Confini 105

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Web-magazine di prospezione sul futuro

Confini

Idee & oltre

IL POTERE

Numero 105 Maggio 2022


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Confini Web-magazine di prospezione sul futuro Organo dell’Associazione Culturale “Confini” Numero 105 - Maggio 2022 Anno XXIV Edizione fuori commercio

+ Direttore e fondatore: Angelo Romano +

Condirettori: Massimo Sergenti - Cristofaro Sola +

Hanno collaborato:

Gianni Falcone Roberta Forte Lino Lavorgna Sara Lodi Antonino Provenzano Fausto Provenzano Angelo Romano Massimo Sergenti Cristofaro Sola

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Contatti: confiniorg@gmail.com


RISO AMARO

Per gentile concessione di Sara Lodi e Gianni Falcone

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EDITORIALE

ALFA PEOPLE Il potere è la facoltà di determinare, condizionare, orientare le vite e/o le scelte altrui. Tra gli strumenti del suo esercizio, un ruolo importante lo ha l'autorità. Questa può essere delegata insieme a quote di potere e si può esercitare coercitivamente o per riconoscimento e adesione. Tra gli umani moderni, Il soldato, ad esempio, è comandato da chi è, via via, più in alto nella catena di comando, il cittadino, in genere, riconosce l'autorità del poliziotto o del magistrato. Tutti, o per delega di una propria quota di sovranità o perché sudditi o per coercizione o paura tendono a riconoscere le fonti del potere: un tiranno, un sovrano, un capo carismatico o un patto sociale e quindi un governo. In natura il potere viene riconosciuto al capobranco, ossia al soggetto "alfa" che sia stato in grado di battere gli avversari per garantirsi il diritto, oltre che di procreare (da qui il concetto di harem), di assumere il comando del branco unitamente alla responsabilità della sopravvivenza collettiva. Tra gli uomini, che sempre alla natura appartengono, la regola non è mai stata molto diversa, almeno agli albori della cosiddetta civiltà. Poi alla forza si è unita l'intelligenza, con tutte le sue doti, anche le più subdole. Tra queste il consenso (quasi mai libero) ed il mito del sangue che ha garantito per molti secoli la conservazione del potere in capo a poche famiglie, anche in caso di rampolli assolutamente inadeguati. Ma alla fine sempre la forza (delle armi o dell'inganno) è stato l'elemento risolutore. Poi con l'avvento delle nazioni sono nate nuove forme di attribuzione del potere e per la legittimazione al comando, tra queste il "consenso". Anche se, arrivando al nocciolo e al di là delle sovrastrutture "civili" e giuridiche, è rimasta la forza degli armamenti a fare la differenza. Certo la disponibilità di risorse e la complessiva ricchezza hanno avuto un ruolo crescente tanto che gli dei delle origini sono stati soppiantati dal dio denaro e dal dio mercato, Creso docet. Sono sorti così i nuovi imperialismi con le loro sfere di influenza, la globalizzazione che ha consentito a pochi, ben organizzati, di drenare risorse e ricchezze e accumulare lo specifico potere che deriva dalla disponibilità di ricchezza. Ciò ha favorito l'avvento di nuove razze padrone, di "popoli alfa" che collettivamente si attribuiscono il ruolo di branco dominante. Il fenomeno, a ben guardare nella storia - che tende all'agglomerazione -, non è nuovo: i Cinesi, i Sumeri, gli Assiri, gli Egiziani, i Greci, i Macedoni, i Fenici, gli Etruschi, i Romani, i Visigoti, i Mongoli, i Sassoni, i Celti, i Franchi, gli Arabi, gli Ottomani, il Clero cattolico, gli Spagnoli, gli Austriaci, i Francesi, i Russi, i Tedeschi, i Giapponesi e persino gli Italiani si sono trovati, nel tempo, ad essere, più o meno convintamente, "popoli alfa" ma mai su scala planetaria.


EDITORIALE

Oggi, grazie alle tecnologie, alle risorse, alla volontà di potenza, alle capacità di persuasione, suggestione e controllo, al potere devastante degli armamenti, ci sono "popoli alfa" ad ambizione planetaria, anzi interplanetaria. Gli Statunitensi certamente sono tra questi, i Cinesi forse, gli Europei, se esistessero politicamente e militarmente, potrebbero esserlo integrando la Russia. Ovvio che, in prospettiva, il branco dominante non può che essere uno. Persuadendo, assoggettando, indebolendo, piegando, colonizzando, drenando risorse, dettando regole per gli altri. Anche alla luce di questo quadro vanno letti gli ultimi eventi, come la guerra tra Russia e Ucraina. Solo così si può spiegare l'accanimento Usa contro la Russia, un accanimento capace di stravolgere intese, accordi, contratti e consuetudini internazionali, e la dichiarazione di Stoltenberg contro la cessione della Crimea, nonostante le aperture di Zelensky. La Russia, se viene accerchiata dalla Nato, deve subire e non reagire. In caso di reazione pesantissime sanzioni punitive e pressione crescente dei Paesi Nato. Al contrario gli Usa, visto che le Isole Salomone hanno osato firmare un trattato di collaborazione con la Cina, possono fare fuoco e fiamme ritenendo l'intesa pericolosa per gli Usa, pur trovandosi le Salomone a circa 10.000 chilometri dalle coste statunitensi (suppergiù la stessa distanza tra Pechino e Los Angeles). Si sono precipitati ad aprire un'ambasciata nella capitale Honiara e si vocifera che desidererebbero abbattere il locale governo per sostituirlo con uno più malleabile e meno filo-cinese. Forse questo sarà il compito dell'ambasciata. Certo, in questo caso, l'autodeterminazione dei popoli non conta più di tanto essendo in gioco gli "interessi strategici" americani. Come ha osato la Cina? Eppure il trattato Aukus (USA, UK e Australia) per stanziare sottomarini nucleari nel Pacifico è solo del 2021 ed il trattato Five Eyes tra USA, UK, Australia, Canada e Nuova Zelanda, definito da Edward Snowden (ex NSA): "un'organizzazione di intelligence sovranazionale che non risponde alle leggi dei propri paesi", ossia il papà di Echelon, consente di spiare l'intero mondo, web e conversazioni private comprese. Che cosa non si farebbe per difendere la democrazia (sic!). Ecco questa è l'essenza del potere ben sintetizzata dal marchese del Grillo: "io so io e voi non siete un cazzo!". "Alfa" anche lui. Angelo Romano

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SCENARI

IL POTERE Mi hanno recentemente informato che nelle maggiori case editrici di dizionari, di vocabolari, di guide turistiche e di fumetti, è conclusa la revisione del lemma 'potere' la cui declinazione non corrisponde più alla situazione odierna. Certo, tutto si evolve e al fine di rendere al meglio la proposizione preposta alla dimostrazione del relativo teorema si è disperatamente cercata la locuzione più aderente alla realtà. Ed è stato, ritengo, uno sforzo immane: infatti, prima, per 'potere', leggendo da Oxford Languages, s'intendeva la facoltà di fare, secondo la propria volontà. In sostanza, la possibilità di fare tutto ciò che era in tuo potere. Oddio, non è che mi piacesse molto. Meglio la Treccani per la quale era da intendersi la capacità, la possibilità oggettiva di agire, di fare qualcosa. Un po' più adeguatamente, forse, Wikipedia dove per 'potere', in termini giuridici, era da intendersi la capacità, la facoltà ovvero l'autorità di agire, esercitata per fini personali o collettivi; più in generale, aggiungeva l'enciclopedia virtuale, il termine veniva usato per indicare la capacità vera o presunta di influenzare i comportamenti di gruppi umani. Bella. Ma c'è di più. Attesa la definizione, non si poteva non aggettivarlo: buono, cattivo, democratico, dittatoriale, distorto, giusto, ecc. e ad ognuno di tali aggettivi corrispondeva un comune sentire che, forse, non si identificava con la totalità dei componenti della comunità o di qualsivoglia aggregazione societaria ma certo rispecchiava quanto meno la maggioranza. Ulteriormente, si dava per scontato che il potere venisse in un certo qual modo 'concesso' in via di rappresentanza e che il detentore avesse l'obbligo morale oltreché formale e materiale di agire in nome e per conto del mandante. Poteva anche capitare, come le cronache storiche ci dicono, che esso venisse estorto con la forza: non quella del consenso bensì quella degli accoliti, degli sgherri se non quella delle armi. Ma la comunità internazionale, in quel caso, era pronta a stigmatizzare quei comportamenti e a censurare il relativo turpe detentore. In pratica, al 'potere' si abbinavano due determinanti concetti che rendevano 'civile' una comunità o un'aggregazione sociale di specie: la democrazia, come sopra cennato, e la libertà. Poteva apparire non coerente quest'ultimo termine ma era quello il trittico che connotava qualsivoglia forma societaria: il 'detentore' agiva in un ambito democratico fatto di maggioranza e di opposizione dove a quest'ultima erano riconosciuti ampi spazi d'azione e modalità d'espressione. In sostanza, all'obbligo di rispettare il detentore del 'potere' e di 'obbedire' al suo volere, frutto di volontà maggioritaria, si affiancava la libertà di dissentire. Ovviamente, le società non erano perfette: ed ecco che le società attribuivano ai meritevoli e ai


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retti il 'potere' di giudicare e di punire Neppure a dirlo, i 'poteri' erano molti, pubblici e privati, nazionali e internazionali, che coesistevano e dialogavano arrivando anche al punto di scontrarsi. In una parola, la 'teoria degli insiemi realizzata' dove anche in caso di asperità prevaleva, sia pur alla fine, l'obiettivo supremo dell'armonia. Un tutto dimodoché, nello splendore del '70' millimetri accompagnato dal magico effetto del surround, potesse essere rappresentata nelle migliori sale cinematografiche la Civiltà, da additare a destra e a manca. Naturalmente, non tutte avevano caratteristiche identiche ma ciò che differiva era soprattutto la costruzione tecnica degli ordinamenti. Ma i principi basilari possiamo dire fossero pressoché simili in tutto il mondo occidentale. Ohhhh! L'ho detto, ed è qui che comincia a cadere l'asino, quel povero animale che, tirato per i finimenti e gravato dal basto fino allo stremo, inopinatamente decide ad un certo punto di collassare. Ed infatti l'Occidente, al pari dell'asino e del potere, è collassato sotto il gravame dell'ubriacatura. Già. In soldoni, a causa di una crisi etilica data dall'eccessiva libertà. Ma qui non parliamo di quella che si assapora al di là dell'Oceano, sotto le arcate di ponti disseminate di accrocchi di cartone e lamiera occupate da navigatori nullatenenti del tempo, di aggregati di roulottes scrostate e arrugginite sparse ai margini di centri urbani abitate da amanti indigenti della natura, di periferie allo sbando vissute da soggetti in cammino sulla via del ritorno allo stato istintuale. Non parliamo nemmeno di quella libertà che si ottiene obbligandosi fino allo spasmo nel proprio lavoro, peraltro senza coperture di fringe benefit, per essere poi licenziati al primo stormir di fronde del mercato. Ed eccoli i 'liberi' con la tradizionale scatola di cartone in mano che raccattano le loro poche cose, come ogni film d'autore ci mostra orgogliosamente, con la macchina da ripresa che accompagna il 'fortunato' fino all'uscita, libero di esprimersi altrove, mentre i colleghi meno fortunati, evitano d'incrociarne lo sguardo. Né, tantomeno, discutiamo di quella libertà delle minoranze, soprattutto etniche, di rivendicare smodatamente i loro diritti: come se in un Paese libero per definizione non ci fosse altro da fare che controllare continuamente i dettati costituzionali. E, del resto, parliamo del Nuovo Mondo che nel mentre espone all'ingresso una Signora Coronata munita di Fiaccola che illumina il cammino dei viandanti della Terra, dall'altro si industria di non ratificare l'emendamento costituzionale sulla parità di diritti senza distinzioni di sesso, come sta accadendo da cinquant'anni a questa parte. Né quello sul lavoro minorile. Altrimenti, che libertà sarebbe? No. Per raggiungere quei livelli, occorre impegno e dedizione: ore e ore, passate davanti alla TV, col bussolotto del gelato in braccio o con la ciotola della frutta secca accanto, mentre liberi come l'aria gli animi s'infiammano per le Wall Series o per l'ospite del Letterman Show. No. No. Non è giusta la foto sovrastante perché sembra che in quel luogo, Paradiso della Libertà, non si avvertano pulsioni, non si animino passioni, non si registrino stimoli che si identificano con la politica. In realtà, non è vietato averne. Ma non è neppure caldeggiato se non per le Convention e per le votazioni presidenziali. Lì, il Nuovo Mondo pone in scena le migliori rappresentazioni del suo repertorio istrionico a beneficio delle Folle del Pianeta.

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Vogliamo mettere, a proposito di libertà, i travagli dilanianti che le ideologie hanno portato al Vecchio Continente? E vogliamo davvero paragonarle allo stato d'animo delle Folle 'impegnate' dei possessori di villette a schiera, col loro bravo pezzetto di prato, la 'familiare' sul vialetto, il barbecue settimanale, i 'cin cin' col collo di bottiglie di birra mentre gli hot dog e gli hamburger sfrigolano sulla gratella e i bambini si rincorrono? E, poi, va a dire che non ci sono passioni, pulsioni, stimoli. E questo il 'potere' lo sa. Sa che alla bisogna, gli animi si mobilitano, s'incendiano, combattono ogniqualvolta nel globo terracqueo la Democrazia è compromessa e la Libertà degli altri pregiudicata. Anche a costo di personali sacrifici. È il destino del Nuovo Mondo, sotto la guida di un puntuale e illuminato 'potere'. È stato così, dal dopoguerra ad oggi, per la Corea, per il Guatemala, per l'Indonesia, per Cuba, per il Congo, per il Laos, per il Vietnam, per la Cambogia, per Grenada, per il Libano, per la Libia, per El Salvator, per il Nicaragua, per l'Iran, per Panama, per l'Iraq, per il Kuwait, per la Bosnia, per il Sudan, per l'Afghanistan, per la Serbia, per lo Yemen, per la Siria. E, ovviamente, non parliamo dell'Ucraina, dove una pluralità di motivi sconsigliano il confronto diretto con la Russia ma le brigate internazionali sono un funzionale ripiego acciocché mere ragioni d'opportunità contingente non si riverberino sulla democrazia e sulla libertà delle genti. Ehhh! Quando il 'potere' è così attento e capace. E non gli si possono certo attribuire colpe se lì per lì la democrazia, in giro, non si è istaurata, se le libertà non si sono prontamente manifestate, se a distanza di tempo tardano a concretizzarsi, se nonostante tutto non si registrano i presupposti per la loro realizzazione. È la lampante dimostrazione, questa, della necessità che l'altruistica abnegazione dei 'liberi' per antonomasia non venga meno e che, anzi, il 'potere' che li audacia temeraria igiene spirituale guida intensifichi impegno e largisca ancor maggiori risorse. E, del resto, chi può dubitare che oltre seicento miliardi di dollari all'anno in armamenti non siano una ragguardevole dimostrazione di altruismo? Naturalmente, non mancano i detrattori che sollevano dubbi persino sull'identità del potere. C'è chi dice, infatti, che il vero potere risieda nelle mani di oligarchi … ops, no, di grandi imperi finanziari alcuni dei quali con vasti interessi nel mondo delle forniture militari, oltreché della sanità. E comunque alcuni malevoli ritengono di trovare un primo aggancio alle loro tesi nei costi abnormi delle campagne presidenziali le cui risorse, invece, provengono sì da soggetti finanziariamente dotati che però sostengono il candidato per puro amore delle idee, lungi dal pensare di chiedere contropartite. Peraltro, analoghe maldicenze hanno riguardato presunti traffici di droga provenienti sia dal Triangolo d'Oro del Sud/Est asiatico che dall'Afghanistan operati, si afferma, addirittura sotto la direzione dell'Intelligence del Nuovo Mondo. Al pari di un presunto traffico di materiale bellico al confine tra il Kossovo e l'Albania. Da non credere a che punto possa giungere la perfidia umana per danneggiare il Bene Supremo, la Luce della Libertà, il Faro della Democrazia. E, purtroppo, non è tutto. C'era un'espressione nel Nuovo Mondo che racchiudeva tutto lo spirito delle genti che, a costo di immani sofferenze, lo hanno raggiunto, vi hanno vissuto, vi hanno lavorato, vi hanno costruito una famiglia; un'espressione che le aveva stimolate a


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superare avversità e sciagure e a confidare nelle proprie forze e nel domani perché I have a dream: avevano un 'sogno' da realizzare e tante opportunità da cogliere: serviva solo l'intraprendenza per farlo, dati i presupposti. Ebbene, sembra che prezzolati diffamatori vadano in giro a cianciare che, a causa di una forsennata concentrazione della ricchezza, le opportunità siano oggi rasenti allo Ø e che il 'sogno' sia finito. E che diamine, prendano un Tavor per continuarlo. Anche in assenza di una sanità pubblica quanto mai potrà costare? Quindi, non parliamo della libertà nel Paese che l'ha coniata, confezionata, esportata, sebbene nel passato, per licenza letteraria, sia appartenuto all'Occidente perché anche questa accezione è venuta meno. Del resto, proprio in nome della libertà, elevata a sistema, come si poteva pensare che restasse ancorato ad astrusi limiti di emissioni in atmosfera, che non ponesse in essere protezioni daziarie a vantaggio dei propri produttori, che non surclassasse l'inamovibilità del Vecchio Continente sostituendosi ad esso nel rimuovere tragedie interne sia pur con energica determinazione, comunque necessaria al bisogno di eliminare punti di vista ostinati? Già, perché, si pensi, erano proprio i punti di vista ostinati che davano verve al Vecchio Mondo, era proprio la libertà 'condizionata' da altre libertà che lo animava, era il concetto di progresso che lo spingeva, era il senso della socialità che lo regolava. Da non credere fino a che punto si possano autoimporre catene. Ma il Vecchio Mondo era così, caparbio e tenace, frammentato da una pluralità di Paesi la cui storia narra di un'infinità di guerre e di una incredibile capacità di riconciliazione, fatta di parentele, di matrimoni combinati, di alleanze strategiche, di opportunità commerciali; un tutto architettato da poteri ottenebrati dalla cultura ed altamente contaminati da ben due persistenti virus: la pandemia rinascimentale e quella religiosa. La prima, che fortunatamente non era ancora in grado di affrontare la traversata atlantica, ha mietuto vittime a iosa nel continente dando una visione altamente distorta della libertà e la seconda, infarcita di varianti, che l'ha limitata ad ermetiche considerazioni. La caparbietà, in tempi più recenti, è giunta persino ad ipotizzare una sorta di sodalizio tra diversi che, anziché avvalersi della forza, ha portato a ritenere che, con le sole ragioni, i poteri di allora, perché contaminati, potessero costruire un importante, comune spazio commerciale, di sicurezza e di giustizia. E così, dopo un processo di avvicinamento durato ben tre decenni, superando addirittura il principio della metafisica aristotelica, si è ritenuto che, essendo già dato il terzo, non necessitasse il quarto decennio di rifinitura. Ma l'obiettivo era, e restava, la libertà che tuttavia non poteva dispiegarsi al meglio costretta da remore psicologiche, pratiche, morali, economiche, sociali e civili che un'ingombrante presenza sul continente imponeva: quella dell'Impero del Male che con le sue oscure trame inquinava quei refoli che giungevano d'oltre oceano. C'è da credere che di sforzi per rimuovere quell'handicap ne siano stati compiuti molti. Non solo e non tanto dai poteri autoctoni quanto dai paladini della democrazia e della libertà nella loro infaticabile opera a favore delle genti del Globo. Del resto, gli indigeni erano arrivati persino al punto di intrattenere con quello Stato/Canaglia rapporti economico/finanziari addirittura

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vantaggiosi per entrambi mandando completamente a ramengo ogni sforzo teso a riconoscere la libertà quale unico punto di riferimento e di valore. Ma, fortunatamente, il destino, che non sempre è cinico e baro se viene aiutato nella sua opera livellatrice da mecenati illuminati, decise di porre rimedio ad una tale stortura e liberare intanto gli animi e le menti dei detentori del potere del Vecchio Mondo. Difatti, tutto iniziò in Potsdamer Platz con Roger Waters dei Pink Floyd che intonava paradossalmente Another Brick in the Wall per celebrare un Muro che cadeva spargendo libertà a quattro mani. In realtà, Water parlava sì di un muro ma che s'alzava. Comunque, fu lo stesso e nessuno ci badò tanta era l'euforia per il tana libera tutti. Ma, al contempo, si può dire cominciarono lì una serie di problemi, del resto tipici di genti con un background di solida e complessa cultura, con consolidate tradizioni e valori; tutti aspetti che da subito risultarono d'intralcio. Neppure a dirlo, non mancarono Cassandre che mentre tutti inneggiavano alla libertà presero a dire che quell'espressione di per sé non significa alcunché se le condizioni economicosociali tra le persone sono profondamente diverse e che, per conseguenza, 'libere' avrebbero potuto essere quando fossero state in grado tutte di comprarsi un maglione, un frigo, ecc. Più si da e più si vuole. Ma, intanto, la caduta di quel Muro aveva consentito che l'euforia libertaria si spargesse a litri nelle vene del Continente inviando concupiscenti fumi al cervello dei 'potenti' che, dopo tante remore di natura cultural-politica, videro l'occasione attesa per compiere un ulteriore balzo di rafforzamento dell'iniziale sodalizio. Diciamolo, c'era anche una sottesa volontà d'insegnare al Nuovo Mondo che per raggiungere un'unione tra diversi non servisse ilaudacia passaggiotemeraria alla violenza eigiene alla forza delle armi, cercando in questo anche di contraddire i spirituale tentativi di tanti potenti del passato che quella via avevano tentato senza fortunatamente riuscirci. Ma, si sa, la fretta è nemica del bene e perciò, in maniera totalmente apodittica, decisero di porre in essere un'Unione il cui fulcro è la moneta che, tuttavia, non ha basi di sostegno comune. Di primo acchito, si può ritenere che il fatto impensierì il Nuovo Mondo, ancorato alla sua moneta, tra l'altro mezzo di transazione per oltre l'80% del volume degli affari a livello mondiale. Ma poco dopo, i timori vennero meno perché fu manifesto che l'euforia generale abbinata alla fretta aveva costituito una sorta di ibrido istituzionale i cui poteri alla fine risultarono grotteschi: potevano stabilire la lunghezza dei baccelli e definire la differenza tra molluschi bivalve e gasteropodi, in nome di un cervellotico processo di coesione, ma non potevano neppure ipotizzare un processo di convergenza economico e sociale, né tantomeno supporre un sistema di difesa comune. Fu lì che nel Vecchio Continente l'espressione 'potere' nel comune, tradizionale uso, cominciò a collassare, aiutata nella mutazione anche dalle 'gabbie' all'azione autoimposte: il vincolo dei bilanci vietò, di fatto, che ogni membro di quell'Unione ponesse in essere un processo di crescita e di distribuzione della ricchezza prodotta e, nel contempo, l'adesione alla libera circolazione delle persone, delle merci e dei capitali consentì in pratica solo a quest'ultimi di agire liberamente per perseguire il loro compito istituzionale: la ricerca del lucro nel più breve


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termine. Nei mercati finanziari del Vecchio Mondo giornalmente oltre 1.000 miliardi di dollari fluttuano in cerca di esaudire il loro scopo. Quale economia potrebbe mai resistere alla loro libera movimentazione? Quando si dice la caparbietà e la cultura: 'A fessa 'n man' 'e ccriature. Ci fu qualcuno tra i potenti che addirittura arrivò a meravigliarsi che libere speculazioni si appuntassero tra l'altro sul debito di qualche membro del sodalizio, rendendo problematica la sua collocazione e complicando, per conseguenza, la gestione economico-sociale del Paese. Così, in nome di un'affrettata costruzione della libertà, elemento comunque seducente, si diedero risolutive spallate alla concezione del 'potere' restringendone, all'atto pratico, il suo tipico esercizio. Ma non bastò per limitare il tracollo del termine: dal momento che risorse occorrevano almeno per il funzionamento della macchina burocratico-amministrativa, utile se non altro per conoscere in tempo reale lo stato del disavanzo, i detentori di quella parte del potere rimasta identificabile con l'imposizione, pensarono di invertire il paradigma millenario circa la democrazia e cominciarono a 'tosare' il loro popolo, accusandolo a mo' di giustificazione delle peggiori perversioni. Fu a quel punto che il valore del termine 'potere' si perse definitivamente: il popolo, ovviamente, non ci stette e, nel cercare di sfuggire al 'capestro', prese a saltellare, con mugugno, a destra e a manca mercé il residuo di democrazia rimasta. Ma fu inutile perché girone dopo girone si prestò a dare ascolto a soggetti sempre più improvvisati i quali non solo non ripristinarono il corretto significato dell'accezione interessata ma finirono per comprometterne definitivamente il valore lasciandola talmente vuota da identificarsi con l'impotenza. Ma, purtroppo, il fenomeno della dissoluzione continuò perché nella ricerca spasmodica il popolo arrivò persino ad approcciare The Weather Mans: soggetti dal sorriso smagliante e dal look sportivo e disinvolto che, davanti alla cartina del Mondo intersecata da isobare, muovevano le mani con tale padronanza nell'illustrare la naturale variabilità del tempo da risultare come se la loro elementare ma determinata volontà fosse in grado di fermare il Sole sul punto enantiodromico. I temporali, tuttavia, non si arrestarono. Non fu quella la sola manifestazione degenerativa: nell'insipienza interpretativa di menti semplici, persino la libertà corse il rischio di compromissione ma, fortunatamente, la sesquipedale prontezza di pochi cercò di porvi riparo. Infatti, la componente spirituale nell'essere umano stava venendo meno: un colpo terribile le era stato inferto dall'Impero del Male col suo materialismo storico prima che Waters intonasse la sua canzone del mattone. Ma nonostante ciò, l'elemento patogeno ormai era uscito dai laboratori. Poi, c'era stato il discutibile comportamento di alcuni 'pastori' che, anziché rispettare i riti della transumanza, aveva reso le pecore ed essi stessi alquanto torpidi. Infine, le perseveranti, bizzarre performances degli improvvisati soggetti avevano inequivocabilmente fornito la certezza dell'inesistenza di Dio. Se avessero tratto esempio dalle Folle 'impegnate' del Nuovo Mondo avrebbero liberamente costruito un Credo a loro immagine e somiglianza, invertendo lo stantio teorema biblico, con tanto di predicatori che a bordo di lussuose auto promuovono in TV le bellezze della Fede da loro

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propugnata e che la domenica mattina, il giorno del Signore, dopo una tonante predica tesa a toccare le corde dell'intimo, guidano il canto e il ballo comune sulle note di un ritmico gospel o spiritual. Ehh! Se lo avessero fatto. Sarebbero tornati a casa, spiritualmente soddisfatti, pronti a dedicarsi alla socialità del barbecue sul prato. Ma la scarsa propensione al canto e al ballo liturgici e la cultura ci misero lo zampino e, a conoscenza della legge fisica che in natura non è ammesso il vuoto, colmarono la perdita con l'insoddisfazione e con la rabbia. Fu allora che le sesquipedali intelligenze si manifestarono per frenare il distruttivo impeto popolare sostituendo la perdita del Credo con le Favole. Già, con le Favole, aggiornando però il loro intrinseco messaggio metaforico alla realtà della società odierna. Per qualche tempo, la trovata funzionò perché il fascino di una fiaba coinvolge l'emotività certo del bambino ma anche dell'adulto in grado di coglierne il peculiare insegnamento. Ma, alla lunga, purtroppo, il devastante materialismo tornò a manifestarsi nelle genti che presero con fervore ad invitare i favolisti ad andare ove sarebbe opportuno che andassero. Ma … (si pensi al potere di quella congiunzione avversativa), se supinamente fossero andati avrebbero lasciato le moltitudini nella temperie della solitudine, del rancore, dell'insoddisfazione. E ciò, da animi sensibili e altruistici, non poteva essere consentito. Perciò, tratto insegnamento dall'atteggiamento ecclesiale del passato, ne adottarono intanto un assioma con una piccola aggiunta e ne fecero il fulcro della successiva costruzione: credere - alle favole - vi renderà liberi. Non bastava però a soppiantare l'inerziale resistenza, complice il postmodernismo che aveva frantumato l'oggettiva verità derivata da autorevolezza in una miriade di soggettivi convincimenti, complice Internet. Per cui, conoscendo la natura umana, si adoperarono perché efficaci mezzi di persuasione venissero posti in essere. Ed in questo un determinante contributo fu dato dai massmedia che, novelli muezzin, dall'alto delle loro emittenti e delle loro redazioni e forti del loro determinante ruolo di utilità sociale, presero a redarguire e ad ammansire il popolo. Non saranno mai ringraziati abbastanza per l'impegno profuso in nome della libertà. Inoltre, perché le genti non avvertissero l'iniziale peso psicologico, fu rintrodotto, con revisione, un fenomeno del passato: il consumismo, che alla libertà diede un nuovo, liberatorio significato. A differenza del trascorso, infatti, che vedeva il concordante agire di due rappresentanze per stabilire l'entità dell'elargizione, nella nuova concezione non ci fu più la necessità di dispensare denaro. Intanto perché delle due rappresentanze ne era rimasta una sola ma soprattutto perché ciò al quale si mirò fu solo la possibilità realizzata di 'acquistare' per ridare vitalità all'appannato 'io'. Ed in questo bastò unicamente la cura, magica e risolutiva, del debito, saggiamente gestito da banche. Fu così che si arrivò persino a dare al possesso di taluni oggetti il valore di gratificanti status symbol. Per il resto, bastarono le bancarelle che fornirono, in particolare ai giovani, materiale a iosa per aggiornare significativamente il loro guardaroba e la loro autostima. E ciò a disdoro delle Cassandre del passato. Successivamente, si pensò alle pastoie normative, giuridiche, concettuali, tradizionali che impedivano il libero dispiegarsi della libertà e per rimuoverle si tornò con la mente al pensiero


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giacobino ma, anziché varare una nuova legge Le Chapelier sul delitto di coalizione, si preferì far cadere nel dimenticatoio istituzioni quali i sindacati e le associazioni. Infine, per i più pericolosi riottosi, furono di fatto istituiti veri e propri tribunali del pensiero che, senza alcuna indulgenza, bollarono i reprobi esponendoli al pubblico ludibrio. Era stato realizzato il cosiddetto 'pensiero unico dominante', che a detta dell'inventore della definizione, Ignacio Ramonet, direttore responsabile di 'Le Monde diplomatique', è da intendersi come "… il concetto del primato dell'economia sulla politica, tanto più forte in quanto un marxismo distratto non lo 1 contesterebbe…" . Un altro disfattista. Alla fin fine, comunque, la libertà era salva. Anzi ce n'era a dismisura. A quel punto, però, il patatrac era compiuto: una simile trasformazione non poteva certo essere attribuita al 'potere' tradizionale che, peraltro, non sarebbe stato in grado di provvedere con tanta efficienza alla bisogna delle genti, tutto preso com'era nelle sue bizzarre, inutili performances. E, muovendo dal fatto che anche nel Nuovo Mondo l'identificazione del potere sembrava far sorgere qualche dubbio, fu lì che emerse imperiosa la necessità di ridefinire l'accezione, considerato che erano saltati tutti i parametri che la significavano, rivedendo, al tempo stesso, la definizione delle figure e dei ruoli che la rivestivano. Fu compiuta una stressante ricerca al riguardo che spaziò finanche nelle culture antiche passando dall'Enûma elið accadico ai Veda sancriti ma, da non credere, la soddisfazione all'indagine è pervenuta dalla cultura gnostica. Infatti, l'unica definizione che racchiude i significati dell'odierna concezione di 'potere' è l'Eone, diretta emanazione del Dio Primo e l'esercizio di quel potere è, appunto, la Volontà dell'Eone, ineludibile e improrogabile. Si è pensato, inizialmente al Demiurgo ma le sue potenzialità non sono adeguate alla dimostrazione completa dell'effettivo teorema. Inoltre, per conseguenza, si è manifestato l'obbligo di rivedere anche la definizione del ruolo degli apparenti reggitori della cosa pubblica e del popolo, al fine di completare comunque il trittico. Lì, la ricerca non è stata né lunga né affannosa: si è arrestata, infatti, sullo scritto di un filosofo e sociologo tedesco dello scorso secolo, tal Max Weber, che nella sua opera 'Economia e società' e, più specificatamente, nella parte intitolata 'Sociologia del potere' ebbe a scrivere: "[…] il volere del signore è vincolato soltanto dai limiti che, nel caso singolo, derivano dal sentimento di equità, e quindi in modo straordinariamente elastico: il suo potere si distingue perciò in un campo di grazia ed arbitrio libero, nel quale egli decide a piacere, per simpatia o avversione, e secondo punti di vista puramente personali che sono anche influenzabili dalla compiacenza personale. … In maniera completamente eguale procede il suo apparato amministrativo, costituito da persone che sono vincolate personalmente (servi e funzionari domestici) o da parenti o da amici personali … o da individui vincolati da un legame di fedeltà personale … Manca il concetto burocratico della "competenza" come sfera di funzioni oggettivamente delimitata […]. La struttura puramente patriarcale dell'amministrazione è quella in cui i servitori si trovano in una completa dipendenza personale rispetto al detentore del potere, e vengono

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reclutati in modo puramente patrimoniale (come nel caso di schiavi, eunuchi) … La loro amministrazione è assolutamente eteronoma ed eterocefala; non esiste affatto un diritto personale all'ufficio per gli amministratori, e non esiste neppure una scelta in base alla specializzazione e un onore di ceto dei funzionari; i mezzi amministrativi oggettivi vengono impiegati del tutto in favore del detentore del potere, e nella sua regìa personale […].2 Quindi, atteso che il 'Signore' è l'Eone, rimangono disponibili il termine di 'servo' e quello di 'schiavo' o di 'eunuco'. Massimo Sergenti

Note: 1. Monde-diplomatique.fr: "La pensée unique" gennaio 1995 trad. ita. a cura del Manifesto 2. M. Weber, Economia e Società, Edizioni di Comunità, Milano, 1961, anno ed. orig. 1922 - Vol. II, pp. 258-262 citato da Roberta Forte – Identità – Confini – Agosto 2020


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METAFISICA DEL POTERE PROLOGO Partiamo dalle riflessioni di chi, sin dall'antichità, del potere ha colto le dinamiche immutabili. Nel mondo moderno, comunque la si giri, non vi è mai niente di nuovo sotto il sole. In segno di rispetto e affetto per quel popolo che attualmente sta patendo la tirannide del potere, però, iniziamo la serie delle citazioni con quella del poeta Vasyl Symonenko, morto nel 1963 a causa delle ferite riportate durante una spedizione punitiva praticata dalle milizie filosovietiche. Aveva solo ventotto anni ed era nato in una famiglia di contadini nel piccolo villaggio di Biyivtsi, sobborgo di Kharkiv, seconda città dell'Ucraina, oggi divenuta famosa in tutto il mondo per le sue macerie, purtroppo, e non per la sua bellezza. Mentre scrivo questo articolo, tuttavia, alba del 14 maggio, l'esercito ucraino sta respingendo le truppe russe e i cittadini di Karkiv possono finalmente riversarsi nelle strade, per quanto possibile, con un accenno di sorriso. Questo articolo è dedicato a loro, all'intero popolo ucraino e a quel giovane poeta, nel 2008 eternizzato su una moneta commemorativa come "personalità eccellente dell'Ucraina". "Non c'è niente di più terribile che un potere illimitato nelle mani di un uomo folle". (Vasyl Symonenko) "L'umanità non potrà mai vedere la fine dei suoi guai fino a quando gli amanti della saggezza non arriveranno a detenere il potere politico, ovvero i detentori del potere non diventeranno amanti della saggezza". (Platone) "Non si può conoscere veramente la natura e il carattere di un uomo fino a che non lo si vede amministrare il potere." (Sofocle) "Il potere si conquista soltanto col soccorso delle masse e del denaro". (Sofocle) "Quando un uom soave di parole, e tristo di cuor, la folla persuade, è grave il mal della città". (Euripide) "Non c'è mai alleanza con chi è potente." (Fedro) "La prima arte che devono imparare quelli che aspirano al potere è di essere capaci di sopportare l'odio". (Lucio Anneo Seneca) "Per coloro che desiderano il potere, non c'è via di mezzo tra il vertice e il precipizio". (Publio Cornelio Tacito) "Il potere è una parola di cui non capiamo il significato". (Lev Tolstoj) "Due sentimenti, inerenti all'esercizio del potere, mai mancheranno di produrre questa

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corruzione: disprezzo per le masse e, per l'uomo che regge il potere, un esagerato senso del proprio valore". (Michail Bakunin) "Di tutte le passioni e di tutti i nostri appetiti, l'amore del potere è quello di natura più imperiosa ed egoistica, poiché l'orgoglio di un solo uomo esige la sottomissione della moltitudine". (Edward Gibbon) "È il potere, non la verità che crea le leggi". (Thomas Hobbes) Coloro che sono stati intossicati una volta dal potere, ed hanno ottenuto da esso ogni tipo di emolumento, anche se solo per un anno, non possono mai volontariamente abbandonarlo. Possono essere angosciati nel mezzo del loro potere; ma non guarderanno ad altro che al potere per provare sollievo. (Edmund Burke) "Esistono uomini che desiderano il potere semplicemente per amore della felicità che porterà loro; costoro appartengono in primo luogo ai partiti politici. (Friedrich Nietzsche) "Abbiamo bisogno della libertà per evitare gli abusi del potere dello Stato e abbiamo bisogno dello Stato per evitare l'abuso della libertà." (Karl Popper) "Per i potenti, i reati sono quelli che commettono gli altri". (Noam Chomsky) "Il giorno in cui il potere dell'amore annullerà l'amore del potere, il mondo conoscerà la pace". (Mahatma Gandhi) "Il potere è divenuto un potere consumistico, infinitamente più efficace nell'imporre la propria volontà che qualsiasi altro potere al mondo. La persuasione a seguire una concezione edonistica della vita ridicolizza ogni precedente sforzo autoritario di persuasione." (Pier Paolo Pasolini) "Per manipolare efficacemente il popolo, è necessario convincere tutti che nessuno li sta manipolando." (John Kenneth Galbraith) L'ipocrisia dei governanti non ha basi oggettive; quando essi difendono le loro buone ragioni, in realtà difendono in primo luogo sé stessi, cioè il loro potere. (Alberto Asor Rosa) "La lotta per il potere può essere terribile, ma la lotta per le briciole del potere è sempre patetica". (Ramón Eder, poeta e filosofo spagnolo contemporaneo, culturalmente formatosi in Francia) "Quante volte le insegne del potere portate dai potenti di questo mondo sono un insulto alla verità, alla giustizia e alla dignità dell'uomo! Quante volte i loro rituali e le loro grandi parole, in verità, non sono altro che pompose menzogne, una caricatura del compito a cui sono tenuti per il loro ufficio, quello di mettersi a servizio del bene". (Papa Benedetto XVI) "Un party in ufficio non è, come spesso si suppone, l'occasione per il Direttore di baciare la ragazza dei caffè. È l'occasione della ragazza dei caffè di baciare il Direttore (per quanto possa sembrare un'ambizione bizzarra a chiunque abbia visto in faccia il Direttore). Far scendere i potenti dalle loro poltrone è un passatempo piacevole e necessario, ma nessuno presume che i potenti, avendo lottato così tanto per sedersi, gradiscano la detronizzazione". (Katharine Elizabeth, 1928 - 2021, giornalista, scrittrice e prima donna a essere nominata Rettore di una università scozzese: Università di St. Andrews).


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LA BANALITÀ DEL POTERE Einstein ci ha fatto comprendere quanto tutto sia relativo a seconda del punto di osservazione delle cose. Ciò che vale nello spazio infinito, con dimensioni indescrivibili, può essere rapportato anche in spazi ristretti, senza che sostanzialmente muti "l'effetto" per quanto concerne la percezione. Relativamente parlando, quindi, non vi è alcuna differenza tra il potere del presidente degli USA o della Cina e quello di Ivana Simeoni o Cristian Iannuzzi. Ora vi state tutti chiedendo chi siano questi ultimi due soggetti e pertanto presentiamoli bene. Sono mamma e figlio e abitano a Latina. Modesta operatrice del 118 lei; tecnico informatico come tanti lui. Un giorno decisero di candidarsi entrambi alle elezioni amministrative e voi tutti sapete come funzionano queste elezioni: ciascuno, nell'ambito della lista prescelta, può esprimere la preferenza per i candidati ritenuti più meritevoli. Loro, evidentemente, non piacquero proprio agli elettori: il figlio prese solo trentatré voti; la mamma addirittura quattro. In pratica racimolarono voti, e nemmeno tanti, solo nella ristretta cerchia familiare. Nondimeno, nel 2013, decisero di candidarsi nuovamente, addirittura per il Parlamento, quel luogo così delicato dove si fanno le leggi e si decide il destino di milioni di persone, che per sua natura dovrebbe essere appannaggio delle menti più eccelse del Paese. Viene da ridere, quindi, al solo pensiero della loro candidatura: dove vogliono andare persone culturalmente di basso profilo, incapaci non solo di farsi eleggere al comune ma anche di fare una decente figura? Il sistema elettorale per le elezioni politiche, però, è diverso da quello per le elezioni comunali e così, queste modeste persone, aduse a lavorare sodo per campare, si trovarono dalla sera alla mattina eletti l'una al Senato della Repubblica e l'altro alla Camera dei Deputati! Nel giro di trenta giorni si videro accreditare, tra indennità e rimborsi vari, circa 18 mila euro a testa - ossia più dell'importo medio percepito in un anno da un dipendente del 118 - cosa che sarebbe avvenuta ogni mese, per almeno cinque anni! Il tutto condito da una serie di benefit e agevolazioni, di consistente valore economico, da far strabuzzare gli occhi. Nella città, tutti coloro che li avevano snobbati alle elezioni comunali, incominciarono a correre genuflessi nella loro dimora, manifestando stima e affetto di antica matrice nonché massima disponibilità per qualsiasi esigenza. Non mancò chi si profuse in rispettosi inchini e chi, stringendo entrambi le mani, le portò con impeto all'altezza delle labbra, baciandole convulsamente. Ivana e Cristian non stavano nei loro panni e infatti li cambiarono ben presto, acquistando meravigliosi nuovi capi nelle boutique più rinomate e alla moda. In un attimo la loro vita era cambiata in meglio molto più di quanto non sarebbe avvenuto se avessero vinto alla lotteria: alla consistente e mai vista disponibilità economica, infatti, che già di per sé assicura un certo "potere", sommarono "il potere" che derivava dal loro ruolo politico, effimero quanto si vuole rispetto al vero potere, ma pazzescamente consistente in quel contesto sociale. Se si potesse misurare l'intensità di godimento scaturita da quella percezione e compararla con quella di qualsiasi uomo politico che riesca a farsi eleggere presidente di un grande Paese, non troveremmo alcuna differenza o addirittura vedremmo una gioia più marcata negli umili parlamentari latinensi, essendo i politici che assurgono alle cariche più importanti adusi a gestire il potere e quindi assuefatti.

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Tutta la storia dell'umanità, di fatto, non è altro che una manifestazione continua della banalità del potere, proprio perché l'uomo, come ben traspare dalle succitate citazioni, non ha mai imparato a gestirlo in modo saggio, se non in qualche sporadico caso, che quindi si configura come eccezione, anche se in una circostanza, come vedremo alla fine di questo articolo, quella eccezione funge da suggello alla "sacralità del potere". Del potere malato abbiamo parlato più volte, essendo esso sempre associato a qualche forma di tirannide, palese o sapientemente occultata da quella formula di governo inventata con i più nobili intenti nell'antica Grecia e via via degradatasi fino a manifestare in modo indissolubile l'inadeguatezza a gestire i destini di un mondo in rapida e perenne trasformazione. Piuttosto che ripetere cose trite e ritrite, pertanto, è più utile addentrarci in quella sorta di buco nero che consente di osservare quel drammatico e ripetitivo ciclo che porta a trasformare la banalità del potere nella banalità del male, come sapientemente descritto da Hannah Arendt nel suo famoso saggio. Per entrare nel buco nero percorriamo gli stessi sentieri che, nel 1194, portarono in Armenia Enrico II Blois, conte di Champagne. I fatti sono narrati ne "Il nodo di Gordio", stupendo saggio scritto a due mani da Ernst Jünger e Carl Schmitt. Durante il viaggio Enrico II attraversò il territorio 1 degli "Assassini", in Persia, e fu amorevolmente accolto dal Gran Maestro , che lo condusse in un simpatico giro turistico tra le sue fortezze e i lussuosi castelli. Quando giunsero in una fortezza munita di altissime torri, il Gran Maestro volle mostrare al conte l'obbedienza riservatagli dai sudditi, sicuramente superiore a quella di cui godevano i regnanti cristiani dai propri: al semplice gesto del braccio e senza alcun bisogno di profferir parola, due guardie si buttarono dalla torre, morendo sul colpo. Subito dopo chiese all'esterrefatto conte se desiderava assistere a una scena ancora più significativa: con analogo gesto avrebbe indotto l'intera guarnigione a buttarsi dalle torri. Il conte, ovviamente, rifiutò asserendo che gli era già ben chiaro il maggiore potere di persuasione rispetto a quanto fosse possibile in Occidente. Non è nemmeno il caso di ribadire quanto fosse ingiustificabile quella manifestazione di potere perché noi occidentali facciamo fatica addirittura a comprenderla, anche a distanza di secoli. Con la stessa gioiosa dedizione, infatti, i terroristi islamici si fanno saltare in aria per massacrare gli "infedeli" occidentali e con ancora più enfasi patriottica in Giappone ancora sussiste la volontà dell'estremo sacrificio in talune circostanze, tristemente resa famosa dalle scene dei kamikaze che si schiantavano con i loro aerei sulle navi nemiche, fungendo da bombe umane. Noi inorridiamo per le succitate usanze, legittimamente definite barbariche, tribali, appartenenti a un mondo in evidente ritardo evolutivo. Se riuscissimo a "spogliarci" del nostro complesso di superiorità e metterci anche solo per pochi attimi nei panni di chi ci osservi da lontane prospettive, riuscendo a vedere ciò che vedono loro, il nostro pensiero cambierebbe radicalmente. Non dimentichiamo la lezione einsteiniana: tutto cambia, se osservato da punti diversi. Nel sottobosco della rete è ancora disponibile quello squallido video in cui si vede un docente universitario di Camerino che si faceva succhiare l'uccello da allieve in lacrime. Le poverette


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erano costrette a subire le sue angherie sessuali altrimenti sarebbero state bocciate. Esempio sintomatico di quegli "abusi del potere" che si registrano dalle nostre parti che, se citati compiutamente e per ordine alfabetico, trasformerebbero questo articolo in un'opera più corposa della Treccani. Quante donne sono "costrette" a prostituirsi, "non volendolo", per lavorare, per fare carriera? (Lasciamo stare quelle che accettano il fatto con serenità: loro non fanno testo in questa narrazione) Tante. Aprono le gambe con la morte nel cuore, subendo un'atroce violenza, per sopravvivere, vittime indifese del potere di uomini senza scrupolo, molto spesso con il doloroso assenso di mariti, che pur di mettere in bocca ai propri figli un pezzo di pane, subiscono la terribile umiliazione. Vi è differenza tra "il potere" del Gran Maestro capace di indurre al suicidio intere guarnigioni, il potere degli antichi faraoni che se ne andavano all'altro mondo facendosi rinchiudere nelle piramidi con stuoli di fedeli servitori ancora in vita, il potere regale nipponico onorato con varie forme di suicidio e tutte le altre forme distorsive qui omesse per amor di sintesi, e il potere dei docenti universitari porci, degli imprenditori sfruttatori e porci anche loro e di tutte le altre forme distorsive che riguardano noi occidentali, sempre omesse per amor di sintesi? No, ovviamente; non vi è alcuna differenza. O si potrebbe addirittura dire che una differenza vi sia: i primi accettano con gioia quella manifestazione di potenza così penalizzante in virtù del proprio retaggio culturale e tradizionale; i secondi, figli di una cultura ben diversa, la subiscono con dolore, terrore, sgomento, schifo. I POTERI OCCULTI Solo una pennellata rapida, su questo argomento, perché anche di esso ce ne siamo occupati più volte, soprattutto negli studi dedicati al comportamento delle masse. Per lo più sono rappresentati dai potentati economici dei Paesi più ricchi, che manovrano la politica degli Stati. Sono i veri padroni del mondo: una minoranza effimera dal punto di vista numerico che detiene oltre il 90% della ricchezza mondiale, incurante delle sofferenze di miliardi di persone. Costituiscono l'espressione più reale della degenerazione di quel sistema economico chiamato "capitalismo", già di per sé negativo. Le moderne formule finanziarie sono così complesse da risultare del tutto incomprensibili alle masse, che ne subiscono le conseguenze sia per "imposizione" (leggi che vanno rispettate, anche quando se ne percepisse l'iniquità) sia per le conseguenze della massiccia propensione a lucrare sempre e comunque, anche quando ciò voglia dire "mors tua vita mea". L'aumento dei costi energetici è una bufala sotto il profilo della "causalità": se si mutassero i parametri degli utili da parte delle multinazionali i costi per gli utenti scenderebbero drasticamente fino a risultare addirittura irrisori. Stiamo vedendo tutti i giorni i servizi sui pescherecci che restano in rada perché i pescatori non possono permettersi il costo del carburante e le aziende che chiudono per analoghi motivi. Tutti noi, negli ultimi mesi, abbiamo ricevuto bollette con importi almeno doppi rispetto alla norma. Non vi è alcuna ragione valida che possa giustificare ciò e quelle addotte sono solo panzane. Anche nei periodi di contingenza, infatti, l'asticella degli utili per "la finanza" (che è inutile definire "sporca", come spesso accade, perché non ne esiste una pulita), deve sempre mantenersi ai livelli stabiliti dai

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burattinai di turno. Un terzo aspetto, tuttavia, vede le masse subire "angherie" facilmente individuabili sol che si prestasse un pizzico di attenzione. Del malsano rapporto tra i costi di produzione e il prezzo finale dei prodotti abbiamo già parlato: i potentati economici immettono sul mercato prodotti con prezzi pazzeschi grazie alla facile propensione all'acquisto di miliardi di persone, magari abilmente condizionate dalla massiccia affermazione di quel processo sociale che si può racchiudere nei falsi miti del benessere. Abbiamo parlato, per esempio, di come un telefonino venduto al prezzo di mille euro in realtà dovrebbe costare non più di 2-300 euro, senza che nessuno vi perda. Lo stesso vale per tanti altri prodotti di massima diffusione, automobili comprese. La propensione a sfruttare in modo "spropositato" quella che non è azzardato definire "stupidità collettiva", ha indotto ad elevare il gioco fino al parossismo. Un tempo, quando si acquistava un prodotto, si avevano due opzioni: pagamento in contanti e pagamento a rate. Era normale beneficiare di uno sconto in caso di pagamento in contanti e di corrispondere degli interessi alla banca o alla società finanziaria in caso di prestito. Oggi si assiste a un fenomeno cui nessuno presta attenzione, ma che rende ancora più esplicite le distonie di un sistema malato. Quando si acquista un'automobile, i venditori, contrariamente a quanto avveniva in passato (forte esortazione a pagare in contanti evidenziando il vantaggio dello sconto) fanno di tutto affinché si sottoscriva un finanziamento. (A loro che interessa? È evidente che a ciò siano spinti da ordini ben precisi). L'arcano diventa più comprensibile con esempi che riguardino i prodotti di più largo consumo: elettrodomestici, telefonini, etc. L'acquirente spesso nota che il costo del prodotto scelto risulti più basso se pagato a rate e addirittura per le rate non si deve corrispondere alcun interesse alla società che elargisce il prestito! Pazzesco, vero? Un telefonino, per esempio, che se pagato in contanti determina l'esborso "immediato" di 450 euro, può essere comodamente pagato in trenta rate di quattordici euro! Trenta euro in meno e per giunta con l'importo diluito in modo tale da non costituire alcun problema anche in caso di stipendi non proprio esaltanti. Che bellezza! Tutti, ovviamente, decidono di effettuare il pagamento rateale e a nessuno viene in mente che le società finanziarie non lavorano gratis! All'azienda venditrice, infatti, viene corrisposto un importo di gran lunga inferiore rispetto ai 420 euro recuperati in trenta mesi. Quell'importo che viene "negato" a chi sarebbe disponibile a pagare in contanti, per favorire un arricchimento ancora più consistente ai falchi del mondo bancario. LA SACRALITÀ DEL POTERE Non sempre il potere è stato appannaggio di uomini malvagi e, per un sano excursus che parta da lontano e affronti compiutamente l'argomento, non si può che fare riferimento ai saggi di Julius Evola, a partire da "Rivolta contro il mondo moderno", che illumina la mente più di quanto non faccia il sole con il corpo nei giorni di massimo splendore. Per cesellare degnamente la sacralità del potere in questo contesto, basterà citare le gesta di un uomo che, di fatto, non ha posseduto alcun potere reale se non quello scaturito dalla sua forza d'animo, dalla profondità del pensiero, dalla cultura, dalla capacità di capire il prossimo e di coglierne l'essenza più recondita: Moh?nd?s


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Karamchand G?ndh?, meglio noto come Mahatma Gandhi, che indusse alla resa l'impero britannico solo con la sua "regalità spirituale", più potente dell'esercito imperiale e delle forze di polizia che sistematicamente lo sottoponevano a lunghi periodi di detenzione con la speranza, sempre risultata vana, di indurlo a rinunciare alla sua battaglia combattuta senza armi. È un esempio che va citato, suggerendo di approfondirne la conoscenza, perché massima espressione di potenza esercitata da un essere umano con la forza della mente. Deve essere ben chiaro, tuttavia, che in mancanza di un Gandhi, e oggi non ve ne sono, per sconfiggere le prepotenze dei tiranni non servono le marce della pace con la sua foto che troneggia nei cartelli, ma altri mezzi. Intelligenti pauca. RIFLESSIONE PER I GIOVANI Nella lunga lista di citazioni collocate all'inizio di questo articolo ne sono state omesse due, una di Bacone e l'altra di Nietzsche, perché si differenziavano troppo da quelle che sancivano aspetti dell'essere difficilmente confutabili: il primo ha espresso un pensiero stupendo che, purtroppo, non trova riscontro nella realtà; il secondo quella che, di fatto, si può considerare una mera esortazione. Dice Bacone, infatti: "La conoscenza di per sé è potere - Ipsa scientia potestas est". Magari fosse vero nell'accezione da lui agognata. La conoscenza è senz'altro potere, ma spesso utilizzata in modo subdolo, come fanno gli scienziati che negano la pericolosità delle centrali nucleari o gli studiosi che manipolano la storia a pagamento, facendo passare i buoni per cattivi e viceversa. Nietzsche, dal suo canto, eleva il concetto di Bacone, rendendolo realmente fruibile: "Il potere corrompe. La conoscenza è potere. Studia sodo. Sii cattivo". La conoscenza, quindi, esercitata anche con durezza, "deve" servire a sconfiggere la capacità corruttiva del potere. Concetto, del resto, anticipato già da Platone: "Sino a quando nello Stato i sapienti non imperano e coloro che noi chiamiamo re non posseggono veramente la sapienza, e ad uno stesso fine non convergano potere politico e sapienza, le possenti nature che incarnano separatamente l'uno e l'altra essendo impedite dalla necessità, fino ad allora non vi sarà rimedio per i mali che affliggono gli Stati, anzi la stessa umanità". Quale migliore insegnamento per le giovani generazioni, anche alla luce dei fatti tristemente attuali, soprattutto se corroborato dal pensiero di quell'uomo potente che combatteva senza armi, citato innanzi: "Quando dispero, io ricordo che nel corso di tutta la storia la via dell'amore e della verità ha sempre trionfato. Ci sono stati tiranni e macellai, e per un po' possono sembrare invincibili, ma la conclusione è che cadono sempre. Riflettici. Sempre". Perché se è vero che gli ucraini combattono anche con le armi, è solo grazie alla loro straordinaria capacità di "amare" che riusciranno, speriamo presto, a far cadere il tiranno. E giorno verrà che saranno i sapienti a governare il mondo. E allora sì che sarà un bel giorno, per tutti. Lino Lavorgna NOTA 1.”Discendente di quel al-? asan-i ?abbâ? di cui parla Marco Polo in un brano de "Il Milione". Gli "ismailiyyah" costituivano una setta ismailita che faceva capo alla confessione sciita dell'Islam, nota anche con il nome di Haðîðiyyûn (Assassini).

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IL POTERE DI UN SORRISO A pensarci bene, il potere è proprio una 'bestia' strana: ferreo, duttile, affascinante, odioso. Sembra un caleidoscopio in mano a grandi e piccini, sfila glorioso su un carro dorato e col volto tinto di rosso o atterrisce col solo sguardo una landa d'animi desolati, pesta i piedi stizzito e urlante o accarezza con gli occhi languidi e la voce suadente, s'insinua persino nel rapporto sessuale e lo rende intrigante o agghiacciante, opera nel pieno fulgore della luce solare o agisce sinuoso nelle pieghe dell'ombra, cala benefico su moltitudini osannanti come pioggerellina d'estate o, ruggente, spazza la terra con intento distruttivo. È un camaleonte o una chimera. Eppure, in questa sua versatilità, per essere esercitato ha intanto bisogno di un contesto. Nel rapporto amoroso, ad esempio, va bene una stanza da letto in penombra o un comodo divano in un languido crepuscolo. Va bene anche un tavolo da cucina. Oppure, disgraziatamente, una buia strada deserta. Per il resto, necessita di una sequenza esecutiva e di supporto, di una 'rete' di rapporti e di consensi. Altrimenti, è un Napoleone o un Gesù, in camicia da notte bisunta in un reparto di alienati. L'ulteriore caratteristica che il suo esercizio comporta è una specie di proporzionalità inversa perché, come ci ricorda Foucault, già la sua azione limita di fatto la libertà altrui, dovunque e comunque intesa, anche nel più lieto dei casi e con i migliori intenti. Per giunta, più esso s'ingrandisce e più inevitabilmente riduce gli spazi di azione e di espressione dell'aggregazione sociale. E qui, proprio su quest'ultima osservazione, scattano a cascata tutta una serie di considerazioni che, neppure a dirlo, hanno a che vedere con la democrazia, con la libertà e con la giustizia le quali, alternativamente, fanno girare le rotelle della disquisizione dotta oppure i cabbasisi. Per non parlare, poi, della coesistenza di più poteri, omogenei, eterogenei e ad ogni livello, specie nelle società di oggi, le cui azioni si intersecano, si confrontano, concordano o si scontrano, comunque consapevoli che alla fine dei 'giochi' si determinerà una sovraordinazione e una subordinazione. Una specie di 'catena' di comando dove, attesa la strategia complessiva, ognuno tatticamente dovrà fare la sua parte. Certo, non è sempre così perché, a volte, i poteri si equivalgono ovvero vengono opportunamente ritenuti tali: per cui, è il momento del fair play, della coesistenza che nella sua diversificazione va da quella 'pacifica' a quella 'armata'; resta in ogni caso la necessità di un dialogo, rilassato o agguerrito, ricco di promesse o di velate minacce. L'aspetto, se vogliamo, curioso è che ad una siffatta 'competizione' sono ammessi anche quei poteri la cui esistenza si basa sulla forza coercitiva e sulla repressione del dissenso interno: un'autocrazia, una dittatura,


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insomma. Ed è lì che il potere politico, in senso lato, raggiunge la sua massima espressione tramutando l'opportunità in opportunismo. Non c'è che dire. Nel suo complesso, la gestione (ben svolta) del potere è un match persino entusiasmante e affascinante nella sua variabilità: più complesso del 'bao' che, a sua volta, arriva a surclassare gli scacchi. Lo è un po' meno, diciamolo, per coloro che quel 'gioco' sono costretti a subirlo. Perché, va ribadito, non ci sono dubbi: laddove il potere si manifesta lede in ogni caso, la libertà e persino le tasche. Oddio, la potente fantasia giuridica, alla quale va comunque resa grazia, ha cercato di introdurre dei linimenti, delle giustificazioni, introducendo nella 'partita' concetti come bilanciamento dei poteri, 'bene comune', volere della maggioranza, libertà di espressione. Ma, anche qui dobbiamo dircelo, non sempre quelle significanti astrazioni si tramutano in concreti o funzionali significati. Anzi, può addirittura verificarsi che gli 'accorgimenti' introdotti scompensino il lato efficacemente operativo del potere giungendo a creare false attese e disfunzioni a danno proprio di quei terzi che s'intendevano tutelare Ed in questo, a mo' di sintetico esempio, l'Europa, no, l'Unione Europea a volte c'incappa, tutta tesa, nel suo potere di 'armonizzare', a varare norme fondate sul diritto della persona senza che i contesti dove si calano siano in grado di garantirli e senza che verso quegli stessi contesti vi sia potere di censura. Prendiamo i medici, ad esempio, questi acclamati eroi della pandemia che hanno pagato un rilevante contributo alla loro abnegazione. Essi, com'è noto, dall'alto del loro sapere, hanno il potere di curare e di guarire secondo i principi contenuti nel giuramento d'Ippocrate. Ma non basta. Da una ventina d'anni, nella loro azione devono anche osservare i contenuti della Carta Europea dei Diritti del Malato, varata dalle potenti istituzioni comunitarie. Non c'è che dire: un'opera altamente meritoria che, nel caso di specie, tende a tutelare il soggetto 'debole', il paziente, riconoscendogli dei diritti (14) inalienabili ai quali il potere sanitario deve soggiacere. A questo punto, però, mi viene in mente la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino varata in epoca di Ragione senza tener conto che quei diritti, in presenza della forza, fisica, economica, politica, ecc., tendevano a sbiadire, creando in conseguenza una graduale valenza. E, con tutto il rispetto, a nulla vale il fatto che quella Dichiarazione sia stata poi recepita dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo varata nel '48 dall'ONU perché non è certo quell'espressione, tutto sommato nobile, ad attenuare nel Mondo i gap sociali, economici e giuridici che non solo persistono ma che quotidianamente s'accrescono. Un po' come la Carta dei diritti del malato che avrebbe dovuto calarsi su impianti istituzionali nazionali a parità di condizioni o, almeno, posti in obbligo di convergere con l'adozione delle migliori pratiche. Invece, assistiamo ad una situazione sanitaria che, a seguito di decisioni di legittimi poteri nazionali, va da un trattamento a sei stelle lusso degno del Burj Al Arab a Dubai fino a quello praticato negli ostelli della gioventù. Come sappiamo, la sanità degli europei non è materia di Trattati per cui la formulazione della Carta ha valore di semplice indirizzo per la politica ma certo è che per i legulei è un rocambolesco sprone, datosi che le magistrature nazionali comunque ne tengono debito conto, soprattutto in ipotesi di cosiddetta 'malasanità'. E quì non

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dubito che eclatanti casi nefasti si siano verificati e che la giustizia abbia stabilito se non altro un adeguato risarcimento alle parti lese. Tuttavia, c'è da ribadire che anche in questo caso si determina una sostanziale differenza perché, atteso il potere del cittadino di adire le vie legali, quello stesso potere è subordinato alla disponibilità economica dell'eventuale attore e alle 'larghe' convenienze del legale. Per cui, gli unici riflessi certi, paradossali persino, li troviamo intanto nell'abnorme lievitazione dei premi assicurativi a copertura dei 'rischi' del medico e, fatto ancor più pregnante, nella sua ormai indotta circospezione che gli sconsiglia scelte, come dire, coraggiose che, proprio in quanto tali, potrebbero risultare opinabili, anche se condotte a fin di bene. C'è da pensare che i promotori comunitari abbiano ritenuto la magistratura e la sua opera in grado di supplire le carenze della politica (sic), oppure che avessero a mente il modello statunitense (che sembra essere divenuto un generale obbligato riferimento), simile in tutto il territorio federale, dove però la sanità è generalmente privata, spinta quindi a porre a disposizione del paziente attrezzature al meglio delle possibilità e personale costantemente e tangibilmente motivato, stimolato quindi a migliorare con continuità la sua opera; personale non certo indenne da azioni risarcitorie le quali, comunque, rientrano nel novero statistico dell'ordinarietà. In ogni caso, ci sta che il potere crei occasioni per nobilitarsi, specie se la sua portata è ridotta, poco efficace, o addirittura gravosa. Altra sua faccia. Questo per sottolineare che possono coesistere facce del potere antitetiche tra loro e che, parafrasando un antico motto, il bene a volte soccombe sotto la ricerca dell'ottimo. Comunque, chiusa la parentesi, non resta che dire: qualsivoglia accorgimento s'introduca per ridurre la portata 'liberticida' del potere, in definitiva senza la sua affermazione e il suo continuato esercizio non c'è 'partita', tutto diventa una gag da operetta o una rissa d'osteria. Ma, ovviamente, non possiamo chiuderla qui perché, purtroppo, le cose facili e semplici non sono di questo mondo. Eppoi, quando c'è di mezzo l'essere umano tutto si complica perché ogni sua azione è frutto di quella sovrastruttura mentale (che qualcuno chiama cultura) la quale soppianta l'istinto e, paradossalmente, ci rende a volte peggio degli animali, nonostante la foglia di fico. E non sempre la libertà di lamento, ultima spes, è garantita. In pratica, tanto per sdrammatizzare, è come assistere ad una partita di calcio, scusandomi da subito per eventuali imprecisioni perché non c'è nulla di più lontano dalla mia attenzione. M'è capitato, però, di vedere qualche incontro tra undici uomini in mutande da un lato che si contrappongono altri undici nelle medesime condizioni. Ebbene, può succedere che l'arbitro, inopinatamente a detta di alcuni, dopo una mischia furibonda o un violento scontro a due in area assegni un rigore. Ha il potere di farlo ma questo non esime il tifoso di turno dal giudicare la decisione e di applaudire oppure di fischiare ricordando all'arbitro che è un adulto e che è ora che sappia di chi è figlio. Del resto, per la proprietà transitiva, è la collettività a pagarlo. Comunque, l'arbitro fa il suo lavoro: pone in atto il potere che gli è stato assegnato dalla Federazione dopo averne verificato la competenza ed esercita, quindi, un suo diritto/dovere nel regolare la gara. E facendolo, con la responsabilità che dovrebbe essergli propria, giudica


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assolvendo o punendo. Ma ciò non toglie che la decisione, derivata da tutte le considerazioni precedenti, manifestatamente accontenti alcuni e scontenti altri. Nemmeno il VAR e la sua consultazione nel corso dell'incontro, teso a ridurre i dubbi dell'arbitro (e sulla sua condotta), è esaustivo perché resta comunque il fatto che al giudice di gara rimane il potere della decisione ultima. E va be'. Però, vivaddio, ci dicono che siamo in democrazia per cui, se i circenses non ci hanno soddisfatti, un liberatorio va a dà via i ciapp ci riporta sulla via dell'importanza preminente del panem e ci fornisce materia di discussione davanti alla macchinetta del caffè, lasciandoci comunque affezionati tifosi. Ma la vita di tutti i giorni e i problemi che ci getta addosso, la 'partita' che quotidianamente giochiamo con i vari arbitri a dirigerla, non li possiamo liquidare con un va a dà via i ciapp perché abbiamo bisogno di capire e di confidare ed è qui che il potere, per ricorrere a Dante, parrà la (sua) nobilitate. Ma ciò che vediamo da ultimo, noi, abitanti di un Paese che si ritiene civile e democratico, ci lascia perplessi perché la democrazia sembra essersi sfilacciata, la libertà pare essersi ristretta e la giustizia, ipotetica ultima spes dopo il lamento, appare tendente ad uniformarsi a filoni di pensiero più che a consolidati diritti. Sbaglierò ma pare che lo stesso potere abbia perso dei capisaldi e non si vede in giro alcunché di sostitutivo. O meglio, sembra che il potere abbia preso a trasformarsi a seconda delle evenienze: già era camaleontico ma sta assumendo caratteristiche che vanno dalla mutazione genomica a quella neoplastica. Non posso certo ignorare che nei momenti di crisi gli spazi di democrazia e di libertà si contraggono, devono contrarsi, perché il rispetto pedissequo degli iter procedurali e formali fa correre il rischio di far mancare l'obiettivo risolutivo o salvifico. Persino gli Antichi Romani, strenuamente innamorati della loro Repubblica, della valenza del loro Senato e dei loro Consoli fino al punto di arrivare all'omicidio di Cesare e a creare facinorosi a sostegno dei cesaricidi o a loro avversi, di fronte a particolari eventi davano mandato al Dictator il quale, una volta risolto il problema, rimetteva la delega. Ma occorre ricordare, tuttavia, che quell'omicidio è ciò che ha dato la stura alla vendetta augustea, svolta la quale la Repubblica era finita ed era nato l'Impero. E, d'altronde, è ciò che accade quando i termini di paragone si vogliono restringere fino al bianco o al nero con conseguenti schieramenti e contestualmente si riduce la scala cromatica fino alla cancellazione di tutte le gradualità del grigio, cosicché il Bianco, naturale o dipinto, possa alla fine sovrastare il Nero, naturale o dipinto. Già, un Impero nel quale o si è a capo della holding o si è vassalli, secondo il diritto feudale, con annessi poteri, al quale sembra essere tornati. Infatti, un conto era credere che la Roma repubblicana fosse davvero caput mundi, con la sua cultura sia pur in parte d'importazione, con la rettitudine del suo mos maiorum, l'insieme della morale tradizionale, e con la forza delle sue legioni e un altro conto è costatare che le istituzioni repubblicane sono zoppe, che la cultura non attraversa certo uno dei suoi momenti migliori, che la morale ha assunto caratteristiche elastiche e che le 'legioni' sono tributi di vassallaggio. L'ho già detto cento volte e posso ben ribadirlo, ho molto a cuore l'Europa, sognata da brillanti menti del passato come casa comune di popoli diversi, ma dobbiamo ammettere che nella sua attuale

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costruzione non ha sostituito in alcun modo il potere che ha sottratto. Anzi, ha contribuito a mutare quello residuo. D'altro canto, come anche qui abbiamo scritto un'infinità di volte, la sua visione e la sua azione, almeno da trent'anni a questa parte, esprimono solo il potere di una gestione puramente tecnicistica, ragionieristica che, peraltro, esclude peculiari aspetti sociali, nominalmente lasciati al potere degli Stati membri. Quale inciso, mi chiedo quale mai possa essere il seguito alla recente uscita del Presidente della Commissione Von der Leyen sulla necessità di superare l'unanimità su argomenti di rilevante importanza. Me lo domando dal momento che per modificare i Trattati occorre l'unanimità: quell'unanimità che in una visione romantica, tradotta in uguaglianza, con tutto il rispetto porta a dare ad uno Stato la cui consistenza è simile ad un quartiere di Roma o di Milano, lo stesso peso, lo stesso totale potere espressivo della Germania con i suoi ottantaquattro milioni di abitanti. E questo non è corretta democrazia: è, ripeto, la risultante di una concezione romantica e, come noto, il romanticismo trova la sua naturale evoluzione soltanto verso la morte. Pensiamo per un attimo ai perduranti fatti bellici all'interno del continente dove un primo, doveroso atteggiamento sarebbe stato quello intervenire con un'unica voce, senza lasciar spazio e potere, eccessivi a mio avviso, ad una istituzione che non ha né veste giuridico-istituzionale né coerente identificazione geografica nel suo operato. E non dico questo per critica ideologica bensì semplicemente per asettica analisi. Ed invece, abbiamo assistito ad una notevole diversificazione dei singoli Stati circa le posizioni politiche sia come giudizi nei confronti dell'aggressore che in ordine alle sanzioni, sminuendo platealmente, formalmente e sostanzialmente, la figura dell'Unione. Ma lì, comunque, ci può anche stare la diversità: l'espressione del potere politico che emette un giudizio e che, conseguenzialmente, attua o meno una disponibilità verso un soggetto terzo non ancora appartenente alla 'famiglia'. Credo che la questione si ponga invece ben diversamente quando quel potere è indotto a curare ossessivamente il suo bilancio e a rientrare forzosamente nei parametri prefissati fino al punto di vedersi costretto a vendere tutto il suo patrimonio artistico (oltre 10.000 siti), leggasi Grecia. Cosa resta a sostegno sociale? E, domanda ancor più insidiosa, dov'è la politica? E, inoltre. Cosa rimane della sua identità? Anche perché sembra in atto una forsennata opera di cancellazione del passato, un'oicofobia, come la chiama Ada Kahn, nella sua Enciclopedia delle fobie, paure e ansie, che Roger Scruton, filosofo, nel suo England and the Need for Nations traduce in 'ripudio dell'eredità della casa', sostenendo che si tratta di uno stadio attraverso il quale passa normalmente la mente adolescenziale. Il fatto è che di tale patologia sono affetti adulti i quali credono che attraverso la cancellazione dei segni, di tutti i segni che contraddistinguono il nostro essere stati e il nostro essere, fino all'abolizione del genere, saremo tutti più liberi. In realtà, invece di acquisire libertà, perderemmo intanto identità per smarrirci in un piattume terrificante, animato dalla sola forza. Già, perché quella, in ogni caso e comunque intesa, non potremmo cancellarla così da istituire dei 'meno uguali' e dei 'più uguali' con conseguenti ripercussioni sul potere d'azione di ognuno e, in conseguenza, sulla sua libertà.


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Nel senso che sarebbero proprio ottuse modalità operative a determinare differenze ancor più deleterie di quelle che si vorrebbero ingenuamente (strumentalmente?) cancellare. E aspetto ancor più pernicioso è che in generale la politica, o almeno quella che passa per tale, dimentica del suo potere delegato, ha assunto al riguardo atteggiamenti che vanno dal totale disinteresse ad un affiancamento tra il timido e lo spregiudicato: ci sarebbe da chiedersi, abbattute le ideologie, quali siano i rispettivi percorsi programmatici di medio/lungo periodo dove inserire le corrispondenti posizioni ma non è dato sapere perché tutto, ormai, è contingenza urgente, o almeno passa per tale. Quella stessa politica, figlia degenere di coloro che trent'anni fa cancellavano la cosiddetta I Repubblica sulla scorta della necessità di reintrodurre la morale nella vita pubblica, civile e sociale per poi arrivare a 'slittare' non su tangenti miliardarie bensì sul mutuo della casa, sugli scontrini del bar, sulle ricevute al ristorante, su 'pezze' giustificative di televisori e tostapane, su scontrini di abbigliamento e su 'mazzette' di risibile entità. Amo la politica ma questa odierna, nella sua generalità, è un'altra cosa, priva di sentimento e di determinazione, di visione prospettica, di capacità operativa e con una morale che ad esser buoni potremmo definirla basata sulle opportunità. E, non udente ('sorda' non è a la page) circa quel rapporto tra mandante e mandatario che in ogni caso dovrebbe contrassegnare il suo agire. Già, perché la politica, soprattutto quella partitica, ha perduto le sue trascorse caratteristiche identificative per divenire una sorta di gadget da appuntare sul reverse della giacca nelle adunate con i 'genitori', intercambiabile con altro gadget se si cambia 'quartiere' e scuola. Una politica, oaudacia almeno quella che passa per tale, che crede (o vuol far credere) che altisonanti temi temeraria igiene spirituale come la 'sovranità', 'l'immigrazione', lo 'ius soli' o il 'green deal', possano fare premio sulle sofferenze sociali, in costante aumento. In realtà, è amaro costatarlo, ciò che oggi sembra far premio sulle ondivaghe simpatie dell'elettorato (o almeno di quello che ancora crede nel suo potere di scelta) è il tono e la varietà della parola. Certo, il tono e la varietà perché (forse inconsapevolmente) la sedicente politica sembra aver dimenticato il potere creatore della Parola di per sé, avviata ormai a detenere il solo potere di provare ad integrare il Logos di Filone d'Alessandria, una fusione tra quello biblico, quello platonico-stoico e la razionalità aristotelica, a mezzo della semplice modulazione del tono e attraverso l'uso dei sinonimi e contrari con i quali la 'parola' stessa viene espressa. Opera senz'altro mirabile non foss'altro perché sono in molti ad ignorare l'esistenza di un altro Logos, quello di Eraclito, legge fondamentale, universale della realtà delle cose, dove la parola si identifica con la razionalità stessa e, di fatto, il significato coincide con il significante. Ma che ci vogliamo fare? Così è la vita. Per cui le simpatie dei moderati sembrano indirizzarsi verso l'articolazione pacata della parola, ricca d'iperbole e di encausti letterari mentre quelle degli intemperanti pare andare verso una scansione più segmentata, imperiosa, altisonante, tendente all'eroico. Un tono e una varietà delle parole dei solisti accompagnate da cori e orchestre che, a seconda dell'artista, variano per tempi d'esecuzione, per numero e assortimento degli orchestranti e, ovviamente, per numero e

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degli ascoltatori i quali, quasi pubblico d'altri tempi, si passano la voce sulla rappresentazione vista e fanno da richiamo al monologo in cartellone o ne decretano la cancellazione. E, del resto, è il potere degli spettatori, come ci ricorda Byung-chul Han, i quali, una volta espresso il giudizio passano ad altro. È il potere dell'audience, senza passioni né partecipazione. Resta il fatto che, dannatamente, un consolidato vezzo del genere, fatto di semplici vocalizzi, va a tutto discapito della più alta espressione democratica e del suo potere: il Parlamento dove ormai la tendenza di un altro potere, quello esecutivo, sembra essere tesa a superarlo. E non è una mia frugale impressione perché, in piena pandemia, ad esempio, addirittura Presidenti Emeriti della Corte Costituzionale lo hanno rilevato. O, ad ulteriore esempio, la gestione politica della posizione del Paese in merito ai citati fatti bellici. E stupisce che quel potere, quello ridimensionato, quello parlamentare, quello che ormai si limita per circa l'80% del suo tempo a tradurre normative comunitarie nell'ordinamento nazionale, l'unica cosa che abbia potuto pensare è stata quella di ridurre il numero dei suoi membri in nome di una contrazione della spesa e di una celerità operativa, non rendendosi neppure conto che, lasciando inalterati gli iter procedurali, con un numero minore di parlamentari i tempi operativi si allungheranno. Ma anche qui, che ci vogliamo fare? È espressione della vita, pure questo. Sono in molti a rilevarlo limitandosi però ad una dotta e articolata discussione accademica che puntualmente si conclude col fatto che in mano al cittadino rimane il potere finale: quello di essere artefice della promozione legislativa attraverso il referendum. E, a me, ogni qualvolta accade, mi viene tristemente da sorridere. Si dice che la Storia sia maestra di vita. Non lo credo. Ritengo, però, che almeno fornisca termini di paragone. E se mi baso su questo, tranne che per l'art. 18 della L. 300/'70 a danno dei lavoratori e in nome di una flessibilità che ha fatto strame del diritto del lavoro, non c'è un referendum abrogativo che abbia abrogato qualcosa, compreso quello inerente i soldi ai partiti: sparito il finanziamento pubblico, è nato il rimborso elettorale. L'ennesimo referendum s'approssima all'attenzione degli elettori: il prossimo 12 giugno saremo chiamati ad esprimerci su cinque quesiti che vanno dall'incandidabilità dei politici condannati, alla limitazione delle misure cautelari, dalla separazione delle 'funzioni' dei magistrati, alla composizione dei consigli giudiziari, all'elezione del CSM. Non m'avventuro su previsioni di risultato ma almeno un auspicio vorrei esprimerlo: quello che l'esito, qualunque esso sia, persista e produca effetto coerente perché il potere giudicante, ultima spes dopo il lamento, una volta adito resti libero e al di sopra delle parti, non più velato da nubi funeste che lo hanno attraversato. Aggiungo, comunque, che se devo basarmi sull'informazione, qualche timore mi nasce perché ad oggi, a distanza di 28 giorni dall'evento, non c'è uno straccio di trasmissione che ne parli. Certo è che viviamo in tempi strani. Li pratico con una certa apprensione non certo per me che da vecchia mi cauterizza l'età. Né per i giovani, cauterizzati dall'ignoranza del passato. Bensì per le middle ages che hanno conosciuto un mondo e, spesso drammaticamente, si ritrovano a viverne un altro dove tutte le certezze apprese, tutte le speranze riposte, sono divenute aleatorie. Certo, soprattutto loro appartengono alla 'società degli spettatori' e a quella 'dell'indignazione'. Ma,


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vero è che una volta spento il televisore, restano alle prese con i loro problemi che esulano dalla sovranità, dall'immigrazione, dallo ius soli e dal green deal per affrontare, invece, la coniugazione del pranzo con la cena. Ecco, a loro un consiglio accorato: che esercitino se non altro il potere dello zapping. Almeno, durante le pause che ritengono di concedersi dal turbinio di pensieri che li affligge, si cerchino un programma di amenità. Così, l'urlante 'silenzioso' frastuono, privo di senso, che li circonda, il vuoto silenzioso dell'angoscia che li attanaglia, in barba a sedicenti filosofi possano essere fugati, sia pur temporaneamente, da un sorriso: una manifestazione così profonda che Democrito chiamava 'arma potente'. Roberta Forte

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CONVERSANDO COL NEMICO Giuseppe Brindisi, di Rete 4, ha fatto bene o male a intervistare il ministro degli Esteri della Federazione Russa, Sergej Lavrov? Se questa è la domanda che ha animato il dibattito politico italiano negli ultimi giorni, vuol dire che abbiamo smarrito la bussola della ragione. O forse no. Probabilmente questo tempo di eclissi del buonsenso ci pone al cospetto delle nostre più remote angosce, ma ci sta anche aiutando a disvelare l'intima natura delle nostre classi dirigenti. Quando Enrico Letta scrive sui social che l'intervista è stata un'onta per l'Italia, dobbiamo ringraziarlo perché le sue parole appongono il sigillo dell'autenticità alle certezze che abbiamo sempre avuto sulla vocazione illiberale della sinistra. È un déjà vu: i comunisti di oggi, che pretendono di tappare la bocca a chi osi dare spazio alle tesi del nemico, sono della stessa materia di cui erano fatti i comunisti di ieri che riducevano al silenzio chi, a sinistra, criticava gli interventi repressivi sovietici dentro e fuori dei confini dell'Urss. Si obietterà: la storia di Enrico Letta non ha nulla a che fare con il vecchio Partito Comunista. Non è propriamente così. Letta appartiene alla "razza padrona", allevata nel laboratorio del cattolicesimo dossettiano, che ha usato la Democrazia Cristiana come un taxi per farsi scarrozzare all'interno del potere ma che ha sempre pensato alla sinistra come sua terra d'elezione. Il cattolicesimo dossettiano è la costola che il Dio dei comunisti ha strappato al corpo piagato del popolarismo di matrice sturziana per creare il Partito Democratico. Letta ha dato ampia dimostrazione che professare la libertà d'espressione sia solo un esercizio di stile, svuotato di contenuto. Nel solco del progressismo ideologico, per il capo dei "dem" la libertà di parola è data quando sia conforme all'idea di Bene, impersonato nel contesto italiano dalla "Chiesa" della sinistra dogmatica. Nella cosmogonia dell'odierna sinistra Sergej Lavrov incarna il Male. E al nemico del "Bene" non si concede la parola, né si offrono pulpiti o palcoscenici dai quali illustrare la visione tenebrosa del mondo. La circostanza che un'emittente privata italiana abbia violato la consegna del silenzio sulle ragioni del nemico, per Enrico Letta e i suoi rappresenta una macchia indelebile sull'onorabilità del Paese. Siamo alla follia: in nome della libertà dai censori si censura. Siamo all'onanismo mentale del dilemma: essere o non essere tolleranti con gli intolleranti? Ma è un bene che queste cose le si scriva, per informare i lettori perché sappiano con che razza d'ipocriti hanno a che fare. Libertà d'espressione, libertà di pensiero, libertà di stampa? Per la sinistra è materiale di propaganda a uso ingannevole, che tuttavia deve essere tenuto a bada, governato col pugno di ferro - da qui l'occupazione militare della Rai, delle principali testate giornalistiche e dei canali televisivi a diffusione nazionale da parte della sinistra - e da neutralizzare quando


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metta in pericolo l'unica narrazione autorizzata: quella che l'esercito del Bene scrive per legittimare se stesso al potere. Noi, che stiamo dell'altra parte del mondo, invece, non possiamo che complimentarci per lo scoop messo a segno da Giuseppe Brindisi. Che sia stato lui a convincere il potente personaggio russo a rilasciare l'intervista o che, invece, sia stato Lavrov a studiare a tavolino l'incursione in un media occidentale di non primaria grandezza internazionale, conta poco. Ciò che vale è il risultato. L'intervista non è stata in stile tappetino, come una parte dei media ha sentenziato. Premesso che un confronto giornalistico con uno dei protagonisti della scena globale può avere luogo soltanto sulle base di regole d'ingaggio che l'intervistatore deve preventivamente accettare, l'esito è stato più che soddisfacente. Eppure, Brindisi è stato accusato di scarsa aggressività nei confronti dell'interlocutore. Ma chi lo è stato prima di lui in circostanze analoghe? Oriana Fallaci, quando mise in fuga l'ayatollah Khomeyn?. Ma erano altri tempi e altri contesti. Quando, nel 1991, Bruno Vespa intervistò Saddam Hussein non è che gli saltò alla gola. Piuttosto, gli diede l'opportunità di esporre le proprie idee e di esporsi agli occhi dell'opinione pubblica internazionale. Perché, in certe interviste ai "grandi" del pianeta, l'obiettivo da cogliere non è quello di farli cadere in contraddizione, cosa quasi mai possibile per il fatto che non sarebbero "grandi" se si facessero incastrare da un giornalista, ma di farli parlare, di rappresentarsi. Ed è ciò che ha fatto Brindisi l'altra sera. Sulla questione poi del contenuto dell'intervista, navighiamo controcorrente. Qualcuno, preoccupato di assolvere Giuseppe Brindisi, ci ha messo una toppa che è peggiore del buco. La tesi è stata: brava Rete 4 che ha permesso di ascoltare dalla fonte diretta le deliranti idee che i russi hanno sulla vicenda ucraina. Ma l'hanno seguita la trasmissione? Hanno udito tutto ciò che Lavrov ha detto? A parte lo scivolone rimediato al tredicesimo minuto dell'intervista, durata quarantadue minuti, su Hitler ebreo e sugli ebrei che sarebbero i principali responsabili dell'antisemitismo - una castroneria inaudita - per il resto il ministro degli Esteri russo ha messo in chiaro la posizione di Mosca sull'Ucraina, dando sistemazione alla concatenazione logica degli eventi finora succedutisi. Ora, si può essere contrari al progetto russo e si ha il diritto di contrastarlo con ogni mezzo. Quello che non si può dire è che sia un delirio, un'oscenità. La politica estera, in pace come in guerra, si compone di strategie non influenzabili dalla morale e dai sentimentalismi dell'umano. Insultare il nemico indebolisce, non rafforza, le proprie ragioni. Si vuole contrastare il racconto offerto da Lavrov? Si lasci da parte l'indignazione da vergini violate e si vada dritto al sodo. Lavrov sostiene che la Russia abbia perseguito negli anni una politica di pacificazione con gli Stati Uniti, proponendo la ripresa di negoziati per bloccare la proliferazione nucleare, ma che siano state le Amministrazioni di Washington a stracciare gli accordi in essere dai tempi del Trattato Inf (Intermediate-Range Nuclear Forces Treaty) siglato a Washington l'8 dicembre 1987 da Ronald Reagan e Michail Gorbaciov e a rigettare la proposta avanzata da Vladimir Putin tre anni orsono di dare vita a un summit delle cinque potenze cha hanno un seggio permanente all'Onu sulla riduzione degli arsenali nucleari. Vero o falso? Lavrov dice di aver ripetutamente avvertito i Paesi

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occidentali che un allargamento della Nato a Est sarebbe stato interpretato da Mosca come una minaccia alla sicurezza della Federazione Russa, ma che i Paesi interpellati abbiano risposto, con modi sgradevoli, che ogni nazione è libera di stare con chi vuole. Vero o falso? Lavrov ha detto di aver discusso direttamente con Josep Borrell, l'Alto rappresentante dell'Unione europea per gli Affari esteri e la Politica di sicurezza, la situazione nell'Africa settentrionale e che questi gli avrebbe risposto a muso duro: l'Africa è affare dell'Europa e della Francia, statene fuori. Vero o falso? Lavrov sostiene che la decisione d'intervenire in Ucraina è giunta solo dopo che, per anni, i governi di Kiev si sono rifiutati d'implementare gli accordi di Minsk? Vero o falso. Sulla denazificazione, Lavrov ha spiegato che il discorso non si limita al battaglione ucraino Azov, presso cui la mitologia ariana è palesata, nella declinazione nazista, dai simboli apposti alle uniformi. Esisterebbe un humus favorevole all'identificazione della causa ucraina con l'aspirazione all'integrazione nel mito del Terzo Reich millenario. Per Lavrov la prova starebbe nella pulizia etnica perseguita dalle autorità ucraine ai danni della cultura, della lingua e delle tradizioni russe radicate da secoli nel contesto ucraino. Vero o falso? Ora, si può tranquillamente fare a meno di verificare le contestazioni fatte dal nemico a giustificazione del proprio operato. Si può benissimo ignorare il dialogo e decidere di usare le maniere forti. L'importante, per essere credibili, è che non si accampino pretesti per dare una parvenza di superiorità morale ai propri progetti. Già, perché fin quando l'Occidente non risponderà con argomenti inoppugnabili alle obiezioni di Lavrov, i suoi pretesti varranno esattamente quanto quelli occidentali. E non saranno le inarcate di sopracciglio per le cose ascoltate a fare la differenza. Giuseppe Brindisi e Rete 4 hanno offerto una grande prova di giornalismo. Per qualcun altro hanno commesso un peccato capitale: mettere l'opinione pubblica di fronte a qualcosa che non è pronta a capire. É la solita sinistra, che proprio non ce la fa a fidarsi della gente. E perciò brama per il popolo la migliore delle libertà desiderabili: quella condizionata. Cristofaro Sola


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GAS ROSSO SANGUE Repubblica Democratica Popolare di Algeria. Paese del Nordafrica, è indipendente dal 1962, data della fine della colonizzazione francese. In forza della Costituzione, varata nel 1976, l'Algeria è una Repubblica presidenziale musulmana, araba e berbera. Il potere esecutivo è ripartito tra il presidente della Repubblica e il primo ministro. Dal dicembre 2019 il Capo dello Stato è Abdelmadjid Tebboune. Il Governo in carica, la cui formazione risale al luglio dello scorso anno, è guidato dal premier Aymen Benabderrahmane. La democrazia algerina è piuttosto fragile. L'establishment è sotto l'influenza delle alte gerarchie militari. Negli ultimi anni il Paese è stato teatro di attività terroristiche, in particolare in Cabilia, regione del nord-est dell'Algeria. I diritti civili non sono particolarmente rispettati. Lo scorso dicembre, una coalizione di Organizzazioni non governative (Ong) ha denunciato "la repressione prolungata delle libertà fondamentali e del lavoro legittimo in materia di diritti umani in Algeria". Secondo l'accusa lanciata dalle Ong, le autorità algerine hanno continuato ad arrestare e perseguire arbitrariamente difensori dei diritti umani, giornalisti e attivisti pacifici per il loro esercizio dei diritti alla libertà di espressione, alla libertà di credo e alla riunione pacifica e associazione. Riguardo alla condizione economica, l'Algeria poggia sugli introiti derivanti dalla vendita degli idrocarburi. La posta petrolifera produce il 30 per cento del Pil e assicura il 60 per cento delle entrate fiscali nonché il 93 per cento delle esportazioni. Repubblica del Mozambico. Stato dell'Africa sud-orientale, è una ex-colonia portoghese, indipendente dal 1975. Dopo un lungo periodo di guerra civile (1975-1992), i negoziati di pace del 2016, conclusi nel 2019, hanno portato alle elezioni presidenziali e legislative del 15 ottobre 2019 che hanno visto la vittoria del partito ininterrottamente al potere dalla conquista dell'indipendenza: il Fronte di Liberazione del Mozambico (Frelimo), organizzazione politicomilitare di stretta osservanza comunista con aspirazioni dittatoriali in stile cubano. Il presidente Filipe Jacinto Nyusi è stato rieletto con il 73 per cento dei suffragi. Risultato, tuttavia, contestato dall'opposizione storica della Resistenza Nazionale Mozambicana (Renamo), di orientamento conservatore. Gli analisti valutano la democrazia mozambicana fortemente vulnerata dal monopolio del Frelimo nella gestione delle articolazioni dello Stato. Nel Paese sussistono elementi di deficit democratico a causa della scarsa indipendenza dei sistemi giudiziario e mediatico. Sul fronte del rispetto dei diritti umani la situazione si è aggravata dal 2020 a causa del conflitto in corso nel nord del Paese. Le forze di sicurezza dello Stato risultano implicate in gravi violazioni dei diritti umani compiute nel corso di operazioni di antiterrorismo nella provincia

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settentrionale di Cabo Delgado. Le organizzazioni umanitarie accusano il Governo di Maputo di aver ordinato alle proprie truppe l'utilizzo dei gas e di aver autorizzato arresti arbitrari, rapimenti, torture di detenuti, intimidazioni ed esecuzioni sommarie nonché l'uso eccessivo della forza contro civili disarmati. I giornalisti continuano a essere intimiditi e detenuti arbitrariamente dalle forze di sicurezza statali. A settembre 2021, il Parlamento europeo ha invitato il Mozambico ad avviare un'indagine indipendente e imparziale sulla tortura e altre gravi violazioni presumibilmente commesse dalle sue forze di sicurezza a Cabo Delgado. Riguardo all'economia, come rileva un report di Info Mercati Esteri: "Il Mozambico dispone di ingenti riserve di gas naturale, carbone, titanio, granito, gesso, grafite e pietre preziose. In particolare, enormi giacimenti di gas naturale sono stati scoperti nel 2011 nel bacino del Rovuma da Eni e dalla statunitense Anadarko per un totale di risorse finora accertate di oltre 2.000 miliardi di metri cubi di gas". Repubblica di Angola. Stato dell'Africa sud-occidentale. Ex-colonia portoghese, l'Angola ha conquistato l'indipendenza nel 1975 divenendo dapprima Repubblica Popolare dell'Angola marxista-leninista con il sostegno dell'Unione sovietica e di Cuba. Dopo una lunga guerra civile, che ha visto Il Movimento Popolare di Liberazione dell'Angola-Partito del Lavoro (Mpla), forza politica al Governo, combattere contro il fronte anti-comunista sostenuto dagli Stati Uniti d'America e dal Sudafrica e raggruppato nell'Unione Nazionale per l'Indipendenza Totale dell'Angola (Unita), nel 1991 con gli accordi di pace di Estoril il Paese si è trasformato in una Repubblica costituzionale presidenziale unitaria. Presidente dell'Angola, succedendo al padre dell'indipendenza nazionale, António Agostinho Neto, è stato dal 1979 fino al 2017, anno del suo ritiro, José Eduardo dos Santos, espressione di vertice del Mpla. Negli anni della sua presidenza l'Angola ha lasciato il campo comunista per avvicinarsi all'area d'influenza Usa e ha ristabilito solidi legami con il Portogallo, ex-potenza colonizzatrice. Il 26 settembre 2017, a 63 anni, il generale della riserva João Manuel Gonçalves Lourenço è diventato il terzo presidente della Repubblica dell'Angola a seguito delle elezioni generali del 23 agosto 2017. Anch'egli è stato eletto nelle liste del Mpla. Nel Paese, ricco di diamanti e risorse petrolifere, il rispetto dei diritti umani non è argomento apprezzato. L'anno scorso Amnesty International e l'Ong angolana Omunga hanno denunciato l'uso eccessivo della forza nei confronti delle manifestazioni pacifiche e contro persone accusate di aver violato il lockdown durante il picco della pandemia da Covid-19. Particolarmente sentito il problema della costante violazione dei diritti dei minori. Repubblica del Congo. Stato dell'Africa centrale, ex-colonia francese, è indipendente dal 15 agosto 1960. Repubblica presidenziale, è attualmente governata dal generale Denis Sassou Nguesso, politico di estrazione marxista-leninista, al potere dal 1979. Nel Paese è presente l'italiana Eni con attività di esplorazione e produzione che le ha reso, nel 2020, 18 milioni di barili di petrolio e 1,4 miliardi metri cubi di gas. Oltre che per le risorse del sottosuolo, il Congo si segnala per la pratica diffusa della violenza di genere. Secondo l'Unicef, il 54,2 per cento delle donne congolesi giustifica la violenza domestica e il fatto che un uomo possa picchiare la moglie in determinate situazioni. Studi condotti dal Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione


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(Unfpa) mostrano come nella Repubblica del Congo il 66,1 per cento delle donne e delle ragazze tra i 15 e i 24 anni ritenga che le percosse alla moglie possano essere giustificate. Perché questa sommaria schedatura? Semplicemente perché, giusto per limitarci al Continente africano, riteniamo importante saperne di più dei quattro Stati a cui il nostro Governo si è rivolto, col cappello in mano, per comprare più gas da sostituire a quello che tutt'oggi ci viene erogato dalla Russia. Beninteso: va tutto bene. Ci sta l'assoggettamento ai diktat di Washington e di Bruxelles sul comportamento da tenere nei confronti di Mosca. Ci sta che, da qualche settimana a questa parte, gli amici russi - quelli accolti fino a ieri a braccia aperte dal comparto turistico siano improvvisamente diventati gli odiati russi da non voler più vedere neanche col binocolo. E che Vladimir Putin, finora corteggiato da tutte le cancellerie europee continentali, sia adesso il demonio da rispedire all'inferno dal quale sarebbe venuto. Va benissimo il moto d'indignazione per ciò che i russi stanno facendo in Ucraina e va bene dirci tutti ucraini. E va bene anche lo zelo col quale ci siamo affrettati a fare da apripista nell'applicazione della sanzione che vieta l'accesso ai porti dell'Unione europea alle navi mercantili russe, rimediando l'ennesima figura da pirla rispetto a quei Paesi partner che non si sono per niente scapicollati ad ascoltare Bruxelles. Una cosa, tuttavia, resta inaccettabile: la vomitevole ipocrisia di Stato. Non esiste un gas dei buoni e un gas dei cattivi. Esiste il gas che, quando viene estratto in Paesi dell'Asia e dell'Africa, è solitamente macchiato di sangue. L'unica differenza degna di nota è quella che distingue il gas più conveniente da quello più costoso. Ma questo non è un problema, giacché è noto che noi italiani talvolta amiamo essere un tantino "sboroni": ci piace metterci in mostra comprando quel che costa di più. Siamo fatti così, che ci volete fare. C.S.

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LA CAMPAGNA DI RUSSIA Siamo al sessantaseiesimo giorno dall'inizio dell'invasione russa dell'Ucraina e ancora non abbiamo certezze su dove questo conflitto ci porterà. Finora abbiamo condiviso il diritto degli ucraini di combattere per la propria libertà. Altro punto fermo è stata la decisione dei Paesi del blocco occidentale di non voltare altrove lo sguardo ma di reagire aiutando il popolo ucraino a difendersi. Come? Applicando contro la Federazione Russa pacchetti di sanzioni gravemente penalizzanti e trasferendo agli aggrediti risorse finanziarie e armamenti leggeri. L'obiettivo era di far fallire la Blitzkrieg del Cremlino. Il bersaglio è stato solo parzialmente centrato. Si continua a combattere ma la guerra-lampo è sostanzialmente fallita, al punto che le autorità di Mosca hanno ripiegato su un "Piano B" che si limitasse a porre sotto il controllo russo il Sud-Est dell'Ucraina, dal Donbass alla fascia costiera meridionale, passando per i caposaldi strategici di Mariupol e di Odessa. Inizialmente, per gli alleati occidentali, una soluzione che replicasse lo scenario coreano, cioè la creazione di due zone indipendenti, separate da una linea di demarcazione concordata in sede armistiziale, sarebbe stata accettabile. Ma la determinazione degli ucraini a preservare l'integrità territoriale e il cattivo andamento dell'aggressione russa hanno rinfocolato le aspettative degli alleati. Le dichiarazioni di quest'ultima settimana del presidente Usa Joe Biden, e del premier britannico Boris Johnson, puntano in direzione dell'escalation del conflitto armato. Sull'asse anglo-statunitense-ucraino si è fatta strada la convinzione che la guerra possa essere vinta. I nuovi obiettivi dell'Asse? Ricacciare la forza d'occupazione russa fuori dal territorio ucraino, riprendere l'agibilità della costa e della portualità nel Mar d'Azov e ristabilire i confini ucraini ante 2014, cioè prima dell'annessione della Crimea alla Federazione Russa. Qualcuno ironizzerebbe sul vasto programma. I principali sponsor di Kiev, invece, ritengono fattibile un salto di qualità del conflitto che sfoci in una guerra di posizione di lunga durata. Allo scopo, Usa e Gran Bretagna hanno deciso l'invio ai combattenti ucraini di artiglieria pesante e di sistemi d'arma in grado di colpire obiettivi strategici sul suolo russo. Washington e Londra chiedono ai membri dell'Unione europea di adeguarsi alle esigenze della mutata strategia. Basterà per vincere? La domanda chiama un'altra domanda: noi europei reggiamo i tempi lunghi di una guerra della quale non si conosce la deadline? Prima d'interrogarci sulle capacità degli altri, preoccupiamoci di casa nostra. Per farlo bisognerebbe calarsi nei panni del buon padre di famiglia quando deve affrontare un'impresa imprevista. La prima cosa, si fa i conti in tasca.


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Allora, com'è messo il "sistema Italia"? Il Centro Studi di Confindustria stima nel primo trimestre 2022 una flessione della produzione industriale di -2,9 per cento rispetto al quarto trimestre del 2021 (-1,5 per cento a marzo). La stessa fonte descrive l'impatto della guerra russo-ucraina sulla nostra economia in termini di "shock di offerta profondo, al momento difficilmente quantificabile, perché il quadro è in continua evoluzione". La principale causa di crisi deriva dall'aumento dei prezzi energetici, agricoli, dei metalli e da un trend della ripresa economica fortemente negativo, dovuto alla possibilità che il commercio delle principali commodity, in particolare del settore agro-alimentare, venga totalmente bloccato a causa del protrarsi della guerra. L'impatto sul Pil della durata della guerra nel lungo periodo sarebbe devastante. Per l'Istat, i dati relativi all'andamento del Pil nel primo trimestre dell'anno segnano una diminuzione su base congiunturale dopo quattro trimestri positivi. Il calo è di -0,2 per cento rispetto all'ultimo trimestre 2021. Precedenti stime avevano fissato l'incremento del Pil italiano per il 2022 al +1,9 per cento, in forte ribasso rispetto al +4,0 per cento della previsione effettuata prima dello scoppio del conflitto. Al momento, la slavina non è stata fermata. Un ulteriore crollo del Pil spalancherebbe le porte alla recessione. Lo ammette il ministro dell'Economia Daniele Franco, che, intervenendo ieri l'altro al Forum ConfcommercioAmbrosetti, ha testualmente dichiarato: "Dobbiamo assolutamente evitare un'altra recessione". Segno che il rischio c'è. Con l'aumento contestuale dell'inflazione si configurerebbe lo scenario peggiore: la temutissima stagflazione. Ad aprile l'indice nazionale dei prezzi al consumo per l'intera collettività (Nic) ha registrato un aumento dello 0,2 per cento su base mensile e del 6,2 per cento sul tendenziale annuo (Fonte: Istat). Possiamo aspettarci altri picchi inflattivi? I dati Istat indicano che "l'inflazione di fondo, al netto degli energetici e degli alimentari freschi, accelera da +1,9 per cento a +2,5 per cento e quella al netto dei soli beni energetici da +2,5 per cento a +2,9 per cento". Basandosi sulla variabile "durata del conflitto", la Banca d'Italia (Bollettino economico n.2/2022) ha ipotizzato tre scenari per determinare l'andamento dell'inflazione nel biennio 2022-2023. Primo scenario. Più favorevole, grazie a una rapida soluzione del conflitto e a un repentino ridimensionamento delle tensioni a esso associate, nel biennio 2022-2023 l'inflazione si porterebbe, rispettivamente, al 4,0 e all'1,8 per cento. Secondo scenario. Intermedio, determinato dalla prosecuzione delle ostilità. L'inflazione si attesterebbe nel 2022 e nel 2023 rispettivamente al 5,6 e al 2,2 per cento. Terzo scenario. Quello più critico, che presuppone oltre all'allungamento della durata delle ostilità anche l'interruzione dei flussi di gas russo solo in parte compensata da altre fonti. L'inflazione si avvicinerebbe all'8 per cento nel 2022 e scenderebbe al 2,3 l'anno successivo. La fotografia che le stime effettuate finora ci restituiscono colloca il Paese già ampiamente nel terzo scenario. Il nodo centrale resta l'approvvigionamento della materia prima energetica, in particolare del gas. A metà maggio sapremo se l'Italia continuerà a ricevere prodotto dalla Russia o se invece i rubinetti del gas verranno chiusi. La questione verte sul diktat di Mosca che obbliga i Paesi cobelligeranti a pagare in rubli, e non più in dollari o in euro, i volumi di gas acquistati. Il meccanismo di pagamento approntato da Mosca è piuttosto complicato da spiegare.

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Per semplificare: l'Italia, tramite la sua Eni, intende o no corrispondere alle richieste del fornitore? Il nostro auspicio è che lo faccia e prenda le distanze dalla linea dura dei Paesi che hanno obbedito a Washington e Londra senza battere ciglio. Se è sacrosanto il diritto degli ucraini di provare a vincere la guerra, lo è altrettanto il nostro diritto a sopravvivere. E, al momento, senza il gas russo, verrebbe difficile farlo. L'attuale volume di 29 miliardi di metri cubi/anno che riceviamo dalla Russia non è, se non parzialmente, rimpiazzabile con prodotti provenienti da altre zone d'estrazione. Non solo per quantità, ma anche per qualità del gas. Si fa un bel dire, come fa il Governo, che si stanno stringendo accordi con altri Paesi. La realtà è che il calo di prodotto disponibile espone il nostro apparato industriale a un crollo di competitività. Se i prodotti italiani vanno fuori mercato, chi li compra più? E se le manifatture chiudono, chi garantisce la coesione sociale? Mamma Europa? A tacere poi della scelta assai discutibile di predisporsi a riempire di valuta pregiata le borse delle più sanguinarie satrapie africane, le quali non userebbero il denaro italiano per fare il bene dei loro popoli ma per destabilizzare il quadro politico del continente africano, con conseguenze devastanti per i Paesi avanzati dell'Europa mediterranea. In questa follia collettiva rinunciare al gas russo sarebbe cosa alquanto bizzarra, dal momento che per primi gli ucraini si sono ben guardati dal farlo. L'assurdo è che, guerra o non guerra, dei 700 milioni di euro giornalieri che Mosca riceve dai clienti europei a fronte del gas erogato una quota finisce nella casse di Kiev per i vantati diritti di transito dei metanodotti sul suo territorio. Non è un caso se le bombe russe abbiano colpito ogni sorta di obiettivo al suolo tranne i condotti del gas diretti in Europa. Ritornando alla domanda iniziale sull'opportunità di un nostro coinvolgimento in una guerra di lunga durata sul fronte ucraino, l'unica risposta sensata è che la partecipazione a un'estensione temporale del conflitto noi italiani non ce la possiamo permettere. Cristofaro Sola


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LA LUNGIMIRANZA DI B. Che cosa meravigliosa sono gli archivi, dove è conservata la memoria collettiva. E che cosa stupenda è Internet, la rete, che con un clic ci consente di recuperare quella memoria, visto che noi umani siamo piuttosto sbadati, inclini a rimuovere i ricordi dalla mente. Soprattutto quando il passato è scomodo e non conviene tirarlo fuori. Accade però che qualcuno, di tanto in tanto, si faccia un esame di coscienza e rispolveri qualche vecchia carta. È ciò che ha fatto "Il Giornale" di Augusto Minzolini. La testata giornalistica, associata alla famiglia Berlusconi, dopo settimane di martellante campagna anti-russa e pro-Ucraina - scelta editoriale del tutto legittima - ha pubblicato un documento di capitale importanza per comprendere come si possa essere ipercritici con i governi occidentali senza per questo essere tacciati di stare a libro-paga del leader russo. Si tratta di una lettera che Silvio Berlusconi inviò, nel 2015, al Direttore de "Il Giornale" per stigmatizzare la scelta dei governi occidentali di disertare le celebrazioni del 70esimo anniversario della vittoria sul nazismo che si svolgevano a Mosca, sulla Piazza Rossa. L'anno precedente - il 19 gennaio 2014 - c'era stata la rivolta di Piazza Maidan a Kiev - nella versione del Cremlino: un colpo di Stato appoggiato dagli occidentali - e c'era stata l'annessione della Crimea da parte della Federazione Russa. Erano state varate le prime sanzioni economiche contro Mosca e la postura dei governi europei e del Nord America cambiava a favore dell'isolamento geopolitico ed economico del gigante euroasiatico. In tale cornice l'ex-premier italiano colloca un ragionamento di sorprendente lucidità. Il vecchio leone di Arcore, nel giudicare la scelta di isolare Vladimir Putin un grave errore prospettico, traccia uno scenario che è del tutto corrispondente alla odierna realtà. Scrive Berlusconi: "Quello che stiamo commettendo è un errore di prospettiva. Quella tribuna sulla Piazza Rossa, sulla quale di fianco a Putin siederanno il Presidente cinese, il Presidente indiano, gli altri leader dell'Asia, non certificherà l'isolamento della Russia, certificherà il fallimento dell'Occidente. Davvero pensiamo, dopo decenni di Guerra fredda, che sia una prospettiva strategica lucida quella di costringere la Russia ad isolarsi? Costringerla a scegliere l'Asia e non l'Europa? Crediamo che questo renderà il mondo un luogo più sicuro, più libero, più prospero?". Siamo al ritrovamento della pistola fumante. Le parole di Berlusconi attribuiscono in modo inoppugnabile la causa degli eventi tragici ai quali stiamo assistendo non a un improvviso "impazzimento" del leader russo, come certe correnti del politicamente corretto vorrebbero far credere, ma a una sequenza di scelte sbagliate compiute dal fronte dei Paesi occidentali e che si sono rese evidenti già dal 2014. A voler essere precisi, le scelte sbagliate originano da un cambio

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di approccio al rapporto con la Russia che è data dalla prima presidenza Usa di Barack Obama, nel 2009. C'è un detto dalle nostre parti che recita: chi semina vento, raccoglie tempesta. Raramente la saggezza popolare ha offerto parole più adeguate a spiegare il comportamento dei governi occidentali negli ultimi due decenni nel trattare il dossier russo. Berlusconi lo aveva capito: sull'Ucraina bisognava trovare un compromesso sostenibile tra le ragioni di Kiev e quelle del Cremlino, "con Mosca e non contro Mosca". E invece i governi del nostro spicchio di mondo cosa hanno fatto? L'esatto contrario. Hanno lasciato che le cose degenerassero, che il livello delle provocazioni - perché sbandierare ai quattro venti il possibile ingresso dell'Ucraina nella Nato è suonata come una provocazione alle orecchie dell'inquilino del Cremlino - superasse la soglia di guardia; che gli stiracchiati accordi di Minsk divenissero carta straccia. E come se non bastasse, ancora oggi, a fronte di uno spiraglio di dialogo con cui il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, vero o falso che sia, apre a un negoziato di pace con Mosca, interviene a gamba tesa il segretario generale della Nato, il norvegese Jens Stoltenberg - nomen omen - per dire che no, nessuna intesa sarà possibile prima della sconfitta militare della Russia. Insomma, Putin sarà pure il diavolo che questa guerra nel cuore dell'Europa l'ha iniziata - ne avrebbe potuto e dovuto fare a meno - ma a continuarla sine die per procura, armando fino ai denti gli ucraini, siamo noi occidentali. Si asserisce che la guerra vada condotta, fino alla vittoria finale, per il nostro bene, di occidentali. E per la nostra sicurezza. Rispondiamo con una domanda che è di Berlusconi: "Ma tale sicurezza si garantisce meglio con una Federazione Russa parte integrante dell'Europa e dell'Occidente, o con una Federazione Russa asiatica, isolata e conflittuale?". Capite adesso perché, per nulla impressionati dagli insulti dei soliti idioti, che non mancano mai neppure a destra, ci sentiamo ingannati, presi in giro, da tutti coloro i quali hanno deciso di sfidare Mosca in una tragica roulette russa, usando le nostre tempie. Possiamo dirci orfani di Putin? Certo che no, è un'insinuazione che volentieri lasciamo ai tanti imbecilli che osano farci la morale perché non siamo abbastanza solleciti nell'unirci al coro dei "Siamo-tutti-ucraini". È, però, vero che la Russia ci manca. Ha ragione Berlusconi: piuttosto che pensare a contenerla avremmo dovuto spendere ogni energia nel cercare le soluzioni giuste per agganciare in via definitiva alla civiltà occidentale la storia, la spiritualità e la cultura russe. E neppure avremmo dovuto calcare la mano nel dare di quel grande Paese, anello di congiunzione di mondi separati (l'Occidente e l'Oriente), la sprezzante rappresentazione di un'immensa area di servizio carburanti gestita da un delinquente. Che senso ha ricacciare Mosca tra le braccia della Cina e dell'India? Per spaccare il mondo a metà? E poi? Appiattirci sull'Ucraina ci farà essere meno dipendenti dai loro prodotti, dalle loro materie prime e dalle loro risorse naturali? Ci fornirà maggiore sicurezza per il domani? Ci eviterà, che sia oggi o che sia tra cento anni non fa differenza, di finire disintegrati da una pioggia di bombe nucleari? Andò meglio ai dinosauri, almeno loro si estinsero per colpa di un asteroide. Noi, se dovessimo ritrovarci a fine corsa contro la nostra volontà, con chi ce la dovremmo prendere? Ora è tardi per recuperare, per rimettere indietro le lancette dell'orologio, per tornare alla foto di gruppo di Pratica di Mare, posto che qualcuno lo voglia fare. Ora è tempo che gli eventi, come in


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una tragedia del teatro greco, facciano il loro corso. È tempo che la Storia scriva le sue pagine sanguinose. Alla fine, si farà la conta dei danni. Poi perché, oltre al capro espiatorio, non vi siano colpevoli da individuare e condannare per i disastri provocati, si rimuoverà dalla coscienza collettiva ciò che è stato. Con il solito, inutile, bugiardo, ipocrita: mai più. Invece, si dovrebbe dire la verità su quelle foto di gruppo che ritraggono i nostri odierni governanti sorridenti e soddisfatti per quel che stanno combinando in Ucraina e con l'Ucraina. Perché quelle foto, parafrasando Berlusconi, non sono una prova di forza, ma l'emblema di una nostra sconfitta. Cristofaro Sola

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HA SENSO ALLARGARE DI PIU’ LA NATO? Le richieste di Svezia e Finlandia di entrare nella Nato aprono un fronte di discussione nient'affatto peregrino all'interno del blocco dei Paesi occidentali. È vero: siamo in guerra. E in tempi eccezionali occorre prendere decisioni fuori dell'ordinaria amministrazione. Tuttavia, è proprio in tali momenti che il buonsenso e la prudenza non debbono abbandonare i decisori politici. Non è il tempo degli isterismi. Scelte precipitate per soddisfare impulsi irrazionali raramente conducono a esiti favorevoli. Sta accadendo con le sanzioni comminate alla Russia. In attesa che annichiliscano il Cremlino, stanno mettendo in ginocchio le economie europee, e la nostra particolarmente. Perciò, prima di schierarsi a favore o contro la richiesta d'ingresso di Svezia e Finlandia nella Nato, dobbiamo provare a rispondere alla domanda posta da Matteo Salvini: portare i confini della Nato ai confini con la Russia avvicina la pace o allontana la pace? Per quel che è dato sapere delle traiettorie della geopolitica in un picco di crisi tra Occidente e Federazione Russa, l'allargamento non è, al momento, nell'interesse dell'Alleanza transatlantica nel suo complesso, ma soddisfa le aspettative di alcuni individuati Paesi membri. Basta guardare la carta geografica per comprendere la realtà. La distanza che corre tra Helsinki e San Pietroburgo è di 299 chilometri, pressappoco la medesima distanza che separa Roma da Ancona. Immaginate cosa accadrebbe se, presso l'opinione pubblica russa, si diffondesse la notizia dell'installazione di una base missilistica Nato nei dintorni della capitale finlandese. Una dura reazione di Mosca sarebbe inevitabile. Non a caso, dal Cremlino hanno fatto sapere di non aver alcuna preoccupazione per l'eventuale ingresso dei due vicini nell'Organizzazione del Trattato Atlantico del Nord, a patto però che non si proceda alla collocazione di basi missilistiche nei due Stati finora rimasti neutrali. D'altro canto, Vladimir Putin ha scatenato il conflitto con l'Ucraina prendendo a pretesto proprio l'intenzione di Kiev di chiedere di essere ammessa all'interno della Nato. Torniamo alla domanda iniziale: conviene o no forzare la mano con la controparte russa nel momento di maggiore crisi nelle relazioni tra i due blocchi? Si obietta: inglobare Svezia e Finlandia in un'alleanza a scopo difensivo spingerà il Cremlino a cercare la pace attraverso la via negoziale. E se così non fosse? Se fosse vero il contrario? L'unico dato di certezza sul quale imbastire una previsione è quello della crisi ucraina: l'inasprirsi della posizione occidentale ha alzato e non abbassato il livello dello scontro con Mosca. Perché con Helsinki e Stoccolma dovrebbe essere diverso? È, per altri versi, il medesimo dilemma che affligge il decisore politico italiano sulla questione dell'invio delle armi pesanti a Kiev: sistemi d'arma più performanti avvicinano o allontanano la pace? I favorevoli all'ingresso dei due Paesi scandinavi la mettono sul


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piano della solidarietà. A sentirli, dovremmo farci carico senza indugi del grido d'allarme delle due nazioni storicamente neutrali che, dopo gli eventi ucraini, chiedono di essere poste sotto l'ombrello nucleare della Nato perché si sentono minacciate dall'arroganza di Mosca. Per carità di patria rispondiamo che è meglio lasciare da parte l'argomento della solidarietà, giacché sia la Svezia sia la Finlandia, da Paesi membri dell'Unione europea, se ne sono impipati delle ripetute richieste d'aiuto lanciate dall'Italia sulla questione dell'accoglienza degli immigrati clandestini provenienti dalle coste del Nordafrica. Guardando all'interesse nazionale, dovremmo nutrire qualche preoccupazione per il fatto che un rafforzamento della Nato nel Nord Europa potrebbe corrispondere a un suo indebolimento nel quadrante mediterraneo. Quindi, la domanda giusta da porre è: quali garanzie riceviamo dagli altri partner, in particolare dagli Stati Uniti, perché l'ingresso di Svezia e Finlandia non sposti il baricentro dell'Organizzazione nel Mar Baltico in danno dei nostri interessi nel Mare Nostrum? Di là dalla complessità delle problematiche strategiche e geopolitiche, esiste tuttavia una difficoltà che complica la posizione italiana in questo tornante della Storia. In una Repubblica parlamentare le scelte, destinate a favorire la nascita di un nuovo ordine internazionale o a determinarne lo spostamento dell'asse di potere in vista di un cambio di equilibri geostrategici consolidati, passano per la discussione e il voto dell'organo costituzionale che incarna la sovranità popolare: il Parlamento. È sacrosanto, dunque, che gli argomenti più scottanti dispiegati sul tavolo della crisi vengano approfonditi e decisi in sede parlamentare. Nel caso specifico dell'ingresso di Svezia e Finlandia nella Nato, il Governo farebbe bene ad attendere la decisione dell'organo legislativo prima d'impegnare con proprie iniziative e prese di posizione la volontà del rappresentante del "sovrano". Purtroppo, il guaio è che in Italia ci ritroviamo, nell'ora più difficile, a non avere un Parlamento che rispecchi la volontà popolare. Si è trattato di un piccolo capolavoro (in negativo) dell'inquilino del Quirinale che ha inventato l'impossibile pur di non darla vinta al centrodestra. Al contrario di quanto succede in tutti i Paesi democratici, in Italia la parola "elezioni" è tabù. Eppure, in un frangente come questo un Parlamento sostanzialmente - ma non formalmente delegittimato dovrebbe essere sciolto e sostituito con un altro più coerente con gli orientamenti espressi dal corpo elettorale. Soltanto una maggioranza che rispecchi per grandi linee l'indicazione data dalla maggioranza degli elettori dovrebbe essere chiamata ad assumere le scelte epocali che ci attendono. Come può dire sì, o no, all'ingresso di due Stati nella Nato decisione di portata storica - un partito del tipo del Cinque Stelle che, pur essendo quasi del tutto scomparso dal gradimento degli italiani, continua ad avere voce in capitolo nell'azione di Governo, tenendo di frequente sotto scacco Mario Draghi? Non potrebbe, ma accade. E questo è un vulnus per la nostra democrazia. Volendo, vi si potrebbe porre rimedio. Da più parti circola la voce che Draghi sarebbe stanco di farsi logorare dai suoi danti causa e perciò starebbe meditando di anticipare l'approvazione del bilancio 2023 all'estate per andare in

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autunno, interrotta la legislatura prima della scadenza naturale, all'elezione del nuovo Parlamento. Sarebbe un'ottima soluzione per porre fine a uno stillicidio tra forze politiche che dovrebbero parlare con una sola voce e che, invece, si fanno la guerra su tutto per poco commendevoli interessi di bottega. Nella realtà, ciò non avverrà per l'ostinata difesa dello status quo approntata dal Quirinale contro ogni tentativo di dare la parola agli italiani. Sarà ancora una volta un Parlamento che non rappresenta altro che gli egoismi dei suoi membri a prendere decisioni che contribuiranno a cambiare non soltanto la storia del mondo, ma che influenzeranno pesantemente il futuro della nazione. Tutto ciò appare profondamente ingiusto. E sbagliato. Possibile che non freghi niente a nessuno di cosa pensi, e voglia, la gente? Possibile che, per evitare il peggio, si debba pregare perché un dittatore della stazza del turco Recep Tayyip Erdo?an ci tolga le castagne dal fuoco ponendo il veto all'ingresso di Svezia e Finlandia nella Nato? Possibilissimo, se nella stanza dei bottoni staziona una classe dirigente mancante in peso e in misura. CS


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RUSSIA E UCRAINA: L’INTERVISTA DELLA CNN AL GENERALE REPASS Il 5 maggio sul sito della CNN è stata pubblicata l'intervista rilasciata dal generale Repass a Peter Bergen. L'intervista non ha avuto eco in Italia, ma gli argomenti trattati risultano di fondamentale importanza per comprendere il complesso scenario che si muove intorno alla terribile invasione dell'Ucraina. Il generale Mike Repass è l'ex comandante delle operazioni speciali statunitensi in Europa e ha svolto il ruolo di consigliere dell'esercito ucraino negli ultimi sei anni. È anche un autorevole membro delle Global Special Operations Forces, (Organizzazione senza scopo di lucro fondata per offrire soluzioni alle minacce globali di qualsiasi natura; N.d.R.). Nel mese di aprile ha visitato la Polonia e l'Ucraina occidentale per farsi un'idea sull'andamento della guerra. Proponiamo integralmente l'intervista, tradotta e commentata da Lino Lavorgna. L'autore dell'intervista, Peter Bergen, collabora come analista della sicurezza nazionale con l'emittente televisiva CNN; è vicepresidente della "New America" (think tank statunitense fondato nel 1999, specializzato nelle analisi socio- politiche, economiche, militari ed energetiche; N.d.R.); è docente di "Pratica" presso l'Università statale dell'Arizona (Ruolo specialistico che tende a supportare gli studenti più dotati, al fine di svilupparne le doti di leadership e proiettarli efficacemente nel mondo del lavoro con ruoli prestigiosi; N.d.R.) B. Cosa ha compreso nel corso del suo recente viaggio? R. Che l'Ucraina ha ancora bisogno di molto aiuto; che la Nato si sta muovendo troppo lentamente; che non abbiamo visibilità su cosa succede all'equipaggiamento militare quando entra in Ucraina. La fornitura di attrezzature militari è personalizzata anziché professionalizzata. Si stabiliscono le priorità di distribuzione e, da quanto ho potuto osservare, tali priorità non si basano sulla comprensione dei tassi di consumo, delle operazioni future o dei dati oggettivi. Si basano sulle decisioni del comandante della brigata X o del settore Y che chiama e dice: "Ehi, ho bisogno di 27 missili Javelin". Non è così che si gestisce la logistica in tempo di guerra. Si dovrebbe stabilire con precisione il livello di consumo delle singole risorse materiali: carburante, munizioni, batterie, etc. B. Si può ipotizzare uno scenario bellico che vada avanti all'infinito? R. I tre scenari futuri più ovvi sono i seguenti: la Russia vince la guerra; l'Ucraina vince la guerra; indefinita situazione di stallo. Il primo e il terzo scenario, di fatto, costituiscono una vittoria per la Russia. In caso di stallo, infatti, la Russia rivendicherebbe la vittoria e continuerebbe ad occupare buona parte del territorio ucraino per un tempo non facilmente quantificabile. Non proprio una vittoria totale, ma comunque una vittoria. Cosa stiamo facendo noi occidentali, quindi, affinché

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non si verifichino le due opzioni favorevoli alla Russia? Al momento stiamo inviando molte armi all'esercito ucraino affinché possa difendersi dall'aggressione, ma il vero problema è che il Paese ha bisogno di risorse aggiuntive (militari, N.d.R.) per cacciare la Russia dall'Ucraina. B. Perché? R. Perché l'esercito ucraino non è in grado di respingere l'offensiva: servono più equipaggiamento, una maggiore potenza di fuoco e soldati addestrati. La Russia avrà sempre forze numericamente superiori, ma non necessariamente "migliori". Ricordiamo cosa disse Stalin: "La quantità ha una qualità tutta sua". Oramai è chiaro a molti che questa battaglia di logoramento prima o poi evolverà a vantaggio della Russia. Per impedirlo occorre potenziare l'esercito ucraino. Penso che vi sia una crescente consapevolezza tra i Paesi della Nato e la comunità internazionale sulla necessità di meglio sostenere la lotta dell'Ucraina indebolendo la Russia con un più efficace rafforzamento dell'esercito ucraino, scoraggiarla ulteriormente aumentando le nostre capacità (interne agli USA, N.d.R.) e quelle della Nato, ridurne la capacità offensiva e fare in modo che venga sconfitta sul campo. Ciò può avvenire solo costruendo una forza di riserva strategica e operativa che consenta all'Ucraina di svolgere operazioni offensive per cacciare i russi e proteggere i propri confini. B. In che modo si dovrebbe realizzare questo progetto? R. Stati Uniti, Francia, Polonia, Regno Unito e Germania devono fornire all'Ucraina, ciascuno per proprio conto, ciò che serve ad armare in modo efficace una intera Brigata. Questi Paesi hanno una significativa capacità militare e potrebbero meglio equipaggiare (in tutti i sensi, N.d.R.) l'esercito ucraino, contribuendo anche a un migliore addestramento militare (per un più efficace utilizzo delle armi fornite, N.d.R.) Si tratterebbe, quindi, di costituire efficacemente cinque brigate in cinque settori operativi, che combatterebbero con equipaggiamento occidentale, secondo le tattiche di guerra occidentali, disponendo di tutto ciò che serve per lo scontro aria-terra, a cominciare dai carri armati NATOinteroperabili (capaci di essere utilizzati da tutti i militari dei Paesi aderenti alla Nato, N.d.R.), supporto aereo ravvicinato e difesa aerea. Un processo che si può attuare in sei-otto mesi. B. Cinque brigate non sono troppe? R. No. Una brigata è composta da circa ottomila soldati. Parliamo, quindi, di quarantamila soldati. Credo che gli ucraini siano in grado di reperirli, vista l'attuale emergenza nazionale. Storicamente, quando un esercito occidentale si è scontrato con un esercito rifornito dai russi, quest'ultimo è stato completamente annientato da un numero inferiore di forze. Ciò avvenne, per esempio, durante la prima guerra del Golfo, quando l'esercito americano distrusse gran parte dell'esercito di Saddam Hussein, in Kuwait. Gli armamenti occidentali hanno un significativo vantaggio qualitativo rispetto all'equipaggiamento russo. I rapporti di forza, pertanto, variano sensibilmente quando si tratta di confrontare le rispettive risorse. (Si parla di armi tradizionali. Non vi è alcun riferimento alle armi atomiche. Per meglio inquadrare il pensiero, tuttavia, va considerato che Repass fa riferimento a "eserciti sostenuti dai russi". In questo caso, però, è l'esercito russo in campo e ciò mina non poco le sue conclusioni; N.d.R.)


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B. Perché i russi si attengono a un modello che non funziona efficacemente? R. Utilizzano modalità retrograde. All'inizio della guerra ritenevano di favorire un colpo di Stato in Ucraina in pochi giorni. Non ha funzionato. Le truppe russe sono state fronteggiate con determinazione. (Traduzione letterale dell'espressione utilizzata da Repass: "Le truppe russe se lo sono fatto mettere nel c…; N.d.R.) Hanno trasferito tutta la loro potenza di fuoco, quindi, a Est e a Sud, utilizzando massivamente l'artiglieria contro gli obiettivi ucraini, distruggendo tutto ciò che incontravano durante l'avanzata. (Con quali tragiche conseguenze per i civili lo vediamo ogni giorno in TV; N.d.R.) Non si tratta di una guerra di manovra, pertanto, ma di una guerra di logoramento con il fuoco. Esattamente il contrario di ciò che abbiamo in Occidente: eserciti addestrati alla "manovra" (che quindi non prevede il massacro indiscriminato dei civili, N.d.R.) B. Cosa ne pensa del nuovo comandante russo in Ucraina, il generale Aleksandr Dvornikov? R. È un esperto della guerra di logoramento. Non è un tipo da guerra di manovra. Farà tutto ciò che ha fatto per tutta la vita: far saltare in aria e distruggere tutto ciò che incontra sul suo cammino e poi inviare le truppe con l'intento di deportare con la forza i cittadini ucraini, stroncando ogni possibile resistenza dal Donbas alla Crimea. B. Come definirebbe lo stato della guerra a Est e a Sud in questo momento? I russi stanno vincendo? R. La Russia sta facendo progressi metodici sia nel Nord sia nel Sud. Vogliono anche accerchiare Mykolayiv, distruggere i difensori e puntare su Odessa, dove possono giungere solo dopo aver distrutto tutte le forze ucraine intorno a Mykolayiv. B. Perché l'obiettivo è Odessa? R. Perché senza Odessa l'Ucraina non avrebbe più alcun sbocco sul Mar Nero. La città, inoltre, è anche la porta di accesso alla Transnistria e alla Moldavia. B. Ritiene possibile un attacco alla Moldavia da parte della Russia? (Ipotesi emersa N.d.R.) R. La ritengo una seria minaccia e penso che i russi abbiano gli occhi puntati sulla Moldavia. Se possono prenderla, lo faranno. Per essere precisi, parlano di andare in Transnistria. Se riescono a costruire un ponte terrestre meridionale verso la Transnistria, lo faranno. Ciò li porterebbe alle porte della Moldavia, che ovviamente non sarebbe in grado di opporsi efficacemente all'invasione. B. La guerra in Ucraina si sta allargando? R. È un dato di fatto che la Bielorussia, Stato fantoccio al servizio di Mosca, sia stato il trampolino di lancio per l'offensiva in Ucraina. Pur non avendo contribuito con unità militari all'invasione, ha ospitato e supportato le forze russe. Dal suo territorio sono stati lanciati i missili di precisione. I funzionari di Putin hanno anche affermato che il Baltico non ha basi storiche e gli Stati di riferimento sono illegittimi. Hanno detto lo stesso dell'Ucraina, prima della guerra. (Anche Putin ha detto queste cose, non solo i suoi collaboratori N.d.R.) I tre Stati baltici e la Polonia credono fermamente che saranno i prossimi obiettivi della Russia, ritenuta una reale minaccia esistenziale. Non esistono prove concrete, del resto, sul fatto che Putin sia disposto a fermarsi all'Ucraina.

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B. Cosa pensa dei continui riferimenti alle armi nucleari? Ne parlano solo per fare paura? R. Sì, penso che sia questo lo scopo. Sarebbe diverso se fosse Putin a parlarne. Fin quando ne parla il ministro degli Esteri Lavrov, è tutta un'altra storia. Ritengo che sia solo per "darsi un tono". I russi, secondo la loro dottrina nucleare e come chiaramente affermato da Putin, userebbero le cosiddette armi nucleari tattiche solo in caso di effettiva minaccia al loro territorio. B. A seguito dell'affondamento del Moskva, l'incrociatore missilistico che fungeva da nave ammiraglia della flotta russa nel Mar Nero, pensa che i cinesi stiano valutando l'opportunità di attaccare Taiwan? R. Non penso. La Russia sta subendo forti perdite da un esercito numericamente inferiore, in un Paese invaso via terra. I cinesi dovrebbero attraversare cento miglia d'acqua per arrivare a Taiwan. Devono considerare, quindi, che l'eventuale attacco sarebbe molto più difficile del previsto. B. Se fosse al posto di Putin oggi, come si sentirebbe? R. Probabilmente meglio del giorno dopo l'affondamento della Moskva. Penso che si senta in conflitto con sé stesso e confuso, ma si rende conto che deve andare avanti per ottenere una vittoria. È prigioniero, inoltre, del suo "isolamento mediatico". Usa raramente Internet da solo e, almeno fino alla fine del 2020, non disponeva nemmeno di uno smartphone. Non ha alcun legame con il mondo esterno e tutte le informazioni gli vengono fornite dalla sua cerchia ristretta o da ciò che legge nei media russi, controllati dallo Stato e adusi a pubblicare solo "veline". Si trova nella stessa situazione in cui si trovano i cittadini della Corea del Nord e non riceve informazioni accurate. (Tipica esagerazione statunitense, che però rende abbastanza bene l'idea: che sia stato ingannato dai suoi collaboratori, anche per timore di riferire esattamente i rischi connessi a un'invasione strutturata in quel modo, è un dato di fatto sul quale nessuno nutre dubbi; N.d.R.) B. Iniziare una guerra è facile. Le guerre hanno una loro logica. (Altro tipico concetto statunitense, sostanzialmente diverso da ciò che si pensa della guerra in Europa; N.d.R.) Questa guerra, sfortunatamente, potrebbe durare un anno o anche due. R. Temo che abbia ragione. Questa sarà una guerra struggente e agonizzante se durerà più di un anno e penso che durerà almeno due anni. Ma non possiamo lasciare che entri in una situazione di stallo perché in questo caso Putin rivendicherà il successo seguito da una brutale occupazione del territorio ucraino che controlla. (Link al testo originale: What it will take for the Ukrainians to win) Cosa si può aggiungere a quanto asserito da Repass? Poco o punto. Allo stato delle cose le sue asserzioni risultano inconfutabili. L'Europa, però, ne esce con le ossa rotte perché gli USA guiderebbero l'intero processo di assistenza all'Ucraina, più di quanto non stiano già facendo. Il tono del generale, inoltre, quando cita i Paesi europei che dovrebbero contribuire all'operazione, è quello saccente di chi si pone in un posizione di "superiorità", di comando.


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Addirittura non cita l'Italia, il cui esercito è sicuramente più numeroso e meglio addestrato di quello tedesco, con reparti che non sfigurano al cospetto di quelli di qualsiasi altro esercito del mondo. La mancata citazione, quindi, si può ascrivere a un retaggio pregiudizievole tanto ingiustificato quanto fastidioso, che meriterebbe di essere denunciato con fermezza. In questi ultimi giorni, con riferimento a un buffo personaggio che popola i talk show, il cui nome non val la pena citare, si è parlato in modo ironico del "pensiero laterale", aggiungendo quindi, stupidità alla stupidità. Il pensiero laterale è una cosa maledettamente seria, invece, e andrebbe "insegnato" a chiunque fosse designato ad assumere importanti decisioni. In Europa stiamo assistendo l'Ucraina con concreti aiuti e questo è innegabile. Come ben traspare dall'intervista, però, non basta e Repass pensa di "addestrare" quarantamila soldati ucraini, la qual cosa, ancorché valida sul piano concettuale, richiederebbe tempo e quindi un alto costo di vite umane perché, nel frattempo, i russi non se ne starebbero con le mani in mano. Chi scrive, che il "pensiero laterale" utilizza un giorno sì e l'altro pure, afferma senza tanti giri di parole che si potrebbe fare molto più di quanto suggerito da Repass, utilizzando proprio "soluzioni" scaturite dal pensiero laterale per aggirare l'impossibilità materiale di inviare soldati a combattere. Ogni Paese "occidentale" aderente alla Nato (Turchia esclusa, quindi), ivi compresi quelli che abbiano fatto domanda di adesione, selezioni dei volontari nell'ambito dei rispettivi eserciti. I volontari si dovranno dimettere, diventando quindi dei cittadini comuni. In tal modo potranno arruolarsi nella Brigata internazionale al servizio di Zelensky e, una volta inquadrati nelle Forze armate gestite dallo Stato maggiore ucraino, si troverebbero a combattere con le armi che ben conoscono. Se si riuscisse a mettere insieme almeno centomila uomini comprensivi di tutte le linee gerarchiche, sarebbe tutta un'altra musica. (E sarebbe molto triste se così non fosse, perché in Ucraina stanno combattendo e morendo anche per noi. Sarebbe lecito sperare, pertanto, che il numero possa essere anche superiore). Al termine della guerra ritornerebbero nei quadri precedentemente ricoperti, magari con qualche promozione e decorosi riconoscimenti economici. Questo vuol dire utilizzare in modo sensato "il pensiero laterale", con buona pace di quel buffo docente che assomiglia a un comico che non fa ridere. E con buona pace anche degli USA, che dovrebbero cedere all'Europa il timone per la tutela della pace nel mondo.

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LE SCOMODE VERITA’: DA DARWIN... AL PROF. ORSINI

Ammettiamolo: che meraviglia sono fantasia ed immaginazione! Esse ci consentono di spaziare senza limiti ne vincoli, di planare su qualsivoglia scenario, verosimile o inverosimile, di intrattenerci su ogni concepibile argomento, tema o congettura, di creare improbabili o assurde scenografie! E quindi, con il vostro permesso miei cari lettori, io mi ci tuffo a capofitto ed, appunto …. fantastico. Immaginiamo dunque che già nella metà dell'800 esistessero nell'Inghilterra vittoriana televisori a colori, "talk show" di prima e seconda serata, seriosi "mezzibusti" (e, naturalmente, altrettanto seriose "mezze buste") in concitata conduzione degli stessi, nonché ampia platea di ascoltatori costretti a casa da epidemia influenzale, depressi da venti di guerra europea (che, come fonte di angoscia, non smettono mai di soffiare), nonché impoveriti da crisi economica ed inflazione galoppante. In tale immaginario contesto inizia dunque a circolare per le vie di Londra uno strano personaggio dalla fluente barba bianca e dalle ancora più strane idee circa una possibile evoluzione delle specie viventi a seguito di mera selezione naturale ed intreccio tra contesti ambientali e lo scorrere del tempo. Tesi, questa, fino ad allora inaudita e soprattutto minacciosa per millenarie narrazioni storiche, filosofiche, religiose e sociali: ben funzionale però ad accese risse televisive con conseguente ampia "audience". Va tuttavia premesso che il buon Charles, da scienziato serio, scrupoloso e mentalmente onesto quale egli era, esponeva tali propri convincimenti come mero omaggio a comprovate evidenze scientifiche e senza alcun'altro recondito fine. Le cose però sembravano volgere decisamente al brutto: poteri costituiti, chiese di ogni possibile credo, consolidate tradizioni popolari, granitiche costruzioni sociali, prospettive di celestiali trascendenze e svariati futuribili di ogni sorta, tutto, ma proprio tutto, veniva infatti messo in tal modo in discussione da una lettura della vita umana e della sua Storia che nulla avrebbe più avuto a che vedere con quanto graniticamente sedimentato da plurimillenaria narrazione biblica. Inefficaci apparivano peraltro le pacate precisazioni dell'ottimo Darwin secondo cui egli non intendeva affatto farsi paladino di tesi polemiche, ne partigiano di capziose letture del reale per, Dio solo sa, quali presunti, reconditi fini di natura polemica, rivoluzionaria, politica o, men che meno, di eventuale tornaconto personale. Nulla da fare: insulti, polemiche, ostracismi, minacce, emarginazioni a non finire. Unica sua salvezza/beneficio? L'effettivo riconoscimento della "vis polemica" di cui tali sue teorie godevano tra la cosiddetta gente e la loro conseguente


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spendibilità mediatico-televisiva. Ecco quindi ripetute ospitate in TV a condizione che egli accettasse di sottoporsi a preliminare, esplicito appiattimento su : 1) Pensiero unico dominante, 2) Correttezza politica imperante, 3) Inserimento concettuale delle proprie tesi nella più generale e dominante "vulgata" del momento, 4) Riconoscimento di aprioristici capisaldi concettuali come obbligatorie chiavi di lettura del fenomeno in argomento. Praticamente, un supplizio, ma tant'è! Dopo di che, ed in chiaro subordine di rilevanza espositiva, ecco finalmente vedersi concessa la vigilata libertà di esternare il proprio pensiero seppur distonico alla consolidata narrazione del momento. Ma ciò, sempre attraverso uno "slalom" di interruzioni volte a magnificare, di volta in volta, una crema per i brufoli, un assorbente igienico (che manco il Sahara dopo un breve acquazzone) e un detersivo "che più bianco non si può! "Ma non è tutto: prima ancora di aprir bocca il nostro Darwin, insediato di fronte alla vaporosa conduttrice, deve inoltre premettere (pena perentoria, improvvisa interruzione a favore dei predetti consigli per gli acquisti): a) di credere in Dio, b) di ritenere il libro della Genesi trattato dal sommo rigore scientifico, c) di considerare come assodato il fatto che, al momento della loro divina creazione da fango e costola, i nostri due progenitori dell'Eden avessero già le definitive fattezze di biondo criniti contemporanei ( tanto per intenderci, alla Brad Pitt ed Angelina Jolie) come peraltro testimoniato senza fallo da affreschi di innumerevoli chiese. Dopo di che - con circospezione e lessico misurato e confermando ad ogni piè sospinto come egli sia in procinto di concludere tra un attimo il proprio ardito dire - ecco il nostro eroe insinuare timidamente che, forse, i due primigeni danti causa dell'umanità, piuttosto che a glorificati divi di Hollywood, fossero forse più rapportabili a pelosi scimmioni della primordiale foresta africana. Concesso dunque al nostro Charles qualche breve istante di ansimante ed inedito sfogo concettuale, il mezzo-busto/a di turno lo consegna in pasto ai suoi circostanti corifei affinché abbia subito inizio in diretta TV il dilanio delle sue povere sinapsi cerebrali affinché nulla (ma proprio nulla!) resti delle sconcezze concettuali dal tapino appena pronunciate. -0-0-0-0-0-0-0-0-0A questo punto bando ad estemporanee fantasie dell'irrealtà e caliamoci, seppur frastornati ancora dai residui mentali di tale immaginifica divagazione, nella stringente e drammatica contemporaneità delle trasmissioni TV e sempiterni "talk show" imperniati oggi sulla guerra in Ucraina e la cui ineludibile divulgazione mediatica si basa, con un'assertività degna anch'essa del miglior dogmatismo biblico, su alcuni indiscutibili capisaldi, tipo : 1) Putin è un dittatore folle e sanguinario. Stop, 2) Zelensky è un eroico resistente ad una ingiustificata invasione straniera. Stop, 3) La Russia è uno stato aggressore ed ha soltanto torti. Stop,

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4) L'Ucraina è uno stato aggredito ed è soltanto vittima. Stop, 5) La NATO ha sempre ragione e non ha mai sbagliato una mossa. Stop, 6) La posizione di Mosca, in quanto potenza invadente, è indifendibile "tout court" e va condannata, come suole dirsi, senza se e senza ma. Stop, 7) Gli USA sono gli indiscussi leader del mondo occidentale e pertanto tutto ciò che essi dicono e fanno è, per assioma, sempre ben detto e ben fatto. Stop, 8) L'Italia è membro della NATO e dell'Unione Europea e deve quindi astenersi dal portare avanti un suo qualsivoglia autonomo ragionamento che non sia supinamente appiattito su Washington e Bruxelles … "e più non dimandare !". Bene: volete sapete cosa io pensi al riguardo? Che tutto quanto sopra potrebbe, forse, avere una sua validità ed, al limite, essere anche giusto e condivisibile, ma a condizione che le predette affermazioni SEGUANO e non PRECEDANO un ragionamento storico-politico articolato e lineare. Cioè che ad esse si pervenga soltanto DOPO, E NON PRIMA, un'onesta disamina di merito scevra da preconcetti asserviti a tesi pre-definite e mirate soltanto a porre surrettiziamente in atto politiche di parte scaturenti da contraddittori ed oscuri interessi e la cui genesi potrebbe NON (dicesi NON) essere figlia di ponderata valutazione dei migliori vantaggi per il nostro paese, sia di breve che di lungo periodo. Da qui l'esigenza di un onesto dibattito pubblico, sia parlamentare che mediatico, sulla natura del conflitto in Ucraina, sua scaturigine, relative responsabilità e prospettive future. Nulla di tutto ciò succede, ahimè, nei nostri inguardabili "talk show" televisivi (tranne una sporadica eccezione come avrò il piacere di menzionare più avanti) ed il cui più recente esempio di una tale "patologia informativa" è l'ignobile trattamento riservato In TV al garbato Professor Alessandro Orsini. Questi (novella sorta di contemporaneo "Darwin" della fattispecie in esame nella misura in cui egli vorrebbe farsi portavoce di un'autonoma lettura delle diversificate sfaccettature della crisi ucraina in buona parte distonica alla consolidata, dogmatica ed indiscutibile "verità" precostituita) ha tentato a fatica di proporre una narrazione "concatenata" dei vari accadimenti pre-bellici al solo scopo di analizzare a freddo elementi che non portassero acqua (in modo acritico, ripetitivo e senza alcuna possibilità di letture alternative) sempre e soltanto al mulino degli otto punti di cui sopra. Di conseguenza? Apriti cielo e dategli addosso senza pietà! Fatto inaccettabile questo, anche se a parziale, onesta e soprattutto affettuosa "colpevolizzazione" dell'ottimo e competente studioso vanno ascritte, a mio modesto parere, due sue - forse involontarie, fate vobis - mancanze o ingenuità: 1) Il non aver tenuto presente che (nel nostro paese: rincitrullito da pluriennali, massicce dosi di "correttezza politica", da martellante manipolazione mass-mediatica, da strutturale incultura di fondo, e da acritico edonismo consumista appiattito su americana superficialità) il cercare di spiegare un fenomeno con un ragionamento fatto di premessa, svolgimento e conclusione e che non origini da cartesiano assioma di aprioristica ed acritica accettazione di premesse imposte dal sistema dominante, significa una (ed una sola) cosa soltanto: voler GIUSTIFICARE L'EVENTO.


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Nella fattispecie, se si accenna appena ad un qualche fattuale ragionamento storico-filosofico per meglio sviscerare i più profondi motivi per cui Putin avrebbe deciso di invadere l'Ucraina, si viene, immediatamente e senza scampo, etichettati come beceri giustificatori, se non addirittura esecrabili sostenitori di una violenza militare comunque inaccettabile. Nella nostra TV se non ci si appiattisce sulla vulgata dominante, se non ci si schiera sull'assioma condiviso, si parteggia di fatto per il "nemico". L'antica linearità fatta da tesi, antitesi e sintesi di scolastica memoria è ormai offerta al vituperio delle genti. Oggi qui da noi, nei confronti di qualunque tema che si metta in pubblica analisi mediatica, deve valere soltanto il riesumato, aprioristico, famigerato concetto del : "credere, obbedire, combattere (!)" e guai a chi se ne discosti, seppur con ogni meritorio intento di onestà intellettuale. Il bravo professor Orsini, da chiarissimo docente universitario quale egli è, ha tentato di impostare ragionamenti a fini puramente esplicativo-didattici: lo hanno voluto invece far passare per un filorusso, putiniano ed anti-ucraino. Ed ecco il motivo per cui, prima di aprire bocca in qualsivoglia comparsata televisiva, l'ottimo docente (al pari del mio immaginario Darwin da "talk show" che, prima di interloquire, avrebbe dovuto farsi precedere, come già detto, da esplicite assicurazioni su fede in Dio, scientificità della Genesi e certezza di creazione di Adamo ed Eva in già compiuto antropomorfismo) dovrà, a sua volta, proclamare esplicitamente la sua preliminare condanna senza appello dell'invasione dell'Ucraina, unitamente ad affermazioni di suo assoluto pacifismo, antifascismo, antimilitarismo, europeismo ed atlantismo. 2) Il mezzo scelto e cioè quello del dibattito televisivo. L'impostazione espositiva del Professor Orsini (peraltro docente di Sicurezza internazionale alla LUISS) è infatti egregiamente strutturata per frequentare cattedre universitarie, seminari scientifici, gabinetti di ricerca, alti consessi accademici, tutti quanti lontani purtroppo le mille miglia dei "talk show" televisivi di prima serata ove è impossibile esprimersi in presenza di conduttori televisivi che ti alitano sul collo terrorizzati, come essi sono, che un concetto che abbia bisogno di più di dieci secondi per essere esternato possa far correre all'editore di riferimento l'esiziale rischio che il telespettatore TV (in attesa di rissa verbale tra gli ospiti della trasmissione e, meglio ancora se, condita da insulti) cambi canale e si perda il ricorrente e munifico magnificat di creme, assorbenti e detersivi. Ed ecco il motivo per cui l'ottimo Professor Orsini manifesta la costante apprensione di venire interrotto, di vedersi troncato un ragionamento dal consequenziale rigore espositivo per essere convertito - d'emblée e con un semplice cambio d'inquadratura - in un ottimo …. rimedio per la stitichezza. In tale deprimente scenario va evidenziata un'unica eccezione: un "talk show" (di seconda serata, naturalmente) sul canale "9", condotto da Luca Sommi e Marco Travaglio, intitolato "Accordi e Disaccordi" ove sono stati concessi al predetto Professor Orsini - udite, udite! - inediti quattro minuti senza interruzione per consentirgli di completare un suo, peraltro illuminante, discorso. Dunque ed in conclusione: Gentile Professore Orsini - e, per quel che vale, anche mio caro Dottor Darwin - mi consenta di

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esprimerLe il mio sincero apprezzamento personale, unitamente all'amichevole suggerimento di vagliare sempre con attenzione, caratteristiche, appartenenze politico-economiche e finalità editoriali delle trasmissioni televisive alle quali Ella - in modo, temo, ancora strumentale - verrà in futuro invitato a partecipare. Con viva cordialità, mi creda, Suo, Antonino Provenzano Roma, 30 aprile 2022


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SCEMENZE DI RITORNO: IL DOPPIO COGNOME Premessa Chi ci pensava più al doppio cognome? Era una barzelletta di moda alcuni anni fa che poi, come tante barzellette che non fanno ridere, finì nel dimenticatoio, surclassata da altre barzellette a loro volta dimenticate quasi subito e dai fatti più gravemente consistenti che, sommandosi ai precedenti, rendono sempre più faticosa la vita in questo Paese. A fine aprile, invece, come un fulmine a ciel sereno che di tanto in tanto squarcia il cielo, arriva la notizia che lascia tutti a bocca aperta: "Cognome del padre, stop automatismo: ai figli quello di entrambi i genitori. Questa la decisione della Corte costituzionale, anticipata con un comunicato stampa, che bolla come discriminatoria e lesiva dell'identità del figlio la regola in base alla quale il cognome del padre viene attribuito di default. I giudici delle leggi passano così un colpo di spugna definitivo su una concezione patriarcale della famiglia. Ora il figlio assumerà il cognome di entrambi i genitori nell'ordine da loro concordato, a meno che non decidano di attribuirgli soltanto il cognome di uno dei due. In mancanza di accordo resta salvo l'intervento del giudice in conformità con quanto dispone l'ordinamento giuridico". Siccome maiora premunt, per commentare questa "scemenza di ritorno", trascrivo integralmente un articolo pubblicato ben sei anni fa in questo magazine (Nr. 49, novembre 2016) e replicato nel quotidiano "Secolo d'Italia" in data 11 novembre 2016. Doppio cognome: scenari futuri Qualche mese fa i coniugi Franco Bianco e Milena Rosso hanno avuto un pargolo: Rosario. I coniugi, refrattari a ogni contesto che si configuri come tradizione, hanno deciso che Rosario debba avere entrambi i cognomi e la Corte Costituzionale ha sancito che possono farlo. (Lo aveva deciso già allora? Approfondirò con calma questo punto; ora non ho tempo. N.d.R.) Il pargolo, pertanto, si chiama Rosario Bianco Rosso. Un'altra coppia di giovani sposi, Umberto Verde e Virginia Seppia, è in attesa della prima figlia. I due sono amici di famiglia della coppia Bianco Rosso e hanno già deciso il nome della bimba, che nascerà tra un paio di mesi: Patrizia. Anche loro, manco a dirlo, vogliono il doppio cognome per la nascitura che, pertanto, si chiamerà Patrizia Verde Seppia. È molto probabile che Rosario e Patrizia, frequentandosi in virtù dell'amicizia dei rispettivi genitori, s'innamorino e decidano di sposarsi. Avremo, in tal modo, la coppia Rosario Bianco Rosso e Patrizia Verde Seppia. Chi si sposa, generalmente, mette al mondo dei figli e noi tutti auguriamo a Rosario e Patrizia di averne tanti e tutti bravi, belli e buoni. Magari il primo lo chiameranno Walter, nome che, a detta degli studiosi, ritornerà di moda fra una ventina di anni. Il primogenito, pertanto, si chiamerà Walter Bianco Rosso Verde Seppia e, ironia

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della sorte, frequentando il prestigioso liceo internazionale di Verona, s'imbatterà in un'avvenente fanciulla che gli farà battere forte il cuore: Margot Della Valle Dello Stretto Piano. È un colpo di fulmine! Fidanzamento immediato e matrimonio subito dopo le rispettive lauree, baciato dalla nascita di un bellissimo pargolo, Ivan, altro nome che, sempre a detta degli studiosi, ritornerà di moda tra una quarantina di anni. Ivan cresce splendidamente, coccolato dai genitori e dai nonni. Quando s'iscrive alla prima elementare, però, un destino crudele gli spezza il sorriso. La maestra, infatti, facendo l'appello, chiama Ivan Bianco Rosso Verde Seppia Della Valle Dello Stretto Piano, suscitando l'ilarità della classe. Ivan, rosso in volto per la vergogna, prende una penna e la conficca nell'occhio del suo compagno di banco, che stramazza al suolo. Attonito, vedendo il sangue che scorre a fiumi e gli altri bimbi che scappano terrorizzati, subisce un terribile shock. Il compagno di banco, che si chiama semplicemente Biagio Brambilla, dopo un delicato intervento chirurgico e un trapianto, riacquista la vista e torna a vivere normalmente, diventando, grazie a quella triste esperienza, una importante star televisiva, uno scrittore di successo e un seguitissimo attore. Ivan, purtroppo, non si riprende e peggiora anno dopo anno. Viene ricoverato in una clinica psichiatrica di Zurigo, famosa per nuove formule terapeutiche studiate appositamente per curare i figli dei genitori cretini. La terapia, però, è ancora allo stato sperimentale e non sempre funziona. Ivan, un pomeriggio, riesce a eludere il controllo e sgattaiola nella zona cucine, dove è ubicata una enorme cella frigorifera tarata a venti gradi sotto zero. Vi entra e si sdraia sul lato opposto dell'ingresso, tra due gigantesche spalle di manzo. Lo troveranno dopo due giorni, con l'espressione che aveva Jack Nicholson, alias Jack Torrance, nella scena finale di Shining. Gentili mamme che bramate il doppio cognome, non me ne vogliate per questo mio scritto e non consideratemi un vostro nemico: è vero l'esatto contrario. Sono un vecchio cavaliere errante, oramai, che considera la Donna il fiore più prelibato di quel magico giardino, ubicato nello spazio infinito, convenzionalmente chiamato Pianeta Terra. Alla pari di tutti i cavalieri erranti, la venerazione tributata all'universo femminile trascende i limiti dell'umano sentire e s'impregna dei colori percepibili solo sulle vette del "sublime". Da quelle vette osservo i fremiti di una umanità sempre più smarrita, nella vana ricerca di un senso lì dove un senso proprio non esiste. E intanto le lancette dell'orologio avanzano impietose, incuranti di chi non riesca a godersi le albe perché imbragato nelle tenebre di una insulsa esistenza. A conclusione di questo articolo, pertanto, consentitemi di invitarvi a tornare a sorridere e di abbandonarvi tra le braccia di colui che amate, restandovi a lungo, rinunciando ai pensieri oscuri e dando sfogo solo alle sensazioni. Vedrete che sarà bello (ri)scoprire una nuova dimensione del vostro essere. Una dimensione che sa d'antico, certo, e proprio per questo ha radici solide per "proiettarsi" in modo sano in quel futuro che, anche grazie a voi, potrà essere più roseo e scevro delle troppe distonie che avvelenano il presente. Acquisita questa consapevolezza, sarà meraviglioso accarezzare i vostri figli, che non correranno alcun rischio di finire in una clinica di Zurigo. Tutti gli "Ivan" che verranno, vi ringraziano anticipatamente. Lino Lavorgna


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I BALCONI DEL SUD Ma il balcone che cosa è ? "Dicesi balcone", debutta il giovane allievo ben cosciente della difficoltà di proseguire" quello che mi ci affaccio" completa con una baldanza che prescinde dalla grammatica e continua "parlare di cosa è un balcone non è facile" procede con la sicurezza che pervade gli intellettuali adoratori del dubbio a tutti i costi . Qui lo lasciamo alle sue pene, il nostro studente, alle prese con la difficoltà connessa ad ogni definizione e ci addentriamo da soli nella foresta della realtà. Il balcone è cosa meridionale, mediterranea, elemento che rende vibratili e pelose le superfici infinite delle facciate nelle strade e nei vicoli del centro storico e, con i loro sbalzi, riducono la fetta di cielo già angusto. Il balcone si atteggia a varie finalità: affaccio su strada (sempre meno usato); area di decollo e atterraggio di panieri di ogni foggia destinati alla relazione mercantile tra i piani abitativi e il piano strada; sostegno (le ringhiere) di drappi da festa religiosa; deposito provvisorio - ergo definitivo - di biciclette offerte alla ruggine che, gradendo l'offerta, si impadronisce della catena e delle cromature; di ogni cosa che attende di essere obliterata tra le inutili, eccetera eccetera. Ultima, supporto delle immonde padelle satellitari e compressori giapponesi refrigeranti. La loro forma essenziale prevede una larghezza pari al raggio del semicerchio spazzato dall'apertura delle persiane e una lunghezza pari a quattro volte la misura della persiana stessa. Come si vede i balconi classici presentano misure standard che inibiscono, almeno per quelli realizzati prima del secondo dopo guerra, ogni superfluo sforzo di invenzione che apparirebbe o sarebbe apparso inutile, specioso. Alla sua standardizzazione corrispondono lastre di spessore centimetri tre di marmo di Carrara bianco, appena venato di grigio, ringhiere in ferro o in ghisa, altezza centimetri 110 e mensole in ferro a doppio T con ornamenti in ghisa, anch'essi prefabbricati, rappresentanti rose, rosacea, rosoni e volute voluttuose. Tanto basta e ci si doveva accontentare, ma la perversione del gusto e delle tradizioni, introdotta dalle avanguardie figurative, definitivamente vincitrici rispetto alla tradizione, hanno introdotto libertà prima inimmaginabili. E non dico degli sbalzi aerei e vertiginosi, di ringhiere parapetti complicati oltre l'indispensabile e l'utile, della dimensione planimetrica eccessiva, fino alla perversione di balconi che si sviluppano per l'intero perimetro dell'edificio, usati nelle loro esagerate dimensioni, solo per brevi tratti prospicienti gli infissi, ovvero dal piccolo Totuccio ,

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con il suo triciclo, che scorrazza per l'intero periplo del fabbricato. Le fogge dei balconi in epoche recenti e squallide per lo più, consistono unicamente nella foggia delle ringhiere, siano parapetti in muratura con o senza ceramiche grossolane o di ferro. Esse corrispondono all'unico grado di libertà concesso alla cosiddetta architettura per tutto il secondo dopo guerra fino i nostri giorni, così almeno al sud. Mi è capitato di vederne alcuni riprodurre il pentagramma con applicate note fantasiose di ferro tondino piegato, il tutto con l'aggravante di essere multicolori. Non so se propriamente tali, cioè balconi in senso stretto, possono essere definiti quelli che troneggiano su colonne binate nei prospetti di palazzi neoclassici e barocchi, balconi ai quali corrispondono balaustre sorrette da panciuti balaustrini con rocchi angolari. Ne hai un esempio: uno particolare in piazza Venezia a Roma appartenente alla tipologia che, nascondendo la figura umana dalla cintola in giù, consente di ridurre del 50% l'uso di espressioni buffonesche, ampiamente documentate dalla parte residua del fisico del soggetto che arringare le folle. Vi è poi la categoria dei balconi gotici, anch'essi con parapetti in pietra scolpita, fatti apposta per essere scalati da Romei che cercano di raggiungere le loro Giuliette, per una via oggettivamente impervia. Poi c'è lo sterminato numero di balconi con lastre in marmo, ringhiere e mensole in ferro cui si deve il progressivo ridursi dei monti intorno a Carrara. L'estate dei poveri fa trasformare i balconi in Stabilimenti elioterapici, affollati da sedie di varia foggia prelevate dalle stanze e destinate a signore anziane con cane volpino che prendono il fresco serale, se hanno la fortuna che il balcone sia esposto a nord o est, con le loro vestagliette smanicate circondate da cavalieri in canottiera con pantaloni del pigiama che garriscono al vento della sera, se c'è. Una particolare alleanza è stata stipulata da secoli tra i balconi e le piante ornamentali. In certi casi di questa alleanza divengono segno evidente la presenza di ogni varietà di vasi che ormai da tempo impediscono di chiudere le persiane. Sono frequenti i casi nei quali si è preferito sostituire la gelosia lignea (attrezzo che vela gli occhi dietro le stecche semi aperte, consentendo forme di spionaggio, a volte gustose ed intriganti, nei confronti dei dirimpettai) con una giungla privatissima, trasbordante dalla ringhiera ove, regina, si erge la pianta dai fiori candidi, appositamente ideata per rifornire le spose di bouquet. Si potrebbe continuare, facendo notare gli aspetti sensuali dei balconi, parlando ad esempio delle strisce di stoffe che massaie coscienti (è il caso di dire) delle loro beltà inferiori e poco proclive ad esibirle, intrecciano tra le sbarre delle ringhiere onde impedire l'esercizio di sguardi indagatori e febbrili da parte dei soggetti ben noti come "ingravida balconi". Categoria virile questa ormai desueta, sostituita da adoratori degli smartphone. E del resto a cosa vi fanno pensare le volute dei balconi settecenteschi realizzate per ospitare le crinoline delle gonne delle dame? Ma di tutte queste cose il povero scolaro cosa ne poteva sapere : egli sa solo che il balcone " è quello che mi ci ha faccio". E alla insistente domanda del maestro " tu, cosa ne sai del balcone " lui risponde " perché lui cosa ne sa di me ?!" Fausto Provenzano


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Confini Idee & oltre

Penetrare nel cuore del millennio e presagirne gli assetti. Spingere il pensiero ad esplorare le zone di confine tra il noto e l’ignoto, là dove si forma il Futuro. Andare oltre le “Colonne d’Ercole” dei sistemi conosciuti, distillare idee e soluzioni nuove. Questo e altro è “Confini”

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