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Yes, we can
Insomma, il tormentone che toglie il sonno ad imprese e persone - e questo accade ormai da anni: poco dopo l’inizio della crisi economica - è il “fare rete”. Mettersi insieme, creare connessioni - mentali ma anche fisicamente operative - costituire un circuito di idee e di azioni intorno alla persona e all’imprenditore. Il problema del “conciliare” i tempi, c’è ed esiste. Non si capisce il perché, a questo punto, non si possano veramente trovare punti di incontro per compiere un ulteriore passo nella giusta direzione.
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«La centralità della famiglia, in ogni società moderna - incalza Antonella, nel campo dei trasformatori non dev’essere messa in discussione. A questa pietra della società debbono essere riconosciute capacità e competenze (soprattutto nell’educazione dei giovani), attitudini, bisogni (spesso unici), libertà di scelta nel proprio percorso di conciliazione ma dispo-
nibilità anche di soluzioni verso le quali dirottare la propria scelta. È impossibile che in Italia - non ovunque, però - si debba parlare ancora di come fare per poter mettere d’accordo lavoro e famiglia. È come se si dovesse essere costretti al gioco della roulette: ma come posso pensare di affidare figli e marito al caso?». Qui serve uniformità ma, prima di tutto, un progetto degno di attenzione e che nasca dalla vera conoscenza delle necessità di chi fa impresa e di chi, nell’impresa, ci lavora anche come dipendente. «Forse chi fa le leggi - interviene nel discorso Loretta, che ha appena staccato dal lavoro alle prese con un ordine per un collettore di dieci quintali non si rende conto che l’economia è fatta da chi lavora, non da chi decide nelle torri di cristallo. E di fronte al tema della conciliazione, parte della politica di oggi non fa altro che aumentare