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Export: ancora molte restrizioni
Le limitazioni agli spostamenti oltreconfine rischiano di ridurre la competitività del nostro Paese sui mercati esteri.
di NICOLÒ ANDREINI, Confindustria Trento
L'EUROPA si sta lasciando alle spalle il lockdown conseguenza del Covid-19 e, nell’incertezza generale, riprende a muoversi. Le imprese trentine, vittime di una contrazione media stimata oggi al 20% del proprio fatturato 2020 per effetto del Covid-19, spingono per la ripresa. Eppure, la libera circolazione delle persone, e di conseguenza delle merci tangibili, è ancora lontana dall’essere ripristinata. Le limitazioni agli spostamenti internazionali minano da mesi azione e competitività delle imprese italiane e producono effetti distorsivi del mercato, chiaramente dannosi per la nostra economia di esportazione. Alcune limitazioni agli spostamenti oltreconfine
incombono ancora e specialmente sui cittadini italiani, anche all’interno dell’Unione europea, nonostante l’Italia abbia per prima in Europa gestito e controllato il diffondersi della pandemia. Vari Paesi fanno ancora divieto di ingresso entro i propri confini agli stranieri, alcuni addirittura differenziando a seconda del Paese di origine ed escludendo chi ritengono più pericoloso. Un esempio su tutti, la Repubblica Slovacca, che solo in giugno scorso ha autorizzato l’accesso ai cittadini di 19 Paesi europei, escludendo gli altri, compresi gli italiani, a cui è concesso il solo transito senza sosta limitato a un massimo di otto ore entro i confini slovacchi.

Se si considera che le limitazioni agli spostamenti nei confronti degli italiani sono spesso in atto da febbraio scorso, ciò vuol dire che le nostre imprese con siti produttivi, uffici o semplicemente clienti e distributori dislocati nei paesi ancora chiusi, sono da oltre quattro mesi impossibilitate a gestire direttamente e in presenza rapporti commerciali e interventi di manutenzione in loco. I numerosi decreti di gestione del Covid-19 emessi dal governo italiano hanno, per alcuni aspetti, ulteriormente svantaggiato le imprese italiane in materia di spostamenti internazionali. Solo con il Dpcm dell’11 giugno, infatti, ai lavoratori italiani è stata autorizzata la permanenza oltreconfine fino a cinque giorni senza obbligo di quarantena domiciliare al momento del rientro in Italia. Prima di quella data, dunque, le imprese italiane hanno dovuto rispettare la quarantena domestica, spesso in posizione di svantaggio rispetto ai competitor europei che a tale obbligo non sono stati sottoposti dai propri governi, questi ultimi essendo evidentemente più attenti alle esigenze nazionali. Il risultato delle limitazioni agli spostamenti internazionali di persone, e di conseguenza delle merci tangibili, significa dunque per le imprese perdere competitività sui mercati esteri. Ma c’è di più. Il rischio concreto per l’industria esportatrice italiana è perdere i propri clienti esteri a vantaggio di fornitori geograficamente più vicini e quindi in grado di garantire termini e condizioni di consegna anche in presenza di limitazioni frontaliere che, fra l’altro, potrebbero riacutizzarsi per effetto di una nuova ondata pandemica, attesa già in autunno. L’ipotesi che si sviluppi, in questo periodo di incertezza, una sorta di “preferenza nazionale” su prodotti e fornitori, colpirebbe i Paesi esportatori, fra cui l’Italia. Il ripristino della libertà di circolazione, caposaldo dell’Europa unita, sarà invece la chiave per garantire o quantomeno favorire corrette competizione e dinamiche di mercato, dove prevale il prodotto o servizio più valido ed economicamente più vantaggioso.