OPUSCOLO "OMMINU E PETRAPAVULA"

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1. PRESENTAZIONE

Il presente opuscolo è volto a percorrere quelle che sono le radici di Pietrapaola, attraverso poesie, parole, personaggi e ricette culinarie.

Il contenuto del presente opuscolo trae origine:

• dal libro PIETRAPAOLA, Manuale di lessico e cultura contadina, pubblicato il 2021 per la Grafosud;

• dalla raccolta di poesie dialettali dal titolo a FRISCHÌA, pubblicato su Amazon;

Padre delle sopradette opere è un concittadino di Pietrapaola Nicola Chiarelli noto storico, ricercatore, scrittore letterario che ha fatto di quelle che sono le origini le tradizioni e la storia di Pietrapaola delle opere che custodiscono l’identità di Pietrapaola, la sua essenza.

Nicola Chiarelli nasce a Pietrapaola il 16 gennaio 1940. Diplomato alle Magistrali il 1959 è emigrato nel 1960 in Germania, dove ha lavorato per un anno come semplice operaio, dopodiché per un decennio in un ufficio di contabilità. Dopo aver frequentato l’Accademia delle Casse di Risparmio di Münster/ Dortmund, ed aver conseguito il diploma in economia aziendale bancaria, ha fatto per più di 30 anni il bancario, insegnando al contempo il tedesco nelle scuole professionali e l’italiano presso l’Università Popolare, la Berlitz Schule, il Rotary Club ed in corsi privati. È sposato dal 1964 con una Tedesca, ha una figlia e due nipoti. Con la sua scelta di vita, si è completamente integrato in quella società, pur non dimenticando le sue origini pietrapaolesi. Malgrado 65 anni di lontananza dal suo paese natio, ha mantenuto sempre saldi i rapporti socio-culturali con Pietrapaola, curandone la memoria storica locale attraverso la pubblicazione di: UCastellu , Poesie in dialetto pietrapaolese , 2006; Dizionario dialettale di Pietrapaola , 2014; Pietrapaola , Manuale di lessico e cultura contadina, 2021; La biografica in lingua tedesca dal titolo MeineErinnerungen , Un calabrese in Germania, 2021; raccoltadipoesiedialettalidaltitoloa“FRISCHÌA”.

2. INTRODUZIONE

CENTROSTORICODIPIETRAPAOLA

Caratteri: Centro storico montano, agricolo, difensivo rientrante nella classificazione del Catalogo generale dei Beni Culturali del MIC come: BENI ARCHITETTONICI E PAESAGGISTICI

centro storico, montano, agricolo, difensivo, Pietrapaola, Petra Paula (denominazione storica, cit. 1276), Castrum Petrapaule (denominazione storica, XIV-XV sec.), Pietro Paolo (denominazione storica, cit.1788) (ultimo quarto XIII)

Centro della provincia di Cosenza sulle ultime pendici della Sila Greca situato a 375 metri s.l.m. lungo un pendio roccioso alla destra del fiume Trionto affacciato sullo Ionio. È compreso nell’ambito territoriale della Comunità montana Sila Greca Il borgo antico è sovrastato da due rupi: la "Rupe del Salvatore", con una testimonianza di arte rupestre all'interno della Grotta del Principe, accessibile solo su gradini scavati nella viva roccia, e la cosiddetta "Timpa del Castello", utilizzata probabilmente al suo interno come antica fortezza baronale .

Il paese di presenta come una struttura fortificata, vera e propria piazzaforte affacciata sullo Ionio ed arroccata attorno ad una rupe detta “Castello”. Nel

territorio sono presenti tracce di antichi insediamenti di epoca incerta, tra cui alcune grotte sul monte Orgia, probabili avanzi di una necropoli, e resti di mura di età classica in contrada San Martino. A poca distanza dall'abitato si trova un'importante cinta muraria risalente ai secoli IV – III a.C. detta “Muraglie di Annibale”, che consente di spiegare con precisione quale fosse il modello difensivo che prevedeva l'organizzazione territoriale brettia, la quale controllava l'arco costiero meridionale che dalla località Castiglione di Paludi si estendeva fino alla località Murge del comune di Strongoli. Sono presenti anche ritrovamenti di alcune monete e ceramiche elleniche. Si presume che nel confine tra Pietrapaola e Caloveto ci sia la presenza della Quarta Sybaris, creata forse dai soldati che ritornarono dalla Battaglia di Nika verso Sybaris*

Il territorio di Pietrapaola è caratterizzato dalla particolare presenza di grotte e di numerosi monumenti rupestri, che rendono unico il paesaggio. Il borgo antico è sovrastato da due rupi: la prima, la "Rupe del Salvatore", conserva una splendida testimonianza di arte rupestre all'interno della Grotta del Principe, accessibile solo su gradini scavati nella viva roccia e da cui si può scorgere una splendida vista del paese; la seconda, detta "Timpa del Castello", era utilizzata probabilmente al suo interno come antica fortezza baronale.

Inoltre tra le vie del borgo antico si possono visitare: l'Arco del Colonnello, una delle principali porte d'ingresso del paese; la Chiesa di Santa Maria delle Grazie, di origine medievale, la quale conserva pregevoli testimonianze degli artigiani dell'epoca nel rosone e nell'Arco del Cimitero, dove sono presenti alcune epigrafi a ricordo dei saccheggi e delle devastazioni turche (una di queste risalente al 1644); le Muraglie di Annibale, circuito difensivo brettio risalente tra il IV e il III secolo a.C., costruito con blocchi di conglomerato locale non squadrati, le quali in alcuni tratti raggiungono un'altezza di tre metri da terra. Si trovano fuori dal paese e sono di notevole interesse archeologico; la fontana Frischia, situata al centro del paese, presenta una struttura in muratura bianca con due mascheroni dai quali fuoriesce l'acqua; la fontana Maio, di poco fuori dal paese, si presenta come una piccola sorgente d'acqua immersa in un ampio spazio verde. Il suo territorio ricade nell’area di produzione del Pecorino Crotonese e dell’Olio Extravergine di Oliva Bruzio DOP Colline Jonico-Presilane: eccellenze regionali della Calabria.

*Fonte WEB

BORGOMARINARO

Pietrapaola Marina è un centro turistico con spiagge attrezzate, locali di svago, ricezione e ristorazione; noto per i fondali marini e la finissima spiaggia, ideale per i bambini, premiato in più occasioni dalla Guida Vele Blu e dalla Bandiera Verde.

Da vedere: la Chiesa di Santa Maria Assunta, il Lungomare, i Monumenti e le Fontane.

La Spiaggia di Camigliano è composta da una finissima sabbia di colore grigio chiaro, ed è facilmente raggiungibile dal lungomare.

È stata premiata in più occasioni dalla Guida Blu di Legambiente e della Bandiera Verde Spiagge.

RISORSENATURALI

Si attraversa una bella campagna ricca di olivi secolari, poco prima di iniziare la serie di tornanti per il paese, dai quali ad un certo punto, sulla destra, ci si può inoltrare per una stradina che consente di raggiungere le cosiddette Muraglie di Annibale, resti di un’antica cinta muraria lunga circa 450 metri risalente al IV-III secolo a.C., importante testimonianza del modello difensivo dei Brettii, popolo italico dedito all’agricoltura e alla pastorizia e probabilmente all’origine dell’insediamento abitativo di Pietrapaola.

Il suo territorio risulta frequentato fin dall’epoca pre -greca e la sua storia, soprattutto dal medioevo in poi – l’epoca meglio documentata – segue fra alti e bassi, le varie dominazioni e le vicende feudali tipiche di altri luoghi della Calabria e del Sud.

Soprattutto fra XVI e XVII secolo Pietrapaola fu spesso oggetto di incursioni Turche e in tali occasioni una parte della popolazione riuscì non di rado a sfuggire alle razzìe trovando rifugio nelle numerose grotte scavate nel masso “Timpa del Castello”. Una dimensione rupestre che del resto trova riferimento già nel nome stesso del paese derivante, secondo alcuni studiosi, dalla combinazione fra il termine pietra e il nome proprio Paula (dal lat. Paulus) oppure da un termine osco arcaico petrapa col significato di ‘luogo della rupe’ riferibile alla grande rupe che lo sovrasta.

All’inizio del paese si può infatti notare verso sinistra una rupe di roccia tufacea sulla quale sono presenti varie grotte tra cui la cosiddetta Grotta del Principe (toponimo di origine ignota), liberamente accessibile e raggiungibile attraverso una suggestiva scalinata scavata nella roccia. Dentro la grotta, composta da un vano d’ingresso e altri laterali più piccoli, sono presenti capitelli scolpiti nel tufo e varie aperture simili a finestre oltre a alcune feritoie ad uso difensivo. Dal suo interno si vede bene il piccolo centro sovrastato dalla suggestiva rupe. Questa come altre grotte presenti nella zona non sono cavità naturali, bensì scavate nel tufo. Si tratta di grotte cenobitiche ed eremitiche realizzate nell’alto Medioevo da monaci di origine greca approdati sui lidi dell’Italia meridionale sulla scia delle lotte iconoclastiche sancite nell’VIII sec. d.C. da un editto dell’imperatore bizantino Leone III Isaurico.

3. LUOGHI

Castèllu: castello; nome della rupe scoscesa e di maestosa ed imponente grandezza che sovrasta l’abitato di Pietrapaola, chiamata appunto UCastelluo Timp’ er u Castellu , sulla cui sommità, una volta fortificata e difficilmente accessibile, si racconta che si rifugiava la popolazione in caso di pericolo, per sfuggire agli invasori saraceni, che sbarcavano sulle coste calabre, saccheggiavano i paesi, rapivano le donne e mettevano a fuoco gli abitati. Anche Pietrapaola infatti rimase spesso vittima di tali scorrerie turchesche, l’ultima e la più grave delle quali avvenne nel 1644, com’è documentato su una lapide della chiesa matrice in latino: Die11iulii1644templumetoppidumhocturcharum classisdevastavit=In data 11 luglio 1644 la flotta turca devastò la chiesa ed il paese.

La parte retrostante della rupe, rivolta verso i rioni Špinäru, Chjänarella e Garrubba , ha ospitato nelle sue innumerevoli grotte scavate nel corso dei secoli nella parte inferiore di natura arenaria migliaia di porcelli☞ (maiali), che anno per anno nel periodo invernale hanno arricchito ed allietato le frugali tavole dei Pietrapaolesi.

Una bella descrizione del Castelluè stata fatta dall’insigne ed amato arciprete del nostro paese, Mons. Don Alfonso Cosentino († 2018), nell’opuscolo “Itinerario storico-turistico di Pietrapaola e dintorni” pubblicato dal comitato per il gemellaggio Pietrapaola - Warstein, dove riporta testualmente: “Scenario straordinario, unico si presenta a chi arriva a Pietrapaola: una maestosa imponente rupe centrale che sovrasta il centro abitato, e alla cui base si aggrappano le casupole in uno slancio di rifugio e protezione, quasi a formare un tutt’uno di resistenza alla violenza del tempo. Rupe castello è chiamata questa particolare montagna rocciosa, che s’identifica col paese, perché in cima a essa, in un vasto pianoro, permangono ridotte vestigia di quello che la tradizione o leggenda, ma non la storia documentata, afferma essere stato il castello del Signore del luogo. Rupe dall’aspetto minaccioso, ma sempre amica. Lungo i secoli, dalla pur scarsa documentazione e a memoria d’uomo non risulta essere stato mai registrato alcun danno alle persone per eventuali movimenti o assestamenti della realtà rocciosa. L’ultima volta, alcuni decenni fa, la rupe ha brontolato minacciosamente, si è data una scrollatina, ha sparso tanta paura e tanti detriti, ha schiacciato qualche attrezzo di lavoro, ma ha risparmiato le persone, pur essendosi questo evento, verificato in pieno giorno e su un tratto di strada cittadino, abitualmente frequentato da tanta gente”.

La secolare ed imperturbata maestosità della nostra amata Timpa purtroppo verso la fine del secolo scorso è stata sfigurata e deturpata dalla costruzione di una mastodontica, disarmonica e sproporzionata scala di metallo piazzata sul versante sud della rupe e rivolta verso Portella,Dema e Cucinäru. Si tratta di una struttura che costituisce almeno per chi è emigrato e rientra di tanto in tanto in paese, un motivo di disapprovazione, poiché imbruttisce la regale immagine del nostro Castellu,e la prima volta che ce la si trova davanti, si rimane esterrefatti! Insomma una vera cattedrale nel deserto per la cui costruzione il Comune ha sperperato diversi milioni di lire, gonfiando le tasche a chi l’ha ideata e messa in opera. Trovarsela oggi inevitabilmente su qualsiasi foto di Pietrapaola che viene ripresa dalla parte sud, rappresenta uno scempio ed un oltraggio paesaggistico ed è comunque una spina negli occhi per qualsiasi Pietrapaolese di buon senso, che andrebbe sicuramente rottamata e venduta come ferro vecchio, devolvendo il ricavato ad opere socialmente utili.

Acquarèlla: contrada agricola amena e soleggiata, ubicata a sud di Pietrapaola ed in parte anche nel Comune di Mandatoriccio, a metà strada fra centro storico e Cuccu,dove ancora vi sono molte turre , una volta abitate d’estate dai coloni dei singoli poderi, coltivati fino alla seconda metà inoltrata del secolo scorso, soprattutto a orti e vigneti.

L’Acquarella , facilmente raggiungibile dal paese, con i suoi lussureggianti orti e piccole ma floride vigne, brulicava una volta di arcaica vita campestre e bucolica ed era un vero paradiso terrestre, pieno di instancabili e laboriosi contadini, di animali, odori, colori e sapori, con uno sfondo acustico tutto particolare e armonioso, caratterizzato da canti di donne, abbaiare di cani, ragli e scalpitio di asini, belati di capre e pecore, strilli di bambini che scorrazzavano per i prati e dallo stridio e frinire delle cicale e dei grilli, percepibile per chiunque vi si recasse: un’atmosfera che avrebbe potuto benissimo ispirare Giacomo Leopardi, quando compose la sua meravigliosa poesia “Il passero solitario”, se fosse stato di Pietrapaola e non di Recanati!

Il centro dell’Acquarella era attraversato dalla mulattiera che collegava il paese con Cuccued era dominato dal caminudi Serbatur’eCarmela,che sorgeva su una piccola altura di argilla, a sua volta circondato da rigogliosi e verdeggianti orti e da esuberanti e prosperi vigneti, se si pensa ai poderi di Gesuvele,Cicc’e Mäppa, Gennomìnicu ecc., solo per citarne alcuni. Come generosa “Madre Terra” di Pietrapaola, l’Acquarellacontribuiva con i suoi più svariati, abbondanti e genuini prodotti ortofrutticoli in maniera notevole al sostentamento della popolazione.

Chi da piccolo ha conosciuto l’armonia e lo splendore dell’Acquarellae vi si reca oggi, è sopraffatto da un senso di abbandono, silenzio, solitudine e nostalgia, e avverte nel suo animo il sospiro dei suoi antenati sollevarsi dalle ormai aride zolle, che loro per secoli, con le mani indurite dai calli e sotto il sole cocente, hanno irrigato non solo con l’acqua della vicina sorgente Mäiu , ma anche con il loro sudore e le loro lacrime; sugnu juta all’Acquarella a cògghjire fogghje, maruche,cipullizzi , ecc.;

Cùccu: collina amena e soleggiata situata 6 km. a sud di Pietrapaola che raggiunge un’altitudine di circa 700 m e da cui si gode una bellissima vista in qualsiasi direzione si guardi. A nord-est è delimitata dall’Acquarellaed a sud-est dalla piana di Portaru , a sud dal Gallun’eSarjentee dalla Mäcchj’eRiganni,su cui panoramicamente si affaccia e da dove si intravede Bocchigliero e la Sila. Se una volta Cuccubrulicava di arcaica, operosa e melodiosa vita bucolica, oggi è invece una collina che per la sua quiete ed il silenzio che vi regna, ricorda la descrizione che fa Leopardi nella sua bellissima e famosa poesia “L’infinito”.

Fino agli anni Settanta Cuccu era coltivato soprattutto a vigneti, in cui crescevano i più svariati alberi da frutta, come fichi, meli, ciliegi, peri e peschi. Anche il padre dell’autore vi possedeva una grande vigna, nel centro della quale c’era la turra murata a pietra e con calce ricavata in una carcara allestita sul posto, di cui sono ancora visibili i ruderi, fornita di parmentu , torchju e tina, ancora oggi esistenti, ma da decenni fuori uso.

D’estate, prima che fosse “scoperta e urbanizzata” la marina, chi aveva un podere e una turra a Cuccu , vi si trasferiva in villeggiatura per alcuni mesi, generalmente dalla fine di luglio ai principi di ottobre, quindi fino alla vendemmia, portandovi addirittura anche il maiale, il gatto e le galline, come per altro avveniva con i poderi situati all’Acquarella.

A Cuccuil numero e l’estensione dei numerosi vigneti di una volta, coltivati dai nostri padri con tanta passione ed un’infinità di sacrifici, negli ultimi decenni e a causa degli stravolgenti cambiamenti socio-economici e dell’emigrazione che ha visto coinvolta quasi ogni famiglia, sono andati sempre diminuendo, per cui sono rimaste poche le vigne che ancora si coltivano, almeno per hobby e passione e con discreti risultati. I poderi, una volta raggiungibili solo a piedi o con l’asino, oggi sono accessibili con autoveicoli ed alcuni sono forniti addirittura di corrente elettrica.

C’è da menzionare la vigna di Luciano Pugliese, l’ex sindaco, quella dei suoi cugini Turuzzu e Fränc’ e Mälia, quella di Mimmo Pugliese e fratelli, nonché alcune

altre, mentre a Portaru , nelle vicinanze di Cuccu, c’è quella del defunto Nicolamärira (Nicola Madera), coltivata con buoni risultati dal suo omonimo e bravo nipote Nicolicchju e quella di Pino Berardi, molto ammirevole, soprattutto se si tiene conto che suo padre non era né un contadino e né un viticoltore, ma un sarto e barbiere, e lui stesso tutt’altro che un agricoltore.

Il nome Cuccu potrebbe derivare dal suono del canto del cuculo, uccello piuttosto schivo e raro nel territorio di Pietrapaola, ma una volta relativamente frequente a Cuccu , quindi luogo, dove canta il cuculo. L’autore ricorda infatti di averlo sentito cantare spesso sulle alture di Cuccu,come non tanto in altri posti. vin’eCuccu;doppuSännomìnicunchjanäm’aCuccu.

Dèma: piazzale, quartiere, rione, strada, dove al numero civico 6, è nato e cresciuto l’autore. La casa è oggi proprietà di Mimmo e Caterina Pugliese. Si tratta di uno dei vicinati più alti, soleggiati e ventilati del paese, dove durante il Medio Evo molto probabilmente si trovava la sede dell’Amministrazione del Demanio (Universitas Civium Demanialis), a cui si potrebbe fare risalire etimologicamente l’origine del nome. Anche nella vicina Caloveto infatti c’è una zona o un rione chiamato Dema .

Le altre case affacciate direttamente su Dema erano abitate dagli anni Cinquanta in poi dai seguenti nuclei familiari: Federico De Dominicis (Filericu), ex podestà ed in seguito da Domenico Acri-Garofalo (Bagullu) prima che emigrasse negli Stati Uniti; da Santo Crescente e Maria Mendicino (Säntu e Mari’ er u Športaru), nonché dai loro generi Afredo Parrotta (Benänźa) e Giuseppe Pugliese; dalla famiglia Gentile (Posteru) e dal genero Domenico Mancuso (Minicuzz’ e Pennulunu) ; dal centenario Pietro Acri (Saverone) e famiglia, nonché dal genero G. Nucaro (Giacomin’ e Pepp’ e Mäppa); da Giuseppe Chiarelli (ZuPeppin’eruCcippu)e dal genero Salerno e famiglia; da Ṭṛisoretta e sua figlia Filomena, sposata con Domenico Berardi, chiamato u Viźźarru, nonché dalla loro figlia Fiorina, vedova di Giuseppe Savo (Peppin’era Cajarda,chiamato Pilirussu).

Il piazzale fino agli anni Cinquanta non aveva ancora un selciato o una pavimentazione come quella odierna, ma consisteva in un suolo di roccia arenosa, coperta di sabbia, frequentato dai tanti ragazzi del vicinato, che vi giocavamo allamäzza , allibuttuni,alleprute , all’ammucciatella , allibrigänti , ecc., nonché da una miriade di galli, galline e pulcini che circolavano e razzolavano liberamente, da qualche cane alla ricerca di cibo o sdraiato al sole nella sabbia, da qualche gatto, da asini, capre ed altri animali di passaggio, e da centinaia di

rondini (rinninuli) svolazzanti che nidificavano sotto le grondaie e che alla ricerca di mosche ed altri insetti lo sorvolavano in tuttte le direzioni.

Verso la fine degli anni Cinquanta, con l’avvento della rete idrica, a Dema fu istallata una fontana: una vera comodità per la maggior parte della gente che non aveva ancora l’acqua in casa e per chi, rientrando dalla campagna, poteva dissetarsi e dare da bere al suo asino.

A Demala vigilia di Natale si accendeva una delle più grandi focarinedel paese, che ardeva fino alla mattina successiva. A questa tradizione è rimasto fedele Franco Pugliese (Fränc’ e Mälia) , detto Corchjarella , che ogni anno con suo fratello Turuzzued una cerchia di fedeli amici e visitatori accende con passione un bel falò direttamente difronte a casa sua. Si tratta di un’enorme focarina , visitata da tanti paesani provenienti anche dalla Marina o rientrati irresistibilmente per le Feste di Natale da fuori o dall’estero e accompagnata da musica, canti, specialità paesane di ogni genere, da far venire l’acquolina in bocca già a pensarci e tanto di quel buon vino di Cuccu , da non disdegnare mai!

* Tratto dal libro “PIETRAPAOLA”, Manuale di lessico e cultura contadina, pubblicato il 2021 per la Grafosud di Nicola Chiarelli

4. POESIE

UCASTELLU

A Petrapàvul’ eju mi ricogghjisse, allu pajise meju anticu e bellu, ar abitare eju mi ne jisse, nṭṛe rutte sutt’a Timp’ er u Castellu!

E chilli tempi i primi cristiäni, ccù pichi notte e jurnu änu šcavatu, nseme ccu crape, pècure e ccu cäni, rifuggiu sutt’a Timpa änu trovatu.

Finché a casa ’un s’änu fravicatu, ccu càvucia vrusciata ntre carcare, chisà quantu sururi änu jettatu, ccu tutte chille petre a carrijare ?

A quattru passi c’ere la Frišchìa, cchi abbunänz’ e acqua: dui canäli!

Facìjin’ a vucata ccu lissìa, ci jijin’ a abbiverare l’animäli.

Avije chilla Timpa n’armonia, finché a šcala e ferru ’un c’änu armätu, cchi scèmpiu alla bon’ura, arrassusìa, chisà si ncunu si n’è vrigognätu ?!

Sutt’ u Castellu nui ci simu näti, c’ämu jocatu e ci simu crisciuti, subb’u Castellu nui simu nchjanäti, nu jurnu pije e ni ne simu juti!

A Novajorca er all’Argentina, nṭṛa tuttu u munnu nui simu sciurtuti, po’ ni ne simu scisi alla marina, e cà e de là simu tutti fujuti!

’Un c’ è rimästu mäncu nu porcellu, ntra chille rutte tutte sbalancate, e tutt’ e ciàgule e subb’u Castellu, chisà ormäi duve su’ vulate?!

Illu è restatu ferm’ a n’aspettare, oje o domäni nui ni ricogghjimu, a pere, ccu le mächine o ntre bare, luntäni er u Castellu ’un ci stapimu.

Ritornello:

Castellumeju,tivogghjutäntubene, tivijugiàquännuvegnueruCasinu, * etuttiquäntitucanusciepene, etuttiquäntitusi’ludistinu!

* “U Casinu”

U Casinu (Il Casino) è una vecchia tenuta agricola (farm), una volta di proprietà Passavanti, situata a metà strada fra la Marina di Pietrapaola ed il paese (centro storico) sulla destra, aldilà del torrente Acquaniti, quando si sale a Pietrapaola.

Praticamente venendo dalla Marina ed andando verso Pietrapaola, quando si arriva all’altezza er u Casinu, da quel punto si intravede per la prima volta il paese con il suo Castellu, da cui il ritornello della poesia: “ ... ti viju già quännu vegnu er u Casinu...”.

* Tratto dal libro “ U CASTELLU”, pubblicate il 2006 per la Grafosud di Nicola Chiarelli

A FOCARINAENATALEADEMA*

Si a Dema nui fòssimu restati, avissim’ appicciatu a focarina, e nseme ni ci fossimu šcarfati tutt’a nottata, fin’ alla matina.

Inveci e ccà e de llà simu fujuti e lu paise avimu abbannunätu, a Novajorca certi su’sciurtuti, ej’in Germänia mi sugnu ntanätu.

Ma nui a Chjäna e Rema ’un a šcordämu, dduve ci simu näti e fatti ränni, ricettu mäi nui ne pijämu, puru ca su’ passati sessant’ änni.

S’arreti eju votare mi potisse, mächina, sordi e casa ci lassasse, allu paise meju mi ricogghjisse, e la vecchjàia a Dema eju passasse.

Stasira mmenźi Rema riunìti, e l’emigrati ’u v’at’e šcordare, e quännu u vinu russu vi vivìti, alla saluta nošra at’e brindare!

Nui puru e frašche ämu carriatu, ppè c’appicciare a Dema a focarina, e ligne ’un änu mäi šcarsiatu, e su’ šbampate fin’alla matina!

E mu’avänti ’un ci reste cchjù nente, chiss’ è n’usänźa ch’ämu e mantenìre! Tenitivìllu tutti quänti a mente, stannichivène ci vogghju venìre!

Ci vegnu ccù na gaccia e nu picunu, a fare ligne e ràriche a šcavare,

ntre Vorde vaju tagghju nu trincunu, vogghju ch’a focarina á de šbampare !

Vèninu puru e Pratu e de Torinu, si ncàcchjin’e Torontu e ncunu e Roma, teniti prontu nu mpagghjat’e vinu, senza fare cummeddia e né ciroma.

E nun mancasse mäncu nu sozizzu, na fella e lardu e vrelli e costarizzi, su’ cose ch’u le trovi a nullu pizzu, vròcculi, baccalà e cipullizzi.

Turuzzu á de sonäre a ceramella, e ntunnu’ a focarina ämu e cantare, äm' e abballare puru a tirantella, allegri nseme a notta ämu e passare.

Veniti paisani a vi šcarfare, e ar assaggiare nu biccheru e vinu, ma nullu mäi s’avisse de šcordare ch’ancora ’un c’è giustiźźia ppe Guerinu!

Ch’ u focu u core vošru coriasse, chissu è l'agùriu ch’ eju oje vi fazzu, e nullu e l'emigrati si šcordasse, s’’ u vegnu a Dema, ccà ci nesciu pazzu!

* Tratto dalla raccolta di poesie dialettali dal titolo a “FRI SCHÌA” pubblicato su Amazon di Nicola Chiarelli

5. PERSONAGGI

Domenico Spina, chiamato Cicchellu,*26.12.1899 -†10.12.1987

Reduce di guerra, contadino e tabaccaio, cugino di Ciciarognu.

La foto è stata ripresa dall’autore allu cänale di Dema , negli anni Settanta, al ritorno di Cicchelludall’Acquarella , subito dopo che aveva dato da bere al suo bell’asino adornato di fiocchi, facendo uso di una bacinella bianca smaltata, prestatasi nel vicinato.

Diolàtu: soprannome di Domenico Foggia *24.04.1913 - † 09.06.2016;

ex špazzinu, cämmisantaru e trappitaru, nonché ex emi- grato in Germania il 1961 nel vecchio bacino minerario della Ruhr a Essen-Kupferdreh, Altendorf ed a Wuppertal-Elberfeld, dove vi rimase per circa 2 anni dopo il suo rientro a Pietrapaola lavorò in un primo tempo “a jurnäte”; dal 1964 in poi fu assunto a tempo indeterminato e dopo 14 anni di servizio, andò in pensione nel 1978. Allora il sindaco era Giovanni Urso.

Il 15 marzo 1940 fu chiamato alle armi e due mesi dopo stazionato in Libia, rimanendovi 2 anni e mezzo, prima di essere trasferito in Tunisia, dove dopo 6 mesi venne fatto prigioniero. Dopo 3 anni di prigionia trascorsa in Algeria, ritornò a Pietrapaola il 29 marzo 1946. A sua detta fu trattato bene, anche se le condizioni igieniche erano catastrofiche ed era assillato da pulci e pidocchi (pùlici e pirucchji).

Da sinistra a destra: Armando Castiglione (Armändu er a Ciucciarella), Domenico Pugliese (Micuzzu e Serbaturu e Mariänna), Giacomo Pugliese (Giacominu e Benänźa), Giuseppe Pugliese (Peppinu e Jureu, chiamato Capichjattu), Mauro Pugliese (Magurellu e Serbaturu e Mariänna), Tommaso Diaco (Tumäsu e Occhjone, detto Toreru). Il bambino in primo piano è un tedesco. La foto è stata scattata verso il 1962 a Belecke (Germania).

(*7.10.1866 - † 9.1.1955)

All’inizio del secolo scorso in uno studio fotografico di Brooklyn (NY/USA).

Zu Nicol’ e Ciarcellu

6. PAROLE

šcogghjutìna: resto, residuo di una merce o di una pietanza; l’azione e il risultato dello šcògghjire; usato soprattutto al plurale: šcogghjutine; s’á liccatu l’ùrtima šcogghjutina chi c’ere rimästa!

šburiàre: svagare, divagare, spassarsela, dilettarsi andando in giro; giruliare. rurulìcchju: piccolo orlo di pane; cantuccio, piccolo rùrulu; m’é mangiatu nu rurulicchj’ e päne ccu na ntij’ e sardella.

ncäntatùru: persona che durante le feste patronali, alla Gghjazza o allu Riu gestiva pubblicamente i ncänti. Il più noto, bravo, spiritoso ed apprezzato ncäntaturu, proprio per le sue indiscusse doti umane e per il suo ben dosato ed equilibrato umorismo, senza mai cadere in esternazioni, era a quei tempi (anni Cinquanta-Settanta) Ottavio Talarico (Mäšr’Ottàviu), il quale con passione, maestria e bravura si dedicava a questo compito, piazzato subb’u gafijìcchju, accanto alla casa canonica, difronte alla chiesa, mentre la piazza era gremita dalla folla di fedeli e festeggianti. Con il suo modo di fare e le sue allegre, spiritose e spesso ironiche battute riusciva non solo a coinvolgere con successo gli spettatori e i partecipanti, ma a destare allegria, arricchendo così l’atmosfera festiva. Un altro arguto e divertente ncäntaturu era dopo il suo rientro dal Canadà, dove era stato emigrato diversi anni, senza dubbio anche Giuseppe Vitale (Peppin’ e Šcorciaciùcciu).

musciulàru: guanciale di maiale; il guanciale, a differenza della pancetta e del lardo, è un tipo di carne percorsa da venature magre (muscolo) con un grasso pregiato e diverso da quello proveniente dal dorso o dal ventre. Come u zicchettalu, è di consistenza più dura e più soda della pancetta, ed ha un sapore tutto caratteristico, per cui si presta alla preparazione di molti condimenti, come per esempio quello usato, nella cucina regionale, per i bucatini all’Amatriciana; inoltre, ed alla faccia del colesterolo, un pezzo di muscialuru con un torso di pane ed un buon bicchiere di vino è qualcosa di estremamente prelibato e squisito, da far venire l’acquolina in bocca.

jettàre: gettare, buttare via; lanciare, tirare, scagliare; assestare; precipitare; fig. svuotare: jettar’ u pisciaturu = svuotare il vaso da notte; va jèttite ntra nu gallunu! = vai a precipitarti in un burrone; bandire, pubblicizzare i bandi: jettar’ u bännu; jettare botte / na botta = fare osservazioni, insinuare; germogliare, gemmare, sbocciare, rampollare: a ficu ch(i) ’ämu nsertatu, è jettata = il fico che abbiamo innestato, è germogliato; è nsertatu nu per’ e pumu, er è già jettatu =

ho innestato un melo ed è già germogliato; e cerase su’ già jettate, ma ancora ’un su’mise = i ciliegi sono gemmati, ma ancora non sono iniziati a maturare i frutti; tirare, assestare, sferrare: ti jettu nu càvuci’ e ti šguàlliru = ti tiro un calcio e ti provoco l’ernia; l’á jettatu na vetticata = gli ha assestato un colpo di bastone; fig. dirigersi, dedicarsi, associarsi, “scendere in”, buttarsi: s’è jettatu ccu li Comunisti; sperperare, dissipare: á jettatu tutt’ i sord’ allu ventu; costruire, mettere le fondamenta: jettar’ a soletta, e funnamente; affaticarsi: á jettat’ u sangu zappennu; piovere/nevicare abbondantemente: sta jettenn’ acqua ccu l’utri = piove a catinelle; fig. andare di corpo, defecare = jettare l’occhji (espressione degli occhi dovuta probabilmente in seguito allo sforzo che si fa in caso di stitichezza); jettare na grirata = emettere un grido; jettar’ allu toccu = tirare a sorte; jettar’ a vacilett’ er finešra = svuotare la bacinella, gettandone il contenuto dalla finestra (non il recipiente!); analalogamente: jettar’u pisciaturu.

jettatùra: stregoneria; fascino, malia, malocchio; fare a jettatura.

gabbàre: beffare; imbrogliare, ingannare, raggirare, truffare; fare fesso qualcuno, magari anche in maniera simpatica; burlare; fig. é gabbatu l’occhju = ho preso in giro l’occhio, nel senso che sono riuscito, seppur brevemente e con espedienti a dormire o almeno a fare un pisolino; statt’attentu ca chissa ti gabbe! chine gabbe, reste gabbatu! = chi pende in giro, resta preso in giro; stavota m’a’ gabbatu, ma e mu’avänti ’u mi gabbi cchjù! si t’ u ricu, ti gabbu! = se te lo dico, ti prendo in giro = non sono certo di ciò che ti dico, non posso assicurartelo; Si vo’ gabbare lu toju vicinu, cùrchite prestu e lèvit’ u matinu! = Se vuoi prendere in giro il tuo vicino, vai a letto tardi ed alzati di mattina presto.

* Tratto dal libro “PIETRAPAOLA”, Manuale di lessico e cultura contadina, pubblicato il 2021 per la Grafosud di Nicola Chiarelli

7. RICETTE

 Sardèlla: Sardina pilchardus, specialità gastronomica composta di piccolissime sarde appena nate, chiamate a Pietrapaola culinure, pescate nelle acque pure e scintillanti del nostro mare, condite con pepe rosso, sia dùciu, che jušchente, circa 90-95 gr. di sale per ogni kg. di pesce e chicchi di jur’e finocchju (fiore di finocchio selvatico), raccolto sulle amene e soleggiate colline di Cuccu ed in tanti altri posti, come p.es. a Chilla Bänna.

Questa straordinaria pietanza può avere anche nomi diversi e variare nella sua composizione in alcuni altri paesi dello Ionio cosentino. A Pietrapaola la sardella si prepara all’inizio della primavera e si conserva in terzaluri di terracotta smaltata, sotto un timpägnu appesantito da un bel còculu. A Crosia ed in qualche paese limitrofo si prepara invece usando, al posto del sale, l’acqua salata della sorgente Scerracavallu, in cui viene lavata e tenuta per un quarto d’ora. Oggi costituisce un ottimo antipasto, da gustare possibilmente come si faceva una volta con della šrazzata, ed in mancanza di questa con del pane fresco, ma comunque con ogghju e cipulle ed un buon bicchiere di vino, abbinandola principalmente d’estate a piantine di cappero non ancora sbocciate e di finocchio, raccolte ancora molto tenere e messe sotto aceto, mentre nel frattempo alcuni buongustai usano la sardella come condimento per la pastasciutta.

Un cibo delizioso come la sardella fino agli anni Sessanta, si mandava di tanto in tanto addirittura ai parenti nella lontana Argentina. In mancanza di recipienti adatti, veniva infatti confezionata in un vecchio barattolo di metallo, della capienza di circa mezzo chilo, che precedentemente aveva contenuto magari conserva di pomodoro, ed al quale il fabbro del paese rudimentalmente risaldava il coperchio, e si affidava a qualche nuovo emigrante in partenza, che si imbarcava a Napoli e che per settimane su un piroscafo attraversava l’Atlantico e la trasportava nel suo bagullu fino a Buenos Aires!

Andare a Pietrapaola e non assaggiare almeno una forchettata di sardella paesana, preparata con amore, passione e maestria basata su secoli di esperienza dalle ingegnose mani delle laboriose donne del nostro paese, è una lacuna gastronomico-culturale imperdonabile!

L’estro e la bravura delle nostre donne, la loro saggezza, nonché l’utilizzo del prodotto fresco appena pescato nel nostro mare in combinazione con eccellenti ingredienti, come il pepe rosso ed il fiore di finocchio, ne fanno una creazione di tale raffinatezza e qualità, in cui si è stratificato nel corso dei secoli un sapore

unico ed ineguagliabile, da far venire a chiunque l’acquolina in bocca e rendono la sardella, che è sopravvissuta, grazie a Dio, al trapasso dalla civiltà contadina a quella consumistica, uno dei prodotti ancora più genuini del nostro territorio e della gastronomia pietrapaolese.

Un oltraggio al gusto ed alla cultura della sardella sono oggi purtroppo imitazioni e contraffazioni commerciali che portano tale nome, sebbene siano prodotte a base di pesce ghiaccio, un pesce di acqua dolce della lunghezza di diversi centimetri e per giunta di dubbia provenienza cinese, di cui si dovrebbe in ogni caso stare alla larga! anche sarda.

Ricetta originale fornita da Maria Pace per preparare la sardella (bianchettoorosamarina):

“1 kg. di sardella, 105 gr. di sale, con pepe rosso macinato, semi di finocchio selvatico.

Procedimento: lavare bene e mettere a scolare per eliminare l’acqua in eccesso, salare e pepare. Dopo cinque o sei ore speziare e mettere in un contenitore, tenere in frigo.

Anticamente i contenitori erano di ceramica (terzaluru), o di legno di castagno. Si metteva sopra la sardella nu timpagnellu di legno e nu còculu pesante di granito.

Oggi viene salata la “rosa marina”, ma prima si salava la sardella “vestuta a pämpinella e olivu”, perché la conservazione, in mancanza di frigorifero, era assicurata per tutto l’anno. Se si seccava, si faceva la salamoia (acqua e sale) e si aggiungeva ogni tanto”.

Sozìzzu: salsiccia; uno dei migliori e più eccellenti prodotti che si ricavavano dalla lavorazione della carne di “Sua Maestà” il maiale dopo la sua cruenta uccisione.

La preparazione dei sozizzi a Pietrapaola incominciava con la scelta della carne, proveniente preferibilmente dalla spalla, perché più rossastra. Una volta si tagliuzzava a mano, con pazienza, calma ed ingegno, ovvero con il coltello e senza tritarla, perché allora non c’erano macchinette tritacarne. Seguiva l’impasto con la dovuta ed adeguata quantità di sale di circa 25 gr per ogni chilo di carne, anche se alcune donne potevano usarne qualche grammo in più, pepe rosso, sia dolce che piccante, a seconda dei gusti, e chicchi di jur’e finocchju, sopra un jestinu, su cui dopodiché si conservava l’impasto coperto per tutta la notte, ad evitare anche che vi si posasse qualche mosca.

Il giorno seguente, dopo un secondo ed ultimo rimpasto, si procedeva ad un assaggio, friggendolo in una piccola padella (fressurella), per aggiungervi, se necessario, ancora del sale o del pepe rosso, e si procedeva quindi all’insaccatura nell’intestino naturale.

L’insaccamento della “pasta”, negli intestini (stentini/stentine), avveniva naturalmente a mano, usando un piccolo imbuto speciale, munito di un tubo piuttosto corto e con un diametro di circa 3 cm, nel quale si spingeva l’impasto, premendolo verso l’interno con il dito pollice. Gli intestini venivano precedentemente lavati e puliti dalle laboriose donne, con scrupolo e maestria, e per ore intere all’acqua corrente e fredda della Frischìa, usando succo di limone e bucce di ränciu, un tipo di arancia selvatica non commestibile, ma molto acre ed aromatica, che fungevano sia come disinfettanti, ma anche ad eliminare sgradevoli odori residui. Nel corso dell’insaccamento, e per evitare la formazione di sacche d’aria ed un conseguente deterioramento, gli intestini si foravano con un ago, cosa che si lasciava fare spesso con piacere ai bambini presenti, mentre le loro due estremità schiudevano ermeticamente stringendole con uno spago. A questo punto i singoli sozizzi, chiamati allora corde, della lunghezza di circa un metro, si appendevano ad asciugare e stagionare su una pèrtica. Dopo qualche giorno si potevano già arrostire allo spiedo, al di sopra della brace e con fiamma bassa, lasciando gocciolarsu una fetta di pane (fresa) il grasso fuoruscente, che si colorava di rosso per la presenza del pepe. In primavera i pochi sozzi, che erano rimasti, per conservarli il più a lungo possibile, si mettevano in un terzaluru, sotto olio, oppure nel grasso, ricavato dalla panźagghja e conservato apposta a tale scopo.

I sozizzi prodotti oggi con la carne che si compra in macelleria e che proviene spesso da allevamenti tedeschi e olandesi e sicuramente da maiali non allevati allo stato brado, per quanto buona possa essere, non hanno più il sapore di una volta, ma neanche la dovuta consistenza, proprio perché oggi si usa carne tritata e non più tagliuzzata a mano! Sono anche più corti di una volta, per cui spesso non si usa più il termine corda, ma si dice caparellu, cordelluzza, mposta, vùccula, ecc.

Per quanto riguarda la loro conservazione, oggi si mettono spesso sotto vuoto e si tengono in frigorifero, in modo da poterli così consumare anche d’estate.

Nota: il termine sozizzi indica nel dialetto di Pietrapaola in senso figurato le varici o le vene varicose visibili soprattutto sulle gambe di alcune donne di una certa età e la cui formazione secondo un’infondata credenza popolare era dovuta alla lunga esposizione al calore del focolare!

Fraseologia: Chi ti volu fare stozze stozze com’i sozizzi!

* Tratto dalla raccolta di poesie “A FRI ŠCHÌ A,” pubblicato su Amazon”, di Nicola Chiarelli

8. GLI AMMINISTRATORI

Periodo Primo cittadino Partito Carica

1946 1952 Francesco Passavanti Democrazia Cristiana SINDACO

1952 1956 Giovanni Urso Democrazia Cristiana SINDACO

1956 1960 Francesco Passavanti Democrazia Cristiana SINDACO

1961 1970 Giovanni Urso Democrazia Cristiana SINDACO

1970 1972 Francesco Passavanti Democrazia Cristiana SINDACO

1972 1982 Francesco Mazziotti Partito Socialista Italiano SINDACO

1983 1985 Michele Longo Democrazia Cristiana SINDACO

1985 1990 Matteo De Luca Partito Socialista Italiano-Partito Comunista Italiano SINDACO

1990 1993 Luciano Pugliese Democrazia Cristiana SINDACO

1993 Emanuela Greco COMMISSARIO STRAORDINARIO

1993 1996 Luciano Pugliese Partito Popolare Italiano- Democrazia Cristiana SINDACO

1996 1997 Carolina Ippolito COMMISSARIO PREFETTIZIO

1997 2002 Matteo De Luca Socialisti Italiani-Partito Democratico della Sinistra SINDACO

2002 2007 Giandomenico Ventura Forza Italia SINDACO

2007 2012 Giandomenico Ventura Lista civica "Insieme per Crescere" SINDACO

2012 2017 Luciano Pugliese Lista civica "L’altra Pietrapaola" SINDACO

2017 Alberto Grassia COMMISSARIO PREFETTIZIO

2017 2020 Pietro Nigro Lista civica "Pietrapaola Nuova" SINDACO

2020 Umberto Campini COMMISSARIO PREFETTIZIO

2020 2022 Pietro Nigro Lista civica "Pietrapaola Nuova" SINDACO

2022 in carica Manuela Labonia Lista civica "Tradizione e Futuro" SINDACO

*Fonte Wikipedia

SiringraziailnostroconcittadinoNicolaChiarelliperlacollaborazione.

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