ANNO 2 | NUMERO 3 / 2024 p/06
LE TANTE VIE DEL CIBO
LíItalia che cucina tutti i sapori del mondo

p/52 ó Il men˘ di Verdi e Puccini. La passione "gustosa" per la lirica italiana. Anche a tavola.
p/58 ó
Dalla burrata alle lenticchie. Un viaggio alla scoperta di tutti i prodotti certificati della Puglia. p/64
ó Primo, non sprecare! Nasce il patto tra insegne del retail e prodotti di marca.

UN VASETTO DI BIODIVERSITÀ



Noi di Mielizia ci impegniamo ogni giorno con i nostri partner della distribuzione. Siamo l’unica filiera del miele in Italia, con oltre 600 apicoltori e 110.000 alveari. Da sempre difendiamo le api, consapevoli del ruolo fondamentale dell’apicoltura nell’ecosistema. Condividiamo la nostra lotta in difesa della biodiversità del territorio italiano. Garantiamo una produzione tracciata e di alta qualità, che soddisfi i consumatori anche per i suoi principi. Diffondiamo un nuovo modo di lavorare e di crescere, naturalmente rispettoso, rivolto al futuro. Perché in ogni vasetto di Mielizia c’è tutto il nostro impegno, e si sente. Condividilo con noi.
Irene, socia apicoltrice Conapi. I
EDITORIALE di Giorgio Santambrogio
IL TEMPO DI FARE LA SPESA
Il tempo di fare la spesa
Ë come fare lo scontrino delle nostre scelte e dei nostri desideri
Ho letto che alla Lawrence University, nel Wisconsin, il corso più seguito degli ultimi anni è “Doing nothing” e insegna l’arte di non far niente. Non mi ha sorpreso. Perché liberarsi dall’ossessione del fare è tempo guadagnato alla vita, una sorta di lusso accessibile. Il tempo, il tempo, il tempo. Il nostro caro vecchio tempo. Che è unico, insostituibile, intimo, personale. Abbiamo bisogno di lui, non possiamo perderlo, e lui se ne approfitta, ci tratta male, spesso passa invano. Diceva Tiziano Terzani: «Ormai nessuno ha più tempo per nulla. Neppure di meravigliarsi, inorridirsi, commuoversi, innamorarsi, stare con sé stessi». Per vincerlo, cerchiamo di occupare quello degli altri. Ma alla fine il tempo scopre sempre la verità, non è mai un amico fedele, è crudele, a volte troppo lento, altre troppo veloce. Spesso, addirittura, il tempo non ha tempo. Spesso è solo un orologio. Ci sono storie che aspettano l'inizio del tempo e storie che ne aspettano la fine. In mezzo ci sono solo le tante contraddizioni del nostro modo di vivere "lentamente" il nostro tempo "veloce".
Prendiamo il tempo di fare la spesa. Non lo calcoliamo, andiamo sempre troppo di fretta, non ci prendiamo il tempo giusto per scegliere, informarci, chiedere consiglio.
ìEppure quello che compriamo ci definisce, racconta chi siamo, la cura che mettiamo nel nostro cibo Ë la cura che mettiamo per il nostro benessereî
Il tempo di fare la spesa è come fare lo scontrino delle nostre scelte e dei nostri desideri. Noi che con Gruppo VéGé accogliamo milioni di persone nei nostri punti di vendita sappiamo cosa fare. Dobbiamo offrire il nostro tempo e chiedere in cambio ai nostri clienti un po' del loro. Solo così aumenta la fiducia e le scelte saranno sempre più precise, dettagliate, consapevoli, responsabili, sostenibili. In fondo l'acquisto di un prodotto è la soddisfazione di un desiderio. E i desideri sono l'espressione del nostro tempo più intimo e profondo.
Il tempo di fare la spesa è un incontro non casuale con i nostri bisogni quotidiani. Il giusto tempo per fare gli acquisti è sinonimo di convenienza. È la felicità di una piccola cosa.

p/12
GLI AGRUMI DALLíASIA
Mille volti e tantissimi benefici nutrizionali
p/06
TUTTO IL
MONDO
TAVOLA, ECCO LA VERA CUCINA ITALIANA


p/52
PUCCINI, VERDI E ROSSINI
Quando l’opera racconta il gusto del cibo
DA ALTAMURA A ZOLLINO
L’Alfabeto dei
sapori di puglia




p/77 RICETTARIO
p/74
OHI VITA
La Feta DOP Ohi Vita ha una storia tanto ricca quanto il suo sapore genuino
Le migliori ricette ispirate dalle storie di Mi Alimento


Mi Alimento
Anno 2 | Numero 3 - 2024
Periodico di proprietà di VéGé Retail s.r.l.
Edito da Mediaformat Comunicazione s.r.l
Direttore Responsabile
Paolo Marcesini
COMITATO DI REDAZIONE
Giorgio Santambrogio, Francesca Repossi, Eleonora Matteucci.
Coordinamento editoriale per VéGé Retail s.r.l. Eleonora Matteucci
HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO:
Andrea Begnini (redazione), Laura Colleo, Nea Delucchi, Sirio Fusani (graphic design), Luisa Mantero (digital), Diego Parassole, Riccardo Piferi, Nicolò Pistone, Andrea Segrè, Davide Vivaldi (redazione)
PER LA PUBBLICITÀ SU QUESTE PAGINE:
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Registrazione Tribunale di Firenze n. 4964 del 15/05/2000
Mi Alimento/ Supplemento di VéGé Per Voi

TUTTO IL MONDO IN TAVOLA, ECCO LA VERA CUCINA ITALIANA
di Andrea Begnini

PATATA, POMODORO E CACAO
DAL SUD AMERICA, RISO, PESCA E
AGRUMI DALL'ASIA, KIWI SEMPRE
DALL'ASIA PASSANDO PER L'OCEANIA
E L'ANGURIA DALL'AFRICA. UN RICCO
MOSAICO DI PRODOTTI E SAPORI CHE, VIAGGIANDO DAI CONFINI DEL MONDO, HANNO ARRICCHITO I NOSTRI PIATTI
INTEGRANDOSI NELLE TRADIZIONI
REGIONALI. SCOPRIAMOLI ASSIEME.
La cucina italiana è un affascinante mosaico di influenze da tutto il mondo, dove ogni ingrediente racconta una storia di viaggi, scambi culturali e adattamenti gastronomici. Esploratori come Cristoforo Colombo e Marco Polo, incontri culturali, occupazioni militari, ogni esperienza e contatto ha arricchito profondamente la nostra cucina con prodotti all'inizio esotici che sono diventati pilastri della tradizione culinaria del nostro Paese.
Prendiamo il pomodoro, arrivato dal Nuovo Mondo nel Sedicesimo secolo Inizialmente visto con sospetto e usato come ornamento, si è trasformato in uno dei simboli della nostra identità gastronomica grazie alle mani dei cuochi del Sud Italia. Qui, ha trasformato la pasta in un piatto ricco e profondo e la pizza in un'icona culinaria riconosciuta in tutto il mondo. La patata, un'altra importazione dal Sud America, ha seguito un percorso simile, inizialmente sottovalutata per poi diventare protagonista in piatti importanti come il purè e gli gnocchi
Il riso, introdotto dall'Asia, ha trovato terreno fertile nelle pianure del Nord, dando vita a piatti come il risotto, che varia da regione a regione, da quello alla milanese con lo zafferano a quello ai frutti di mare tipico delle zone costiere. Gli agrumi, arrivati dall'Asia, hanno abbracciato in fretta il nostro clima mediterraneo, dove sono diventati essenziali non solo nella cucina quotidiana, ma anche nella produzione
di liquori come il limoncello. Il kiwi, pur essendo una scoperta più recente e avendo viaggiato dall'Asia attraverso l'Oceania, è stato rapidamente adottato, soprattutto nelle regioni settentrionali, diventando un frutto amato per la sua freschezza e il suo apporto vitaminico Oppure, ancora, ecco l'anguria, originaria dell'Africa, che da noi ha saputo trovare un clima ideale per la coltivazione. Amata per la sua freschezza, è diventata protagonista di festeggiamenti estivi e picnic. Nella gastronomia italiana, l'anguria non è solo un frutto da consumare al naturale, ma si presta anche a sorprendenti abbinamenti come insalate con feta e basilico, in cocktail rinfrescanti o sfruttando anche il suo spesso strato bianco interno, per preparare sottaceti o marmellate
Curiosamente, molti di questi prodotti hanno iniziato il loro viaggio in Italia
IL POMODORO ERA CONSIDERATO TOSSICO
FINO A QUANDO NON FU ADOTTATO COME
ALIMENTO SICURO E LA STESSA PATATA, ALLA
SUA INTRODUZIONE IN EUROPA, ERA VISTA PIŸ COME UNA NOVIT¿ DA
GIARDINO CHE NON COME
IL CIBO NUTRIENTE CHE
CONOSCIAMO OGGI.

come curiosità botaniche o addirittura come medicine, prima di essere riconosciuti come alimenti. Il pomodoro, ad esempio, era considerato tossico fino a quando non fu adottato come alimento sicuro e la stessa patata era vista più come una novità da giardino che non come il cibo nutriente che conosciamo oggi. L'adattamento di questi ingredienti nelle cucine regionaliitaliane mostra la grande creatività e l'abilità degli italiani di fare proprie le novità, trasformandole in qualcosa di unicamente italiano. Che si tratti di un risotto profumato allo
zafferano o di una pizza margherita vibrante e gustosa, l'integrazione di questi prodotti nella dieta italiana parla della loro capacità di abbracciare e innovare, mantenendo sempre un legame profondo con le tradizioni. Senza dimenticare che la storia di questi prodotti rappresenta un bell'esempio di come la cucina sia sempre un ponte tra culture diverse, con ingredienti che viaggiano attraverso continenti per trovare una nuova casa, arricchendo le tavole e le vite di chi li adotta.





TUTTI GLI AGRUMI CHE VENGONO
DALL’ASIA
Profumatissimi, coloratissimi e dalle tante variet‡, sono oggi uno dei simboli tipici dellíarea mediterranea, pur conservando le originarie caratteristiche asiatiche. La loro grande versatilit‡ in cucina permette di utilizzarli in molte e diverse preparazioni gastronomiche, che valorizzano le numerose propriet‡ nutrizionali che li contraddistinguono.
Dall’Estremo Oriente al Mediterraneo: il viaggio
Appartenenti alla famiglia delle Rutacee, e precisamente al cospicuo genere dei sempreverdi Citrus, gli agrumi sono originari del Medio e dell’Estremo Oriente a seconda delle varietà. Conosciuti e introdotti in Grecia già nel 300 a.C. a seguito delle conquiste di Alessandro Magno, è però quando gli arabi li portano in Spagna intorno al X secolo che effettivamente si radicano in maniera più marcata nel continente europeo. Inizialmente apprezzati soprattutto come piante ornamentali e officinali, la coltivazione degli acrumen a fini alimentari prende piede nell’area mediterranea tra XVIII e XIX secolo, quando si intuisce il vantaggio economico della loro commercializzazione e si diffonde la conoscenza delle loro molteplici proprietà benefiche
Le varietà di agrumi oggi più conosciute e utilizzate nella gastronomia italiana – arancia (dolce e amara), mandarancio, clementina, limone, pompelmo, mapo – sono differenti per gusto, colore, forma e dimensione e hanno tutte origine da selezioni naturali, ibridazioni e mutazioni spontanee dei tre capostipiti di questa particolare tipologia di frutti, ovvero il cedro, il mandarino e il pomelo. Provenienti rispettivamente da India e Birmania, Cina e Indocina, questi frutti (chiamati esperidi) sono presenti nella loro area di origine da tempi remotissimi (le prime testimonianze scritte risalgono a più di 4000 anni fa).
Altri agrumi di abituale consumo sono il lime o limetta (Citrus aurantifolia), originario di Malaysia e India, il chinotto (Citrus myrtifolia), proveniente dalla Cina, e il bergamotto (Citrus bergamia), la cui origine è incerta.
C’è inoltre un ulteriore gruppo di agrumi asiatici il cui utilizzo, pur entrato in epoca recente nelle abitudini di consumo europee, sta prendendo sempre più piede: lo yuzu (Citrus junos), un agrume che cresce spontaneamente in Corea e in Tibet, rotondo e di colore giallo, dall’aroma tra il mandarino e il bergamotto, assai diffuso nelle cucine orientali che si stanno sempre più affermando in Occidente; la mano di Buddha (Citrus medica), internazionalmente conosciuto come finger citron, il cui nome si deve alla sua singolare forma, con gli spicchi gialli a forma di dita sviluppati intorno al corpo centrale del frutto, quasi totalmente privo di succo ma dalla polpa molto aromatica; il kumquat o mandarino cinese (Citrus japonica), il piccolo bonbon ovale dalla buccia liscia e sottile e dal colore arancione brillante da mangiare intero in un sol boccone, di cui oggi è piuttosto diffusa la coltivazione in casa.
Agrumi essenziali per il corpo…
Gli agrumi hanno una composizione nutrizionale estremamente preziosa per sostenere e garantire il benessere psicofisico dell’organismo. Rinomatamente, mangiare agrumi è raccomandato in modo particolare durante l’inverno, in quanto la barriera difensiva che arance & co. aiutano a comporre è importante per contrastare virus e batteri influenzali tipici di questa stagione. In realtà, visto che le varietà di agrumi, così numerose, possono essere disponibili lungo tutto l’arco dell’anno, è bene non farle mai mancare nel consueto e abituale regime alimentare. Un consumo costante di questi portentosi frutti assicura un completo apporto dei loro nutrienti essenziali, che aiutano a rafforzare le difese immunitarie necessarie a mantenere un buono stato di salute generale. Ipocalorici e privi di grassi, gli agrumi presentano infatti un elevato valore nutrizionale: sono colmi di vitamine (A, B e soprattutto C), che oltre a supportare il sistema immunitario svolgono importanti funzioni protettive, di minerali indispensabili quali potassio, calcio, magnesio e fosforo, e di antiossidanti
…e agrumi irrinunciabili per il palato
In ambito culinario, gli agrumi sono dotati di grande versatilità: il succo, la polpa e la scorza possono essere impiegati in numerose ricette, da adattare alle
più svariate situazioni e ai diversi pasti della giornata. Dalla semplice e pratica spremuta al loro consumo al naturale, da ingrediente di base per marinature, salse e condimenti alle classiche marmellate o conserve, da impiegare per arricchire una semplice insalata o per realizzare farciture e guarnizioni in gelateria e pasticceria, per ricavare oli essenziali, aromi naturali e liquori o per ottenere canditi. Senza dimenticare che l’accostamento di agrumi e ingredienti salati – come spezie, formaggi dal sapore deciso o piatti di carne e pesce – può aggiungere sfumature di gusto a tantissime preparazioni, per arricchirle e caratterizzarle con note più dolci o più acidule a seconda dell’agrume che si sceglie di utilizzare.
RICETTA
Marmellata di arance

RICETTA Gelo di mandarino



Dedicata a Bonaventura Maschio, fondatore dell’azienda di Gaiarine, nato nel 1903, le cui ricerche e il cui lavoro hanno costituito una pietra miliare nel campo dell’attività distillatoria.





Un perfetto equilibrio tra vinacce diverse distillate in speciali alambicchi ripropone la sensibilità ed il metodo originario di Bonaventura Maschio per un risultato eccezionalmente armonico.

Dopo la distillazione La Grappa 903 Barrique osserva un rigoroso invecchiamento in legno per un minimo di 12 mesi, di cui almeno 6 in preziose barrique, fonte dei suoi inimitabili aromi terziari.









L'anguria, o cocomero che dir si voglia, Ë uno dei frutti pi˘ popolari e apprezzati, soprattutto díestate. Per la sua forma e i suoi colori, Ë da sempre protagonista delle nostre tavole, ma anche in campo artistico, come ad esempio nelle tele di Caravaggio e Matisse o nelle raffinate opere d'intaglio in cui Ë l'anguria stessa a farsi opera d'arte. Un frutto con il doppio nome sin dai tempi antichi, dal momento che ìcocomeroî deriva dal latino ìcitrullus vulgarisî, mentre ìanguriaî dal greco ìangurionî; nomi dalla diversa radice, per un frutto arrivato in Europa grazie agli Arabi. E sinonimo di convivialit‡, date le sue dimensioni importanti che lo rendono perfetto per essere consumato in condivisione. Scopriamone tutti i segreti e le curiosit‡.
Anguria, una storia millenaria che si ritrova anche nella Bibbia
L'anguria è un frutto consumato fin da tempi remoti, come testimoniano alcuni geroglifici egizi risalenti a circa cinquemila anni fa. Secondo la religione egizia il cocomero, poiché generato dal seme del dio Seth (divinità dei morti), avrebbe proprietà utili al sostentamento dei defunti nell'aldilà, perciò veniva posto nelle tombe dei faraoni. Altra testimonianza della provenienza africana del cocomero si trova nientemeno che nella Bibbia, quando si parla del pellegrinaggio degli ebrei che, durante la traversata del deserto del Sinai, rimpiangevano le angurie mangiate in Egitto. In origine, però, il cocomero non veniva coltivato per la sua polpa, bensì per i semi. Le angurie ancestrali presentavano, infatti, dimensioni più ridotte, poca polpa e dei semi molto grossi che, come quelli di oggi, erano molto nutrienti e saporiti. Nel 2022, un team di ricerca della Washington University di St. Louis ha studiato alcuni semi fossili ritrovati in Libia e risalenti a circa seimila anni fa. Questi semi, provenienti di certo da esemplari coltivati, presentavano segni di denti umani, a conferma del loro uso alimentare che, secondo i ricercatori, avveniva facendo asciugare i semi all'aria, per poi essere bolliti o arrostiti.

Dopo che l’anguria viene introdotta in Europa dagli arabi, a partire dal XII secolo in avanti, la sua coltivazione si diffonde ovunque ci sia un clima adeguato alla crescita, temperato e con abbondante disponibilità di acqua, luce e calore. Oggi, la varietà più diffusa globalmente è la Crimson Sweet, dalla forma tondeggiante e allungata e di colore verde chiaro con strisce di un verde più scuro. Un'altra qualità molto apprezzata ultimamente è la Sugar Baby, piccola, tonda e di colore verde scuro.
Acqua, vitamine e benessere nella polpa rossa e dolce dell’anguria
I benefici dell'anguria sono innumerevoli. Anzitutto, il cocomero è formato per il 93% da acqua, rendendolo perfetto per reintegrare i liquidi e i sali minerali persi con la sudorazione durante le giornate più calde e per depurare l'organismo. Inoltre, ciò lo rende un frutto ipocalorico e dall'elevato potere saziante, perfetto per chi pratica un regime alimentare controllato.
Interessante è anche la presenza di licopene nelle angurie, abbondante anche nei pomodori e utile sotto tanti punti di vista al nostro organismo, a partire dall’apparato circolatorio. I cocomeri sono, inoltre, importanti per contribuire a rafforzare il sistema immunitario e a migliorare aspetto e lucentezza di pelle e capelli, grazie alle vitamine A e C e al potassio, fosforo e magnesio che contengono.

Sebbene l'anguria faccia molto bene e contenga pochissime calorie, è bene non esagerare nel consumo, anche in considerazione della significativa presenza di zuccheri
Spiedini, pizze e ghiaccioli, l’anguria a tutto pasto
L'anguria è un frutto molto versatile in cucina che, oltre a essere perfetto consumato così com'è – a fette, a cubetti, oppure ricavando delle piccole sfere con uno scavino – può arricchire diverse ricette con la sua inconfondibile freschezza e la sua consistenza croccante. I cocomeri possono facilmente essere trasformati in gelato, ghiaccioli, granite o sorbetti, oppure semplicemente tagliati a fette triangolari, infilzate su uno stecco e ricoperte di cioccolato per creare una gustosa merenda per i più piccoli.
Anche nelle preparazioni salate l'anguria trova diverse applicazioni interessanti. Durante l'aperitivo, dove può diventare uno squisito finger food, magari facendo dei piccoli spiedini con feta, cetriolo e menta, oppure per creare delle gustose insalate. Come quella a base di anguria, ravanelli, olive nere, basilico, succo di limone, olio EVO e sale o quella condita con rucola, feta, cipolle rosse e aceto di mele. Ma non è tutto. Il cocomero può anche sposarsi alla perfezione con alcuni piatti di pesce, ad esempio in abbinamento ai crostacei, oppure con i carpacci di carne, meglio se carni grasse quali l'anatra.
Sui social, poi, è molto popolare la cosiddetta “pizza d'anguria”, realizzata tagliando una fetta rotonda un po’ spessa e condendola con frutta a piacere, magari yogurt, qualche granella o scaglie di cioccolato. Oppure, altra idea divertente e di facile realizzazione è l'anguria "ubriaca", la cui versione più semplice consiste nel tagliare la sommità del cocomero, scavare la polpa e infine aggiungere la vodka mischiandola con la polpa ridotta in pezzi.
RICETTA
Insalata di anguria alla greca
RICETTA
Ghiaccioli di anguria al rum

» amato da tutti, grandi e piccini, e declinato in cosÏ tante
versioni e preparazioni, sia da bere che da mangiare, che sembra impossibile sia presente nella nostra alimentazione da appena cinquecento anni. Come facevamo prima?
Dall’amara bevanda precolombiana alle tante forme del nostro cioccolato
Il merito di aver scoperto il cacao si deve ai Maya e agli Aztechi, le antiche civiltà che abitavano l’America centrale e meridionale prima dell’arrivo di Cristoforo Colombo. Questi popoli conoscevano i semi del cacao fin dal 1000 a.C. e li usavano sia per ottenere una bevanda energizzante, sia in occasione di riti sacri e religiosi, ma anche come medicamento e come moneta di scambio. Dalla speziata e amara xocoatl azteca all’odierno cioccolatino il passo è breve: la nomea dei tanti benefici e dellaprelibatezzadelcacaosiespanderapidamenteanche in Europa, dopo che gli esploratori spagnoli lo portano a Siviglia verso la fine del XVI secolo. Anche nelle corti reali spagnole ed europee inizialmente viene consumato
come bevanda – sofisticata e di lusso –, cui viene aggiunto zucchero per renderla più gradevole. Velocemente il cacaorientradibuongradonellagastronomiadelVecchio Mondo, dando vita a una vera e propria rivoluzione del gusto.Ilsuccessodiquestopreziosoalimentovieneinfatti attestato da Linneo, il medico e naturalista svedese che classifica la pianta del cacao con il nome di Theobroma cacao, ossia “cibo degli dei”. Coltivata in zone dal clima caldo e umido (specialmente America Latina, America del Sud e Africa tropicale), è una pianta che fruttifica perennemente; la raccolta avviene però solitamente una o due volte nel corso dell’anno. Il frutto del cacao (detto cabossa), lungo una ventina di centimetri e di colore bruno-rossiccio a maturazione, contiene una pasta molle dal sapore acidulo, nella quale sono immersi i semi (le fave di cacao). Questi vengono estratti e spremuti per
ricavare il burro di cacao, oppure fatti fermentare –perunperiodochepuòvariaredai10ai30giorni–per permettere il totale distacco della polpa e conferire loro il massimo aroma, quindi lavati, essiccati, tostati e macinati per ottenere il cacao in polvere
Goloso è goloso ma il cioccolato può fare anche bene, ad esempio all’umore
Rinvigorente, energizzante e alleato del buon umore, il cacao presenta numerose proprietà nutrizionali, che svolgono importanti funzioni volte al benessere fisico e psichico dell’organismo. Tanto che il consumo (moderato) di cioccolato fondente ad alta percentuale di cacao è ormai diffusamente consigliato e anzi raccomandato, grazie ai numerosi benefici che apporta alla salute.
Alimento ricco e complesso, il cacao è una buona fonte di vitamine (soprattutto dei gruppi B ed E) e di minerali essenziali (magnesio, ferro, zinco); inoltre è ricco di flavonoidi, potenti antiossidanti dalle proprietàprotettiveeantinfiammatorie,cheinsieme al significativo contenuto di acidi grassi essenziali (circa il 50% della composizione nutrizionale) possono contribuire a sostenere le funzionalità del sistema immunitario e cardiovascolare. Inoltre, il cacao contiene caffeina e teobromina (un alcaloide simile alla caffeina), che hanno effetti stimolanti sul sistema nervoso centrale
Dolci, gelati e cioccolatini ma anche tanti abbinamenti con il salato
Il cacao è un vero e proprio alimento, utilizzabile in cucina per una grande varietà di preparazioni, sia in formadipolveredicacao–amaraodolce–siadiburro dicacao,un grasso100%vegetaledicoloravorio che trovalargoimpiegoincosmeticaeincucina.Inambito culinario, il burro di cacao, inodore e dal sapore neutro, estratto con processi totalmente naturali senza uso di additivi chimici, è un ottimo sostituto del burroottenutodallatteanimale,utilizzatosoprattutto nella produzione dolciaria (prevalentemente per produrre cioccolato) e per impasti di base come
pasta frolla e pasta sfoglia, ma anche per mantecare, cucinare e friggere (ha un alto punto di fumo).
L’impiego del cacao in polvere è comunemente diffuso per la realizzazione di budini, mousse, creme al cucchiaio, torte, biscotti e in tanti dessert tipici della tradizione dolciaria italiana, come il tiramisù e il mascarpone. È comunque diffuso anche il suo uso in preparazioni salate, per esempio per addolcire le note selvatiche di piatti a base di selvaggina, per aggiungere un tocco sfizioso al ripieno di tortelli e ravioli o in contrasto a sapori delicati, come per esempio la zucca, o più decisi, come formaggi erborinati. L’abbinamento del cacao con sapori decisi (dal peperoncino ad altre spezie ai peperoni cruschi) ne arricchisce l’aroma e dona carattere e originalità alle preparazioni. Il cacao è anche la base per bevande, dalla classica cioccolata calda al semplice latte con cacao a liquori e creme alcoliche da sorseggiare.
RICETTA
Pasta fresca al cacao

RICETTA
Salame di cioccolato

IL COUS COUS, UN PIATTO TESTIMONE DI INTEGRAZIONE
CONDIVISIONE
CHE DA NOI HA TROVATO CASA
Questo piatto, nato dalle tradizioni mediorientali e nordafricane, ha trovato una seconda casa nel nostro
Paese, dove Ë apprezzato per la sua versatilit‡, il gusto e i benefici nutrizionali. Scoprendo la storia del cous cous,
le sue propriet‡ benefiche e la sua diffusione in Italia, Ë facile comprendere come sia potuto diventare un elemento chiave anche delle nostre ricette.
La storia del cous cous, tra re Salomone e i berberi del Maghreb
Il cous cous ha origini antiche, che si possono ipotizzare risalire tra l’Africa subsahariana e le coste dell'odierno Maghreb. È costituito da semola di grano duro lavorata con acqua per creare piccoli granelli che vengono poi cotti al vapore. La storia del cous cous è intessuta di rituali e leggende, come quella del re Salomone che lo consumava per alleviare le pene d'amore.
Originariamente, e ancora spesso, questo piatto veniva e viene condiviso tra i commensali direttamente dal piatto comune, utilizzando le mani. Un metodo di consumo che riflette un forte senso di comunità e condivisione, elementi che ancora oggi caratterizzano la cultura del cous cous le cui prime tracce documentate raggiungono, in epoca medioevale, i berberi del Maghreb che lo consumavano tra gli alimenti principali. In questi territori, il cous cous veniva preparato con ingredienti semplici come cereali, verdure e carne di montone. Nel corso dei secoli, il cous cous ha attraversato molte culture e civiltà, adattandosi alle tradizioni culinarie locali. La sua diffusione è stata facilitata dalle rotte commerciali e dalle
migrazioni, che hanno portato questo piatto anche in Europa.
Versatilità, benessere e gusto, proprietà e benefici del cous cous
Il cous cous è un alimento estremamente versatile e nutriente. A differenza di altri carboidrati, ha un basso contenuto calorico ma un alto potere saziante, grazie alla sua capacità di assorbire una grande quantità di acqua durante la reidratazione.
Questa caratteristica lo rende ideale per diete equilibrate e per chi cerca un'alternativa leggera alla pasta. Inoltre, il cous cous è ricco di fibre, vitamine e minerali, contribuendo al benessere generale. La facilità di preparazione e la capacità di abbinarsi a una vasta gamma di ingredienti, dai legumi alle verdure, dalle carni ai pesci, lo rendono un'opzione perfetta per qualsiasi pasto.
Un altro aspetto interessante del cous cous è la sua capacità di adattarsi a diverse esigenze alimentari Esistono varianti a base di grano integrale, mais, riso e persino legumi, rendendo questo piatto adatto anche a chi segue diete di vario genere. Il cous cous può essere utilizzato come base per piatti freddi, insalate, zuppe e persino dolci,

dimostrando una versatilità unica nel panorama culinario.
L'arrivo del cous cous, in Sicilia e sulle coste sarde dell'isola di San Pietro
Il cous cous arriva in Europa grazie alle rotte commerciali del Mediterraneo, diffondendosi in Italia a partire dalla metà del 1700, specialmente in Sicilia e Sardegna. In Sicilia, il cous cous è diventato un simbolo della fusione tra le culture locali e quelle dei mercanti tunisini. Il "cous cous alla trapanese" è, infatti, una variante locale preparata con semola di grano duro lavorata a mano e cotta a vapore, condita con un brodo di pesce. Questa ricetta, nata dai pescatori che utilizzavano gli scarti del pesce, è oggi una prelibatezza molto apprezzata.
In Sardegna, il cous cous è conosciuto come "cascà" e viene preparato con verdure e spezie locali, senza la carne tipica della tradizione araba e il pesce della tradizione sicula. E partendo, probabilmente, dall’isola di San Pietro, dove viene introdotto con la fondazione della città di Carloforte nel 1738 da parte di pescatori di corallo liguri in arrivo dall'isola di Tabarka di fronte alle coste tunisine. Senza dimenticare che esiste anche una tradizione livornese del “cuscussù”, portata probabilmente in città dagli ebrei sefarditi, che viene condita con verdure in umido e polpette
di vitello. Tutti esempi che raccontano come il cous cous si sia integrato nelle tradizioni culinarie locali, adattandosi ai prodotti del territorio. La diffusione del cous cous in Italia è, infatti, stata favorita anche dalla sua semplicità di preparazione e dalla possibilità di creare varianti regionali, ognuna con le proprie caratteristiche uniche.
Non solo un alimento ma un minimo comune denominatore di cultura e tradizione
Oggi il cous cous è diffuso in tutta Italia e ha portato alla nascita di festival ed eventi dedicati a questo piatto in diverse città italiane. Momenti che celebrano la ricchezza culturale e gastronomica del cous cous, promuovendo la condivisione e l'integrazione tra diverse tradizioni culinarie. Inoltre, l'industria del cous cous in Italia ha visto una crescita significativa, con l'aumento della domanda sia a livello nazionale che internazionale della sua produzione. Una storia di adattamento che diventa esempio perfetto di come un alimento possa viaggiare attraverso il tempo e le geografie, integrandosi in nuove culture. Grazie alla sua versatilità, il cous cous è diventato un piatto prezioso, capace di soddisfare i gusti più diversi e di portare con sé un ricco patrimonio culturale. Non solo un alimento, ma un simbolo di tradizione, innovazione e condivisione che continua a unire le persone attraverso il cibo.
RICETTA
Insalata di cous cous con verdure e ceci
RICETTA
Cous cous con pollo e verdure





































































































































ConBonduellec’èunasoluzione pertuttiiGUSTI






























































Alcune variet‡ erano note e consumate gi‡ secoli prima della conquista dellíAmerica, ma le tipologie venute dal Nuovo Mondo hanno contribuito ad affermarne la diffusione e líintegrazione a beneficio di una buona alimentazione e per il benessere psicofisico dellíorganismo.
Il viaggio dei fagioli nella storia fino alle nostre tavole
Per quanto certe tipologie di fagioli, come i fagioli dall’occhio di provenienza africana, fossero già presenti nell’alimentazione di Sumeri, Egiziani e Romani, quando nel XVI secolo gli spagnoli e i portoghesiintroduconoinEuropale varietàcoltivate da oltre 7.000 anni nelle regioni andine del centrosud America (Phaseolus vulgaris), queste ultime diventano rapidamente popolari grazie alla loro versatilità di utilizzo e all’elevato e benefico valore nutrizionale. Anche in Italia, i fagioli americani (borlotti, cannellini e fagiolo nero in primis) vengono da subito accolti con entusiasmo e integrati felicemente nella cucina locale. Inizialmente coltivati nei giardini dei monasteri e nei campi dalle popolazioni contadine, ben presto si attestano come alimento cardine della gastronomia italiana, prima contadina e di recupero e poi generale, affermandosi via via sempre più diffusamente per la realizzazione di tante ricette oggi considerate tradizionali.
Un pieno di proteine, fibre e vitamine
I fagioli, appartenenti alla famiglia delle Fabaceae (chiamate anche Leguminose), sono un alimento estremamente nutriente e saziante, che non può mancare in un regime alimentare corretto e bilanciato. Una validissima alternativa vegetale che non ha nulla da invidiare alle proteine animali. I fagioli sono infatti estremamente ricchi di sostanze nutritive benefiche per l’organismo: pur essendo ricchi di carboidrati complessi, hanno una ridotta percentuale di grassi e presentano un basso indice glicemico. L’elevato contenuto di proteine nobili (circail20-25%)lirendonoingredientifondamentali specialmente nel contesto di regimi alimentari vegetariani e vegani.
Oltre alle fibre, dalle importanti funzioni digestive, sono un’ottima fonte di vitamine, di minerali essenziali (ferro, potassio, calcio, magnesio, fosforo) e di antiossidanti, come polifenoli e flavonoidi, che aiutano a combattere i radicali liberi e a proteggere le cellule dai danni ossidativi.

Uno, cento, mille fagioli: a ognuno il suo per una gastronomia regionale di eccellenza
Diffusi su tutto il territorio italiano, la raccolta dei fagioli inizia in primavera, ma sono disponibili tutto l’anno, freschi ancora racchiusi nei baccelli durante la stagione estiva e secchi già sgranati nei periodi successivi; in questa forma richiedono un ammollo preventivo e una lunga cottura, ma sono spesso preferiti per il loro sapore più ricco e la loro migliore consistenza. Per diminuire i tempi di cottura, è consigliabile cuocerli in pentola a pressione, insieme a una foglia di alloro, che ne aumenta la digeribilità. Una raccomandazione: aggiungere il sale solo a cottura ultimata per evitare di indurire la buccia.
I fagioli in scatola, invece, sono pratici in quanto pronti all’uso. In commercio si trovano inoltre fagioli decorticati, ovvero senza la buccia, che sono più digeribili e di più rapida cottura.
I semi del fagiolo possono variare per morfologia, dimensione, colore e sapore e a seconda delle caratteristiche vengono impiegati per preparazioni differenti, tutte però accomunate da uno spiccato potere saziante. I fagioli sono proprio un ingrediente versatile, si accompagnano ottimamente con svariati alimenti e possono essere preparati in molteplici forme,mailconnubiomiglioredeifagioli(edeilegumi
in generale) è con i cereali, le cui caratteristiche nutritive si completano e arricchiscono a vicenda. I fagioli borlotti sono particolarmente indicati per primi piatti, asciutti (pasta e fagioli) o in brodo (zuppe e minestroni), ma anche per seconde portateopiattiunici (stufatiespezzatini);icannellini sono l’ingrediente principale dei rinomati fagioli all’uccelletto, preparati con pomodoro e salvia, a volte arricchiti da cotiche di maiale o salsiccia, ma si prestano ottimamente per insalate (per esempio la gustosa tonno, fagioli e cipolla), creme e puree da mangiare al cucchiaio o da spalmare su crostini di pane; i fagioli rossi e quelli neri per preparazioni dal sapore esotico. I fagioli rossi azuki, di origine orientale, spesso vengono utilizzati anche in preparazioni dolci
RICETTA
Hummus di fagioli cannellini
RICETTA
Burger di fagioli
PARTY,
BUONA










































MONSTER CAKE




















HORROR BISCUIT








Il kiwi, sebbene di origine asiatica, Ë cosÏ diffuso oggi nel nostro Paese da rendere l'Italia una dei principali produttori ed esportatori a livello mondiale, assieme a Cina e Nuova Zelanda. Le diverse variet‡ si differenziano per la forma e il colore. Qui da noi se ne trovano essenzialmente due: il kiwi verde e il kiwi oro. Entrambi delle dimensioni di una patata medio-piccola, la variet‡ verde Ë ovale, con polpa verde e buccia pelosa, mentre quella oro ha una forma pi˘ allungata, una polpa giallognola e una buccia liscia. La storia del kiwi nel nostro Paese Ë estremamente recente, risalente a non pi˘ di cinquant'anni fa. Oggi, le coltivazioni di kiwi si trovano in diverse aree della Penisola, soprattutto in Lazio, Piemonte, Emilia Romagna, Calabria e Veneto.
La storia del kiwi, il frutto con lo stesso nome di un uccello
Del kiwi, al di là della storia recente, si può dire molto. Partito dalla Cina, s’è dapprima conquistato il cuore e poi il palato dei neozelandesi, come testimonia il nome stesso del frutto. Kiwi, infatti, è un termine della lingua maori con cui i nativi indicano due specie di uccelli delle dimensioni di un gallo, il becco allungato e ricurvo e le ali estremamente piccole, del tutto inadatti al volo.
Una leggenda locale narra di un tempo in cui le foreste della Nuova Zelanda furono seriamente compromesse da ripetuti attacchi di numerosissimi sciami d'insetti. Il dio della foresta, preoccupato per la situazione, chiese aiuto proprio al kiwi che, per salvare la foresta, dovette però rinunciare alle sue preziose ali. Il dio, per ringraziarlo del sacrificio, fece crescere un frutto unico nel suo genere: il kiwi.
Questo racconto ben rappresenta l’immenso affetto che i neozelandesi provano per questo uccello tanto che, oltre ad averne fatto uno dei simboli nazionali, sono soliti indicare se stessi – ancora una volta – come kiwi,

ossia “abitante della Nuova Zelanda/neozelandese”. Da qui, per estensione, il nome del frutto, che andò a sostituire il precedente chinese gooseberry (uva spina cinese).
Kiwi e proprietà benefiche: non solo vitamina C
Da un punto di vista nutrizionale, il kiwi è un vero e proprio scrigno di preziose sostanze benefiche per il nostro organismo. Anzitutto, com'è noto, la vitamina C, di cui i kiwi sono così ricchi che uno solo è sufficiente a soddisfarne il nostro fabbisogno quotidiano, contenendo molta più vitamina C di un'arancia o un limone e rendendolo indispensabile per il potenziamento del nostro sistema immunitario, per la pelle e per il potenziale antinfiammatorio.
Ikiwi,inoltre,grazieall’acidoascorbicodicuilapolpa è ricca, contribuiscono a mantenere l'organismo in equilibrio. Sono, altresì, ricchi di fibre (due kiwi al dì ne forniscono il 20% della dose giornaliera raccomandata), quindi leggermente lassativi e utili a ridurre l’assorbimento degli zuccheri raffinati e dei grassi. Nei piccoli semini neri che la polpa custodisce, poi, si trovano moltissima vitamina E e Omega-3, degli eccellenti nutrienti che favoriscono anche la circolazione.
Ma parlare di kiwi e benefici per la salute significa anche menzionare il suo ruolo nella digestione delle proteine, per merito dell'enzima actinidina che aiuta a favorire la salute digestiva.
L’uso culinario del kiwi è abbastanza variegato, anche se è decisamente comune consumarlo così com'è, al naturale, semplicemente sbucciato. Della varietà oro, priva di peluria, è possibile mangiare anche la buccia (se il frutto proviene da agricoltura biologica), aumentando in tal modo l'apporto di fibre.
In pasticceria viene utilizzato per la preparazione di dessert al cucchiaio quali mousse, soufflé, zuccotti e bavaresi poiché, grazie alla sua innata e gradevole nota acidula, dona freschezza e ammorbidisce il sentore dolce. Con la polpa cotta insieme a zuccheroesuccodilimone,èpossibileconfezionare marmellate di kiwi e composte varie, perfette da spalmare sul pane, da abbinare ai formaggi o per farcire una golosa crostata.
Oltreall'utilizzoincombinazioneconaltriingredienti dolci, il kiwi può sorprendere con l'accostamento ad alcuni elementi salati come, ad esempio, carni e tartare di pesce: un'ottima idea anche per stupire gli ospiti.
RICETTA
Code di gamberi su tartare di frutta
RICETTA
Crostata al kiwi


CíË voluto un po' di tempo, ma i benefici delle patate si sono fatti valere. Estremamente versatili,
arrivano in Europa dal Sud America ma, oggi, rientrano ormai da quasi tre secoli in numerose preparazioni della tradizione gastronomica italiana, dalle pi˘ semplici alle pi˘ elaborate.

Dagli Incas al successo mondiale: la storia delle patate comincia oltreoceano
Originarie delle Ande peruviane e cilene, dove crescono spontaneamente sin da tempi remotissimi (pare siano stati ritrovati resti della loro coltivazione risalenti all’8000 a.C.), le papas costituivano l’alimento principale delle popolazioni indigene della zona (Incas), che le consideravano sacre e preziose alla stregua dell’oro.
Quando gli spagnoli le importano in Europa nel XVI secolo, a seguito delle loro esplorazioni oltreoceano che si conclusero con la scoperta e la conquista del Nuovo Mondo, le patate non riscuotono grande successo nel continente europeo. La loro affermazione, infatti, non è né immediata né spontanea: inizialmente vengono accolte con perplessità e addirittura con diffidenza, forse per via dell’aspetto poco appetitoso, ma soprattutto perché se ne ignora il corretto utilizzo. Un fatto che porta a consumare solo le foglie e le bacche di questa pianta, il cui contenuto di solanina (un alcaloide carico di tossine) ha effetti nocivi sulla salute. Non mancano, poi, anche motivazioni di natura spiritualistica, che attribuiscono allo stravagante tubero valenze negative, probabilmente dovute alla loro natura sotterranea.
A lungo le patate vengono destinate all’alimentazione degli animali, oltre a riscuotere un certo

interesseinambitobotanico.Perl’impiegoalimentare in Europa si deve attendere la seconda metà del XVIII secolo e l’inizio del secolo successivo, quando i trattati del chimico e agronomo francese AntoineAugustin Parmentier ne attestano l’importanza per il consumo alimentare umano, oltre che la semplicità di coltivazione. La diffusione, a quel punto, diventa piuttosto rapida: l’improvviso incremento della popolazione spinge ad adottare coltivazioni ad alto rendimento, per supplire alla crescente domanda di cibo. Un incremento dell’utilizzo della patata si registra in particolare in periodi di povertà e carestia, dalla guerra dei Sette anni (1756-1763) alla Seconda guerra mondiale, durante i quali svolge un ruolo fondamentale soprattutto nell’alimentazione dei ceti meno abbienti
Anche in Italia la coltivazione della patata viene inizialmente apprezzata solo a scopo ornamentale (il granduca di Toscana Ferdinando II le pianta nel giardino fiorentino di Boboli nel 1630). La diffusione della patata come alimento sulle tavole quotidiane si attesta, invece, tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento. Oggi questo tubero è coltivato nell'intero territorio italiano per tutto l’anno ed è
protagonista di numerose preparazioni oramai divenute tradizionali.
Novelle o stagionate, le patate garantiscono preziosi benefici per l’organismo
Tubero del Solanum tuberosum, della famiglia delle Solanacee, la patata vanta numerose proprietà, che contribuiscono a uno stile di alimentazione corretto e bilanciato.
Ricche di carboidrati complessi sotto forma di amidi dall’alto valore energetico, le patate contengono vitamine dei gruppi A e C, con qualità antiossidanti e anti-infiammatorie, e vitamine B3 e B6, che
RICETTA
Insalata mediterranea con patate e tonno
RICETTA Frittata di patate
svolgono importanti funzioni regolatrici utili alla circolazione sanguigna e al processo digestivo. La loro composizione nutrizionale fornisce inoltre un’elevata concentrazione di fibre e di sali minerali come potassio, zinco e – a seconda del terreno su cui crescono – selenio o iodio.
Vengono generalmente suddivise in patate novelle (di piccola pezzatura in quanto raccolte precocemente e dalla buccia sottile, che solitamente non viene rimossa), patate a pasta gialla (dalla polpa sodaecompatta,ilcuicoloreèdovutoallapresenzadi caroteni), patate a pasta bianca (dalla polpa farinosa che tende a sfaldarsi in cottura, caratteristica che le rende adatte all’impiego in purea), patate a buccia rossae pasta gialla (dalla polpa soda, adatta a cotture intense).
Una dopo l’altra, le ricette delle patate sono tantissime e tutte sfiziose
Le patate, si sa ma è bene ripeterlo, si consumano solo previa cottura, sia per motivi gustativi sia perché il processo è necessario per la scomposizione dell’elevata componente amidacea e per diminuire la percentuale di solanina. Per quanto riguarda le modalità di utilizzo gastronomico, le patate possono essere lessate, fritte, ridotte in purea, arrostite al forno o sulla griglia, rosolate in padella, per fare il pane… e si accompagnano in maniera ideale praticamente a tutti gli ingredienti proteici, dalle uova alla carne, dal pesce ai legumi (anche se in questo caso il quantitativo va regolato).
Sono tante le ricette della cucina italiana in cui si utilizzano abitualmente le patate, dai primi piatti (zuppe, minestroni, gnocchi e ravioli) ai secondi (spezzatino), dai contorni ai piatti unici (tortini e sformati, come il gattò, il rösti e il frico friulano)



La pesca Ë un frutto che si mangia d'estate ma non solo. Grazie all'elevata quantit‡ d'acqua che contiene ñ ben il 90%! ñ si rivela infatti un'ottima alleata per líidratazione, capace di offire un valido supporto per il nostro organismo. Ricche di vitamine (A, B e C) e sali minerali, sono cinque le principali variet‡ che si trovano in commercio, tutte dalle propriet‡ uniche. Le pesche gialle, le pi˘ comuni, dalla buccia vellutata e la polpa compatta e succosa; le pesche bianche, dalla consistenza filamentosa e la superficie vellutata; le tabacchiere, leggermente schiacciate ai poli, con la buccia sottile e una polpa molto dolce e profumata; le percocche, con la polpa soda e la buccia pelosa; e, infine, le nettarine (o pesche noci), dalla buccia liscia e sottile e la polpa compatta e croccante.
La pesca nella storia: Cina, Persia ed Europa
La pesca (prunus persica) è conosciuta e apprezzata fin dall'antichità. Di origine cinese, le pesche giunsero in Europa grazie ai greci e ai romani che le importano dallaPersia.AdareilviaalleimportazioniinOccidente, si dice fosse stato Alessandro Magno che, dopo aver assaggiato i “pomi persiani”, non volle più rinunciarvi. Al di là della leggenda, l’ipotesi sulla provenienza geografica delle pesche trova conferme nei nomi che gli antichi diedero a questi frutti: “melon persikon” in greco e “malum persica” in latino ossia, letteralmente “il pomo della Persia”. Riferimento tutt'oggi presente in alcune forme dialettali quali il piemontese “persi” (conosciuto anche oltre i confini regionali per i persi pien – le pesche ripiene – l’iconico dolce della tradizione piemontese con amaretti e cacao).
Secondo la tradizione popolare cinese, il pesco rappresenta l'immortalità, poiché si pensa che i suoi frutti siano in grado di conservare il corpo dal naturale decadimento. Shou Xing, dio della longevità e della salute, pare fosse semplicemente un uomo, un saggio che ottenne l'immortalità mangiando delle pesche magiche. L'iconografia tradizionale lo rappresenta come un anziano calvo e dalla lunga barba bianca, mentre tiene in mano una pesca. In Cina, ancora oggi, il pesco è carico di significati simbolici tanto che, durante i matrimoni, lesposesonosoliteportarefiori dipesco come auspicio di amore eterno e prosperità.
Tutti i benefici delle pesche
A livello nutrizionale, le pesche sono considerate frutti ipocalorici, poiché contengono soltanto 25 kcal per 100 g di prodotto, per cui sono particolarmente adatte a essere consumate in regimi salutari. Ciò è anche merito della buona presenza di fibre che contribuiscono a stimolare il senso di sazietà. La notevole presenza d'acqua rende le pesche particolarmente indicate a essere consumate dopo lo sport, per reintegrare i liquidi e i sali minerali persi durante l'allenamento. Inoltre l'acqua, assieme al potassio, determina le buone proprietà diuretiche delle pesche che aiutano a contrastare la ritenzione
idrica e a favorire l'eliminazione delle tossine, alleggerendo il lavoro di fegato e reni. E non è tutto!
Le pesche portano con sé flavonoidi dall'azione antiossidante, dunque utili al nostro organismo, con effetti benefici in tanti organi del corpo.
Dalla salamoia al Bellini: le pesche in cucina
La storia della pesca, lo abbiamo visto, è molto antica, e antiche sono le testimonianze dei suoi diversi usi in cucina. A partire da Apicio, il più grande cuocogastronomo della Roma imperiale che nel suo ricettario De re coquinaria parla di una modalità di conservazione delle pesche che a noi può sembrare insolita: in una salamoia a base di aceto, sale e santoreggia.
Per la prima ricetta di una torta da forno a base di pesche, si dovrà aspettare fino al millecinquecento, quando il mitico Bartolomeo Scappi descrive una preparazione con frolla, pesche, burro zucchero e cannella, da cuocere al forno o alla brace. È ancora più recente, poi, la diffusione delle golose pesche sotto spirito, diffusa dal manuale dell'Artusi
Dall'Ottocento–periodoincuisiaffermala coltivazione del pesco in Italia – in poi, le ricette con le pesche si sono moltiplicate, soprattutto verso classiche preparazioni dolci (come gelati, creme, sorbetti, composte e conserve), ma lasciando anche spazio ad accostamenti più fantasiosi quali quelli con il pesce o con alcune tipologie di formaggio. Fino a qualche anno fa, poi, molto in voga era anche un cocktail a base di polpa di pesca frullata e vino spumante, noto a tutti come Bellini, dal nome dell'artista che lo ispirò.
RICETTA
Insalata di pesche
RICETTA
Persi pien (pesche ripiene)



Superata una prima accoglienza carica di sospetto e circospezione, destino comune a tanti alimenti della famiglia delle Solanacee quando sono arrivati dalle nostre parti, i pomodori sono poi diventati uno dei protagonisti indiscussi e prediletti della tradizione gastronomica italiana (e non solo).
Dal veleno all’oro: la storia a lieto fine del pomodoro
Talmente radicato e diffuso nella gastronomia italiana da far credere sia sempre stato presente sulle tavole nazionali, in realtà il pomodoro fa la sua comparsa in Europa intorno alla metà del Cinquecento e, in Italia, solo alla fine dello stesso secolo (la prima testimonianza della sua presenza da noi è del 1596). Portato dall’America dai conquistatori spagnoli e portoghesi, ovvero dal luogo dove il suo consumo è diffuso e apprezzato sin dal tempo delle civiltà precolombiane, nel Vecchio Mondo l’affermazione dell’utilizzo alimentare del pomodoro incontra inizialmente delle difficoltà per via del suo contenuto in solanina, una sostanza potenzialmente tossica che in dosi eccessive può provocare disturbi all’apparato gastro-intestinale. Considerati per questo motivo nocivievelenosi,inunprimomomentoipomodorisidiffondonosolamente come pianta ornamentale, dando sfoggio di sé in corti e giardini reali. Il colore giallo-aranciato dei frutti di questa nuova pianta e la fama del


suo potere afrodisiaco spingono il botanico italiano Pietro Andrea Mattioli a dargli il nome di “mela aurea”, che nel tempo si trasforma in “pomo d’oro”
Gli aztechi la chiamavano invece “xitomatl”, da cui poi ha avuto origine il termine inglese “tomato”, parola la cui radice è comune a tante lingue. Le varietà di pomodoro allora conosciute erano molto differenti da quelle odierne, per aspetto e per messa in dimora, ma l’interesse dei botanici e la loro applicazione nell’adattare la pianta a clima e terreno nuovi ne permettono un rapido sviluppo. La diffusione massiccia del pomodoro come alimento si ha a cavallo tra XVII e XVIII secolo, era di guerre e carestie che costringono la popolazione a nutrirsi di questi bizzarri frutti. Nel secolo successivo il pomodoro è presente abitualmente sulle tavole italiane, diventando fondamentale per molte tra le ricette più amate della gastronomia italiana.
Bello da vedere e buono da mangiare: le preziose proprietà di sua maestà il pomodoro
Tecnicamente il pomodoro è la bacca del Solanum lycopersicum, ovvero è un frutto e non una verdura, come solitamente invece si classifica, forse per via
del suo sapore non spiccatamente zuccherino. Esistono tantissime varietà di pomodori, che differiscono per forma e tipologia (costoluti, ramati, lisci, tondi, allungati), colore (rossi, gialli, verdi e addirittura neri) e dimensioni (dai piccoli ciliegini e datterini ai grossi cuore di bue), ognuna con caratteristiche proprie in termini di sapore, consistenza e utilizzo culinario.
Il pomodoro presenta un basso contenuto calorico e un’alta percentuale di nutrienti essenziali Essendo formato per la maggior parte da acqua, è molto idratante, oltre a essere ricco di vitamine (C, A, K) e sali minerali (potassio, fosforo, ferro, zinco) che contribuiscono al benessere dell’organismo.
RICETTA
Zuppa fredda di pomodoro
RICETTA
Insalata di pomodori, cetrioli, lattughino, rucola e tropea
I pomodori contengono inoltre licopene, un carotenoide dal forte potere antiossidante, responsabile del colore vivace e acceso che li contraddistingue.
Il pomodoro: icona venerata della gastronomia italiana
Il pomodoro è molto più di un semplice ingrediente: è tra gli alimenti cardine della dieta mediterranea e ormai parte integrante della cultura e della gastronomia italiane. La sua versatilità in cucina lo rende un alimento insostituibile in numerosi piatti tra i più comuni e diffusi, diventati simbolici della tradizione culinaria della penisola, famosi in tutto il mondo e rappresentativi anche di tante scene della cinematografia internazionale.
Disponibili durante tutta la stagione estiva, i pomodori sono presenti come prodotti freschi da giugno a fine settembre, ma ridotti in salsa o in passata, pelati in conserva o come concentrato, si possono gustare tutto l’anno. E le maniere per utilizzarli sono innumerevoli: crudi in insalata, da soli o con altri ingredienti (spesso con rucola o a fette alternate a mozzarella, per la rinfrescante caprese) o tagliati a dadini e disposti su pane abbrustolito generosamente sfregato di aglio per comporre la caratteristica bruschetta, da condire rigorosamente con un giro abbondante di olio extravergine d’oliva. Mangiati come snack, impastellati o infarinati e fritti, specie quando acerbi, o al forno, magari ripieni di riso, o gratinati
Essiccati al sole e conservati sotto sale e sott’olio perimpiegarlituttol’anno,aggiungendocaratterea svariatepreparazioni,oppureutilizzatiperilclassico e semplice sugo di pomodoro con l’immancabile aggiunta di basilico o di aglio e peperoncino per la famosa “arrabbiata”. Senza dimenticare i numerosi condimenti e ragù della variegata tradizione regionale o come base per la regina della cucina italiana:l’idolatrata,irrinunciabile pizza Margherita


IL LUNGO VIAGGIO DEL RISO

Il riso Ë un cereale antichissimo, la cui origine affonda nelle pieghe della storia. Dall'Estremo Oriente, il riso si Ë diffuso in tutto il mondo e l'Italia Ë diventata nel tempo uno dei maggiori produttori di riso a livello globale. Nel nostro Paese si coltivano pi˘ di cinquanta variet‡ diverse di riso, tra cui vale la pena ricordare alcune eccellenze a marchio DOP ñ quali il riso di Baraggia Biellese e Vercellese ñ e IGP ñ come il Vialone Nano Veronese e quello del Delta del Po. Oltre a queste, le cultivar pi˘ diffuse sono il Carnaroli, l'Arborio, il Ribe, líOriginario, il Roma e il Venere.

Il riso alla conquista del mondo
Il vocabolo “riso” deriva, sebbene con una serie di adattamenti fonetici, da ceppi linguistici orientali. Della pianta originaria, pare si siano sviluppate circa una ventina di varietà differenti, di cui due sono quelle che hanno tutt'oggi una certa rilevanza in cucina: Oryza sativa, di origine asiatica, e Oryza glaberrima, di origine africana. Dalla specie asiatica derivano le cultivar Japonica, caratterizzata da un chicco corto e da un modesto contenuto di amidi, la tipologia più diffusa nelle nostre risaie; Indica, dal chicco lungo e sottile e un'elevata concentrazione amidacea (come i long grain americani e il Basmati); e Javanica (o Tropical Japonica), caratterizzata da varietà con caratteristiche intermedie, poco conosciute in Italia. A seconda delle fonti, la storia del riso inizia tra i cinquemila e i diecimila anni fa, probabilmente nella valle dello Yangtze in Cina, dove sono state ritrovate tracce del paddy, un riso semilavorato. Da lì, la diffusione del riso fu lenta, ma inesorabile e destinata a conquistare tutti i popoli del mondo. Dalla Mesopotamia – le cui prime tracce di questo cereale risalgono al IV secolo a. C. – Alessandro Magno lo portò in Europa e moltissimi riferimenti al riso si trovano nella letteratura antica, tanto in quella greca quanto nella romana. Dall'India, invece, il riso arrivò nelle attuali Palestina, Siria e Cisgiordania, luoghi da cui gli arabi lo diffusero a loro volta in Africa e, successivamente, in Spagna. Bisognerà, tuttavia, attendere Napoleone affinché la coltivazione del riso cominci stabilmente e su vasta scala. Questo funambolico viaggio dipende dal fatto che il riso è, tra i prodotti agricoli, quello capace di alimentare il maggior numero di persone a parità di superficie coltivata.
Riso: un autentico benessere in forma di chicco
Un'altra ragione per la quale il riso si è diffuso a macchia d'olio quale alimento base per moltissime popolazioni deriva anche dalle innumerevoli proprietà benefiche che lo caratterizzano. Basti pensare che, in termini generali, il riso non ha alcuna controindicazione, anche senza prendere in considerazione le quantità che ne si consumano. In Giappone, infatti, il riso viene considerato quasi un functional food, insomma un alimento dalle grandi funzionalità nutrizionali.
Anzitutto, la sua altissima digeribilità e l'elevato contenuto di amminoacidi, che aiutano a regolare la flora batterica intestinale; poi, l'assenza di glutine, che rende il riso adatto anche per i celiaci. Oltre a una buona presenza di fibre che contribuiscono ad aumentare il senso di sazietà, rendendolo indicato anche per il moderato contenuto calorico che lo contraddistingue.
Se integrale, poi, i benefici del riso aumentano ancora. Nella crusca, infatti, si trovano composti naturali alleati del nostro organismo, che hanno buone funzioni non solo per l’apparato digestivo.
Dall'antipasto al dolce è sempre il riso
Il riso, l'abbiamo visto, ha molti volti, tanti almeno quanti sono i popoli con cui è entrato in contatto. Le varietà oggi in commercio presentano ciascuna caratteristiche uniche, che le rendono adatte
a specifiche preparazioni gastronomiche. Per preparare un buon risotto, ad esempio, si preferirà un Arborio o un Carnaroli – definito il “re dei risotti” –, poiché tendono ad assorbire molto bene i liquidi e a tenere la cottura, oppure il Baldo, una varietà recente nata negli anni Sessanta in seguito a un incrocio. Se, invece, siete amanti dei timballi, delle frittelle di riso o delle crocchette (come i famosi supplì laziali), il riso Roma è sicuramente il più indicato, così come l'Originario che, però, dà il meglio di sé nelle preparazioni dolci, creando una crema densa e dalla consistenza vellutata.
Preferendo sentori più aromatici, si può altresì optare per il riso Basmati, dai chicchi affusolati e lunghi, o per il Jasmine di origine tailandese, con i quali preparare gustosi contorni cotti al vapore o saltati in un wok. In estate, poi, non c'è niente di meglio del riso Venere, perfetto per essere consumato freddo, in un’insalata di riso o in accompagnamento a una tartare di pesce.
RICETTA
Insalata di riso venere con gamberetti
RICETTA
Pudding di riso speziato




CUCINA ITALIANA E CANTO LIRICO, UN
INTRECCIO DI GUSTO E PASSIONI CHE SONO DIVENTATE PATRIMONIO IMMATERIALE DELLíUMANIT¿ UNESCO.
“Un pasto italiano è come l’opera!”: lo ha detto Waverly Root, giornalista gastronomico americano del ventesimo secolo. E come dargli torto! Come negare che la gastronomia italiana, anche nella sua declinazione della dieta mediterranea, e il canto lirico siano due arti che tutto il mondo ci invidia e che caratterizzano l’identità, la storia e la cultura del nostro Paese? Il legame tra queste due eccellenze nostrane è così stretto che entrambe sono patrimonio culturale immateriale dell'UNESCO: la dieta mediterranea lo è dal 2010, il canto lirico lo è diventato nel 2023, e attendiamo il 2025 per il riconoscimento della candidatura della cucina italiana con le sue caratteristiche di sostenibilità e diversità bioculturale
"L'appetito è per lo stomaco quello che l'amore è per il cuore”
Lo stomaco è il direttore che dirige la grande orchestra delle nostre passioni, come spiega Gioacchino
ìLO STOMACO » IL
DIRETTORE CHE DIRIGE
LA GRANDE ORCHESTRA
DELLE NOSTRE PASSIONIî.
GIOACCHINO ROSSINI
Rossini, compositore pesarese di famose e celebrate opere. Rossini usa correttamente il termine “passione”: sono proprio le emozioni e le passioni ad accomunare musica e cibo. Esistono due modi per gustare il cibo e l'opera: quello analitico, competente e professionale, basato sulla conoscenza dettagliata degli ingredienti, dei loro abbinamenti, dei valori nutrizionali, allo stesso modo del libretto, degli spartiti e degli arrangiamenti per l’opera. Abbiamo però anche un altro modo, quello forse più popolare, basato sulle emozioni e sulla passione che l'opera e il cibo apportano. Lo sanno benissimo gli stranieri o chi "assaggia” per la prima volta La Bohème senza conoscerne il libretto, esattamente come una trenetta al pesto ignaro degli ingredienti: si ritrova a piangere alla morte di Mimì o inebriato dal basilico senza sapere o chiedersi il perché.
Si narra che Rossini scrisse l’aria dell’opera Tancredi “Di tanti palpiti” mentre era seduto in un ristorante di Venezia in attesa della cottura del risotto ai funghi poi denominato “alla Rossini” in suo onore, e che l’aria composta in quella occasione fu soprannominata, per l’appunto, “l’aria del riso”.
Le tre volte che pianse Rossini
Gli aneddoti su Rossini e il cibo non si fermano qui ed era lo stesso compositore a raccontare di aver pianto solo tre volte in vita sua: quando la sua prima opera fu fischiata, quando sentì suonare Paganini e quando, durante una gita in barca, gli cadde in acqua un tacchino ripieno di tartufi. Si narra, inoltre, che una volta, mentre il compositore pesarese si trovava a Bologna, il cuoco e scrittore francese Marie-Antoine Carême gli inviò un pasticcio di tartufi e fagiano con la dedica: “Da Carême a Rossini”. Rossini gli rispose inviandogli a sua volta una composizione musicale intitolata “Da Rossini a Carême”. Dal loro scambio gastronomico-musicale resta testimonianza nelle pagine dell’alta cucina francese con i “tournedos alla Rossini”:
medaglioni di filetto di manzo rosolati in padella e sfumati con il brandy e serviti con foie gras e tartufo nero a scaglie.
Mangiare e amare: Puccini e Verdi amanti della cucina italiana
Non solo Rossini, ma anche altri illustri compositori della lirica hanno intrecciato i piaceri della tavola con vita e opere. Negli anni giovanili anche Puccini, nonostante le ristrettezze economiche in cui viveva, divenne molto attento ai piaceri della tavola, amando concludere le giornate lavorative di fronte a una sostanziosa cena assieme all’amico Mascagni o ai suoi amici sulle rive del lago di Massaciuccoli in un’osteria ribattezzata “Club La Bohème”, con un ironico statuto che prevedeva cibi prelibati e vini senza parsimonia.
E proprio il cibo, ma anche la sua

mancanza, divennero elementi costanti delle opere pucciniane. Nel secondo e nel quarto quadro della Bohème assistiamo alla presenza di tutta una serie di pietanze che accompagnano il canto e la scena. Nel secondo quadro abbiamo una immagine di alimenti dagli inebrianti profumi e dagli opulenti gusti della vigilia di Natale: “Aranci, datteri! Caldi i marroni!
Ninnoli, croci. Torroni! Panna montata! Caramelle!La crostata! Fringuelli! Passeri! Aragosta senza crosta”. Nel quarto quadro, invece, i protagonisti tornano a casa con il poco cibo che hanno recuperato: quattro pagnotte e un'aringa e, scherzandoci sopra, fingono di gustarsi un banchetto luculliano e di essere loro stessi importanti notabili: "È un piatto degno di Demostene". Scelga, o barone; / trota o salmone?”.
Spostandoci, ora, in provincia di Parma, il padre di Giuseppe Verdi era proprietario di una piccola locanda a Roncole di Busseto dove vendeva vino e prodotti alimentari: da qui probabilmente derivavano l’amore e l’attenzione che
il compositore parmigiano ha sempre dimostrato per il buon cibo e il buon vino. Sarebbe impossibile pensare a Falstaff, l’ultima opera di Verdi, senza l’Osteria della Giarrettiera, che non a caso appare come inizio di tutti e tre gli atti, o pensare alla Traviata senza il famoso brindisi del “Libiamo ne' lieti calici” che nell’atto primo, scena seconda afferma “È al convito che s’apre ogni cor”. Insomma, la lirica e cibo hanno un legame indissolubile e, come direbbe Rossini, “Mangiare e amare, cantare e digerire: questi sono in verità i quattro atti di questa opera buffa che si chiama vita e che svanisce come la schiuma d’una bottiglia di champagne. Chi la lascia fuggire senza averne goduto è un pazzo”.

ìMANGIARE E AMARE, CANTARE E DIGERIRE: QUESTI SONO IN VERIT¿
I QUATTRO ATTI DI QUESTA OPERA BUFFA
CHE SI CHIAMA VITAî. GIOACCHINO ROSSINI











































L’ALFABETO DEI SAPORI DELLA PUGLIA
di Antonio Battaglia
Dallíolio extravergine díoliva al vino, dai prodotti caseari a quelli a base di grano duro come le orecchiette e il pane di Altamura, passando per gli ortaggi e i legumi, le prelibatezze certificate della Puglia sono numerose e hanno un sapore unico.
Tra uliveti e frantoi, la Puglia è la prima regione italiana in termini di produzione di olio. Non è strano, allora, che l'olio extravergine di oliva sia conosciuto da queste parti come “oro di Puglia”, merito anche delle cinque denominazioni DOP che certificano l'eccellenza delle produzioni regionali. Eccellenza che riguarda anche la lavorazione del grano duro, con cui – tra l’altro – si preparano le orecchiette e il pane di Altamura: due simboli della cucina regionale pugliese. Nel “tacco” del nostro Stivale, si trova dunque una regione dal vivace panorama enogastronomico, con un territorio molto ricco e sfaccettato capace di regalarci prodotti unici e dalle proprietà eccezionali. Scopriamoli assieme.
L'olio DOP: l'oro di Puglia
L’olio che, come abbiamo detto, rappresenta il vero fiore all'occhiello del comparto enogastronomico pugliese, viene qui prodotto in quantità ingenti che fanno della Puglia la prima regione italiana per numero di aziende produttrici. Ogni fase del processo –raccolta delle olive, conferimento al frantoio, spremitura e imbottigliamento – non fa altro che riflettere una routine secolare che, tutt'oggi, scandisce le vite delle popolazioni locali, producendo un olio ricco di storia quanto di aromi. In Puglia, l'olivicoltura è diffusa in tutto il territorio regionale, dal Salento al Gargano, come si vede dalle piante secolari che ridisegnano lo skyline delle campagne e dai profumi che inebriano i viaggiatori. Le cinque produzioni olearie a marchio DOP sono: l’Olio extravergine di oliva Collina di Brindisi DOP, di colore verde e dal sapore fruttato, con una leggera nota amarognola; l’Olio Extravergine di Oliva Dauno DOP,
che comprende le denominazioni Alto Tavoliere, Basso Tavoliere, Gargano e Sub-Appennino, ciascuna con il proprio profilo organolettico specifico; l’Olio extravergine di oliva Terra D’Otranto DOP, prodotto in provincia di Lecce con olive spremute non più di due giorni dopo la raccolta; l’Olio extravergine di oliva Terre di Bari DOP, di cui fanno parte le sotto-denominazioni Castel del Monte, Bitonto e Murgia dei Trulli e delle Grotte; e, infine, l’Olio Extravergine di Oliva Terre Tarentine DOP, di colore verdegiallo e dalle piacevoli note piccanti che lo rendono particolarmente versatile in cucina.
Burrate, mozzarelle e caciocavalli, la puglia si fa filata
SE SI PARLA DI PUGLIA E SI AMANO
I FORMAGGI, ECCO
LE INVIDIABILI PASTE
FILATE PUGLIESI:
DA BURRATE
E MOZZARELLE, FINO A CACIOCAVALLI
E CACIOTTE.
Se si parla di Puglia e si amano i formaggi, non possono non venire in mente le invidiabili paste filate pugliesi: da quelle fresche, come burrate e mozzarelle, fino a quelle più stagionate, come i caciocavalli e le caciotte. Formaggi filanti e dal sapore inconfondibile che qui sono protagonisti di alcune delle ricette tradizionali più iconiche. Tra i prodotti caseari a marchio DOP, uno dei più antichi è senza dubbio il Canestrato Pugliese DOP, un formaggio a medio-lunga stagionatura prodotto esclusivamente con latte crudo di pecora, la cui origine risale alla transumanza delle greggi che dalle montagne abruzzesi scendevano fino in Puglia.
La regina delle paste filate fresche non può che essere la Burrata di Andria IGP,
formaggio a doppia panna prodotto nella provincia di Bari, la cui tecnica di lavorazione è figlia della necessità di conservare più a lungo le mozzarelle, creando dei piccoli sacchetti con la cagliata, al cui interno vengono posti straccetti della stessa mozzarella con aggiunta di panna. Per gli amanti degli stagionati, poi, troviamo il Caciocavallo
podolico dauno (o Caciocavallo
podolico del Gargano) PAT, Presidio
Slow Food prodotto esclusivamente con latte vaccino di bovini di razza
Podolica, vacche dalla storia millenaria che pare siano conosciute e allevate fin dal IV secolo a.C., quando furono addomesticate delle popolazioni mediorientali. O il Caciocavallo
Silano DOP, altro formaggio vaccino protagonista di diverse ricette pugliesi tra le quali si ricordano le golose
bombette: involtini di carne di maiale (generalmente capocollo), ripieni di caciocavallo e avvolti da pancetta.
Nuotando in un mare di ortaggi, legumi e orecchiette
La ricchezza delle eccellenze gastronomiche pugliesi comprende molto altro. Tra gli ortaggi e i legumi, ad esempio, si trovano La Bella della Daunia IGP, una mandorla particolarmente adatta alla conservazione attraverso un antichissimo procedimento che prevede l'immersione in soda e poi la sistemazione sotto sale in barattoli di terracotta o vetro; o il Carciofo Brindisino IGP, dalla forma molto arrotondata e compatta e dalle foglie esterne tendenti al violaceo che racchiudono un “cuore” carnoso e dal sapore delicato: a Brindisi si è soliti cucinarlo al forno con un trito di menta, capperi, aglio, olive cipolla e pangrattato; oppure, ancora, la mitica Cipolla di Tropea IGP, dalla forma affusolata e il caratteristico colore viola, ottima da consumare cruda; e il pomodoro Fiaschetto di Torre Guaceto,


Presidio Slow Food con il quale le popolazioni locali, da sempre, preparano la salsa di pomodoro.
Anche nei panificati, poi, la Puglia non smette di emozionare. Dal Pane di Altamura DOP, realizzato con semola di grano duro e lievito madre, al Pane di Laterza IGP, dalla caratteristica forma a ciambella, fino a specialità quali i taralli e le friselle. Così come nella pasta fresca, rigorosamente senza uova, i cui formati più iconici sono senza dubbio le già citate orecchiette, tipiche della zona di Bari, o gli altrettanto conosciuti cavatelli, prodotti principalmente nel foggiano.
Intensi e consistenti, i vini pugliesi hanno una grande personalità
Il contesto vitivinicolo pugliese è molto vasto e variegato, con una spiccata prevalenza di vitigni a bacca rossa che rappresentano circa l’80% dei vigneti totali. Negroamaro e Primitivo sono indubbiamente i vini simbolo della regione, assieme a uve ampiamente apprezzate quali Sangiovese, Montepulciano, Uva di Troia e Malvasia nera. Per i vini bianchi si preferiscono soprattutto vitigni autoctoni, quali il Bombino bianco, la Malvasia bianca, la Verdeca e il Pampanuto, ma non si disdegnano uve internazionali quali il Fiano e lo Chardonnay, uno dei vitigni a bacca bianca più diffusi in regione. Per dare un'idea della rilevanza della viticoltura in Puglia, basti pensare che i vini pugliesi possono vantare quattro riconoscimenti DOCG e ben ventotto vini a marchio DOC, che consacrano la Puglia tra le regioni con più vini a denominazione controllata in Italia, dopo la Toscana. Tra i vini DOCG, il Castel del Monte Bombino
Nero, il Castel del Monte Nero di Troia
Riserva e il Castel del Monte Rosso Riserva vengono prodotti nella provincia di Bari, mentre il Primitivo di Manduria
Dolce Naturale viene prodotto nella zona sud della regione, tra Brindisi, Taranto e Lecce.
Tra i vini DOC, il più versatile è sicuramente il Gioia del Colle DOC, prodotto nell'omonimo comune e in una vasta area circostante. Il disciplinare di produzione prevede ben cinque tipologie per questa denominazione.
Altra produzione degna di nota è l'Aleatico di Puglia DOC, unica denominazione d'origine controllata estesa su tutto il territorio regionale. La lavorazione di questo vino avviene dopo aver fatto appassire le uve, così da aumentare il grado zuccherino e, di conseguenza, il tenore alcolico del vino, che lo rendono perfetto per accompagnare la pasticceria pugliese.
I VINI PUGLIESI POSSONO VANTARE
QUATTRO RICONOSCIMENTI DOCG
E BEN VENTOTTO VINI A MARCHIO
DOC, CHE CONSACRANO LA PUGLIA
TRA LE REGIONI CON PIŸ VINI A DENOMINAZIONE CONTROLLATA IN ITALIA. RICETTA Bombette pugliesi
Orecchiette con cime di rapa

La riduzione dello spreco alimentare è una storia che deve esistere, tutta da


raccontare deve esistere, da raccontare




La FAO definisce lo spreco alimentare come “la diminuzione della quantità o della qualità degli alimenti derivante dalle decisioni e dalle azioni dei rivenditori, dei servizi alimentari e dei consumatori”. La FAO calcola che a livello globale oltre un terzo del cibo prodotto al mondo va perso o sprecato. Circa il 14% durante la produzione e la trasformazione, e sono le “perdite alimentari”, il 17% durante i processi di vendita e consumo, gli “sprechi alimentari”. In particolare l’11% dalle famiglie in ambito domestico. Secondo il WWF la percentuale sale al 40%, significa che ogni anno vengono sprecati 2,5 miliardi di tonnellate di cibo, 80.000 kg di cibo al secondo. L’UNEP ha certificato che 1,4 miliardi di tonnellate di rifiuti alimentari si producono a livello di lavorazione, distribuzione, vendita al dettaglio, servizi alimentari e famiglie. pr c
di Paolo Marcesini
Secondo il rapporto Food Waste Index del Programma delle Nazioni Unite per l'ambiente, le stime precedenti dello spreco alimentare dei consumatori (domestici e servizi di ristorazione) sono state significativamente sottovalutate. A livello globale, lo spreco alimentare totale generato nella vendita al dettaglio e al consumo è stimato a 121 kg pro capite, con il 61% proveniente dalle famiglie, il 26% dalla ristorazione e il 13% dalla vendita al dettaglio. In Europa 59 milioni di tonnellate di rifiuti alimentari (131 kg/ abitante) vengono generate ogni anno con il valore di mercato stimato a 132 miliardi di euro. Secondo Eurostat il 10% del cibo messo a disposizione dei consumatori dell'UE (vendita al dettaglio, servizi di ristorazione e famiglie) viene sprecato.
NON sprecare cibo significa NON sprecare le risorse del pianeta.
Il Food Sustainability Index della
Fondazione BCFN Barilla Center for Food Nutrition mette in relazione la sostenibilità del sistema alimentare di 67
Paesi con i dati relativi al reddito e valuta le prospettive di sostenibilità anche sulla base delle azioni volte a ridurre le percentuali di food loss e food waste.
A fronte di una situazione che vede le attività agricole responsabili del 30% delle emissioni globali di gas serra, è assolutamente fondamentale che le strategie legate alla lotta ai cambiamenti climatici comprendano anche profondi interventi a livello di gestione del sistema alimentare e di riduzione dello spreco in quanto doppiamente responsabile di queste emissioni, sia per quelle relative alla produzione dei beni alimentari sia per quelle relative alla loro gestione o
distruzione.
“RIDURRE LO SPRECO
DI CIBO SERVE

PER LA SICUREZZA ALIMENTARE, PER LA SOSTENIBILITÀ NUTRIZIONALE, PER IL BENESSERE DEL PIANETA”.
Metà del suolo abitabile sul pianeta Terra è destinato alla coltivazione agricola, l’11,5% del suolo, 1,4 miliardi di ettari di superficie agricola producono cibo che non verrà utilizzato. Il 30% del consumo totale di energia a livello mondiale è collegato al settore alimentare, la perdita di cibo rappresenta il 10% del totale dei gas serra globali, Il 25% dell’acqua dolce utilizzata ogni anno è destinata al cibo non consumato. Tutti questi fattori impattano sull’ambiente, rendono il clima instabile, ci espongono a eventi meteo estremi come siccità e inondazioni, hanno un impatto negativo sui raccolti, riducono la qualità nutrizionale delle colture, causano interruzioni della catena di approvvigionamento e minacciano la sicurezza alimentare. Ridurre o evitare gli sprechi alimentari ci aiuta ad avere un impatto positivo sull’ambiente. NON sprecare cibo significa NON sprecare le risorse del pianeta. L’Osservatorio Waste Watcher International ricorda come nella




lista dei prodotti più sprecati al mondo ci sono la frutta e la verdura.
Secondo Coldiretti il 35% della popolazione taglierà gli sprechi adottando a casa soluzioni salva-cibo e recuperando quello che resta a tavola. Oggi nelle case degli italiani si gettano mediamente ogni anno circa 67 kg di cibo per abitante. Siamo più responsabili dei francesi che ne sprecano 85 kg e dei tedeschi con 75 kg. CONAI nel 2022 ha confermato che quasi 1 italiano su 2 è disposto a pagare fino al 5% in più per un imballaggio capace di conservare più a lungo un prodotto alimentare. I consumatori dichiarano di voler ridurre lo spreco alimentare. Per questo chiedono educazione alimentare nelle scuole e per i cittadini, packaging di nuova generazione che allunghi la vita dei prodotti, etichette innovative capaci di offrire indicazioni e consigli utili facilmente leggibili, confezioni
più piccole, spese più frequenti per gli alimenti freschi, una migliore distribuzione del cibo nel frigo e nella dispensa per data di scadenza, una sensibilizzazione sui danni climatici ed economici legati agli sprechi alimentari, di adottare una dieta più sana e sostenibile, di riutilizzare gli avanzi e di riciclare i rifiuti alimentari.
L’Agenda di Parigi varata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 2015 ha adottato gli Obiettivi di sviluppo sostenibile per il 2030. L’Obiettivo numero 12, Garantire modelli sostenibili di produzione e di consumo, prevede di dimezzare gli sprechi alimentari pro capite a livello di vendita al dettaglio e di consumatore e di ridurre le perdite alimentari lungo le catene di approvvigionamento e di produzione.
L’Unione Europea ha così definito lo sviluppo sostenibile sullo spreco alimentare che i suoi Stati membri si impegnano a raggiungere. E la

Commissione europea invita tutti gli attori della catena alimentare a definire le misure necessarie a realizzare gli Obiettivi di sviluppo sostenibile relativi ai rifiuti alimentari e a condividere le migliori pratiche e i risultati ottenuti per definire, valorizzare e comunicare la nuova economia delle relazioni tra produzione e consumo per favorire il contrasto allo spreco alimentare.
Il cibo è un bene comune che deve essere rispettato, condiviso, amato.
Il Patto contro lo Spreco Alimentare, nonsprecoIlcibo.it, invita le marche e le insegne della distribuzione moderna a stringere un patto per limitare ogni forma di spreco domestico aiutando le famiglie ad attivare azioni concrete e consapevoli attraverso la comunicazione di consigli utili e una corretta informazione di servizio. Comunicare e informare fornendo dati, conoscenza, consapevolezza e strumenti utili al raggiungimento degli obiettivi di riduzione dello spreco alimentare contribuisce a ridurre le emissioni di carbonio e i rischi legati al climate change. Il progetto
coinvolgerà in via prioritaria tutte le aziende di produzione, trasformazione e distribuzione del settore food and beverage, che attraverso nonsprecoilcibo.it condivideranno strategie e consigli per contrastare lo spreco alimentare. Il progetto coinvolgerà esperienze del terzo settore, start up innovative, università, centri di ricerca e sviluppo, anche attraverso partnership di progetto. il progetto è rivolto principalmente ai 58 milioni di italiani che tutte le settimane fanno le loro scelte alimentari all’interno dei 26.800 punti vendita della Distribuzione moderna in Italia. Clienti e cittadini consapevoli che vogliono acquisire conoscenze e competenze sugli strumenti di riduzione dello spreco alimentare. Beneficiario indiretto è l’ambiente. Ridurre o evitare gli sprechi alimentari ci aiuta ad avere un impatto positivo e sostenibile sull’ecosistema, sulla biodiversità e sul contrasto alla crisi idrica.
Combattere lo spreco alimentare significa dare nuovo valore sociale, culturale ed economico al cibo.
QUANDO MANGIARE FA RIDERE
ìAll you can eatî di Diego Parassole e Riccardo Piferi racconta tutti i paradossi drammatici e spesso divertenti del cibo che mangiamo.
di Andrea Segrè

» uscita la seconda edizione del libro di Diego Parassole e Riccardo Piferi ìAll you can eatî, per ScienzaExpressEdizioni. Uníedizione riveduta e scorretta, arricchita di nuovi dati, infografiche e letture per ragionare sulle crisi che stiamo affrontando: climatica, finanziaria, della sicurezza alimentare. Un piccolo libro necessario, A partire dal titolo messo lÏ con perfidia. "All you can eat", lo slogan pi˘ odioso e maldestro del marketing del food, una frase volgare, che ci riporta l'immagine pi˘ devastante e ottusa dello spreco alimentare, prende a calci il benessere nutrizionale, umilia la sostenibilit‡ e il valore delle risorse che usiamo per allevare e coltivare tutto quello che arriva sulla nostra tavola. PerchÈ se líillustre Ludwig Feuerbach, nel recensire un trattato di alimentazione composto da un medico olandese nella met‡ del 1800, scrisse: ìnoi siamo quello che mangiamoî, Parassole aggiunge che proprio per questo dobbiamo sapere tutto di quello che mangiamo. Per gentile concessione dellíeditore, pubblichiamo la prefazione del libro firmata dallíeconomista Andrea SegrË, uno dei massimi esperti in Italia di lotta contro ogni forma di spreco alimentare.
Allyoucaneato Justeatit?
Apartechesiamostufidituttoquestoinglese–lodice uno che si è inventato il last minute market, dunque è assai poco credibile – in effetti la domanda ha un senso, mette un dubbio.
Tutto ciò che puoi mangiare o Mangia tutto? Il primo è il titolo di questo libro, ma sembra quasi il claim (scusate di nuovo) di qualche ristorante: paga un forfait (francesismo, ma in cucina funziona), accomodati e mangia quanto vuoi. Il secondo è il titolo di un documentario canadese su una coppia che decide di nutrirsi per alcuni mesi solo con il cibo trovato nella spazzatura. Ma è anche il nome di una catena che porta pizze, sushi, kebab e credo altro a domicilio, pranzo e cena.
Il fatto è che – non a caso tutti questi anglicismi – il food, il cibo, è diventato un fenomeno globale, nel bene e nel male. Da una parte si sfidano in tv “maestri” spadellatori virtuali che saziano un pubblico crescente di fan(s). Dall’altra continua la pubblicità, sempre sullo stesso schermo, di qualche organizzazione non governativa con foto di bambini denutriti dallo stomaco gonfio di aria. Magari torna in voga il monito
di quando ero bambino io: mangia tutto ciò che hai nel piatto che in Biafra i bimbi della tua età muoiono di fame (e non riuscivo a capire la relazione fra il mio piatto e il loro…).
Del resto, va detto, mangiare soddisfa un bisogno primario ineludibile, che dovrebbe essere anche un diritto universale: se non mangi cibo in quantità e qualità sufficiente (Houston) puoi avere dei “problemi”.
Invece molto, troppo spesso mangiamo junk food (non mi scuso più), che altrettanto spesso finisce nel junk, ovvero nel bidone della spazzatura. Ma non voglio parlare qui di spreco alimentare, cibo ancora buono da mangiare che finisce appunto nella spazzatura, perché se no mi dite che ho un chiodo fisso (che è vero).
Qui mi verrebbe la voglia di porvi un’altra domanda, anche questa piuttosto marzulliana: «Ma allora mangiamo per vivere o viviamo per mangiare?». Un bel dilemma capire la domanda, bisogna fermarsi un attimo, e poi dare una risposta sensata. Non c’è lo spazio, per fortuna. E soprattutto un libro lo state per leggere: non ne voglio scrivere un altro.
Però, voglio farvi riflettere su come, con poco, si cambia la prospettiva. Infatti basta sostituire una vocale fra “sei” (essere) e “sai”(sapere)cheilfamosodettoattribuito al filosofo Ludwig Feuerbach, «sei ciò che mangi» (non so se l’ha detto veramente lui, io preferisco citare Luciano Ligabue in Baby, è un mondo super), si trasforma nell’interrogativo«saiciòchemangi?».
Ecco il punto: noi non sappiamo cosa mangiamo. E in fondo Diego Parassole, come tutti i comici seri (ossimoro su cui invito a riflettere), ci parla proprio di questo. Nel senso che, facendoci ridere, talvolta amaramente (altro ossimoro), ci informa e ci fa riflettere sul cibo. Una delle parole più abusate e aggettivate dei nostri tempi, soprattutto adesso che si avvicina Expo 2015 e si comincia a passare dai contenitori (leggi: padiglioni) ai contenuti (leggi: «Nutrire il pianeta, energia per la vita»).
Diegononlosaancora,maquandoleggerà questa prefazione capirà di aver scritto nientepopodimeno che un “manuale” di educazionealimentare.Eneisuoispettacoli di aver recitato lezioni di educazione alimentare a beneficio del suo pubblico, gli studenti che siamo tutti noi. Materia che, lo dico da tempo senza grande successo, dovrebbe essere insegnata obbligatoriamente nelle scuole di ogni ordine e grado, un po’ com’era una volta l’economiadomestica.
Educare – e adesso faccio davvero il professore che sono – dal latino ex-ducere, “tirare fuori”: invece di “mettere dentro” la pancia alimenti cattivi o “inculcare” nutrienti dannosi attraverso marketing e pubblicità dobbiamo – ecco l’educazione alimentare – tirare fuori il meglio del cibo. Loripeto,ilcibodevesoddisfareunbisogno
fondamentale dell’uomo, non un desiderio. Alimentarsi bene, in quantità sufficiente sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo,èundirittomaancheundovere eunvalore.
Ecco, forse, la lezione più importante: il cibo ha valore. Una società come la nostra, dove il cibo non è più un valore in tutte le sue qualificazioni e aggettivazioni – nutrizionale, economico, ambientale, territoriale, culturale, storico, conviviale, relazionale, emozionale e potrei andare avanti a lungo – è davvero arrivata al capolineao,piùpropriamente,allafrutta.
Questo libro ci spiega invece che non è, e nondeveessere,così.
Post Scriptum
Quando l’editore mi ha chiesto se volevo rivedere la prefazione del libro di Diego in corso di riedizione, prima di rispondere ho voluto rileggerla. Sono passati dieci anni –pensavo – chissà cosa ho scritto, da allora il mondo è totalmente cambiato. Invece non cambierei una virgola, la trovate integrale qui sopra. Dieci anni fa – sembra un secolo, tante cose sono successe nel mondo – era chiaro tutto, almeno per me si intende. Da allora, oltre a essere invecchiato o forse proprio per questo, ho solo ripetuto gli stessiconcetti(mangiareèunattomultiplo, soprattutto politico); fatto le stesse richieste (in-serire obbligatoriamente l’educazione alimentare nelle scuole di ogni ordine e grado); ampliato gli studi (sul diritto a un’alimentazione adeguata per tutti e ovunque); aggiornato i dati (sullo spreco alimentare in Italia e a livello internazionale).
Ma il mondo del cibo con tutte le sue contraddizioninonècambiato.
Anzi, è peggiorato. Più affamati, più obesi, più spreco, più poveri, più disuguaglianze, più inquinamento, più caldo: tutto positivo, inrealtànegativo.Confessochec’èunsenso di frustrazione in questa post-riflessione. Ed essere “promosso”, dalla postfazione di allora alla prefazione di adesso, non vorrei facesse pentire l’editore e l’autore. Come se questi dieci anni fossero passati invano.
In parte è vero. Abbiamo perso tante occasioni per capire che il cibo è salute, è ambiente, è società, è economia, è politica. E agire di conseguenza. Produrre e consumare alimenti ha un impatto sulla nostra salute, sull’ambiente che ci circonda, sulla società in cui viviamo,

sull’economia che ci sostiene, sulla politica che indirizza con misure e risorse. Ma come per le diete, bisogna capire che c’è bisogno di equilibrio. E siccome non è solo una questione di bilanciare correttamente i nutrienti, anche se sarebbe già tanto, il mondo del cibo ha bisogno anche di equità, giustizia e solidarietà. Possibile che chi produce un alimento guadagni di meno, se poi guadagna, rispetto a chi lo distribuisce?
Possibile che siano proprio i più poveri ad ammalarsi perché, per soddisfare un bisogno essenziale, mangiano male cercando il costo della caloria più basso possibile? Possibile che ancora si sprechi un terzo del cibo a livello globale, una quantità che basterebbe a nutrire un terzo della popolazione mondiale? Sì, è possibile perché continua a succedere.
Ma non posso lasciarvi a questa riedizione senza una parte ottimista. Che poi è nel mio modo di essere e di vivere: cercare il bicchieremezzopieno.Magaridibuonvino: ne basta la metà e siamo perfettamente dentro tutti i parametri medici, a proposito di salute. Le buone notizie sono addirittura due.
La prima è che finalmente abbiamo a disposizione uno strumento, anzi un’applicazione, che con grande facilità ci consentirà di abbattere lo spreco alimentare e adottare un regime alimentare sano e sostenibile come la Dieta mediterranea. È lo Sprecometro, bellezza: provare, anzi scaricare per credere!
La seconda è che il libro di Diego, così aggiornato e arricchito con infografiche dense di informazioni, è ancora molto attuale: leggetelo!
Perfetta da sola come per accompagnare ricette classiche e creative, la Feta DOP Ohi Vita ha una storia tanto ricca quanto il suo sapore genuino
Che entri in un’insalata come in un piatto tradizionale o che venga gustata da sola, la Feta DOP Ohi Vita rimane un piacere che affonda le sue radici nella storia e continua a essere attuale e ricercata per il suo gusto inconfondibile. Parliamo di un prodotto che, con il suo carattere unico e la sua lunga storia, rappresenta un vero e proprio tesoro della tradizione casearia greca. Questo formaggio a pasta semi-dura e friabile, oggi ben noto e apprezzato anche nelle nostre insalate, vanta origini antichissime che possiamo ritrovare anche nei testi di Omero Nell’Odissea, infatti, si narra come Ulisse, fuggendo dalla caverna del ciclope Polifemo, fosse riuscito a portare via con sé questa tipologia di formaggio preparato dal gigante, un riferimento che testimonia l’antichità e la rilevanza culturale del prodotto. Tuttavia, il nome “feta” sembra essere comparso solo molto più tardi, nel Diciassettesimo secolo, e sembra derivare dalla parola greca che significa “fetta”, riferendosi alla porzionatura del formaggio ottenuta dopo il taglio della cagliata.

Il legame tra la feta e il suo territorio d’origine è indissolubile. Le pecore e le capre, che forniscono il latte necessario per la produzione della feta, sono allevate in aree spesso impervie della Grecia, dove le condizioni climatiche difficili e il terreno accidentato hanno favorito lo sviluppo di razze ovine e caprine robuste e perfettamente adattate all’ambiente locale. La relazione tra questi animali e la biodiversità del suolo greco, insieme a metodi di allevamento e di caseificazione tramandati nei secoli, conferiscono alla Feta DOP Ohi Vita quel sapore sapido e leggermente acidulo, tipico di questo formaggio. Il processo di produzione, che include anche la fase di maturazione in salamoia, contribuisce ulteriormente a definirne il gusto distintivo e la consistenza.
La feta non è solo un alimento tradizionale, ma


anche una fonte di nutrienti preziosi. Questo formaggio è infatti ricco di proteine, il che lo rende un alimento con un elevato potere nutriente, capace di fornire energia e di contribuire alla sensazione di sazietà. La presenza di vitamine del gruppo B rende la feta un valido supporto per i processi energetici del nostro organismo, aiutando a sostenere le attività quotidiane. Inoltre, la feta è una buona fonte di calcio, un minerale fondamentale per la salute delle ossa e dei denti, contribuendo così al benessere generale di chi la consuma.
Oltre al suo valore nutrizionale, la feta è un prodotto che racconta una storia di tradizione e di rispetto per l’ambiente. La Feta DOP Ohi Vita, ad esempio, proviene dalla regione verdeggiante di Drama, in Grecia, dove la produzione è ancora legata ai metodi tradizionali di pascolo e lavorazione. Da oltre 50 anni, gli allevatori di questa zona si impegnano a valorizzare la qualità delle materie prime locali, seguendo pratiche sostenibili che rispettano l’ambiente e promuovono la biodiversità. Il risultato è un formaggio genuino, che porta con sé il sapore autentico del territorio greco e l’esperienza accumulata in più di due millenni di storia. La Feta DOP Ohi Vita è, infatti, prodotta interamente in Grecia, garantendo così l’originalità e la qualità del prodotto. La selezione accurata delle materie prime e l’attenzione alla sostenibilità caratterizzano tutto il processo produttivo, che si basa su pratiche tradizionali a cui contribuiscono controlli rigorosi che garantiscono la sicurezza alimentare e la tracciabilità
La lavorazione della feta è seguita passo dopo passo, dalla raccolta del latte fino alla distribuzione, che avviene attraverso una logistica efficiente in grado di preservare la freschezza e l’integrità del prodotto. In questo modo, la Feta DOP Ohi Vita arriva sulle nostre tavole mantenendo intatti il suo sapore e le sue proprietà nutrizionali.





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RICETTARIO
MARMELLATA DI ARANCE
INGREDIENTI PER 20 VASETTI
MaterieQ.tàMisura
Arance Tarocco
non trattate2kg
Zucchero1kg
PROCEDIMENTO
STEP 1
Tagliare le estremità delle arance, quindi ricavare delle strisce di scorza della larghezza di circa 2 cm e pelarle. Eliminare i filamenti interni e tagliare gli spicchi a pezzi non troppo grossi. Pesare la frutta pulita e tagliata, quindi metterla sul fuoco a fiamma medio-bassa e aggiungere lo zucchero.
STEP 2
Nel frattempo, tagliare le scorze a strisce trasversali di circa 3 mm di spessore; pesarle e metterle a bollire in acqua fredda. Ripetere l’operazione per almeno 4/5 volte, sempre ripartendo da acqua fredda, quindi scolare l’ultima acqua e unire le scorze alle arance già in cottura. Lasciare sobbollire a fuoco basso e tegame scoperto, rimestando di tanto in tanto per assicurarsi che la marmellata non si attacchi al fondo.
STEP 3
Raggiunta la consistenza desiderata, trasferire la marmellata in vasetti di vetro puliti, risciacquati con un poco di alcool alimentare e ben scolati. Chiudere fermamente ogni vasetto e lasciarli riposare rovesciati su un piano per almeno una notte.

GELO DI MANDARINO
INGREDIENTI PER 4 PERSONE
MaterieQ.tàMisura
Mandarini2kg
Amido di mais90gr
Zucchero100 gr
PROCEDIMENTO
STEP 1
Sbucciare i mandarini e spremerli per estrarre il succo, quindi filtrarlo. Mescolare l’amido e lo zucchero in una terrina.
STEP 2
Versare la metà del succo ottenuto nella terrina poco per volta, continuando a mescolare di continuo con un cucchiaio di legno in modo da far assorbire uniformemente il liquido. Trasferire su fuoco basso e aggiungere il resto del succo, sempre mescolando e prestando attenzione a non formare grumi.
STEP 3
Proseguire la cottura per un paio di minuti dal punto di ebollizione, quindi trasferire la preparazione in uno stampo e lasciarlo raffreddare prima a temperatura ambiente e poi in frigorifero per qualche ora, sino a che non risulta ben sodo. Al momento di servire, capovolgere il gelo di mandarino su un piatto da portata e portare in tavola.

INSALATA DI ANGURIA ALLA GRECA
INGREDIENTI per 4 porzioni
MaterieQ.tàMisura
Anguria1/2Numero
Feta greca 100 gr
Cipolla rossa 1 Numero
Limone (succo) 1/2 Numero
Olivenere(denocciolate)q.b.
Menta fresca q.b.
Olio EVOq.b.
Saleq.b.
Pepe neroq.b.
PROCEDIMENTO
STEP 1
Per prima cosa prendere l'anguria, eliminare i semi e tagliarla in cubetti regolari, non eccessivamente piccoli. Poi, sbucciare e tagliare la cipolla alla julienne e metterla a marinare con il succo di limone e qualche fogliolina di menta. Tagliare quindi la feta delle stesse dimensioni dell'anguria.
STEP 2
A questo punto, unire tutti gli ingredienti in una ciotola capiente e condire con olio, sale, pepe nero e un po’ di menta sminuzzata. Mescolare per bene e servire: buon appetito!


GHIACCIOLI DI ANGURIA AL RUM
INGREDIENTI per 12 porzioni
MaterieQ.tàMisura
Anguria (pulita)600 gr
Acqua60 ml
Zucchero semolato50 gr
Menta fresca10 gr
Rum bianco50 ml
Lime (succo)2 Numero
PROCEDIMENTO
STEP 1
Mettere in una casseruola l’acqua, lo zucchero e la menta e portare a ebollizione, mescolando così da far sciogliere lo zucchero. Quando bolle, spegnere il fuoco e lasciare in infusione per trenta minuti circa, quindi filtrare con un colino a maglie strette e far freddare.
STEP 2
Nel frattempo, pulire l'anguria, eliminando i semi, la parte bianca e la buccia, e tagliarla a cubetti grossolani. Mettere l'anguria nel bicchiere del frullatore insieme al succo di lime e frullare il tutto. Filtrare con un colino a maglie strette e unire allo sciroppo di menta precedentemente preparato.
STEP 3
A questo punto, aggiungere il rum e mescolare il composto. Versare all'interno degli stampini per ghiaccioli e sistemare in congelatore per farli rassodare – ci vorranno dalle sei alle otto ore circa.

PASTA FRESCA AL CACAO
INGREDIENTI per 4 persone
MaterieQ.tàMisura
Farina 00
(adatta per sfoglia) 400gr
Cacaoamaroinpolvere40gr
Uova da 60-70
gr di peso4Numero
PROCEDIMENTO
STEP 1
Mescolare la farina e il cacao e disporla a fontana su una spianatoia, rompervi al centro le uova e incorporarle prima con la forchetta e poi con le mani. Lavorare l’impasto per almeno una decina di minuti, rendendolo liscio e omogeneo.
STEP 2
Dare all’impasto forma rotonda eliminando le pieghe, infarinarlo e metterlo in un sacchetto per alimenti. Far fuoriuscire l’aria e chiudere il sacchetto. Lasciar riposare per 30 minuti.
STEP 3
Spolverizzare di farina tagliere e impasto e appiattire il panetto, formando un disco. Stenderlo con il matterello a uno spessore di circa 0,5 mm. Se l’impasto dovesse essere troppo secco, spruzzarlo di acqua; se risulta invece troppo umido, infarinarlo leggermente. Arrotolare la sfoglia su sé stessa e tagliarla a strisce più o meno larghe a piacere, quindi srotolarle e separarle, facendo ricadere la pasta sul tagliere. Cuocere in abbondante acqua bollente salata e prelevare la pasta con una schiumarola a mano a mano che viene a galla.

SALAME DI CIOCCOLATO
INGREDIENTI PER 1 SALAME
MaterieQ.tàMisura
Biscotti secchi250 gr
Cioccolato fondente200 gr
Cacaoamaroinpolvere25gr
Latte100 ml
Zucchero semolato 60 gr
Burro120 gr
Zucchero a veloq.b.
PROCEDIMENTO
STEP 1
Rompere grossolanamente i biscotti sbriciolandoli con le mani o pestandoli tra due fogli di carta da forno. Tritare il cioccolato. Tagliare a cubetti il burro.
STEP 2
Versare il latte in un pentolino, scaldarlo a fuoco dolce e aggiungere il burro. Mescolare per farlo sciogliere, quindi unire il cioccolato tritato e incorporarlo al composto. Aggiungere anche il cacao amaro in polvere, sempre mescolando, e i biscotti spezzettati.
STEP 3
Far raffreddare il composto, trasferirlo su un foglio di pellicola da cucina o da forno e lavorarlo dandogli la forma a salame. Trasferire la preparazione in frigorifero per il tempo necessario a farlo compattare, quindi lasciarlo riposare e rassodare ulteriormente in freezer per almeno due ore. Appena prima di servire, toglierlo dal freezer, tagliarlo a fette di circa 1 cm di spessore e servirlo, spolverandolo a piacere con zucchero a velo.

INSALATA DI COUS COUS
CON VERDURE E CECI
INGREDIENTI per 4 porzioni
MaterieQ.tàMisura
Cous cous250 gr
Acqua250 gr
Peperone1 Numero
Ceci in scatola200 gr
Cipollotto 1 Numero
Carota 1 Numero
Zucchina 1 Numero
Olio EVO 4 Cucchiai
Sale e pepe q.b.
Menta q.b.
PROCEDIMENTO
STEP 1
Lavare e mondare per bene tutte le verdure, tagliandole a piccole listarelle o dadini.
STEP 2
Scaldare in una padella l’olio a cuocere le verdure a fiamma vivace, aggiustando di sale e di pepe.
STEP 3
Mettere a bollire l’acqua salata in una pentola capiente. Spegnere il fuoco, aggiungere 2 cucchiai di olio e il cous cous sgranandolo con una forchetta. Coprire e lasciare riposare per 5 minuti.
STEP 4
Sgranare ancora il cous cous e unire le verdure, i ceci sgocciolati e la menta pulita e sminuzzata con le mani. Mescolare con cura e lasciare riposare in frigo per 2 ore prima di comporlo nei piatti.

COUS COUS CON POLLO E VERDURE
INGREDIENTI per 4 porzioni
MaterieQ.tàMisura
Cous cous250 gr
Acqua250 gr
Petto di pollo400 gr
Cipollotto1
Numero
Carota 1 Numero
Zucchina1
Numero
Olio EVO4 Cucchiai
Prezzemoloq.b.
Sale e pepeq.b.
PROCEDIMENTO
STEP 1
Lavare e mondare per bene tutte le verdure, tagliandole a piccole listarelle o dadini.
STEP 2
Scaldare in una padella l’olio a cuocere le verdure a fiamma vivace, aggiustando di sale e di pepe.
STEP 3
Mettere a bollire l’acqua salata in una pentola capiente. Spegnere il fuoco, aggiungere 2 cucchiai di olio e il cous cous sgranandolo con una forchetta. Coprire e lasciare riposare per 5 minuti.
STEP 4
Tagliare il petto di pollo a piccoli cubetti. Metterli in una padella con 2 cucchiai di olio extravergine di oliva e cuocere a fuoco abbastanza alto fino a piena cottura, aggiustando di sale.
STEP 5
Sgranare nuovamente il cous cous e unire le verdure assieme al pollo. Mescolare con cura e adagiare sopra un abbondante strato di cous cous. Decorare con qualche fogliolina di prezzemolo mondato e spezzato con le mani.

HUMMUS DI FAGIOLI CANNELLINI
INGREDIENTI per 4 persone
MaterieQ.tàMisura
Fagioli cannellini
già lessati400 gr
Aglio1Spicchio
Tahina (pasta di sesamo)2Cucchiai
Limone1Numero
Olio EVOq.b.
Saleq.b.
Paprikadolceoerbe aromatiche(facoltativo)q.b.
PROCEDIMENTO
STEP 1
Mondare l’aglio; spremere il limone e filtrarne il succo. Mescolare la tahina, avendo cura di raccogliere sia la pasta sia l’olio.
STEP 2
Riunire i fagioli, l’aglio e la tahina nel bicchiere del frullatore a immersione e frullare sino a ottenere un composto liscio e uniforme, versando a poco a poco il succo di limone. Se la consistenza dovesse risultare troppo densa e compatta, diluire la preparazione con 1-2 cucchiai di acqua calda.
STEP 3
Trasferire l’hummus di fagioli in una ciotola da servizio, completare con un giro d’olio e con paprika o erbe aromatiche a piacere e servire, con spicchi di pane pita o crostini di pane tostati e verdure fresche pronte al consumo.

BURGER DI FAGIOLI
INGREDIENTI per 4 persone
MaterieQ.tàMisura
Fagioliborlottilessati600 gr
Scalogni2Numero
Aglio1Spicchio
Erbearomaticheapiacere1Mazzetto
Pangrattatoq.b.
Olio EVOq.b.
Saleq.b.
Pepeq.b.
PROCEDIMENTO
STEP 1
Mondare gli scalogni, tritarli e rosolarli in una padella con un po’ d’olio, facendoli ammorbidire ma senza brunirli. Sbucciare lo spicchio d’aglio; spiccare le foglie delle erbe aromatiche scelte (prezzemolo, origano, menta o basilico) dai rametti e tamponarle con carta da cucina inumidita.
STEP 2
Tritare nel mixer i fagioli e gli ingredienti preparati sino a ottenere un composto omogeneo, quindi trasferirlo in una terrina. Regolare di sale e di pepe e aggiungere il pangrattato necessario a rendere il composto compatto ma malleabile. Preriscaldare il forno a 180 °C.
STEP 3
Prelevare un po’ di impasto alla volta e formare i burger, appiattendoli leggermente. Disporli su una teglia rivestita di carta da forno, irrorarli con un filo d’olio e infornarli per una ventina di minuti, voltandoli a metà cottura, sino a doratura uniforme. Sfornare e servire.

CODE DI GAMBERI SU TARTARE DI FRUTTA
INGREDIENTI per 4 porzioni
MaterieQ.tàMisura
Code di gamberi8 Numero
Ananas fresco1/2 Numero
Kiwi1 Numero
Avocado1/2 Numero
Semi di sesamo40 gr
Albume1 Numero
Aceto balsamico2 Cucchiaio
Olio EVOq.b.
Saleq.b.
PROCEDIMENTO
STEP 1
Iniziare pulendo l'ananas e tagliarla in fette sottili. Adagiarla su della carta da forno e metterla ad asciugare in forno a 190° per venti minuti circa. Quindi metterla dentro dei pirottini da muffin e far cuocere per altri trenta minuti a 160°. Intanto, tagliare il resto dell'ananas a cubetti, così come il kiwi e l'avocado.
STEP 2
Sgusciare i gamberi e passarli nell'albume, quindi nel sesamo, avendo cura che i semi aderiscano per bene su entrambi i lati. Riscaldare una padella con un filo d'olio e mettere a cuocere i gamberi qualche minuto per lato.
STEP 3
Servire disponendo la tartare di frutta all'interno di un coppapasta e adagiandovi sopra qualche coda di gambero. Guarnire con qualche goccia di aceto balsamico.

CROSTATA AL KIWI
INGREDIENTI per 4 porzioni
MaterieQ.tàMisura
BiscottitipoDigestive250 gr
Cocco grattugiato50 gr
Burro fuso 150 gr
Ricotta400 gr
Zucchero semolato70gr
Albume1Numero
Limone (scorza)1Numero
Kiwi4-5 Numero
PROCEDIMENTO
STEP 1
Per la base della crostata, mettere i biscotti e il cocco nel mixer e frullare fino a ridurre in polvere. Aggiungere il burro fuso e amalgamare fino a ottenere un composto omogeneo. Quindi adagiarlo in uno stampo da crostata, compattandolo bene, e metterlo a riposare in frigo per almeno mezz'ora.
STEP 2
Nel frattempo, mescolare in una ciotola la ricotta assieme allo zucchero e al succo di limone. Con il composto così ottenuto, riempire la crostata, livellandola bene con il dorso di una spatola.
STEP 3
Tagliare a fettine sottili i kiwi e decorare la crostata. Buon appetito!


INSALATA MEDITERRANEA
CON PATATE E TONNO
INGREDIENTI per 4 persone
MaterieQ.tàMisura
Patate 800 gr
Tonno sott’olio250 gr
Pomodorini250 gr
Cipolla di Tropea1Numero
Olive nere denocciolate12Numero
Capperi q.b.
Basilicoq.b.
Origano essiccatoq.b.
Olio EVOq.b.
Saleq.b.
Pepeq.b.
PROCEDIMENTO
STEP 1
Lavare le patate sotto acqua corrente e metterle a bollire finché saranno tenere ma non sfatte. A cottura ultimata, scolarle, pelarle, tagliarle a pezzi grossolani e lasciarle raffreddare in una terrina.
STEP 2
Nel frattempo, mondare la cipolla e affettarla finemente a mezze rondelle; scolare il tonno dall’olio di conservazione; sciacquare capperi e olive sotto acqua corrente; lavare i pomodorini e tagliarli a spicchi. Tamponare le foglie di basilico con carta da cucina inumidita e tenerle da parte.
STEP 3
Riunire gli ingredienti preparati nella terrina con le patate e condire l’insalata con olio, sale, pepe e origano sminuzzato. Completare con le foglie di basilico tenute da parte e servire.

FRITTATA DI PATATE
INGREDIENTI per 4 persone
MaterieQ.tàMisura
Patate 800 gr
Uova4Numero
Olio EVOq.b.
Sale q.b.
Pepe q.b.
PROCEDIMENTO
STEP 1
Sciacquare le patate, pelarle e tagliarle a tocchetti. Scaldare un po’ d’olio in una padella e trasferirvi le patate. Condire con sale e pepe e cuocerle su fiamma mediobassa, rigirandole di tanto in tanto, sino a doratura uniforme.
STEP 2
Nel frattempo sgusciare le uova, riunirle in una terrina, insaporirle con sale e pepe e batterle sino a ottenere un composto omogeneo.
STEP 3
A fine cottura delle patate, riunirle in un contenitore per farle intiepidire più velocemente, quindi trasferirle nella terrina con le uova e mescolare. Scaldare la padella unta dove hanno cotto le patate e trasferirvi la preparazione. Far rapprendere e dorare la frittata a tegame coperto, voltandola a metà cottura con l’ausilio di un piatto o di un coperchio. Servire.

INSALATA DI PESCHE
INGREDIENTI per 4 porzioni
MaterieQ.tàMisura
Pesche gialle3 Numero
Insalatalollorossa(cespo)1
Numero
Indivia riccia (cespo)1 Numero
Noci pecan100gr
Yogurtmagro(vasetto)1
Cipolla rossa1
Pepeq.b.
Saleq.b.
Numero
Numero
PROCEDIMENTO
STEP 1
Lavare e asciugare accuratamente l'insalata. Quindi tagliarla grossolanamente e disporla in una ciotola. A parte, lavare le pesche e tagliarle a fettine sottili, unirle all'insalata e aggiustare di sale e pepe.
STEP 2
Sbucciare la cipolla e tagliarla molto sottile. Unirla all'insalata assieme allo yogurt e alle noci pecan. Mescolare e servire subito.

PERSI PIEN (PESCHE RIPIENE)
INGREDIENTI per 6-8 porzioni
MaterieQ.tàMisura
Pesche nettarine4 Numero
Amaretti secchi100 gr
Zucchero4 Cucchiaio
Cacaoamaro(polvere)1 Cucchiaio
Burroq.b.
PROCEDIMENTO
STEP 1
Lavareeasciugarelepesche,tagliarleametàedeliminare ilnocciolo.Conl'aiutodiuncucchiaio,eliminarepartedella polpaemetterladaparte.Sistemarelepeschetagliatea metàinunategliaimburrata.
STEP 2
Intanto,inunmixertritarefinementegliamaretti,assieme allapolpadellepesche,lozucchero,ilcacaoel'uovo.Frullare finoaottenereuncompostoomogeneo.Farcirelepesche precedentementetagliateconilripienocosìottenuto.
STEP 3
Infine,cuocereinfornopreriscaldatoa160°Cpercirca un'oraeserviretiepide.

ZUPPA FREDDA DI POMODORO
INGREDIENTI per 4 persone
MaterieQ.tàMisura
Pomodori maturi1kg
Aglio 2Spicchi
Basilico1Mazzo
Aceto di vino bianco2Cucchiai
Olio EVOq.b.
Saleq.b.
Pepe in graniq.b.
PROCEDIMENTO
STEP 1
Riempire di acqua un tegame capiente e portarla a ebollizione. Nel frattempo, mondare i pomodori e sciacquarli sotto acqua corrente. Tuffarli quindi nell’acqua in ebollizione e prelevarli con una schiumarola dopo circa 20 secondi.
STEP 2
Pelare i pomodori sbollentati e passarli con il passaverdure per eliminare i semi e ottenere dalla polpa un succo liscio e omogeneo. Unire gli spicchi d’aglio sbucciati, qualche foglia di basilico e una presa di sale e frullare la preparazione.
STEP 3
Condire la zuppa con olio, aceto e pepe macinato al momento. Completare guarnendo con foglie di basilico fresco e servire con pane tostato.

INSALATA DI POMODORI, CETRIOLI, LATTUGHINO, RUCOLA E TROPEA
INGREDIENTI per 4 persone
MaterieQ.tàMisura
Pomodori ramati400gr
Cetrioli 2Numero
Lattughinopiccolo cespo
Rucola2Mazzetti
Cipolla di Tropea1Numero
Olio EVOq.b.
Aceto di vino bianco (facoltativo)q.b.
Sale q.b.
PROCEDIMENTO
STEP 1
Spiccare i pomodori dai rametti; pelare i cetrioli; sbucciare la cipolla; eliminare l’estremità alla base della rucola e del lattughino. Lavare e asciugare accuratamente tutte le verdure.
STEP 2
Tagliare a spicchietti i pomodori, raccogliendoli in una terrina. Affettare sottilmente i cetrioli. Ridurre a mezze rondelle la cipolla di Tropea e spezzettare grossolanamente con le mani rucola e lattughino.
STEP 3
Riunire gli ingredienti preparati nella terrina con i pomodori, condire con olio, sale e, a piacere, aceto di vino bianco, mescolare per insaporire uniformemente l’insalata e servire.

INSALATA DI RISO VENERE CON GAMBERETTI
INGREDIENTI per 4 porzioni
MaterieQ.tàMisura
Riso Venere320 gr
Gamberetti100 gr
Pomodori ramati3
Zucchina (media)1
Peperone giallo1
Maggiorana (mazzetto)1
Olio EVOq.b.
Pepeq.b.
Saleq.b.
Numero
Numero
Numero
Numero
PROCEDIMENTO
STEP 1
Cuocere il riso Venere in abbondante acqua salata per trenta minuti circa. Quindi scolarlo e sciacquarlo sotto l'acqua corrente prima di metterlo in una teglia raffreddare. Nel mentre, lavare e mondare la zucchina e il peperone, poi ridurle a dadini di circa un centimetro per lato.
STEP 2
Far rosolare le verdure in padella con un filo d'olio EVO, quindi regolare di sale e pepe. Tagliare a tocchetti regolari i pomodori e pulire i gamberetti. Cuocere i crostacei in una padella antiaderente con un filo d'olio per tre-quattro minuti al massimo e aggiungere un pizzico di sale.
STEP 3
A questo punto, comporre l'insalata unendo al riso freddo le verdure saltate, i pomodori e i gamberetti. Tritare la maggiorana e aggiungerla all'insalata, condendola con una macinata di pepe, una presa di sale e un giro d'olio.

PUDDING DI RISO SPEZIATO
INGREDIENTI per 4 porzioni
MaterieQ.tàMisura
Riso Arborio280 gr
Acqua19 dl
Burro60 gr
Zucchero semolato500 gr
Zafferano in polvere (bustina)1 Numero Cardamomoinpolvere1 Cucchiaino
Cannella in polvereq.b.
Pistacchi (granella)40gr
Saleq.b.
Pepe rosaq.b.
Menta (foglioline)20Numero
Arancia1Numero
PROCEDIMENTO
STEP 1
Anzitutto, sciacquare il riso sotto l'acqua corrente per tre volte, in modo da fargli perdere l'amido. Quindi metterlo in una casseruola con acqua salata. Portare a ebollizione e cuocere, coprendo con un coperchio per trenta minuti circa, mescolando di tanto in tanto..
STEP 2
Unire lo zucchero e lo zafferano, quindi proseguire la cottura per altri venti minuti circa, avendo cura che il riso non si attacchi. Spegnere e, fuori dal fuoco, aggiungere la cannella, il cardamomo e il burro. Mescolare accuratamente e rimettere sul fuoco per altri trenta minuti finché il composto non risulterà denso e cremoso.
STEP 3
Una volta pronto, trasferire il pudding in ciotole monoporzione e far riposare in frigo per almeno due ore. Prima di servire, guarnire con la granella di pistacchi, qualche grano di pepe rosa, un paio di foglioline di menta e una fetta d’arancia.

BOMBETTE PUGLIESI
INGREDIENTI per 4 porzioni
MaterieQ.tàMisura
Capocollo di maiale (fettine)8 Numero
Pancetta fresca (fettine) 8 Numero
Caciocavallo
Silano DOP80 gr
Aglio (spicchi)1 Numero
Prezzemolo frescoq.b.
Olio EVO
Terre di Bari DOP q.b.
Pepeq.b.
Saleq.b.
PROCEDIMENTO
STEP 1
Per prima cosa, battere con un batticarne le fette di capocollo così da assottigliarle. Se per caso dovessero risultare troppo grandi, dividerle a metà. Quindi stendere le fettine su un tagliere e condirle con il Caciocavallo Silano DOP, il prezzemolo e un pochino d'aglio tritato.
STEP 2
Avvolgere a involtino le fettine di capocollo farcite e ricoprirle con la pancetta, una fetta attorno a ciascuna bombetta. Mettere a scaldare una padella antiaderente (o, se l'avete, accendere la brace).
STEP 3
Far rosolare le bombette per circa dieci-quindici minuti per lato, facendo molta attenzione a non forarle. Servire calde con un contorno a piacere.

ORECCHIETTE
CON CIME DI RAPA
INGREDIENTI per 6-8 persone
MaterieQ.tàMisura
Cime di rapa1 kg
Orecchiette fresche 600 gr
Acciughe sott'olio
(filetti) 8-10Numero
Aglio (spicchi)2 Numero
Peperoncino fresco1 Numero
Olio EVO Terre
Tarentine DOP q.b.
Sale q.b.
PROCEDIMENTO
STEP 1
Per prima cosa, battere con un batticarne le fette di capocollo così da assottigliarle. Se per caso dovessero risultare troppo grandi, dividerle a metà. Quindi stendere le fettine su un tagliere e condirle con il Caciocavallo Silano DOP, il prezzemolo e un pochino d'aglio tritato.
STEP 2
Avvolgere a involtino le fettine di capocollo farcite e ricoprirle con la pancetta, una fetta attorno a ciascuna bombetta. Mettere a scaldare una padella antiaderente (o, se l'avete, accendere la brace).
STEP 3
Far rosolare le bombette per circa dieci-quindici minuti per lato, facendo molta attenzione a non forarle. Servire calde con un contorno a piacere.













"Non c’è posto al mondo che io ami più della mia cucina.
Non importa dove si trova, com’è fatta: purché sia una cucina, un posto dove si fa da mangiare, io sto bene".
Banana Yoshimoto Scrittrice

