Elogio del prosciutto

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L’[elògio] del prosciutto 01

Aria di Festa 28.06.2014 San Daniele del Friuli


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/Contenuti Video L’elogio del prosciutto 28 giugno 2014, Gegè Telesforo, Elogio in musica 7 /DoPPiA FunzionAlità

/PennA per scrittura olografa

Musica Piero Sidoti, Leggermente Gegè Telesforo, So Cool

/Pen-Drive per scrittura memoria di massa [capacità 4 GB]


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un convivio di musiche, letture, canzoni e invenzioni dedicato all’elogio del buon prosciutto e del buon vivere.


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ProGetto Consorzio del prosciutto di San Daniele A CurA Di Paolo Patui, direttore artistico di leggerMente

teSti Stefano Bartezzaghi, P per prosciutto Andrea Collavino, Chi scro fa l’aspetti Masolino D’Amico, Il prosciutto nel teatro inglese Angelo Floramo, L’elogio del porcello leonardo Manera, Ah prosciutto! Antonella Sbuelz, L’elogio di Ciro MuSiChe So Cool di B. Sidran-e. telesforo. edizioni Masaboba-SiAe © Groove Master edition leGGerMente di Piero Sidoti, nell’interpretazione di Piero Sidoti e Giuseppe Battiston e con l’arrangiamento di Claudio Dadone © edizioni Produzioni Fuorivia il brano è acquistabile su itunes ProGetto GrAFiCo vanessa Marcuzzi FotoGrAFie Phocus Agency viDeo Alpha video

© 2014 ConSorzio Del ProSCiutto Di SAn DAniele via umberto i 26, 33038 San Daniele del Friuli uD t 0432 957515 www.prosciuttosandaniele.it

leGGerMente c/o Biblioteca Guarneriana via roma 1, 33038 San Daniele del Friuli uD www.leggermente.it


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L’[elògio] del prosciutto Aria di Festa 28.06.2014 San Daniele del Friuli


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MArio eMilio CiChetti

Direttore Del ConSorzio Del ProSCiutto Di SAn DAniele

l’azione di promozione che il Consorzio del prosciutto di San Daniele conduce sia in italia che all’estero è da sempre stata incentrata sull’enfatizzazione del legame che c’è tra il Prosciutto e il suo territorio di origine, e più in particolare sull’importanza che l’ambiente, la storia, l’arte e la tradizione culturale della cittadina ricoprono anche nella attribuzione dei contenuti specifici del prodotto. è principalmente questo che caratterizza il San Daniele e lo rende non delocalizzabile sia in termini socioeconomici che produttivi. All’inizio di questo progetto - pensato con leggerMente non ci sembrava del tutto scontato riuscire ad inserire all’interno di una manifestazione turistico-gastronomica, qual è Aria di Festa, un momento espressivo che contribuisse a dare una percezione del prosciutto che andasse oltre il comune modo di sentire e vivere un prodotto tipico e tradizionale, e cioè, attraverso il solo palato.


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lo abbiamo fatto proprio in questo ambito perché nell’occasione la cittadina si apre al numerosissimo pubblico che giunge ogni anno qui, per degustare la rinomata DoP. Ma anche perché Aria di festa è diventata, nei suoi 30 anni di storia, una delle più grandi feste in Friuli venezia Giulia, oltre che un appuntamento tradizionale del panorama delle manifestazioni estive dell’Alpe Adria. Attira turisti dall’Austria, dal Sud della Germania, dalla Slovenia e dalla Croazia, dal vicino veneto, dall’emilia romagna, dal lazio e dalla lombardia. Alle persone quello che piace - e che è piaciuto per tutto questo tempo che ha visto l’evento evolversi e trasformarsi - è il prosciutto, ma anche e soprattutto il “racconto del territorio” che la festa ha continuamente reso materialmente tangibile, ma anche visivamente identificabile, in tutte le vie e piazze della città. il racconto del territorio non è solo visivo e gustativo, abbiamo infatti ricercato un forte tratto di sperimentazione ed innovazione. l’idea è stata quella di coinvolgere il pubblico, in forma nuova e diversa, direttamente nella “comunicazione del valore differente” che possiede in via esclusiva il San Daniele, anche rispetto ad altri prodotti. Su queste basi negli ultimi anni si è sviluppata una sempre più intensa collaborazione tra leggerMente ed il Consorzio,


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entrambi convinti che in un contesto idoneo l’espressione delle arti e della cultura si coniugassero, e spesso riuscissero perfino a confondersi, con il prodotto che è caratterizzato dalla storia, dall’ambiente, e dalle tradizioni quanto lo è dalla stessa cultura produttiva dei suoi prosciuttai. l’elogio del prosciutto sembra quindi naturalmente incardinato proprio nella “comunicazione differente” che porta sempre di più le persone che giungono a San Daniele, e che sono sensibili verso cultura e arte, a coniugare quasi senza distinzione di tempo i momenti dello stare bene e del convivio con “il luogo”. risulta quindi evidente che il prodotto assume via via diversi significati: persone, luoghi, esperienze, ma anche consapevolezza del tempo, inteso come unità di misura della storia e del cadenzare lento delle fasi della produzione. tutti gli attori, i musicisti, gli studiosi e gli scrittori che hanno creato, interpretato e raccontato il proprio “elogio” con la loro opera hanno dimostrato una volta di più come lo stare bene sia proprio delle emozioni tanto quanto lo è dell’equilibrio del nostro corpo. tutto ciò accade ad Aria di Festa, quasi una sorta di compendio speciale e specifico di San Daniele, che appare perfettamente connaturata a questo luogo e a questo tempo.


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IndIce

inCiPit

PAolo PAtui

eloGio 1

leonArDo MAnerA

eloGio 2

AntonellA SBuelz

eloGio 3

SteFAno BArtezzAGhi

eloGio 4

MASolino D’AMiCo

eloGio 5

AnDreA CollAvino

eloGio in MuSiCA 6

Piero SiDoti

eloGio in MuSiCA 7

GeGè teleSForo

eloGio 8

AnGelo FlorAMo


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inCiPit

PAolo PAtui

Direttore ArtiStiCo Di leGGerMente

inCiPit

la cultura e la gastronomia non hanno nulla a che fare con la meccanica risoluzione di un’equazione. non basta cioè combinare eventi culturali, degustazioni e paesaggi d’incanto per ottenere un prodotto finale che sia originale. non è infatti un insieme di iniziative improvvisate a generare un risultato incisivo e produttivo. Aria di Festa è una manifestazione consolidata, con un’identità importante e definita. una manifestazione che in virtù di una sua congenita sete di rinnovamento, è capace di mettersi alla ricerca di esperienze capaci di rigenerarla e ringiovanirla. naturale allora che sentisse il bisogno di inserire all’interno di una programmazione già fitta e variegata un segmento capace di mettere in sinergia le conoscenze del gusto con quelle della cultura. la collaborazione che si è creata in questi ultimi anni fra il Consorzio e leggerMente ha fatto sì che nascesse questa prima edizione de L’elogio del prosciutto. non una iniziativa improvvisata e nemmeno occasionale, semmai nata da una riflessione su quali siano i fattori in grado di sposare fra loro le azioni del gustare e dell’assaporare con quelle del leggere, dell’osservare, dell’ascoltare.


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A determinare un simile incontro vi è una connaturata caratteristica di noi esseri umani; ovvero il piacere di condividere con altri ciò che ci piace. lo facciamo in coincidenza con mille piccole azioni della nostra quotidianità: se vediamo un film, ascoltiamo una canzone, leggiamo un libro, persino se ascoltiamo una barzelletta o una battuta comica, l’impulso che abbiamo e che ci guida è quello di condividere quel piacere, quel sorriso, quella percezione con persone a cui vogliamo bene o con cui stiamo bene. Ciò accade anche quando assaggiamo un buon vino, un piatto cucinato a dovere o quando visitiamo un ristorante in cui ci sentiamo a nostro agio. ecco: stare assieme, incontrarsi in una sorta di convivio, condividere sapori e esclusivi patrimoni del gusto. Questo era ed è l’identikit di Aria di Festa; arricchirlo con un contribuito di idee, pensieri, cultura, riflessioni, non poteva e non voleva essere un’alternativa, semmai una complementarietà rispetto a ciò che la Festa è già. l’idea allora è quella di riunire in una situazione di amichevole e confidenziale condivisione alcune persone, artisti, intellettuali, scrittori, musicisti, capaci per l’occasione non di discettare su improbabili problematiche e questioni di semiotica piuttosto che di metrica, ma di argomenti più vicini alla nostra quotidianità. e siccome di prosciutto si vive nei giorni di Aria di Festa, come non farlo divenire e rimanere il motivo ispiratore del nostro convivio culturale? Con tutte le possibili e evidenti derive che un simile motivo


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ispiratore può prevedere, quelle cioè che dal prosciutto risalgono alle fortune o agli stenti del porcello, o ai mirabolanti significati sgorgati tra le pieghe di allitterazioni e giochi semantici, per poi arrivare alla descrizione del semplice piacere di stare assieme mangiando e bevendo, discettando di sapori e gusti, ma anche di amori e sventure. un ventaglio di motivi ispiratori che, a partire da una fetta rosea e trasparente di prosciutto, ha percorso strade diversissime sotto la guida dei protagonisti di questo primo certame, di questo primo elogio, che non è una gara e nemmeno un concorso dai connotati televisivi. Semmai un ventaglio di sensibilità, di declinazioni, generi e personalità che offrono divertimento e intelligenza, delicatezza e arguzia, sapere e cultura. Come? Alcune regole semplici: nessuna ricetta, molta autoironia e la consapevolezza che parlare di prosciutto non è né uno scadimento culturale, ma nemmeno una discettazione sui massimi sistemi dell’esistenza. ultima regola? la ricerca di un team di ospiti capaci di essere complementari, non sovrapponibili, portatori di un effettivo spessore culturale che è garanzia per un approccio non esibizionista, ma garbato, intelligente, capace di delicatezza e di senso del limite. li incontrerete nelle pagine a venire, assieme a ciò che appositamente hanno scritto per un insolito e magico pomeriggio ospitato sulla cima del colle di San Daniele, in uno spazio raffinato e accogliente e capace anch’esso di contribuire alla riuscita di un elogio indimenticabile nella sua leggerezza suadente.


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Ah, ProSCiutto!

ho cercato di capire cosa c’entra la mia vita col prosciutto io sono nato nel 1967. il 20 aprile. 20 aprile. lo stesso giorno di hitler e D’Alema. Quando l’ho saputo, un po’ mi sono spaventato. Però ormai ho 47 anni e ho pensato quante volte il prosciutto è entrato a far parte della mia vita. i primi ricordi sono di quando ero bambino, al pranzo del sabato, a casa nostra, nel nostro appartamento. Mia madre andava a fare la spesa al mercato e poi, siccome dal mercato tornava all’una e non aveva tempo per cucinare, ci dava il prosciutto con le patatine. era un modo diverso di mangiare dal solito. Gli altri giorni mia madre stava sempre sui fornelli, preparava tutto dall’inizio. Faceva la maionese fatta in casa, la salsa rosa fatta in casa, la salsa tonnata fatta in casa, andando personalmente a pescare il tonno. Se avesse potuto avrebbe fatto in casa anche il prosciutto.


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Per un periodo ci ha provato, poi ha visto che era complicato allevare i maiali in cucina. Però quello del sabato per noi era un pranzo diverso, prosciutto crudo e patatine. tutto con le mani. e per noi era una specie di festa. Si lasciavano le posate da parte e ci sentivamo più liberi, una specie di vacanza. invece del sabato del villaggio, il sabato del prosciutto. Poi l’adolescenza. la prima volta che sono andato a prendere una ragazza con la mia macchina, appena presa la patente. Come macchina avevo una 127 rustica. Macchina strana, col volante in finto cuoio, i sedili in finta pelle, il motore in finto motore. Siamo andati in pizzeria. non ricordo la pizza che ho preso io. ricordo che lei ha preso una pizza al prosciutto. e in quel momento li avevo davanti. lei e la pizza al prosciutto. e la desideravo tantissimo. la pizza al prosciutto. Perché io per risparmiare avevo preso la margherita. Quando l’ho riaccompagnata a casa, non ci siamo baciati. lei mi disse: “Se vuoi baciarmi prima devi cambiare macchina”. la settimana dopo sono tornato con una FiAt DunA, ma lei non mi ha baciato lo stesso. io sono andato via da solo. A mangiare una pizza al prosciutto.


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io non ho avuto tante donne in vita mia. Alcune volte che ci ho provato non mi è andata bene. una volta in discoteca mi sono avvicinato a una ragazza in minigonna che stava ballando, le ho detto: “Ciao”, lei mi ha risposto: “no”. rapida e indolore. Però un ricordo bello ce l’ho. i primi tempi in cui stavo con la mia paramoglie. Perché non siamo sposati, ma è quasi come se lo fossimo. Come le farmacie con le parafarmacie. Sono simili. io e lei uscivamo, a volte lei mi accompagnava a fare una serata, poi tornavamo tardi, anche alle tre, e prima di andare a letto ci mettevamo sul divano, fingendo di guardare un po’ di tv, invece facevamo l’amore. Poi ci veniva sempre un po’ di fame. nel frigorifero non c’era quasi mai niente, ma un po’ di prosciutto non mancava mai. Allora lo prendevamo, lo mettevamo in mezzo a un panino e lo mangiavamo e in quel momento io mi sentivo l’uomo più felice del mondo. Mi sembrava di avere tutto, e probabilmente era vero. Poi lei mi guardava profondamente, intensamente, e mi diceva: “Facciamolo ancora”, allora io la guardavo e le dicevo: “va bene. Dove sono i panini?”


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ripensandoci, in tanti momenti della mia vita c’è stato un po’ di prosciutto ed è per questo che ogni volta che lo vedo sento un po’ di nostalgìa, ed è per questo che da oggi in avanti ho deciso di portarne sempre una fetta con me per ricordare che nella vita ci sono momenti amari, ma ce ne sono anche tanti dolci, come una fetta di prosciutto di San Daniele. Ah, prosciutto, ah, prosciutto, ah prosciutto Quante volte hai lambito la mia vita Qualche volta accompagnato Da un grissino, da un fico, da un panino Ma qualche volta…solo io e te soli Davanti al frigidaire tu che mi sfidavi e io che resistevo, mi acquattavo, ti lambivo e poi cedevo Facendoti mio Ma facendoti mio tu mi facevi tuo obbligandomi Alla sosta quotidiana


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eloGio 1

Da rolando, il salumiere “un etto e mezzo di prosciutto” “Sono sette etti, cosa faccio, lascio?” “lasci, anzi, raddoppi, me ne dia un chilo e quattro” che io consumavo come un ladro di nascosto da parenti, da amici e conoscenti. Ma quello dolce, il San Daniele, era l’unico piacere in un mondo troppo duro, in un mondo troppo crudo. San Daniele, io ti mangio ma ti invidio Sì, ti invidio Perché resti sempre uguale, non corrompi la tua carne, non cedi alle lusinghe tu mantieni il tuo sapore tu rimani sempre uguale tu, Dorian Gray dei salumi! io ti invidio, sì, ti invidio! in un mondo ormai corrotto Senza più nessun valore come esempio per mio figlio non c’è padre, non c’è madre, come esempio per mio figlio resta solo il San Daniele.


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leonArDo MAnerA Cabarettista divertente e surreale, ha legato la sua fama a una delle più felici stagioni di Zelig; per la televisione ha partecipato anche a Quelli che il calcio e Colorado. Nel 2009 è stato il conduttore del varietà televisivo Grazie al cielo sei qui, in onda su La7. Per Radio 2 ha condotto con Giovanna Zucconi Sumo, programma di approfondimento e intrattenimento su temi di attualità e cultura.


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l’eloGio Di Ciro

Illustre Signore, con questa mia umile missiva sono a richiedervi, come di consueto, di volermi gentilmente provvedere di sette zampini stagionati di persutto che voi stimiate il migliore tra i pregiatissimi vostri, nonché di recapitarlo quanto prima presso la mia dimora in San daniele. nello scusarmi per l’incomodo, abbiatevi la mia profonda stima e i miei sentiti ringraziamenti. c.d.P. Addì 22 di maggio 1626 (lettera conservata in fondo Archivistico privato presso la Biblioteca Guarneriana di San Daniele del Friuli)

Seduto alla sua scrivania, Ciro si sfregò coi polpastrelli una piccola macchia d’inchiostro che gli aveva imbrattato una mano. D’accordo, si poteva anche barare. Si può sempre barare, nella vita, voltandosi a rileggerla a ritroso: sconfitte camuffate da pareggi, pareggi camuffati da vittorie, vittorie minute come chicchi camuffate da querce secolari.


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Così, barando un po’ con se stesso, forse avrebbe potuto anche convincersi che il vero momento di gloria – il più degno dell’intera sua giornata – fosse un’occupazione di intelletto: la stesura di un nuovo sonetto, oppure un’ascetica immersione in qualche esercizio spirituale che preparasse l’animo al distacco dagli stolidi beni materiali. in fondo, ormai aveva sessant’anni: un’età che impone savietà e decoro. Si può anche barare, pensò, tuttavia arriva sempre il momento in cui ci si arrende all’evidenza che non ne vale la pena. Così Ciro ammise con se stesso che non si stava affatto preparando al commiato dai piaceri della vita. Stava attendendo che arrivasse Amelia, invece, con tutto il suo piacere della sera. Si alzò dalla severa scrivania, raggiunse a passi lenti la finestra e si sporse verso il cortile. la magnolia era in piena fioritura, e su un ramo due tortore tubavano, immemori del mondo oltre quel ramo. è la malinconia che rende fragili, è la fragilità che fa invecchiare. e lui, negli ultimi mesi, si sentiva molto invecchiato. rimuginava spesso sul passato, sulla sua giovine età ormai conclusa da tempo. Gli studi di filosofia a Bologna, il viaggio in galea verso Malta quando era stato nominato cavaliere, la spedizione contro gli ottomani in una stagione fervida e inquieta, l’errabondo suo peregrinare prima di fare ritorno alla terra che gli aveva dato un nome.


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eloGio 2

Ma fra tutte le antiche seduzioni riaffiorava con impeto maggiore la figura prepotente di taddea. Come aveva descritto il Della Casa - Monsignor Giovanni Della Casa - la bellezza di un corpo femminile in un passo del suo Galateo? Ciro tentò di rammentare. Convenevole misura fra le parti e fra le parti e ‘l tutto, ricordò. oh, se era convenevole, in taddea, la misura delle parti del suo corpo, quando aveva soltanto diciott’anni, mentre Ciro ne aveva un paio in più! Convenevoli il collo, le sue mani, le caviglie sottili e delicate, la morbida curva delle spalle. e più che convenevoli i suoi seni. taddea a diciott’anni era spavalda: a volte abrasiva come pietra pomice, altre tenera come burro fuso. la pelle che era un osanna, gli occhi penetranti di un felino e una grazia da rondine in volo: era impossibile amarla senza provare paura. o forse piuttosto la paura l’aveva sommerso più tardi, quando aveva capito che taddea era già riservata a un altro uomo. Dopo di lei, a lungo, nessun’altra. l’amore dei vent’anni è intransigente: non scende a compromessi con la vita. Forse non dovrebbe farlo mai. era stato a quel tempo, pensò Ciro, che aveva preso avvio il suo mal di pietra: frammenti granitici di sale, gli aveva


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spiegato il dottore, che si erano ficcati in fondo ai lombi e da lì, da quell’antro nascosto, praticavano l’infido potere della loro selvatica natura. le coliche erano violente come furiose grandinate estive, e come furiose grandinate se ne andavano lasciandolo spossato e ricoperto di gelo. Aveva tentato di scherzarci sopra con qualche verso ironico e leggero, che mischiava la pietà per il suo corpo al terrore per un tempo che sfuggiva. …Son nelle rene mie, dunque, formati i duri sassi a la mia vita infesti, che fansi ognor piú gravi e piú molesti, ch’han de’ miei giorni i termini segnati? Ma adesso, perdio! Stava bene. nessun assedio dai lombi. la sera era tiepida e serena. Qualche oca razzolava in fondo al prato, un gatto modulava in poche note l’urgenza di trovare una compagna. nell’aria di un aprile adolescente il volo intrecciato delle rondini tracciava arabeschi inquieti. volavano basse, pensò Ciro: segno di pioggia vicina. Però niente lo distolse fino in fondo dal pensiero ossessivo di Amelia. Amelia che di lì a qualche minuto – all’ora del vespro, come sempre - avrebbe bussato alla sua stanza e


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l’avrebbe riempita di profumo, e assieme a quel profumo voluttuoso avrebbe portato con sé anche il senso di quella giornata, il suo pacato arrendersi alla sera. in fondo alla penombra della stanza si propagò un rintocco di campane che presero a battere le ore. le sei. era l’ora convenuta. il tocco alla porta fu leggero, e lo fece lievemente trasalire. Ciro aprì senza fare rumore, e senza fare rumore Amelia si infilò nella sua stanza, mentre lui si scostava di lato. lei entrò con la testa un po’ china, attenta all’equilibrio delle cose: passi cauti, movimenti calibrati. Poi accennò un ruvido inchino, tenendo sempre in bilico il vassoio. una sottile ciocca di capelli sfuggì alla sua cipolla color topo, mentre i piedi sformati dall’artrite scivolavano dentro le pianelle e gli occhi, dal reticolo di rughe, guardarono verso di lui. Aveva i gesti misurati di chi fa la serva da una vita, ma da sempre con estrema dignità. Poggiò il vassoio sulla scrivania. Sul vassoio, disposti con cura, un calice di tokaj del Collio, due fette di pane color paglia e un piatto di porcellana bianca. Sul piatto le fette di prosciutto formavano un fiore rosato e liberavano un profumo che si impadronì dell’aria della stanza, sfrattando ogni altro sentore.


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Poi Amelia, in silenzio, se ne andò. Ciro spiegò un tovagliolo e ne infilò una falda nel colletto. Poi si chinò col viso sopra il piatto. estasiato come sempre, lo annusò. Per un attimo solo chiuse gli occhi e ripensò alla sua vita, che gli parve la rena di una spiaggia dopo una violenta mareggiata. Detriti sparsi, relitti abbandonati, resti avvinti dalle correnti e poi restituiti dalle onde: un amore mai corrisposto, schegge di marmo a dilaniargli i lombi, nessuna occasione di gloria, niente figli e ben poco da lasciare, se non le rime delle sue poesie ancora relegate in un cassetto. Poi si infilò una fetta in bocca. Per qualche istante neanche masticò. Mentre sentiva il persutto quasi sciogliersi sotto la lingua, ogni senso, eccetto il gusto, si eclissò. era un sapore caldo e voluttuoso come le labbra di taddea a diciotto anni, e convenevole al palato come un tempo lo era alla vista la baldanza del seno di lei. era un gusto avvolgente e sontuoso come lo studio della filosofia che lo aveva rapito da ragazzo tra le aule dell’austera Alma Mater, ubriacandolo e stordendolo di idee. era morbido e vaporoso come l’aria frizzante di Malta quando era approdato alla valletta e poi sulle spiagge d’oriente, all’alba della sua maturità.


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era deciso e generoso come i muri del vecchio palazzo che l’avevano accolto al ritorno, mettendo fine al suo vagabondare. Soltanto quel gusto era capace di un simile miracolo, pensò: di trasformargli in miele l’amarezza, di fargli fare pace con il tempo, di compendiare con la sua perfezione le tante imperfezioni della vita. era eresia, la sua? Si chiese Ciro. Forse sì. un’eresia di anima e gola. Ma in tal caso era un eretico felice, lui ammise degustando fino in fondo l’ultima fetta di persutto stagionato e sposandolo a un sorso di tokaj, a gloria del presente e del… palato.

Qualche nota, a commiato, su ciro. ciro di Pers, uno dei più suggestivi poeti barocchi, nacque a Pers, in Friuli, nel 1599, e morì a San daniele nel 1663. In gioventù amò davvero Taddea di colloredo di un amore infelice e contrastato. Soffrì davvero di calcoli renali, e li consegnò alla memoria dei posteri in un sonetto intitolato “Mal di pietra”. Studiò davvero Filosofia a Bologna e poi, in età più matura, nominato cavaliere di Malta, compì i viaggi che ho evocato. non ci è invece dato di sapere se fu goloso di Prosciutto di San daniele. La narrativa mescola spesso, con sfrontatezza, finzione letteraria e verità: la lettera in apertura a questo testo è uno spudorato falso narrativo. non sappiamo se ciro di Pers abbia mai ordinato in vita sua sette zampini di persutto, se l’abbia accompagnato ad un buon bianco, se l’abbia spesso gradito per pranzo oppure per cena. Ma io propendo fortemente a credere di sì. e se per caso dovessi anche sbagliarmi, vogliate scusarmi per l’incomodo e abbiatevi tutte le mie scuse.


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AntonellA SBuelz Scrittrice e poetessa udinese, di notevole raffinatezza. La sua poesia e la sua narrativa, pubblicata da Frassinelli, hanno ricevuto numerosi premi nazionali, tra i quali spicca il Premio Internazionale di Letteratura Alda Merini 2014. Il suo ultimo romanzo è stato recentemente edito anche in Inghilterra.


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P Per ProSCiutto

Paolo Patui, probo, peritoso, propinaci prosciutto portentoso. Prosciutto prediligo per pietanza pappo pantagrueliche porzioni per prugne, pesche, piselli, poponi provo poca passion, povera panza. Principe pazzo per proprio potere, prendo pinot, pomodorini, pane, pasteggio, paio proprio pescecane. Pochi polifosfati, per piacere. PasciĂ pieno, paciďŹ cato putto perennemente pazzo per prosciutto.


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eloGio 3

P Per ProSCiutto

Quando è nato lo strutturalismo lo psicoanalista Jacques lacan ha azzardato l’ipotesi che la parola ‘strutturalismo’ derivasse proprio da strutto, presentando questa sua teoria nel seminario: Il proscio strutturato come un linguaggio. il fondatore dello strutturalismo, il linguista svizzero Ferdinand de Saussure, invece, è partito dalla linguistica per arrivare poi alla semiologia, perché gli avevano fatto notare che oltre alla lingua ci sono tante altre cose da studiare: la spalla, la coppa, la coscia … i suoi eredi oggi sono arrivati alla semiotica del corpo, evidente lapsus per porco, e alla teoria delle passioni, cioè degli affetti e inevitabilmente degli affettati. il successore di Saussure, il severissimo linguista danese louis hjelmslev, teorizza i canoni dell’analisi glossematicale che deve essere completa ed esaustiva, avendo sicuramente incontrato durante gli studi di lingue comparate con il proverbio italiano ‘Del maiale non si butta via niente’.


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tra gli studi di roland Barthes è inspiegabilmente assente l’approfondimento del saggio Il crudo e il cotto applicato alla società borghese e ai suoi usi, ossia Il tramezzino e il toast, alternativa che si pone tra il crudo e il cotto quando si desidera uno spuntino, e che ha dato vita ad un corposo dibattito sul Corriere della Sera tra Claudio Magris e Aldo Grasso. tra i post-strutturalisti, il filosofo Jacques Derrida ha studiato da vero precursore l’etimologia della parola sandwich: si parla di un lord Sandwich così affezionato al tavolo da gioco da non volersi fermare nemmeno per mangiare e che in un’occasione ha chiesto al suo servitore di mettere delle fette di arrosto nel pane per non dover interrompere il gioco. Derrida ha intuito che la parola sandwich è una crasi, una specie di acronimo di: ‘San Daniele witch’. Ma l’analisi più interessante è quella sulla temporalità: cioè quale durata ha il consumo del prosciutto; spesso è incoativo, ovvero arriva all’inizio di un’azione, ad esempio quando viene servito per antipasto. oppure può avere una durata iterativa, ovvero viene continuamente servito e si finisce mangiandone mezzo chilo a testa. un esempio di durata iterativa è la Marenda sinoira, termine che nel dialetto piemontese indica un momento conviviale che dall’ora della merenda


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si protrae sin dopo la cena, una sorta di happy hour, una merenda cenoide. interessante è anche la questione dimensionale del prosciutto: da quando esce dal prosciuttificio subisce una serie continua di diminuzione di dimensione. Prima è un maiale poi rimane coscia, quindi viene disossato, tolta un po’ di cotenna, tagliato a fette e poi l’utilizzatore finale lo riduce a volte addirittura a brandelli (separando il grasso dal magro) ed entra nel nostro organismo come molecola. Altro uso non alimentare del prosciutto è quello foderativo. Si dice avere gli occhi o le orecchie foderati di prosciutto. un importante studio svolto dalle università americane riporta che ci vogliono almeno 7 fette di San Daniele per impedire la visione, per la sordità almeno 20 perché il prosciutto vibra e fa passare le onde. la centralità del prosciutto viene dimostrata proprio da quest’esempio: a rigor di logica si sarebbero dovute usare sostanze diverse, di maggior spessore, come la bistecca o la lasagna. un’analisi anagrammatica svolta dall’università iulM sulla parola prosciutto ha rilevato che corrisponde a ‘cito Proust’. Ci sono altri 2 anagrammi per delineare il percorso passionale del prosciutto: ‘Cupo tristo’ ovvero quando il prosciutto non


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c’è e ‘Psico tutor’ ovvero tutoraggio psicologico a prezzi più convenienti di un qualsiasi psicoanalista. Per il prosciutto cotto abbiamo: ‘Costrutto topico’ ovvero frase standardizzata, tormentone. il prosciutto cotto è infatti immediatamente disponibile per chi vuole accedervi. Per il prosciutto crudo: ‘trucco di Proust’. e qui torna Proust che ne La ricerca del tempo perduto una sera rincasando beve del té con una piccola madeleine. Proust racconta che non appena la sorsata mescolata alle briciole del pasticcino toccò il suo palato, trasalì invaso da un delizioso piacere che lo riportò alla sua giovinezza. il gusto era quello del pezzetto di madeleine che la zia leonia a Combray, la domenica mattina quando andava a darle il buongiorno in camera sua, gli offriva dopo averlo inzuppato nel suo infuso di tiglio. in realtà sappiamo che la zia serviva prosciutto crudo che Proust continuava a ricercare nella famosa gastronomia parigina che si trovava in Place de la Madeleine. l’editore ha poi convinto Proust che non era molto poetico l’abbinamento tra il prosciutto e il vino della loira e l’ha trasformato nella pasta intinta nel tè, coppia ben più letteraria. la letteratura infatti cerca il sublime e si stacca dalla realtà.


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Paolo Patui, probo, peritoso, propinaci prosciutto portentoso. Prosciutto prediligo per pietanza pappo pantagrueliche porzioni per prugne, pesche, piselli, poponi provo poca passion, povera panza. Principe pazzo per proprio potere, prendo pinot, pomodorini, pane, pasteggio, paio proprio pescecane. Pochi polifosfati, per piacere. PasciĂ pieno, paciďŹ cato putto perennemente pazzo per prosciutto.


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SteFAno BArtezzAGhi Il più noto e divertente giocatore di parole italiano; scrittore, docente universitario, semiologo, performer di primissimo livello, collabora con il quotidiano La Repubblica, per il quale firma sull’inserto del Venerdì la rubrica "Lessico e Nuvole".


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HAM HAMS HAMLET HAMM HAM FISTED HAM ACTOR HAM


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il ProSCiutto nel teAtro inGleSe

Prima di dare inizio alla descrizione di un mio personalissimo percorso di ricerca, devo rivolgere un omaggio a un vecchio avvocato di Bologna, amico di mio padre, che era davvero un grande buongustaio e ci teneva a mangiare bene. Per questo motivo, quando entrava in un ristorante a lui sconosciuto, la prima cosa che chiedeva erano due fette di prosciutto. lo assaggiava e se non lo considerava all’altezza chiedeva il conto. A dimostrare che il prosciutto è il biglietto da visita di un ristorante, principio che mi piace condividere proprio qui a San Daniele e alla vostra presenza. Detto questo vi confesso che il mio sogno era quello di riuscire a rintracciare un rapporto letterario tra il prosciutto e Shakespeare, ovvero il teatro inglese. non ci sono riuscito, ma vi racconto tutto quello che ho fatto per provarci. Per cominciare ovviamente ho preso come spunto la parola, ma sarebbe meglio dire le parole, che l’inglese usa per definire il termine prosciutto. Ce ne sono infatti due: Ham, utilizzata per indicare il prosciutto crudo e Gammon, o Jambon, per individuare lessicalmente quello cotto.


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nulla di strano: nella società inglese i normanni francesi si sono imposti sui sassoni e la lingua è diventata una sovrapposizione di francese e di sassone, di latino e di germanico per cui spesso possiamo riscontrare che vi sono due vocaboli che usati distintamente distinguono in maniera precisa parole che altrimenti parrebbero assimilabili in un solo significato. Ad esempio se il vitello è vivo è chiamato calf, se cotto veal. Alla stessa stregua il bue che pascola nel prato è ox, mentre quello cotto diventa beef; così si chiama pork il suino a tavola, ma se è sul campo prende il nome di hog oppure pig. in un caso abbiamo la parola ad uso dei padroni, nell’altro quella dei servi. Ham invece è una parola germanica che significa proprio gambuccio e identifica il retro della coscia dell’animale, che anche quando viene salato continua a chiamarsi ham. e fin qui ciò che concerne l’aspetto linguistico e lessicale. Ma veniamo alla letteratura: nell’opera di Shakespeare dove incontriamo la parola ham? Spesso viene usata nel senso di gamba umana e non di prosciutto. Ad esempio i vecchi sono deboli negli hams (nel retro della gamba). Shakespeare però ci sorprende


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se affiniamo la ricerca, perché troviamo la nostra parola inglobata in un nome: HamLet, il protagonista del dramma più famoso di Shakespeare. nome non nuovo nella letteratura teatrale inglese, dato che compare anche in una farsa tardo elisabettiana in cui un personaggio secondario si chiama Hamlet, e proprio nel senso di prosciuttino, nel bel mezzo di altri personaggi che si chiamano Bacon, piuttosto che cheese. Diciamo quindi che nel nome Hamlet il senso di prosciutto c’è, eccome; dobbiamo però chiederci: da dove proviene l’hamlet di Shakespeare? e qui è necessario addentrarci all’interno della biografia dell’autore inglese: Shakespeare aveva un figlio che aveva chiamato hamnet, antico nome inglese, che deriva sempre dal vocabolo ham, ma nel suo significato originario di prato recintato (nottingham, Birmingham), poi traslato in “piccolo villaggio”. hamlet però non è solo un sostantivo, ma anche nome proprio di persona, e una sua variazione era hamnet, molto diffuso nei tempi elisabettiani. il figlio di Shakespeare, morto all’età di undici anni, ovvero cinque anni prima dell’”Amleto”, si chiamava proprio hamnet e forse nel titolo dato al suo testo teatrale, c’era nell’autore la volontà di ricordare il figlio.


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Del resto hamnet aveva una gemella che si chiamava Judith e non bisogna escludere che per lei Shakespeare abbia scritto “romeo e Giulietta” e per il figlio l’”Amleto”. Del resto però c’è un’altra teoria che lega i nomi dei figli ad una una coppia di amici degli Shakespeare, marito e moglie, che si chiamavano proprio così: lui hamnet, lei Judith. il nome Amleto, per altro, ovvero Amloði (Amlodi) è un antico termine danese che sta a indicare una sorta di finto pazzo e quando viene portato in inghilterra viene anglicizzato in hamlet. Ma c’era già una tragedia molto precedente a Shakespeare, una sorta di “ur-hamlet” scritta da thomas Kyd e che probabilmente Shakespeare ha rivisitato e riscritto. Da tutto ciò si evince quindi che il prosciutto con Shakespeare non c’entra proprio per nulla. e voi adesso penserete che altro non abbia da dirvi. invece il prosciutto nel teatro inglese continua ad esistere, almeno in due situazioni molto significative. la prima riguarda Hamm, seppure scritto con doppia emme, che è uno dei personaggi più emblematici del teatro inglese moderno. in ’Finale di Partita’ di Beckett, uno dei due clown è appunto hamm, ovvero il personaggio paralizzato non solo nei movimenti e nella vista, ma


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anche nelle sue volontà, in evidente e chiara sintonia allusiva all’ormai popolare indecisione di Amleto. l’altra accezione fondamentale è tuttora diffusissima e riguarda un termine assai in uso nel mondo teatrale inglese. Mi riferisco alla definizione di ham actor, con cui si identifica il gigione, l’attore eccessivo, compiaciuto di sé, plateale. Significato non casuale se consideriamo che il prosciutto, anche in inglese, è spesso associato ad una certa goffaggine o incapacità, tant’è vero che ham fisted significa proprio “essere goffo, maldestro”. non a caso il termine ham actor nasce alla fine dell’800 in America, quando andavano molto di moda i Minstrel Show, in cui gli attori bianchi si truccavano da neri, perché i neri non si potevano esibire. usavano degli oli per applicare poi sulla faccia e sulle mani la fuliggine. Gli attori più poveri però usavano il grasso del prosciutto e puzzavano parecchio; di conseguenza il termine ham actor individuava i poveracci, gli attori più scalcinati e improvvisati. ecco allora come la parola ham e il suo riferimento al nobile suino, malgrado Shakespeare e Amleto c’entrino poco, sia rimasta nel teatro inglese moderno.


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MASolino D’AMiCo è uno dei critici teatrali di riferimento per tutta l'Italia; intellettuale di valenza europea, è professore ordinario di Lingua e Letteratura Inglese alla Terza Università di Roma. Il suo contributo alla traduzione italiana del teatro inglese è fondamentale.


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rebus (6)


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Chi SCro FA l’ASPetti

Meglio un porco in casa che un cinghiale alla porta. Mia mamma quando faceva il pollo mi dava sempre una scelta, petto, coscia o ala e io pensandoci dicevo ala no, ala non mi piace, ala mai, mai ala, mai ali, maialinomai. C’era un porco di nome ermo... l’avevano chiamato così ermo, il porco ermo... un porco solitario e abbandonato, ameno. A meno. ecco ermo era un amico, il porco ermo, stava sempre solo, sempre appartato, così, là sul colle, lussureggiante, come un castello abbandonato, sempre caro mi fu quell’ermo porco... Povero ermo me lo ricordo così con quella faccia, con quel grugno, lui, con quel grugno che grugniva e grufolava nell’erba alta fra i pini, fra i tigli e gli abeti, ermo. Quante ne abbiamo passate io e ermo, quante ne abbiamo viste insieme. lui era uno di porche parole diceva solo sì e no cioè con la testa faceva di sì o di no.


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io gli chiedevo qualcosa e lui con la testa faceva di sì o di no. Che poi suino, sui no, sui no non ho molto da dire, sui sì neanche, ma in particolare sui no non mi viene in mente niente. Sui forse, forse, magari, sui magari, sui però, sui ma sui na, sui naa, sui naa ecco quando uno dice una cosa che non c’entra niente e dici “naa! ma cosa dici?!” Sui no invece proprio... suinò, lui suinò, tu suinasti, noi suinammo, voi suinaste... voce del verbo suinare... Piero ha appena suinato, ma poi suinerà ancora, perché Piero è un cantautore ma anche un suinatore, lui suina la chitarra. Perché lui se la canta e se la suina... ci suinerà una canzone magari... magari sui ni, né sui sì né sui no, sui ni alé... mai alé, mai, non bisogna, meglio olé... olà, che poi o qui o là o lì... alò. Alò? mai alò, maialone, mai alone che è uno smacchiatutto, “mai più aloni con mai alone”, maialone, maialino, maialetto, uno stimolante, un cardiotonico, una roba che ti tira su su “mai a letto!!” Porco Kane! C’era un’insegna fuori, PorCheriA, gioielli di porco...PORcHeRIA, e sotto una vetrina bellissima tutta illuminata. entro e dico voglio quel braccialetto e mi dice, vuol dire la braciola?


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lA PorCheriA. Mai ali, ali mai, mai ali nello spazio! infatti sulla porta dell’astronave, dello shuttle, c’è proprio scritto mai ali nello spazio, perché ingombrano... mai ali nello spazio. o nell’ospizio, mai ali nell’ospizio perché son difficili da spolpare per i vecchietti, solo coscia o petto, meglio petto, si capisce insomma. Maiali nell’ospizio che è anche il titolo di un porno in stile geriatrico “maiali nell’ospizio” o un horror dove ci sono ’sti maiali che si mangiano i... vabbè... che cosa ci porci? Ci porci un fiore? grazie. Porcere che è diverso da porcare attenzione... io porco tu porchi, lui porca, noi porchiamo, voi porcate... tu cosa porchi all’esame, io porco italiano e tu? Come italiano! ti sembra una materia da porcare? perché tu cosa porcheresti? mah, io porcherei fisica o chimica. Porché?... porché no? vabbè porcimi quel libro per favore. Quale libro? Quel libro lì sul tavolo me lo porci per favore? Certo che te lo porco eccolo, perché non te lo dovrei porcere se è a porcata di mano? Giusto, e allora porcimelo. e te lo sto porcendo un attimo!


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Allora quando hai finito di fare i tuoi porci comodi me lo porci va bene? ... i porci comodi, i porci comodi che stan seduti comodi, stanno comodamente seduti i porci comodi sul sofà, lì in fila sul sofà, belli comodi. e porcano, loro porcano. Ma dove lo fanno? Dove porcano? loro, i porci comodi porcano comodamente sul sofà... e noi? Dove porchiamo? e voi, dove porcate voi?... io generalmente in casa, io porco in casa per discrezione, per intimità ma il problema è dove porchi tu. tu per esempio dove porchi e dove porci e quando, quando porchi o porci? e lo fai nello stesso momento o in momenti diversi, porchi e porci insieme o prima porchi e poi porci, ma soprattutto perché dobbiamo pórci queste domande, queste domande da pòrci? Come il detto “dare del filo da porcere” ...Mi stai dando del filo da porcere. o “porcare l’acqua al tuo mulino”, tu stai porcando l’acqua al tuo mulino, come sempre! io?! io porco l’acqua al mio mulino? io non porco l’acqua al mulino di nessuno. Porco cane... perché il porco gatto non c’è? Chissà perché c’è un incrocio tra il porco e il cane e non tra il porco e il gatto, il porcogatto!


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o il porcotopo, perché non c’è il porcotopo? anche se c’è il porcellino d’india che è un po’ un porcotopo o il porcospino, mentre il porcopino? Anche quello... invece c’è la porcavacca, la porcazozza, la porca troia detta anche porcaputtana che è una porca che va un po’ con tutti, o la porca miseria... il porcoladro che è un lestofante, ossia un fante veloce e il suo alter ego il porcoboia... il porco zio... e la porca zia? “Chi scro fa l’aspetti”, che è più un proverbio ed è anche più logico di chi la fa l’aspetti perché se faccio un la cosa devo aspettare? lA!... ... un giorno vado dal meccanico perché sentivo un rumore strano nella macchina e gli dico guardi c’è qualcosa che non va... come fa a dirlo? Perché sento un rumore strano. Che rumore? un rumore strano. Come fa? Fa SCro, proprio così: SCro. Fa SCro? SCro fa. Ma ora veniamo ai Pro e ai contro. Per esempio io sono pro sciutto, ma c’è anche chi è contro sciutto. Qui oggi penso che siamo tutti pro sciutto, ma se qualcuno è contro può alzare la mano o protestare, non è che tutti devono per forza essere pro sciutto o pro sciutti.


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AnDreA CollAvino Andrea Collavino, sandanielese, è un attore e un regista ormai affermato in campo nazionale; protagonista in numerose piece teatrali, conduce da diversi anni laboratori e work shop teatrali che hanno ricevuto notevoli riconoscimenti in Italia e in Europa.


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l’eloGio non trASFeriBile SullA CArtA

tra gli ospiti della prima edizione de L’elogio del prosciutto non potevano mancare anche dei musicisti; giocare con note e parole, ritmi e musica per raccontare sensazioni palatali da un lato, e i piaceri della convivialità dall’altro era di fatto imprescindibile. Di certo però l'esibizione di Piero Sidoti e di Gegè telesforo (accompagnato al pianoforte da Alfonso Deidda) non è trasferibile sulla carta.

ne abbiamo allora selezionato un frammento disponibile in video e in audio sulla pen-drive allegata a questo volume.


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Piero SiDoti

eloGio in MuSiCA 6

Piero SiDoti è udinese, premio Tenco 2010 per il miglior album d'esordio con il suo Genteinattesa; convinto rappresentante di quel Teatro/canzone tanto caro a Gaber, è protagonista insieme all'amico Giuseppe Battiston dell'apprezzatissimo spettacolo teatrale Il precario e il professore.


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GeGè teleSForo

eloGio in MuSiCA 7

GeGè teleSForo Braccio destro di Arbore in Quelli della Notte, conduttore storico di DOC, interprete inimitabile dello stile SCAT, ovvero dell'improvvisazione vocale, è uno dei più apprezzati e qualificati vocalist a livello internazionale.


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AnGelo FlorAMo

l’eloGio Del PorCello

Si strussero li Antichi, affrontando tal rovello, Sull’ode inveterata del mitico Porcello Che come l’universo in sé contiene il tutto ha un’alma delicata che esprimisi in prosciutto. oh noi felici spiriti che Giove veneriamo Sorretti dal suo nome gioviali sempre siamo, Ma ancora più felici e in salvo dai lor mali la diva Maia cantano chi apprezzano i maiali! racconta il mito antico che il porco generoso Da sempre fu magnifico all’uomo ch’è goloso e con l’accento bleso, per via del corto grugno, Benigno biascicava ai bei sodali suoi “e tu bambino, dimmi, tu di’ che coscia vuoi?”


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oh generosa prole che abbondi in ambo i glutei, Produci dalle chiappe i tuoi preziosi plutei, hai fama imperitura, lontana dagli indegni, Perfino Giotto pingeti nel tempio de’Scrovegni; Dal tempo in cui Porcellum non era una porcata ma tenera promessa di mensa delicata, tu sol per assonanza saresti di Porcia, ma pel tuo dolce miele il mondo tutto sa che sei di San Daniele, e piÚ oltre non si va! noi tutti con enea, il cui mito mai non muoia Siam sempre affezionati a cotal figlio di troia.


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AnGelo FlorAMo Direttore delle Biblioteca Guarneriana, scrittore e medievalista è ormai noto in terra friulana per le sue doti narrative con cui ammalia ogni tipo di pubblico.


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... Di seguito, seguita a perseguire con pensieri e parole l’elogio del buon prosciutto e del buon vivere ...


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31|1961|4000|70|10|2013|340|2400

ConSorzio Del ProSCiutto Di SAn DAniele leGGerMente ¶ « » { } § - “ ” , . ; … : [ ]( ) ¶ . , “ ”


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ConSorzio Del ProSCiutto Di SAn DAniele. A tutela della denominazione del Prosciutto di San Daniele. E dei consumatori. Al Consorzio aderiscono oggi tutti i 31 produttori riconosciuti, ed in forma delegata i macellatori e gli allevatori italiani che appartengono alla filiera, proprio come avevano auspicato i fondatori nell’ormai lontano 1961. Il Consorzio continua a svolgere attività di tutela, promozione, valorizzazione e cura degli interessi generali del “prosciutto di San Daniele”. Mantiene inoltre gli incarichi di “pubblica fede”, legata alla difesa del marchio, così come attribuitogli per legge dallo Stato italiano e detiene il Disciplinare di produzione. Il prosciutto di San Daniele è riconosciuto dal 1996 come prodotto a Denominazione di Origine Protetta DOP, questo ne tutela la limitata zona d’origine e l’unicità delle tecniche di lavorazione. Tutti i soggetti della filiera devono rispettare le norme prescritte dal Disciplinare e che riguardano gli elementi essenziali della produzione del San Daniele: dalla provenienza dei maiali, che sono esclusivamente italiani, al luogo della stagionatura; dalle fasi della lavorazione fino alle caratteristiche organolettiche. Il prosciutto di San Daniele si produce, ancora oggi, solo ed esclusivamente a San Daniele del Friuli. Sui colli dell’anfiteatro morenico, che è un particolare sistema di colline e terre alte, situate a metà strada tra le Alpi e il mare Adriatico, lambite dal Tagliamento, il fiume alpino per antonomasia. Proprio qui i venti contrastanti del Nord e del Sud si incontrano dando vita ad un microclima particolare. La natura si unisce così all’esperienza delle genti di questa terra, che tramandano di generazione in generazione la passione e il saper fare il prosciutto, consentendo così il ripetersi di una tradizione secolare. La filiera del prosciutto di San Daniele è composta da 31 produttori, 4000 allevamenti e 70 macelli autorizzati. Nel 2013 sono stati prodotti 2.400.000 prosciutti e il giro d’affari alla produzione è stato di 340 milioni di euro.

www.prosciuttosandaniele.it


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leGGerMente, APPuntAMenti PerioDiCi Di reSiStenzA. Associazione culturale a tutela della lettura e dei lettori.

A San Daniele del Friuli, una sera al mese tra ottobre e maggio, un ospite più o meno conosciuto legge i suoi libri del cuore per raccontare se stesso, attraverso pagine, parole, frasi e versi. Attorno a lui un pubblico che ascolta. Leggere e ascoltare: azioni solo in apparenza banali, infiniti verbali relegati nell’angolo delle cose troppo ovvie e troppo semplici. Per questo così straordinariamente e finalmente diverse e alternative. Devastati da un farneticare televisivo dove l’effimero viene spacciato per duraturo, dove il futile è divenuto indispensabile, dove il vuoto si confonde con il pieno, LeggerMente – appuntamenti periodici di resistenza letteraria, nasce e vive per dimostrare che nell’enorme bagaglio di pagine scritte e pensate e lette dall’umanità vi sono idee e pensieri, emozioni e riflessioni che stanno alla base del nostro quotidiano agire, pensare, vivere. Si legge per sconfiggere la solitudine, per scoprire in una pagina, in una frase, in una parola, brandelli di sé, sentimenti e umori che ci appartengono, per trovare parole che riaprono ferite, ridisegnano speranze, ridipingono con i colori della memoria immagini altrimenti sbiadite. Da dieci anni ormai a San Daniele del Friuli un ospite si racconta attraverso i propri libri del cuore, dimostrando così che basta proprio un libro per creare una rete per nulla virtuale: quella che mette in relazione fra loro, in tempi e in luoghi diversi, chi legge con chi scrive e con i tanti personaggi che animano quelle pagine solo in apparenza foglio morto e silenzioso, in realtà mondo vivo e brulicante di voci, passioni, tenerezze, cattiverie. In dieci anni hanno letto e si sono raccontati Pierluigi Cappello, Luigi Lo Cascio, Gianni Mura, Pierluigi Di Piazza, Gian Maria Testa, Gianfranco Pasquino, Giuseppe Battiston, Piero Sidoti, Stefano Bollani, Massimo Cirri, Gegè Telesforo, Antonio Lubrano, Gioele Dix, Tullio Avoledo, Maurizio Crosetti, Rita Marcotulli, Stefano Benni, Bruno Voglino, Sara Simeoni, Glauco Venier, Stefano Bartezzaghi, Vito Mancuso, Matteo Oleotto, Gino e Michele. Altri li seguiranno nei prossimi mesi.

www.leggermente.it


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