Confini 107

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Web-magazine di prospezione sul futuro

Confini

Idee & oltre

MARE MONSTRUM

Numero 107 Luglio-Agosto 2022


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Confini Web-magazine di prospezione sul futuro Organo dell’Associazione Culturale “Confini” Numero 107 - Luglio-Agosto 2022 Anno XXIV Edizione fuori commercio

+ Direttore e fondatore: Angelo Romano +

Condirettori: Massimo Sergenti - Cristofaro Sola +

Hanno collaborato:

Gianni Falcone Roberta Forte Lino Lavorgna Sara Lodi Stefania Melani Fausto Provenzano Angelo Romano Massimo Sergenti Pierpaolo Sicco Cristofaro Sola

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Contatti: confiniorg@gmail.com


RISO AMARO

Per gentile concessione di Sara Lodi e Gianni Falcone

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EDITORIALE

MARE AMARO Il Mar Mediterraneo rappresenta l'1% delle acque ma contiene il 7% delle microplastiche marine a livello mondiale: dalle 150 e le 500 mila tonnellate di macroplastiche e tra le 70 e 130 mila tonnellate di microplastiche (si stima che nelle sue acque si siano accumulate non meno di 1.200.000 tonnellate di plastica). Cinquecento milioni di persone vi sversano i loro liquami, solo in piccola parte depurati. Apportano rifiuti anche i fiumi grandi: Nilo, Rodano Po e piccoli. Ben 20.000 morti si sono dissolti nelle sue acque negli ultimi 8 anni. Flora e fauna autoctone vengono lentamente soppiantate da specie aliene, spesso pericolose, provenienti da mari più caldi. Le sue acque si riscaldano più velocemente che negli altri mari (circa il 20% in più). Si aggiungono poi gli scarichi industriali e quelli agricoli, pesticidi compresi, il petrolio, i prodotti chimici e tutto quanto è connesso alle tensioni geopolitiche: mine, fall-out, trivellazioni, apparati militari... Ma non è questo che ne fa un "mare monstrum". Sono le mire espansionistiche della Turchia che ha messo radici in Libia, una Libia destabilizzata dagli "occidentali", è il fallimento clamoroso delle cosiddette "primavere arabe", sono le derive autoritarie di Tunisia ed Egitto, le mire espansionistiche del Marocco retto da un monarca non proprio illuminato, è la condizione di miseria in cui la Grecia è stata scaraventata dalle amorevoli cure delle UE, è l'instabilità degli stati balcanici, ex iugoslavi ed ex ex italiani... E' un mare che si surriscalda irreversibilmente... L'Italia una volta era guida del "mare nostrum", poi si è accontentata di poter essere "ponte" dell'Europa e "hub" dei commerci, ma si è trattata di un'illusione passeggera... L'Europa arriva dove vogliono arrivare i suoi Paesi guida e dove la conducono le potenti lobby che operano a Bruxelles e raramente si incrociano gli interessi italiani. E così il "ponte" miseramente ha preso ad affondare sotto il peso degli sbarchi clandestini e dell'insufficienza della politica. E il Sud è già sott'acqua. Ovviamente solo in senso figurato. Il caldo torrido prosciuga laghi e fiumi, scioglie ghiacciai e inaridisce la terra. E ci fosse uno dei tanti, troppi, “decisori” che si sia posto il problema della conservazione dell’acqua. In Spagna, che di siccità soffre da tempo immemorabile, hanno, già da qualche decennio ed utilizzando bene i fondi europei, affrontato e risolto il problema creando una rete di bacini per la conservazione delle acque. Una costellazione di laghi artificiali garantisce la raccolta delle acque piovane e consente alla popolazione ed, in particolare agli agricoltori, di non soffrire.


EDITORIALE

Da noi, il massimo che si è riusciti a fare in argomento, è stato quello di far accogliere, bontà loro, nel programma elettorale della Lega, la creazione di una simile rete di bacini. Ma si sa i programmi nessuno li legge e presto si dimenticano. E oggi siamo costretti a perdere una cospicua percentuale di raccolti: pomodori, ortaggi, frutta per non parlare delle risaie a secco. Per non dire della ormai cronica mancanza di mano d’opera agricola. Eppure il principale compito della politica dovrebbe essere quello di impedire che il “destino” si abbatta sul popolo come una tegola. Ma la barca fa acqua e rischia di capovolgersi in un mare sempre più amaro. Angelo Romano

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SCENARI

MARE MONSTRUM Non posso negarlo. Di fronte alla parola 'monstrum', immediatamente sono stata indotta a caricare l'accezione di significati negativi tipici di un'espressione simile: 'mostro'. Ma, poco dopo, mi sono ravveduta e ho focalizzato che 'Monstrum', invece, è il sinonimo di prodigio, di miracolo, di evento straordinario. Un termine che, solo raramente, sta a significare una nefandezza, un atto mostruoso. Ed ecco il Mediterraneo: mare monstrum per eccellenza, l'esatta fusione dei concetti espressi. Peraltro, la sua assonanza con 'mare nostrum' è puramente casuale: nel primo caso, è il senso di una poliedrica arricchente astrazione mentre il secondo è una 'definizione a tempo'. Venuta in essere poco dopo il 30 a.C., essa fu mantenuta, insieme a 'mare internum', fino alla fine dell'Impero Romano d'Occidente per essere soppiantata, poi da 'mediterraneum mare', appunto. Il 'mare interno', infatti, prima ancora della definizione romana, è stato il crogiuolo dove civiltà si sono formate, hanno operato e si sono esaurite. Pensiamo ai Sumeri, a questi abitanti della Mesopotamia di oltre 6.000 anni fa, e alla loro capacità di tradurre per la prima volta al mondo il linguaggio parlato in oltre duemila segni pittorici al fine di 'leggerlo', prima ancora di stilizzarlo nella nota scrittura cosiddetta cuneiforme. Gli ùg sag gíg ga, il popolo dalla testa nera, della terra Ki-en-gir, dei 'signori civilizzati', che hanno lasciato ai posteri le prime nozioni di educazione, di diritto, per la navigazione, per la zootecnia, per la scultura, per l'architettura nonché il sistema sessagesimale, quello che ancora oggi usiamo per contare le ore e i minuti, i gradi del cerchio e degli angoli. Lo stesso sistema che attualmente adoperiamo per il frazionamento delle costellazioni. 'I signori civilizzati', del resto, non avrebbero potuto scegliere terra migliore in virtù della configurazione geografica e idrografica: due fiumi, i mitici Tigri ed Eufrate a est e la Palestina e la sua costa mediterranea a ovest. E, non a caso, gli amanuensi ebrei del I° Libro del Pentateuco, Genesi, redatto in cattività in quel di Babilonia circa cinque secoli a.C., per descrivere il Paradiso parlarono di un corso d'acqua che si divideva alimentando quattro rami dei quali il primo, Pison, circondava la Terra di Avila, la regione arabica; il secondo, Gihon, che avvolgeva la Terra di Kush, l'Egitto; ed il terzo e il quarto, il Tigri e l'Eufrate, appunto, che irrigavano la Mesopotamia. Una terra, quella dei Sumeri, che s'intreccia strettamente con le Tre Religioni del Libro grazie al comune Grande Padre Abramo, si dice proveniente, appunto, dalla sumera Ur, dominante città/Stato, abbandonata dal Patriarca presumibilmente a seguito dell'invasione degli Ittiti: i provetti lavoratori del ferro, i primi a usare il carro da guerra, dotati della più antica Costituzione


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al mondo emanata col proclama di Telipinu1 nel XVI secolo a.C. Senza considerare, infine, il valore per loro del codice di Ur-Nammu di cinque secoli prima, contenente ben cinquantasette leggi penali nonché misure standard di capacità e di peso. E come dimenticare i coevi Egizi e la loro civiltà il cui regno si perde nella notte dei tempi con Narmer o Menes, il primo faraone secondo Manetone all'incirca 3.000 anni a.C.; quegli Egizi la cui storia si dipana in tre millenni attraverso ben trentuno dinastie, lasciando ai posteri arcinoti segni inequivocabili di grandezza e di civiltà nonché di forza militare. Furono loro, infatti, a sconfiggere gli ittiti nella celebre battaglia di Qadeš condotta dal grande Rames II. Così come, poco prima, avevano definitivamente abbattuto, sotto la guida di Kamose, uno strano popolo, gli Hyks?s, con il quale per ben due secoli erano stati costretti a convivere al loro interno. I Greci e i Romani sono ancora di là da venire e già la storia dei Paesi rivieraschi del 'mare interno' è ricchissima di scambi culturali e commerciali, di guerre infauste e di felici riconciliazioni; un mare, lungi dal diventare 'nostrum', già solcato a profusione da capienti barche fenice in grado di navigare anche di notte prendendo come punto di riferimento le costellazioni circumpolari, in particolare l'Orsa Maggiore. Un popolo, quello fenicio, già capace a quel tempo (XIII sec. a.C.) di 2 circumnavigare l'Africa , al quale dobbiamo l'ideazione del primo alfabeto fonetico, che comprendeva ventidue segni, usati e modificati successivamente dagli Ebrei. Tuttavia, dopo cinque secoli di libertà e di splendori, dovranno chinare il capo sotto la potenza assira, attratta dalle ricchezze fenice. Una condizione di sudditanza, quella citata, che si protrarrà per tre secoli. L'impero assiro, sorto sotto la guida di Tiglat-Pileser I, conobbe una serie infinita di vittorie, tra le quali quella contro l'Egitto, e di sconfitte, tra le quali quella contro la Babilonia di Hammurabi, estensore del noto Codice che, oltre un millennio avanti Cristo, detta norme di diritto costituzionale, immobiliare, obbligazionario, matrimoniale, successorio, penale, locativo nonché dispositivo per la schiavitù e per l'allevamento del bestiame; norme racchiuse in una stele di oltre due metri, visibile al Louvre. L'impero assiro brillerà ancora e lascerà segni inequivocabili della sua grandezza: sotto la guida di Assurbanipal, chiamato dai Greci Sardanapalo, venne costruita a Ninive una grandiosa biblioteca che raccoglieva circa 22.000 tavolette cuneiformi (tra cui la redazione del Ciclo di Gilgamesh), incoraggiando oltremodo l'arte e la cultura, in rappresentanza di uno dei momenti più prosperi per lo sviluppo civile e artistico assiro. Ma, alla fine, dalle contese dell'epoca, due sole stelle emersero dal firmamento del relativo scacchiere: la Persia e Babilonia. Non credo occorra sintetizzare la grandezza e la potenza della Persia né, tantomeno, dopo alterne vicende, quella di Babilonia. E se la prima, tra l'altro, dovette fare i conti con un'altra potenza militare e marinara, Cartagine, che aveva preso a dominare la parte occidentale del 'mare interno', la seconda ebbe la meglio sull'intraprendenza del regno ebreo del sud palestinese, quello di Giuda, giungendo con Nabucodonosor alla deportazione del gotha gerosolimitano e di re Sedecia. Al pari del destino dei maggiorenti del regno del Nord, Israel, confinati in precedenza dagli Assiri a Ninive. Lo si deve alla cattività babilonese la nascita della prima sinagoga, superando per forza naturale

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di cose il divieto di celebrare al di fuori del Tempio, e (presumibilmente) l'avvio lì della redazione della prima versione di Genesi, di Esodo, del Levitico, di Numeri, del Libro I e II dei Re, dei Libri dei profeti Geremia, (proto) Isaia, Baruc e Ezechiele nonché di quello dei Salmi. Dopo circa cinquant'anni, ci penserà il persiano Ciro, vincitore sui babilonesi, a decretare il ritorno dei deportati a Gerusalemme sotto la guida del prefetto persiano Zorobabele, e la ricostruzione del Tempio, distrutto da Nabucodonosor. Ma il Fato continua a muovere i suoi scenari e, per la prima volta, al giro di boa dell'ultimo millennio prima dell'era volgare, salgono al proscenio le città-stato greche contro la macchina bellica persiana. È il momento storico dei Greci, di breve durata se vogliamo, ma estremamente intenso: dalla cosiddetta Prima Guerra Persiana, vinta dagli Ateniesi nella battaglia di Maratona che ha reso immortali due emerodromi e due 'corse': Filippide, inviato a Sparta con richiesta di aiuto, e Tersicore, spedito ad Atene ad annunciare la vittoria. Alla Seconda Guerra Persiana, vinta dalla Lega panellenica sotto il comando di Temistocle, che insieme al mito di Leonida e dei suoi 300 alle Termopili, ha donato ai posteri una vittoriosa strategia di battaglia navale a Salamina che, a detta di studiosi, ha finanche reso possibile la conservazione di quella che diverrà la 'cultura occidentale'. Già. La cultura 'occidentale', allora fatta di artisti, quali tra gli altri Fidia e Apelle, e di filosofi del livello di Socrate, di Aristocle in arte Platone, di Aristotele la cui portata del pensiero ha pervaso il mondo fino ai giorni nostri e che a quei tempi produceva una stretta relazione con le attività umane: si pensi ad Alessandro Magno, giovane allievo di Aristotele, che in soli trentatré anni di vita, oltre ad unificare la Grecia, ha conquistato terre che ininterrottamente vanno dal 'mare audacia temeraria igiene spirituale interno' fino all'Oceano Indiano. Poi, i Diadochi, i suoi generali, alla sua morte si spartiranno le conquiste e i loro eredi si troveranno ad affrontare una impetuosamente emergente potenza militare: Roma. Dopo due secoli di 'regno' dalla sua dichiarata fondazione (753 a.C.), Roma cancellerà la guida di un re per sposare quella della Repubblica, primo esempio tra le civiltà esistenti, con bilanciamento dei poteri tra Senato, Tribuni della plebe e Consoli: un assetto istituzionale che sostanzialmente si protrarrà per cinque secoli: fino ad arrivare all'Impero augusteo che manterrà il sistema solo formalmente per altri quattro secoli. Ma Roma, come sappiamo, non sarà solo una potenza militare le cui conquiste non hanno eguali ma anche un insieme di credi (oltre trenta), di culture e di conoscenze le cui attività e opere sono ancora perfettamente visibili ai giorni nostri. Si dice che 'Grecia capta ferum victorem coepit'3, la Grecia catturata catturò il rozzo vincitore. Ma tale affermazione, a sommesso avviso, è fondata solo in parte: è vero che agli aspiranti alle cariche pubbliche faceva merito la conoscenza del greco ma è anche vero che Roma seppe fare tesoro della cultura ellenica che elaborò per costruire la sua magnificenza: opere architettoniche che sfidano il tempo, dimore abbellite da splenditi mosaici e rese funzionali da avveniristici sistemi idraulici, città con fori, teatri, arene, terme e reti fognarie, strade e ponti ancora in essere per efficaci sistemi di collegamento e di trasporto.


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E, poi, l'arte, la letteratura, la poesia, il diritto le cui indelebili tracce hanno influenzato artisti, letterati, poeti, giureconsulti e magistrati dei secoli successivi; e, ancora, certo, la forza delle armi. Come Alessandro Magno nel 'disegnare' la sua fanteria trasse spunto dai quaderni di Xenofonte circa l'impiego degli opliti, così i Romani, elaborando la falange oplita, concepirono e impiegarono l'inarrestabile legione che ha reso possibile l'estensione di quella civiltà in tutto il mondo allora conosciuto, soppiantando, è vero, ogni ulteriore, coeva, civiltà a cominciare da Cartagine, fino a definire il 'mare interno' con l'inequivocabile appellativo di 'nostrum'. Potrei fermarmi qui perché il proseguo della storia è noto ma da quanto maldestramente sopra riportato emergono delle considerazioni su fatti che dal passato, a dritta o a rovescio, rimbalzano fino ai giorni nostri. Il Mediterraneo ha visto sulle sue rive un florilegio di antiche civiltà che per trovarne di simili occorre spostarsi in Cina. Ma, a differenza di questa, quelle mediterranee hanno generalmente avuto migliori riverberazioni sociali e maggiori effetti civili. Le culture mediterranee, peraltro, tra i loro punti di maggior forza hanno trovato la 'percorrenza' del mare. Per scorgere navigatori simili, occorre attendere più di un millennio e spostarsi nelle regioni scandinave per scoprire i mitici vichinghi che, tutt'al più, hanno attraversato il Mare del Nord per raggiungere l'Inghilterra e, successivamente, la Francia. Inoltre, è indubbia la posizione, 'privilegiata' possiamo dire, della penisola italica che si protende nel bacino mediterraneo fino a 90 miglia (grazie alle sue isole) dalla costa africana formando quasi una sorta di transenna tra le colonne d'Ercole e il Mar d'Azov. E questo, insieme all'intraprendenza, ha consentito alle cosiddette Repubbliche Marinare, nell'Italia dei Comuni, di produrre commerci in ogni capo del mondo noto e conseguente ricchezza. Certo, anche altri Paesi hanno trovato il loro core business nel mare ma per giungere al livello delle Repubbliche marinare hanno dovuto attendere qualche secolo. Si pensi alla I crociata, quella mossa da Papa Urbano II nel primo secolo del secondo millennio: quattro armate, europee possiamo dire, che dopo varie vicissitudini arrivarono a Gerusalemme per espugnare la quale, dopo numerosissimi infruttuosi attacchi, dovettero attende l'arrivo delle navi genovesi al comando dei fratelli Embriaco con le loro torri d'assalto. Non sarà certo quella l'unica volta dove le Repubbliche marinare saranno attive partecipanti, finanche risolutive nelle controversie 'interne': nell'arco di oltre quattrocento anni, saranno decine e decine le battaglie dove parteciperanno disgiuntamente, congiuntamente o, addirittura, reciprocamente contro. Saranno invece restie a prender parte alle ulteriori nove crociate in quanto avevano interessi (magazzini, punti vendita, ecc.) da difendere, particolarmente tra la Siria, la Palestina e l'Egitto. Ma quando si trattò di contrastare lo strapotere turco, si ritrovarono insieme nella battaglia di Lepanto, unitamente alla Spagna, divenuta nelle more potenza marinara, al regno di Napoli e a quello di Sicilia, sotto l'egida dello Stato Pontificio. L'antefatto fu il salvataggio di Famagosta, assediata dai turchi sull'isola di Cipro, dominio veneziano. Ma il contesto fu quello di una lotta per il controllo del Mediterraneo, benché tra Oriente e Occidente gli scambi di persone, merci, denaro e tecniche fossero intensissimi. La

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sconfitta dei turchi a Lepanto non frenò, comunque, il loro espansionismo: più di un secolo dopo, verranno definitivamente fermati sotto le mura di Vienna. Ma sul mare, per avere chances, dovettero ricorrere all'uso di corsari. In pratica, fino ad allora, sulle acque mediterranee sulle cui sponde si affaccia sia l'Occidente che l'Oriente, avevano indirizzato la prua solo navi 'interne' per commerciare e per guerreggiare. Un quadro che ha attraversato i millenni, immutato. Fino all'arrivo in quelle acque di una potenza marittima esogena: l'Inghilterra. Tutto ciò posto, i fatti espressi inducono a mio sommesso avviso a delle riflessioni, inefficaci e ininfluenti quanto vogliamo, ma non per questo meno fondate e potenzialmente veritiere. Dato il 'comune destino' delle popolazioni rivierasche, la comune storia e il patrimonio culturale comune, una qualche mente brillante avrebbe potuto efficacemente proporre, nel tempo, una sorta di ONMU, un'Organizzazione delle (sole) Nazioni Mediterranee Unite. Conosco l'esistenza dell'Unione per il Mediterraneo, composta da ventisette Stati membri dell'Unione Europea e da sedici Paesi del Nordafrica, del Medio Oriente e dell'Europa sud-orientale ma non mi sento di attribuire a quell'Unione un intento che vada al di là del nominale, in palese offesa del patrimonio storico comune. E ciò, nonostante gli 'alti compiti' auto-attributi: Sviluppo imprenditoriale, Alta formazione e ricerca, Affari sociali e civili, Energia e azioni per il clima, Trasporti e sviluppo urbano, Acqua e ambiente, Politica e sicurezza, Economia e commercio, Ambito socio-culturale e Giustizia e affari interni. Un'Unione le cui teoriche basi risalgono al 1995 e, attraverso il cosiddetto Processo di Barcellona, sono state incrementate negli anni. Sono sicuramente una disattenta lettrice ma non mi sembra che così altisonanti compiti abbiano prodotto audacia concreti effetti. Forse, un po' come si narra, accadde a Mozart che, nel presentare Il temeraria igiene spirituale Ratto dal serraglio all'imperatore, si sentì dire: 'Bella ma … troppe note.' Nel senso che se creassero un'armonia, i Paesi del Nord Europa corroborerebbero quell'Unione attraverso un arricchente, diversificato contributo non foss'altro che d'idee anche se digiuni di specifiche conoscenze. Ma, spesso, i punti di vista tra Nord e Sud sono in totale opposizione che si concretizza nel contrastare o nel correre 'in solitaria' per interessi di parte, quando non in risposta a 'calcoli' di terzi. Basti osservare, ad esempio, le problematiche relative ai migranti, all'approvigionamento energetico, alla tutela delle acque o alla difesa di minoranze. Mi riferisco, in quest'ultimo caso, ai curdi. Si dice che, per brillante pensata americana, siano stati 'usati', insieme ad un fiume di denaro, come corrispettivo all'impegno di Saddam Hussein contro gli iraniani. Un corrispettivo, quello dei curdi, che sembra aver previsto solo il 'silenzio' sulla loro strage. Un 'silenzio' che si dice essersi ora spostato su Erdogan che sembra aver receduto dal suo veto all'ingresso nella NATO di Finlandia e Svezia, a suo dire ospitanti 'attivisti' curdi, grazie alla 'mano libera' nei loro confronti. Una problematica, quella curda, tutta mediterranea la cui articolazione, tuttavia, è stata lasciata alla sola 'disattenzione' di terzi, peraltro estranei pure agli interessi reali europei, oltreché mediterranei. Quindi, tornando alla nominalistica Unione per il Mediterraneo, questa mi ricorda il parto della mente del colonnello Edward Mandell House, braccio destro del presidente Woodrow Wilson


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alla pace di Versailles nel '19 del secolo scorso: la nascita della Società delle Nazioni, definita 'comunità di potenza'. Un'organizzazione internazionale che sostituisse l'Inghilterra nel ruolo di 'gendarme d'Europa' e che avesse le facoltà, grazie ai Paesi in essa riuniti, di risolvere le crisi e di evitare lo scoppio di nuove guerre. I risultati, tuttavia, furono disastrosi: i vinti e la Russia non vennero inclusi nei primi accordi e gli Stati Uniti, con un voto contrario del Senato nel 1920, a causa dell'avversa opinione pubblica, si astennero dalla loro stessa iniziativa. La debolezza della Società delle Nazioni, rimasta tra le sole mani di Inghilterra e Francia, venne evidenziata subito dopo: le furono sottoposti sedici conflitti, nessuno dei quali, venne risolto con un deciso intervento. Bisognerà attendere il '45, quando Franklin D. Roosevelt 'propose' l'ONU alle cinquanta nazioni partecipanti alla conferenza di San Francisco. E, per assicurarsi che la sede restasse negli USA, John D. Rockefeller Jr. donò il terreno per il relativo quartier generale. Non che questo sembra aver mutato l'ottica dell'analisi critica: i 'caschi blu' hanno svolto nel tempo preziosa presenza di 'cuscinetto' nelle zone calde del pianeta ma quando interessi terzi si sono trovati in disaccordo con i deliberati di quell'Organizzazione, quest'ultimi sono stati bellamente ignorati e, peraltro, è stata volutamente attuata un'intromissione brutale non solo nel territorio europeo ma, più specificatamente, nell'ex Jugoslavia, terra rivierasca mediterranea, nel 'silenzio' europeo e dell'Italia, dirimpettaia. Già. L'Italia e il suo 'silenzio'. La conclusione della I guerra mondiale fu la fine degli imperi mediterranei: quello ottomano e quello austro-ungarico lasciando la situazione nel 'mare interno' sotto la praticamente sola regia inglese, un Paese estraneo alle culture e alle problematiche locali; infatti, le scelte operate e le decisioni allora assunte riverberano i loro dannosi effetti fino ai giorni nostri. Leggasi, tra i tanti, l'Iraq. Un solo Stato mediterraneo, il Regno delle Due Sicilie, qualche decennio prima, aveva ritenuto utile dotarsi di una forza marittima del livello di quella inglese, non foss'altro che per il fatto di essere contornato dal mare per la quasi totalità dei suoi confini. E non certo per scontro visti i vasti, proficui traffici commerciali che tra i due Paesi intercorrevano. Che quella Marina fosse una presenza di rilievo, al di là dei florilegi liberali e repubblicani dell'epoca, lo dimostra il fatto che, nell'Italia appena unificata, la Marina italiana, oltre ad assumerne i cospicui moderni natanti, adottò le uniformi, i gradi e i regolamenti di quella borbonica. Senza voler minimamente adontare la sacralità dell'Unità e le relative Istituzioni, resta il quesito nel 'silenzio' degli storici di come due bastimenti da trasporto commerciale, affittati dalla società Rubattino, abbiano potuto eludere i controlli di quell'efficiente Marina. Comunque, a livello d'inciso, nessuna mente raziocinante avrebbe potuto, nel proseguo, penalizzare la nautica italiana, viste le caratteristiche della penisola: una nautica fiore all'occhiello per design, cantieristica, porti e contesti paesaggistici. Eppure, dovremo attendere l'illuminazione del III Millennio per incontrare Soter, allevati da deità atlantiche, che nell'assoluto 'silenzio' degli astanti con un colpo di penna hanno cancellato quella arricchente tradizione. Il 'silenzio', infatti, sembra essere una caratteristica particolarmente italica o a essa rivolta. Protesa nel Mediterraneo, in una posizione particolarmente strategica, agli albori del secolo

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passato ha provato ad attraversare il mare per contenere la presenza sulle coste africane di Inghilterra e Francia. Due Paesi che, grazie alla forza delle loro armi e della loro marina, avevano conquistato possedimenti ed erano magna pars nella gestione di territori che, oltre all'Africa, andavano dal Mar dei Caraibi all'Oceano Indiano; luoghi dove in parte ancora permangono o hanno perso per loro scelta dopo oltre due secoli di lucrosa permanenza. A differenza dell'Italia che, dopo qualche decennio di soggiorno africano operoso e notevolmente oneroso, è stata 'gettata' a mare nel 'silenzio' internazionale per il sacrosanto 'diritto' di un popolo di fare la rivoluzione. Quello stesso 'diritto' che nel mondo occidentale viene, giustamente, negato dando però nel contempo ragione al detto che i rivoluzionari non hanno mai ragione, a meno che non vincano. Poi, di recente, è stata aggiunta la considerazione ulteriore: '… e non abbiano giacimenti di gas e di petrolio.'. Un'aggiunta che per noi, a distanza di oltre trent'anni, ha comportato l'esborso di alcuni miliardi a titolo di 'risarcimento'(?), dopo aver lasciato in quelle terre inestimabili proprietà imprenditoriali e abitative. Già. Il Mediterraneo, gioie e dolori di popoli e nostri in particolare. In barba ai dettati altisonanti dell'Unione Europea e dell'Unione per il Mediterraneo, ogni anno una fiumana di profughi composta da centinaia di migliaia di persone, per scampare alla guerra e alla fame, abbandona l''altra' riva, preda di mercanti di esseri umani, col miraggio di raggiungere una vita dignitosa. Un miraggio che per buona parte di loro rimarrà tale ma, almeno, avranno sostenuto lo scopo istitutivo di ONG del Nord Europa, divenute, esse, le nuove 'signore con le lanterne', le redivive Florence Nightingale, in soccorso ai bisognosi: le uniche e sole 'corsare' del Mediterraneo, in grado addirittura di dettar legge sul porto d'attracco. L'importante è che sia italiano. Per il 'silenzio'. Agli inizi dell'esodo, abbiamo fatto svolgere alla Marina militare il ruolo di crocerossine nell'operazione definita (nemmeno a farlo apposta) Mare Nostrum, operando un'infinità di salvataggi e comunque chiamando sommessamente in soccorso l'Unione Europea per gli abnormi costi che dovevamo caritatevolmente sopportare. Alla fine, dopo l'ennesimo bisbiglio, l'Europa ha risposto con Frontex: un raggio d'azione in mare ridotto a circa un decimo di quello di Mare Nostrum e con la più ampia facoltà di azione alle suddette ONG. Ovviamente, nel nostro 'silenzio'. Con tutto il rispetto verso la Magistratura, siamo arrivati ad ipotizzare il rinvio a giudizio di due ufficiali superiori, a seguito del naufragio di un barcone che ha comportato la morte di 268 persone; un tragico fatto che, a detta della Procura, avrebbe potuto essere evitato con un intervento più celere e non dilatorio della Marina italiana. No comment. Alcuni anni fa, un Ministro italiano (di sinistra) fece un accordo con la Libia volto a contenere il flusso di migranti che transitano e partono da quel Paese; un'intesa che prevedeva aiuti, dotazioni, formazione soprattutto alla Marina libica. Di lì a breve, si ritrovò con una denuncia di Amnesty International perché quell'accordo, si affermava, avrebbe comportato il soggiorno presso campi di internamento libici di decine di migliaia di profughi, esponendoli alla violenza e, addirittura, alla tortura dei sorveglianti. Non sono in grado, ovviamente, di confutare quelle affermazioni ma, mi sono chiesta allora e ribadisco ora, la Libia non è uno Stato sovrano, una


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Repubblica parlamentare, riconosciuta persino dall'Onu? Posso capire che il governo è conteso ma ciò non toglie che i suoi attuali rappresentanti siano legittimati ad agire dalla Società delle Nazioni, dallo stesso ONU. In ogni caso, ammesso che le affermazioni di Amnesty International siano vere, perché non denunciare quel Paese all'Onu? Perché non documentare le presunte atrocità commesse? Perché, nel caso di fondatezza, non lottare al fine di porre al bando quel Paese dal club degli Stati civili e arrivare ad adottare nei suoi confronti anche una sorta d'embargo per indurlo al rispetto dei diritti umani? C'è chi afferma che tali 'disattenzioni' risiederebbero da un lato nel petrolio e nel gas e, dall'altro, nei presunti interessi delle ONG. Va a sapere. Comunque, a latere, perché non denunciare i Governi di tutti quegli Stati che hanno posto l'esercito alle frontiere, hanno alzato muri, hanno schierato forze di polizia, hanno chiuso i loro porti, per impedire l'accesso a frotte di immigrati, la stragrande maggioranza delle quali salvate dalla Marina italiana? Ma alle tante domande segue il tradizionale silenzio. Due impressioni balzano imperiose alla mia mente. La prima non credo abbia bisogno di spiegazioni; si basa su un detto di un'antica terra mediterranea, la Sicilia, e testualmente afferma: 'ammuttari û fumu câ stanga', spingere il fumo col bastone. Che dire di più? La seconda inerisce al 'solito' silenzio. Uno stato d'essere, questo, che ci connota solo all'esterno del nostro Paese. All'interno, invece, assordanti grida su progetti, impegni, idee inerenti il Mediterraneo, rimbalzano puntualmente e frequentemente nell'aria. La politica dei porti, ad esempio, lanciata circa trent'anni fa per accogliere trasporti provenienti in special modo dal Canale di Suez, destinati all'Europa, è ancora profondamente carente di infrastrutture nonostante il buon andamento nella movimentazione dei containers, specialmente nel transhipment. Peraltro, i corridoi, tirrenico e adriatico, di connessione alle lunghe reti viarie europee sono incompleti e mancano interconnessioni tra di loro, soprattutto ferroviarie. Almeno, sia pur a distanza di decenni, è venuta di recente in essere l'A2, l'autostrada del Mediterraneo: i circa venticinque cantieri, che negli ultimi venticinque anni hanno dimorato in loco, hanno finalmente ultimato il loro gravoso compito. Tra gli applausi festosi delle autorità. Chissà se, almeno per il turismo, marittimo in tal caso, riusciremo ad essere all'altezza dei tempi: non siamo i soli ad avere amene località turistiche marinare ma siamo in molto pochi ad avere un così rilevante contributo al PIL di quella provenienza. Non credo, comunque, che dopo decenni di assenza di un Piano Nazionale per il turismo, basti formulare un Turismo 4.0 basato sull'elettronica computeristica per armonizzare e valorizzare un così rilevante settore economico, senza peraltro un coinvolgimento attivo delle amministrazioni locali e delle migliori energie del territorio. Resta il fatto che con la stampante in 3D non si può fare e non vorrei, anche qui, che tutto si risolvesse in un 'ammuttari û fumu câ stanga'. In ogni caso, con l'incombente siccità, si presenta il problema di cosa dar da bere ai turisti che, si spera, sempre più numerosi torneranno a visitare questo meraviglioso, disgraziato, Paese: chissà se a qualcuno verrà in mente di contattare l'Impregilo. Come sappiamo, gli Emirati Arabi non brillano certamente per l'abbondanza d'acqua e le piogge sono alquanto diradate. Eppure, non si

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parla di siccità: ho letto recentemente che un desalinatore costruito dall'impresa citata fornisce loro ben 2 miliardi di litri d'acqua potabile al giorno. Ma forse hanno perso lo stampo, oppure i Comuni non si mettono d'accordo su dove porre l'attacco, o con le scarse risorse ci dovremo costruire gassificatori per gestire il GNL americano acquistato al 50% in più dello scorso anno. E l'acqua? Ci stiamo attrezzando per la danza della pioggia e per la formulazione di domande su appositi moduli circa gli aiuti per le emergenze sia al Governo centrale che all'UE. Ma … e come dovrebbero provvedere? Con i soldi?!?!? Con le carrette d'acqua?!?!? Al momento, non so. Vedremo cammin facendo. E mentre la musica sale di volume in un pieno d'orchestra e il sole s'inabissa nel mare incendiando il cielo in un tripudio di colori dal rosso al tabacco, mentre le inchieste di Lega Ambiente attraverso puntuali rapporti ci danno contezza della qualità dell'acqua che lambisce le nostre spiagge, mentre 'pocciamo' le nostre riverite terga nell'acqua salmastra garantita, volutamente dimentichi di che casino immane sta suscitando un piccolo pezzetto periferico di Mediterraneo per 'calcoli' di terzi, mentre abbiamo forzatamente accantonato i 'mala tempora' che s'addensano sul cielo settembrino, affamati di un minimo di 'tregua', ecco una scritta che si fa largo a forza tra le scarne nubi e si staglia nel cielo già scuro di Levante: Mediterraneo: Mare Monstrum. Certamente da vedere per gioire. E da compiangere. Roberta Forte

Note: 1. Birgit Brandau e Hartmut Schickert, Gli Ittiti, Newton Compton editori s.r.l., 2006, p. 77-79,112. 2. Erotodo – Storie – IV Libro 3. Quinto Orazio Flacco – Epistole – II libro – Componimento inziale - v. 156.


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UNO, CENTO, MILLE CIAMPOLILLO Commuove questa Italia dei buoni, dei responsabili, dei sindaci che firmano petizioni, degli idraulici, dei porporati e delle shampiste, che si mobilita per convincere Mario Draghi a restare al suo posto. Il mutuo soccorso è una cosa bellissima, soprattutto quando promana dalla mitica "società civile". Il problema, semmai, è capire per cosa la grande macchina della solidarietà si sia messa in moto. Qui, dobbiamo fare a capirci. Si vuole che Draghi resti non per salvare l'Italia ma per tenere al sicuro, per altri otto-nove mesi o forse più, il Partito Democratico e la palude dei neo-centristi - quelli del consenso da prefisso telefonico - all'interno della stanza dei bottoni. Già, perché, stando a tutti i sondaggi disponibili (per quel che valgono), un'elezione anticipata porterebbe a una schiacciante vittoria del centrodestra, alla sconfitta della sinistra, alla quasi sparizione della palude centrista e all'estinzione dei grillini. È ciò che si vuole impedire implorando Mario Draghi di non abbandonare la nave. Per raggiungere lo scopo, in queste ore, il tono apocalittico è schizzato alle stelle, segno che quando si è presi dal panico la prima cosa di cui ci si libera è la decenza. Bisogna sentirle le "Cassandre" del Palazzo: senza Draghi le mucche non faranno più latte, le api non daranno più miele e le donne non partoriranno più figli. Devono averci presi per idioti che si bevono qualsiasi fregnaccia. Siate seri e non raccontate balle. Se il Governo si dimette e la legislatura viene sciolta, per qualche mese il Governo in carica andrà avanti per il disbrigo degli affari correnti che, per prassi costituzionale e orientamento giurisprudenziale, si traduce nella libertà dell'Esecutivo di adottare tutte le misure necessarie a mettere in sicurezza il Paese e a produrre tutti gli atti destinati a incidere su eventi indifferibili. L'unica cosa che non si potrà fare a Camere sciolte è di votare eventuali "fiducie" al Governo. Inconveniente superabile mediante la stipula di un "gentlemen agreement" tra le forze che finora hanno sostenuto il Governo Draghi, ad eccezione, com'è ovvio, dei Cinque Stelle. Novanta giorni e si avrà un nuovo Parlamento depurato della presenza debordante di una forza politica, il Cinque Stelle, che non rappresentando più alcuno nel Paese, nella sua gran parte ha scelto, parafrasando Karl Marx, di costituirsi come esercito parlamentare di riserva del Partito Democratico. E Mario Draghi? Lui vuole andare via. Su questo non ci piove. Lo abbiamo scritto: il premier è grato a Giuseppe Conte di avergli fornito il pretesto per togliere il disturbo. Uscire ora significherebbe salvare la propria reputazione prima che sia tardi. Prima cioè che la tempesta che si sta addensando all'orizzonte non gli si abbatta addosso in tutta la sua violenza. Il vizio capitale che inficia la narrazione dei draghiani della prima e dell'ultim'ora, a sinistra come al centro, sta

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nel dare per scontato che il premier sia in grado di affrontare il peggio mettendo al riparo le famiglie e le imprese italiane dalla crisi che si scatenerà a partire dal prossimo autunno. Non è così e il primo a esserne consapevole è proprio Mario Draghi. Non è questione d'inattitudine. A differenza dei politici in circolazione l'ex capo della Banca centrale europea avrebbe tutti i numeri per gestire la situazione. Il problema è, per così dire, oggettivo. Nel senso che dipende principalmente da variabili esterne ed estranee al contesto nazionale. La crisi scaturita dal riposizionamento strategico dell'Unione europea rispetto alla Federazione Russa, in relazione alla vicenda ucraina, avrebbe richiesto una risposta totalmente unitaria di tutti i Paesi dell'Unione. Risposta che non c'è stata. In Europa si procede in ordine sparso e ciascun governante segue la bussola che indica nella difesa utilitaristica dell'interesse nazionale la propria stella polare. Ne consegue che, di là da qualche intervento random di Bruxelles su specifici temi di crisi, nel complesso l'Italia dovrà cavarsela da sola per evitare di affondare. Purtroppo, questa forza il nostro Paese non l'ha. Di certo non la possiede nella misura che occorrerebbe per evitare il peggio. Tale condizione di debolezza ha cause antiche ma ne ha anche di sgradevolmente attuali. La scelta politica di Mario Draghi di farsi alfiere della reazione più intransigente contro Mosca e di sostenere senza riserve le ragioni di Kiev in una sorta di ortodossia neo-atlantista che non è mai appartenuta ai governi italiani della Seconda Repubblica e, ancor più, a quelli a egemonia democristiana della Prima Repubblica, ha di molto complicato la nostra posizione sulla scena internazionale. Un esempio per intenderci. La potente Germania, che è stata costretta dalle pressioni statunitensi a schierarsi contro Vladimir Putin, in queste ore non si è fatta scrupolo di reperire in Canada i pezzi di ricambio per la manutenzione delle turbine del gasdotto russo Nord Stream 1 perché potesse rapidamente riprendere l'erogazione del gas, interrotta per motivi tecnici dallo scorso 11 luglio. Lo ha fatto in palese dispregio delle sanzioni comminate dall'Occidente a Mosca, che vieterebbero le forniture di materiali all'industria russa. L'Italia, che ha un problema analogo a quello tedesco in ordine alla necessità di continuare a ricevere materia prima energetica dalla Russia, preferisce cambiare fornitore. Il Governo italiano scende a patti con i più sanguinari dittatori africani invece di tentare di riallacciare il dialogo con il Cremlino. Sfidare apertamente Mosca non l'ha ordinato il medico. Si tratta di scelte politiche che non possono non avere gravi conseguenze. Draghi le ha assunte contando sulla solidarietà dell'Europa e degli Stati Uniti. Ma è stato un calcolo sbagliato. Per questa ragione vuole andare via: non ha intenzione di esserci quando la realtà busserà alla porta di Palazzo Chigi per presentare il conto. Le forze politiche nostrane hanno la testa altrove, impegnate come sono a guardarsi l'ombelico. Si sono date a contemplare il pelo dei rapporti di forza tra i partiti, ignorando le dimensioni della trave della crisi che sta per crollarci addosso. C'è una protesta sociale pronta a montare nelle prossime settimane, appena scavallata la pausa d'agosto. Eppure, c'è qualcuno - è il caso di Giuseppe Conte - che immagina di poter cavalcare la rabbia popolare ricostruendosi frettolosamente una verginità grazie a un rapido passaggio all'opposizione, dopo aver


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ininterrottamente governato dal 2018. Che genio l'"avvocato del popolo", il quale vorrebbe imporre agli altri di restare a guardia del bidone di benzina mentre lui e i quattro gatti che gli restano accanto si predispongono a impallinare il Governo dai banchi dell'opposizione. Tuttavia, l'ingenua follia non è soltanto dell'avvocato di Volturara Appula. È anche di Enrico Letta e di Luigi Di Maio che pensano di essere furbi. Draghi lo farebbero restare cambiando etichetta all'ennesimo gruppetto di transfughi a Cinque Stelle, pronti a farsi "responsabili" alla Alfonso Ciampolillo, detto Lello - il senatore più corteggiato d'Italia quando si tentò di salvare in Parlamento il Conte bis - pur di restare incollati alla cadrega. Mario Draghi, così attento a mantenere integra la sua reputazione, si presterà alla pagliacciata di Palazzo con una crisi politica che si risolverebbe grazie a un artificio da azzeccagarbugli? Fuori formalmente i Cinque Stelle da un nuovo patto di fine legislatura e dentro i "responsabili" per salvare le natiche del "soldato Enrico", dell'"appuntato Renzi" e dell'"attendente Giggino". E il centrodestra di Governo della coppia Berlusconi-Salvini si presterà al gioco, rischiando la rottura con Fratelli d'Italia? Già, perché Giorgia Meloni non "capirebbe" il rifiuto dei due di segnare un goal a porta vuota. Ma con tutto il rispetto per la signora Meloni, ci chiediamo: lo capirebbero i milioni di italiani che a differenza dei mille sindaci firmatari dell'appello "Draghi resta con noi", degli idraulici, dei porporati e delle shampiste, vorrebbero un altro Governo, un'altra maggioranza e una guida di leggibile impronta politica per raddrizzare una barca che sbanda pericolosamente? Non fatevi illusioni, se Draghi resterà al timone della nave Italia sarà solo perché glielo chiede, dall'altra sponda dell'Atlantico, l'inquilino della Casa Bianca. Con motivazioni tutt'altro che tranquillizzanti per la democrazia italiana. E per la sovranità che in teoria, ma solo in teoria, apparterrebbe al popolo. CristofaroSola

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I SORDOMUTI È credenza comune che l'espressione 'utili idioti' sia da attribuire a Lenin, in riferimento a coloro che all'interno dei Paesi Occidentali sostenevano ingenuamente il regine sovietico. In verità, la frase nel tempo, assunse un significato più ampio e il lessico comune al di qua della cortina di ferro ne ribaltò il significato a marchiatura di coloro che credendo di far 'bene' favorivano l'illiberalità dell'ideologia comunista. Un esempio è l'avversione alla politica nucleare manifestata, spesso vittoriosamente, dalle forze di sinistra occidentali mentre la 'Casa Madre' riempiva i silos di testate. In realtà, è in dubbio che Lenin l'abbia usata mentre pare certo che la prima volta che venne espressa nel mondo occidentale fu in un articolo sul New York Times del 1948 in riferimento alla politica italiana. Poiché Wikipedia non fornisce il contesto di tale citazione, ho provato a trovarlo in altri siti ma inutilmente. Comunque, non faccio fatica a credere che nell'ottica del giornalismo americano arrembante dell'epoca i giovani mandolinisti, i pizzaioli e i gondolieri, attivissimi per ardimento e anche grazie al piano Marshall, fossero degli ottimi acquirenti del made in USA. Del resto, a quel tempo, il mito americano faceva palpitare i cuori e accendeva gli occhi di speranza. Se non fosse stato, nel '54, per il film di Steno col grande Sordi che faceva l'americano a Roma, avremmo mangiato pure le tartine di pane con yogurt, marmellata e senape, invece di dedicarci ai mai tanto osannati maccheroni. Eh! Sì. La satira, specie se fatta con ironia pacata e discorsiva, sia pur con puntatine fino allo scherno e all'invettiva sferzante, faceva più effetto della spada e del cannone. Erano altri tempi e avevamo un altro animo. Ma, per tornare alla frase in questione, una luce alla chiarezza sembra giungere dallo scrittore Edvard Radzinsky che nel suo libro su 'Stalin' l'attribuisce all'artista Jurij Pavloviè Annenkov il 1 quale però, nelle sue memorie , asserisce di averla letta in alcune carte lasciate da Lenin. Parrebbe, infatti, che essa fosse contenuta nel suo testamento originale, in parte nascosto e sostituito con un nuovo testo su richiesta della nuova Segreteria del Partito Comunista sovietico la quale, come si nota, manifesta una non usuale, anticipatrice, sensibilità: "… […] I cosiddetti elementi culturali dell'Europa Occidentale e degli USA sono incapaci di comprendere lo stato attuale dei fatti [internazionali] e il reale equilibrio delle forze, perciò devono essere considerati come sordomuti e trattati di conseguenza...". "Una rivoluzione non si sviluppa mai secondo una linea retta, per espansione continua, ma forma una catena di esplosioni ovvero, "avanzate" e ritirate, attacchi e quiete, durante la quale le forze rivoluzionare ritrovano le forze per la preparazione della vittoria finale...".


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"Dobbiamo, per tener buoni i sordomuti, proclamare la fittizia separazione del nostro governo dal Comintern, dichiarando che questa agenzia è un gruppo politico indipendente. I sordomuti lo crederanno. Esprimere il desiderio di riannodare subito le relazioni diplomatiche con i paesi capitalisti, sulla base della completa non interferenza con i loro problemi politici interni. Ancora una volta, i sordomuti lo crederanno. Anzi, ne saranno entusiasti ed apriranno poco a poco le porte, attraverso le quali gli emissari del Comintern e le agenzie di spionaggio del Partito si infiltreranno rapidamente in questi paesi, camuffati come personale diplomatico, culturale e come rappresentanti di commercio. I capitalisti di tutto il mondo e i loro governi, nel loro desiderio di conquistare il mercato sovietico, chiuderanno gli occhi di fronte alle attività summenzionate e si tramuteranno in ciechi e sordomuti. Ci daranno credito che sarà un mezzo di appoggiare i partiti comunisti nei loro stessi paesi, e, nel passarlo a noi, sarà un mezzo per ricostruire la nostra industria bellica, che sarà essenziale per attacchi futuri contro i nostri 2 fornitori. In altre parole loro lavoreranno per il loro stesso suicidio. […]". Non c'è che dire. 'Sordomuto' è senz'altro più politicamente ed eticamente corretto di 'idiota' il quale, tra l'altro, può denotare una sconcertante stupidità se non addirittura una patologia: l'idiozia, ovvero un'insufficienza mentale, un'oligofrenia. Così, mentre per l'idiozia può sorgere il dubbio, offensivo, se uno ci fa o c'è, per il sordomutismo invece l'unico commento, affettuoso quasi, che può nascere spontaneo verso il colpito è: poverino, sciagurato, infelice, meschino. E, purtroppo, sembra che tra le varie fughe di virus, in barba alle misure di contenimento più avanzate, vi sia quello del sordomutismo, appunto, e della meschinità. Lo so che è difficile accorgersi del dilagare della patologia: un po' come la nebbia di Milano descritta da Mezzacapa/Castellani ai fratelli Caponi/Totò e Peppino, in missione di salvataggio del nipote, che è uno studente che studia, dalle grinfie della soubrette Marisa/Dorian Gray. Quando c'è la nebbia a Milano, non si vede. Così, in piena estate, l'insidiosità della nebbia è talmente elevata da chiedere all'ufficiale austriaco, in arte un 'ghisa', da che parte si deve andare per andare dove dobbiamo andare. E meno male che il 'ghisa' parla italiano così da offrirsi di accompagnarli personalmente in manicomio. Ma quella risposta è la dimostrazione pratica che l''ufficiale austriaco' non ha capito la domanda. Sembra una scena surreale, da Fellini ante litteram, resa casareccia dal grande Camillo Mastrocinque, ad illustrazione satirica di un tempo dove c'era indubbiamente la nebbia ma le domande potevano essere sollevate suscitando tutt'al più perplessità e, comunque, una risposta. Oggi, invece, il sordomutismo è più subdolo, perché non c'è tampone che possa rilevarlo: le grandi umanitarie case farmaceutiche, le cosiddette big pharma, sono due anni che inseguono una sfera bitorzoluta che, peggio di Houdini, cambia il vestimento e sfugge ad ogni costrizione. E nonostante ogni strenuo sforzo produttivo di centinaia di milioni di dosi, il 'parassita obbligato', il sembiote, sembra deridere tale impegno, peraltro alacremente sostenuto da tenaci sordomuti. Non c'è accortezza che non sia stata adottata: immediata cremazione di cadaveri, al pari delle memorie di Brancaleone da Norcia sullo 'nero morbo che tutti ci piglia', distanziamento sociale,

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mascherine a gogò, acquistate con urgenza persino dagli antichi tessitori di Bisanzio, padroni delle tecniche del Neolitico; schermi protettivi in plexiglass, ripari in compensato a triplo strato, serrate di luoghi pubblici e di lavoro racchiuse nella nobile e generosa definizione di 'lockdown', un gergo che con immediatezza manifesta efficacia ed efficienza. Insomma, un tripudio, una baldoria, l'apoteosi di risorse fisiche, psichiche ed economiche, 'bruciate' sull'altare del sordomutismo mentre il sembiote deridente cambiava volto. Di recente, la scienza è giunta ad emettere l'estrema sentenza circa il 'parassita obbligato': la sua variante, Omicron, nella sua sub-mutazione, sembra colpire con particolare riguardo i vaccinati. Alé! Non resta che chiederci da che parte dobbiamo andare per andare dove dobbiamo andare. Ma il fatto è che i nostri attivi interlocutori sono sordomuti, colpiti da un più insidioso germe patogeno, non in grado quindi di ascoltare le domande e di formulare le risposte. Così, non ci resta altro che restare in Piazza Duomo in attesa titubante ma con l'animo sereno di aver almeno ripagato adeguatamente le altruistiche big pharma e quelle dei tessitori di Bisanzio. Ma quella, purtroppo, non pare essere la sola manifestazione del concomitante Citomegalovirus; e, peraltro, sintomi precedenti non erano stati tenuti nella giusta considerazione: pensiamo all'Afghanistan e allo stressante, altruistico, caritatevole impegno di trasportarvi la democrazia. Un'opera così misericordiosa da essere costata ai contribuenti 'occidentali' (un astruso aggettivo che s'infila dappertutto) migliaia di miliardi e di vite umane: si pensi a quanti carichi di una così preziosa merce possano essere stati effettuati nel tempo di vent'anni e quanti armamenti si siano resi necessari per difendere i trasporti e l'immagazzinamento in attesa della creazione delle reti di distribuzione. Ma inutilmente. La mercanzia non ha attecchito. Comunque, è stato un intento umanitario svolto con l'umiltà dei degni: la fornace bellica ha 'bruciato' per due decenni ingente carburante umano ed economico nella solitudine degli sconfinati deserti e delle brulle montagne senza disturbare il resto del mondo il quale per quattro lustri ha potuto serenamente godersi le serate domestiche dinanzi alla TV senza la brutalità di immagini, inappropriate per gli over 30, che potessero disturbare la ninnananna di Morfeo. Si può dire che la 'notizia' che ha scosso animi, quella che ha suscitato altisonanti perplessità, è stata la decisione improvvisa di abbandonare quella terra. Qualche immagine, comunque, è sfuggita al safety family per quanto non cruenta: file di militarsoldati che ordinatamente s'imbarcavano abbandonando nelle mani di assolutisti dispotici con turbante un subisso di articoli guerreschi che, fortunatamente, erano già stati pagati e non c'era da far la resa. In ogni caso, il tentativo è stato fatto con tutta la determinazione necessaria da parte dei sordomuti e, ovviamente, delle aziende produttrici di materiale bellico. Forse, la manovra commerciale sarebbe potuta durare un po' meno ai fini del risparmio in vite umane e risorse materiali ma, si sa, i contagiati dal Citomegalovirus sono ostinati, non si arrendono facilmente alle loro affezioni. La lezione, però, era stata utile: ed infatti, di lì a breve, un tristo oscuro figuro ha pensato di dettar legge al di fuori dei suoi confini giuridici.


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E, poi, … si dice il Caso e la fortuna dei sordomuti. Pensiamo per un solo attimo se fossimo rimasti ancora impigliati tra le spine delle rose del deserto e la nostalgia dei non ti scordar di me. Comunque, non l'avesse mai fatto quell'oscuro figuro. I sordomuti, fermi a piè pari, sono stati pronti a rintuzzar le inique mire. E, manco a dirlo, sostenuti in ciò dalle mai lodate a sufficienza aziende produttrici di militaria. Una caterva di sordomuti che, memori degli errori del passato, hanno cercato il massimo risalto alla loro altruistica opera a plateale sostegno della libertà delle genti e della democrazia attraverso la preziosa opera dei massmedia i quali, a scapito del loro agio, hanno filmato e commentato ogni scarpinata degli eserciti, ogni sgambata dei volontari combattenti, ogni giravolta di carri, ogni decollo missilistico, ogni sparata di bengala su centrali nucleari. Ma sì, dalli all'untore … no, no, quello è Manzoni ... dalli all'invasore. Ecco, questo è Stoltenberg. E, poi ancora … la straziante tristezza delle immagini delle famiglie e dei bambini: la popolazione civile del Donbass, quella che sta pagando il maggior tributo tra le parti in causa perché subisce una doppia imposizione e un doppio danno insieme ad una beffa: essere filo-russi e venire invasi dai russi e al contempo essere accanito teatro di scontri tra russi e truppe ucraine e volontari; quelle truppe e quelle milizie che, otto anni fa, in nome della democrazia e della libera espressione, hanno cercato di dissuadere, amorevolmente s'intende ma inutilmente, quelle genti dal dichiararsi filorussi, nel silenzio assoluto dei sordomuti. Bè, a loro scusante c'è da dire che erano ancora impegnati in Afghanistan. Peraltro, un emulo di Erich Maria Remarque che invertisse il riferimento del 'punto cardinale' non era ancora nato e del soldato Katczinsky si son perse le tracce. Un inciso è d'uopo. Pensiamo per un attimo a quale 'combusta' fine potrebbe fare oggi un libro che indicasse un sarcastico 'Niente di nuovo sul fronte orientale'. Se, del primo, i nazisti, biechi ottusi per antonomasia, ne hanno fatto alimento di pubbliche pire, dell'ipotetico secondo i sordomuti ne farebbero sicuramente un integratore di calore delle stufe a pellet che tra poco verranno in uso e perdureranno fintanto che una nuova ondata naturalistica, green, non si schiererà, inconsapevolmente, a difesa degli Ent di tolkiana memoria e proporrà in alternativa l'uso della pietra focaia su minute sterpaglie del sottobosco per un minimo di tepore almeno nelle notti più rigide. Ehhh! Quando si dice 'progresso' nell'ottica illuminata dei contagiati dal Citomegalovirus. Non conoscono ostacoli e non demordono: è nella loro indole e un effetto della 'affezione'. Si consideri che per una migliore combustione futura stanno intanto accatastando libri per bambini tra i quali l'opera di Lindgren, Pippicalzelunghe, il cui padre Efraim, dopo essere stato terrore dei mari è divenuto 're dei negri'. Che cosa disdicevole. O la Bella Addormentata nel Bosco dove il lascivo Principe, in barba a Perrault, dopo il bacio avrebbe sicuramente voluto stuprare l'indifesa donzella. Meglio prevenire. Già, poverini, è il virus che li spinge a tanto. A fin di 'bene'. Naturalmente. Alcuni, incontenibili, hanno anticipato i roghi a beneficio dell'infanzia ma sono attività sporadiche: ogni cosa a suo tempo. E, già che ci sono, hanno messo mano su volgari, sedicenti

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documenti storici e prendendo ottimo spunto dalle sole meccaniche della dottrina sovietica e di quella maoista circa l'informazione, stanno correggendo la storiografia ed emergenti paradossi, al solo vantaggio della Nuova Storia nella proiezione di una Nuova Era. Al che, per andare dove dobbiamo andare da che parte dobbiamo andare? Manca il 'ghisa' a rispondere il quale, comunque, non potrebbe offrirsi di accompagnarci in manicomio. Nell'ipotetico caso, l'unico luogo dove potrebbe condurci è un presidio di trattamento per diversamente senzienti. Ma per tornare alle dolenti note dell'Est, la frenesia umanitaria dei sordomuti è inarrestabile e versatile, culturale persino: nel mentre, a debito, forniamo materiale di prima scelta per la pugna in corso, ci saremmo anche potuti interrogare sul perché stiamo sostenendo milizie ucraine che innalzano bandiere con svastiche, visto che settantacinque anni fa ci siamo ravveduti e, anche grazie alle allora fiere schiere della falce e del martello, abbiamo posto fine alle nefandezze di coloro che erano arrivati persino ad invertire simbolicamente il corso del Sole. Poi, ci siamo ulteriormente ravveduti quando ci sono state palesate sia le 'purghe' che le mire sull'Europa del baffuto capo del Cremlino. E lì, mentre i lungimiranti yankee 'cernevano' gli intelletti più fulgidi tra i nostalgici norreni, utili al loro progresso, la Germania smembrata dal Muro, testimoniava l'integrale contrapposizione di una parte dell'Europa ad un oscuro stile di vita di popoli dell'altra parte della stessa Europa al quale il Patto di Yalta li aveva destinati. Ed ora? Ricominciamo da capo invertendo l'ordine dei fattori? Ma no, che andiamo a pensare, ci tranquillizzano i sordomuti, suffragati dall'elevato pensiero dei fornitori di militaria. Quella della bandiera è sicuramente la svista di qualche bontempone ignorante che invece di adottare l'emblema della Swastika, eurasiatica, destrorsa, creatrice, si è confuso e ha inalberato quello della Svastica, sinistrorsa, dissolutrice. C'è da capirli, so' ragazzi, come disse il Divo Giulio a proposito dei partecipanti al 1° governo Berlusconi. Già, ma le sanzioni? E gli effetti di rimbalzo peggiori di quelli diretti? Nonostante le attuali difficoltà nel conciliare il pranzo con la cena, dobbiamo stringere i denti e tirare avanti sotto le finestre di casa, come fece Amatore Sciesa prima di venir condotto al patibolo da un sordomuto e fucilato perché il boia per l'impiccagione si era ammalato il giorno prima. Ma … d'accordo. Possiamo almeno conoscere il motivo in base al quale il carburante da trazione ha avuto una così rilevante impennata? Perché, si domanda, nel 2008, anno fatidico della crisi mondiale, un barile di greggio è arrivato a costare 145 dollari e il prezzo di un litro di super si attestava a 1,37 euro mentre oggi che un barile lo si acquista per 110 dollari la super tocca i 2,30 euro? Non parliamo di gas bensì di petrolio. Sembra di essere tornati al monopolio delle Sette Sorelle, come le definì Mattei, e al Consorzio per l'Iran … che, almeno a quel tempo, volgevano le loro attenzioni alla 'mungitura' del cosiddetto Terzo Mondo. Ehh! Ma le tapine non sanno che ride bene chi ride ultimo: la vigile Commissione Esecutiva europea ha posto indefettibilmente al 2035 la fine dei motori endotermici e la sola trazione elettrica del parco circolante. Il loro potere, quindi, è al termine superando, tra l'altro, gli sforzi del nostro premier che si era posto l'obiettivo di portare l'Europa a porre un price cup sul


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carburante da trazione. Meno male, perché con i tempi degli iter procedurali avremmo corso il rischio di superare quel termine, atteso l'esito positivo. In ogni caso, ad occhi profani potrebbe apparire contraddittoria l'attuale linea comunitaria green che, nel contesto di una crisi globale, sconvolge direttamente e indirettamente sistemi produttivi e livelli occupazionali; una scelta che, peraltro, potrebbe sembrare irrazionale vista l'attuale produzione di elettricità, insufficiente al soddisfacimento dell'obiettivo il quale comporterà, sempre in piena crisi, investimenti in centrali di un fottio di quattrini che non abbiamo e la scelta di come alimentarle in un periodo di siccità. Già, c'è il gas. Al che sarebbe da chiedersi perché un Paese in attività belliche (non c'è dichiarazione di guerra) con l'Ucraina, sostenuta con ogni mezzo da Paesi occidentali (ancora questo astruso aggettivo) dovrebbe continuare a fornire gas, come tutti sperano che continui a fare, a quegli stessi Paesi che lo osteggiano con ogni mezzo. E, ancora. La decisione di avvalerci di gas liquido americano, il cosiddetto gas di scisto o fracking, se non ipocrita potrebbe apparire culturalmente contrastante con la scelta green in quanto, oltre a costare il 50%, in più è stato bandito fino a pochi anni fa in Francia e comunque limitato e regolamentato dall'Unione europea prima della vicenda ucraina perché ottenuto attraverso la frattura idraulica di strati rocciosi nel sottosuolo, a danno ovviamente dell'ambiente interessato. Stranamente, non si odono associazioni ambientalistiche, tipiche della vecchia cara Europa, che battagliano con le autorità locali e centrali in difesa dell'habitat, che so, dei piumati Charadrius vociferus o Botaurus lentiginosus o dell'ecosistema della Fockea capensis o del pino di palude. Ma, anche se si udissero, non credo che avrebbero vita facile e che potrebbero permettersi il lusso di lasciare inutilizzati oltre settecento punti estrattivi tra gas e petrolio come accade da noi. In ogni caso, un sacco d'interrogativi gravosi fluttua nell'aria, legandosi e sciogliendosi come una danza funebre in attesa di comprendere il senso della morte. Aspetto di capire … ma, mentre la nebbia che non si vede si addensa nell'aria mi sembra di sentire, ovattata, la tipica, lapidaria risposta di mia moglie di fronte ad ottusi interrogativi razionali di una mentalità maschile: No. Tu non capisci. E la discussione è chiusa con una donna che sordomuta non è. Figuriamoci con gli affetti da Citomegalovirus dai quali non c'è, certo, da aspettarsi una risposta. Ma, allora, per andare dove dobbiamo andare da che parte dobbiamo andare? Da perderci il capo ma i manicomi sono chiusi per la legge Basaglia dando un più ricco e articolato significato al senso di quel famoso aforisma che si dice fosse posto su una targa al loro ingresso: 'Non tutti qui ma sparsi per il mondo'. Già, non sembra facile scorgere in giro un po' di razionalità con l'incalzante sordomutismo che sembra trovare particolare attecchimento in talune zone: specialmente in quelle contornate dal mare, ricche di sole, di arte, di bellezze naturali, di vestigia di un antico passato. Ecco. Sembra che là il virus in parola abbia trovato modi di fondersi con quello della rosolia e col parassita del Toxoplasma per accrescere i suoi dannosi effetti. In generale, i contagi derivano da una ridda di varianti indotte da un range che va dalla gestione assennata dei social forum a cura delle big data, all'amministrazione giudiziosa delle risorse alimentari a cura delle big farm, al governo saggio della finanza a cura delle big finance companies: nel big è il futuro che annovera, come detto, le big pharma e le big companies

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armies. Ed in genere, in località meno amene, i contagiati di fronte alla 'grandezza' tacciono ed in silenzio eseguono. Tutt'al più, qualche borbottio mentre menadi danzanti, liberatesi di Dioniso, affondano unghie e denti nel povero piccolo daino semplicemente per cibarsene. Ma in località gradevoli il contagio è più fastidioso, ricco di parole inutili, quasi petulante. E, lì, la legge di Murphy trova un naturale arricchimento. Quando il medico militare John Paul Stapp pose mano alle riflessioni dell'ingegnere statunitense Edward Murphy e ne trasse i noti nove corollari, ne dimenticò certamente uno: 'quando pensi di essere arrivato in fondo, guarda meglio e trovi la botola'. Già, la botola. Mezzo mondo è alle prese con i drammatici problemi dell'inflazione, delle picchiate economiche, dello sfilacciarsi del tessuto produttivo; lo spettro della disoccupazione e della regressione danza irridente davanti ai nostri occhi; l'Europa sta perdendo uno dopo l'altro punti di riferimento certi; leaders balbettanti sono alle prese con problemi di maggioranza e di comprensione, quando non di etica; il Mediterraneo è diventato una parata di samba dalle flags più variopinte mentre le ONG proseguono indisturbate la loro meritoria opera scegliendosi addirittura i porti d'attracco. Ecco, dinanzi a tutto questo, nostri amati rappresentanti del 'daino', di governo e di opposizione, drasticamente colpiti dagli effetti combinati delle tre patologie, discutono animatamente e progressisticamente di cannabis, di ius scholae, oltre che delle beghe di un movimento di attorucoli parodianti infelicemente i fratelli Caponi. Non penso che sia facile scorgere in giro riscontri di contagio così allarmanti. Già, La botola, che trova finalmente il fondo nel secretum della Capitale dove senz'altro si avverte un cambio di passo rispetto alla trascorsa gestione. Non c'era giorno dove i massmedia non additassero all'attenzione delle genti le manchevolezze della passata amministrazione. Oggi, la differenza è palese: i massmedia tacciono mentre la Capitale affonda tra cumuli di rifiuti, nel degrado urbano, immersa in un caotico traffico ingrugnito da lavori annosi senza fine. Una Capitale all'insegna di un Paese che il Citomegalovirus sta destinando alla miseria. Una situazione degna di un rinato Pasquino: Quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini. Chissà perché, ripensando alle parole finali della sostituzione operata dalla allora 'nuova' Segreteria del Partito Comunista sovietico sul testamento di Lenin, mi viene in mente la favola attribuita a Esopo sullo scorpione e la rana. Conoscevamo gli effetti dannosi del virus; eppure, dopo quale tentennamento, abbiamo lasciato che i contagiati salissero sulle nostre spalle per essere trasportati al di là del fiume. Non possiamo meravigliarci più di tanto, quindi, se nel tragitto, a causa dell'irrazionalità tipica dei contagiati, insieme a loro … affoghiamo. Massimo Sergenti Note: 1. Vospominaniya o Lenine, Novyi Zhurnal [traslitterazione del termine inglese journal diario], numero 65, New York, 1961 (in russo). Poi pubblicata in inglese The Lufkin News, King Featurers Syndicate, Inc., 31 luglio 1962, pagina 4, riprodotta infine nel Freeman Report del 30 settembre 1973, alla pagina 8 - riportato in https://it.wikipedia.org/wiki/Utile_idiota#cite_note-4 2. https://it.wikipedia.org/wiki/Utile_idiota#cite_note-4


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GOVERNO: TEMPO DI VERIFICA In politica, tra i molti irredimibili brocchi, qualche cavallo di razza lo si trova. Prima però di svelare l'identità del purosangue, riavvolgiamo il nastro degli eventi accaduti negli ultimi giorni. Ieri l'altro, coup de théâtre: il Movimento Cinque Stelle non ha votato il Decreto "Aiuti" all'esame della Camera per la conversione in legge. Eppure, qualche ora prima aveva rinnovato la fiducia al Governo Draghi. Che succede? C'era aria di tempesta nel Paese e per il prossimo autunno si annuncia un terremoto sociale che travolgerà la politica. Perciò, i furbi se la danno a gambe. Almeno ci provano. Giuseppe Conte, in caduta verticale di consensi, gioca d'astuzia. Tuttavia, il tentativo è a dir poco velleitario. Consapevole che la protesta sociale non tarderà a montare, il capo dei Cinque Stelle valuta che, dissociandosi adesso dall'azione di Governo, potrebbe candidarsi a rappresentare le ragioni degli "incavolati" per le decisioni sbagliate prese dall'Esecutivo di Mario Draghi. È legittimo tentare, ma non è detto che il giochetto riesca. Conte punta sulla memoria corta dei concittadini. Ma ha torto. Gli italiani non esiteranno a rinfacciargli il fatto che il Movimento grillino dall'inizio della legislatura nel 2018, da prima forza parlamentare, ha governato associandosi a tutti o quasi i partiti presenti in Parlamento. Il Cinque Stelle è stato determinante nel riplasmare, in negativo, la condizione del Paese. Troppo comodo adesso chiamarsi fuori e inventarsi fuori tempo massimo un ruolo d'opposizione, quando c'è già chi ne occupa lo spazio con dignità e coerenza. Parliamo di Giorgia Meloni e di Fratelli d'Italia. Mario Draghi non l'ha presa bene. Lo smarcamento di Conte gli complica i piani di fuga. Già, perché l'idea di tagliare la corda dopo aver ficcato il Paese in un cul-de-sac, con le sue scelte autolesionistiche in politica estera, lo stuzzica. Purtroppo per lui, Mario Draghi è condannato a restare al timone della barca Italia che comincia a sbandare. Quadro inquietante: una classe politica da encefalogramma piatto che si consegna all'annichilimento in un cupio dissolvi. Uno scenario wagneriano da "Crepuscolo degli dei". Ultimo atto. Scena prima: il Cinque Stelle il prossimo giovedì, al Senato, non si presenta a votare a favore del Decreto "Aiuti", sancendo di fatto l'apertura della crisi di Governo. Scena seconda: il presidente del Consiglio con sguardo terreo, di prassi nelle ore buie della Storia, si reca al Quirinale per rassegnare le dimissioni nelle mani del Presidente della Repubblica. Scena terza: Sergio Mattarella, emulo del suo predecessore Oscar Luigi Scalfaro, gli risponde "non ci sto" e lo rispedisce di gran carriera in Parlamento, per verificare se vi siano i numeri per tenere in piedi uno straccio di Governo. Anche pochi, risicati, ne bastano al Capo dello Stato per impedire il ritorno anticipato alle urne. Scena

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quarta: Draghi, costretto suo malgrado, si presenta alle Camere e scopre che una maggioranza senza Cinque Stelle è possibile. Archiviata l'agognata fuga resta l'obbligo di bere l'amaro calice della responsabilità governativa fino in fondo, quando la legislatura perirà di morte naturale, nel 2023. Fine del dramma all'italiana. Tutto come da copione, se non fosse per l'apparizione in campo del cavallo di razza, non prevista nel canovaccio dell'opera buffa. Il purosangue è il solito Silvio Berlusconi. Bisognerebbe dire: quel satanasso di Silvio Berlusconi, che quando pensi che si sia ritirato a vita privata nei suoi vasti possedimenti, rispunta fuori dal cilindro del prestigiatore per fare la mossa che spiazza tutti e manda all'aria lo screenplay della commediola. Che combina il vecchio leone? Chiede formalmente a Mario Draghi una verifica di Governo. I più giovani, i millennial, una roba del genere neanche sanno cosa sia. Effettivamente, è da liturgie della "Prima Repubblica". Nel vocabolario Treccani è spiegata così:" Nel linguaggio politico e giornalistico, accertamento della sussistenza delle motivazioni di fondo e delle condizioni che hanno determinato un'alleanza, una intesa, una coalizione di governo tra due o più partiti". La "verifica" si risolve in due modi: o il Governo sopravvive, o salta. La formula che ne annuncia la soluzione è uguale, con la differenza della presenza, in caso di esito sfavorevole della verifica, della forma avverbiale della negazione "non esistono le premesse per un rilancio dell'azione del Governo" oppure "esistono le premesse per un rilancio dell'azione del Governo". Chiarito cosa sia, proviamo a capire perché Berlusconi l'abbia scagliata sul tavolo del premier. Formalmente, per sottrarre Mario Draghi all'azione ricattatoria dei Cinque Stelle e per consolidare una nuova maggioranza in grado di sostenere fino all'ultimo giorno della legislatura l'azione di Governo. La sostanza, invece, è l'opposto. Berlusconi, vecchio cane da tartufi della politica, ha fiutato la trappola che il capo dei Cinque Stelle vorrebbe tendere a lui e agli altri partner di maggioranza: farli ritrovare con il cerino acceso in mano nel momento in cui l'economia nazionale verrà giù di botto, trascinando l'intera società civile nel crollo. Avrà pensato il vecchio leone: meglio prendere tutti in contropiede e andare a votare subito, prima che accada l'irreparabile. Berlusconi sa fare l'analisi dei costi e ricavi di un'intrapresa. È ipotizzabile che si sia fatto due conti e abbia deciso che staccare la spina al Governo sia più vantaggioso che intestardirsi a tenerlo in piedi. Fermare adesso i giochi significherebbe impedire al Partito Democratico di brigare con la Lega per riformare in senso totalmente proporzionale la legge elettorale. Inoltre, eviterebbe che la Meloni, già avanti di parecchie braccia sui due partner di coalizione nelle intenzioni di voto degli elettori, possa prendere il largo. Soprattutto, toglierebbe al Capo dello Stato il ruolo di dominus sugli assetti e sugli indirizzi governativi, restituendo centralità decisionale al confronto tra le forze di maggioranza nella costruzione dell'azione di governo. Ma c'è un altro aspetto, di carattere personale, che può aver influito nella decisione di Berlusconi di rompere i giochi del teatrino contiano. Il vecchio leone teme che la piega presa dagli eventi nella guerra russo-ucraina sia molto pericolosa. Per sua natura, il leader di Forza Italia crede nella capacità del dialogo di rimettere a posto le cose, anche quelle già rotte. Sa di essere uno dei pochi


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al mondo ad avere una chance con Valdimir Putin per convincerlo a sedere a un tavolo di pace. Ma sa anche che, senza una legittimazione formale che lo rimetta in pista, non può fare nulla. L'occasione si era presentata con l'elezione del Capo dello Stato, ma la pochezza dei "nani" della politica nostrana ha impedito che la persona giusta finisse al posto giusto, nel momento del bisogno. Oggi, le voci di dentro del sentire popolare dicono che, con questa legge elettorale, il centrodestra unito vincerebbe con ampio margine sul centrosinistra allargato. Berlusconi sa anche che ciò che potrebbe essere vero fino a ottobre non è detto che lo sarà la prossima primavera. É indispensabile cogliere l'attimo. Si obietterà: c'è la legge di bilancio da fare. Vero. Ma se si votasse al più tardi agli inizi d'ottobre, ci sarebbero ampi margini per il nuovo Parlamento di votare la Finanziaria entro la scadenza canonica del 31 dicembre, evitando così l'esercizio provvisorio di bilancio. Più fondata potrebbe essere l'obiezione: il Capo dello Stato alzerà le barricate al Quirinale piuttosto che concedere il ritorno alle urne. Possibile, ma i numeri che tanto piacciono a Sergio Mattarella se non ci sono, non ci sono. Neanche lui può inventarli. Da qui, la mossa sorprendente della richiesta della verifica. In caso di rottura con i Cinque Stelle, potrebbe essere Berlusconi, trascinandosi dietro un Matteo Salvini sempre più frastornato, a interpretare la scena-madre dello statista tradito dalla miseria morale e ideale di Giuseppe Conte e dei suoi sodali, suggellandola con un epigrammatico tutto è perduto, fuorché l'onore. Verosimilmente, la verifica non ci sarà. Colle, Palazzo Chigi e Nazareno faranno l'impossibile per evitare che il boccino finisca nelle mani di Berlusconi. Convinceranno Conte a darsi una calmata. Per salvargli la faccia, gli passeranno contentino al quale aggrapparsi per raccontare audacia temeraria igiene un spirituale all'opinione pubblica di aver vinto. La verità è che tutti loro, i politici del nostro tempo, al netto di rare encomiabili eccezioni, hanno un solo credo al quale sono devotissimi: tirare a campare. E neppure si accorgono che, per come si stanno mettendo le cose, hanno la medesima aspettativa di vita in politica di un cappone in vista del Natale. Cristofaro Sola

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COSI’ PARLO’ IGNAZIO VISCO Il Governo Draghi deve andare a casa. Ne va della salvezza degli italiani. Mario Draghi non è l'uomo della Provvidenza, come si sperava. Bisognerebbe invece definirlo l'uomo della rovina per il modo in cui sta gestendo la crisi prodotta dallo scoppio della guerra russo-ucraina. La nostra non è una richiesta generata da un pregiudizio ideologico nei confronti del Draghi "politico". È, al contrario, una disincantata osservazione dei dati della realtà, accompagnata dall'ascolto delle analisi e delle previsioni elaborate da fonti terze qualificate a stimare gli andamenti economici e sociali del sistema-Italia. È pur vero che a essere nei guai non sia solo l'Italia, ma l'intero Occidente. Tuttavia, il mal comune non ci restituisce il mezzo gaudio del proverbio. L'aggravante, per il nostro Paese, discende dalle condizioni di partenza che lo vedevano, nel confronto con i partner occidentali, strutturalmente più debole già prima dell'insorgere della pandemia. È un concetto piuttosto semplice: se la crisi in altri Paesi dell'Europa e del Nord America colpisce da 6 a 8, in una scala di misura da 0 a 10, in Italia, a parità di effetti, colpirà 10. É il motivo per il quale il nostro Governo avrebbe dovuto agire con maggiore cautela sulla scena internazionale, evitando di appiattarsi sulle posizioni anglo-statunitensi nel sostegno a oltranza all'Ucraina contro la Russia in luogo della ricerca immediata di un compromesso accettabile per Mosca, concordato nell'ambito di un più ampio riassetto degli equilibri geostrategici nell'area orientale dell'Europa. Se, nella presente congiuntura, l'obiettivo del Governo Draghi era di sottrarre il sistema-Italia alla dipendenza dal gas russo, bersaglio mancato. Peggio, scenario totalmente ribaltato. Grazie alle scelte compiute in politica estera, le sorti dell'economia italiana sono state consegnate alle strategie sul campo dell'autocrazia moscovita. Vladimir Putin ci tiene per il collo. Non è una nostra fantasia ma la conclusione di un'analisi circostanziata effettuata dal governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco. Intervenendo l'altro giorno all'assemblea dell'Associazione bancaria italiana (Abi), il governatore, con la pacatezza e la sobrietà richiesta dal contesto, ha spiegato come stanno le cose e il perché ci siamo assoggettati, inermi, ai disegni del capo del Cremlino. Visco dice: "Le tensioni geopolitiche stanno avendo un impatto marcato anche sull'economia italiana che, insieme a quella tedesca, è tra quelle maggiormente dipendenti dalle importazioni di materie prime dalla Russia. Lo scorso gennaio ci attendevamo una espansione del prodotto superiore al 3 per cento nella media del biennio 2022-23; nello scenario di base elaborato in giugno, nel quale si ipotizza che le tensioni associate alla guerra si protraggano per tutto il 2022 ma si esclude una sospensione delle forniture di gas dalla Russia, la


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crescita è stata rivista al ribasso, di 2 punti percentuali nel complesso del biennio, su valori prossimi a quelli dell'area dell'euro… In uno scenario avverso caratterizzato da un arresto delle forniture dal terzo trimestre di quest'anno, solo parzialmente sostituite da altre fonti, il prodotto registrerebbe una contrazione nella media del biennio 2022-23, per tornare a crescere nel 2024. Al deterioramento del quadro macroeconomico contribuirebbero le ricadute dirette di tale interruzione sui settori a più elevata intensità energetica, ulteriori rialzi nei prezzi delle materie prime, un più deciso rallentamento del commercio estero, un peggioramento della fiducia e un aumento dell'incertezza". In soldoni, prima dello scoppio della guerra la previsione di crescita del Pil era data a 3 punti percentuali. Scoppiato il "casino", le stime riviste al ribasso tagliano 2 punti, a patto però di mantenere costante l'approvvigionamento di gas dalla Russia nel biennio 2022/2023. Ma se sciaguratamente la fornitura dovesse interrompersi, l'Italia finirebbe in recessione. Intanto, il tasso d'inflazione, che erode il potere d'acquisto comprimendo pesantemente i redditi in termini reali, in giugno è schizzato all'8 per cento, di cui quattro quinti a causa degli effetti diretti e indiretti dei prezzi dell'energia e dei beni alimentari (Visco); le stime sul debito pubblico italiano in giugno lo collocano tra 2.753 e 2.769 miliardi di euro, con una crescita dello spread tra i Btp decennali italiani e i Bund (10 anni) tedeschi fissato alla chiusura dei mercati l'8 luglio a 201,3 punti percentuali. Il governatore Visco osserva, inoltre, che: "Le condizioni di offerta del credito sono divenute negli ultimi mesi meno favorevoli". Ragione per la quale il rischio di una contrazione dell'attività economica è concreto. Se allineiamo tutti i punti dell'analisi del capo della Banca d'Italia la sola conclusione possibile è: Putin se lo volesse potrebbe strangolarci. Per le nostre imprese sarebbe il game over. Se Mosca chiude i rubinetti del gas siamo economicamente morti. E tutto questo al netto della protesta sociale che potrebbe divampare nel Paese nei prossimi mesi con l'arrivo dei primi freddi. Con chi dovremmo prendercela, se siamo stati trascinati sull'orlo dell'abisso? Con il destino cinico e baro? No, amici. Troppo comodo e troppo stupido. Gli errori in politica hanno sempre un nome e un cognome a cui intestarli. Nel caso italiano, la persona responsabile del disastro è Mario Draghi. Ai partiti di maggioranza, che sono diventati lo zerbino del premier, si può attribuire una responsabilità concorsuale nelle scelte compiute. Politicanti deboli. E miopi, per essere in grado di avere una visione del futuro della nostra comunità nazionale. Formazioni partitiche troppo rissose al proprio interno e tra loro per avere il privilegio di essere considerate co-protagoniste dell'azione di Governo. In Occidente, le opinioni pubbliche hanno cominciato a far sentire la loro voce critica sul modo con cui i governi hanno deciso di affrontare il dossier russo-ucraino. Da qui al prossimo autunno una serie di stress-test ci dirà se le leadership che hanno scelto la via del sostegno a oltranza al conflitto armato saranno confermate o meno nel gradimento dei cittadini. In Francia, Emmanuel Macron ha perso la maggioranza all'interno dell'Assemblea Nazionale. Negli Stati Uniti, l'8 novembre, si voterà per elezioni di Midterm, cioè per il rinnovo della Camera dei rappresentanti e di un terzo della composizione del Senato. Se i Democratici

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dovessero perdere la maggioranza in entrambi i rami del Congresso, gli ultimi due anni della presidenza di Joe Biden sarebbero quelli di un'anatra zoppa. In Gran Bretagna, l'anti-russo per eccellenza, il primo ministro Boris Johnson, è stato silurato dai suoi stessi colleghi del Tory party. Un nuovo inquilino a Downing Street, ancorché conservatore come Johnson, potrebbe cambiare l'approccio al dossier russo-ucraino. È tempo che anche in Italia tutto cambi. Questa legislatura è già morta. Avrebbe dovuto durare il tempo del contenimento della pandemia. Invece, una politica incapace di governare la complessità e affollata di nani sta tramando per replicare, nella prossima legislatura, ciò che avrebbe dovuto essere eccezionale e irripetibile: il Governo Draghi. Le "belle statuine" del teatrino della politica non ci provino a tirarla per le lunghe. Più si intestardiranno nel voler restare incollati alle poltrone, più intensi saranno lo sdegno popolare e il desiderio di liberarsi di loro. Preveniamo l'obiezione: c'è una legge di bilancio da fare. D'accordo, la si faccia in tempi brevi e nella forma più neutra possibile ma un istante dopo la sua approvazione si restituisca al popolo sovrano il potere di scegliere da chi farsi rappresentare e governare nel prossimo futuro. Il deteriorarsi della condizione generale del Paese imporrà scelte radicali che solo una solida maggioranza, espressione coerente della volontà popolare, potrà assumere. Basta con gli uomini della Provvidenza e con i salvatori della Patria. Lo avevamo verificato con la pessima avventura governativa del "commissario" Mario Monti e ci siamo ricascati con Mario Draghi. Siamo incorsi due volte nello stesso errore. Ma non vi potrà essere una terza volta, per la semplice ragione che, di questo passo, non vi sarà più un Paese al quale venga concesso il lusso di sbagliare ancora. Lo ha detto tra le righe Ignazio Visco. E a lui noi crediamo. C.S.


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L’ESTATE PIU’ CALDA DI SEMPRE Quante volte abbiamo sentito questa frase? Una di quelle cose dette per spezzare il silenzio, per avviare una conversazione e rompere la formalità degli incontri più occasionali. "Ma veramente io ricordo negli anni 60, quando facevo la maturità, era molto più caldo". Questo potrebbe affermare un signore over 65, che ha impresso nella memoria il caldo torrido delle estati in stile prima repubblica, quelle senza aria condizionata e tanta spensieratezza. È evidente, mi affretto a pensare, un conto è la temperatura reale, diversa è quella percepita. Il nostro giudizio è risultante di un mix tra stimoli sensoriali e condizionamenti personali. Quasi sicuramente, i 30 gradi di Catanzaro e Palermo "peseranno" di più di quelli che si possono percepire nel bel mezzo del Trentino Alto Adige tra boschi e natura rigogliosa. Eppure, ci sarà un fondo di verità in quella che i sociologi definiscono "conoscenza basata sul senso comune". Non serve essere un climatologo per rendersi conto che in estate fa sempre più caldo, in autunno piove sempre di meno, l'inverno è sempre più corto. Cambiamento climatico, riscaldamento globale, tutte definizioni formali di un processo che è reale. Non lo vede solo chi non vuole vedere. Ma i mercanti del dubbio, come li ha definiti Naomi Oreskes, storica della scienza e cattedratica 1 statunitense, nel suo libro dal titolo omonimo , sono sempre in agguato. Quelli che negli anni Venti del Novecento presentavano le Lucky strike come un ottimo ricostituente per la gola. O ancora quelli che negli anni Cinquanta dicevano che il fumo faceva dimagrire. Il radio non era un ottimo per concime per i campi? E l'amianto, come si poteva a farne a meno? Intorbidire le acque, screditare la scienza ufficiale, diffondere falsità prive di evidenze empiriche. Oggi si chiamano fake news. E si, dire che il cambiamento climatico non esiste, è una fake news. In questo caso il senso comune non tradisce l'oggettività della scienza. Anzi la rafforza. Non resta dunque che recuperare, a piccole dosi, il caro e vecchio senso comune. Un termometro naturale ed innato nell'uomo, una delle caratteristiche che distingue l'intelligenza umana da quella artificiale. Forse ha ragione Pedro Domingos, professore emerito di computer science, quando afferma "la gente teme che i computer siano troppo intelligenti e che conquistino il mondo, ma la verità è che sono troppo stupidì e lo hanno già fatto "2. Presa di coscienza o Realpolitik, resta il fatto che dobbiamo uscire dal fango corrosivo della post

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verità, del dubbio elevato a valore supremo, dall'ansia di combattere il potere a tutti i costi. Altrimenti rischiamo di fare la fine del Barone di Munchausen, il quale finito in una pozza di fango, pensava di uscirne fuori tirandosi dai capelli3. Pierpaolo Sicco

Note: 1. Merchants of Doubt, 2010. 2. The Matester Algorithm, 2015. 3. Il Trilemma di Munchausen


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BONUS 110%: NON SI LASCINO VINCERE I DELINQUENTI PREMESSA Questo articolo è stato pubblicato nel quotidiano on line "Ondazzurra" lo scorso 28 giugno. Purtroppo risulta non solo ancora tristemente attuale ma addirittura "aggravato" dagli sviluppi recenti che investono un provvedimento importantissimo per assicurare al Paese quell'efficientamento energetico da sempre auspicato e reso ineludibile dalla terribile contingenza attuale. Nell'articolo, ovviamente, si fa riferimento al presidente Draghi e questa rielaborazione viene effettuata all'alba del 15 luglio, dopo le sue dimissioni. Non è facile prevedere cosa accadrà nei prossimi giorni e pertanto quando "CONFINI" sarà on line potremo avere un nuovo governo Draghi o un governo tecnico di transizione per il voto anticipato o qualsiasi altra diavoleria che i nostri fantasiosi politici saranno in grado di individuare. Chiunque dovesse prendere il timone tra le proprie mani, comunque, sappia che il Superbonus, ben gestito, è un provvedimento di cui l'Italia proprio non può fare a meno. ***** 28 giugno 2022 È di queste ore la notizia che la Guardia di Finanza, nelle sole province di Caserta e Napoli, ha sequestrato quasi 800 milioni di euro a finti titolari di credito. Ben 143 le persone fisiche e giuridiche coinvolte nella colossale truffa, che fa seguito a quelle precedenti, per importi ancora più consistenti, rilevatrici della grande abilità delinquenziale che troppe persone mettono in campo a fronte di importanti azioni di politica sociale, sempre utili e, mai come in questo momento, fondamentali per contrastare i costi delle risorse energetiche, in quotidiana crescita. A quanto pare tra i beneficiari dei crediti figurano parcheggiatori abusivi, soggetti privi di partita Iva, addirittura un detenuto e, con altissima percentuale, percettori del reddito di cittadinanza (insulso provvedimento che si è trasformato in un boomerang per i troppi abusi, determinando tra l'altro una vera crisi in tanti settori imprenditoriali, costretti a chiudere le attività per mancanza di mano d'opera). Non ci vuole un mago per comprendere che costoro siano solo la "facciata" di un articolato sistema, gestito a ben più alti livelli criminali. Come a tutti noto, il presidente Draghi, pregno del pragmatismo tipico di tutti i grand commis dell'alta finanza, è un netto oppositore della misura di incentivazione. La sua formazione culturale, ovviamente, è ancorata ai dettami di quel liberal-capitalismo da sempre fonte delle

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profonde iniquità sociali e già da molto tempo degenerato verso i complessi e oscuri lidi della finanza sporca, incomprensibili dai comuni mortali, che ne possono solo patire le nefaste conseguenze. Offrirgli sul piatto della bilancia le troppe distonie che traspaiono dalla cattiva gestione del progetto, gli consente di esprimersi con toni di disapprovazione ancora più marcati e argomenti non facilmente confutabili. Non bisogna demordere, tuttavia. Gli sviluppi di una crisi planetaria per ora non facilmente decantabili, ma ben prevedibili nelle grandi linee a meno che non intervengano drastici e immediati interventi risolutori, hanno reso ben evidente quanto fosse importante l'autonomia energetica per evitare di dipendere da chi vuole spostare all'indietro le lancette dell'orologio, utilizzando le proprie risorse come arma di ricatto pur di continuare impunemente a massacrare il popolo ucraino. I momenti di grande turbolenza sociale generano sempre quel "caos" che, lungi dal manifestare le immaginifiche e talvolta stupende rappresentazioni offerte da filosofi, letterati, scienziati, psicologi e artisti, mettono in luce precipuamente i limiti della natura umana, le debolezze di troppi soggetti che popolano le stanze del potere e soprattutto la nefasta propensione ad approfittarne per tornaconto personale. Dopo decenni di battaglie a favore delle energie rinnovabili, infatti, le drammatiche vicende di questi ultimi mesi stanno spingendo già troppe persone "importanti" a parlare di ripristino delle centrali a carbone e, addirittura, di ritorno al nucleare. (Mi sia consentita una nota personale: avevo ancora i pantaloni corti quando fondai un'associazione ecologica e iniziai a diffondere le tematiche elaborate nel famoso (e disatteso) rapporto del MIT -, dicendo, di fatto, le stesse cose che dice oggi Greta Thunberg - e a combattere contro le centrali nucleari, fortunatamente con pieno successo. Ritornare a parlarne a distanza di mezzo secolo mi riempie il cuore di tristezza). Premesso, quindi, che la strada per rendere sempre più fruibili le fonti energetiche rinnovabili è "segnata" e si può solo andare avanti in tal senso, senza alcun cedimento verso pericolosi passi indietro, la straordinaria idea della riqualificazione edilizia con l'ecobonus "non deve" essere assolutamente accantonata solo perché inficiata da una miriade di delinquenti. Si sbattano in galera i delinquenti, si presti maggiore attenzione nella fase dei controlli, ma si vada avanti senza indugi, colpendo severamente anche gli speculatori che hanno determinato l'ingiustificato aumento dei costi delle materie prime. Per gli esperti in materia è un gioco da ragazzi calcolare quanti miliardi si possono risparmiare con l'isolamento termico delle abitazioni, la sostituzione dei generatori di calore, la coibentazione, i pannelli fotovoltaici. Altro che ritorno al nucleare, con i rischi connessi ai possibili incidenti e il problema (irrisolvibile) delle scorie, senza considerare - cosa che evidentemente sfugge a chi parla a vanvera - che per costruire una centrale nucleare occorrono non meno di nove-dieci anni, mentre noi dobbiamo ridurre "subito" i costi dell'energia elettrica e del gas per tutelare le famiglie allo stremo e le attività produttive che, in ogni settore, sono


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prossime al fallimento. Al momento, la piena attuazione dell'efficientamento energetico, realizzabile in tempi brevi, costituisce una delle soluzioni più valide alla tragedia che sta condizionando pesantemente la vita di milioni di cittadini. Molti soggetti, soprattutto i proprietari di singole unità abitative, si sono sottoposti già a cospicui esborsi economici sia per le parcelle corrisposte ai tecnici esecutori dello studio di fattibilità e dell'analisi preventiva dei costi e dei benefici sia per gli oneri connessi al deposito delle pratiche nei comuni di pertinenza. (Non avrebbero dovuto anticipare nulla ai tecnici, ma sono state costrette a "subire" le richieste economiche pena il rifiuto dell'incarico). Queste persone, con il blocco dei lavori, corrono il rischio di aggiungere al danno la beffa, mentre molti truffatori si stanno godendo fior di milioni guadagnati solo con un pizzico di fantasia. Sintomatico quanto dichiarato da uno di loro che, con i suoi complici, degustando "pizza, panini e birre", passava le nottate a caricare sulla piattaforma digitale dell'Agenzia delle Entrate i crediti di imposta: "Sono diventato uno squalo! Cinquanta milioni di crediti in appena quindici giorni. Lo Stato italiano è pazzesco; vogliono essere fregati, praticamente". Può il Governo permettere tutto questo? Sui parlamentari non è lecito contare più di tanto perché ora sono tutti occupati a "trovarsi" una sistemazione personale, considerata l'imminenza delle elezioni politiche e l'evidente impossibilità, per tanti di loro, di essere rieletti. Non è un delitto, tuttavia, ricordare loro che dovrebbero operare "soprattutto" nell'interesse dei cittadini e ogni tanto sarebbe opportuno rispettare questo mandato. Si provveda subito, pertanto, a rimediare con chiari provvedimenti esecutivi che rendano possibile, soprattutto a chi si trovi "a metà dell'opera", di portarla a compimento. Una proroga generale, se non proprio sine die almeno di tre-quattro anni, si rende necessaria per consentire la reale e totale ristrutturazione energetica del Paese. Una proroga, però, che deve essere ancorata ad una efficace prevenzione delle inevitabili truffe che saranno tentate. Uno Stato che si rispetti non può essere prigioniero dei delinquenti e deve liberarsi soprattutto di coloro che possono commettere i crimini grazie al potere scaturito dal ruolo esercitato. Alle forze dell'ordine giungano il plauso e la gratitudine della parte sana del Paese per la loro meritoria opera in chiave repressiva. Non smettano mai e s'impegnino sempre più. Più delinquenti si assicurano alla giustizia, meglio staremo tutti. Lino Lavorgna

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TWITTER: IL LIBERO ARBITRIO DEI SERVI Sulla differenza tra libertà e libero arbitrio si sono affannati fior di filosofi sin dall'antichità e pertanto chi avesse voglia di "indottrinarsi" in modo approfondito ha solo l'imbarazzo della scelta tra centinaia di opere disponibili. Qui basti dire che il libero arbitrio consiste nella capacità di decidere liberamente come operare e come giudicare eventi e persone, facendo attenzione a non lasciarsi sopraffare né dai pregiudizi né dai propri convincimenti. Quando ciò accade, esso si trasforma in tirannide, ossia una delle più schifose forme della condotta umana, minando pericolosamente l'altrui "libertà di pensiero e azione". Questa pericolosa deriva del "libero arbitrio" ho avuto modo di riscontrarla e subirla in uno dei più famosi Social network del mondo, specializzato in microblogging: Twitter. Veniamo ai fatti. Nell'account dal quale risulto "ben identificabile" sia anagraficamente sia professionalmente, ai primi di luglio ho pubblicato dei post critici sulla diffusa volontà di approvare la liberalizzazione della cannabis, che trova eco anche in una classe politica sempre più decadente sotto tutti i punti di vista. Contestualmente ho pubblicizzato il famoso testo di uno dei più grandi psicoterapeuti al mondo, il prof. Claudio Risé: "Cannabis - Come perdere la testa e a volte la vita" (San Paolo Edizioni, 2007). I post, ovviamente, eccezion fatta per poche critiche espresse civilmente, sono stati subissati di commenti pregni di offese; insulti; volgarità; becera ilarità; accuse di vario genere addirittura relative a mostruosità dell'essere da me sempre combattute in tutti gli ambiti sociali nei quali abbia operato e ancora operi, come facilmente evincibile grazie alla facile e abbondante reperibilità, in rete, di centinaia di articoli. Soggetti di bassissimo livello etico e culturale, quindi, si sono permessi di commentare senza nemmeno accertarsi con chi avessero a che fare. Non solo: in tanti si celavano dietro falsi profili con nomi di fantasia e avatar al posto della propria foto, privi di qualsivoglia informazione che consentisse di individuare l'effettiva identità dei titolari. Uno di loro mi ha addirittura accusato di essere complice della criminalità organizzata che gestisce lo spaccio della droga! Eccezion fatta per i pochi che avevano mosso critiche anche sciocche e prive di fondamento scientifico, o con i soliti riferimenti redatti ad arte per favorire la liberalizzazione, ma senza prodursi in offese, ingiurie, minacce e volgarità, ho segnalato "gli account" che, a mio giudizio e secondo il "mio libero arbitrio", meritavano di essere censurati. La risposta è stata negativa per tutte le segnalazioni: nessuno di loro, infatti (quindi anche i profili non identificabili, dietro i quali si potrebbe celare "chiunque"), secondo le valutazioni effettuate


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dagli addetti al delicato compito, violava il codice etico e le linee guida del network. Dopo la notifica mi è stato chiesto di inviare un feed back sulla mancata accettazione dei reclami e ho risposto spiegando, con estrema chiarezza, che non ero assolutamente d'accordo con la loro decisione per i seguenti motivi: nessuno ha il diritto di "entrare" in casa d'altri e offendere utilizzando espressioni scurrili e volgari; nessuno ha il diritto di "etichettare" le persone, attribuendo loro appartenenze partitiche o di qualsivoglia altra natura magari antitetiche rispetto all'effettivo pensiero; criticare è lecito, ma sempre nel rispetto dell'altrui libertà di pensiero; per nessuna ragione dovrebbero essere permessi i profili "fake", che consentono alle persone di offendere impunemente perché non identificabili: se qualcuno si permettesse di rivolgermi gravi e false accuse o di offendere la mia reputazione, potrei avvalermi della facoltà di denunciarlo, cosa impossibile nei confronti dei molestatori anonimi. Tutto ciò a prescindere dalle altre gravi distonie evinte nella lettura dei post, anche non strettamente connessi ai miei. Alcuni giorni dopo ho pubblicato un post decisamente "ironico" traendo spunto da un articolo pubblicato sul quotidiano "la Repubblica", il cui titolo con relativo catenaccio recitava testualmente, sopra la foto di qualcuno che fumava allegramente uno spinello: "Cannabis, gli Stati Generali a Milano: "È il vero campo largo, sì alla legge". Ho effettuato lo screenshot del titolo e l'ho montato in una foto sul cui lato destro figuravano in alto un vasto campo di papaveri e in basso una vasta piantagione di cannabis. Sulla linea di demarcazione delle due foto ho scritto: "IL CAMPO LARGO DEL PD". Ho poi pubblicato il composit commentandolo come di seguito trascritto: "Che definizione reboante! Chi farà la parte di Filippo il Bello? Non si fumava nemmeno nella sua epoca! E il campo largo come sarà? Come quello nella foto, immagino! SUICIDATEVI! Droga libera? No grazie!" Ho aggiunto, quindi, per l'ennesima volta, il link al libro di Risé acquistabile su IBS. Combatto le droghe (tutte!) sin da quando porto i pantaloni corti e ora incomincia a far paura la crescente propensione verso questa pericolosa deriva, protesa alla legalizzazione. Con mia somma sorpresa, tuttavia, il giorno successivo mi sono visto bloccare l'account per alcune ore essendo stato imputato di "istigazione al suicidio!" Mi rifiuto di commentare "seriamente" questo provvedimento per rispetto della mia dignità e dell'altrui intelligenza: solo un cretino, infatti, potrebbe non cogliere il sarcasmo e la sottile ironia ben armonizzate tra foto e testo, non certo inficiati da quel "Suicidatevi", utilizzato al posto di "andate a quel paese" per enfatizzare, a mio avviso doverosamente, l'avversione più totale a un'iniziativa molto pericolosa, essa sì portatrice di morte. La risposta più eloquente alla vicenda di cui sono rimasto vittima, comunque, proprio nello stesso giorno, è stata fornita da un articolo di "Milano Finanza" (trascrivo il link alla versione i n t e g ra l e : w w w. m i l a n o f i n a n za . i t / n e w s /s e n za - m u s k - c h i - c i - p e rd e - e - t w i tt e r 202207111551008879) nel quale si legge testualmente: "Il social media è troppo politicizzato. La decisione di Elon Musk venerdì 8 luglio di annullare l'acquisto di Twitter è una perdita per il sito di social media e per la libertà di espressione. Gli unici vincitori saranno i progressisti, che

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appoggiano la censura del sito sulle opinioni non conformi alle loro idee su politica, clima e molti altri argomenti. […] La crescita degli utenti del sito sta rallentando e Twitter ha perso 1,3 miliardi di dollari negli ultimi due anni, anche se i profitti delle società tecnologiche sono aumentati. […] I tweet dei conservatori che presentano anche informazioni puramente fattuali su argomenti come i trattamenti Covid e il clima vengono spesso etichettati come disinformazione. Gli account vengono sospesi senza spiegazioni. Nessuno sa chi siano i maghi dietro le quinte che prendono queste decisioni e Musk dice che consentirebbe un dibattito più aperto". L'articolo è molto chiaro nella sostanza, a prescindere dai termini inappropriati come "progressisti", per definire l'universo sinistrorso che sta al progresso come un vinello da novanta centesimi sta un Barolo Riserva Monfortino, e "conservatori", per definire gli antagonisti, nonostante il termine sia ormai obsoleto, dal momento che le persone veramente "sane e sagge" hanno ben poco da conservare e guardano al futuro con lungimiranza e prospettive protese a preservare la migliore "tradizione", che proprio non va confusa con "il conservatorismo" caro a chi, dal dopoguerra ai giorni nostri, magari predicando bene e razzolando male, ha fatto strame della democrazia e dei diritti dei cittadini, precipitandoci in quella sub cultura che si sta diffondendo a macchia d'olio a livello planetario, anche grazie alla multimedialità. Il vertice di "Twitter", quindi, detta una linea "politica", cosa di per sé già molto grave. Questa linea, poi, soprattutto in Europa, viene osservata da dipendenti che si dimostrano "più lealisti del re", imprimendovi quel "libero arbitrio" che appaga il loro senso di onnipotenza: il libero arbitrio dei servi, appunto, tra le cose più nefaste che affliggono l'umanità. Le bazzecole di Twitter, comunque, rapportate alla mia persona, sono insignificanti e non mi toccano: ho due blog, due testate giornalistiche con le quali collaboro liberamente ed è in arrivo una terza testata che mi vedrà come direttore responsabile. Un po' dappertutto, quindi, posso scrivere tutto quello che voglio, senza problemi. Ciò che ben traspare dall'articolo di "Milano Finanza", tuttavia, evidenzia "il grave problema" che impatta con la "libertà" di milioni di persone, non certo nella mia condizione, costrette a subire il "libero arbitrio" di un "arbitro" non neutrale, che sospende gli account con modalità dittatoriali. Twitter dovrebbe garantire a tutti la possibilità di esprimersi civilmente, censurando chi non sia in grado di rispettare il prossimo e, proprio come ha detto Musk, combattere con maggiore determinazione i falsi profili, per buona parte "pilotati" dalla componente più schifosa e marcia della società mondiale. Se questo non accade, è lecito ritenere che di quella componente il vertice di Twitter sia correo. Lino Lavorgna


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A NATION ONCE AGAIN (PARTE II) I PROTESTANTI AL POTERE La divisione dell'Irlanda provocò gravi tumulti nelle contee del Nord, generalmente ed erroneamente indicate con il termine "Ulster", ossia la provincia nel Nord-Est dell'isola che ingloba sia le sei contee sotto dominio britannico (Antrim, Armagh, Down, Fermanagh, Derry, Tyrone) sia le tre contee che ricadono sotto la sovranità dell'Irlanda libera, ossia la Repubblica d'Irlanda o ÉIRE, secondo la corretta denominazione sancita dalla Costituzione (Cavan, Donegal e Monaghan). Nell'Irlanda libera, la guerra civile tra i sostenitori del trattato siglato da Michael Collins e coloro che reclamavano l'indipendenza totale dell'isola si concluse nel 1923, con la vittoria dei primi. Nonostante gli scontri, tuttavia, molti cattolici del Nord vi si rifugiarono per sfuggire sia alla repressione praticata dalle forze di sicurezza (irlandesi come loro!) e dalle feroci milizie britanniche sia alla dolorosa e umiliante ostilità dei protestanti, che ovviamente si sentivano forti proprio perché protetti dal Governo inglese. Anche i protestanti, comunque, nei due anni di guerra civile non si sentirono particolarmente tranquilli, temendo che le forti pressioni dei nazionalisti potessero indurre il Governo britannico ad "abbandonarli" e annettere le contee del Nord allo Stato Libero d'Irlanda. Preoccupazioni del tutto infondate che, tuttavia, nell'aprile 1922, indussero il Governo a conferire poteri speciali alle forze di sicurezza [Civil Authoritty (Special Powers) Act], grazie alle quali si resero possibili una serie infinita di soprusi: arrestare senza mandato e senza accusa; condannare gli arrestati a lunghe detenzioni carcerarie senza un regolare processo, rifiutando il ricorso di fronte all'Habeas Corpus o alla Corte di Giustizia; perquisire le abitazioni senza mandato; dichiarare il coprifuoco e vietare riunioni, cortei e processioni; consentire la fustigazione come punizione; arrestare le persone convocate come testimoni con incriminazioni costruite sul nulla; compiere qualsiasi atto "ritenuto lecito" (e quindi anche "illecito" o in violazione del diritto di proprietà privata); impedire le visite dei legali e dei familiari a una persona in stato di fermo; proibire l'apertura di un'inchiesta in seguito alla morte di un prigioniero; vietare la diffusione di particolari giornali, film o dischi; vietare l'erezione di monumenti e l'affissione di targhe in ricordo degli eroi repubblicani (per loro erano "terroristi"); entrare liberamente in qualsiasi banca per "controllare" i conti correnti e "ordinare" trasferimenti di fondi, titoli o documenti alla Civil Authority (per chi non avesse ben compreso: potevano rubare legalmente i risparmi delle

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persone invise); arrestare chiunque compiva qualsiasi atto, anche non previsto a livello legislativo, mirante a danneggiare il mantenimento della pace e del buon ordine in Irlanda del Nord (sempre per chi non avesse ben compreso l'effettivo significato della contorta disposizione: potevano arrestare chiunque, accusandolo di essere un sobillatore o un terrorista, anche se per ventura fosse stato sordomuto, cieco, zoppo e privo di un braccio). Per la cronaca: questo caleidoscopio di alta democraticità, che ricalcava il perfetto "english style" reiterato in tutte le colonie, sia pure con leggere periodiche modifiche, durò fino al 1973. Procediamo con ordine, comunque, perché la faccenda è maledettamente ingarbugliata. La vita per i cattolici del Nord, come facilmente intuibile, negli anni Venti del secolo scorso non fu certo facile in virtù della feroce repressione praticata dai protestanti, i quali, come se non bastassero i privilegi di cui godevano, ad un certo punto decisero che i succitati poteri speciali erano "insufficienti" a garantire una serenità in linea con le aspettative. Nel 1932, pertanto, anno in cui il Parlamento fu spostato nel Palazzo di Stormont (zona orientale di Belfast, dove erano in maggioranza), furono avviate nuove e più incisive persecuzioni dei cattolici, miranti a meglio salvaguardare i privilegi, soprattutto quelli della classe dirigente. Vediamo come. Noi italiani siamo famosi per le leggi elettorali bislacche e truffaldine, varate dal 1953 ai giorni nostri per favorire dei partiti a discapito di altri. Anche altrove, però, non è che si scherzi perché il bello della democrazia consiste proprio nella sua flessibilità - simile a quella della salamandra che le consente di trasformarsi in dittatura dando ai poveri cristi che si recano a votare la sensazione di essere uomini liberi artefici del proprio destino. (In parte è ancora così, anche se un po' dappertutto il bluff inizia a sgretolarsi, come dimostra l'alto astensionismo. Ma questa è un'altra storia). Negli Stati Uniti, un tizio molto furbo di nome Elbridge Gerry, governatore del Massachusetts dal 1810 al 1812 e poi addirittura vice presidente dal 1813 al 1814, si rese conto che, in alcune aree territoriali, anche di vaste proporzioni, vi possono essere concentrazioni di elettori che, per le più svariate ragioni, sono favorevoli a un determinato partito. (Un po' come da noi nel Nord-Est, dove la Lega è predominante rispetto ad altre zone del Paese). Pur di garantirsi la rielezione disegnò un nuovo collegio elettorale con confini particolarmente tortuosi, in modo da escludere le zone a lui sfavorevoli. Le linee del collegio erano così irregolari da farlo somigliare a una "salamandra", salamander in inglese. Da qui il termine per definire il sistema inventato dal precursore dei nostri Scelba e Calderoli: "Gerrymandering", nato dalla fusione del nome dell'inventore con "salamander". Il Gerrymandering varcò l'Atlantico e fu adottato dai lealisti, che disegnarono i nuovi collegi avendo come unico punto di riferimento la dislocazione della popolazione. I cattolici erano disseminati in poche zone di grandi dimensioni, ciascuna delle quali costituiva un singolo collegio, mentre i protestanti erano concentrati in aree più piccole, tutte trasformate in collegi elettorali. Il diritto di voto fu limitato ai "proprietari" delle abitazioni in cui vivevano e agli inquilini che pagavano un regolare contratto di locazione e fu anche concesso il voto plurimo ai detentori di una rendita annua superiore alle dieci sterline e ai titolari di società commerciali. Questi ultimi potevano beneficiare di un numero di voti tanto più cospicuo quanto più elevato


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era il loro potere economico e il giro d'affari. Nonostante la superiorità numerica dei cattolici, pertanto, con questo campionario di schifezze i protestanti riuscirono a ottenere una netta maggioranza nelle elezioni municipali. Che meraviglia! Ma non è ancora finita. Ai sindaci spettava l'assegnazione delle abitazioni, da cui scaturiva il diritto di voto! Risultato: le abitazioni belle e confortevoli finirono nelle mani dei protestanti mentre i cattolici furono confinati in misere pensioni familiari, quando non in ancora più misere camere ammobiliate, prive di ogni confort. Siffatta condizione, come scritto sopra, li privava del diritto di voto. Manco a dirlo, era più facile trovare un ago in un pagliaio che un cattolico impiegato, anche con modeste mansioni, in un ufficio pubblico. Nel primo capitolo abbiamo parlato del Government Ireland Act, varato nel 1920, che contemplava il divieto di "ogni" discriminazione e conferiva particolare peso a quelle di carattere religioso. Le mostruose limitazioni delle libertà fondamentali inferte ai cattolici, pertanto, costituivano una palese violazione della legge. Il Governo di Londra aveva piena sovranità sulle questioni nord-irlandesi e il diritto-dovere di intervenire per reprimere ogni abuso. Sperare in un intervento per "punire" i fedeli sudditi protestanti, tuttavia, è un po' come sperare che, ai giorni nostri, Putin punisca Lukashenko e Kadyrov per i crimini commessi in Bielorussia e Cecenia, e dal secondo anche in Ucraina. Gli anni, in Nord Irlanda, si susseguivano lenti e monotoni, registrando il continuo strapotere dei protestanti e le miserevoli condizioni dei cattolici, che non avevano neanche la forza di ribellarsi. CONSEGUENZE DELLA GUERRA CIVILE NELL'IRLANDA LIBERA Nell'Irlanda libera le cose andavano decisamente meglio, anche se la povertà non mancava e molti irlandesi continuarono ad alimentare il flusso migratorio verso gli USA. Al termine della guerra civile, il "politico di razza" di cui abbiamo parlato nel primo capitolo, Eamon de Valera, divenne la figura più rappresentativa del "Sinn Féin", senza però possedere il carisma e la capacità condizionante di Michael Collins. Sull'impossibilità di riprendere la lotta armata erano "quasi" tutti d'accordo, ma De Valera tentò di convincere gli amici che l'immobilismo solidificatosi con la fine delle ostilità non avrebbe portato a nulla di buono: bisognava conquistare "politicamente" un potere in grado di rompere definitivamente i ponti con la monarchia e trasformare lo "Stato Libero d'Irlanda" in una repubblica. L'ambizioso progetto, tutto sommato, era ben valido, ma richiedeva, appunto, quel carisma che De Valera non possedeva, affinché potesse essere imposto a "galletti" che avevano iniziato a beccarsi l'un l'altro, essendo morta l'unica persona in grado di dettare una linea senza che altri fiatassero. (Un po' come accadde nel MSI quando Almirante, che riusciva a tenere sotto controllo le diverse e contraddittorie "anime", lasciò la segreteria del partito e i somarelli ubbidienti incominciarono a nitrire autopromuovendosi cavalli di razza). De Valera capì subito che con quei soggetti non avrebbe cavato un ragno dal buco e non ci pensò due volte a salutarli e a fondare, nel 1926, il Fianna Fáil (Soldati del Destino), conferendogli un'impronta di centro-sinistra ben presto abbandonata per coprire quell'area di centro-destra che risultava particolarmente "attrattiva"

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per la maggioranza degli elettori moderati. Avviò subito una campagna di netto contrasto al Cumann na nGaedheal, partito al potere dal 1923 e favorevole al Trattato del 1921, con discreti successi sin dall'esordio nell'agone politico: nel 1927 si tennero due elezioni legislative che gli assicurarono rispettivamente 44 seggi (su 153) nella prima e 57 nella seconda. In cinque anni, però, con una martellante campagna propagandistica, conquistò crescente consenso popolare e creò le premesse per vincere le elezioni del 1932, ottenendo ben 72 seggi. Insediatosi come presidente del Consiglio esecutivo, provvide subito a varare una profonda revisione costituzionale, approvata con un referendum popolare e divenuta esecutiva nel 1937. Lo "Stato libero d'Irlanda" mutò il proprio nome in "Irlanda" o "Éire", nel rispetto dell'etimo gaelico. Fu introdotta anche la carica di presidente dell'Irlanda, che subentrava a quella di governatore generale. Il Consiglio esecutivo fu definito "Governo", dotato di maggiori poteri e guidato da un "Taoiseach" (termine gaelico che si può tradurre con "capo"). Tra i dettami più importanti della Costituzione figuravano: il riferimento al territorio nazionale, che inglobava "l'intera isola" (aperta sfida alla sovranità della Gran Bretagna sui territori del Nord); il riconoscimento della posizione speciale del cattolicesimo romano in contrapposizione alla chiesa anglicana del Regno Unito; l'adozione della lingua irlandese come "lingua nazionale" e il declassamento dell'inglese a seconda lingua ufficiale. Il monarca d'Inghilterra, comunque (all'epoca Giorgio V, nonno dell'attuale regina), manteneva il titolo di "Re d'Irlanda" e le funzioni di rappresentanza nelle relazioni diplomatiche e internazionali, precluse al presidente. Il primo presidente della Repubblica d'Irlanda fu Douglas Hyde, che restò in carica dal giugno 1938 al giugno 1945. Uomo di grande cultura, poeta e scrittore, condusse una strenua battaglia per la rivalutazione dell'antica lingua gaelica, fondando con altri poeti, scrittori e intellettuali la Gaelic League (Conradh na Gaeilge), che si prefiggeva di promuovere la rinascita dello spirito nazionale irlandese, comunque minato dalla forte "influenza" inglese: la lingua, come noto, è il primo elemento di ogni effettivo dominio. Il vero "padrone" dell'Irlanda , però - lo avete capito tutti - era il cinico e freddo De Valera, che di fatto condizionava tutte le decisioni di carattere politico e giocava contemporaneamente, con grande abilità, su tutti i fronti. Dopo la vittoria del 1932, che scioccò la Corona inglese, capì che doveva approfittare del vento favorevole per diventare ancora più forte: sciolse il Parlamento, indisse nuove elezioni nel 1933 e portò il partito dal 44,5% al 49,7%, conquistando 77 seggi. Per il Fianna Fáil fu l'inizio di una lunga gestione del potere che ha subìto solo brevissime interruzioni: dal 1932 al 2011 ha governato per diciannove legislature e un totale di sessantatré anni. Nel 2011 andò all'opposizione grazie alla vittoria del Fine Gael (Famiglia degli irlandesi), altro partito di centro-destra nato nel 1933 dall'unione di tre partiti che a loro volta avevano radici nel Sinn Féin; nel 2016 ha sostenuto il governo Varadkar, leader del Fine Gael, e nel 2020 è tornato al potere con l'attuale Taoiseach, Micheál Martin. In quanto a De Valera, la sua vita, seppure segnata da qualche anno di prigione e dalla sofferenza per non essere talvolta riuscito a imporsi come avrebbe voluto, è stata costellata da una serie infinita di "successi" sin dalla più tenera età. Nato negli USA, a New York, nel 1882, da madre irlandese e padre spagnolo (forse: vi è un gran casino in merito e molti sostengono che fosse il


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figlio di una ragazza madre), dopo un paio di anni fu portato dalla nonna materna, secondo alcune fonti a seguito della morte del padre. Di sicuro la madre restò negli USA e si risposò. Già nelle scuole primarie emersero la dedizione allo studio e la nitida intelligenza: sempre primo della classe e plurivincitore di premi e borse di studio; docente di matematica a soli 21 anni; presidente della Camera bassa del Parlamento dal 1919 al 1921; presidente della Repubblica d'Irlanda (non riconosciuta a livello internazionale) dal 1921 al 1922; Rettore dell'Università Nazionale d'Irlanda dal 1921 fino alla sua morte; presidente del Consiglio esecutivo dello Stato libero d'Irlanda dal 1932 al 1937; presidente dell'Assemblea generale della Società delle Nazioni dal 1938 al 1939; Primo Ministro dal 1937 al 1957 eccezion fatta per brevissimi periodi che lo videro all'opposizione, di cui approfittò per concedersi gradevoli viaggi in USA, Australia, Nuova Zelanda e India; presidente dell'Irlanda dal 1959 al 1973, solo per citare gli incarichi istituzionali, ai quali vanno aggiunti gli importanti ruoli di capo partito, una bella collezione di lauree honoris causa, l'Ordine supremo del Cristo conferitogli da Papa Giovanni XXIII e tante altre cose che ora sicuramente mi sfuggono. Abbandonò i sentieri terreni nel 1975, a novantatré anni, ebbro di potere. Michael Collins, di cui era l'ombra delle scarpe, morì a soli trentadue anni, sicuramente per sua mano, con il forte tormento di essere stato la causa involontaria di una guerra fratricida. Pensava solo a combattere per il bene degli altri, Collins, e non aveva tempo per studiare Machiavelli e i classici latini, dai quali invece De Valera traeva utili insegnamenti. Sui testi di Seneca sottolineò le frasi che utilizzò come modello per le proprie azioni: "Molto potente è chi ha sé stesso in proprio potere"; "La prima arte che devono imparare quelli che aspirano al potere è di essere capaci di sopportare l'odio". La necessità di utilizzare qualsiasi mezzo per raggiungere il fine prefisso era già insita nel Dna e quindi dal "Principe" trasse precipuamente lo spunto per organizzare un movimento di riscossa nazionale contro "l'invasore straniero", proprio come suggerito da Machiavelli ai Medici nella parte conclusiva della sua opera, con i ben noti toni accesi e di palpabile disprezzo nei confronti del "barbaro dominio che a ognuno puzza". Come già scritto nel primo capitolo, si rifiutò cinicamente di finanziare una fondazione dedicata all'eroe ammettendo che, un giorno, la Storia avrebbe riconosciuto la grandezza di Collins a sue spese. Così è stato, ovviamente, perché sarebbe davvero triste se taluni soggetti, ancorché capaci di vivere una vita intera aggrappati al potere, tra agi e lusso, dovessero anche colorare le pagine belle della Storia, che devono restare di esclusiva pertinenza degli Eroi, rendendoli immortali. IL PERIODO BELLICO: THE EMERGENCY (1939-1945) Prima di addentrarci negli aspetti decisionali, connessi alla "neutralità" dell'Irlanda, bisogna tenere presente questi tre aspetti fondamentali: 1) Nelle contee del Nord assoggettate alla Gran Bretagna, ovviamente, l'arruolamento prescindeva dalla volontà dei singoli: erano sudditi a tutti gli effetti e quindi giocoforza costretti a combattere nell'esercito inglese, alla pari dei sudditi di tutte le altre colonie; 2) l'Éire, di fatto, dipendeva in tutto e per tutto dalla Gran Bretagna, che

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assorbiva molti lavoratori, forniva le principali materie prime per l'industria ed esportava le risorse alimentari, a cominciare dal grano, per supplire alle forti carenze produttive interne; 3) lo scoppio della guerra spaccò ancora una volta in due correnti di pensiero gli irlandesi, o per meglio dire, in "tre": i protestanti erano favorevoli ad appoggiare la Gran Bretagna nella lotta contro il nazismo; molti cattolici (ma non tutti) volevano approfittare dell'occasione per darle una definitiva spallata e ricongiungere le contee del Nord alla madre patria. In entrambe le fazioni religiose, poi, vi era chi vedeva nella guerra solo un aggravamento delle non certo rosee condizioni generali e manifestava apertamente la volontà di non schierarsi con nessuno. "Tutti" questi aspetti erano ben chiari a De Valera, il quale - nonostante avesse a disposizione una opzione della quale parlerò al termine del paragrafo - decise di sospendere la Costituzione varata nel 1937 e di varare un piano di emergenza (The Emergency) che consentiva al Governo di osservare, con poteri speciali, una stretta neutralità. Egli, infatti, almeno fino all'inizio del 1941 prevedeva la vittoria della Germania e quindi mantenne aperte le ambasciate dei Paesi dell'Asse, giocando abilmente con entrambi gli schieramenti. La neutralità, tuttavia, non significava essere completamente "fuori dalla guerra". La Gran Bretagna, infatti, non poté più assicurare la massiccia fornitura di beni primari e cibo, avendone bisogno per soddisfare le esigenze interne. A ciò si aggiungeva il "risentimento" per il mancato sostegno. Churchill pensò addirittura di invadere l'isola per occupare i porti e rendere più agevoli gli aiuti dagli Stati Uniti, le cui navi avrebbero corso meno rischi per la minore distanza da coprire in un Oceano nel quale i sottomarini tedeschi rappresentavano una grave minaccia. La "stretta neutralità", tuttavia, incominciò a scemare a mano a mano che le vicende belliche volgevano a favore degli Alleati e va anche detto che oltre sessantamila irlandesi, violando le direttive governative, corsero ad arruolarsi come volontari nell'esercito inglese, pagando un triste tributo non solo per le perdite sul campo di battaglia ma anche per le conseguenze, poi mitigate gradualmente: essendo considerati dei "disertori", quando tornarono in Irlanda ebbero vita dura e mancati riconoscimenti pensionistici. In questo paragrafo, per amor di sintesi, non faccio cenno ai "progetti" tedeschi di invadere l'Irlanda, naufragati sul nascere dal momento che l'impresa era ancora più difficile della paventata invasione dell'Inghilterra; dei rapporti dell'IRA con i tedeschi, che vi furono ma non portarono a nessuna particolare azione effettiva perché questi ultimi si resero conto che non potevano contare né su un marcato sostegno armato né su un efficace supporto logistico; ad altri aspetti non marginali, ma troppo complessi per essere esplicitati in un articolo e che vanno approfonditi leggendo i testi segnalati nella bibliografia essenziale. L'unico dato importante che non può essere sottaciuto riguarda ancora una volta De Valera. Nel 1970 fu reso pubblico dal Governo inglese ciò che avvenne all'inizio della guerra: tutti i Paesi ostili alla Germania fecero forti pressioni affinché l'Irlanda si schierasse apertamente al fianco dell'Inghilterra. Il sostegno sarebbe stato molto importante, sia per la maggiore disponibilità di soldati sia (o forse "soprattutto") per l'utilizzo dell'isola come strategica base logistica. In cambio fu promesso che, al termine della guerra, "la questione irlandese" sarebbe stata ridiscussa e,


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qualora i nord-irlandesi fossero stati d'accordo (cosa più che certa) le contee del nord si sarebbero riunite all'Éire, coronando in tal modo il sogno di tutti coloro che volevano "A nation once again". De Valera, però, come già detto, era convinto che la guerra sarebbe stata vinta dai tedeschi e in più, per indole, non si fidava della parola dei governanti inglesi e pertanto rifiutò la proposta. Purtroppo non sapremo mai cosa sarebbe realmente successo alla fine della guerra in caso di accettazione, ma è lecito sostenere che se De Valera si fosse cautelato con un documento sottoscritto in presenza dei rappresentanti degli altri Paesi alleati, difficilmente Churchill avrebbe potuto non onorare l'impegno. L'avventata decisione, pertanto, ha fatto sì che uno dei più grandi problemi della storia umana, risolvibile nel 1945, perduri ancora oggi. De Valera, il 2 maggio 1945, firmò anche il libro di condoglianze per la morte di Hitler nella sede dell'ambasciata tedesca. L'Unione Sovietica si vendicò per il mancato sostegno bellico bloccando l'ingresso dell'Irlanda nelle Nazioni Unite fino al dicembre 1955. Nel 1949, intanto, cessò definitivamente di essere un dominio della Corona inglese. IL DOPOGUERRA NELL'ÉIRE Conquistata la totale indipendenza, in Irlanda si avviò un lento processo di stabilizzazione che consentì rapporti più stretti "ed armonici" con l'eterna rivale dirimpettaia. I partiti di centrodestra che si sono succeduti al potere, Fianna Fáil e Fine Gael, non hanno mai rinunciato al sogno di riannettersi "pacificamente" le contee del Nord e siffatto proposito li ha indotti a collaborare col Governo inglese nella repressione dell'Irish Republican Army. Il Sinn Féin, infatti, partito di riferimento dei patrioti nord-irlandesi, si è rifiutato di partecipare alle elezioni politiche nell'Éire fino al 1980 proprio per questo motivo. Passato sotto la guida di Gerry Adams, l'ultimo eroe della "vecchia" IRA (nato nel 1948 e che conosceremo meglio nella terza parte dell'articolo), ha iniziato in quel periodo a presentare la propria lista, guadagnando crescenti consensi e, nelle elezioni del 2020, addirittura la maggioranza relativa, obbligando il capo del Fianna Fail a formare un governo di coalizione con i Verdi e il Fine Gael di Leo Varadkar, che gli succederà alla guida del Governo alla fine del 2022. Il bislacco sistema elettorale irlandese, infatti ("Voto singolo trasferibile"), sulle cui complesse caratteristiche non mi soffermo per evitarvi inutili emicranie, non ha consentito al Sinn Féin di formare un governo: con quasi due punti di percentuale in più (24,5 contro 22,2) ha ottenuto lo stesso numero di seggi del Fianna Fáil (37) e solo due seggi in più del Fine Gael, che si è fermato al 20,9%. In teoria avrebbe potuto formarlo alleandosi con tutti gli altri partiti (compreso i Verdi, però) raggiungendo complessivamente 87 seggi (maggioranza 81), ma ciò non si è reso possibile, "ufficialmente" per l'opposizione riservata al partito guidato da un uomo che, un tempo, era un leader dell'IRA. Il vero motivo, invece, è ben diverso: nonostante il Sinn Féin non sia più guidato da Gerry Adams sin dal 2018 (l'attuale leader è Mary Lou McDondald) e l'IRA, tra l'altro nel dopoguerra operativa solo nel Nord-Irlanda, avesse cessato ogni attività paramilitare sin dagli inizi degli anni Novanta del secolo scorso, a nessuno passava per la testa di allearsi con un partito che, anche

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simbolicamente, aleggiava intorno alla figura carismatica di un gigante come Gerry Adams. I nani non amano il confronto con i giganti e preferiscono allearsi tra loro. Sotto il profilo socio-economico, nel dopoguerra vanno distinte tre fasi temporali: la prima va dagli anni Cinquanta agli anni Novanta; la seconda dagli anni Novanta alla Brexit; la terza dalla Brexit ai giorni nostri. Quest'ultima fase è strettamente connessa ai rapporti con la parte dell'isola sotto dominio inglese e pertanto sarà trattata nel prossimo capitolo, interamente dedicato alle vicende dell'Irlanda del Nord dal dopoguerra in poi. I due partiti di centro-destra egemoni "avevano fame" essendo composti di uomini che la fame l'avevano patita davvero, pur barcamenandosi negli anni difficili per restare a galla in un mare paludoso, rinunciando a ogni attività che potesse nuocere loro più di tanto. (Non dimentichiamo che, seppur divisi, erano tutti "allievi" di De Valera). Una volta conquistato il potere, non essendo attrezzati "idealmente" per gestirlo secondo quei principi etici che erano esclusiva prerogativa del Sinn Féin (non inganni la collocazione a "sinistra" del partito perché in Irlanda, ancora più che altrove, i termini destra e sinistra hanno un valore intrinseco molto diverso rispetto all'essenza reale delle due correnti di pensiero e servono solo come "etichette") si diedero alla pazza gioia predatoria delle risorse pubbliche, creando disastri di bilancio aggravati dalla recessione economica globale che si registrò negli anni Settanta. I tassi di interesse arrivarono al 60% e l'altissima disoccupazione generò un nuovo flusso migratorio verso gli USA e anche verso l'Inghilterra. Corruzione ed evasione fiscale raggiunsero livelli "italiani" e la stragrande maggioranza dei cittadini oltrepassò la soglia di povertà. Purtroppo quel periodo fu caratterizzato anche "dall'assenza" dell'Istituzione che, più di ogni altra, in un Paese cattolico, avrebbe dovuto fungere da freno inibitore di ogni devianza. La Chiesa, infatti, parte integrante della cultura del Paese e strettamente legata al potere politico, invece di mondarlo dalle tentazioni "demoniache", però, si è fatta essa stessa contaminare per oltre un ventennio dalle deprecabili derive culminate, nella loro essenza più grave, in oltre quindicimila casi di abusi sessuali, molti dei quali riguardanti minori o addirittura bambini. Le belle fanciulle irlandesi, nel fiore della loro adolescenza e gioventù, pregne di catechesi imposta sin dalla più tenera età, trovavano nel parroco il punto di riferimento naturale per chiedere consigli sui primi amori e su qualsiasi altro argomento a quei tempi ancora non facilmente gestibili in ambito familiare o scolastico. Tanti parroci non seppero resistere al candore di quelle ragazzine, che si approcciavano in sacrestia con abitini che ne mettevano in bella mostra le graziose forme, corti come la moda imponeva e spesso realizzati dalle abili mani delle mamme e delle nonne con le sottili stoffe comprate a buon prezzo nei mercatini rionali, che rendevano quelli estivi troppo leggeri e trasparenti. La fresca bellezza intrisa di "innocente" sexy appeal e l'evidente ingenuità di chi pensava di potersi "affidare" all'altro senza correre alcun pericolo, facevano girare la testa, esaltando i sensi. Le fanciulle desiderose di aiuto da coloro che ritenevano più affidabili dei genitori e dei docenti non facevano certo caso a quelle mani che accarezzavano le gambe, salendo sempre più su, mentre una voce tremula dispensava consigli sull'amore che move il sole e l'altre stelle. Non occorreva molta fatica per rubare la loro innocenza e in tanti ne


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approfittarono, piegando alle loro torbide pulsioni anche i maschietti, che si trovavano nella stesa condizione di soggezione psicologica, senza alcuna possibilità di difesa. Nell'agosto 2018, a Dublino, per la prima volta papa Francesco si scusò pubblicamente per le atrocità commesse dai sacerdoti della Chiesa cattolica irlandese. Negli anni Novanta, grazie al forte sviluppo del settore edilizio ed immobiliare, iniziò un periodo d'oro per l'Irlanda, non a caso definita "Tigre celtica". La disoccupazione fu quasi azzerata e il Pil registrò vertiginose crescite anno dopo anno. Una politica di bassa tassazione sulle imprese funse da richiamo per le principali multinazionali del Pianeta, che ivi trasferirono le loro sedi legali, creando nuova occupazione e ulteriore sviluppo. Nel 2008 l'Irlanda aveva il Pil pro capite più alto della zona Euro. La crescita veloce e indiscriminata, però, come del resto accaduto anche in altri Paesi, non fu accompagnata da un adeguato sviluppo dei servizi sociali, delle infrastrutture e di tutto ciò che consente a un Paese di prosperare potendo contare su basi solide. Il credito facile concesso alle imprese, l'importazione di manodopera e l'alta redditività del settore avevano reso il Paese totalmente dipendente dal mercato edile-immobiliare. Tale situazione determinò una sopravvalutazione dei prezzi delle case maggiore del 30%. Fu l'inizio di quella "bolla immobiliare" che portò al collasso delle banche, indebitatesi oltre ogni normale logica di mercato. Il Governo fu costretto a nazionalizzare quelle più importanti, con effetti devastanti nell'economia del Paese, che vide di colpo salire vertiginosamente anche il tasso di disoccupazione. Dopo anni molto bui, grazie agli aiuti comunitari e ai drastici tagli alla spesa pubblica si incominciò a registrare una lenta ripresa che, insieme con i vantaggi fiscali concessi alle imprese estere, ha consentito all'Irlanda se non proprio di tornare a ruggire come negli anni d'oro, di trasformarsi almeno in una "Fenice Celtica", secondo da definizione coniata dagli analisti dl prestigioso quotidiano "The Economist". La definizione, che rimandava alla capacità di risorgere dalle proprie ceneri, faceva leva precipuamente sulla connessione tra capitali, incentivi statali, forza lavoro di qualità, una lingua che favorisce l'internazionalizzazione e il progressivo riassorbimento della disoccupazione. Ma è tutto oro quello che luccica? Secondo Paul Krugman, vincitore del premio Nobel per l'economia nel 2008, la realtà è ben diversa. Le multinazionali presenti sul territorio, producendo altrove determinavano un impatto irrisorio sull'occupazione interna, come dimostrato dagli oltre 40.000 irlandesi costretti a lasciare l'isola anche negli anni della "ripresa". Nel 2016, intanto, una grossa nuvola si addensò sulla vicina Inghilterra, estendendosi nelle aree territoriali limitrofe sotto il suo dominio e, di riflesso, anche nell'Éire. Una nuvola nota in tutto il mondo con il termine "Brexit". (Continua nel prossimo numero) Lino Lavorgna

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CAFFE’ COMMERCIO Ora quel quadro era lì, per sempre, lui pensava Un sempre relativo alla stessa durata della sua casa, si intende, ma si illudeva che fosse comunque una lunga durata. Il quadro aveva stretto un definitivo patto d'amicizia con altri mobili della sua casa al mare. Erano mobili modesti, alcuni transfughi, per inadeguatezza estetica, dalla casa di città, ma quel quadro li sovrastava e li riuniva in una nuova fratellanza . Di generose dimensioni, composto in orizzontale, esso rappresentava un ponte di legno, di povere tavole e tronchi informi, gettato, è il caso di dire, tra le sponde di un acquitrino dalle rive scoscese, di terra bruna e scoperta. Nella laguna sottostante un rematore dalla lunga pertica spingeva pigramente, avrebbe suggerito l'autore, una canoa, o piroga, mentre il ponte era affollato di personaggi affrettati e sinuosi. Erano neri nudi, uomini e donne, il loro sesso si poteva immaginare vagamente, da pochi tratti, dalla maggiore o minore flessuosità delle figure. Queste animavano un commercio di traffici, con carichi posti sulle teste: fascine, orci, panieri anfore ed altri tipi di contenitori. Il caffè era il motivo dell'affrettarsi sul ponte di quelle figurine, ritagliate sullo sfondo di una luce tropicale non si sa se di alba o tramonto, carica di cirri promettenti pioggia. Il caffè era il motivo dell'allegoria: il trasporto al mercato della preziosa bacca, appena colta, infervorava i portatori - uomini e donne - e li rendevano tanto frenetici. Ora si capiva meglio che quanti andavano dovevano portare all'ammasso quel prezioso e fragrante carico, mentre quelli che venivano rendevano i contenitori vuoti, ma vano sarebbe stato pretendere di saper quanti erano del primo e quanti del secondo tipo. L'armonia della composizione complessiva, le figurine così agitate, l'efficace resa pittorica del racconto, lo avevano attirato fin da bambino. Da quando il quadro era appeso alla parete del Caffè Commercio: un bar sotto casa con annessa torrefazione, attività accessoria a quella del bar, ma non meno nota, della quale quel quadro voleva rappresentare l'esplicita insegna,il richiamo. Fin da bambino quel bar era stato per lui un luogo singolare. Vi era possibile incontrare persone e personaggi degli anni cinquanta del secolo trascorso: sfaccendati, che si ipotizzava essere reduci da attività di contrabbando; mafiosi di quartiere che a misura della loro effettiva caratura meglio dissimulavano la loro identità; cocchieri con la


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gabbanella nera e il berretto da conduttore; portieri del vicinato che si davano convegno come nella loro Camera del Lavoro, ma anche cameriere e bambinaie a servizio nelle case vicine. Proprio una di queste, la sua bambinaia, raccomandava, dovendosi recare nel bar, di non soffermare lo sguardo su quel quadro: per via delle negrette discinte, che da allora rappresentarono per lui veri diavoli tentatori. Per questo motivo consumava il suo gelato con gli occhi bassi, ma, ogni tanto rapidi nel dare una sbirciatina al quadro, attraente effige del peccato, addirittura mortale, temeva. Chiuso che fu il bar, un esercizio quasi storico, per essere stato aperto almeno cinquanta anni prima, poi sostituito da una superflua "pupazzeria", scomparvero i frequentatori, alcuni dei quali se ne avvalevano preferendolo ad altri per via delle due uscite contrapposte su strade diverse: non si sa mai. Del quadro si era persa notizia. Lui era forse l'unico che lo evocava nei suoi ricordi. Molti anni dopo, gironzolando nella strada dei rigattieri: - Permesso, posso dare un'occhiata in giro? - Prego faccia. Da dietro un armadione in noce, appoggiato a parete, come esausto per lungo attendere di essere riscoperto, gli apparve quella che decifrò, anche nella scarsa luce del locale, come una delle figurine del caffè. Emozionato chiese di poter vedere meglio quel quadro. Estratto che fu da dietro l'armadio si confermò per quello che gli era sembrato: era proprio quel quadro. Chiederne il prezzo fu quasi istintivo. Il proprietario disse che gli era stato affidato per venderlo, dal padrone - Aspetti qui un momento, abita vicino. Il padrone del quadro si presentò. Era il proprietario del Caffè Commercio, l'uomo sempre seduto alla cassa, su di uno sgabello altissimo . Aveva conservato il quadro come ultimo cimelio della gestione del locale. Lo riconobbe come il bambino di una volta e si mostrò felice che fosse lui il nuovo proprietario del quadro. Con una certa commozione gli raccontò cose che non poteva sapere. Il quadro era stato dipinto dal pittore Zappi, un buon pittore che abitava sotto casa sua e che aveva donato quel quadro, ispirato al soggetto consono all'attività della torrefazione, per sdebitarsi dei mille caffè mai pagati. Lui ricordò allora di aver frequentato lo studio del pittore per pochi giorni, da ragazzo, affascinato dalla sua arte e desideroso di apprenderla. Ora il quadro riposa come, in un ospizio, nel soggiorno della sua casa al mare. Nel suo nuovo indirizzo ha perso il suo valore evocativo, ora la scena sembra solo un soggetto decorativo. Il senso profondo delle cose è come un'unica sfera di vetro che le avvolge con altre vicine; rotta la sfera è il museo, luogo di sola noia e sciocco stupore. Molti confidano nella fruizione di cose e beni altrui, e di altri tempi, e non si accorgono di negare così il riposo dal tempo alle cose che affermano di apprezzare.

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Si può solo immaginare di quante cose il quadro potrebbe parlare, dopo cinquant'anni di osservazione della vita di un bar, quando tutti pensavano di guardare distrattamente quelle figurine flessuose, mentre erano da loro osservati. Quando attraccavano al porto le portaerei americane il bar si riempiva di marinai dalla pelle dello stesso colore di quella delle figurine del caffè: e per una volta gli osservatori corrispondevano agli osservati. Nella strada è rimasta uguale, nell'afa d'estate, solo la brezza dal mare, su dalla piazza. Fausto Provenzano


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ARTE: LUOGO DELL’ANIMA FOTO: AMEDEO MODIGLIANI 1884/1920, BEATRICE HASTINGS DAVANTI A UNA PORTA 1915 MODIGLIANI muore a Parigi all'inizio del 1920, non era un pittore sconosciuto. Comunque da vivo fu apprezzato dai suoi amici artisti più che da critici. Andre' Salmon scrive di lui dedicandogli un'ampia monografia: Modigliani, sa vie et son oeuvre. Editions des Quatre Chemins, Parigi, 1926. Da qui inizia la " leggenda di Modigliani ". Salmon scrive di lui: Egli ha potuto attingere al tesoro plastico della sua epoca ma somiglia soltanto a se stesso. Questo quadro è in una Collezione privata " Rivedo ancora un ragazzo bellissimo che attraversava boulevard Montparnasse. Portava un cappello di feltro nero,un abito di velluto, una sciarpa rossa; dalle sue tasche spuntavano delle matite e teneva sottobraccio un'enorme cartella di disegni; era MODIGLIANI. Venne a sedersi accanto a me. Fui colpita dalla sua eleganza, dal suo fascino e dalla bellezza dei suoi occhi; era al tempo stesso semplice e nobile" Lunia Czechowska Non credo possa esistere presentazione migliore di questa, in poche parole Lui AMEDEO MODIGLIANI ...Artista bellissimo, Toscano di Livorno, MODI' come veniva chiamato dagli amici parigini. Nelle sue tele avvertiamo un'impronta del linguaggio espressivo caratteristico della scultura. Muore purtroppo giovanissimo, a Parigi il 24 gennaio 1920, dopo una lunga malattia aggravata ancor di più dalla sua sconsiderata condotta di vita. Lascia una compagna Jane che aspetta un figlio, ma che non regge al dolore della sua morte e dopo poco si uccide. Sull'opera: La scrittrice inglese Beatrice Hastings ebbe con Modigliani una tormentata relazione durata due anni, durante i quali convissero a Montparnasse. Si avverte, in questo quadro la ricerca nella sintesi del disegno e nello sviluppo verticale delle forme, vedi i suoi "colli lunghi" caratteristiche costanti della sua pittura. Si conobbero in un cafe', furono anni molto difficili. Un pezzo della sua breve vita! A tutti voi un cammino di Arte e serenità! Stefania Melani

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Confini Idee & oltre

Penetrare nel cuore del millennio e presagirne gli assetti. Spingere il pensiero ad esplorare le zone di confine tra il noto e l’ignoto, là dove si forma il Futuro. Andare oltre le “Colonne d’Ercole” dei sistemi conosciuti, distillare idee e soluzioni nuove. Questo e altro è “Confini”

www.confini.org


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