Confronti di maggio 2016 (parziale)

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maggio 2016

MENSILE DI RELIGIONI · POLITICA · SOCIETÀ

“Il

diritto di pregare”

6 EURO TARIFFA R.O.C.: POSTE ITALIANE SPA - SPED. IN ABB. POST. D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/04 N.46) ART.1 COMMA 1, DCB

mag 2016 1


maggio 2016

ANNO XLIII NUMERO 5 Confronti, mensile di religioni, politica, società, è proprietà della cooperativa di lettori Com Nuovi Tempi, rappresentata dal Consiglio di Amministrazione: Nicoletta Cocretoli, Ernesto Flavio Ghizzoni (presidente), Daniela Mazzarella, Piera Rella, Stefania Sarallo (vicepresidente). DIRETTORE

Claudio Paravati CAPOREDATTORE

Mostafa El Ayoubi IN REDAZIONE

Luca Baratto, Antonio Delrio, Franca Di Lecce, Filippo Gentiloni, Adriano Gizzi, Giuliano Ligabue, Michele Lipori,

Rocco Luigi Mangiavillano, Anna Maria Marlia, Daniela Mazzarella, Carmelo Russo, Luigi Sandri, Stefania Sarallo, Lia Tagliacozzo, Stefano Toppi. COLLABORANO A CONFRONTI

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Giulio Ercolessi, Maria Angela Falà, Giovanni Franzoni, Pupa Garribba, Daniele Garrone, Francesco Gentiloni, Gian Mario Gillio (direttore responsabile), Svamini Hamsananda Giri, Giorgio Gomel, Laura Grassi, Bruna Iacopino, Domenico Jervolino, Maria Cristina Laurenzi, Giacoma Limentani, Franca Long, Maria Immacolata Macioti, Anna Maffei, Dafne Marzoli, Domenico Maselli, Cristina Mattiello, Lidia Menapace, Adnane Mokrani, Paolo Naso, Luca Maria Negro, Silvana Nitti, Enzo Nucci, Paolo Odello,

Enzo Pace, Gianluca Polverari, Paolo Ricca, Carlo Rubini, Andrea Sabbadini, Brunetto Salvarani, Iacopo Scaramuzzi, Daniele Solvi, Francesca Spedicato, Debora Spini, Valdo Spini, Patrizia Toss, Gianna Urizio, Roberto Vacca, Vincenzo Vita, Cristina Zanazzo, Luca Zevi.

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Publicazione registrata presso il Tribunale di Roma il 12/03/73, n. 15012 e il 7/01/75, n.15476. ROC n. 6551.

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AMMINISTRAZIONE

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maggio 2016

le immagini

SEMI DI PACE Le immagini che introducono le sezioni di questo numero e quelle nel servizio di pagina 21 sono state scattate in uno dei viaggi organizzati da Confronti in Israele e nei Territori palestinesi. Foto di Michele Lipori 3


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il sommario

il sommario GLI EDITORIALI

I SERVIZI

Nelle catacombe per legge

BRUXELLES

Samuele Bernardini 6

Come è strano costruire una moschea a Milano Hamza Roberto Piccardo 7

Comunicazione: un mondo in ebollizione Vincenzo Vita 8

Se l’Europa dimentica le proprie responsabilità

Maria Immacolata Macioti 9

Il terrorismo da Al Qaeda a Daesh Enzo Pace 11

Non basta dire «non rappresentano l’islam» (intervista a) Abdellah Redouane 14

MIGRANTI

Ue e Turchia: quando la montagna partorisce un’idra Giulia Gori 16

Dal pietismo alla giustizia sociale

Osvaldo Costantini 18

SEMI DI PACE

Tante idee per un impegno comune Michele Lipori 21

Due popoli, due Stati, una radio

(intervista a) Maysa Baransi e Mossi Raz 25

CHIESA CATTOLICA

Un difficile equilibrio fra “dottrina” e “pastorale” Luigi Sandri 27

Quali novità sul “ruolo delle donne”? Giancarla Codrignani 31

LE NOTIZIE

LE RUBRICHE

I LIBRI

Armi Mine anti-uomo

Diario africano Gli scandali schiacciano il Kenya

Don Milani non se n’è ancora andato

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Acqua Rapporto Onu 34

Media Rsf sulla libertà di stampa 35

Pena di morte I dati di Amnesty 35

Referendum Appelli per il voto di ottobre 36

Islamofobia Episodio di violenza a Umbertide 36

Libertà religiosa Anche il Veneto prova a fermare le moschee 37

Ebraismo Il Talmud babilonese in italiano 37

Metodisti L’Ufficio ecumenico metodista 38

Lutto La morte di Piergiorgio Rauzi 38

Enzo Nucci 40

Salute e religioni «Sceglierai la vita». Ebraismo e salute Ariel di Porto 41

Giuliano Ligabue 45

’68-’77: l’epopea di una generazione

Roberto Bertoni 46

Note dal margine Sabotare la 194 è illegale e immorale

LE IMMAGINI

Spigolature d’Europa Un giudice a Berlino se insulti il sultano

Semi di pace

Giovanni Franzoni 42

Adriano Gizzi 43

Cinema Se la poesia documenta la tragedia Giorgio Brancia 44

Il diritto di pregare

Andrea Sabbadini copertina

Michele Lipori 3


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L’antidoto del sapere e della libertà Claudio Paravati

L’

antidoto alla paura è il sapere, e la strada è quella della libertà, a partire da quella religiosa. «Se uscissimo dalla paura ci si renderebbe conto che questo è il momento di pensare una politica del pluralismo religioso e di fare una legge sulla libertà religiosa che l’Italia non ha». Così Alberto Melloni sulla Repubblica del 23 marzo. E ha ragione. L’“antidoto della paura” è il sapere: «un sapere incarnato negli insegnanti e nella scuola». Da diverse legislature ci si aspetta una legge quadro, una “legge sulla libertà religiosa” che regolamenti i diritti e i doveri di tutti, e che faccia uscire dal “sommerso spirituale” italiano i soggetti religiosi, tutti. Questo è il momento giusto: proprio perché il più pericoloso. Le paure rischiano di far retrocedere di secoli proprio quell’Europa che uscì dalle guerre di religione «attraverso un percorso storico-teologico di cui ammiriamo oggi i risultati», prosegue Melloni. Non possiamo ammettere che si presti il fianco alle reazioni emotive, che si traducono in rigurgiti xenofobi, razzisti, antisemiti e islamofobici. Su questo l’Europa deve resistere, e guardare semmai a costruire una nuova politica. L’Italia può fare la sua parte, innanzitutto dando dignità alla pluralità, riconoscendo i soggetti che convivono e costruiscono oggi il Paese. A tal proposito non sono di buon auspicio alcune iniziative politiche degli scorsi mesi. Due esempi. Il 24 febbraio la Corte costituzionale ha dichiarato infine incostituzionale la legge per i luoghi di culto, la n. 1 del 2015 (che modificava la n. 12 del 2005) del Consiglio regionale della Lombardia. Si tratta di una legge sul “governo del territorio”, al cui interno erano previste «norme per le attrezzature religiose» che – riconosce la Consulta – ledono la libertà di culto e invadono competenze riconosciute solo allo Stato nei rapporti con le confessioni religiose. Insomma il tentativo è stato quello di impedire l’apertura di nuovi luoghi di culto, tra cui moschee e chiese cristiane (tutte!). Secondo episodio: nonostante l’esito in Corte costituzionale, anche la Regione Veneto ha varato nel frattempo (ad aprile 2016) alcune modifiche alla propria legge sul governo del territorio, con le quali introduce una versione leggermente edulcorata della legge lombarda: si ripropongono limiti urbanistici, prevedendo tra le altre cose che gli oneri per la realizzazione di opere di urbanizzazione primaria (strade, parcheggi, illuminazione, fognature, ecc.) siano a carico delle confessioni religiose. Che le due leggi regionali debbano essere lette come mosse politiche per compiacere il proprio elettorato di riferimento, anche in vista del voto di giugno, e contrapporsi alla politica di Roma, appare chiaro. Solo che a farne le spese sono le libertà costituzionali di tutti i cittadini, e in particolare di chi ha maggiormente bisogno di luoghi di culto: per esempio i musulmani, ma anche le tante comunità cristiane composte da immigrati. In molti ad oggi pregano per strada, in casa o in qualche scantinato! Ci vuole invece coraggio, ci vuole politica. Questa è l’unica risposta per fortificare il Paese. Una politica che sostenga anche il sapere. Poiché da quel sapere (scuola, istruzione, formazione) ne conseguirebbe un’Italia, e quindi anche un’Europa, che guardi al futuro forte della parte migliore del proprio passato.

invito alla lettura


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Nelle catacombe per legge

L

a normativa sui luoghi di culto della legge regionale n.62. del 2015 (detta anche “legge anti-moschea”) produce ostacoli pressoché insormontabili ad aprire o adattare nuovi locali per il culto per qualsiasi comunità religiosa (in questo la parità di trattamento è garantita). La maggioranza politica che governa la Regione ha così stabilito per legge l’irrilevanza della Costituzione nella parte relativa alla rivendicazione che tutte le confessioni sono ugualmente libere di fronte alla legge e che tutte hanno il diritto di esercitare liberamente il proprio culto in pubblico e in privato. Per dirlo in parole chiare (come piace a Matteo Salvini): il popolo leghista e i suoi dirigenti ritengono che l’islam sarebbe una religione troppo aggressiva e non meritevole di avere luoghi di culto nel nostro paese. Il Comune di Milano ha tentato una strada opposta per favorire l’apertura di locali di culto in tre aree pubbliche (due destinate ai musulmani e una agli evangelici), ma il processo è bloccato. La questione è da tempo oggetto di dibattito pubblico a Milano (in particolare) e in Lombardia ed è entrata nei temi della campagna elettorale per il rinnovo del Consiglio comunale del capoluogo lombardo. Un caso da SAMUELE manuale, BERNARDINI dunque, tra due direttore della diversi e opposti libreria Claudiana di Milano. approcci della

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gli editoriali

Samuele Bernardini

politica ai temi della convivenza multiculturale e interreligiosa. Purtroppo, però, la disputa politica e giuridica non è confinata nelle aule universitarie, ma riguarda la vita di persone in carne e ossa. Le Chiese protestanti milanesi hanno sempre partecipato a questo “processo” (con iniziative proprie e con altri, audizioni in Regione e Comune, appelli e prese di posizione), sempre in collegamento e collaborazione con la Federazione delle Chiese evangeliche in Italia (Fcei), che ha maggiori competenze giuridiche e visioni più ampie della situazione italiana.

La legge urbanistica anti-moschea è invenzione recente delle Regioni a trazione leghista. La legge regionale lombarda è il modello originale a cui si è ispirata l’analoga normativa della Regione Veneto. Con l’appello “Garantire la libertà di culto delle minoranze religiose”, le Chiese protestanti milanesi hanno espresso la loro contrarietà

Con l’appello reso noto lo scorso 8 aprile (“Garantire la libertà di culto delle minoranze religiose”; si veda il testo integrale sul nostro sito: www.confronti.net), le Chiese protestanti milanesi hanno voluto esprimere il proprio rammarico per il nulla di fatto sui luoghi di culto

e la strumentalizzazione politica su persone che non possono godere di un diritto costituzionale. Se l’indice di civiltà di un paese si misura non sulla libertà di credere individualmente come e quello che si vuole, ma nella possibilità di esercitare praticamente e liberamente il proprio culto nella comunità religiosa di appartenenza, allora il nostro indice di civiltà è molto basso. Non possiamo poi accettare per l’islam la definizione di “religione aggressiva” (e magari anche pericolosa?) come qualcuno ha dichiarato di recente. In passato e anche oggi in varie parti del mondo questa definizione viene applicata a diverse comunità di fede per contrastarle o perseguitarle e noi non possiamo accettare che questo avvenga anche a Milano. Le Chiese hanno voluto rendere nota la propria posizione in modo pubblico. L’appello è destinato ai candidati e ai loro sostenitori, ma soprattutto ai cittadini milanesi. Ma anche alle confessioni cristiane e alle comunità di fede qui presenti. Le Chiese non si illudono che l’appello possa cambiare le posizioni in campo, tuttavia non potevano esimersi dal rendere pubblica testimonianza della propria posizione a riguardo. Senza una legge sulla libertà religiosa, sarà difficile in Italia fare passi avanti nella direzione giusta. L’Italia ha bisogno di più laicità e di più libertà di religione e di coscienza. Non è un paradosso, ma una necessità.


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Come è strano costruire una moschea a Milano

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l ministro dell’Interno Angelino Alfano ha dichiarato pubblicamente, all’inizio del mese di aprile, di essere contrario alla costruzione di nuove moschee a Milano – unica, tra le grandi città europee, a non disporre di un dignitoso luogo di culto islamico – allineandosi alla vasta schiera degli islamofobi, in evidente contraddizione con la Costituzione che ha giurato di rispettare e difendere nel momento in cui ha assunto la funzione.

“La Costituzione, all’articolo 19, sancisce la libertà di culto e la dottrina è concorde nell’affermare che questo implica che alla religione si riconosca uno spazio pubblico. Contraddicendo questo principio, il ministro dell’Interno Alfano ha espresso la propria contrarietà alla costruzione di nuove moschee a Milano

uno spazio pubblico alla religione e per far ciò i credenti devono poter disporre di spazi atti a svolgere tale attività. Ne deriva l’obbligo per lo Stato non solo di consentire ma anche di facilitare la disponibilità di edifici di culto. O il ministro ignora la Costituzione che dovrebbe «osservare lealmente» o, se la conosce, preferisce inseguire l’islamofobia dilagante in contrasto con il suo ruolo istituzionale. Nella prima riunione del Consiglio per le relazioni con l’islam, da lui creato nel gennaio scorso, il ministro Alfano aveva dichiarato: «Il Consiglio avrà il compito di fornire pareri e formulare proposte in ordine alle questioni riguardanti l’integrazione della popolazione di cultura e religione islamica in Italia». Ma le sue affermazioni sulla moschea di Milano vanno in tutt’altra direzione.

La Costituzione italiana sancisce in modo inequivocabile, all’articolo 19, la libertà di culto; e infatti recita: «Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto...».

D’altronde Alfano è in buona compagnia se è vero, come è vero, che dopo un percorso condiviso con le comunità religiose, l’amministrazione del sindaco uscente Pisapia sembra voler contraddire il suo stesso bando e rimandare alle calende greche, o mandare completamente all’aria, l’assegnazione definitiva alle associazioni che quel bando si sono aggiudicato.

La dottrina costituzionale precisa che esercitare il culto in privato o in pubblico significa riconoscere

Un gran brutto segnale per gli oltre centomila musulmani che abitano la metropoli lombarda, il milione e

gli editoriali

Hamza Roberto Piccardo

mezzo che vivono in questo Paese e i 250mila italiani di fede islamica (come attestano le ricerche del Centro studi sulle nuove religioni - Cesnur). L’islam è la seconda religione in Italia dopo quella cristiana cattolica, ma non gode di nessun riconoscimento giuridico. Il motivo principale è la mancanza di volontà politica. Affrontare la “questione islamica” in modo serio e costruttivo non porta voti, anzi. E la faccenda delle moschea di Milano rientra in questa logica: siamo in piena campagna elettorale per le amministrative di giugno. La libertà di culto sancita dalla Costituzione della Repubblica non può infatti prescindere da luoghi di culto dignitosi e organizzati, gestiti in modo trasparente e in conformità con le leggi in vigore. Luoghi cioè che assolvano al culto e impartiscano un insegnamento corretto, tradizionale e dialogante, avulso dagli interessi particolari e capace di realizzare nel tempo una Comunità islamica italiana forte e leale nei confronti delle istituzioni dello Stato e impegnata, da subito, nella lotta ad ogni deriva estremista anche solo potenzialmente pericolosa per la sicurezza collettiva. HAMZA ROBERTO PICCARDO scrittore, editore, gia segretario generale dell’Unione delle comunità islamiche d’Italia (Ucoii). 7


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gli editoriali

Comunicazione: un mondo in ebollizione

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l sistema italiano delle comunicazioni è in fase di profonda trasformazione. Telecom parla ormai francese, essendo di fatto controllata da Vivendi, la società del finanziere bretone Bolloré, che ha siglato un accordo per la pay tv (per ora solo per quella) con Mediaset; la concessione pubblica della Rai è in scadenza; la Mondadori ha acquisito la Rcs libri; il Corriere della sera è oggetto di un’offerta pubblica di scambio da parte del proprietario de La7 Urbano Cairo; si sta celebrando il matrimonio del secolo tra Stampa e gruppo Espresso-Repubblica. Per converso, lontano dai riflettori, continuano a chiudere giornali ed emittenti locali. È bene chiarire subito che tali sommovimenti sono diversi dalla corsa alle concentrazioni degli anni Ottanta, nell’epoca della crescita dei consumi a fronte dell’esplosione della televisione commerciale e della (effimera) impennata delle vendite dei quotidiani. Non per caso allora la gran parte dei paesi europei – dalla Francia alla Spagna – varò norme tese ad evitare la degenerazione oligopolistica e il predominio assoluto del video mercantile. Non fu così in Italia, dove solo nell’agosto del 1990 arrivò la legge Mammì (dal nome dell’allora ministro) sull’emittenza, in realtà una mera fotografia del potere delle reti di Silvio Berlusconi. Un po’ meglio andò nella carta stampata, regolata dall’unico reale tentativo VINCENZO VITA ordinatorio (legge giornalista e politico, esperto 416 del 1981). Ci di comunicazione. torneremo.

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Oggi il Risiko è tutt’altro: il tentativo quasi disperato di organizzare cittadelle di resistenza rispetto all’“invasione barbarica” degli Over the top (Ott), da Facebook a Google. Culture analogiche contro i vincenti linguaggi digitali. E, infatti, al di là degli zig zag societari, i vecchi signori dei media si aggiornano velocemente, sì, ma sempre con il segno del peccato originale.

“Accordi, fusioni, scalate... in Italia, ma non solo, il mondo dell’editoria e dei media è in agitazione

Infatti, l’affanno è evidente e le manovre in corso sono barriere difensive contro “l’ignoto”. Naturalmente, a farne le spese saranno coloro che lavorano nelle aziende, vista l’incertezza strategica di ciò che accade. La transizione verso la società numerica (domani quantistica) non avviene con un progetto generale condiviso. Mentre in Francia hanno convocato gli “stati generali” dell’editoria, decidendo misure concrete a favore dei settori maggiormente toccati dalla crisi. Il New York Times si è impegnato in uno studio sul futuro della carta stampata e sul difficilissimo equilibrio tra on line e off line. In Germania si è sviluppato un vasto dibattito pubblico, cui ha partecipato anche il filosofo Habermas. Nel Belpaese ci si limita a discutere di una piccola riforma dell’editoria, in verità poco più di un aggiornamento dei criteri di erogazione del

Vincenzo Vita

finanziamento pubblico ai fogli cooperativi, non profit, locali o di opinione. Sul resto, a parte la brutta leggina sulla Rai che ha portato l’azienda nelle fauci del governo, assistiamo ad una varietà disomogenea di provvedimenti, a cominciare dallo stop and go sulla banda larga. Non solo. Persino le fragili leggi esistenti rischiano di essere violate. È il caso dell’intesa tra Stampa ed Espresso-Repubblica (ivi compresi i giornali locali di Finegil) che, una volta perfezionata, arriverebbe a possedere il 23% del comparto, oltre il tetto del 20% previsto nel 1981. Così, andrebbe ben approfondito il filo che unisce Telecom, Vivendi e Mediaset. Qui entrerebbe in scena – se si appurassero forme di collegamento concentrativo – gli stop del Testo Unico delle radiodiffusioni del 2005. Non parrebbe comportare lesioni della norma sul divieto di incroci tra stampa e televisioni la scalata sul Corriere della sera da parte dell’editore “puro” Urbano Cairo. Infatti, il semaforo rosso si accende solo se la televisione acquirente va oltre l’8% del cosiddetto sistema integrato della comunicazione (Sic) inventato dalla legge Gasparri del 2004, talmente vago e incerto da rendere arduo qualsiasi antitrust. Infatti, quel Sic andrebbe abrogato subito, per iniziare a disegnare un’architettura democratica del sistema. Naturalmente, il frutto dei peccati mortali della concentrazione è il pericolo concreto che si inveri un’omologazione culturale, ai danni di tutte le minoranze: politiche, culturali, religiose. Sursum corda.


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gli editoriali

Se l’Europa dimentica le proprie responsabilità

M

esi tremendi, quelli di fine 2015 e inizio 2016, per i migranti. L’Europa non è riuscita a elaborare una comune politica per la loro accoglienza e gestione. I prevedibili arrivi dalla martoriata Siria e dall’Africa hanno messo in crisi la sostanza e l’immagine di una casa del diritto, di una meta dalla gestione interna democratica. Da questo punto di vista la situazione è decisamente cambiata in peggio dopo gli attentati di Parigi e poi di Bruxelles. L’Europa ha reagito più sull’onda della paura che del ragionamento. Portata a questo anche dal mutato scenario internazionale, sempre più dominato, oggi, da leader autoritari (vedi Danilo Taino, “A che prezzo”, su “Sette”, il magazine del Corriere della sera, del 15 aprile): dalla Cina alla Russia, dall’India all’Egitto, dove Abd al-Fattah al-Sisi governa con durezza, sepolta ormai la cosiddetta primavera araba. Fino alla Turchia di Recep Tayyip Erdogan. In Usa gode di grande successo Donald Trump. E le democrazie liberali sono sempre più in crisi. In questo contesto, l’Europa ha stretto accordi con la Turchia per la gestione dei migranti. Nell’interpretazione di Marta Dassù (“Un cuscinetto turco per Berlino”, La Stampa del 14 aprile), la Merkel ha gestito in prima persona questo accordo, fallito MARIA I. il tentativo MACIOTI di trovare coordinatrice risposte interne della sezione di Sociologia all’Europa, preso della religione atto dell’ostilità di Ais che ha accolto Associazione la sua volontà di italiana di sociologia. aprire le porte

della Germania ai rifugiati siriani. Da cui la necessità, per lei, di rivedere la strategia ipotizzata e tornare alla esternalizzazione del problema (la Libia di Gheddafi ha fatto scuola !). Da qui la scelta della Turchia come stato cuscinetto: il male minore, in quest’ottica. Un accordo che, secondo alcuni e sia pure a caro prezzo, funzionerebbe. Insoddisfacente per l’Italia, secondo la Dassù: chiusa la rotta balcanica, con la Turchia che dovrebbe filtrare i migranti siriani e non, l’Italia è più esposta di prima all’arrivo di consistenti flussi migratori (quelli che arrivano; non i morti nel Mediterraneo). Servirebbe un ampio accordo, inclusivo della gestione dell’euro. Cosa non facile, oggi, nonostante il tentativo di confronto Italia-Germania a Torino.

L’accordo Ue-Turchia appare insostenibile a chi vorrebbe un’Europa aperta all’accoglienza, non barricata contro i migranti

Certo, l’accordo Ue-Turchia appare insostenibile a chi vorrebbe un’Europa aperta all’accoglienza, non barricata contro i migranti (si veda l’Europa dell’Est e la minaccia austriaca di chiudere il Brennero). Chi è arrivato in Turchia dopo il 21 marzo, dopo duri e rischiosi percorsi, deve abbandonare anche le più incerte, pallide speranze? Come si può pensare alla Turchia come a un paese sicuro, un paese democratico? Le vicende armene e curde, la dura repressione del

Maria Immacolata Macioti

dissenso interno indicano con forza il contrario. La Turchia non è paese da primo asilo né paese terzo sicuro. È di questo avviso anche il Centro studi sul federalismo (Andrea Cofelice, “L’accordo UE-Turchia sui migranti: legittimità ed efficacia”, 18/4/2016), che parla di compressione di standard consolidati in materia di protezione e avanza dubbi sulla legittimità e l’efficacia dell’accordo. Sul meccanismo di re-insediamento. Oggi, una Ue dimentica delle proprie responsabilità storiche, non più preoccupata della sicurezza e stabilizzazione del Mediterraneo e del Medio Oriente, rischia di violare il diritto internazionale e comunitario circa la detenzione dei migranti, i respingimenti collettivi (i casi andrebbero esaminati uno per uno), il diritto al ricorso. Ci sono stati, certamente, dei fatti positivi, come per esempio i viaggi del papa, la dichiarazione con il patriarca ecumenico di Costantinopoli e con l’Arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia. Forse si giungerà alla piena unità dei cristiani; all’estensione dell’asilo temporaneo, alla concessione dello status di rifugiato agli idonei, a un maggiore soccorso. Sono stati un faro di luce l’arrivo in Italia con l’aereo papale di alcuni profughi musulmani, il corridoio umanitario realizzato dalla Federazione delle chiese evangeliche in Italia con S. Egidio, l’accoglienza assicurata in Italia. Gocce, però, in un oceano di indifferenza. Serve un impegno comune per un mutamento di rotta europeo, fuori dai rigurgiti nazionalistici e da accordi disdicevoli, che segnano la fine delle speranze di profughi e fuggitivi. 9


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i servizi


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i servizi | BRUXELLES

Il terrorismo da Al Qaeda a Daesh Enzo Pace

Partiamo dagli ultimi attentati in Europa per sviluppare delle analisi sugli sviluppi del fenomeno terroristico. La novità di Daesh sta nel riprendere il progetto di Al Qaeda (che appare ormai “sbiadito”) per rilanciarlo, dimostrando che i tempi per la realizzazione di uno Stato islamico sono ormai maturi.

N

egli ultimi dodici anni, tra il 2004 (attentato alla stazione di Atocha a Madrid) agli ultimi due compiuti rispettivamente all’aeroporto e alla metropolitana di Bruxelles quest’anno, ci sono state altre azioni militari. Ricordo Londra (alla metropolitana) nel 2005 e poi in Francia, dapprima a Tolosa e Montauban nel 2013, poi al giornale satirico Charlie Hebdo nel 2015 a Parigi e, infine, al Bataclan nel 2016, sempre nella capitale. Tutto ciò per rimanere eurocentricamente in Europa, giacché l’Egitto, la Tunisia, il Libano, la Russia, la Turchia, il Mali, la Costa d’Avorio hanno subito altrettanti attentati non certo meno gravi di quelli elencati sopra. La tentazione di considerare quanto avvenuto, limitamente all’Europa, come azioni seriali di un piano di lotta armata, programmato e coordinato da una stessa mente è forte; tuttavia, fra il blocco di attacchi, avvenuti fra il 2004 e il 2005, da un lato, e il secondo, fra il 2013 e il 2016, dall’altro, c’è una cesura esterna di cui non si può non tenere conto. Alludo alla progressiva divergenza prodottasi fra Al Qaeda e il movimento per l’instaurazione del califfato in Siria e Iraq. In mezzo è accaduto, inoltre, che nelle piazze di molte capitali del mondo arabo (2011-12) e prima in quelle della Repubblica islamica dell’Iran (2010), siano apparsi movimenti collettivi, senza programmi politici precisi e senza leader di riferimento, che non rivendicavano certamente l’instaurazione dello Stato islamico né il ritorno al Califfato. Più concretamente essi volevano l’abbattimento di regimi dittatoriali e corrotti, giustizia sociale e lavoro, dignità e rispetto di minimi diritti fondamentali «dell’uoENZO PACE sociologo, mo e del cittadino». membro Questi movimenti, compositi del Consiglio per età, genere, strati sociali, per le relazioni tendenze ideologiche – una con l’islam.

rete di reti di gruppi informali e di gruppi già ben organizzati nella clandestinità e nella latenza sociale – hanno dimostrato, nonostante tutte le loro intrinseche debolezze, che era immaginabile un altro mondo possibile, che blocchi di potere economico-militare al vertice degli stati nazionali, formatisi nel periodo post-coloniale, rappresentati da grigi leader politici, senza più il carisma dei padri fondatori di quegli stati, potevano essere messi in crisi. In alcuni casi, l’esito è stato inatteso: hanno favorito la circolazione di nuove élite sia laiche sia legate all’islam-deologia (mi si consenta questo neo-logismo, in merito al quale rimando alla breve scheda a pagina 12) contemporanea – come nel caso tunisino e, in un primo momento, come in quello egiziano – e la fuga e l’esilio volontario di presidenti e di rais che avevano guidato incontrastati, grazie anche a potenti microfisiche della macchina poliziesca, le rispettive società. In altri casi, prestandosi, per loro debolezza intrinseca, a farsi strumentalmente usare o da soggetti esterni (come nel caso della Libia) o dal pronto soccorso di gruppi affiliati ad Al Qaeda, intervenuti prontamente alle prime repressioni violente subite dai movimenti di protesta pacifica, com’è avvenuto in Siria. In altri casi, infine, il gioco si è rapidamente (ma solo momentaneamente) chiuso per l’intervento massiccio dell’Arabia Saudita in alcune aree considerate evidentemente dal gruppo dirigente della famiglia Saud più o meno come pianerottoli o luoghi di disbrigo del proprio condominio, come nel caso rispettivamente del Bahrein e dello Yemen. Caso a parte, l’Iran: l’onda verde della protesta sociale e politica non ha sortito l’effetBRUXELLES Enzo Pace Abdellah Redouane (intervista)

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to di abbattere il regime del welayat al-faqih (il primato degli esperti della Legge coranica, sottratti, in base alla Costituzione del 1979, a qualsiasi controllo democratico), ma ha, comunque, convinto una parte del gruppo dirigente sciita a far oscillare il pendolo del potere verso quel polo interno del regime, dove si collocano tutti quelli che ritengono insostenibile sia l’isolamento politico e economico a livello internazionale dell’Iran sia il controllo duro e asfissiante dei comportamenti e delle idee dei propri cittadini esercitato

ISLAM-DEOLOGIA Questo neo-logismo serve a indicare l’islam ridotto a ideologia politica che presuppone, in alcuni casi, una lettura fondamentalista delle fonti religiose (Qur’an e Hadith), che rifiuta ogni possibile margine di ermeneutica storico-critica e dinamica della Parola custodita dai testi sacri, in altri, una reinvenzione modernista di concetti e nozioni care alla tradizione religiosa musulmana, riadattati all’esigenza delle moderna lotta per il potere e, dunque, spesso, usati come mezzi di comunicazione politica, depotenziando il valore simbolico-religioso aggiunto che tali concetti e tali nozioni contengono. Nel primo, la Parola viva, trasmessa nella storia, tende a diventare lettera morta; nel secondo, nel tentativo di farla rivivere nelle forme sociali e politiche proprie del nostro tempo, quella stessa Parola diviene di parte e non riesce a parlare a tutti, è fonte di nuova fitna (discordia interna).

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sotto la presidenza Ahmadinejad (2005-2013). Insomma, fra gli attentati del 2004-2005 avvenuti in Europa e il nuovo ciclo 2013-16, sulle rive sud del Mediterraneo e nel Medio-Oriente, nel mondo arabo e persiano, qualcosa di nuovo è accaduto: i movimenti di protesta non si sono rivolti fiduciosi ad Al Qaeda, ma hanno cercato – forse osando troppo – di contare sulle proprie forze. In ogni caso dimostrando che il progetto qaedista non rientrava nel loro orizzonte di azione politica. Anzi, forse quei movimenti, scendendo in piazza pacificamente e lottando digitalmente contro la censura, creando un primo abbozzo di linguaggio comune creato dai nuovi media, mandavano a dire ai successori di Osama Bin Laden che non credevano per nulla al loro progetto. LE DIFFERENZE FRA AL QAEDA E DAESH

Tra i turbanti e gli elmetti, quei movimenti hanno parlato un’altra lingua, diversa radicalmente sia da quella del potere costituito sia dei nuovi monaci-guerrieri, che da più di venticinque anni (Al Qaeda è stata fondata nel 1989) hanno cercato di trascinare «le grandi masse musulmane» nella lotta armata per l’instaurazione di uno stato shariatico, puritano e integralista, laddove si sono aperte crisi di sistema o crisi regionali (dall’Afghanistan alla Somalia, dall’Algeria alla Nigeria). Al Qaeda, a ben guardare, non è riuscita a intercettare la domanda di cambiamento che è venuta dai movimenti della cosiddetta primavera araba. Saranno anche stati sconfitti, in gran parte, ma hanno lasciato comunque tracce o sono entrati semplicemente in uno stato di latenza sociale, come spesso capita nei lunghi cicli di lotta di liberazione sociale e politica. La novità dell’Isis (Daesh) sta tutta qui: riprendere il progetto di Al Qaeda, che appare sempre più sbiadito, “stanco”, per rilanciarlo spostando più in alto l’asticella, dimostrando che i tempi per la realizzazione di uno Stato islamico, con suo territorio, con un suo embrionale apparato e con una classe dirigente capace di riscrivere le carte geopolitiche disegnate dalle cancellerie europee fra la I e la II guerra mondiale, sono ormai maturi. Il riscatto per tutto il mondo arabo (sunnita) deve cominciare nel cuore dell’antico, storico territorio unificato e dominato prima dagli Omayyadi e poi dagli Abbasidi. La distanza simbolica fra l’aiuto prestato da Al Qaeda ai fratelli combattenti pashtun in Afghanistan e la conquista di un lembo di terra incuneato fra la Siria (al-shams, il Levante) e l’Iraq, innervato favorevolmente di pozzi petroliferi, è enorme. Nell’immaginario collettivo arabo-musulmano non c’è dubbio che il peso simbolico del secondo sia più rilevante rispetto alla prima azione combinata di sostegno del movimento dei Talebani e dell’attentato alle Torri gemelle. Inoltre, grazie a


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