Clic.hé 15 "CHANGE"

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©CLIC.HÉ Webmagazine trimestrale di fotografia e realtà visuale - All rights reserved Direttore Responsabile: Luigi Torreggiani Editore: Associazione Culturale Deaphoto Reg. Trib. Firenze N° 5767 del 14/04/2010

www.clic-he.it



Editore: Ass. Culturale Deaphoto Direttore responsabile: Luigi Torreggiani Photo-editor: Giulia Sgherri Caporedattori: Paolo Contaldo Sara Severini Niccolò Vonci Progetto grafico e impaginazione: Luciferi Visionibus - Arezzo

CHANGE EDITORIALE

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PRESENTAZIONE ALLE IMMAGINI

pag. 6

CHANGE - SERVIZI Desolate geometrie

pag. 8

La Piana agricola

pag. 16

Riflessioni urbane

pag. 22

Non Luoghi della Piana

pag. 28

Child of the wood

pag. 34

Vicino, come per incanto

pag. 40

Ponte a Greve: Shopping Mal e New Village

pag. 46

Foto di copertina: Caterina Caputo

RUBRICHE Interview: Francesco Cito

pag. 53

In redazione: Sabrina Ingrassia Silvia Berretta Chiara Micol Schiona Tiziana Tommei Alberto Ianiro

Nouvelle Vague: Luciferi Visionibus

pag. 57

Storyboard: Subjektive Fotografie sulla stada americana

pag. 61

Collaboratori fissi: Sandro Bini Diego Cicionesi Caterina Caputo

Izis: il poeta della fotografia

pag. 65

Toni Nicolini: passione e ironia

pag. 69

Servizi tematici: Gabriele Al Jarrah Al Kahal Alberto Ianiro Caterina Caputo Diego Cicionesi Micaela Taeggi Sabrina Ingrassia Sandro Bini

EVENTI

Recensioni: Caterina Caputo Andreina Zanuso Eventi: Sara Severini Luigi Torreggiani Federica Lombardo

RECENSIONI

Pistoia, Mario Carnicelli: C'era Togliatti

pag. 73

Arezzo, Joel Meyerowitz: Taking my time

pag. 75

Firenze: Contrasto Day

pag. 77


foto: Micaela Taeggi

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editoriale

CHANGE DI LUIGI TORREGGIANI Cambiamento è una delle parole più ripetute ogni giorno dai politici di turno che si alternano sulle poltrone dei talk show televisivi di tutto il mondo. È ciò che la gente desidera, una condizione oggettivamente vitale. Tutti vogliono sentirsela raccontare e così, da buoni imbonitori, anche il più conservatore ne fa oggi vessillo in discorsi e manifesti da imminente campagna elettorale. Un conto è sentir parlare di cambiamento, altra cosa è percepirlo nella realtà. Altro aspetto ancora diverso è vederlo dinnanzi ai nostri occhi, questo benedetto cambiamento. È qui che entra in gioco la fotografia, svelando i chiaroscuri di questa condizione che è normale ed essenziale per ciò che è vivo e si evolve (il buon vecchio Darwin l’ha spiegato bene!).

C’è infine quel solito verbo, cambiare, che ci parla di valori, di etica, di onestà. Viviamo davvero in una società così meschina e disonesta in ogni sua parte, da rivoluzionare radicalmente a tutti i costi? C’è qualcosa, nella nostra cupa e meravigliosa epoca di transizione, che spinge il sentimento comune nella direzione del voler cambiare, velocemente, spesso senza chiedersi a fondo cosa porterà quella trasformazione. Evidentemente non ci sentiamo in una “Belle Époque”, questo è poco ma sicuro, ma cosa e soprattutto chi vorremmo davvero essere?

“tutto ruota, tutto muta, tutto va avanti per poi ritornare indietro”

Tutto intorno a noi muta inesorabilmente, ogni giorno, in un perpetuo moto rotatorio… eppure le persone chiedono a gran voce, continuamente, il cambiamento, proprio perché motore di quella stessa ruota che gira, in cui tutti siamo protagonisti. Da un lato il verbo cambiare significa spesso ritornare indietro. E’ solo un banalizzante: “Si stava meglio quando si stava peggio”? Dall’altro sottende una voglia di progresso sempre più ampio: maggiori comodità e possessi. Non è forse questo un paradigma oramai superato anche dalla storia? Poi si sente spesso invocare un cambiamento globale senza però la disponibilità a modificare prima di tutto se stessi e le proprie abitudini: trattasi d’ipocrisia militante?

La fotografia esplora questo dilemma, le sue contraddizioni, ponendoci di fronte a riflessioni semplici ma essenziali che possono nascere osservando e leggendo questo nuovo numero di Clic.hé.

Nella copertina della nuovissima versione PDF sfogliabile e scaricabile (un bel cambiamento!), che inauguriamo per il quarto compleanno della rivista con questo numero, c’è una giostra altissima che gira, immortalata da Caterina Caputo a New York. È lì per dirci che tutto ruota, tutto muta, tutto va avanti per poi ritornare indietro, nell’ebbrezza collettiva del vento in faccia e delle luci scintillanti: il cambiamento ha tante facce, da valutare con attenzione. È forse il tempo, ed è questa una delle virtù ancora attuali, vive, della fotografia, di non dare risposte affrettate, ma di porre domande. Buona visione!

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Presentazioni alle immagini

CHANGE DI SABRINA INGRASSIA C’è un elastico teso tra il concetto di mutamento e quello di permanenza. Il cambiamento è necessario all’umanità, così com’è essenziale per l’essere umano rintracciarne i segni attorno a sé. C’è forse una tenue traccia di sollievo quando si scopre qualcosa che sopravvive strenuamente all’evoluzione? Nelle “Desolate Geometrie” di Gabriele Al Jarrah Al Kahal straordinarie strutture, finalizzate alla produttività, resistono come templi di un mondo moderno, ma già passato, all’attuale standardizzazione del settore industriale. Alberto Ianiro coglie il radicale mutamento che “la Piana agricola”, tra Firenze e le vicine provincie, ha subito negli ultimi anni. Dignitosi fantasmi, una volta abitazioni rurali, punteggiano una campagna ancora feconda, ma in cui l’uomo appare assente. Nella Grande Mela, la cosmopolita mutazione, inarrestabile, quotidiana, è raccolta da Caterina Caputo. Paesaggi urbani spettrali quelli che Diego Cicionesi ha opportunamente definito “Non Luoghi”, nati per scopi commerciali, dove la presenza umana si attiene a poche stipate attività, per un tempo rapido e asettico. Un ritorno alla natura provoca un silvano cambiamento su chi sappiamo essere il nostro futuro: i bambini ritratti da Michela Taeggi. Piccoli gioielli s’insinuano nel mutato paesaggio attorno a Firenze, celati dalla metamorfosi urbanistica, eppure svelati da Sabrina Ingrassia. Nel “nulla” rurale di alcune periferie è sorto il “nuovo”: centri commerciali che mutano, trasformano, polarizzano un cambiamento urbanistico, documentato da Sandro Bini.

Il cambiamento è necessario all’umanità

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foto: Sandro Bini

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Gabriele Al Jarrah Al Kahal

DESOLATE GEOMETRIE IMPOVERIMENTO DELL’ARCHITETTURA INDUSTRIALE

BIO

Gabriele Al Jarrah Al Kahal, classe 1986, studia Informatica presso l’università Ca’ Foscari di

Venezia. È alla ricerca di ritrarre ciò che le persone spesso hanno davanti agli occhi, ma che la frenesia della civiltà lascia passare inosservato. Predilige la fotografia paesaggistica e l’archeologia industriale del XX secolo.

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CHANGE

attribuire ai fabbricati industriali maggior importanza. Si intuì che la commistione

Negli ultimi decenni si è as-

vole quantità di capannoni

sistito ad una sorta di impo-

pressochè identici tra loro.

verimento dell’architettura

In passato però non è stato

industriale, dovuto – para-

sempre così.

dossalmente – all’aumen-

Nel periodo tra le due guer-

tata capacità e necessità di

re mondiali, di grande spin-

costruire, rapidamente ed

ta all’industrializzazione,

economicamente, impianti

crebbe il riconoscimento

di raggiungere il bello, pur

industriali composti da ele-

dell’importanza che le con-

mantenendo interconnesse

menti in calcestruzzo pre-

dizioni ambientali esercita-

le necessità ed utilità indu-

fabbricati, che hanno dato

no sul lavoro e sui lavoratori

striali.

come frutto un’innumere-

stessi, cominciando così ad

di pilastri e travature, con i loro giochi di luce ed ombre, era suscettibile di una propria particolare estetica legata alla funzione. Si comprese allora la possibilità

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“gabbie toraciche”

Nacque così un’architettura industriale e una concezione di essa strettamente legate alla struttura del fabbricato, in cui ferro e cemento diedero la possibilità di creare nuove conformazioni spaziali, atte a creare volumi, funzionali e scenografici, dipendenti dalle esigenze, dalle condizioni 10

di ubicazione e di processo produttivo. Queste desolate regolarità, ritratte nel nord-est italiano, rappresentano un significativo esempio dei concetti precedentemente esposti. Le immagini raffigurano spazi di geometrie ricercate, oramai silenziose e dimenticate, il cui unico rumore

percepibile è il respiro del vento che attraversa tunnel, labirinti, corridoi e “gabbie toraciche”, spoglie silenziose che testimoniano un passato di grandi numeri e grandi idee architettoniche ormai perdute e dimenticate dietro recinzioni e murature che nascondono il loro vero “essere stato” ■


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“essere stato”

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Alberto Ianiro

LA PIANA AGRICOLA ***

BIO

Mi stabilisco a Firenze nel 1993 ed inizio a fotografare nel 2007, mi appassiono, studio con Deaphoto e frequento vari professionisti del

settore, credo nella fotografia come progetto, ma seguo la pancia. Seguo gli allievi del corso di Progettazione Fotografica e faccio parte staff dei fotografi Deaphoto. Socio fondatore di Clic.hÊ, ho seguito per diverso tempo l’area tematica del magazine. Ogni tanto scatto delle foto ed ultimamente mi diverto anche a scrivere, con improbabile successo.

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CHANGE La Piana, è un territorio che si estende da Firenze fino a Prato e Pistoia, ed è definita come una “campagna urbanizzata”. Fino a qualche decennio fa era un territorio rurale, in cui l’attività prevalente era l’agricoltura, ma negli anni le trasformazioni urbanistiche hanno

modificato radicalmente il paesaggio e le sue funzioni. Al di là della connotazione industriale del paesaggio, la Piana resta ancora oggi un’area prevalentemente agricola, testimoniata delle frequenti case rurali visibili anche dalle arterie stradali che la attraversano.

Questa realtà paesaggistica ha fatto si che nascesse il “Parco della Piana”, un’area di circa 3.000 ettari nella quale sono presenti oltre 200 aziende agricole. Questa serie è il risultato di una prima indagine sui cambiamenti del territorio nella Piana fiorentina (Laboratorio Changing Landscape) ■

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“realtà paesaggistica”

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Caterina Caputo

RIFLESSIONI URBANE ***

BIO

Dopo essermi laureata a Firenze in storia dell’arte contemporanea mi sono appassionata al medium fotografico deci-

dendo di conseguire il diploma come fotografa. Tutt’oggi questo connubio continua a far parte della mia vita e del mio lavoro. Mi interessa la fotografia come linguaggio di comunicazione, quindi specchio della società moderna. Attraverso il mezzo fotografico il reale e l’irreale collima, dando origine ad un cortocircuito che trova la sua massima espressione proprio nel mondo contemporaneo. Dal 2013 collaboro con la redazione di Clic.hé.

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CHANGE

mano, scritto negli spigoli delle vie, nelle griglie delle finestre, negli scorrimano

Nella città ogni racconto è

taneo attraverso cui ogni

la storia di un luogo e delle

individuo vive e dà forma

relazioni che intercorrono

allo spazio che attraver-

tra quel luogo e l’essere

sa, sono le azioni che si

umano. Da qualche tempo

attuano nella quotidiani-

la mia ricerca fotografica si

tà. L’uomo provoca muta-

concentra sulla narrazio-

menti che rendono la cit-

ne degli ambienti urbani,

tà sempre diseguale a se

città invisibili).

della loro relazione e dei

stessa, essa si nutre delle

Gli scatti selezionati rac-

loro mutamenti, del loro

attitudini e delle menti dei

contano e descrivono i luo-

essere testimonianza di

suoi abitanti, «la città non

ghi di una delle metropoli

vita. Le pratiche urbane

dice il suo passato, lo con-

più famose e controverse

sono lo strumento spon-

tiene come le linee di una

al mondo, New York ■

delle scale, nelle antenne dei parafulmini, nelle aste delle bandiere, ogni segmento rigato a sua volta di graffi, seghettature, intagli, svirgole». (Italo Calvino, Le

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“diseguale a se stessa”

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Diego Cicionesi

NON LUOGHI DELLA PIANA ***

BIO

Innamorato da sempre della fotografia, sono membro della DIERRE Fotografi e collaboro con l’Associazione Deaphoto

partecipando con i membri dello staff agli eventi organizzati sul territorio. Individualmente studio i paesaggi urbani con predilezione per la foto di strada e le ambientazioni portuali, in una scelta compositiva geometrica e tendenzialmente minimalista. Sono attratto dalle reciproche relazioni tra fotografia e psicologia e studio l’interazione tra soggettività, interiorità e spazi urbani.

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CHANGE Nelle aree circostanti ai principali centri commerciali della piana tra Firenze e Prato, si assiste a una poco giustificata crescita di nuove costruzioni residenziali, prive di qualsiasi unità commerciale o ricreativa, poiché inutili per la concentrazione di esercizi all’interno del centro e per questo

destinate a una condanna perenne a essere “quartieri dormitorio”. I centri crescono e la loro struttura si dimensiona per i momenti di massima domanda (domenica e festività). Le aree a supporto (come i parcheggi) sono sottoutilizzate per buona parte

dell’anno e “costringono” a sopportare enormi e inutili distese di cemento e asfalto. Questi nuovi centri attraggono anche altre strutture ricreative come le Multisala che si portano appresso altri esercizi commerciali per il ristoro e la ricreazione. Una crescita smisurata che non trova giustificazione se non in rari ed eccezionali momenti dell’anno ■

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“crescita smisurata”

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“distese di cemento�

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Micaela Taeggi

CHILD OF THE WOOD ***

BIO

Michela Taeggi è una fotografa italiana nata nel 1976 a Varese. E’ mem-

bro del BuenaVista photo, un gruppo di fotografi e fotogiornalisti italiani. E’ specializzata in reportage e fotografia di ritratto con un particolare interesse al tema del sociale. Le sue foto sono state pubblicate in molte riviste italiane.

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CHANGE L’attrazione per la natura è una sensazione innata: poiché essere umani sentiamo un forte richiamo verso gli elementi naturali. Primi fra tutti i bambini che sentono principalmente il bisogno di stare in contatto con la terra, giocare con l’acqua, correre in grandi spazi aperti, stare all’aria

aperta, arrampicarsi sui rami di un albero per salire fino al cielo. Si chiama Biofilia il richiamo spontaneo alla ricerca del contatto con le forme naturali. Una serie di ricerche indica che il rapporto con gli elementi naturali può avere un impatto notevole sullo stress e sui livelli

di felicità. Questo pensiero è sostenuto anche da un movimento di studiosi americani, i quali propongono la natura utilizzata come cura medica. Primo fra tutti a consigliare un riavvicinamento alla natura, è lo scrittore e giornalista americano Richard Louv, presidente di “Children & Nature Network” e inventore del termine “Nature ▶

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Deficit Disorder”, cioè la sindrome da mancanza di contatto con la natura. Sindrome che provocherebbe nei bambini, il famoso “deficit dell’attenzione”. Secondo alcune ricerche scientifiche, essere a contatto con la natura porta beneficio indiscusso.

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Il progetto fotografico “Child of the wood”, nasce dal desiderio di sostenere e condividere il messaggio nel quale si esorta a recuperare il rapporto affettivo con la natura perché è fonte di libertà di pensiero, favorisce la creatività, è gioia, insegna responsabilità e rispetto.

“…La natura è perfetta nella sua imperfezione, con le sue infinite parti e possibilità l’una diversa dall’altra, con il fango e la polvere, le ortiche e il cielo, i momenti di spiritualità e le ginocchia sbucciate” Richard Louv ■




“ginocchia sbucciate”

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Sabrina Ingrassia

VICINO, COME PER INCANTO ***

BIO

Fotografo fin dall’infanzia. Coltivando l’interesse per i viaggi, la curiosità per la gente e la ricerca della perfezione nelle linee architetto-

niche ho ottenuto, attraverso lo scatto, la fusione fra me stessa e le migliaia di immagini che fanno da ponte con la realtà quotidiana. La mia ricerca personale è incentrata sulla street photography, la fotografia architettonica senza tralasciare il tema socio-ambientale ed antropologico. Membro del Deaphoto Staff, collaboro come assistente alle attività didattiche, documentarie, espositive e di ricerca dell’Associazione.

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CHANGE Come per incanto mi sono ritrovata, a pochi minuti da Firenze con la mia curiosità, a esplorare ville e giardini, castelli e borghi di comuni e frazioni per capire come nel tempo è avvenuto il cambiamento. Quali elementi hanno guidato la visione di una piana che nei secoli è stata popolata sia da ville monumentali con giardini e parchi molto correlati al paesaggio agricolo circostante, che da insediamenti in cui si è raccolta la popolazione? Castelli, ville e borghi sto-

rici rivestono valore paesaggistico attivo e passivo: consentono la percezione di visuali panoramiche ma anche ne sono oggetto, inoltre costituiscono documenti storici, culturali ed elementi d’identificazione per le comunità locali. Fino agli anni Settanta chi dall’area fiorentina si dirigeva in auto verso Signa, Poggio a Caiano, Prato e Castello, aveva ben presente l’immagine di paesaggi collinari contornata da insediamenti storici. Poi, man mano, la Piana si

è sempre più urbanizzata, con nuovi insediamenti residenziali, nuovi complessi industriali e del terziario, cinema Multisala e Centri Commerciali. E così, progressivamente, il Castello di Signa con la sua campagna adiacente fitta di olivi, la collina con il borgo medievale di Calenzano, la magnificenza delle ville di Poggio a Caiano e di Castello, si è appannata alla vista. Ma non alla memoria dei fiorentini ■

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“elementi d’identificazione”

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Sandro Bini

PONTE A GREVE: SHOPPING MALL & NEW VILLAGE

BIO

Fotografo, docente di fotografia, fondatore e Direttore responsabile di Deaphoto, mi occupo prevalentemente dell’organizzazione delle attività

progettuali didattiche ed espositive dell’Associazione. La mia ricerca è incentrata soprattutto a un’indagine sulle relazioni fra l’uomo e il paesaggio contemporaneo e sulla dialettica critica fra percezione e fruizione dei luoghi, legata alla contestualizzazione della propria esperienza. Dal 2009 sono curatore del Blog “Binitudini. Spazio di riflessioni visive, teoriche e pratiche sul gesto fotografico contemporaneo” http://binitudini.blogspot.it/

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CHANGE Uno dei fenomeni tipici della globalizzazione è certamente la creazione di grandi Centri Commerciali nelle zone periferiche delle aree urbane. Anche l’area metropolitana fiorentina è stata interessata dalla creazione di queste nuove architetture, che determinano tutta una serie di trasfor-

mazioni urbanistiche e sociali (basti pensare al grande richiamo esercitato dai nuovi Centri Commerciali di Campi Bisenzio, Lastra a Signa, Sesto Fiorentino, Gavinana, ecc.). Questo progetto esplora la nuova area commerciale e residenziale che è nata e sta crescendo intorno al Centro Commer-

ciale di Ponte a Greve sulla direttrice stradale di Viale Nenni che collega Firenze a Scandicci: un’ex zona rurale orami trasformata (anche grazie alla costruzione della linea uno della Tramvia) in uno dei poli di attrazione principali e nodo di comunicazione nevralgico per gli abitanti del Quartiere quattro di Firenze e per quelli di Scandicci. Il fenomeno ▶

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“la città futura”

urbanistico più interessante è costituito, infatti, dal fatto che in una zona rurale adiacente al Centro Commerciale sia nato un vero e proprio nuovo villaggio residenziale, le cui caratteristiche architettoniche si conformano a quelle del

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vicino Centro Commerciale, che svolge, di fatto, per i suoi abitanti la funzione di Nuova Agorà. Le immagini, presentate in sequenza, confrontano le rispettive architetture ricostruendo il ritmo visivo di una passeggiata fra queste nuove

forme dell’abitare e del socializzare attraverso il consumo, tentando di testimoniare una trasformazione in atto nel paesaggio e di far immaginare (prefigurare) il modo di vivere ed esperire la città futura ■



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RUBRICHE


interview

FRANCESCO CITO A CURA DI ALBERTO IANIRO

Provo una certa emozione nel presentare Francesco Cito, un nome che è una leggenda del reportage internazionale. E’ anche una persona semplice e straordinariamente dedita al suo lavoro. Cito ha fotografato il dramma dell’Afganisthan con sapienza, ha esplorato

il Libano, l’Arabia Saudita e l’amata Napoli, città natale, fino al dolore del coma, indagato con attenzione e rispetto. Ha lavorato per il Sunday Times, per Stern, Life, Epoca, Repubblica e tante altre, proponendo la drammaticità di tante storie ma anche la leggerezza dei matrimoni

napoletani e la tensione del Palio di Siena (questi ultimi gli valgono due World Press Photo). Ora, oltre alle ricerche personali si dedica anche ai workshop, con cui insegna a guardare e a guidare lo scatto con la testa. Chapeau Francesco! ▶

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Scianna ti apostrofa come uno dei migliori fotogiornalisti italiani. Che ne pensi? Scianna è stato molto carino nel suo ritenermi fra i migliori fotogiornalisti italiani, io sinceramente non saprei se definirmi tale, sarei un presuntuoso se lo pensassi. Quando mi rapporto a una storia cerco di farlo al meglio, apprezzando ciò che fu detto da uno dei direttori di Epoca, Carlo Rognoni, il quale asserì: “Cito è uno che trova la merda anche dove non c’è” a seguito di un reportage fatto su Milano, in cui dovevo raccontare di un Bronx visivamente inesistente. Era il quartiere Lorenteggio.

World Press Photo. Dopo tanti lavori sui conflitti lo hai vinto con dei reportage differenti e meno di attualità, come quello sul Palio di Siena. E’ singolare. come te lo spieghi? Il World Press Photo l’ho sempre considerato un incidente di percorso, sono incognite che sfuggono alle regole, bisognerebbe starci dentro per capire certe loro scelte e chiedere a loro per quale motivo io sia stato premiato con soggetti “diversi” , mentre quelli che, non solo a mio parere valevano almeno un riconoscimento, non sono stati manco presi in considerazione.

Dal coma alla guerra fino ai matrimoni napoletani: da cosa deriva tanto eclettismo e come lo gestisci? Eclettismo? Forse, ma non provo a gestirlo, affronto gli argomenti con cui mi rapporto, così come ritengo debbano essere raccontati. Sono, per me, comunque aspetti del genere umano, e io ho quasi sempre raccontato l’uomo.

Estetica, coraggio, ricerca… Se fossi un giurato di un qualsiasi concorso di fotogiornalismo cosa premieresti in particolare e perché? Estetica, coraggio, ricerca…? Se fossi un giurato premierei le foto, ciò che esprimono. A che serve il coraggio se poi il risultato è banale?

I workshop. Ormai ce ne sono ovunque e di tutti i gusti: i fotografi cercano così altre forme di sostentamento o davvero servono a qualcosa? Cosa insegni in particolare in quelli che tieni tu? I workshop? Io ho imparato da solo, non ne ho mai frequentati, ne tantomeno una scuola. Oggi ce ne sono anche troppi. Quando ne sono partecipe, cerco di insegnare a guardare, e far capire che una foto nasce in testa e non in una scatola con un pulsante che fa click. Come hai vissuto il passaggio analogicodigitale, gioia e dolore di molti fotografi? Il passaggio dall’analogico al digitale non l’ho ancora assimilato, continuo quando posso ad usare la pellicola (solo nel B/N) ma non ne faccio un dramma, l’evoluzione è sempre esistita. Quando ho iniziato io esistevano già le reflex: in confronto al periodo in cui si doveva preparare la lastra, beh è paragonabile al passaggio al digitale! ▶


18 e 300 mm: davvero usi solo queste due lenti, la prima in particolare? Come questa scelta influenza il tuo stile? Il 18 è la mia ottica fissa, credo che con questo obiettivo realizzo più dell’ 80% delle mie foto, il 300 solo in casi parti-

colari, ma anche il 50, o il 35 quando capita. L’uso del 18 mm credo sia dovuto soprattutto alla mia necessità di capire, di guardare, e per farlo devo stare dentro a ciò che accade. A distanza perderei tutte le sfumature, anche se forse realizzerei una foto più pulita

e meno carica di tanti elementi che, a volte, confondono lo sguardo di chi osserva. Ma è stata una mia esigenza di sempre: quando ho iniziato sulla fotocamera avevo già montato il 24 mm! ■

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RUBRICHE


nouvelle vague

LUCIFERI VISIONIBUS

LABORATORIO DI ARTE FOTOGRAFICA DI TIZIANA TOMMEI

Fotografia deriva dalle due parole greche phos e graphè; phos-phoros è l’equivalente greco del latino lucifer, composto di lux e ferre, letteralmente “portatore di luce”. Ecco svelato il titolo e la denominazione di un progetto che va oltre il ristretto confine fisico dell’atelier di speri-

mentazione fotografica di via de’ Redi ad Arezzo. Il loro studio è un perimetro di pochi metri quadri, che a stento contiene idee e propositi di un duo di fotografi, amanti dell’arte e appassionati di antiche tecniche di stampa fotografica. Luca ed

Enrico sono iper tecnologici, aggiornatissimi su materiali e tecniche all’avanguardia e tentano di unire il nuovo con un “fare” fotografia oggi desueto. Non è nulla di utopistico. Le mostre che curano lo dimostrano. In una superficie ▶

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esponibile limitata riescono a mettere in scena oggetti scaturiti da una sperimentazione capace di mediare tra passato e presente. L’ultima esposizione costituisce in tal senso un esempio preciso: cianotipia e digitale fanno da supporti e media di un soggetto, l’albero, preso come tema di un collettivo di fotografi. Prima di questa era stata la volta del banco ottico, protagonista di un workshop i cui risultati erano stati stampati e appesi alle pareti del loro negozio. Tra polaroid, obiettivi, rullini, pubblicazioni di fotografia e le grandi macchine per la stampa, c’è spazio per dare risposta positiva alle doman-

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de più ricorrenti – come lo sviluppo e la stampa del digitale – fino all’esigenze di chi lavora in analogico, proponendo accessori e pellicole introvabili. In sei mesi, i “luciferi” si sono stanziati ad Arezzo, hanno messo su un’attività originale, creativa, coraggiosa, fuori dagli schemi e in grado di distinguersi per qualità e know how. Hanno collaborato all’organizzazione di un evento dedicato alle nuove generazioni fotografiche, con mostre diffuse e workshops. Raggruppano giovani che hanno fatto della fotografia uno stile di vita. Allestiscono e hanno in cura, dal concept alla promozione,

proposte espositive originate dal proposito che il futuro della fotografia, soprattutto artistica, non possa prescindere dal recupero della materialità e di quell’approccio diretto, sia al soggetto che all’oggetto, che va scomparendo. La fotografia per loro è una missione. Entrare nella loro bottega è un’esperienza. Vista da fuori ti chiedi: “ma cos’è?”. Per scoprirla basta spingere la porta e lasciarsi guidare dalla curiosità. La passione per la fotografia, quella autentica, saranno loro ad infondertela. Ma, attenzione, sono contagiosi anche per i già “fotomaniaci”! ■


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RUBRICHE


Storyboard. Brevi racconti sulla fotografia. NASCE NEGLI ANNI ‘50 UN NUOVO SGUARDO RIVOLTO AL REALE FIRMATO DALLA SCUOLA CALIFORNIANA E DALLA SCUOLA DI NEW YORK.

SUBJEKTIVE FOTOGRAFIE SULLA STRADA AMERICANA DI CHIARA MICOL SCHIONA

“Ogni immagine altamente individualizzata, dal fotogramma astratto alla fotografia di attualità; la materia della creazione fotografica è sempre la realtà da cui non si cerca una documentazione ma un collegamento attraverso le forme”; questo affermava Otto Steinert, fondatore del gruppo Fotoform e della Subjektive Fotografie nel 1949.

Ma che cosa definiamo fotografia soggettiva? Siamo a Colonia nel 1950 dove vediamo nascere la prima mostra del gruppo Fotoform. Seguiranno altre tre mostre, nel 1951, 1954 e 1958. Nel 1957 il gruppo si scioglie e nel 1958 nasce la collezione di Steinert.

Due sono i punti su cui ruota lo sviluppo creativo della Subjektive Fotografie: gli ispiratori stilistici e il bagaglio culturale degli stessi artisti. Steinert si ispira alla Nuova Visione e al Surrealismo, alle avanguardie che marcarono i climi culturali d’inizio Novecento e ad artisti, quindi, come Umbo, Rodchenko e ▶ 61


Man Ray. I primi due caratterizzati formalmente dall’uso estremo di diagonali e inquadrature, mentre Man Ray dal suo lavoro sulla pellicola in camera oscura; ciò che li accomuna è un differente approccio all’elemento fotografato, più personale, se così si può dire, un formalismo che tende e serve necessariamente ad estremizzare un contenuto che risiede nella realtà stessa. La collezione del 1958 racchiude quindi tutta la complessa creazione steinertiana. Egli sceglierà opere di autori che parteciparono alle tre esposizioni precedenti, tra cui Bill Brandt, Harry Callahan, Wynn Bullock, Robert Doisneau, Dorothea Lange, Ansel Adams. Sebbene differenti tra loro, vi è però rintracciabile in ognuno l’elemento focale della fotografia soggettiva, la “conquista degli oggetti attraverso l’occhio”, come affermava Goethe. Questa conquista può essere considerata come la partenza per la così detta dottrina steinertiana, dove i limiti dell’obbiettività fotografica, rendono paradossalmente Brandt, Adams e Doisneau (solo per fare tre esempi) fotografi nel senso più puro del termine. Spostandoci oltre Oceano, cosa lega quindi la Subjective Fotografie alla Scuola Californiana? Tutto si sviluppa all’interno di due nuclei 62

artistici che si confermano nello stesso periodo storico, si autodefiniscono in modo prorompente separando (inconsapevolmente?) le due coste americane, differenti per storie, pensiero culturale, filosofico, e nondimeno artistico: la Scuola Californiana e la Scuola di New York di derivazione stieglitziana. La Scuola Californiana sembra far proprio l’aforisma di Shillinger “l’astrazione è liberazione dell’idea”, apparendo esattamente come l’espressione artistica dell’East Coast americano. Fondata sulla landscape tradition alla fine dell’Ottocento, solo nel 1945 stabilirà un nuovo programma per lo studio della fotografia, grazie ad Ansel Adams, Douglas Mac Agy ed Eldridge Ted Spancer. Il suo essere riflessiva ed autoriflessiva, basata sulla concezione dell’importanza fondamentale della base tecnica, la rende in qualche modo autoreferenziale, un club elitario poco deciso a parlare di sé, lontano quindi concettualmente dalla Scuola di New York che è di per sé più promulgativa. Things for what they are, questa è la concezione della Scuola Californiana, diversa da quella di Stieglitz per il quale Things for what else they are. L’identità narrativa dell’immagine fotografica newyorkese lascia posto all’identità testuale delle immagini che da

Minor White hanno popolato la fotografia della Costa Occidentale americana. Questa nuova visione fotografica farà scuola nella West Coast dove artisti come Paul Caponigro e Carl Chiarenza si approprieranno dei termini chiave di una non narratività sofisticata. In modo differente Aaron Siskind poggerà il suo lavoro fotografico sulla materia del reale, dove la forza dell’immagine fotografica sta proprio nella traduzione dell’esperienza emotiva dell’autore. Attraversiamo gli Stati Uniti, arriviamo nell’East Coast, dove l’eredità di Stieglitz gioca un ruolo fondamentale. Partendo da Clarence John Laughli, precursore negli anni Trenta della fotografia soggettiva americana, giungiamo a due dei protagonisti della Scuola di New York, William Klein e Robert Frank. L’uno si oppone alla visione estetica di Henri Cartier-Bresson rifiutando l’idea di istante decisivo. Incentra la sua più importante opera, “New York” del 1955, sul disinteresse per i fatti clamorosi della vita, i così detti non-eventi, caratterizzati da una portata emotiva forse più rilevante del clamore per il singolo istante. L’altro, Robert Frank, assimila la cultura Beat e l’improvvisazione del jazz che riproporrà nell’opera “The Americans” del 1958. Qui i non eventi di ▶


Klein si accordano in sequenze ritmate da un punto di vista visuale, con allitterazioni e riprese, dove il materiale straight diventa portavoce di una narrazione modernista. Egli si dedicherà successivamente, negli anni Settanta, ad accentuare l’effetto materico dell’opera, grazie a giochi grafici elaborati anche su negativi precedentemente utilizzati. Entrambi, Klein e Frank, fanno scuola; se da White ne deriva una fotografia soggettiva consapevole del suo ritrovare negli elementi della realtà l’emanazione di un significato quasi divino (la West Coast rimarrà sempre vicino alle filosofie orientali anche solo banalmente per la vicinanza geografica), da Klein e Frank deriva quasi un’inquietudine che si ritrova nella vita quotidiana, un andare oltre l’apparenza della normalità per scoprirne un significato meno ovvio. Ritroviamo su questo filone un Ralph Eugene Meatyard o un Emmet Gowin, per non dimenticare una Diane Arbus. Qui la sovversione della visione del soggetto fotografato è data dalla messa in discussione della linearità e dell’ordine costituito. Se guardiamo ad oggi cosa possiamo definire fotografia soggettiva? Il reportage ed il documentarismo possono essere definitivamente considerati opere

di fotografia soggettiva? Se rifacendoci a Steinert per cui per fotografia soggettiva si intende ogni immagine altamente individualizzata che parte dalla realtà e la colleghi attraverso forme, e se esistono degli evidenti limiti formali alla visione dell’obbiettività fotografica, allora un’immagine di reportage rimarrà sempre la visione del fotografo che decide di ritrarre un determinato soggetto per esprimere, comunicare per dirlo alla White, la sua visione critica. Se non fosse così, citando sempre White, non si parlerebbe di fotografo. Come un testo letterario, un’opera pittorica, o persino cinematografica, dietro all’opera c’è sempre chi ha costruito l’opera stessa e quindi una poetica. L’abbiamo visto con la Scuola Californiana,

con William Klein e Robert Frank. White ci insegna che la fotografia per poter comunicare deve necessariamente essere creativa, imparare cosa si ha da dire e trovare i giusti termini per dirlo. Il pensare che la fotografia riporti semplicemente la realtà è attribuire alla tecnica fotografica un dittatorialismo che non gli è proprio. Allora, dovremmo pensare, osservando un’immagine, non “questa è la realtà” bensì “questa è una visone della realtà”. Che l’immagine sia un’estensione della visione o una nuova creazione del mondo, non è questo l’importante. Noi possiamo essere d’accordo o meno. Rimane pur sempre un giudizio soggettivo ■

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RECENSIONI


Firenze - Museo Alinari IL POETA DELLA FOTOGRAFIA

IZIS DI CATERINA CAPUTO

Si è appena conclusa a Firenze presso il Museo Alinari della Fotografia la bella esposizione su Izis Bidermanas, il poeta dell’immagine. L’artista lituano, nonostante sia ancora poco conosciuto, è ormai considerato dalla critica come uno dei grandi fotografi umanisti del No-

vecento. La mostra formalmente ben organizzata e estremamente chiara nei contenuti, si è articolata in un percorso espositivo di circa 120 scatti tutti in bianco e nero, che ha il merito di avere contribuito a fare conoscere ad un più ampio pubblico l’intensa poetica di

Izis, le cui immagini spaziano dal ritratto al reportage. In ogni scatto realizzato l’autore sceglie la poeticizzazione del suo mondo a discapito della mera realtà referenziale, tant’è che in una delle sue più note citazioni, il fotografo afferma: “Si dice spesso che le mie fotografie non sono ▶

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realiste. Non sono realiste ma è la mia realtà”. Izis Bidermanas (1911-1980) lascia la Lituania, sua terra di origine, per trasferirsi a soli diciannove anni a Parigi, la capitale delle arti e delle lettere. Nel 1949 inizia a lavorare per la nota rivista Paris Match, testata con cui collabora per circa vent’anni, inizialmente in qualità di specialista del ritratto e successivamente come reportagista. Della capitale francese Izis cercherà di immortalarne la poesia ed il sogno, come mostrano gli scatti dei tre noti lavori Paris de rêves (1950), Grand Bal du printemps (1951) e Paris de poètes (1977). All’inter66

no di questi progetti fotografici l’autore celebra una Parigi atemporale, astorica ed eterna nella propria bellezza. Accanto alle immagini parigine si affiancano quelle realizzate in un’altra grande città europea, Londra, sulla quale Izis pubblica Charmes de Londres (1952), lavoro nato in collaborazione con Prévert e The Quenn’s People (1953). Contrariamente agli scatti realizzati a Parigi quello che l’artista mostra di Londra non è più il sogno, ma al contrario la concretezza, la città del popolo e della miseria, raccontati ancora una volta attraverso un’evocazione poetica che muta le

immagini in visioni. Le Cirque d’Izis, edito nel 1965, è il lavoro attraverso cui l’autore rivela la sua grande passione per il mondo circense, regno per antonomasia del sogno e dell’illusione. Questo piccolo cosmo, spesso emarginato, diventa per il fotografo un pretesto per riflettere sulla società e sulla condizione umana di quegli anni. I progetti fotografici di Izis rimangono il riflesso di un’epoca, evocata attraverso lo sguardo poetico di un autore che, con l’ausilio della sua arte, ha tentato di superare le inquietudini del quotidiano ■



RECENSIONI


Milano - Galleria Bel Vedere RASSEGNA RETROSPETTIVA DEDICATA A TONI NICOLINI

PASSIONE E IRONIA DI ANDREINA ZANUSO

Si è conclusa alla Galleria Bel Vedere di Milano "Passione e Ironia", la rassegna retrospettiva dedicata a Toni Nicolini. Si è trattato di un’essenziale antologia dell’opera fotografica di un eclettico autore che in carriera ha saputo ben integrare i valori artistici con un costante

impegno sociale. La mostra, curata da Cesare Colombo in collaborazione con Melissa, figlia di Toni Nicolini, ha proposto una sessantina di immagini quasi tutte in bianco e nero: dalle fresche riprese fotoamatoriali della giovinezza, all’esplorazione visiva delle regioni meridio-

nali (Sicilia, Calabria); dal lungo sodalizio con il pittore Ernesto Treccani, alle ricerche narrative con lo studioso Luigi Crocenzi, fino alla significativa e ventennale esperienza per i fotolibri del Touring Club Italiano (Attraverso l’Italia, Attraverso l’Europa). Nelle immagini esposte si scorge ▶

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poi un filo continuo di attrazione verso Milano, la sua città: con la rete dei Navigli, le periferie urbane, la Borsa, le manifestazioni politiche, i riti mondani. Tra passione e ironia, i tratti del linguaggio e del carattere di Toni Nicolini, ci addentriamo in un percorso di immagini memorabili: è

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la riscoperta di un maestro della visione, non ancora pienamente valorizzato dalla nostra cultura fotografica. Dal 2014 il suo archivio sarà conservato e gestito dal Centro di Ricerca e Archiviazione della Fotografia (Craf) di Spilimbergo (Udine) ■


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EVENTI C’ERA TOGLIATTI Una mostra di Mario Carnicelli Pistoia, Palazzo Fabroni 21 Marzo – 2 Giugno ARTICOLO COMPLETO E SERVIZIO FOTOGRAFICO:

http://www.clic-he.it/?p=6254


Pistoia

C’ERA TOGLIATTI DI SARA SEVERINI

Ha inaugurato Venerdi 21 Marzo 2014, nelle sale di Palazzo Fabroni a Pistoia, la mostra ”C’era Togliatti”. Le fotografie di Mario Carnicelli raccontano la giornata

dell’ultimo saluto a Togliatti, lasciandoci una panoramica sociale di quel contesto storico. Le persone accorse alla cerimonia funebre sono infatti gli indiscussi protagoni-

sti delle immagini di Carnicelli. La mostra, a cura di Bärbel Reinhard e Marco Signorini, è aperta fino al 2 giugno. Ingresso 3,5 euro ■

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EVENTI JOEL MEYEROWITZ TAKING MY TIME Casa Museo di Ivan Bruschi e Fraternita dei Laici, Arezzo 27 Marzo – 11 Maggio 2014 ARTICOLO COMPLETO E SERVIZIO FOTOGRAFICO:

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Arezzo JOEL MEYEROWITZ

TAKING MY TIME DI LUIGI TORREGGIANI

Il 27 Marzo presso le due sedi della Casa Museo di Ivan Bruschi e la Fraternita dei Laici, è stata inaugurata ad Arezzo la retrospettiva dedicata ad uno dei più importanti e influenti fotografi americani,

Joel Meyerowitz. La mostra, già esposta durante il festival “Cortona on the move” della scorsa estate, ripercorre molti progetti e altrettanti stili del lavoro dell’artista, dall’amata, ironica e simbolica fotografia

di strada, agli scatti più riflessivi di paesaggi urbani e naturali, fino a vere e proprie sperimentazioni: un lavoro di oltre 50 anni di un grande maestro dell’immagine che merita una visita ■

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EVENTI CONTRASTO DAY Spazio Alfieri, Firenze 18 Gennaio 2014 ARTICOLO COMPLETO E SERVIZIO FOTOGRAFICO:

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Firenze

CONTRASTO DAY DI FEDERICA LOMBARDO

Lo scorso 18 Gennaio lo Spazio Alfieri ha dedicato una giornata alla fotografia. Il Contrasto Day, organizzato da Contrasto e dall’ Associazione Culturale Deaphoto, con la collaborazione della libreria Brac e la coordinazione del direttore di Contrasto Roberto Koch e da Michelangelo Chiaramida di Deaphoto,

ha visto susseguirsi durante l’intera giornata una di serie incontri con fotografi e photoeditor. Hanno partecipato i fotografi Piergiorgio Branzi, Francesco Anselmi, Massimo Siragusa, Giulio Piscitelli, Emiliano Mancuso, Simona Ghizzoni. Uno spazio è stato dedicato alla lettura dei portfolio curati da photoeditor

del calibro di Renata Ferri di Io donna e Amica, Tiziana Faraoni de L’Espresso, Emauela Mirabelli di Marie Claire, Elena Boille di Internazionale e dal Direttore di Deaphoto Sandro Bini. A fine giornata Mario Calabresi, direttore del quotidiano La Stampa, ha presentato il suo libro "A occhi aperti" ■ 77


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