Confronti settembre 2014 (parziale)

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Famiglie e religioni

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SETTEMBRE 2014

6,00 EURO - TARIFFA R.O.C.: POSTE ITALIANE SPA - SPED. IN ABB. POST. D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/04 N.46) ART.1 COMMA 1, DCB ROMA


QUADERNI CONFRONTI Anno XLI, numero 9 Confronti, mensile di fede, politica, vita quotidiana, è proprietà della cooperativa di lettori Com Nuovi Tempi, rappresentata dal Consiglio di Amministrazione: Nicoletta Cocretoli, Ernesto Flavio Ghizzoni (presidente), Daniela Mazzarella, Piera Rella, Stefania Sarallo (vicepresidente). Direttore Gian Mario Gillio Caporedattore Mostafa El Ayoubi In redazione Luca Baratto, Antonio Delrio, Franca Di Lecce, Filippo Gentiloni, Adriano Gizzi, Giuliano Ligabue, Michele Lipori, Rocco Luigi Mangiavillano, Anna Maria Marlia, Daniela Mazzarella, Carmelo Russo, Luigi Sandri, Stefania Sarallo, Lia Tagliacozzo, Stefano Toppi. Collaborano a Confronti Stefano Allievi, Massimo Aprile, Giovanni Avena, Vittorio Bellavite, Daniele Benini, Dora Bognandi, Maria Bonafede, Giorgio Bouchard, Stefano Cavallotto, Giancarla Codrignani, Gaëlle Courtens, Biagio De Giovanni, Ottavio Di Grazia, Jayendranatha Franco Di Maria, Piero Di Nepi, Monica Di Pietro, Piera Egidi, Mahmoud Salem Elsheikh, Giulio Ercolessi, Maria Angela Falà, Giovanni Franzoni, Pupa Garribba, Daniele Garrone, Francesco Gentiloni, Svamini Hamsananda Giri, Giorgio Gomel, Laura Grassi, Bruna Iacopino, Domenico Jervolino, Maria Cristina Laurenzi, Giacoma Limentani, Franca Long, Maria Immacolata Macioti, Anna Maffei, Fiammetta Mariani, Dafne Marzoli, Domenico Maselli, Cristina Mattiello, Lidia Menapace, Adnane Mokrani, Paolo Naso, Luca Maria Negro, Silvana Nitti, Paolo Odello, Enzo Pace, Gianluca Polverari, Pier Giorgio Rauzi (direttore responsabile), Josè Ramos Regidor, Paolo Ricca, Carlo Rubini, Andrea Sabbadini, Brunetto Salvarani, Iacopo Scaramuzzi, Daniele Solvi, Francesca Spedicato, Valdo Spini, Valentina Spositi, Patrizia Toss, Gianna Urizio, Roberto Vacca, Cristina Zanazzo, Luca Zevi. Abbonamenti, diffusione e pubblicità Nicoletta Cocretoli Amministrazione Gioia Guarna Programmi Michele Lipori, Stefania Sarallo Redazione tecnica e grafica Daniela Mazzarella Publicazione registrata presso il Tribunale di Roma il 12/03/73, n. 15012 e il 7/01/75, n.15476. ROC n. 6551.

Presentazione Introduzione

Gian Mario Gillio, 3 Quale futuro per la famiglia? • Brunetto Salvarani, 4

I grandi codici e la famiglia Il focolare domestico, Antonella Fucecchi, 5 • Maria, madre di una «strana» famiglia, Giovanni Franzoni, 7 • «La casa di mio padre», la famiglia nella Bibbia ebraica, Gianpaolo Anderlini, 9 • La famiglia nella tradizione musulmana, Hamza Roberto Piccardo, 11 La prima comunità cristiana, Mariachiara Giorda, 13 La famiglia nella storia delle religioni Il buddhismo si pratica in mezzo agli altri, Maria Angela Falà, 15 • Organizzazione familiare in Cina, Fabrizio Tosolini, 17 • Nell’ebraismo la casa è un «tempio», Franca Eckert Coen, 19 I cattolici e la famiglia nella storia, Bruno Bignami, 21 • Le Comunità di base si confrontano sulla famiglia patriarcale, Anna Maria Marlia, 23 • Gli ortodossi e il «santo mistero» del matrimonio, Antonio Delrio, 24 • I testimoni di Geova e la famiglia, Antonio Delrio, 25 Protestantesimo: fedeli a Dio e giusti verso gli esseri umani, Luca Baratto, 26 Concezione e prospettiva delle famiglie musulmane, Adel Jabbar, 28 • I sikh: moglie e marito, uno spirito comune, Marta Scialdone, 29 • La famiglia nella religione hindu, Stefano Piano, 30 Un tema che spacca le Chiese negli Stati Uniti, Paolo Naso, 31 • La principale fonte di felicità per i mormoni, Carmelo Russo, 33 Il ruolo delle culture La società si evolve, la legislazione arranca, Cecilia M. Calamani, 34 • Il «nido» violato, Franco Ferrarotti, 35 • La famiglia sul grande schermo, Patrizia Canova, 37 Sulla famiglia non sono solo canzonette, Odo Semellini, 39 • Dignità e diritti, non elemosina, Danilo Amadei, 40 • Quando la famiglia non c’è, Alberto Dazzi, 41 La famiglia dai Peanuts ai Simpson, Brunetto Salvarani, 42 Nodi aperti Insegnamenti papali da ridiscutere a fondo, David Gabrielli, 43 • La famiglia: un posto pericoloso, Debora Spini, 45 • Amore liquido: la crisi della famiglia, Rita Roberto, 47 Una lunga storia di accoglienza, Maria Bonafede, 49 • Matrimoni misti: una testimonianza, Orietta Ortu e Mohamed Mohatet, 51 • La famiglia come chiesa domestica?, Eugenio Scardaccione, 53 • La famiglia e la prima generazione incredula, Ruggero e Luisa Cavani, 55 • I nodi critici della morale sessuale e familiare, Christian Albini, 57 Nicea e i divorziati risposati: no al rigore, sì alla misericordia, Giovanni Cereti, 59 Sguardi sul futuro Un soggetto protagonista delle trasformazioni, Giannino Piana, 61 Continuità e discontinuità del Sinodo di Francesco, Luigi Sandri, 63 Famiglie e modelli di consumo, Gianni Caligaris, 65 Bibliografia

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Gli autori

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Le immagini che illustrano il numero sono riproduzioni di Fernand Léger

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Presentazione

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er chi allora aveva dieci anni ed oggi ha la mia età (nato negli anni Settanta, che ha vissuto l’epoca del boom televisivo dell’inizio degli anni Ottanta) non vi era alcun dubbio, la famiglia era una sola: quella della serie televisiva «Happy Days», il cult «retrò» – ambientato negli anni ‘50 – che voleva immortalare per sempre i tempi della brillantina e dei juke-box. La famiglia Cunningham era quella che la fiction televisiva americana voleva rappresentare con la F maiuscola, la famiglia che realizzava il sogno americano. Un sogno, non appena giunta la fiction sui nostri teleschermi, ovviamente anche italiano. Una famiglia intrisa di buoni valori, per bene e molto unita, che il «teppistello» meccanico rubacuori di nome Fonzie aveva scelto come adottiva, per aggrapparsi ad alcune certezze e al calore del focolare domestico (malgrado le numerose ragazze accanto e l’amicizia condivisa con molti suoi coetanei) per lenire la sua esistenza vissuta in estrema solitudine. Tutti noi ci rispecchiavamo in quelle dinamiche famigliari; malgrado quella fosse l’America: una società che viveva la propria religiosità come civile, laica, non dichiarata, tranne in alcune rappresentazioni (feste natalizie) ma molto presente nella sostanza, nei piccoli gesti, nelle scelte e nelle prediche laiche fatte dai genitori ai figli. Un titolo, «Happy days», che ha sempre richiamato la canzone gospel Happy Day, che celebra il «giorno felice» in cui Gesù «lavò i miei peccati» («washed my sins away») e insegnò a «guardare, lottare e pregare» e ad essere felici ogni giorno. Oggi tutto è cambiato da quando noi, adolescenti, ci rispecchiavamo nei personaggi di Fonzie, Ralph, Richie. Al posto di «Happy Days», la televisione propone ora scenari famigliari completamente diversi. La serie «Sex and the City», ad esempio, dimenticandosi completamente della dimensione religiosa, propone ai telespettatori una società (lo ricorda Salvarani, citando Bauman nella sua introduzione) sentimentalmente e sessualmente liquida, diversa: frenetica, disordinata, instabile. Tuttavia, seppur caotica, vissuta come normale; anzi: volutamente cercata nella sua anormalità. Dove si vedono alcuni personaggi, donne e uomini senza distinzioni, in carriera o in cerca di carriera e successo, che rinunciano all’idea di poter avere una famiglia «classica» o ad esempio alla possibilità di poter procreare (i figli visti come un impedimento alla propria indipendenza), altri personaggi femminili che pur di poter avere un figlio raggiunta un’età avanzata si rivolgono ad un amico, perché prive di un compagno. Famiglie plurali, famiglie singolari, famiglie di fatto. Oggi il tema della famiglia al plurale e al singolare, il tema dell’omosessualità, dei matrimoni gay, delle coppie di fatto con e senza figli, per fare solo alcuni esempi, ci chiama ad una riflessione ad ampio spettro. Come si può stabilire cos’è una famiglia e come deve essere formata una famiglia? Chi lo deve stabilire? È giusto trovare una definizione condivisa? Ed è necessario farlo? In questo contesto così articolato, quale ruolo giocano oggi, come nel passato, le religioni, la società, le istituzioni e la politica? Questi temi vengono qui affrontati attraverso il contributo di esperti, teologi, intellettuali, sociologi e studiosi che con noi hanno voluto approfondire e interrogarsi partendo da quelli che possiamo definire i pilastri teologici, spirituali, per aprire alle nuove ipotesi attuali e future su ciò che oggi possiamo definire come famiglia. Lo abbiamo fatto anche in una prospettiva laica e sociologica. Un numero monografico che certamente non vuole essere esaustivo, ma utile strumento per entrare nel dibattito di un tema come quello della famiglia, oggi centrale in un periodo di grandi mutamenti sociali, culturali e religiosi. Buona lettura.

Gian Mario Gillio

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INTRODUZIONE

Quale futuro per la famiglia? Brunetto Salvarani

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cazione alla pace, vanno attraversati, gestiti, tirati fuori, se si intende puntare al loro superamento. Mentre il silenzio e le buone maniere che celano i disagi nuocciono tanto alla chiarezza delle relazioni quanto ai legittimi diritti della verità. In questa chiave, il terreno più scosceso, in chiave ecumenica (ma anche interreligiosa), per certi versi quello meno atteso, è quello dell’etica. Non tanto della cosiddetta etica sociale, legata alle grandi questioni planetarie (dalla pace alla giustizia alla salvaguardia del creato) in cui la parola unitaria delle diverse Chiese è risuonata con discreta frequenza; ma piuttosto dell’etica della vita, della bioetica, di ciò che ci stiamo abituando a definire «post-umano». E, non da ultimo, dei diversi modelli di famiglie. È su questi campi, quanto mai accidentati, che bisogna concentrarsi, dunque, per cogliere i nervi più scoperti delle relazioni fra le Chiese cristiane e fra i mondi religiosi, in questa fase storica quanto mai complessa. Su questo versante abbiamo deciso di soffermarci, riflettendo in ottica interdisciplinare, ecumenica e interreligiosa, su passato, presente e futuro dell’istituzione familiare. Non per trovare risposte ai tanti dubbi, ma piuttosto per aprire sentieri, talvolta inattesi; talora, per seminare altri (sani) dubbi... Infatti, come sostiene Giannino Piana nel suo illuminante contributo, la riflessione che realisticamente è possibile fare oggi sul futuro della famiglia non può che avere il carattere di un mix tra «essere» e «dover essere», dove l’«essere» è rappresentato dalla constatazione delle forme attualmente in atto e dalla possibilità (con ogni evidenza limitata) di intravederne l’eventuale evoluzione; mentre il «dover essere» allude a quanto si spera (o si desidera) possa avvenire, nel segno di un assestamento che dia nuova consistenza alle relazioni interpersonali di ogni genere, favorendo lo sviluppo di una forma di convivenza civile e sociale sempre più armonica e solidale. Una delle sfide decisive, a ben vedere, per il mondo che verrà.

ra poche settimane, dal 5 al 19 ottobre 2014, si terrà un’Assemblea generale straordinaria del Sinodo cattolico dei vescovi sul tema «Le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’evangelizzazione». Banco di prova per nulla secondario per la volontà riformatrice di papa Francesco, e per la sua idea di «decentralizzazione» (come l’ha chiamata nell’esortazione Evangelii gaudium), l’evento rappresenterà anche l’occasione per fare il punto su un argomento – quello della famiglia, appunto – che si presenta oggi delicato quanto pochi altri, ma anche impossibile da trascurare per (tutte) le religioni, nel quadro di un pianeta sempre più globalizzato. Tanto più in un momento storico in cui, come teorizza il sociologo Zygmunt Bauman, si assiste all’evidente tramonto dei legami affettivi duraturi e stabili, e anche l’istituto familiare si trova esposto alle contraddizioni di una società ormai liquida. A suo parere, fondamentalmente, e appare difficile dargli torto, abbiamo perso la capacità di guardare lontano, e si pensa a vivere solo nell’immediato. Una «miopia» che porta a pensare esclusivamente all’oggi, al massimo a domani, ma non oltre; tutto viene sacrificato all’utilità del momento. Nucleo problematico, questo, dell’attuale crisi che ha colpito duramente l’intera comunità globale, non soltanto economica ma pure e forse soprattutto culturale, morale e affettiva, traducibile con una sola frase: paura dell’Altro e del riconoscere l’estraneità. È come se da un lato si avesse il desiderio impellente di una relazione stabile per paura della solitudine, ma dall’altro si fosse preda di un inspiegabile timore di rimanere imbrigliati per sempre in quella relazione, perdendo la propria identità e precludendosi chissà quali altre infinite possibilità di qualcosa di migliore e di più soddisfacente. La famiglia, dunque. Anche perché, se si è esaurito «l’ecumenismo delle coccole», come ammetteva con franchezza il cardinal Kasper a Sibiu (2007), ecco la necessità di tirar fuori, oggi più ancora di ieri, i problemi aperti, che pesano come macigni nel processo di unificazione delle Chiese cristiane e nella prospettiva di un autentico dialogo interculturale e interreligioso. Le spine che rischiano di farci sanguinare ancora per parecchio, cresciute come di regola in mezzo alle non poche rose di cui possono fregiarsi il movimento ecumenico e i cammini dialogici. In realtà sono tante le questioni che, nell’aprirsi di un nuovo millennio dell’era cristiana, stanno agitando le segreterie delle diverse gerarchie non meno del popolo della base più cosciente. Sarebbe sbagliato e controproducente fare finta di niente: i conflitti, spiega l’attuale edu-

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I GRANDI CODICI E LA FAMIGLIA

Il focolare domestico In un breve excursus sull’organizzazione familiare nel mondo classico è opportuno tenere distinte due realtà associate per comodità, ma caratterizzate in modo molto diverso dal punto di vista antropologico: quella ellenica e quella romana, rappresentate spesso come immobili senza tener conto delle evoluzioni che esse hanno subito nel corso della storia. Nella rassegna si prenderanno in esame due momenti emblematici: l’età repubblicana per Roma e l’epoca aurea di Atene e Sparta nel V secolo. Un’ulteriore distinzione riguarda l’analisi della struttura familiare sotto il profilo giuridico e sociale e la sua idealizzazione e mitologizzazione in ambito letterario ravvisabile in alcuni modelli epici e condensata nelle figure di Ettore e di Enea.

Antonella Fucecchi marcato: i due giovani si avviano alla costituzione di un nuovo nucleo in cui la scelta del partner è affidata alla accorta lungimiranza delle famiglie di origine. L’atto del matrimonio è fortemente asimmetrico anche nelle formule espressive che lo indicano: uxorem ducere per l’uomo e nubere per la donna. Le due modalità rivelano la natura autoritaria di tale vincolo, nel quale è assente una pari dignità: ducere infatti è termine militare applicabile al ruolo del comandante che eserciterà, da marito e da padre, lo stesso tipo di potere; per la donna le nozze consistono nel velarsi (nubere, nubile). Una volta sposata, la sua vita non avrà sviluppi e contatti esterni alla domus maritale e a quella dei genitori. Tuttavia questa rigida struttura veniva poi corretta nel quotidiano dalla centralità del peso assunto dalla matrona all’interno della domus, affidata quasi interamente alla sua avvedutezza di massaia e di piccola imprenditrice. Infatti la casa rappresenta anche un ambiente di lavoro collettivo, un’azienda con entrate ed uscite sulle quali vigila con accortezza la mater familias alle prese con schiavi ed ancelle da gestire per la pianificazione delle attività. In casa non devono mancare provviste di materiale grezzo e attrezzi per la filatura e tessitura delle stoffe con le quali confezionare abiti e toghe perché tutto il processo produttivo è curato all’interno delle pareti domestiche. Interessante notare come il verbo «pensare» e le parole semanticamente collegate con questa radice derivino da pensum, cioè dal quantitativo di lana da lavorare nell’arco di un giorno e stabilito come compito. Dunque una saggia amministratrice deve essere dotata di notevoli competenze per presiedere a tutte queste attività: le epigrafi presenti sulle sepolture femminili riportano un laconico giudizio: domi mansit, lanam fecit, ossia rimase in casa senza perdere tempo in attività pubbliche esterne e si occupò della filatura della lana e della tessitura.

Familia e res publica Nella Roma delle origini e repubblicana la familia è considerata uno stato in miniatura, un nucleo fondativo di ulteriori aggregazioni che non possono sussistere senza la saldezza della struttura familiare la cui articolazione interna in un corpus di doveri compiti e funzioni è rigorosamente definita in ambito giuridico: essa ruota intorno alla auctoritas del pater familias, un termine immutato nel tempo come conferma l’uscita arcaica in -as del genitivo, un tratto conservativo particolarmente rilevante in una cultura che tende ad attribuire alla parola una forza primordiale quasi magica. La familia è un nucleo costituito dalla coppia del pater e della mater e dai loro figli detti, senza alcuna distinzione sessuale, liberi, per separarli dagli altri membri schiavi detti famuli, individui subordinati privi della libertà personale e degli elementari diritti civili e politici. L’ordinamento familiare è coerentemente collegato con la struttura della res publica: un sistema di relazioni di potere che hanno al vertice di questa costruzione piramidale il pater che dà il nomen e la legittimità a tutti gli altri membri sui quali ha ed esercita il diritto di vita e di morte. Il padre romano si caratterizza per l’inflessibilità con la quale impone il rispetto delle regole e della legge, come è confermato dal corpus di racconti edificanti che costituisce il cuore della mitologia romana. Nelle leggende romane costruite intorno alle res gestae dei maiores, alle imprese degli antichi avi (Muzio Scevola, Orazio Coclite, Cincinnato) il modello di virtù additato è quello del sommo rispetto della devozione alla famiglia, alla patria e agli dèi; del resto l’educazione ricevuta da bambini tende a modellizzare l’appartenenza di genere codificando compiti e doveri relativi ai due sessi: esercizio dell’auctoritas e della forza per il maschio, pudicizia ed operosità per la femmina. Il matrimonio con i suoi riti è il passaggio alla vita adulta più

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I GRANDI CODICI E LA FAMIGLIA

Sotto il profilo antropologico la familia romana non è mai mononucleare e non sussiste se non in una fitta rete di contatti e di relazioni con rami collaterali i cui vincoli di affinità sono rafforzati dalla coscienza di appartenenza alla stessa gens. Le gentes sono l’ossatura della comunità romana concepita come una affiliazione di ceppi legati non solo geneticamente. I funerali di membri delle gentes patrizie rafforzavano efficacemente nei vivi la memoria delle relazioni intercorse non solo con il defunto, ma anche con tutti gli altri avi scomparsi anni prima, dei quali si conservava in appositi stipetti il calco del volto in cera: le maschere, in occasioni dei funerali, venivano indossate dai parenti e dai discendenti in corteo. Tale singolarissimo rito ha lo scopo di mostrare che il defunto viene accolto in seno alla comunità dei morti precedenti trasformati in benevoli numi tutelari della familia e delle familiae affiliate. Del resto la devozione dei Romani nei confronti dei defunti rappresenta una forma di religiosità molto più radicata dei culti ufficiali: la venerazione dei Lari e dei Penati, spiriti protettori del focolare domestico, ha avuto un ruolo centrale nella tenuta antropologica del popolo romano nella evoluzione della sua storia. Sul piano letterario, l’Eneide di Virgilio ha definitivamente consegnato all’immaginario europeo la figura di Enea, un concentrato di virtù romane funzionali alla propaganda politica di età augustea, quando la fine delle guerre civili e l’affermazione del principato richiedono la creazione di un personaggio simbolicamente efficace per risvegliare virtù antiche: un eroe dotato di pietas, di rispetto per gli dèi, la patria, la famiglia, rappresentato in fuga da Troia con il vecchio padre Anchise sulle spalle e il figlioletto Ascanio tenuto per mano: il civis romano perfetto.

L’agorà ateniese non è per le donne, la cui intelligenza è totalmente sacrificata sull’altare del ruolo di genere e sulle aspettative sociali. Nel loro destino di madri feconde non possono interferire con le attività che il marito svolge fuori. Non di rado infatti l’uomo ha altre relazioni di vario livello più o meno durature con donne diverse definite anche in base alle loro funzioni: la pornè, la prostituta, la etera, raffinata intellettuale, la pallachè, compagna più o meno fissa di giochi sessuali. Un panorama relazionale diversificato, tollerato, che non esclude peraltro neppure la pratica occasionale dell’omosessualità e della pederastia, nel caso di artisti o maestri di pensiero. Tali pluralità di relazioni policentriche, a vari livelli, però, non provoca la rottura del patto coniugale che resta comunque saldo e solido, visto che la moglie assicura una discendenza geneticamente sicura. A Sparta, invece, la donna gode di libertà insospettate: conformemente al rigore dell’educazione maschile, che è affidata allo Stato fin dall’età di sette anni, anche alle donne vengono offerti dei percorsi formativi di tipo sportivo, attività all’aria aperta per rafforzare il vigore del corpo destinato a procreare figli forti e soldati valorosi per uno Stato che vive in perenne assetto di guerra. Tutta la vita del cittadino è scandita dal servizio militare a vita che garantisce la polis oligarchica dagli attacchi e dalle rivolte periodiche degli iloti, la fascia più bassa della popolazione priva di diritti civili e politici, utilizzata come manodopera schiavile. Non casualmente il giovane spartiata, cittadino che gode di pieni diritti, deve affrontare come rito di iniziazione il rito barbarico della caccia notturna all’ilota per dimostrare la propria forza ed abilità di uccidere. La vita familiare a Sparta è subordinata alle esigenze dello Stato, che impone al giovane sposo di dormire in caserma anche la prima notte, dopo aver fugacemente assolto ai suoi doveri coniugali. In tale contesto fioriscono leggende di eroica resistenza, di sprezzo del pericolo, di sopportazione di prove estreme come fustigazioni e percosse, privazioni e stenti destinati a temprare. L’ossessione per l’eugenetica impone l’esposizione sul monte Taigeto di neonati non normodotati alla nascita: non c’è alcuno scampo. Il cittadino spartano deve essere fin dall’infanzia un soldato e l’educazione dei primi anni dovrà addestrare il bambino ad una precoce separazione dai suoi genitori: del resto, è un figlio dello Stato. Questo stile educativo della roccaforte dell’oligarchia ellenica ne ha fatto un modello ammirato e imitato da molti regimi totalitari. Al momento della partenza, armato di tutto punto il soldato arrivava al cospetto della madre che lo ammoniva indicando lo scudo: o torni con questo o torni su questo. Vivo o morto, ma con l’onore militare intatto.

Il modo greco ellenico. Atene e Sparta L’opposizione tradizionale tra le due poleis che incarnano modelli di gestione politica antitetica si riflette inevitabilmente anche all’interno delle strutture familiari costruite secondo modelli funzionali alla salute dello Stato. Come è noto Atene raggiunge nell’età di Pericle il suo apogeo politico e culturale, grazie anche alla costituzione democratica, che accorda il pieno godimento dei diritti politici ai soli maschi adulti liberi, ma esclude schiavi e donne. È il logografo Lisia a descrivere nelle sue orazioni spaccati eccezionali di vita domestica ateniese, turbata però da tradimenti coniugali che culminano con il delitto passionale: la donna è ritenuta possesso del marito, che considera l’adulterio un danno pari al furto. Nell’orazione «Per l’uccisione di Eratostene», Lisia ricostruisce l’antefatto del tradimento dal punto di vista del marito omicida, una testimonianza particolarmente preziosa per indagare sulle dinamiche di relazione e di coppia nell’Atene del quinto secolo. La donna non ha libertà di movimento se non tra le mura domestiche della casa in cui vive con il coniuge: può uscire soltanto in occasione di eventi rilevanti, come un funerale. In quella circostanza, probabilmente velata, si interrompe il muro di isolamento e nel gioco di sguardi si sprigiona la seduzione che trasformerà la giovane donna in adultera. Di norma la donna sposata non esce neppure per andare al mercato, incombenza, ma anche occasione di scambio di natura sociale e pubblica svolta dal marito.

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