Il bello del comfort food. Tutti ne abbiamo almeno uno che racconta il gusto del cuore e della memoria. p/11
Chicco dopo chicco. Viaggio in dieci ricette tipiche della tradizione gastronomica italiana.
Sua maestà il Carnaroli e gli altri risi che raccontano la tradizione e il territorio del nostro Paese
Proviamo a farle! Tutte le ricette spiegate e fotografate, pagina dopo pagina. p/32
IL BELLO E IL BUONO DELL’ITALIA
COLLEZIONA
TUTTI E 10 I PERSONAGGI!
EDITORIALE di Giorgio Santambrogio
Quando il cibo cura la nostra anima
Il riso è un prodotto capace di costruire il futuro
Ripartiamo dal riso. Su questo numero di Mi Alimento vi invitiamo a viaggiare all’interno del mondo del riso italiano attraverso storie, tradizioni, proprietà nutrizionali e il racconto di dieci piatti della nostra tradizione gastronomica. Piatti che tutti conosciamo, dall’essenziale riso in bianco con il burro all’insalata di riso che ha accompagnato l’estate, dai tanti risotti con le spezie e le verdure, partendo da quell’icona assoluta chiamata risotto alla milanese, agli arancini e al sartù, dai timballi alle polpette, dalle ricette tipiche regionali come riso, patate e cozze alle tante torte di riso che dipingono di tanti gusti diversi il nostro Paese.
Scopriamo, grazie all’economia circolare, che nessun chicco andrà mai sprecato. Del riso, insomma, non si butta via niente perché i suoi scarti possono diventare tante altre cose, utili soprattutto a costruire le nostre case, nuove forme di packaging, prodotti per il benessere, fino ad arrivare ai pneumatici e ai pannelli isolanti.
Il riso è un prodotto capace di costruire il futuro.
“Inevitabilmente ho pensato al mio comfort food. È banale, lo so: la pizza. Da sempre è l’attesa di qualcosa di bello. ”
E ci occupiamo di comfort food, quel bisogno di cibo che ci racconta le nostre storie più intime e profonde. Sono i piatti del cuore e dell’anima, quelli che ci curano, spesso semplici, ma capaci di rappresentare il significato più profondo della sostenibilità nutrizionale, quello legato alla memoria.
Inevitabilmente ho pensato al mio comfort food. È banale, lo so: la pizza. Da sempre è l’attesa di qualcosa di bello. Davanti a una pizza non puoi fare a meno di sorridere, tutto va bene, tutto si aggiusta. È un piatto povero ma aristocratico, costa poco farla e dovrebbe costare poco mangiarla, ma al tempo stesso è un piatto straordinariamente ricco perché i suoi ingredienti sono preziosissimi: parliamo del pomodoro, della mozzarella, dell’olio extravergine di oliva, del basilico.
La pizza si fa. Servono le mani per creare un impasto di acqua e farina che poi viene condito e cotto nel forno a legna. Se ci pensate, è democratica: la base è uguale per tutti, poi la creatività e la libertà di ciascuno di noi la trasformano in desiderio. Ci possiamo mettere sopra tutto quello che vogliamo.
La pizza è rotonda, la scatola per portarla è quadrata e le fette sono triangolari. La pizza sorride. Sempre.
Un viaggio di gusto nell’Anno del Riso Italiano.
DIECI PIATTI
DELLA TRADIZIONE
Raccontiamo il mondo del riso italiano attraverso storia, tradizioni e ricette.
Mi Alimento
Anno 3 | Numero 3 - 2025
Periodico di proprietà di VéGé Retail s.r.l.
Edito da Mediaformat Comunicazione s.r.l
Direttore Responsabile
Paolo Marcesini
COMITATO DI REDAZIONE
Giorgio Santambrogio, Francesca Repossi, Eleonora Matteucci.
Coordinamento editoriale per VéGé Retail s.r.l. Eleonora Matteucci
HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO:
TASCABILE
Arrivano i Minipack di frutta secca Ohi Vita
Le ricette di settembre.
Andrea Begnini (redazione), Carlotta Bonsegna, Giovanni Franchini, Sirio Fusani (graphic design), Luisa Mantero (digital), Nicolò Pistone, Davide Vivaldi (redazione)
PER LA PUBBLICITÀ SU QUESTE PAGINE:
Gruppo VéGé Soc. Coop. Via Lomellina 10, 20133 Milano tel. 02/752961
CONTATTI
Al telefono: N° Verde VéGé 800137030 dal lunedì al venerdì 9:00-13:00 / 14:00-18:00
Sul web: www.gruppovege.it
Su Facebook e Instagram:
Gruppo VéGé Supermercati
RISI D'ITALIA
Un viaggio di gusto nell’Anno del Riso Italiano
Il 2025 è stato designato come l’Anno del Riso Italiano. Una celebrazione che unisce agricoltura, cultura e gastronomia sotto il segno di uno dei simboli più versatili e identitari del nostro Paese. Dal Piemonte alla Sicilia, il riso attraversa territori, dialetti e ricette , raccontando l’Italia nella sua diversità e nella sua capacità di innovare restando fedele alle radici. Un’occasione per riscoprire storie, paesaggi e tradizioni attraverso dieci piatti che fanno del riso il protagonista della nostra tavola .
di Andrea Begnini
L’Anno del Riso Italiano: un patrimonio da valorizzare
Con circa 1,5 milioni di tonnellate prodotte ogni anno e una superficie coltivata pari a più del 50% del totale europeo, l’Italia è il primo produttore di riso del continente. Ma il valore del riso italiano non si misura solo in numeri: è un patrimonio culturale, ambientale ed economico che nel 2025 viene messo al centro di un intero anno celebrativo, promosso da Ente Nazionale Risi in collaborazione con enti territoriali, consorzi e realtà agricole. Obiettivo: far conoscere il riso italiano in tutte le sue sfaccettature, promuovendone la filiera, l’eccellenza produttiva e la biodiversità Il 2025 celebra anche due ricorrenze fondamentali per la storia della risicoltura italiana: i 100 anni dall’introduzione della tecnica dell’ibridazione del riso e gli 80 anni dalla nascita del Carnaroli, una delle varietà più iconiche e apprezzate nel mondo. Dai paesaggi unici delle risaie vercellesi alle varietà storiche come Carnaroli, Arborio e Vialone Nano, fino alle nuove sperimentazioni sostenibili, il riso diventa protagonista di fiere, iniziative didattiche, eventi gastronomici e progetti internazionali. Un viaggio che parte dalla terra e arriva fino al piatto, con un messaggio chiaro: il riso italiano è qualità, tradizione e innovazione.
Chicchi d’identità: il riso nella cucina italiana
Presente sulla tavola quotidiana come nei giorni di festa, il riso rappresenta da secoli una costante nella cultura gastronomica italiana. Introdotto stabilmente nella Pianura Padana già
dalla fine del 1400, il riso ha trovato nella cucina regionale un terreno fertile per esprimersi in preparazioni tanto diverse quanto simboliche: risotti, minestre, torte salate, dolci, timballi, arancini e supplì. Ogni ricetta porta con sé la voce di una terra, di un dialetto, di un’identità. Non è un caso che siano davvero tante le ricette più amate dagli italiani che hanno il riso come ingrediente centrale. La sua capacità di assorbire sapori, di legare gli ingredienti e di adattarsi a consistenze e cotture diverse lo rende un vero e proprio “ingrediente ponte” tra culture culinarie anche molto distanti tra loro. Dalla cucina contadina a quella aristocratica, il riso è stato in grado di raccontare l’evoluzione del gusto italiano nel tempo, conservando però un’anima popolare e accessibile.
SLIDER
IL RISO ITALIANO RAPPRESENTA
UN PATRIMONIO
CULTURALE, AMBIENTALE ED ECONOMICO CHE NEL 2025 VIENE
MESSO AL CENTRO DI UN INTERO ANNO
CELEBRATIVO PER PROMUOVERNE
LA FILIERA, L’ECCELLENZA
PRODUTTIVA E LA BIODIVERSITÀ.
Dieci piatti, dieci territori: il riso che racconta l’Italia
Per celebrare il 2025 come Anno del Riso Italiano, abbiamo scelto dieci piatti emblematici che mettono in luce la varietà e la ricchezza del nostro patrimonio gastronomico regionale. Un itinerario che attraversa l’Italia da nord a sud, raccogliendo storie di famiglia, segreti tramandati e sapori che non smettono mai di emozionare. Si parte da Milano con il risotto alla milanese, in cui lo zafferano dona il caratteristico colore dorato. Con o senza ossobuco, è simbolo di eleganza e precisione. Dalla Liguria arriva la torta di riso, versione salata o dolce a seconda della provincia, espressione di una cucina frugale ma sorprendente. In Campania, invece, il sontuoso sartù di riso racconta l’incontro tra cucina popolare e influenze francesi, un trionfo barocco di sapori e strati.
Il risotto con i funghi porcini, preparato in gran parte del centro-nord, è la quintessenza dell’autunno: profondo, caldo, avvolgente. In Sicilia, gli arancini (o arancine) sono vere e proprie opere d’arte in miniatura, scrigni croccanti di gusto e identità. Il Veneto risponde con risi e bisi, piatto che celebra la primavera e l’equilibrio tra terra e risaia. Dal Trentino-Alto Adige arriva il risotto con la luganega, che abbina il riso alla salsiccia in un matrimonio rustico e sostanzioso. Scendendo lungo la costa adriatica, il risotto alla pescatora esalta il pesce fresco con delicatezza e intensità.
A Roma, i supplì portano il cuore filante del risotto nelle mani dei passanti, street food d’eccellenza che racconta la città eterna in un boccone. Chiude il viaggio scendendo lo stivale la tiedda barese, piatto identitario della Puglia che unisce riso, patate e cozze in un intreccio sapido e mediterraneo.
Raccontiamo il mondo del riso italiano attraverso storia, tradizioni e ricette
DIECI PIATTI DELLA TRADIZIONE
a cura di Andrea Begnini, Carlotta Bonsegna, Nicolò Pistone
Signore e signori, ecco il risotto alla milanese
Il giallo oro dello zafferano che esalta il sapore del burro. Un piatto povero che diventa prezioso. Una tradizione che esalta l’orgoglio di una cucina apprezzata in tutto il mondo. Già solo il nome evoca il Duomo e le sue guglie, il Quadrilatero della Moda, Sant'Ambrogio e la Prima alla Scala e il derby Milan Inter a San Siro. Perché il risotto alla milanese è la pietanza che, per eccellenza, simbolizza il buono e il bello della città meneghina. Esportato in tutto il mondo e ritenuto un banco di prova per ogni chef.
E poi c’è lo zafferano
Saperlo fare bene non è facile. L'ingrediente principe del risotto alla milanese è una spezia ricercata e dal sapore esotico, lo zafferano, talmente distintiva da aver dato al piatto stesso i nomi alternativi di riso giallo o risotto allo zafferano. Il riso è preferibile che sia di qualità Carnaroli o Arborio, che prima viene tostato in un soffritto di burro, scalogno, midollo di vitello e vino bianco lasciato evaporare, poi viene cotto in un brodo di carne. Una volta aggiunto lo zafferano, il composto assume
il caratteristico colore giallo e, mantecandolo infine con burro e parmigiano, il risotto alla milanese è pronto per conquistare i palati con tutta la ricchezza del suo inconfondibile sapore. Primo piatto ricco di carattere, trova la sua combinazione ideale con l'ossobuco: un abbinamento che rappresenta al meglio la cucina tradizionale milanese.
La storia
della ricetta
Il risotto alla milanese affonda le sue radici leggendarie nel lontano 1574, anno in cui Milano ospitò il maestro vetraio belga Valerio di Fiandra, che aveva il compito di realizzare le vetrate artistiche del Duomo, allora in costruzione. Le fonti storiche miste alla leggenda vogliono che un collaboratore del famoso vetratista avesse l'abitudine di inserire lo zafferano in tutti i pigmenti destinati a colorare le vetrate, perché sosteneva che tale spezia ne aumentasse la brillantezza. Quasi ossessionato dal potere cromatico dello zafferano, l'assistente, in occasione del banchetto di matrimonio della figlia di Valerio di Fiandra, costrinse il cuoco ad aggiungere lo zafferano al risotto bianco al burro che sarebbe stato servito agli invitati. Così il riso assunse un colore giallo come l'oro e, oltre all'aspetto, il sapore conquistò tutti i presenti. Naturalmente la voce si sparse velocemente e da quel giorno il risotto allo zafferano divenne la ricetta più proposta e apprezzata nei locali dell'epoca fino ai giorni nostri.
Il riconoscimento ufficiale
Nel 2007 il risotto alla milanese ha ottenuto il marchio De.Co. (Denominazione Comunale d'Origine) ovvero il riconoscimento che attesta il legame storico, tradizionale e culturale del piatto con il territorio del Comune di Milano.
RICETTA
Risotto alla milanese
Il sapore della memoria in Liguria si chiama torta di riso
IN LIGURIA LA TORTA DI RISO, RIGOROSAMENTE SALATA, RAPPRESENTA LA CAPACITÀ DELLA TRADIZIONE
GASTRONOMICA DI DARE VITA A PIATTI DAVVERO GUSTOSI
ASSEMBLANDO IN MANIERA SEMPLICE POCHI INGREDIENTI
CHE NELLE NOSTRE DISPENSE NON MANCANO MAI.
IN QUESTO CASO PARLIAMO DI RISO, UOVA, FORMAGGIO GRATTUGIATO E SALE, A CUI AGGIUNGERE INGREDIENTI A SECONDA DELLE VARIANTI LOCALI. UN ESEMPIO DI CUCINA
MINIMALISTA CHE RIESCE A FARE DAVVERO TANTO CON MOLTO POCO.
Una ricetta del cuore
Chiunque sia nato e cresciuto in Liguria la considera una ricetta del cuore, una pietanza che, appena assaggiata, riporta immediatamente ai ricordi dell'infanzia e alla cucina di famiglia. Saporita ma allo stesso tempo facilmente digeribile, la torta di riso è presente sulle tavole liguri durante tutte le stagioni, la troviamo come antipasto per le cene delle feste natalizie e i pranzi pasquali, come spuntino sotto l'ombrellone e come rinforzo per le giornate più fresche dell'autunno. La sua consistenza morbida e il sapore delicato la rendono un piatto apprezzato anche dai bambini.
La gara delle torte di riso
A Manarola, uno dei borghi delle Cinque Terre, in occasione dei festeggiamenti di San Lorenzo, il Santo Patrono del paese, si svolge un evento che vede partecipare gli abitanti locali impegnati in una competizione particolare: vince chi cucina la torta di riso più buona. Una “battaglia” che mette insieme filosofie diverse e diverse tecniche di lavorazione. Le preparazioni in gara sono associate alla propria cuoca (le partecipanti sono quasi sempre tutte donne) tramite un codice numerico, che solo lei conosce, e il primo premio consiste in una fascia della vittoria che la consacra come punto di riferimento gastronomico di eccellenza per tutta la comunità. L'evento richiama numerosi visitatori amanti della buona cucina che alimentano la passione verso questo piatto tipico della tradizione gastronomica ligure.
La ricetta perfetta
Prepararla bene è solo apparentemente semplice Si fa bollire l’acqua, salata con due cucchiaini da caffè, e si cuoce il riso per cinque minuti, si mettono da parte due mestolini di acqua di cottura, lo si scola e lo si lascia riposare. Poi in una ciotola si battono le uova, vi si aggiunge una generosa quantità di noce moscata, il grana padano grattugiato, il pecorino romano, i due mestolini di acqua di cottura, l'olio EVO, il riso e si mescola bene. In una teglia si dispone una sfoglia brisé, vi si adagia il composto, dopodiché si alzano e si ripiegano verso l'interno bordi del diametro della sfoglia. Si inforna a 180° per un'ora e il risultato è garantito.
RICETTA
Torta di riso salata
Il tripudio dei sapori si trova nel sartù di riso alla napoletana
SE DICIAMO SARTÙ DI RISO NON POSSIAMO CHE RIFERIRCI A
UNO DEI PIATTI PIÙ RAPPRESENTATIVI E TRADIZIONALI DELLA
CUCINA NAPOLETANA. RICCO DI INGREDIENTI E SONTUOSO
NEI SAPORI, QUESTO CAPOSALDO DELLA GASTRONOMIA
PARTENOPEA RIASSUME TRECENTO ANNI DI STORIA: NATO
ALLA CORTE DEI BORBONE, OGGI RAPPRESENTA L’EQUILIBRIO
PERFETTO TRA ELEGANZA, OPULENZA E SOSTANZA.
Sartù o timballo?
Il sartù di riso appartiene alla categoria dei timballi, ovvero sformati (di riso o di pasta) cotti in uno stampo di forma circolare, spesso anche in una tortiera, ed è costituito da vari strati di ragù conditi da numerosi ingredienti e ricoperto da una sottile crosta dorata di pane grattugiato. Perché si chiama sartù e non timballo? Per scoprirlo dobbiamo fare un tuffo nel passato, di ben trecento anni. Nel 1700 a Napoli regnava Ferdinando I di Borbone, e la sua consorte, la regina Maria Carolina d'Austria, aveva una vera e propria avversione per la gastronomia partenopea; di conseguenza per soddisfare le esigenze della donna, furono chiamati a gestire la cucina di corte i cuochi francesi più rinomati dell’epoca. Dato
che il riso non era apprezzato dai nobili, perché lo consideravano un cibo povero, insipido e legato alla cura di problemi intestinali e gastrici, i cuochi francesi intervennero per nobilitare e risollevare le sorti di questo bistrattato cereale.
Un autentico tripudio di sapori
Fu nel modo descritto che venne creata una ricetta in cui il riso veniva accompagnato da vari ingredienti capaci di rendere il risultato finale un autentico tripudio di sapori. Vi aggiunsero dunque la passata di pomodoro, le uova sode, piselli, la mozzarella e le polpette di carne accompagnate da un succulento ragù di maiale e manzo, per poi ricoprire tutto il composto con uno strato di pane grattugiato croccante. Ed è proprio questa crosta esterna, chiamata furbescamente dai cuochi francesi sor tout, ovvero “copri tutto”, che, pronunciata in napoletano sartù, ha dato il nome a una pietanza di successo , innalzata agli onori della tavola gourmet.
Il gusto ricco del piatto delle feste della tradizione napoletana
Il sartù di riso, visti i numerosi ingredienti che compongono la ricetta, è un piatto nutriente e saporito. Il riso condito con ragù e con polpette di carne di maiale e di manzo, piselli, uova e mozzarella risulta una pietanza complessa e di articolata preparazione. Per questo la tradizione napoletana vede il sartù di riso protagonista dei menu delle occasioni di festa , quando si vuole portare a tavola un gusto ricco che sappia raccontare storia, famiglia e passione.
RICETTA
Sartù di riso
Il gusto dell'autunno con il risotto ai funghi porcini
Scrivi riso, leggi risotto. L'estate è finita, le temperature si sono abbassate, le nostre vite hanno ripreso la consueta routine lavorativa e le vacanze sono diventate un lontano ricordo. Ma il riposo ci ha ricaricati di energia e l'autunno inaugura una stagione proiettata verso una ripartenza fatta di nuovi progetti, buone intenzioni e sfide stimolanti. Va da sé che il debutto di questo nuovo capitolo dell'anno meriti di essere celebrato con il piatto che per eccellenza lo rappresenta: il risotto con i funghi porcini.
Dal bosco alla tavola
Figli selvatici di Madre Natura, i funghi porcini non vengono coltivati su larga scala, ma la loro fornitura e disponibilità sul mercato è dovuta soprattutto a fungaioli appassionati che, muniti di tanta pazienza, si addentrano nei boschi in cerca d fortuna. L'apice di crescita e maturazione avviene tra settembre e fine ottobre, quando le piogge sono seguite da schiarite che esaltano l’umidità dell'aria e del suolo. Il loro sapore è avvolgente e inconfondibile, caratterizzato da una nota terrosa che richiama il sottobosco in cui nascono e crescono, unita a una sfumatura di nocciola, che avvolge il palato con pienezza e armonia. Protagonisti indiscussi del risotto, i funghi porcini trovano qui la loro massima espressione di gusto e profumo.
Un piatto maestoso che conquista tutti
Diffuso soprattutto nell'Italia settentrionale, il risotto ai funghi porcini rappresenta un perfetto equilibrio tra semplicità e raffinatezza, grazie all’aroma inconfondibile dei porcini e alla loro straordinaria cremosità che nasce attraverso la simbiosi con il riso. Per preparare un ottimo risotto ai funghi porcini, iniziamo facendo appassire in una casseruola con
burro e olio extravergine d’oliva uno scalogno tritato finemente. Aggiungiamo quindi il riso (preferibilmente Carnaroli o Arborio) e lo tostiamo per un paio di minuti, mescolando, finché non diventa traslucido. A questo punto lo sfumiamo con del vino bianco secco e, una volta evaporato, cominciamo ad aggiungere il brodo caldo poco per volta, mescolando continuamente.
E poi ci sono i funghi
I funghi porcini, se freschi, li puliamo e li tagliamo a fettine nel senso della lunghezza e li cuociamo in una casseruola con aglio e olio per circa otto minuti e poi li uniamo al risotto a metà cottura; se secchi, li ammolliamo in acqua tiepida per circa venti minuti, dopo di che li scoliamo e li aggiungiamo al riso, la cui cottura dura circa diciotto minuti. Una volta pronto, allontaniamo il riso dal fuoco e lo mantechiamo con una noce di burro e una buona quantità di parmigiano grattugiato, così da ottenere una consistenza cremosa e avvolgente. Servito caldo, è un piatto che esalta al meglio i profumi del bosco, e se accostato a un buon calice di vino rosso, garantisce un'esperienza sensoriale ricca e appagante.
RICETTA
Risotto con i funghi porcini
Arancini (o arancine), piccoli scrigni di sapore della Sicilia
PER FORMA E COLORE RICORDANO UNA PICCOLA ARANCIA,
DA CUI APPUNTO PRENDONO IL NOME, MA AL LORO INTERNO
CUSTODISCONO UN TESORO DI GUSTO E TRADIZIONE. SONO
GLI ARANCINI DI RISO, PICCOLI CAPOLAVORI DELLA CUCINA
SICILIANA. MA SI DICE ARANCINO O ARANCINA? SECONDO
L’ACCADEMIA DELLA CRUSCA DIPENDE DAL LUOGO DI PROVENIENZA DELL’ISOLA: ARANCINA (ROTONDA) NELLA
PARTE OCCIDENTALE E ARANCINO (ROTONDO O A PUNTA, FORMA CHE POTREBBE ESSERE ISPIRATA DALLA FIGURA
DELL’ETNA) NELLA PARTE ORIENTALE.
Varianti per ogni gusto
Sferici, più o meno a punta, impanati e rigorosamente fritti fino a diventare dorati e croccanti all’esterno, questi piccoli timballi di riso contengono un ripieno saporito che varia a seconda delle zone e delle ricette familiari. La versione più classica prevede un cuore di ragù di carne condito con piselli e formaggio filante , ma esistono infinite varianti che spaziano dal semplice prosciutto cotto,
mozzarella e besciamella, alle combinazioni più creative come il pistacchio di Bronte unito ai formaggi, o le melanzane fritte con ricotta salata, o ancora le versioni di mare con gamberetti, cozze, vongole e calamari. Il tutto, condito con aglio, prezzemolo e un tocco di vino bianco. La consistenza croccante della crosta, unita alla morbidezza del riso e alla ricchezza del ripieno, rende ogni morso un’esperienza davvero appagante. Questo piccolo scrigno di sapori racconta non solo la storia gastronomica della Sicilia, ma anche la sua capacità di trasformare ingredienti semplici in autentici tesori culinari.
Gli arancini di Montalbano
In Sicilia gli arancini sono talmente iconici da essere diventati protagonisti anche nella letteratura: Andrea Camilleri ha infatti dedicato loro il titolo di una famosissima raccolta di racconti , Gli arancini di Montalbano , non a caso il piatto preferito del celebre commissario, cucinato con affetto, passione e maestria dalla fidata Adelina.
Lo scrittore descrive così la preparazione degli
arancini. Per preparare gli arancini ci vogliono due giorni e il primo giorno è dedicato alla preparazione del ragù di vitellone e di maiale, che per ore e ore deve essere cotto a fuoco lentissimo con cipolla, salsa di pomodoro, sedano, prezzemolo e basilico. Il secondo giorno si prepara il risotto, simile alla milanese ma assolutamente senza zafferano, che viene impastato con le uova. Nel frattempo si cuociono i piselli, si prepara la besciamella, si tagliano dei cubetti di salame, si aggiunge la carne stufata il giorno prima e si tritura tutto a mano, con la mezzaluna. Infine si mescola il sugo della carne con il risotto. A questo punto si sistema sul palmo della mano una buona quantità di risotto, ci si inserisce un cucchiaiata di composto tritato e la si ricopre con dell’altro risotto, formando così una palla. Ogni palla viene infarinata, passata nel bianco d’uovo e nel pane grattugiato. Una volta fritti e scolati, gli arancini sono pronti per essere mangiati, “ringraziannu u Signiruzzu”. Parola di Andrea Camilleri.
RICETTA
Arancini
Risi e bisi, la primavera veneta in cucina
Se il riso, per molti italiani, è sinonimo di risotto, in Veneto assume un'identità specifica e regionale: quella dei cosiddetti risi e bisi. Un piatto che è insieme storia, ritualità e stagionalità. La sua origine si intreccia con la Serenissima Repubblica di Venezia, dato che il 25 aprile, giorno di San Marco Evangelista patrono della città, era d'uso comune che i contadini della Riviera del Brenta offrissero al Doge un dono simbolico e prezioso, nientemeno che un piatto fumante di risi e bisi preparato con i primi piselli dell’anno.
L’onda cremosa del Veneto
La coltivazione dei piselli è attestata in Veneto fin dal Medioevo, in particolar modo nei comuni di Lumignano e Colognola ai Colli e nella Bassa Veronese. Un tempo, piselli prescelti per questa preparazione erano esclusivamente quelli piccoli, più teneri e dolci, raccolti rigorosamente a mano all’alba. Un piatto che, per le sue caratteristiche, si colloca a metà tra una minestra e un risotto vero e proprio. Pare che già i cuochi di corte lo servissero – come diremmo oggi – “all’onda”, ossia morbido, con una consistenza cremosa che richiedeva una certa abilità tecnica (un certo know-how) tanto nella cottura quanto nella scelta del riso.
Il cibo dell’infanzia e delle feste
La varietà di riso prediletta per la sua realizzazione è il Vialone Nano IGP, prodotto nelle risaie della bassa Veronese: un riso tondo, capace di assorbire bene i liquidi e di rilasciare amido in cottura, ideale per ottenere la tipica cremosità del piatto. La tradizione vuole che si prepari un brodo con i
baccelli dei piselli stessi, bolliti e poi passati, in modo da non sprecare nulla. Il soffritto iniziale, invece, può variare a seconda della zona e passare da una versione più semplice a base di cipolla e burro ad altre più elaborate; come accade nel Vicentino, dove si aggiunge pancetta dolce o lardo. A completare il piatto, come in ogni risotto che si rispetti, una generosa mantecatura finale a base di burro e Parmigiano Reggiano DOP grattugiato con, talvolta, una spolverata di prezzemolo fresco tritato. Oggi, la tradizione dei risi e bisi continua a vivere sia nella cucina domestica che nella ristorazione tradizionale, celebrata nelle sagre di primavera e reinterpretata in chiave gourmet con riduzioni di piselli, spume o fondi vegetali di vario tipo. Ma resta, nel cuore dei veneti, un cibo dell’infanzia e delle feste, il simbolo di una cucina sobria ma, al contempo, profondamente identitaria. RICETTA
Risotto con la luganega, il buono della semplicità
In Trentino, dove l’inverno si fa sentire e la tavola rappresenta ancora un rifugio per l’anima e per il corpo, il risot (“risotto”) con la luganega è a tutti gli effetti uno dei piatti più amati della stagione fredda. Si tratta di una ricetta semplice e rurale, eppure capace di raccontare l’intera cultura gastronomica di una regione in cui il maiale, trasformato in salumi d'eccellenza, è protagonista assoluto, e dove il riso, pur non essendo coltivato localmente, ha saputo trovare il proprio spazio grazie agli scambi continui con la pianura padana.
Quando il risotto incontra la montagna
La luganega trentina è una salsiccia fresca dal colore rosato, a grana fine, insaporita con pepe nero, aglio, vino bianco e, in alcune valli, anche semi di finocchio o erbe alpine. Si tratta di una delle prime conserve di carne che le famiglie contadine producevano durante la lavorazione invernale del maiale, per venire poi consumata nei mesi successivi. La sua tipica forma, affusolata e sottile, la distingue dalle altre salsicce italiane e il suo impasto la rende l’ingrediente perfetto per insaporire il risotto. La ricetta, simile a quella di un qualsiasi risotto, parte da un soffritto leggero di olio extravergine di oliva e cipolla, a cui si aggiunge la luganega sbriciolata. Una volta che questa risulterà ben rosolata, si unisce il riso (preferibilmente Carnaroli o Arborio) e si sfuma con vino bianco trentino. La cottura avviene con aggiunta di brodo di carne e la mantecatura finale prevede l'uso del burro e di abbondante Trentingrana DOP, il formaggio vaccino stagionato che è uno dei fiori all’occhiello della regione.
La modernità della tradizione
Un tempo, il risot con la luganega veniva servito soltanto nei giorni festivi, soprattutto nelle domeniche d’inverno. Oggi, invece, lo si trova ovunque: è comune nei rifugi, nei menù delle sagre di paese così come nelle cucine domestiche, magari arricchito con funghi porcini secchi, qualche pezzetto di mela renetta o una generosa grattugiata di noce moscata. Alcuni chef, poi, propongono versioni più moderne con cottura pilaf o presentazioni scomposte, nonostante la forza del risot con la luganega risieda proprio nella sua semplicità: è un piatto che scalda, nutre e profuma di casa.
RICETTA
Risotto con la luganega
Le buone intenzioni parlano con i fatti
Risultati del Gruppo Nestlé nel mondo
-20,4 %
emissioni di gas serra vs 2018
-21,3 %
plastica vergine nei nostri imballaggi vs 2018
93,5 % materie prime strategiche esenti da deforestazione
10,2 mln
giovani ingaggiati in opportunità lavorative dal 2017
47,4 % donne in posizione manageriale
Risotto alla pescatora , il classico dell'Adriatico
LUNGO LA COSTA ADRIATICA MARCHIGIANA, IL RISOTTO ALLA PESCATORA È UNA DELLE PREPARAZIONI PIÙ
EMBLEMATICHE DELLA CULTURA MARINARA. NATO COME
PIATTO POVERO, PREPARATO CON IL PESCATO INVENDUTO O
CON GLI AVANZI DELLA GIORNATA, È DIVENTATO UN CLASSICO
DELLA DOMENICA NELLE FAMIGLIE COSTIERE, DA ANCONA
A PORTO SAN GIORGIO, E PROTAGONISTA DELLE FESTE DI PAESE NELLE LOCALITÀ BALNEARI.
una conserva fatta in casa) per dare un fondo rosato e saporito. Seguono vongole, cozze, gamberetti, cicale di mare (o canocchie) e, se il mare lo permette, piccoli tranci di rana pescatrice o triglie. La base di partenza è sempre un brodo preparato con le teste, le lische e i carapaci, a cui si uniscono erbe aromatiche (come prezzemolo, timo o finocchietto) e pepe nero in grani. Il riso, generalmente Arborio o Carnaroli, viene tostato leggermente e poi cotto nel brodo, aggiunto poco alla volta. Il risultato dovrà risultare cremoso ma non colloso, con il chicco ben visibile e i frutti di mare ancora succosi.
eleganti. Ma nelle osterie tradizionali, o durante le sagre, la versione rustica resta la più amata. Spesso servita con un calice di Verdicchio dei Castelli di Jesi DOC, accompagna pranzi familiari e rievoca il profumo delle barche e dei mercati ittici. Un piatto che racconta la semplicità del mare marchigiano e la capacità di farne una preparazione degna della cucina di un ristorante.
RICETTA
I frutti del mare incontrano in riso
A differenza delle versioni più ricche e complesse diffuse in altre regioni italiane, il risotto alla pescatora marchigiano si distingue per la sua sobrietà e precisione: niente panna, niente ingredienti fuori stagione, ma solo ciò che offrono il mare e l’orto. Le seppie – spesso tra i protagonisti – vengono tagliate a listarelle sottili e rosolate con aglio e cipolla; si aggiunge poi la salsa di pomodoro (meglio se si tratta di
La semplicità del mare nel piatto
Oggi, è assai facile trovare reinterpretazioni più raffinate di questo piatto: crostacei decorticati, bisque di gamberi, cotture separate e impiattamenti
Risotto alla pescatora
Ecco il supplì, lo street food romano dal cuore filante
Il supplì è uno dei simboli gastronomici più autentici della nostra capitale, Roma. Nato come piatto di recupero, si è ben presto assicurato un ruolo da protagonista indiscusso nella rosticceria romana, fino a essere considerato ben più di un semplice street food, ma un vero e proprio rituale collettivo. Difficile entrare in una pizzeria al taglio o in una friggitoria del centro senza imbattersi in questi piccoli scrigni dorati a base di riso, salsa di pomodoro e un tocco di mozzarella fusa.
La sorpresa che ricorda il telefono
La sua storia ha inizio nell’Ottocento (se non prima), durante il periodo napoleonico. Il nome stesso parrebbe derivare dal francese surprise, come allusione alla sorpresa che si cela all'interno: un cuore di mozzarella filante. Il suo nome completo, infatti – ovvero "supplì al telefono" – sta proprio a indicare i filamenti di mozzarella squagliata che si formano quando lo si spezza in due, ricordando per l'appunto il filo della vecchia cornetta telefonica. Tradizionalmente lo si prepara con il riso avanzato dal giorno prima, cotto in un ragù corposo, e lo si modella a mano dandogli la classica forma “a salsicciotto”. Quindi lo si farcisce con un pezzetto di mozzarella, lo si impana e giù nell'olio bollente a friggere. Il condimento, dovendo essere più povero rispetto a quello utilizzato per la pasta, era spesso a base di frattaglie – in genere interiora di pollo, le cosiddette rigaglie – o semplicemente di pomodoro e carne tritata.
L’emblema della cucina popolare
Il supplì rappresenta, tuttora, la cucina romana popolare che si caratterizza per essere economica,
creativa e sostanziosa. Oggi, lo si può trovare in mille versioni diverse, da quelle gourmet a quelle vegetariane, passando per ripieni ispirati ad altri grandi classici della cucina laziale quali la cacio e pepe, la carbonara o l’amatriciana nonostante la sua versione “classica”, rossa di sugo e con il cuore bianco e filante, resti quella più amata in assoluto. Servito bollente, mangiato con le mani e in compagnia, si dimostra il perfetto “cibo da strada”: pratico, gustoso, profondamente identitario. Ancora oggi, per tutti i romani (e non solo), rappresenta un momento di gioia informale, un simbolo del cibo inteso come condivisione, convivialità e benessere quotidiano.
RICETTA
Supplì
La tiedda, la Puglia di mare e di terra sotto una superficie croccante
LA TIEDDA BARESE , ANCHE CONOSCIUTA COME TIELLA ,
È INDUBBIAMENTE UNO DEI PIATTI PIÙ ICONICI E
TRASVERSALI DELLA CUCINA PUGLIESE . SINGOLARE NELLA
SUA MOLTEPLICITÀ, UNISCE INGREDIENTI DELLA TERRA
E DEL MARE, PER DARE VITA A UNA PREPARAZIONE “MARI
E MONTI” CHE RAPPRESENTA UN PIATTO UNICO ESSENDO,
AL TEMPO STESSO, PRIMO, SECONDO E CONTORNO. IL
NOME DEVE LA SUA ORIGINE AL TRADIZIONALE RECIPIENTE
UTILIZZATO PER LA COTTURA DEL PIATTO, LA TIELLA
APPUNTO: UN PARTICOLARE TEGAME IN TERRACOTTA (OPPURE, PIÙ COMUNE OGGI, IN METALLO SMALTATO), CHE
GARANTISCE UNA DISTRIBUZIONE UNIFORME DEL CALORE
E UNA BUONA CONSERVAZIONE DELLO STESSO.
Ogni casa un segreto
Si tratta, come spesso in questi casi, di un piatto dalle origini incerte nonostante, secondo molti, vi si possono intravedere legami con la cucina spagnola, retaggio del lungo periodo in cui Puglia e aree limitrofe erano sotto la dominazione aragonese. In quel periodo, stando a tale ipotesi, la paella valenciana incontrò le abitudini locali e, da questo intreccio di culture gastronomiche, nacque un
piatto sfaccettato in cui riso, patate e cozze si armonizzano tra loro alla perfezione. Ogni famiglia – com'è ovvio che sia – ha la sua propria versione, ma tutte mantengono certi punti fermi, elementi imprescindibili per la buona riuscita della preparazione: riso crudo (generalmente Arborio), patate affettate finemente, cozze fresche sgusciate, cipolla, pomodoro, prezzemolo tritato, pecorino grattugiato e abbondante olio extravergine d’oliva.
Dalle tavole di tutti i giorni alla cucina gourmet
La realizzazione della tiedda barese non è complessa, ma richiede una buona dose di pazienza e una certa attenzione ai dettagli. Come prima cosa, si dispongono tutti gli ingredienti a strati, aggiungendo acqua salata o brodo vegetale fino a coprire; poi, arriva il momento dell'infornata e la cottura dovrà essere lenta e costante, fino a che non si sarà ottenuta una superficie croccante e dorata, il liquido non
sarà completamente assorbito e il riso cotto al punto giusto. Un tempo, la tiedda rappresentava il piatto delle occasioni speciali e delle feste. mentre oggi è una presenza fissa nei pranzi domenicali pugliesi e la si può trovare spesso persino nelle rosticcerie locali. Popolare anche nell'alta cucina contemporanea, dove troviamo chef che propongono la tiedda in versione destrutturata, oppure arricchita con ingredienti “insoliti” quali zucchine, zafferano o bottarga. In ogni caso, la tiedda più autentica resta quella casalinga: profumata, generosa, cucinata con amore e cura, capace di raccontare la pazienza della cucina pugliese e il legame profondo che questa mantiene con i suoi ingredienti più identitari.
RICETTA
Tiedda barese
Sua Maestà il Carnaroli
"Il Carnaroli è l’unico riso che ascolta il cuoco" : parola di Gualtiero Marchesi. Il maestro della cucina italiana lo considerava un ingrediente che “restituisce poesia a chi sa trattarlo con rispetto” .
Più di recente Carlo Cracco: "È il riso che non tradisce, ha una tenuta unica e un’anima gentile."
La nascita del riso Carnaroli: un’eccellenza italiana
Come per tutti i miti, l’origine è incerta, l’anagrafe difficoltosa. La vulgata ufficiale lo colloca nel 1945, quando l'agronomo Emiliano Carnaroli, allora commissario governativo dell’Ente Nazionale Risi, riconobbe e certificò il lavoro fatto in alcune risaie a Paullo, a pochi chilometri da Milano, appartenenti a Ettore De Vecchi che, con i suoi agronomi, ottenne questa varietà incrociando due risi pregiati: il Vialone e il Lencino.
Il risultato fu considerato subito molto interessante: un chicco più lungo, diverso dal più comune riso Arborio, contenente più amido (amilosio), dalla consistenza più soda e dalla struttura compatta. Tutte queste caratteristiche gli conferivano una proprietà eccezionale e ambivalente. Teneva molto di più la cottura, praticamente era impossibile da scuocere, e aveva una maggiore capacità di assorbire i condimenti e di legare sapori.
Era nato un super-riso e la gastronomia fece presto ad accorgersene e a elevare questa tipologia di riso nell’eccellenza. Nel tempo il Carnaroli si è guadagnato la definizione di "superfino" e il titolo di “Re dei risi”.
di Giovanni Franchini
SLIDER
Perché il Carnaroli è considerato il re dei risi
Il chicco, più grosso rispetto ad altre varietà, ha un alto contenuto di amido (in particolare di amilosio), caratteristica che garantisce una mantecatura perfetta senza che il riso scuocia o perda consistenza e in più gli dona la capacità di creare creme e legature saporite e intense. Per questo è il preferito dagli chef, soprattutto per risotti cremosi ma al dente.
80 anni di storia e tradizione del Carnaroli
Per anni il Carnaroli fu un segreto ben custodito, coltivato da pochi agricoltori e scelto solo da cuochi che volevano distinguersi. Era il riso dell’élite: chicco grande, elegante, perfetto per risotti sontuosi, ma troppo delicato e costoso per le cucine di massa. Nelle trattorie e nelle case si continuavano a usare Arborio, Roma, Balilla: varietà affidabili, più produttive e, soprattutto, più economiche.
Nel 1974 arrivò un primo riconoscimento: il Carnaroli,
con già quasi trent’anni di esperienza sulle spalle, venne iscritto ufficialmente nel Registro Nazionale delle Varietà, guadagnandosi un posto ufficiale tra le eccellenze dell’agricoltura italiana.
Poi, tra la fine degli anni Settanta e gli Ottanta, la voce cominciò a circolare. I cuochi ne parlavano nei mercati, nelle cucine delle grandi città e nelle scuole alberghiere.
Negli anni Novanta, il Carnaroli era ormai il riso che faceva la differenza tra un piatto qualsiasi e un piatto d’autore e con l’aumento della domanda arrivò anche l’inflazione di etichette. Nacquero ibridi, varianti, nomi simili. Il chicco poteva assomigliare al Carnaroli, ma non aveva la stessa anima.
Come cucinare il riso Carnaroli: consigli da esperti
La prima regola per cucinare il Carnaroli? Non lavarlo. Il suo amido è prezioso e va conservato. La seconda: tostarlo con cura. Una buona tostatura
fa da base alla tenuta in cottura. Terza regola: brodo sempre caldo e aggiunto poco alla volta.
Ma il vero segreto sta nella mantecatura, da fare fuori dal fuoco, con burro freddo e, se serve, una spolverata di Parmigiano.
Chef come Barbieri, Bottura, Cracco e Oldani ormai non hanno altro riso all’infuori di lui.
Ricette iconiche con il riso Carnaroli
Quando si parla di risotto, è difficile non pensare al risotto alla milanese, con zafferano e midollo.
Ma il Carnaroli si adatta anche a preparazioni meno classiche: risotto alle erbe selvatiche, alla barbabietola, al limone e gamberi rossi.
Tra le ricette più amate dagli chef ci sono il risotto al tartufo bianco, quello al Castelmagno con pere e noci, o il "risotto cacio e pepe" in versione gourmet. Il suo equilibrio tra cremosità e mordente lo rende ideale anche per ricette dolci, come il risolatte.
Carnaroli oggi: sostenibilità e innovazione
Nel 2025 parlare di riso vuol dire anche parlare di ambiente. Le aziende agricole che coltivano Carnaroli stanno adottando pratiche sempre più attente: rotazione colturale, uso razionale dell’acqua, tecniche a basso impatto e recupero delle varietà storiche. In alcune risaie si sperimenta la coltivazione biologica, mentre altre puntano su blockchain e tracciabilità totale. Innovazione e tradizione si incontrano per garantire un futuro al riso italiano pregiato.
RICETTA
Risotto alla milanese con ossobuco
RICETTA
Risotto cacio e pepe con lime e gambero rosso
NON SOLO CARNAROLI
Alla scoperta dei grandi risi italiani DOP e IGP
Un patrimonio di chicchi, territori e tradizioni
Quella del riso italiano è una storia che inizia da lontano, con le prime coltivazioni introdotte in Pianura Padana intorno al XV secolo, quando le bonifiche aprirono la strada alla coltura del riso nelle zone umide del Nord Italia. Da allora, l’Italia ha saputo creare non solo grandi varietà, ma anche un legame strettissimo tra riso e paesaggio, tra cucina e cultura locale, come testimoniato nel celebre film Riso Amaro, capolavoro del neorealismo che nel 1949 fece conoscere a tutto il mondo la realtà delle mondine che coltivavano il riso cantando canzoni popolari. Oggi questo patrimonio è tutelato e valorizzato attraverso le certificazioni DOP (Denominazione di Origine Protetta) e IGP (Indicazione Geografica Protetta), che garantiscono l’origine, il metodo di produzione e la qualità del riso.
Da nord a sud, lungo le risaie
piemontesi, le acque del Delta del Po e le terre vulcaniche del veronese, l’Italia custodisce una straordinaria biodiversità risicola, fatta di varietà antiche, territori da sempre dediti alla produzione e denominazioni di qualità che raccontano storie agricole e culturali profonde e radicate nella cultura e nella gastronomia italiana.
Riso italiano IGP e DOP: tra qualità, biodiversità e territorio
Solo tre aree in Italia vantano risi con queste denominazioni ufficiali: la Baraggia Biellese e Vercellese (DOP), il territorio veronese del Vialone Nano (IGP) e il Delta del Po tra Veneto ed Emilia-Romagna (IGP). Ognuna racconta una storia diversa: di clima, di suolo, di acqua, ma anche di mani che da secoli coltivano, selezionano e trasformano un prodotto che è parte integrante dell’identità locale.
In un mondo che tende all’omologazione alimentare, questi risi rappresentano
di Giancarlo Sammartino
SLIDER
una forma di resistenza culturale e agricola. Varietà selezionate, lavorazioni tradizionali e metodi rispettosi dell’ambiente rendono questi chicchi unici e irripetibili altrove.
Riso di Baraggia Biellese e Vercellese DOP: il più montano dei risi
Alcuni racconti narrano di pastori che, durante la transumanza tra le paludi del Vercellese e gli alpeggi, seminavano riso nel sottile strato d’acqua delle risaie per raccoglierne, al ritorno, i chicchi germogliati. Una leggenda che dà al Riso di Baraggia un’origine quasi mitica. È del 1606 il primo documento ufficiale, all’interno di un atto di compravendita di un terreno, nel quale un notaio di Salussola certifica l’uso del terreno come “risera”.
Il Riso di Bareggia è l’unico che può fregiarsi della Denominazione di Origine Protetta. Cresce ai piedi delle Alpi, dove l’acqua di fusione dei ghiacciai nutre le risaie con freschezza costante. Questa particolarità climatica crea un microclima più fresco, con escursioni termiche marcate, e fa sì che il chicco cresca più lentamente, risultando più
consistente, compatto e resistente alla cottura. Sono ammesse solo sei varietà all’interno della
DOP: Arborio, Baldo, Carnaroli, Sant’Andrea, Loto e Gladio. Tutte coltivate secondo un disciplinare rigoroso, che vieta l’uso di fanghi e limita i fertilizzanti. Il risultato è un riso che esprime il carattere forte del suo territorio: montano, ma vocato all’acqua. È perfetto per risotti robusti e saporiti, da quelli di carne ai funghi porcini.
Nano Vialone Veronese IGP: il re veneto dei risotti
La sua origine risale agli anni ’30, quando venne selezionato per la sua resa e la sua versatilità. La zona di coltivazione IGP comprende 24 Comuni del Veronese, dove si pratica ancora la sommersione naturale con acque di risorgiva. A Isola della Scala, uno dei luoghi principali della coltivazione su un territorio segnato dai fossi e dai mulini in legno, il riso è il frutto di una sfida di fatica, malaria e sapere contadino che ha trasformato la zona nel cuore del riso veronese.
Il protocollo è rigoroso. Per ottenere l’IGP, le risaie devono essere gestite seguendo pratiche di rotazione colturale, controlli su semi e suolo e
UN
RISO DOP O IGP È FRUTTO DI UN LAVORO METICOLOSO,
SPESSO MANUALE
E DI FILIERE CORTE CHE PRIVILEGIANO
LA QUALITÀ ALLA QUANTITÀ. QUANDO
LO SI ASSAGGIA, LA DIFFERENZA SI SENTE.
tracciabilità totale dalla semina al sacco. Il risultato è un riso semifino, con chicchi piccoli e tondeggianti, capaci di assorbire i condimenti in profondità mantenendo una texture cremosa. A Verona è l’ingrediente irrinunciabile del “risotto all’isolana”, con carne di maiale, rosmarino e cannella. La sua IGP tutela sia il metodo di coltivazione sia le fasi di lavorazione, che devono avvenire interamente nel territorio.
Riso del Delta del Po IGP: la perla tra le acque
Una coltura che ha “strappato” la terra al mare: le prime risaie nel Delta risalgono al 1450–1490, quando la coltivazione del riso fu utilizzata per bonificare le terre salmastre scaturite dai depositi alluvionali del Po, dove prosperavano solo paludi. Coltivato tra le province di Rovigo e Ferrara, il Riso del Delta del Po cresce in un paesaggio unico: una zona umida e salmastra, dove l’incontro tra acqua dolce e acqua di mare crea condizioni irripetibili. Il terreno sabbioso e la forte escursione termica tra giorno e notte donano ai chicchi una struttura compatta e un sapore delicato.
Le varietà più coltivate sono Arborio, Baldo, Carnaroli e Volano. L’IGP garantisce non solo l’origine, ma anche la qualità delle acque utilizzate e l’assenza di contaminazioni industriali. È un riso particolarmente indicato per i risotti di pesce, le preparazioni leggere e le insalate di riso
moderne, grazie alla sua capacità di rimanere separato e sodo anche a freddo.
Cucinare con i risi italiani: abbinamenti e usi migliori
Ogni riso ha il suo piatto ideale. Il Baraggia si presta ai risotti corposi, il Vialone Veronese ama i condimenti cremosi e speziati, il Delta del Po esalta le ricette di mare e le preparazioni fresche.
Ma tutti condividono una virtù: la capacità di trasformare un piatto semplice in una narrazione di territorio.
Non solo risotti: questi risi si prestano anche a timballi, arancini, supplì e perfino dessert come il risolatte o le torte di riso della tradizione emiliana. L'importante è conoscerne la personalità e rispettarne la natura.
Come riconoscere un vero riso DOP o IGP
Etichetta, tracciabilità, certificazione. Il primo passo è leggere con attenzione ciò che è stampato sulla confezione: il logo DOP o IGP deve essere visibile, così come l’indicazione del consorzio di tutela o dell’ente certificatore. Spesso la vera differenza si trova nei piccoli dettagli: provenienza precisa, molitura artigianale, confezionamento in atmosfera protetta.
Diffidare dei prezzi troppo bassi è un buon punto di partenza. Un riso DOP o IGP è frutto di un lavoro meticoloso, spesso manuale, e di filiere corte che privilegiano la qualità alla quantità. E quando lo si assaggia, la differenza si sente: nel profumo, nella consistenza, nel sapore. È il gusto del territorio, in ogni chicco.
RICETTA
Risotto all’isolana
RICETTA
Risotto alla pescatora del Delta
UN CHICCO PIENO DI ENERGIA
A SETTEMBRE, SOPRATTUTTO TRA LE RISAIE DORATE DEL PIEMONTE, DELLA LOMBARDIA E DEL VENETO, PRENDE IL VIA LA RACCOLTA DEL RISO, UNO DEI CEREALI PIÙ CONSUMATI AL MONDO DALLE TAVOLE ASIATICHE AI RISOTTI ITALIANI, RAPPRESENTA UN ALIMENTO CARDINE DELLA TRADIZIONE GASTRONOMICA E DELLA DIETA QUOTIDIANA . MA OLTRE AL GUSTO E ALLA VERSATILITÀ, QUESTO CHICCO RACCHIUDE UN CONCENTRATO DI NUTRIENTI, RENDENDOLO UN PREZIOSO ALLEATO NELLA COSTRUZIONE DI UN’ALIMENTAZIONE SANA, SOSTENIBILE E BILANCIATA.
Cos'è la dieta del riso: origini, benefici e falsi miti
La dieta del riso fu ideata nel 1939 dal medico tedesco Walter Kempner, rifugiatosi negli Stati Uniti negli Anni Trenta per sfuggire al regime nazista. Presso la Duke University in North Carolina, Kempner sviluppò un regime alimentare poverissimo di sodio, proteine e grassi, basato su riso bianco, frutta e zuccheri semplici, con l’obiettivo di trattare gravi patologie renali e cardiovascolari. Solo in un secondo momento, questa dieta cominciò a essere reinterpretata anche come strumento per il controllo del peso, guadagnando popolarità come piano alimentare depurativo o dimagrante. Oggi, le versioni più moderne e bilanciate della dieta del riso sono inserite in un contesto più ampio di educazione alimentare, promuovendo l’uso del riso nella dieta bilanciata. I benefici del riso – tra cui l’alta digeribilità, il basso contenuto di grassi e l’apporto di energia a lento rilascio – sono reali, ma è importante sfatare l’idea che si tratti di un alimento “miracoloso”. Nessun singolo ingrediente può sostituire un’alimentazione varia ed equilibrata.
Il riso fa ingrassare? Serve un po’ di equilibrio
Spesso si ritiene che il riso faccia ingrassare. In realtà, il riso non è più calorico di altri cereali comunemente consumati, come pasta o pane. Come sempre, ciò che incide sono la quantità consumata e, soprattutto, il contesto in cui l’alimento viene inserito. È vero che alcune varietà di riso, in particolare quelle raffinate, hanno un indice glicemico più elevato rispetto ad altri cereali, ma questo effetto può essere compensato attraverso scelte consapevoli. Preferire riso integrale e abbinarlo a verdure, legumi, proteine o grassi buoni aiuta a mantenere più stabili i livelli di zucchero nel sangue e ad aumentare il senso di sazietà. Dire che il riso fa ingrassare può risultare quindi un po’ fuorviante: al contrario, se utilizzato in modo
di Andrea Begnini
SLIDER
corretto, il riso può rivelarsi una interessante opzione per dimagrire, soprattutto per chi cerca leggerezza, digeribilità e un apporto energetico equilibrato.
Quali tipi di riso scegliere per una dieta sana
Non tutti i risi sono uguali. In commercio esistono diverse decine di varietà, ciascuna con caratteristiche nutrizionali e culinarie diverse. Il riso integrale conserva il germe e la crusca, è più ricco di fibre, vitamine del gruppo B e sali minerali, ed è particolarmente indicato, come abbiamo visto, per chi vuole tenere sotto controllo l’indice glicemico e aumentare il senso di sazietà. Il riso basmati, invece, pur essendo raffinato, ha un indice glicemico più basso rispetto ad altri tipi, ed è quindi adatto a chi segue un’alimentazione controllata. Il riso nero e rosso sono varietà integrali naturalmente pigmentate, con proprietà antiossidanti, mentre il riso parboiled, grazie a un trattamento termico, mantiene parte dei nutrienti dell’integrale ma cuoce più rapidamente. Inserire con varietà questi risi nella dieta aiuta a non cadere nella monotonia e migliora la qualità dell’alimentazione quotidiana.
Quando mangiare il riso: colazione, pranzo o cena?
Il riso è un alimento estremamente versatile e può trovare spazio in ogni momento della giornata. A colazione, il riso soffiato o sotto forma di porridge con bevande vegetali e frutta può essere un’alternativa nutriente e digeribile ai classici prodotti da forno. A pranzo, diventa protagonista di piatti unici come risotti con verdure di stagione, insalate fredde o poke bowl con legumi e pesce, che rappresentano un ottimo esempio di riso nella dieta bilanciata. A cena, soprattutto in forma integrale o basmati, può accompagnare secondi leggeri, contribuendo a saziare senza appesantire. Il segreto sta nel bilanciare bene le porzioni e nel prediligere metodi di cottura semplici, come la bollitura o la cottura a vapore, evitando salse e condimenti eccessivamente ricchi.
Riso e alimentazione bilanciata: porzioni, abbinamenti, frequenza
Il riso, per essere parte di un’alimentazione equilibrata, deve essere consumato con intelligenza. La porzione media consigliata è di circa 70-80 grammi di riso
crudo per un pasto principale. Per rendere il piatto completo e bilanciato, è importante abbinarlo a proteine (come legumi, uova, pesce o carne magra) e verdure, che forniscono fibra, micronutrienti e aiutano a ridurre l’impatto glicemico del pasto. La frequenza consigliata può essere, ad esempio, di 2-3 volte a settimana, variando la tipologia di riso e le ricette per mantenere varietà e interesse nel piano alimentare. Non va dimenticato che il riso può essere utilizzato anche nei dolci, in modo sano: pensiamo a budini con latte vegetale o torte a base di farina di riso, ideali anche per chi ha intolleranze al glutine.
Riso e dieta sportiva: un’ottima fonte di energia
Idee pratiche per integrare il riso ogni giorno
Integrare il riso nella dieta quotidiana è semplice, se si parte dalla consapevolezza nutrizionale e dalla varietà delle preparazioni. A colazione, il porridge di riso con frutta fresca e semi è un inizio leggero ma nutriente. A pranzo, il riso può diventare protagonista di una bowl fresca con avocado, salmone e verdure croccanti. A cena, un piatto caldo con riso e zucca o un risotto ai funghi può rappresentare una coccola salutare. Anche nei dolci, come budini con latte di mandorla o torte senza glutine, il riso dà il meglio di sé. L’importante è imparare a valorizzarlo non come semplice “contorno”, ma come ingrediente versatile e centrale nella dieta del riso e in ogni schema alimentare sano e sostenibile.
RICETTA
Budino di riso e cannella
RICETTA
Riso avocado e salmone
Chi pratica attività fisica può trovare nel riso un alleato prezioso. I carboidrati complessi del riso garantiscono energia a lento rilascio, utile sia per sostenere lo sforzo, sia per il recupero postallenamento. Il riso, soprattutto se integrale, è facilmente digeribile, non provoca gonfiore ed è ideale prima di un’attività intensa. Dopo lo sport, può essere abbinato a fonti proteiche per favorire il recupero muscolare. Per questo, in molte diete sportive viene inserito in piatti unici completi, pratici e veloci da preparare, come riso e pollo, riso e legumi, o riso e tofu. Anche in questo caso, varietà, porzioni e condimenti giocano un ruolo fondamentale per mantenere l’equilibrio complessivo dell’alimentazione.
DEL RISO NON SI BUTTA VIA NIENTE
di Giovanni Franchini
Viaggio in un ciclo virtuoso tra innovazione, economia circolare e nuove filiere sostenibili
DALLA PAGLIA ALLA PULA , DALLA LOLLA ALL’ ACQUA DI COTTURA : TUTTA LA FILIERA DEL RISO PUÒ ESSERE RECUPERATA,
TRASFORMATA E REINTRODOTTA NEL CICLO PRODUTTIVO .
SPERIMENTANDO UN’ECONOMIA CIRCOLARE REALE, RILEVANTE E MISURABILE.
Dove il riso non si spreca: l’Italia dei progetti sostenibili
Se in cucina siamo abituati a pensare al riso come a un alimento duttile e capace di risolvere il pranzo con eleganza e semplicità, sul piano industriale il riso è diventato simbolo di un riciclo intelligente e sostenibile in tutti punti della filiera di coltivazione e trasformazione.
A Vercelli, Novara, Pavia, ma anche nel Delta del Po e nel Veronese, si moltiplicano da anni i progetti che valorizzano ogni parte del chicco e ciò che gli ruota intorno. È qui che la cultura del non spreco incontra l’innovazione scientifica.
Lolla, paglia e biomattoni: costruire case partendo dal riso
La lolla è il rivestimento esterno del chicco, e se fino a pochi anni fa rappresentava un rifiuto da smaltire in discarica, oggi viene impiegata in diversi modi come materia prima per numerose produzioni: dall’energia rinnovabile prodotta nei biodigestori, al suo impiego per
produrre silice amorfa, un materiale usato nei settori più disparati, dalla cosmesi alla componentistica industriale.
Ma non solo: la Startup RiceHouse, fondata da Tiziana Monterisi, ha messo a punto un metodo per utilizzare la lolla e la paglia di riso come materiali da costruzione naturali, traspiranti ed efficienti. Case in riso, letteralmente. Con strutture in biomattoni, intonaci e pannelli isolanti derivati dal campo.
Antiossidanti e integratori: quando lo scarto diventa salute
L’altro elemento chiave nel riciclo della lavorazione del riso si chiama pula. Il secondo strato dopo la lolla, un rivestimento più sottile che copre il chicco già sbramato. Viene eliminata nel processo successivo (sbiancatura), per ottenere il riso bianco. Nei laboratori dell’Ente Nazionale Risi, ma anche nelle università italiane (Torino, Pavia, Padova), si sono posti il problema di evitare il rifiuto e di individuare possibili impieghi di questo materiale. Ed ecco che la ricerca ha trovato il modo per estrarre dalla pula una serie di composti bioattivi: antiossidanti, vitamine e fibre alimentari che possono essere utilizzati per arricchire prodotti nutraceutici o integratori.
Bellezza e cura personale: l’acqua di riso torna protagonista
Un altro fronte su cui la ricerca sta lavorando è dal lato consumer. Oggi tutti noi buttiamo via l’acqua di cottura del riso, ma potrebbe arrivare il giorno
in cui ci chiederanno di conservarla in appositi contenitori da conferire in seguito. L’acqua di cottura, infatti, è ora considerata una risorsa cosmetica naturale: tonificante, riequilibrante, ricca di amido. Alcune aziende stanno esplorando l’uso dell’acqua di riso fermentata in prodotti per la cura della pelle e dei capelli, recuperando saperi antichi e reinventandoli in chiave moderna.
Bioplastiche, biofilm e packaging compostabili: la sfida agli imballaggi
Un altro fronte interessante è quello dei biofilm: materiali biodegradabili creati a partire dagli scarti amidacei del riso, che possono sostituire la plastica in molti ambiti. Alcune startup italiane stanno già brevettando pellicole alimentari
L'ECONOMIA
CIRCOLARE DEL RISO PER COSTRUISCE CASE, PREPARARE INTEGRATORI, ANTIOSSIDANTI
E TONIFICANTI
RICCHI DI AMIDO, REALIZZARE
BIOPLASTICHE
E PACKAGING COMPOSTABILI, DESIGN E NUOVI
TESSUTI.
compostabili derivate dall’amido di riso, che promettono di ridurre l’impatto ambientale degli imballaggi nel settore agroalimentare.
Design, moda e compost: nuovi mondi nati da un chicco
Non mancano nemmeno gli esempi nel mondo del design. Alcuni brand artigianali italiani stanno usando la lolla carbonizzata per produrre oggetti di arredo e accessori con un’estetica materica, scura, suggestiva. Oggetti nati da un campo di riso, che portano con sé una storia di trasformazione e bellezza sostenibile.
E poi c’è il compost, ovvero il ritorno del riso alla terra. Alcune aziende agricole del distretto risicolo piemontese e lombardo hanno chiuso il ciclo: tutto ciò che non può essere valorizzato in altri modi viene compostato e utilizzato per arricchire i terreni di semina, riducendo il bisogno di fertilizzanti chimici.
Una materia prima per il futuro, tra politiche e innovazione
In questo scenario dinamico, anche il comparto della moda ha cominciato a guardare al riso con occhi diversi. Alcuni laboratori tessili sperimentano filati ricavati da residui cellulosici del riso per realizzare tessuti tecnici e sostenibili. È una nicchia, certo, ma segnala quanto il valore del riso stia superando i confini dell’alimentazione per diventare materia prima versatile in molti settori. Il tutto si muove in una cornice normativa che, seppur ancora in evoluzione, comincia a riconoscere il valore degli scarti agricoli. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ha messo nero su bianco l’importanza delle filiere circolari in agricoltura, destinando fondi specifici a progetti di valorizzazione degli scarti agroindustriali. E la filiera del riso, per dimensioni e rilevanza economica, è tra quelle più osservate.
Comfort food all’italiana
Se la giornata è andata male , se siamo stressati, stanchi, delusi, nervosi, logorati e ci ritroviamo a guardaretristementelapioggiacadereoltre il vetro, in quel preciso momento arriva l’ora di affidarci al potere terapeutico di un sapore.
Sì, perché questo particolare tipo di cibo è capace di ristabilire un equilibrio emotivo e rimettere insieme i pezzi della nostra anima confusa proprio quando tutto sembra perduto. Andiamo a scoprire che cos'è il comfort food.
Cosa significa comfort food e come lo si declina in chiave italiana
Letteralmente comfort food, tradotto dall'inglese, significa cibo di conforto, dunque un insieme di alimenti che evocano sensazioni di benessere, sicurezza, familiarità. Ogni persona associa al comfort food un significato affettivo diverso e personale, legato ai ricordi, spesso dell'infanzia, e a una sfera psicologica che coinvolge emozioni, memoria e identità. Insomma, il comfort food all'italiana, e non solo, comprende tutte quelle ricette della tradizione di ogni famiglia che al momento giusto ci fanno sentire coccolati, rassicurati e finalmente al sicuro.
Il cibo della memoria: perché ci fa stare bene
Marcel Proust, quando scrive Alla ricerca del tempo perduto, racconta che in un momento di profonda tristezza trovò un immediato benessere assaporando un pezzetto di madeleine inzuppato nel tè, perché quel sapore, con la sua dolcezza e il suo aroma, risvegliò in lui ricordi d’infanzia nitidi e pieni di calore, trasportandolo istantaneamente in un passato felice.
di Carlotta Bonsegna
TERRITORIO
Questo esempio letterario sintetizza la nostra generale tendenza a cercare conforto nelle pietanze che eravamo soliti consumare ai tempi dell'infanzia, e che nell'immediato ci suscitano un sentimento di nostalgia e rassicurazione perché ci ricordano momenti felici e spensierati vissuti con le persone care. Tutti abbiamo la nostra madeleine, nessuno escluso.
Il comfort food ci fa stare bene perché agisce su più livelli, ovvero quello biologico, quello psicologico e quello sociale. Dal punto di vista biologico, dato che molte pietanze che ricordiamo con affetto sono ricche di carboidrati e grassi, stimola la produzione di neurotrasmettitori come la serotonina e la dopamina, che contribuiscono a migliorare il tono dell'umore; a livello psicologico attiva ricordi autobiografici e associazioni emotive positive, contribuendo a ridurre la percezione dello stress, e infine a livello sociale favorisce un senso di appartenenza a una comunità e a una tradizione.
Piatti regionali che raccontano l’identità del territorio
Il concetto di comfort food italiano si fonde con il patrimonio gastronomico regionale, dove ogni piatto è il frutto di una storia secolare, di un territorio e dei suoi prodotti tipici e di una comunità e del loro saper fare in cucina. Le ricette della tradizione non solo soddisfano il palato, ma custodiscono memorie familiari molto intime e al tempo stesso ci raccontano l’identità più profonda e vera del luogo da cui provengono. Dalla polenta fumante delle Alpi e delle Dolomiti alla scarpazza ligure, una torta salata di verdure con riso o farro, dalle arancine siciliane alle bombette pugliesi, dalla parmigiana di melanzane ai tortellini, dalla sbrisolona mantovana al più semplice e diffuso comfort food del Paese, il riso in bianco, ogni specialità locale riporta alla cucina di casa e diventa un ponte tra passato e presente. Noi siamo anche il frutto di quei sapori. E ne andiamo fieri.
Ricette raccolte nei quaderni della nonna o tramandate a voce, custodi della nostra memoria e parte profonda della nostra identità, si trasmettono di generazione in generazione mantenendo vivi emozioni e ricordi.
Stagioni e cucina di casa: quando il tempo guida la ricetta
Nelle varie tradizioni gastronomiche italiane, il comfort food è strettamente legato al ritmo delle stagioni e alla disponibilità degli ingredienti freschi. La cucina di casa, da sempre, si adatta all'alternarsi dei periodi dell'anno, proponendo piatti che valorizzano i prodotti tipici di ogni fase del calendario. Dalle zuppe calde e sostanziose dell’inverno, come il minestrone o la polenta con condimento corposo, alle insalate di legumi e le verdure fresche dell’estate, il comfort food segue il ciclo naturale della terra, offrendo sempre sapori autentici e nutrienti. La stagionalità non è solo una questione di gusto, ma anche di tradizione e benessere: mangiare secondo il tempo e il transito delle stagioni significa rispettare il corpo e la cultura del territorio, riscoprendo piatti regionali italiani semplici e genuini che hanno accompagnato generazioni intere.
Così, ogni stagione diventa un invito a riscoprire piatti diversi, che sanno confortare e nutrire, regalandoci un senso di calore e familiarità. Il cibo, in fondo, è un buon amico.
Comfort food e sostenibilità: il valore del cucinare semplice
Il comfort food, forte della sua capacità di evocare ricordi e rassicurare i sensi, può diventare anche un grande alleato della sostenibilità. Scegliere ingredienti locali e di stagione, preferire ricette tradizionali che valorizzano ciò che si ha già in dispensa, ridurre gli sprechi e riutilizzare avanzi sono pratiche che rendono il cucinare semplice non solo un gesto di cura verso sé stessi, ma anche verso il pianeta. La preparazione di piatti genuini e poco elaborati, come zuppe, minestre, torte salate o pane fatto in casa, incoraggia un rapporto più consapevole con il cibo, riducendo l’impatto ambientale e riscoprendo il piacere di una cucina lenta, capace di nutrire corpo, memoria e voglia di stare insieme e condividere quello che amiamo.
RICETTA
Polenta concia
RICETTA
Scarpazza sarzanese
RICETTA
Parmigiana di melanzane
La doppia anima (enogastronomica) del
Piemonte
C’È UN PIEMONTE SONTUOSO
E RAFFINATO, FATTO DI SALOTTI
ARISTOCRATICI, GRANDI VINI
DA MEDITAZIONE E PIATTI –LETTERALMENTE – DA RE.
E POI CE N’È ANCHE UNO AGRICOLO
E MONTANARO CHE, TRA STALLE,
ALPEGGI E CAMPI COLTIVATI, HA FATTO
DELLA CUCINA D’AVANZO IL PROPRIO
VANTO. DUE ANIME CONTRAPPOSTE
CHE, TUTTAVIA, CONVIVONO NELLA
STESSA CUCINA, RENDENDO LO
SCENARIO GASTRONOMICO VARIO, GUSTOSO E SEMPRE AUTENTICO.
NON A CASO, QUESTA È UNA DELLE
REGIONI ITALIANE CON IL MAGGIOR
NUMERO DI PRODOTTI A MARCHIO
DOP E IGP: SIMBOLI TANGIBILI DI
UNA TRADIZIONE AGROALIMENTARE
INVIDIATA NEL MONDO.
Il ricettario regionale tra miseria e nobiltà
Da Langhe, Monferrato e Roero all’Alto Piemonte, dalle risaie del Vercellese ai pascoli dell’alta Valle Maira, ogni territorio ha saputo custodire sapori e tecniche antiche, reinterpretandole con eleganza e rigore. Una terra che ha fatto della qualità la propria cifra stilistica, non solo nella produzione, ma anche nell’uso dei suoi ingredienti in cucina, spesso protagonisti di piatti dal forte legame identitario. In Piemonte, la cucina regionale odierna è il risultato di una duplice tradizione: da un lato, quella aristocratica, influenzata dalla lunga storia sabauda e, dall’altro, quella più umile e contadina, legata ai ritmi della campagna e al ciclo delle stagioni. Ne sono esempio piatti iconici come il bollito misto: sette tagli di carne “nobili” e sette “meno nobili”, cotti a lungo e serviti con sette contorni e altrettante salse, tra cui il celebre bagnet verd (bagnetto verde), a base di prezzemolo, aglio, acciughe, pane, aceto e olio. O il sontuoso fritto misto, una preparazione di recupero che combina frattaglie (cervella, fegato, polmone ecc.) con semolino dolce, frutta e persino amaretti impanati, a riprova dell’ambivalenza culinaria di cui si parlava. Tra primi piatti, immancabili i risotti (dal momento che il Piemonte è primo produttore italiano di riso) come, uno su tutti, la panissa vercellese, con riso S. Andrea o Vialone Nano cucinato assieme a cipolla, lardo, un goccio di vino rosso e fagioli di Saluggia. Ma è la pasta fresca a conquistare: dai mitici tajarin, una sorta di tagliolini all’uovo molto fini che vengono generalmente conditi con burro e salvia o con il sugo d’arrosto, agli evocativi agnolotti del plin, dei piccoli ravioli
chiusi a mano con un “pizzicotto” (o plin in dialetto, da cui il nome), farciti con arrosti misti e serviti con sugo di carne o nel tradizionale “tovagliolo”, quindi asciutti e avvolti nel tessuto caldo. Altre ricette simbolo sono il vitello tonnato, un piatto “mari e monti” immancabile in qualsiasi menù della regione, e la carne cruda: che sia battuta al coltello, tagliata in fette sottili all'albese o sotto forma di salsiccia di Bra, la regola è soltanto una, che sia carne di Fassone di Razza Piemontese. E, se si guarda ai dolci, non si può non nominare la torta di nocciole, a base di Nocciola Tonda Gentile delle Langhe IGP, spesso servita con zabaione o crema pasticciera. La stessa nocciola, poi, viene utilizzata per moltissime altre preparazioni quali i baci di dama, i gianduiotti, le creme spalmabili e altro ancora.
DA LANGHE,
MONFERRATO E ROERO
ALL’ALTO PIEMONTE, DALLE RISAIE DEL VERCELLESE AI
PASCOLI DELL’ALTA
VALLE MAIRA, OGNI
TERRITORIO HA SAPUTO
CUSTODIRE SAPORI E TECNICHE ANTICHE, REINTERPRETANDOLE
CON ELEGANZA E RIGORE.
SLIDER
Il variegato panorama caseario piemontese
Il Piemonte vanta una delle tradizioni casearie più floride d’Italia, con una straordinaria varietà di formaggi di cui ben nove sono tutelati a livello europeo con il marchio DOP, a riprova della storia antica e del forte legame con il territorio che li caratterizza. Del “re” dei caci pedemontani, il Castelmagno DOP, si apprezza la pasta dura e friabile, che può presentare qualche venatura di muffa blu-verde: perfetto per mantecare i risotti o per condire gli gnocchi di patate. Altro caposaldo è la Toma Piemontese DOP, dalla pasta compatta e molto versatile in cucina, dalle torte salate ai secondi piatti.
E ancora: il Raschera DOP, più strutturato, con la crosta lavata e la pasta cremosa, ottimo fuso; il Bra DOP, prodotto in due versioni – “tenero” e “duro” – a seconda della lavorazione; il Murazzano DOP, formaggio di latte ovino prodotto da una manciata di produttori dell’Alta Langa; e la Roccaverano DOP, uno tra i rari formaggi caprini a denominazione di origine protetta, che conquista per il suo sapore avvolgente e la sua consistenza unica. Accanto a questi, altre tre formaggi che – da disciplinare – possono essere prodotti anche altrove: il Gorgonzola DOP (Piemonte e Lombardia), il Taleggio DOP (Piemonte, Lombardia e provincia di Treviso, in Veneto) e il Grana Padano DOP (Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna e provincia autonoma di Bolzano). Una ricchezza, quella casearia, che si riflette appieno nella cucina regionale, dove i formaggi diventano i protagonisti di innumerevoli prelibatezze, tanto della tradizione casalinga, polenta concia e gnocchi alla bava ad esempio, quanto di preparazioni più elaborate, come un flan di verdure accompagnato da una bella fonduta di Toma Piemontese DOP stagionata.
Uno sguardo ai grandi vini della regione
Difficile parlare del Piemonte senza menzionare il suo immenso patrimonio vitivinicolo, tra i più celebrati al mondo. La regione, infatti, può vantare ben diciotto DOCG e quarantuno DOC detenendo, a tal proposito, un primato nazionale. Qui, la viticoltura è cultura, economia e paesaggio e i vitigni autoctoni hanno saputo affermarsi senza cedere alla standardizzazione. Tra le uve a bacca rossa primeggia il Nebbiolo, uvaggio da cui derivano alcuni dei più importanti vini italiani, vale a dire il Barolo DOCG e il Barbaresco DOCG, prodotti nella zona delle Langhe e famosi in tutti il mondo. Nel Vercellese e nel Biellese, invece, lo stesso vitigno si esprime in tutt'altra maniera nel Gattinara DOCG e nel Ghemme DOCG, vini dal profilo più verticale e minerale.
Altri uvaggi diffusissimi in regione, poi, sono il Dolcetto e la Barbera: la prima, più morbida e beverina, è alla base – tra gli altri – del Dogliani DOCG e dell'omonimo
Dolcetto DOCG; con la seconda, più acida e vigorosa, si ottengono invece il Barbera d’Asti DOCG, il Barbera del Monferrato Superiore DOCG e il Nizza DOCG. Ma anche sul versante dei bianchi emergono produzioni di tutto rispetto. A partire dal Gavi DOCG, prodotto con uve Cortese nella zona di Novi Ligure, dal profilo fresco e agrumato. O l'Erbaluce di Caluso DOCG, che si può anche produrre nella versione “passito” o “spumante”. Se si parla di spumante, però, la fa da padrone il celebre Asti DOCG, prodotto con uve di Moscato bianco, divenuto simbolo internazionale delle “bollicine” italiane. Questo, come s'è visto dai numeri, non è che un piccolo assaggio dell'offerta vinicola piemontese dove addirittura l’80% della produzione confluisce in vini a marchio riconosciuti a livello globale.
Benessere tascabile
Arrivano i Minipack di frutta secca Ohi Vita
Con i nuovi Minipack Ohi Vita, la frutta secca diventa ancora più accessibile e facile da integrare nella routine quotidiana. Perfetti per chi ha uno stile di vita attivo, offrono gusto, energia e nutrienti essenziali in un formato pratico e calibrato. Una pausa buona per il corpo e per la mente, da portare sempre con sé.
La frutta secca, un alleato naturale della salute
Energia pronta all’uso, nutrienti concentrati, benefici molto ben conosciuti e riconosciuti: la frutta secca si conferma un pilastro dell’alimentazione sana e bilanciata. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, 30 grammi di frutta secca ogni due o tre giorni rappresentano la porzione ottimale per integrare proteine vegetali, fibre, vitamine del gruppo B, vitamina E e sali minerali preziosi come magnesio, ferro, zinco e potassio. Le linee guida nutrizionali del CREA – Centro di Ricerca Alimenti e Nutrizione – ribadiscono l’importanza della frutta secca come snack quotidiano, consigliandone il consumo regolare all’interno di un regime alimentare vario e plant-based. La presenza di acidi grassi insaturi, tra cui gli Omega-3 e gli Omega-6, conferisce alla frutta secca un ruolo protettivo nei confronti del sistema cardiovascolare. Inoltre, le sue fibre aiutano la digestione e favoriscono il senso di sazietà. Ma non solo: la frutta secca si distingue
anche per l’elevata densità energetica, qualità che la rende ideale per sostenere concentrazione e vitalità nei momenti di maggiore impegno, sia fisico che mentale. In uno scenario sempre più orientato verso scelte alimentari consapevoli, la frutta secca si afferma come un ingrediente completo e interessante per chi desidera un equilibrio tra gusto e benessere.
Minipack Ohi Vita: piccoli formati, grandi benefici
Da oggi, godere dei benefici della frutta secca è ancora più semplice grazie ai nuovi minipack Ohi Vita: porzioni tascabili, pensate per accompagnare grandi e meno grandi in ogni momento della giornata con un gesto pratico e naturale. Nati per rispondere alle esigenze di chi è sempre in movimento, i Minipack Ohi Vita sono perfetti come spuntino di metà mattina, break pomeridiano, snack post-allenamento o anche come parte della colazione.
Vanno bene a scuola, in ufficio o in viaggio, grazie
anche ai formati monodose che offrono una soluzione intelligente per mantenere un’alimentazione equilibrata senza rinunciare al gusto. Inoltre, la frutta secca si conserva facilmente, è pronta al consumo e non necessita di refrigerazione: tre qualità che la rendono un alleato ideale per la vita moderna. L’attenzione alla sostenibilità passa anche da qui: il formato ridotto aiuta a prevenire sprechi, educa al consumo responsabile e incoraggia la porzionatura corretta, evitando gli eccessi. Il packaging è leggero, coniuga facilità d’uso e trasportabilità: un gesto semplice, ma coerente con un’idea di benessere che coinvolge tutte le abitudini d’uso.
Nutrizione smart: piccoli gesti, grande benessere
Integrare la frutta secca nell’alimentazione quotidiana, soprattutto in una logica di prevenzione e cura della propria salute, significa adottare un approccio “smart” alla nutrizione. I nutrienti contenuti nella frutta secca
svolgono un’azione sinergica sul nostro organismo: favoriscono il metabolismo energetico, sostengono le difese immunitarie e contribuiscono alla salute del sistema nervoso. Le sue proprietà antiossidanti, in particolare grazie alla vitamina E e ai polifenoli naturali, aiutano a contrastare lo stress ossidativo e i processi infiammatori.
In un contesto in cui cresce l’attenzione verso le diete plant-based e l’adozione di stili alimentari più sostenibili, la frutta secca – specie se consumata nella giusta misura – diventa un simbolo concreto di equilibrio tra corpo, mente e ambiente. I Minipack Ohi Vita valorizzano proprio questa filosofia: portare con sé una dose calibrata di frutta secca non è solo una scelta di gusto, ma un atto quotidiano di cura verso sé stessi e il proprio benessere. Perché mangiare bene non richiede rivoluzioni: a volte, basta una manciata di buone abitudini.
MI ALIMENTO DI RICETTE
RACCONTATE, SPIEGATE, FOTOGRAFATE. UNA DOPO L’ALTRA. PAGINA DOPO PAGINA
Risotto alla milanese
INGREDIENTI per 4 porzioni
PROCEDIMENTO
STEP 1
Riso
(Carnaroli o Arborio) 300 Grammi
Zafferano 1 Bustina
Brodo di carne 1 Litro
Burro 100 Grammi
Scalogno 2 Numero
Midollo di vitello 30 Grammi
Parmigiano grattugiato 60 Grammi
Vino bianco 1 Bicchiere
Sale q.b.
Tritare gli scalogni. Sciogliere a fuoco lento in una padella metà del burro, il midollo, e aggiungere gli scalogni fino a farli appassire.
STEP 2
Inserire il riso e farlo tostare per circa due minuti.
STEP 3
Aggiungere il vino bianco e farlo evaporare.
STEP 4
Aggiungere un poco alla volta il brodo, mescolando bene e facendo attenzione che sia ben assorbito dal riso. Questo step deve durare circa venti minuti.
STEP 5
A metà cottura del riso, sciogliere lo zafferano in un bicchiere di brodo, aggiungerlo al composto e continuare a mescolare.
STEP 6
Verificare che il riso sia al dente, poi aggiungere il burro rimasto e il parmigiano, mantecando con energia.
STEP 7
Torta di riso salata
INGREDIENTI per 4 porzioni
PROCEDIMENTO
STEP 1
Pasta sfoglia brisé 1 Confezione
Riso Arborio 4 Pugni
Uova 2 Numero
Grana Padano
grattugiato 100 Grammi
Pecorino romano
grattugiato 80 Grammi
Olio EVO 1/4 Bicchiere
Noce moscata 1 Cucchiaino
Sale 2 Cucchiaini
Zafferano (opzionale)
In una pentola portare a ebollizione l'acqua e salarla con due cucchiaini da caffè. Inserire il riso e cuocerlo per cinque minuti, dopodiché scolarlo e farlo riposare, sgranando i chicchi sopra un piano orizzontale. Mettere da parte in un contenitore due mestolini di acqua di cottura.
STEP 2
In una ciotola battere le uova e aggiungere la noce moscata, il grana padano, il pecorino, il riso, i due mestolini di acqua di cottura, l'olio e mescolare bene.
STEP 3
Adagiare su una teglia oliata la pasta brisé e tenere alzati i bordi del perimetro. Inserire il composto e compattarlo con un cucchiaio. Portare bordi del perimetro della sfoglia verso l'interno sopra il composto.
STEP 4
Infornare a 180° per un'ora, lasciare riposare e servire.
Lasciare riposare un paio di minuti e servire.
Materie Q.tà Misura
Materie Q.tà Misura
Risotto con i funghi porcini
INGREDIENTI per 4 porzioni
Materie Q.tà Misura
Riso Carnaroli 300 Grammi
Brodo vegetale 1 Litro
Funghi porcini freschi 4 Numero
Scalogno 1 Numero
Aglio 1 Spicchio
Parmigiano
Reggiano grattugiato 80 Grammi
Burro 50 Grammi
Vino bianco 1/2 Bicchiere
Prezzemolo fresco tritato q.b.
Olio EVO q.b.
PROCEDIMENTO
STEP 1
Pulire i funghi eliminando bene la terra e tagliarli a fettine sottili nel senso della lunghezza.
STEP 2
In una padella preparare il soffritto con tre cucchiai di olio e lo spicchio d’aglio, dopodiché aggiungere i funghi e cuocere per circa otto minuti. Mettere i funghi da parte.
STEP 3
Tritare lo scalogno e farlo appassire in una casseruola con un cucchiaio di olio e metà del burro. Inserire il riso e tostarlo per due minuti. Aggiungere il mezzo bicchiere di vino e farlo evaporare completamente.
STEP 4
Aggiungere il brodo, un mestolo alla volta, facendo attenzione a mescolare continuamente.
STEP 5
Dopo circa otto minuti inserire i funghi e continuare a cuocere per altri dieci minuti, sempre mescolando.
STEP 6
Spegnere il fuoco, aggiungere il burro, il parmigiano e il sale, senza mai smettere di mescolare con energia. Impiattare e spolverare con il prezzemolo tritato.
Sartu di riso
PROCEDIMENTO
Materie Q.tà Misura
Riso 500 Grammi
Uova sode 2 Numero
Mozzarella 150 Grammi
Piselli 200 Grammi
Uova battute 120 Grammi
Formaggio grattugiato 50 Grammi
Burro q.b.
Per il ragù alla napoletana:
Cipolle dorate 300 Grammi
Olio EVO 60 Grammi
Passata di pomodoro 700 Grammi
Salsiccia 300 Grammi
Biancostato di manzo 700 Grammi
Vino rosso 70 Grammi
Acqua 300 Grammi
Per le polpettine:
Macinato di manzo 200 Grammi
Uova 1 Numero
Parmigiano grattugiato 30 Grammi
STEP 1 (Preparazione del ragù alla napoletana)
Soffriggere le cipolle, inserire la salsiccia e il biancostato di manzo. Aggiungere il vino e lasciarlo sfumare. Aggiungere anche la passata di pomodoro, un pizzico di sale e, di tanto in tanto, l'acqua. Cuocere a fuoco lento per almeno due ore, mescolando con cura. Mettere la carne da parte.
STEP 2 (Preparazione delle polpettine)
Ammollare in acqua la mollica di pane raffermo per circa dieci minuti. Mescolare con energia il macinato di manzo con l'uovo, la mollica strizzata, il parmigiano, il prezzemolo tritato, il sale e il pepe. Costituire delle piccole sfere e cuocerle per tre minuti in olio di semi di arachide bollente. Scolarle e metterle da parte.
STEP 3 (Composizione del Sartù di riso)
Sbucciare le uova sode e tagliarle in modo sottile. Prendere la pentola con il ragù, riaccendere il fuoco e inserire il riso; farlo cuocere, con aggiunta di acqua, fino a quando il sugo sarà completamente assorbito dal riso, dopodiché lasciarlo raffreddare in un recipiente e aggiungere le uova battute, il formaggio grattugiato, sale e pepe e mescolare bene.
Imburrare lo stampo, cospargerlo di pane grattugiato e versare il primo strato del composto di riso e schiacciarlo fino a farlo diventare di circa un centimetro di altezza.
Inserire a più strati la mozzarella tagliata a cubetti e le salsicce tagliate a rondelle, le polpettine, i piselli e le uova.
Nell'ultimo strato, quello più in alto, ci deve essere solo riso.
Mollica di pane raffermo 75 Grammi
Ricoprire il tutto con il pane grattugiato, inserire in forno a 180° per circa un'ora. Lasciare riposare e servire. Per
Prezzemolo tritato 1 Cucchiaino
Olio di semi di arachide
(per friggere) q.b.
Sale q.b.
Pepe q.b.
Per guarnire:
Pane grattugiato q.b.
INGREDIENTI per 4 porzioni
Risi e bisi
Materie Q.tà Misura
Riso Vialone Nano IGP 300 Grammi
Piselli freschi 500 Grammi
Cipolla bianca 1 Numero
Pancetta dolce 50 Grammi
Burro 40 Grammi
Parmigiano
Reggiano DOP q.b.
Olio EVO q.b,
Sale fino q.b.
Pepe nero q.b.
PROCEDIMENTO
STEP 1
Innanzitutto, sbucciare i piselli. Prendere quindi i baccelli, immergerli in una pentola colma d'acqua e portare a bollore, lasciandoli cuocere per circa quaranta minuti, poi filtrare. Una volta pronto il brodo, tritare finemente la cipolla e la pancetta.
STEP 2
In una casseruola, soffriggere la cipolla tritata assieme alla pancetta e a un filo d’olio EVO. Aggiungere quindi il riso, tostarlo leggermente e unire i piselli, cominciando ad aggiungere poco a poco il brodo caldo. Proseguire la cottura per diciotto minuti circa, continuando a mescolare di tanto in tanto fino a ottenere una consistenza cremosa.
STEP 3
Infine, mantecare con il burro e il Parmigiano Reggiano DOP. Servire all’onda.
INGREDIENTI per 4 porzioni
Arancini
Materie Q.tà Misura
Riso 500 Grammi
Passata di pomodoro 200 Grammi
Macinato di vitello 250 Grammi
Piselli 100 Grammi
Cipolla bianca 1 Numero
Sedano ½ Costa
Carota ½ Numero
Caciocavallo
tagliato a cubetti 100 Grammi
Vino bianco secco ½ Bicchiere
Pecorino grattugiato 50 Grammi
Uova 3 Numero
Pane grattugiato 200 Grammi
Farina 00 200 Grammi
Olio EVO q.b.
Sale q.b.
PROCEDIMENTO
STEP 1
Preparare il soffritto con olio, sedano, cipolla e carota ben tritati. Inserire il macinato di vitello e rosolare per qualche minuto. Aggiungere il vino e lasciarlo evaporare completamente.
STEP 2
Aggiungere i piselli e mescolare bene per un paio di minuti. Versare mezzo bicchiere di salsa di pomodoro e continuare a cuocere a fuoco lento per circa 40 minuti.
STEP 3
In un'altra pentola, cuocere il riso al dente, scolarlo e unirlo in una ciotola al rimanente della salsa di pomodoro insieme al pecorino e a un uovo battuto. Mescolare bene.
STEP 4
Prelevare con un cucchiaio il riso condito, adagiarlo sul palmo della mano, schiacciarlo e inserirvi nel mezzo una cucchiaiata di ragù con vari cubetti di caciocavallo. Prendere un'altra cucchiaiata di riso condito, sovrapporlo al primo strato e creare una polpetta di forma circolare o conica, l'arancino.
STEP 5
Infarinare l'arancino, passarlo nelle uova battute e nel pane grattugiato. Salare e friggere. Scolare e servire.
Risotto con la luganega Risotto alla pescatora
INGREDIENTI per 4 porzioni
Materie Q.tà Misura
Riso Carnaroli (o Arborio) 300 Grammi
Luganega trentina 200 Grammi
Cipolla bionda 1 Numero
Vino bianco secco 1 Bicchiere
Brodo di carne q.b.
Burro 40 Grammi
Trentingrana DOP 50 Grammi
Sale fino q.b.
Pepe nero q.b.
PROCEDIMENTO
STEP 1
Per prima cosa, mondare la cipolla e tritarla finemente. Quindi prendere la luganega trentina, rimuovere il budello e sbriciolarla. Grattugiare il Trentingrana DOP e mettere sul fuoco una pentola colma di brodo di carne.
STEP 2
Ora, in una casseruola, rosolare la cipolla tritata con un po’ di burro; aggiungere poi la luganega sbriciolata e farla insaporire per qualche minuto. Aggiungere il riso, tostarlo e sfumare con il vino bianco. Cuocere per sedici-diciotto minuti versando poco per volta il brodo caldo.
STEP 3
A cottura ultimata, mantecare con il burro restante e il Trentingrana DOP grattugiato. Servire caldo.
INGREDIENTI per 4 porzioni
Q.tà Misura
Riso Arborio (o Carnaroli) 300 Grammi
Cozze 400 Grammi
Vongole 400 Grammi
Gamberi 200 Grammi
Seppie (pulite) 200 Grammi
Salsa di pomodoro 250 Grammi
Aglio q.b.
Prezzemolo q.b.
Peperoncino q.b.
Olio EVO q.b.
Sale fino q.b.
Pepe nero q.b.
Vino bianco secco 1/2 Bicchiere
PROCEDIMENTO
STEP 1
Cominciare sgusciando i gamberi. Nel frattempo, in una padella, far aprire i molluschi. Poi, con gli scarti, preparare il brodo di pesce mettendoli in una pentola colma d'acqua per quaranta-cinquanta minuti circa.
STEP 2
Una volta pronto il brodo, soffriggere in una casseruola l’aglio e il peperoncino, aggiungere le seppie tagliate a listarelle e, per ultima, la salsa di pomodoro. Aggiungere quindi il riso, sfumare con il vino e bianco e portare a cottura aggiungendo, poco alla volta, il brodo.
STEP 3
Negli ultimi minuti di cottura, unire i gamberi, le cozze e le vongole. Completare con il prezzemolo tritato e servire.
Materie
INGREDIENTI per 4 porzioni
Materie Q.tà Misura
Riso Roma 250 Grammi
Salsa di pomodoro 250 Grammi
Mozzarella 150 Grammi
Parmigiano
Reggiano DOP 50 Grammi
Uova 2 Numero
Farina 00 q.b.
Pangrattato q.b.
Olio per friggere q.b.
Sale fino q.b.
PROCEDIMENTO
STEP 1
Per prima cosa, far cuocere il riso nella salsa di pomodoro, girando di tanto in tanto cosicché non si attacchi. Una volta cotto, aggiungere il Parmigiano Reggiano DOP e lasciare raffreddare completamente.
STEP 2
Quando si sarà raffreddato, prendere una pallina di riso e formare una crocchetta ovale, infilandoci al centro un pezzetto di mozzarella, precedentemente tagliata. Continuare così fino a esaurimento del riso.
STEP 3
Infine, passare le crocchette così ottenute nella farina, quindi nelle uova sbattute e nel pangrattato. Riscaldare l'olio e, raggiunta la temperatura desiderata, friggere i supplì fino a che non risulteranno dorati. Scolare, aggiustare di sale e servire ben caldi.
Tiedda barese
INGREDIENTI per 4 porzioni
Materie Q.tà Misura
Riso Arborio 250 Grammi
Patate 500 Grammi
Cozze fresche 1 Chilogrammi
Pomodori freschi 200 Grammi
Cipolla dorata 1 Numero
Pecorino grattugiato 50 Grammi
Olio EVO q.b.
Prezzemolo q.b.
Aglio q.b.
Pepe nero q.b.
Sale fino q.b.
Brodo vegetale q.b.
PROCEDIMENTO
STEP 1
Per prima cosa, pulire le cozze e sgusciarle. Poi, passare alle verdure: pelare le patate, sbucciare la cipolla e affettarle sottilmente; lavare e ridurre in tocchetti regolari pomodori. Poi, pulire l'aglio e il prezzemolo, tritare molto finemente il tutto e mettere da parte.
STEP 2
Ora, ungere una teglia da forno dai bordi alti e disporvi, a strati, riso, patate e cozze, avendo cura di condire man mano che si vanno a sovrapporre gli ingredienti con il trito precedentemente realizzato, un pizzico di sale fino e una spolverata di pepe nero.
STEP 3
Infine, completare il tutto con pecorino grattugiato e abbondante olio EVO. Aggiungere il brodo vegetale (o l'acqua) fino a coprire e cuocere in forno preriscaldato statico a 180°C per circa cinquanta minuti.
Bagna cauda
INGREDIENTI per 4 porzioni
Materie Q.tà Misura
Aglio (testa intera) 6 Numero
Olio EVO 600 Grammi
Acciughe sotto sale 300 Grammi
Peperoni q.b.
Barbabietole q.b.
Cipolle bionde q.b.
Cipollotto fresco q.b.
Patate q.b.
Cardo Gobbo di Nizza Monferrato q.b.
PROCEDIMENTO
STEP 1
Per prima cosa, sbucciare l'aglio e incidere ogni spicchio a metà per privarlo dell'anima. Tagliare a fettine non troppo sottili e mettere da parte. Nel frattempo, dissalare le acciughe, lasciandole in ammollo in una ciotola con acqua fredda per almeno due-tre ore, cambiando spesso l’acqua così da eliminare il sale.
STEP 2
Intanto, preparare le verdure: arrostire le cipolle al forno con la buccia, assieme ai peperoni interi e alle barbabietole; cuocere le patate in acqua bollente (non troppo). Una volta cotte, tagliare in spicchi grossolani e mettere da parte. Passare ora alle verdure crude: lavare e mondare il Cardo Gobbo e tagliarlo a tocchetti regolari di circa cinque centimetri, stessa cosa per i cipollotti e per qualsiasi altra verdura si desideri aggiungere.
STEP 3
Ora, mettere l’aglio in un tegame assieme a 100g di olio EVO e iniziare la cottura a fuoco bassissimo, mescolando spesso con il cucchiaio di legno e avendo cura che non prenda colore. Quindi unire le acciughe, coprire con il restante olio e portare a cottura a fuoco lento per una mezz’oretta circa, avendo cura che la bagna non frigga. Una volta pronta, servire ben calda.
Risotto alla milanese con ossobuco
INGREDIENTI per 4 porzioni
Materie Q.tà Misura
Riso Carnaroli 320 Grammi
Ossibuchi di vitello 4 Pezzi
Midollo di bue
(facoltativo) 30 Grammi
Burro 60 Grammi
Cipolla ½ Numero
Vino bianco secco 100 Millilitri
Brodo di carne 1 Litro circa
Zafferano in pistilli 1 Bustina / Pizzico
Farina q.b.
Sale q.b.
Pepe nero q.b.
Prezzemolo
fresco tritato 1 Cucchiaio
Aglio 1 Spicchio
Scorza di limone
grattugiata 1 Cucchiaino
Grana Padano
o Parmigiano 60 Grammi
Olio EVO 2 Cucchiai
PROCEDIMENTO
STEP 1
Infarinare leggermente gli ossibuchi e farli rosolare in una casseruola con un filo d’olio e una noce di burro. Quando sono ben dorati da entrambi i lati, sfumare con il vino bianco e lasciar evaporare. Aggiungere un mestolo di brodo caldo, coprire e lasciar cuocere a fuoco lento per circa 1 ora, aggiungendo poco brodo se necessario.
A parte, preparare la gremolada: tritare finemente l’aglio con il prezzemolo e la scorza di limone. A fine cottura, aggiungere la gremolada agli ossibuchi e tenerli in caldo.
STEP 2
In una casseruola far sciogliere metà del burro con il midollo (se lo si usa) e un trito finissimo di cipolla. Quando la cipolla è trasparente, aggiungere il riso e tostarlo per un paio di minuti fino a quando non diventa lucido. Sfumare con un goccio di vino bianco, lasciar evaporare, poi cominciare ad aggiungere il brodo caldo, poco alla volta, mescolando continuamente. Dopo circa 10 minuti, aggiungere lo zafferano precedentemente sciolto in un cucchiaio di brodo caldo. Proseguire la cottura fino a che il riso è al dente (15-18 minuti in tutto), continuando ad aggiungere brodo man mano che si asciuga.
STEP 3
Spegnere il fuoco e mantecare il risotto con il burro rimasto e il formaggio grattugiato, mescolando fino a ottenere una consistenza cremosa e avvolgente. Aggiustare di sale e pepe se necessario. Lasciar riposare un paio di minuti coperto. Servire il risotto ben caldo, disponendo accanto a ogni porzione un ossobuco con il suo fondo di cottura.
Risotto cacio e pepe con lime e gambero rosso
Ispirato a una creazione di Antonino Cannavacciuolo, questo piatto unisce la forza del Carnaroli alla cremosità del formaggio e alla freschezza del mare.
INGREDIENTI per 4 porzioni
Materie Q.tà Misura
Riso Carnaroli 320 Grammi
Gamberi rossi 12 Numero
Pecorino romano grattugiato 100 Grammi
Lime (non trattato) 1 Numero
Pepe nero 1 Cucchiaino
Burro 40 Grammi
Cipolla bianca ½ Numero
Brodo vegetale 1 Litro circa
Olio EVO q.b.
Sale q.b.
PROCEDIMENTO
STEP 1
Sgusciare i gamberi rossi, eliminare il filamento intestinale e tenerli da parte in frigorifero. Con le teste e i carapaci, preparare un fondo: farli rosolare con un filo d’olio, poi sfumare con poca acqua e lasciar sobbollire per 15 minuti.
Filtrare il tutto e tenere da parte il liquido per intensificare il sapore del risotto.
STEP 2
In una casseruola, far soffriggere la cipolla tritata finemente con un filo d’olio e metà del burro. Aggiungere il riso e tostarlo per un paio di minuti finché non è lucido. Sfumare con un mestolo del fondo di gamberi, poi continuare la cottura aggiungendo brodo vegetale caldo poco alla volta. Dopo circa 10 minuti, aggiungere il pepe nero macinato fresco e la scorza grattugiata del lime. Cuocere per altri 5-6 minuti finché il riso è al dente.
STEP 3
A fuoco spento, mantecare il risotto con il restante burro e il pecorino grattugiato, mescolando energicamente per ottenere una consistenza cremosa. Aggiustare di sale se necessario. Saltare velocemente i gamberi in una padella antiaderente con un filo d’olio (un minuto per lato). Servire il risotto ben caldo, decorando ogni piatto con tre gamberi, un’ulteriore grattugiata di lime e una macinata di pepe nero.
Panissa vercellese
INGREDIENTI per 4 porzioni
Materie Q.tà Misura
Riso S. Andrea 400 Grammi
Fagioli secchi di Saluggia 100 Grammi
Lardo 100 Grammi
Salame sotto grasso 1 Numero
Cipolla bionda 1/2 Numero
Vino rosso 1 Bicchiere
Brodo di carne q.b.
Sale fino q.b.
Olio EVO q.b.
PROCEDIMENTO
STEP 1
Lavare i fagioli e metterli a mollo in abbondante acqua per 12 ore. Quindi lessarli nel brodo di carne fino a cottura (un’ora circa).
STEP 2
Mentre i fagioli cuociono, preparare un soffritto con il lardo e il salame tritati, un po’ di cipolla tritata e un cucchiaino di olio EVO. In un tegame, poi, mettere il riso e farlo tostare, quindi sfumare con il vino rosso e lasciare che evapori.
STEP 3
Aggiungere il brodo caldo poco alla volta. Poco prima che la cottura sia ultimata, unire i fagioli e spegnere il fuoco, lasciando riposare la panissa per qualche minuto. Servire ben caldo.
Gnocchi al Castelmagno DOP
INGREDIENTI per 4 porzioni
Materie Q.tà Misura
Gnocchi di patate 800 Grammi
Castelmagno DOP 200 Grammi
Latte intero 200 Millilitri
Burro 30 Grammi
Amido di mais 15 Grammi
Pepe nero q.b.
Sale fino q.b.
PROCEDIMENTO
STEP 1
Per prima cosa, procurarsi degli gnocchi di patate di buona qualità, oppure prepararli in casa. In una padella antiaderente, poi, unire il latte, l'amido di mais, il burro e il Castelmagno DOP, ridotto a scaglie molto sottili. Far fondere a fiamma molto bassa mescolando spesso.
STEP 2
Nel frattempo, portare a ebollizione abbondante acqua salata in una casseruola. Lessare gli gnocchi e scolarli con l'aiuto di una schiumarola non appena saranno venuti a galla. Quindi unirli al condimento a base di formaggio precedentemente preparato. Mantecare con altro Castelmagno DOP grattugiato a piacere e aggiustare di sale e pepe. Buon appetito!
Budino di riso e cannella
INGREDIENTI per 4 porzioni
Materie Q.tà Misura
Riso Basmati 300 Grammi
Vanillina 1 Bustina
Cannella in polvere q.b.
Cannella intera 2 Stecche
Latte di riso 2 Bicchieri
Scorza d’arancia q.b.
Zucchero 1 Cucchiaio
Sale q.b.
PROCEDIMENTO
STEP 1
Mescolare con cura in una pentola il latte di riso assieme a un bicchiere d’acqua, alla scorza d’arancia, alla vanillina e a un pizzico di sale. Portare poi a ebollizione a fuoco basso.
STEP 2
Aggiungere il riso e cuocere per una ventina di minuti fino a cottura e all’assorbimento del liquido. Togliere, infine, la scorza d’arancia.
STEP 3
Aggiungere la cannella in polvere e lo zucchero. Proseguire la cottura a fuoco lento fino a quando il riso non diventa cremoso.
STEP 4
Mettere il composto in 4 coppette e lasciare raffreddare.
STEP 5
Una volta freddo, spolverare con la cannella in polvere e decorare con pezzi di stecca di cannella.
Riso avocado e salmone
Parmigiana di melanzane
INGREDIENTI per 4 porzioni
PROCEDIMENTO
INGREDIENTI per 4 porzioni
Materie Q.tà Misura
Riso 350 Grammi
Avocado 1 Numero
Salmone affumicato 120 Grammi
Limone (succo) 1 Numero
Olio EVO q.b.
Sale q.b.
Semi di sesamo 1 Cucchiaio
PROCEDIMENTO
STEP 1
Portare a ebollizione una pentola di acqua.
STEP 2
Sciacquare il riso sotto l’acqua corrente fredda per togliere l’amido.
STEP 3
Quando l’acqua bolle, aggiungere il sale e poi il riso. Cuocere, a seconda della tipologia di riso scelta, fino a quando il riso non è al dente. Scolare e passare sotto l’acqua fredda.
STEP 4
Tagliare il salmone a piccole strisce.
STEP 5
Sbucciare l’avocado e tagliarlo a cubetti.
STEP 6
Mettere in riso come base nelle singole coppe o piatti, aggiungere il salmone e i cubetti di avocado. Condire con l’olio, il succo di limone. Aggiustare di sale e decorare con i semi di sesamo.
Materie Q.tà Misura
Melanzane 2 Numero
Scalogno 1 Numero
Passata di pomodoro 400 Grammi
Mozzarella a cubetti 200 Grammi
Parmigiano
Reggiano grattugiato q.b.
Olio EVO q.b.
Sale q.b.
Basilico in foglie q.b.
STEP 1
Soffriggere lo scalogno tritato e aggiungere la passata di pomodoro. Salare, inserire le foglie di basilico e cuocere a fuoco lento per circa 45 minuti.
STEP 2
Tagliare le melanzane a fette di circa 5 mm di spessore e asciugarle bene con carta assorbente. Friggerle in olio bollente, scolarle e metterle da parte.
STEP 3
Cospargere una teglia di passata di pomodoro, aggiungere uno strato di melanzane accompagnate dai cubetti di mozzarella e una spolverata di parmigiano grattugiato. Ricoprire lo strato con la passata di pomodoro e ripetere l'operazione almeno altre tre volte.
STEP 4
Infornare a 180° per circa trentacinque minuti, lasciare riposare e servire.
Risotto alla pescatora del Delta (con Riso del Delta del Po IGP)
Ricetta classica delle zone umide tra Rovigo e Ferrara, con pescato locale. Variante “povera” del più ricco risotto alla veneziana, molto legata alla tradizione delle famiglie di pescatori.
INGREDIENTI per 4 porzioni
Materie Q.tà Misura
Riso del Delta del Po IGP 320 Grammi
Cozze 300 Grammi
Vongole veraci 300 Grammi
Calamari 200 Grammi
Gamberi (sgusciati) 200 Grammi
Pomodorini maturi 200 Grammi
Aglio 1 Spicchio
Vino bianco secco ½ Bicchiere
Brodo di pesce 1 Litro circa
Prezzemolo
fresco tritato 2 Cucchiai
Olio EVO 4 Cucchiai
Sale q.b.
Pepe q.b.
PROCEDIMENTO
STEP 1
Lavare bene le cozze e le vongole, eliminando sabbia e impurità. Farle aprire in una casseruola con un filo d’olio e l’aglio intero, poi sgusciarle tenendone da parte qualcuna con il guscio per decorazione. Filtrare l’acqua di cottura e aggiungerla al brodo di pesce. Tagliare i calamari ad anelli e farli rosolare in padella con un cucchiaio d’olio per pochi minuti. Aggiungere i pomodorini tagliati a metà e sfumare col vino bianco. Unire infine i gamberi e far cuocere il tutto brevemente. Spegnere e tenere da parte.
STEP 2
In una casseruola larga, scaldare un po’ d’olio e tostare leggermente il Riso del Delta del Po IGP. Sfumare con un goccio di vino bianco, poi cominciare ad aggiungere il brodo caldo un mestolo alla volta, mescolando spesso. Dopo circa 10 minuti, aggiungere al riso il pesce preparato in precedenza (cozze, vongole, calamari, gamberi), regolando di sale e pepe. Proseguire la cottura fino a completa mantecatura, tenendo il riso sempre morbido ma al dente.
STEP 3
A cottura ultimata, spegnere il fuoco e aggiungere un filo d’olio a crudo e il prezzemolo tritato. Mescolare con cura per amalgamare sapori e profumi. Lasciar riposare un minuto, poi impiattare decorando con qualche cozza o vongola con il guscio. Servire subito, quando i profumi marini sono ancora vivi e pieni, raccontando il gusto inconfondibile della laguna che si fa risotto.
Risotto all’isolana
(con Riso Vialone Nano IGP)
Ricetta tipica veronese, piatto simbolo della Fiera del Riso di Isola della Scala. È un risotto asciutto, senza mantecatura, cucinato con carne e aromi.
INGREDIENTI per 4 porzioni
PROCEDIMENTO
STEP 1
Riso Vialone Nano IGP 320 Grammi
Lonza di maiale 150 Grammi
Polpa di vitello 150 Grammi
Brodo di carne 1 Litro circa Cannella in polvere 1 Pizzico
Chiodi di garofano in polvere 1 Pizzico
Grana Padano
grattugiato 100 Grammi
Burro 60 Grammi
Olio EVO 2 Cucchiai
Sale q.b.
Pepe q.b.
Tagliare la lonza di maiale e la polpa di vitello a cubetti molto piccoli, quasi tritati al coltello. In una casseruola dal fondo spesso, scaldare l’olio e metà del burro. Aggiungere la carne e farla rosolare dolcemente, insaporendola con un pizzico di sale, pepe, cannella e chiodi di garofano in polvere. Lasciarla cuocere per qualche minuto finché non prende colore e assorbe gli aromi.
STEP 2
Aggiungere il Riso Vialone Nano direttamente nella casseruola con la carne, senza tostarlo. Versare subito qualche mestolo di brodo bollente e mescolare. Proseguire la cottura a fuoco dolce, aggiungendo brodo caldo man mano che viene assorbito, e mescolando regolarmente per non far attaccare il fondo. Ci vorranno circa 16-18 minuti per ottenere una consistenza morbida e ben legata.
STEP 3
Quando il riso è cotto, spegnere il fuoco e aggiungere il burro rimasto e il Grana Padano grattugiato. Mantecare energicamente per amalgamare bene il tutto e ottenere un risotto cremoso e profumato. Lasciar riposare un minuto, poi servire subito ben caldo. Se si vuole essere filologicamente veronesi, niente cipolla, niente vino, nessuna concessione: solo il sapore antico della tradizione.
Materie Q.tà Misura
Scarpazza sarzanese
INGREDIENTI per 4 porzioni
Materie Q.tà Misura
Per la sfoglia
Farina 00 200 Grammi
Acqua 100 Grammi
Olio EVO 2 Cucchiai
Sale q.b.
Per il ripieno
Bietole 500 Grammi
Riso Arborio 50 Grammi
Uova 3 Numero
Porri 2 Numero
Parmigiano Reggiano 60 Grammi
Pecorino Romano 40 Grammi
Sale q.b.
Olio EVO q.b
PROCEDIMENTO
STEP 1
Disporre la farina setacciata a forma di fontana sul piano di lavoro, versare nel centro l’acqua, l’olio e un pizzico di sale. Impastare fino a ottenere un composto compatto e uniforme, quindi stendere con il matterello una sfoglia rotonda di circa 45 cm.
STEP 2
Cuocere il riso in acqua bollente per cinque minuti. Scolarlo e metterlo da parte.
STEP 3
Lavare i porri, tagliarli a rondelle sottili e rosolarli in padella per cinque minuti. Lavare le bietole, tagliarle a fettine e rosolarle in padella per dieci minuti.
STEP 4
Unire in una ciotola il riso, le uova battute, porri, le bietole, il parmigiano, il pecorino, due cucchiai di olio, due cucchiaini di sale e mescolare bene.
STEP 5
Oliare una teglia e disporvi sopra la sfoglia. Inserire il composto rialzando i bordi della sfoglia lungo il perimetro per contenere il ripieno.
STEP 6
Infornare a 180° per circa un'ora, lasciare riposare e servire.
Polenta concia
PROCEDIMENTO
STEP 1
In una pentola portare a ebollizione l'acqua e salarla. Versare a pioggia la farina di mais avendo cura di mescolare continuamente.
STEP 2
Abbassare il fuoco e continuare a mescolare per 45 minuti, fino a quando la polenta diventa densa e si stacca dai bordi. Spegnere il fuoco.
STEP 3
Inserire il burro e cubetti di fontina e continuare a mescolare fino a quando il formaggio è completamente sciolto.
STEP 4
Impiattare e aggiungere una spolverata di pepe.
Q.tà Misura
Farina di mais
Shizuo Tsuji
Giornalista
CHI AMA LA SCU LA LA S STIENE
Dal 22 settembre al 10 dicembre 2025
continueremo a supportare le scuole di tutta Italia, riconoscendo in esse non solo luoghi di apprendimento, ma spazi in cui gli studenti possano maggiormente apprendere come far parte di una comunità, come interagire costruendo relazioni significative e a imparare ad essere cittadini del mondo.
Modalità di partecipazione e info buoni digitali sui Termini&Condizioni dell’iniziativa, disponibile su www.noiamiamolascuola.it e www.tuttiunitiperlascuola.it o richiedibile all’indirizzo info@pragmatica.plus Iniziativa esclusa art. 6 Lett. e del DPR 430/2001 in quanto i destinatari dell’Iniziativa sono le scuole, promossa da VéGé Retail (MI), valida nei punti vendita aderenti riconoscibili dal materiale promozionale esposto.