di un processo più che di un progetto, nel senso di un processo di avvicinamento. Essendo perlopiù un monumento romano che dialoga così poco a fondo con la città barocca torinese, esprimendo quindi una sua autonomia, esso merita tripla considerazione che si traduce nel prendersi innanzi tutto il dovuto Il restauro della Porta Palatina di Torino -

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tempo per osservare, osservare, osservare prima di intervenire. L’ho provato personalmente in una notte, dalle otto di sera fino alle due di notte quando sono ripartito da questo luogo, per verificare la possibilità dell’inizio di un racconto che parte dall’osservazione. E per quel luogo serve più che altro un racconto capace di innescare un processo. C’è chi sostiene che le città della dopo-modernità hanno bisogno di una cosa: spazio, spazio e poi spazio. Torino ne ha di spazio: ha spazi ben qualificati che sono sia spazi lineari sia spazi areali come le grandi piazze, dei giardini, dei parterre, dei boulevard. Torino è una città degli spazi. Allora oggi aggiungere qualcosa a questo dibattito intorno alla spazialità significherebbe innanzitutto ragionare sul togliere le barriere. In questo caso, avendo dato molta enfasi progettuale proprio nella barriera, in un tessuto già fortemente costipato, la grandiosità di un monumento non può venire fuori. Allora - in fondo il passaggio tra città e campagna è ancora lì, in quell’immagine eloquente fra momento e spazio verde circostante, solo che è una campagna dietro le sbarre, dietro un recinto, non raggiungibile. E ogni tentativo di volere in qualche maniera bypassare, entrare diagonalmente per arrivare in maggiore libertà agli spazi principali, viene impedito da una chiusura degli spazi di immediata pertinenza. Se osserviamo come vengono vissute le città nei tempi attuali, in un mondo con sempre maggiore ignoranza storica, il sovraccarico di significato dal punto di vista dell’ubicazione legata a principi di una volta non può suggerire a mio avviso nuove soluzioni: si rischierebbe di suggerire soluzioni sulla base di un passato che fu. Oggi Torino sta guardando il futuro. Se ha lasciato il passato remoto, se ha lasciato il passato recente, oggi deve proiettarsi alla ricerca del presente presente e del 108 - Il restauro della Porta Palatina di Torino

presente futuro. Allora può essere invece utile cogliere l’occasione, a partire da quanto Torino ha sempre saputo fare attraverso gli interventi artistici, promuovere considerazioni artistiche intorno a questa tematica: potrebbe essere la cosiddetta fase zero di un processo prima ancora di un intervento qualificato. Oggi per risvegliare questi monumenti nella città servono innanzitutto provocazioni. Provocazioni artistiche, provocazioni funzionali e, perché no, provocazioni alla fine anche morfologiche: ma partendo dalla fase zero del dibattito osservativo. Una volta sedimentata una fase zero può partire anche una fase uno, ma partire con questa senza una fase zero oggi rischia di diventare un boomerang non solo per l’amministrazione, ma anche per i cittadini. Il restauro stesso costituisce il primo tassello ad un rinascimento di un monumento; ma è appunto il primo tassello, perché il restauro da solo non è sufficiente. Il riposizionamento di un monumento all’interno di un tessuto urbano vuole dire molto di più di un restauro, vuol dire pensare al tessuto della città stessa, al significato di un monumento e magari anche a quello che la città stessa vuole conferire di significato non solo alle Porte, ma ai propri monumenti. Fare una riflessione sui propri monumenti vorrebbe dire riposizionarli all’interno di un tessuto e renderli maggiormente riconoscibili, ma non con una banale cartellonistica. Nel momento in cui Torino Città d’Acque non vuole rimanere uno slogan, noi non solo dobbiamo riconsiderare Dora, Po, Stura e tutti gli affluenti, ma il paesaggio urbano che da essi ne deriva. Oggi interpretiamo solo morfologicamente i corsi d’acqua, ma in realtà una volta Torino era segnata urbanisticamente dai corsi d’acqua. E allora conferire una specie di ductus, una sorta di passeggiata, di continuità tra le parti, significherebbe anche ricostruire il nuovo meandro della città della


dopo modernità. Perché anche una città così sapientemente pietrificata come Torino, così sapientemente codificata come Torino, può permettersi di diventare fluida, ma creando nuove relazioni, dando vita a nuove forme, tramite processi di connessione. La città delle relazioni è quella che sa mettere in collegamento tanti eventi, anche di natura opposta e creare nuovi spazi di relazione che non sono per nulla codificati dalla storia, ma ricodificati dalla nuova esigenza di muoversi liberalmente nella propria città. E questo approccio è quello del modello dei “Raggi Verdi”1, la filosofia dei raggi verdi, ovvero del meandro e di altre nuove forme di città.

sociazione, un’iniziativa, un gruppo che ragiona perché coglie l’occasione di evolversi. Goethe parlava del paesaggio come fosse forma plasmata che, solo vivendo, evolve. Penso allora che oggi il tema intorno ai monumenti sia quello di riportare indietro ad un operare sociale più vitale: potremmo dire meno monumento, più vita; che vuol dire, alla fine, più monumento con vita. Questo mi piacerebbe: pensare in questa direzione processuale, al di là di ogni carica eccessiva progettuale, di interpretazioni astronomiche, macro o microscopiche.

Ovviamente aver saputo posizionare - come i Romani fecero - i propri monumenti, le proprie porte non solo dal punto di vista geograficamente corretto, ma anche dal punto di vista morfologicamente corretto, tradisce una grande sapienza ed anche una grande voglia di governo. Governare significa posizionare i temi. Oggi viviamo in una società che non sa governare, che quasi non vuole governare stando spesso dietro i fatti, tentando di rincorrerli per semmai tentare di riparare. Ecco allora l’importanza di riprendere un ruolo di governo come stanno facendo le grandi città in Europa, attraverso visioni di futuro e di gestioni dei problemi con i piani strategici. Torino pensa al proprio futuro in maniera diversa, ad esempio con i suoi documenti come “The Evolving City”2 nei quali parla di evoluzione, non più di trasformazione, perché il periodo della trasformazione è già passato. Oggi dobbiamo evolvere e per evolvere bisogna creare format partecipativi anche all’interno della città, proprio per posizionare i temi. Quello che una volta poteva fare un governatore romano, oggi lo potrebbe fare un comitato cittadino, un’as-

* Architetto paesaggista Estratto dall’intervista rilasciata in esclusiva al Consorzio San Luca il 18 marzo 2015 presso lo Studio Land di Milano (editing a cura di Monica Mantelli).

Note 1 Si tratta del progetto di aggregazione ambientale-paesaggistica della cintura verde urbana adottato da Milano. Cfr.: Andreas Kipar, Giovanni Sala, Raggi Verdi – Green Vision for Milano 2015. A green strategy for the milanese metropolis, Aedes Land, Milano 2015 2 Pubblicazione di promozione urbanistica prodotto dalla Città di Torino. Cfr.: Torino Evolving City. You can bet on Torino, a cura di Urban Center Metropolitano, Torino 2015

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110 - Il restaurodi della Porta Palatina di Torino e Porta Palatina, 28 settembre 1957 Particolare piazza San Giovanni (foto Cappelli - ASCT, GDP sez. I 1180G_006)


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112 - Il restauro della Porta Palatina di Torino Porta Palatina sotto la neve, 1980 circa (ASCT, GDP sez. I 1441E_007)


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116 - Il restauro della Porta Palatina di Torino Veduta della Porta Palatina con il Duomo e la torre campanaria, 26 ottobre 1971 (foto Ghidoni - ASCT, GDP sez. I 1180G_018)


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Realizzato con carattere “Palatino” (design Hermann Zapf, 1948). Finito di stampare nel mese di giugno 2015 Consorzio San Luca per la cultura, l’arte ed il restauro via dei Mille 14, 10123 Torino - tel. 011.8170928 info@consorziosanluca.eu - www.consorziosanluca.eu



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