Se la citta’ si smarrisse nella neve

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SE LA CITTA’ SI SMARRISSE NELLA NEVE1 di Marco Trulli, Claudio Zecchi «Quel mattino lo svegliò il silenzio. Marcovaldo si tirò su dal letto col senso di qualcosa di strano nell’aria. Non capiva che ora era, la luce tra le stecche delle persiane era diversa da quella di tutte le ore del giorno e della notte. Aperse la finestra: la città non c’era più, era stata sostituita da un foglio bianco» 2. Un’abbondante nevicata aveva privato la città delle sue caratteristiche: i segnali stradali erano stati cancellati, i rumori attutiti, la carreggiata e il marciapiede fusi insieme in un unico spazio pedonale, i consueti punti di riferimento erano stati cancellati in un colpo solo. «[…] Le vie e i corsi s’aprivano sterminate e deserte come candide gole tra rocce di montagne. La città nascosta sotto quel mantello chissà se era sempre la stessa o se nella notte l’avevano cambiata con un’altra? Chissà se sotto quei ponticelli bianchi c’erano ancora le pompe di benzina, le edicole, le fermate dei tram o se non c’erano sacchi e sacchi di neve? Marcovaldo camminando sognava di perdersi in una città diversa […]» 3. Le riflessioni di Marcovaldo ad un certo punto si trasformano in azioni e così, costretto dal suo caposquadra, comincia a spalare la neve davanti l’ingresso della fabbrica per cui lavorava. Disordinatamente ripulisce il marciapiede fin quando non incontra Sigismondo, disoccupato arruolato tra gli spalatori del Comune, che più pragmaticamente e ordinatamente rispetto a lui, calcolava esattamente quanti metri cubi di neve doveva spostare per sgomberare tanti metri quadrati. A questo punto Marcovaldo impara da Sigismondo la tecnica dei mucchietti ma, diversamente dal collega, i suoi sentimenti non cambiano, per lui non si tratta di metri cubi su metri quadri 4: «[…] Se continuava a fare dei muretti così, poteva costruirsi delle vie per lui solo, vie che avrebbero portato dove sapeva solo lui, e in cui tutti gli altri si sarebbero persi. Rifare la città, ammucchiare montagne alte come case che nessuno avrebbe potuto distinguere dalle case vere. O forse ormai tutte le case erano diventate di neve con i monumenti i campanili e gli alberi, una città che si poteva disfare a colpi di pala e rifarla in un altro modo […]»5. Così facendo Marcovaldo allarga il suo sogno e con la neve cerca di costruire una città intera. E ancora. In un altro episodio6, Marcovaldo uscendo dal cinema si trova immerso nella nebbia, questa, gli fa perdere completamente il senso dell’orientamento e non riuscire a trovare la strada che abitualmente percorreva per tornare a casa e dopo un lungo e vago girovagare, sale su un autobus pieno di comfort, scoprendo, quando ormai è troppo tardi, che si tratta di un aeroplano. Ora, sulla scorta delle storie di Marcovaldo si può pensare di inquadrare il problema della città da un’ottica differente. Egli, infatti, non guarda al passato ma costruisce il futuro minando le certezze, i calcoli e la logica su cui si reggono il progetto, la costruzione e lo sviluppo di una città. Così facendo, alimenta la prospettiva dei sogni e crea disorientamenti rispetto a un territorio familiare 7. Non è tutto. Ancora uno dei personaggi di Calvino ci viene incontro dando vita a un modello di città ideale: «[…] Anch’io ho pensato a un modello di città da cui deduco tutte le altre, - rispose Marco. – È una città fatta solo d’eccezioni, preclusioni, contraddizioni, incongruenze, controsensi, se una città così è quanto c’è di più improbabile, diminuendo il numero degli elementi abnormi si accrescono le probabilità che la città ci sia veramente. Dunque basta che io sottragga eccezioni al mio modello, e in qualsiasi ordine proceda arriverò a trovarmi davanti una delle città che, pur sempre in via d’eccezione, esistono. Ma non posso spingere la mia operazione oltre un certo limite: otterrei delle città troppo verosimili per essere vere» 8. Seguendo le traiettorie di questo ragionamento, si può avvertire una certa affinità concettuale con quanto afferma Rem Koolhaas quando dice: «[…] le città dovrebbero essere concepite in modo meno chiaro, meno accessibile, lavorando verso una diminuzione della loro identità piuttosto che aumentarla» 9. Infatti, le città, così come la cultura, continua Koolhaas, più si identificano nella loro autenticità e più da essa sono minacciate («ridicola bellezza»10). «[…] “È il suo stesso peso che sta schiacciando l’Impero”, pensa Kublai, e nei suoi sogni ora appaiono città leggere come aquiloni, città traforate come pizzi, città trasparenti come zanzariere, città nervatura di foglia, città linea della mano, città filigrana da vedere attraverso il loro opaco e fittizio spessore. - Ti racconterò cosa ho sognato stanotte, - dice a Marco. – In mezzo a una terra piatta e gialla, cosparsa di meteoriti e massi erratici, vedevo di lontano elevarsi le guglie d’una città dai pinnacoli sottili, fatti in modo che la Luna nel suo viaggio possa posarsi ora sull’uno ora sull’altro, o dondolare appesa ai cavi delle gru. E Polo: - La città che hai sognato è Lalage. Questi inviti alla sosta nel cielo notturno i suoi abitanti disposero perché la luna conceda a ogni cosa nella città di crescere e ricrescere senza fine. - C’è qualcosa che tu non sai, - aggiunse il Kan. – Riconoscente la Luna ha dato alla città di Lalage un privilegio più raro: crescere in leggerezza» 11.


***** «È impossibile ottenere una reazione autentica da un pubblico che si reca appositamente in uno spazio preciso e ben connotato per provare delle emozioni. Se vuoi veramente colpire qualcuno fallo quando meno se lo aspetta, non quando ha pagato un biglietto per farsi colpire» 12. 0100101110101101.org La forza dell’arte sta nello sviluppare «rappresentazioni innovative che sfuggono all’interpretazione politica»13 senza mai commettere l’errore di sostituirsi alla politica e mantenere un’autonomia relativa del suo campo specifico in relazione dialettica con altri campi e discipline. Ciò sta a significare che «l’arte resta politica solo e solo se non si alieni totalmente in questa, solo e solo se resti arte. Altrimenti, l’arte non è più tale, ma non è nemmeno politica, ma solo ideologia, ossia falsa coscienza della politica» 14. Solo allora, quando è assolutamente libera e senza strutture che la governano, ha la forza di incrementare il potenziale progettuale della società e quindi, anche, dell’architettura e dell’urbanistica della città. L’arte pubblica infatti è uno strumento essenziale di «riscrittura e rimodellazione dello spazio urbano», in grado, come dice Angelo Trimarco, di stabilire «relazioni, feconde e mobili, con chi vi abita e, abitandovi, ne vive e patisce le lacerazioni […]» 15 capace, insomma, di produrre «dei risultati in termini di un progressivo, efficace coinvolgimento dell’intera realtà urbana in un progetto ambizioso e capace di mobilitare le energie locali»16. Cantieri d’Arte si propone in questo senso di essere un laboratorio entro il quale possa esserci uno scambio di idee, un laboratorio capace di proporre, lasciando liberi gli artisti di rilanciare. Una sorta di work in progress che opera per frammentazione, quasi per mitosi, generando progetti capaci di produrne altri e questi altri, altri ancora in modo del tutto spontaneo. È il caso di Spazi Manifesti, operazione di arte pubblica che quest’anno si sviluppa strategicamente su un’unica via, Viale Raniero Capocci, che percorre la cinta muraria unendo tre delle principali porte d’accesso alla città: Porta Fiorentina, Porta della Verità e Porta Romana. Lungo questo tratto di strada, all’altezza di Porta della Verità c’è infine il sottopassaggio pedonale che collega la città medievale a quella contemporanea (fig. 1). L’articolata geografia del progetto fa da cornice alla presenza dei manifesti che occupano temporaneamente quegli impianti di diverso formato, struttura e natura (poster, paline, plance), che solitamente vengono utilizzati per la promozione pubblicitaria sul territorio. Così linguaggi di diversa natura si confrontano immersi nel contesto urbano proponendo letture e visioni altre della città in bilico tra antico e contemporaneo. VISIONI URBANE CONTEMPORANEE. È’ questo il titolo che abbraccia l’intero progetto rilanciando, sulla scorta delle passate edizioni (Ridisegnare i luoghi comuni e La città dei biSogni), il tentativo di avviare una rilettura della città attraverso l’irriverenza che solo l’arte contemporanea potenzialmente ha. Visioni. Perché ciò che rende una lettura interessante non è la possibilità che da questa ne scaturisca una restituzione progettuale di mimesi, ovvero una mera fotografia sullo stato delle cose. Visioni. Perché generano vedute altre. Visioni. Perché solo le visioni alterano lo stato delle cose restituendo loro una possibile forza attiva in grado di interagire produttivamente con un luogo17. L’indeterminatezza della visione può raggiungere e modificare la percezione collettiva attraverso piccoli cambiamenti: il solo spostamento di un elemento determina una reazione a catena in grado di modificare il rapporto tra tutte le coordinate messe in gioco alimentando così un’alterazione della conoscenza che solitamente si ha di quel luogo generando uno smarrimento dello sguardo. Ecco perché, concettualmente, tra il lavoro di Flavio Favelli 18 (fig. 2) nel seicentesco chiostro del museo Calori a San Gemini e l’operazione Spazi Manifesti, negli spazi urbani viterbesi, esiste una profonda connivenza. O meglio, Spazi Manifesti è l’altra faccia della medaglia: se Favelli annulla completamente lo spazio del chiostro riportandolo, attraverso una pavimentazione nera, ad una sorta di grado zero e invitandoci immediatamente con un’installazione centrale colorata ad impiegare diversamente lo sguardo stimolandolo ad un’interazione dinamica con il luogo, Spazi Manifesti con i suoi poster, arriva allo stesso risultato partendo da presupposti diversi: non più l’annullamento bensì l’amplificazione elevata a potenza e la penetrazione di segni significanti attraverso l’impiego di una sintassi, quella pubblicitaria, ampiamente consolidata. Come a dire che le regole possono essere stravolte solo dal loro interno. E lo stravolgimento che i lavori degli artisti producono è di duplice natura: uno più complesso e generale sulla città, l’altro, più limitato, sulle strutture pubblicitarie19. In questo senso può essere letto il lavoro di Andrea Mastrovito (fig. 3): un paesaggio di fondo tipico della città all’interno delle mura medievali visto da una balconata dalla quale si affaccia una donna nuda, trasposizione attuale della Bella Galiana, fanciulla di straordinaria bellezza, vissuta nel XII sec. e divenuta simbolo dell’orgoglio viterbese in età comunale. Al di sopra, all’altezza del pube della donna, la scritta PIU’


S___A PER TUTTI! e quasi a coprire il riferimento ai genitali femminili uno strappo che appena lascia intravedere la scritta. La costruzione rassicurante sul duplice piano, formale e semantico, stride per impatto con la scritta e gli strappi – realizzati entrambi dall’artista in fase progettuale – tipici del vandalismo urbano (fig. 4) 20 ma, laddove potrebbe avviarsi una sterile polemica sulla leggerezza o la volgarità di certa arte contemporanea, s’insinua, invece, una riflessione più complessa. Gli strappi, infatti, chiaro riferimento a Rotella consolidano il lavoro di Mastrovito nel solco di un concettualismo che risponde ad un’autoreferenzialità stringente sul linguaggio dell’arte. Se la risposta di Mastrovito all’esigenza di una ricerca sulla percezione della città tocca le corde di più strumenti manifestando una complessità concettuale all’approccio teorico, nel caso del lavoro di Andrea Salvino il problema si sposta interamente sul piano semantico. Salvino costruisce una sorta di dittico sul fronte-retro delle paline (fig. 5) che ha la pretesa, seppur da punti di vista differenti, di interrogare la “storia”: in un caso si concentra sulla sessualità – Hitler che “gioca” con delle donne nude – nell’altro caso su una battaglia urbana, nella fattispecie quella del G8 di Genova che concettualmente rimanda, rendendolo attualissimo, alla protesta studentesca che imperversava in Italia negli stessi giorni21 dell’inaugurazione della mostra. Nella fattispecie i suoi “soggetti” 22 sono espressione di dissenso collettivo, antagonismo, irrequietezza e rabbia. Con Elena Arzuffi (fig. 6), invece, il problema si sposta e si risolve interamente sul piano formale. In questo caso, infatti, fotografia e disegno dialogano tra di loro mettendo in gioco apparenti contraddizioni logiche: da un lato la fotografia richiama ad un quantomai stringente rapporto con la realtà, non la modifica, non la altera, non la traspone su un piano concettuale. Nulla di tutto ciò. Semplicemente la realtà così com’è. Dall’altro lato il disegno traspone la riflessione su una realtà altra, parallela, a volte tangente, ma mai sovrapponibile a quella messa in gioco precedentemente dalla fotografia. L’incontro di questi due mondi garantisce, da una parte una presa di coscienza dell’attualità e dall’altra parte una proposta di ripensamento dei luoghi e degli spazi (in senso lato) affidata alla “visione”. Chi, infine, imposta la sfida su un piano puramente comunicativo è Sebastian Comelli. Il giovane artista romano23, con poche ma efficacissime mosse da scacco al tema curatoriale. Tre ragazzi, fotografati singolarmente in primo piano (frontalmente ma anche di spalle poiché il lavoro sarebbe stato installato su un “giugiaro” bifacciale) esattamente nel luogo in cui successivamente ogni singola immagine sarebbe stata installata, vengono ripresi mentre urlano liberatoriamente un sentimento che non ci è dato sapere, circondati da un’atmosfera irreale che confonde tutto: i colori “allucinati”, infatti, rimandano ad una sorta di psichedelia paranoica che rende tutto irrimediabilmente verosimile (fig. 7). Ora, se i poster di Mastrovito, Comelli, Salvino e Arzuffi alzano il tono della discussione poiché costretti a confrontarsi a viso aperto con la città intera, le sue problematiche, le sue dinamiche e con una fruizione spesso distratta, il lavoro di Laboratorio Saccardi (fig. 8) richiama, invece, ad una dimensione più ”raccolta”. Sviluppatosi lungo l’intero percorso del sottopassaggio pedonale che collega Porta della Verità e la città medievale con Piazza Crispi e la città moderna, il lavoro dei Saccardi è un invito a proiettarsi in un’atmosfera caricaturale, ironica e dissacratoria. Il progetto – WHISPERS (sussurro) – che può essere percorso in entrambe le direzioni, non ha né un inizio né una fine ma è un continuo work in progress. Una delle due entrate, quella che da verso Porta della Verità, è definita dalla presenza di due colonne dipinte sul muro e indicate con le lettere J e B 24 (fig. 9), riferimento ironico alla Massoneria capaci di innescare un clamoroso caso mediatico locale. ***** IL CASO SACCARDI «Dottor Fabbri, cosa si deduce ad una attenta analisi dei graffiti disegnati nel sottopassaggio di Porta della Verità? Indubbiamente si tratta di simboli massonici […]» Evaristo Cerrini e Fabio Fabbri, Nuovo Viterbo Oggi, 13 marzo 2009 Il 13 marzo 2009, a ben cinque mesi di distanza dall’inaugurazione della manifestazione e dopo una comunicazione serrata sul territorio, volta a spiegare il senso del progetto, nella cittadina della Tuscia si è alzato il polverone: il giornale Nuovo Viterbo Oggi pubblica un articolo a firma di Evaristo Cerrini in cui l’intero lavoro del Laboratorio Saccardi viene interpretato da un “esperto” come intervento di entusiasti neofiti della massoneria che, come recita l’articolo, «intendono palesare la loro presenza nel territorio» (fig. 10).


Il malinteso è palese, ma il caso è talmente rocambolesco che la settimana successiva il settimanale Cronaca Vera lo riprende in seconda pagina smentendo le intenzioni da cronaca scandalistica 25 del giornalista locale e riportando il progetto nella sua giusta dimensione (fig. 11). Beninteso che alla base del loro intervento viterbese non c’era nessun intento provocatorio, i Saccardi, che da sempre grazie all’ironia stravolgono la realtà riconsegnandola sotto una veste completamente nuova, più affascinante e più ricca di sfumature, ancora una volta hanno fatto centro. Nella fattispecie, “Whispers”, oltre ai non sense di cui sono ricchi i disegni sulle mura del sottopassaggio, parla molto al linguaggio dell’arte: i baffi stile cartoon sul neoeletto presidente Obama sono un riferimento a “L.H.O.O.” di Duchamp, il teschio da loro realizzato con della comunissima pasta e poi fotografato è un riferimento a “For the love of God” di Damien Hirst, l’audio in cui primeggia il “suono del silenzio” è un chiaro omaggio a John Cage così come la frase “Tranquilli il meglio è passato”, che campeggia sulla testata dell’ingresso opposto a quello delle due colonne “J” e “B”, è una citazione di Ennio Flaiano. Quello dei Saccardi-massoni è solo l’ultimo caso di una serie che, causa la natura di un progetto che vede il coinvolgimento diretto degli artisti con lavori realizzati ad hoc, in questi anni hanno movimentato la manifestazione viterbese. In ordine meramente alfabetico: 0100101110101101.org (“Un Edificio Qualunque”, ennesima beffa del duo di artisti italiani che hanno fatto credere fosse stato scoperto da parte degli storici dell’arte dell’Università degli Studi della Tuscia un edificio storico in città); Abbominevole (con poster collocati negli spazi urbani e scambiati per atti di terrorismo islamico) Andrea Mastrovito (che con il suo poster raffigurante una donna nuda con una scritta tipica del vandalismo urbano ha suscitato alcune proteste di cittadini indignati che hanno scritto al sindaco della città); Ozmo (“Guggheneim Collection”, una campagna mediatica sulla presenza dei capolavori del famosissimo museo americano in ex chiese, cortili, vie e palazzi storici della città dove invece erano stati collocati i lavori degli artisti partecipanti all’edizione di Cantieri d’Arte – Ridisegnare i luoghi comuni). ***** Il progetto del Laboratorio Saccardi, invece, si connota per essere un’esperienza del tutto intima e personale in seno ad una “riscrittura” dello spazio polisemantica e polisensoriale. L’ironia è una presenza costante: dai disegni e collage sulle pareti laterali (fig. 12), ai collage digitali (fig. 13) all’interno delle bacheche, all’audio che invade totalmente lo spazio. Proprio l’audio è generatore di un’atmosfera irreale, i bisbigli che intervallano un silenzio ingombrante, sono estensioni ambientali che scandiscono la quotidianità di ognuno di noi tanto da non permetterci di riuscire a distinguere dove finisce la realtà e dove inizia l’opera. Arte e vita, arte è vita. La potenza dei suoni e del suono del silenzio 26, crea effetti di attesa e sospensione, sviluppa suggestioni nel tempo e nello spazio, da vita ad una vera e propria Sculpture Musical permanente27. L’atmosfera irreale generata dal suono viene spezzata bruscamente da una serie di manifesti che, sottoforma di collage digitali, riprendono quelle tematiche politiche, sociali o più strettamente connotabili all’interno del linguaggio artistico, care al gruppo. I poster, perciò, hanno il compito di connotare corporalmente un ambiente estremamente suggestivo dando allo spazio un forte contrappunto materiale. Così, l’universalità del messaggio che riguarda con intenzionalità contenuti politico-sociali di largo interesse si restringe, trovando il suo ribaltamento ideale, nell’intervento pittorico effettuato perlopiù nella parte bassa del sottopassaggio. Collage e pitture animano il contesto con ampi riferimenti all’immaginario della comunicazione mediatica, attraverso manipolazioni ironiche e dissacratorie. Il progetto nel suo complesso diventa una sorta di spazio aperto volto a creare una dinamica dialettica tra lo spettatore e l’opera. “Tranquilli, il meglio è passato” (fig. 14), infine, è ciò che afferma in modo poco rassicurante Laboratorio Saccardi, citando Ennio Flaiano, al termine del percorso (fig. 15), una volta che, usciti dal nucleo storico della città, si giunge all’espansione contemporanea della stessa. -14,86 “…l’’arte non cerca più di rappresentare delle utopie, ma di costruire degli spazi concreti” 28 Nicolas Borriaud Praticando un’estensione concettuale del termine “visione”, il gruppo a12 ha realizzato una intromissione sonora all’interno della routine auditiva urbana. Se è vero, infatti, che “l’ascolto può mutare radicalmente ciò che il corpo attraversa con gli occhi” 29, -14,86, installazione sonora posta al centro di una delle piazze più importanti della città di Viterbo, è il risultato di un approccio visionario al territorio urbano, che, fondendo


memoria collettiva e stratificazione dello spazio, edifica per sottrazione di materia un luogo dell’ascolto e dell’immaginazione. A quattordici metri e ottantasei centimetri di profondità dalla superficie pedonale, scorre indisturbato il fiume Urcionio, intubato nel primo dopoguerra e anticamente fonte di energia e di vita per la cittadina. Questa presenza, viva nelle viscere della terra, viene evocata dall’intervento del gruppo a12 non più come esistenza latente, sottintesa, bensì come presenza viva e pulsante, a contatto con la città nuova. Attraverso una sorta di zoom acustico, il rumore scrosciante dell’acqua (registrato alla fonte sul Monte Palanzana) permea dal terreno grazie ad un imbuto di acciaio inserito nel terreno, come fosse un megafono della voce liquida del fiume. Il gruppo a12 compie così una sorta di speleologia nella stratificazione delle memorie intime della città. L’acqua che riaffiora in superficie porta con sé, infatti, una rievocazione vivida della funzione “sociale” del fiume (i cittadini viterbesi si ripararono lì sotto dai bombardamenti alleati durante la Seconda Guerra Mondiale) e delle storie e abitudini degli abitanti in relazione a quella presenza (le attività lavorative connesse al fiume come anche le abitudini ricreative dei bambini). L’opera allude ad una dimensione di profondità illusoria che estende lo spazio reale concependo un luogo relazionale a cui il cittadino è chiamato a prendere parte, attraverso un atteggiamento dedito alla meditazione e all’ascolto. Un segno, minimale e poco invasivo, che vuole essere un elemento di messa in relazione tra cittadino e contesto urbano, per la creazione di un paesaggio attivo 30.


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Il titolo prende le mosse da una delle storie del libro di Italo Calvino, Marcovaldo ovvero le stagioni in città – La città smarrita nella neve, Mondadori, 2003 2 I. Calvino, Marcovaldo ovvero le stagioni in città – La città smarrita nella neve, Mondadori, 2003 3 Ibidem 4 L. Blissett, Mind invaders – Estratti scelti nel 1999, in Totò, Peppino e la guerra psichica 2.0, Einaudi, 2000 5 Vedi nota 2 6 I. Calvino, Marcovaldo ovvero le stagioni in città – La fermata sbagliata, Mondadori, 2003 7 Il Lettrismo e la Psicogeografia prima, il Situazionismo entro il quale entrambi confluirono poi, hanno affrontato il tema del territorio attraverso un’analisi politico-sociale che ha il suo cuore nella determinazione della deterritorializzazione e nella decostruzione degli ambienti per mezzo della tecnica della Deriva e cioè, di un passaggio improvviso attraverso ambienti diversi: «per fare una deriva, andate in giro a piedi senza meta od orario. Scegliete man mano il percorso non in base a ciò che SAPETE, ma in base a ciò che VEDETE intorno. Dovete essere STRANIATI e guardare ogni cosa come fosse la prima volta». (L. Blissett, Totò, Peppino e la guerra psichica 2.0, p. 153, Einaudi, 2000) 8 I. Calvino, Le città invisibili, p. 69, Mondadori, 1993 9 F. Bonami, Architettura e urbanistica: scenari del presente, ipotesi per il futuro, p. 90, Flash Art 194 ott./nov. anno 1995 10 Ibidem 11 I. Calvino, Le città invisibili, p. 73-74, Mondadori, 1993 12 C. Zecchi, intervista a cura di, 01.org – quando una storia diventa fiction, in Cantieri d’Arte – Ridisegnare i luoghi comuni, p. 29, Stampa Alternativa, 2006 13 C. Basualdo, La struttura della crisi, in Sogni e Conflitti – La dittatura dello spettatore, catalogo della 50esima Biennale Internazionale di Venezia, Marsilio, 2003 14 F. Menna, La linea analitica dell’arte moderna, p. 109, Einaudi, 1975 15 A. Trimarco, L’arte pubblica come figure dell’ambiente, p. 49, in E. Cristallini, L’arte fuori dal Museo, saggi e interviste, Gangemi, 2008. 16 P. L. Sacco, L’arte fuori dal museo: perché, per chi?, p. 59, in E. Cristallini, L’arte fuori dal Museo, saggi e interviste, Gangemi, 2008. 17 Un esempio calzante in questo senso potrebbe essere il Nike Ground installato presso Karlsplaz a Vienna dal duo di artisti italiani 01.org nel 2004. Il progetto consisteva in un gigantesco Nike Infobox che annunciava, da lì a breve, l’acquisto da parte del colosso multinazionale della piazza viennese che avrebbe cambiato il nome in Nike Platz. La città diventava teatro di una performance iper-reale che aveva come scopo quello di produrre un’allucinazione tesa ad alterare la percezione collettiva della città stessa. 18 L’installazione Interno china, realizzata ad hoc da Favelli per il Museo Guido Calori, consiste in una pavimentazione rialzata in legno nera che ha il compito di coprire quella già esistente nonché il pozzo centrale, «antica unità di misura dello spazio delle architetture religiose rinascimentali» (L. Barreca, L’oggetto ritrovato) sul quale s’innesta una scultura colorata composta da vecchie cassette dell’acqua e vasi cinesi. Attraverso un’operazione semplicissima, Favelli mette in atto uno stravolgimento dello spazio esistente, cambiandone radicalmente la funzione – la gente è infatti costretta a camminarci attorno – e la percezione, non più la medesima dopo averne modificato i consueti punti di osservazione. 19 In questo modo, trasponendo le esperienze di Duchamp e Cage, luoghi e oggetti conosciuti possono essere guardati ogni volta come se non fossero mai stati visti prima. Abbattendo le tradizioni e liberandoci dalla memoria, è possibile vivere un luogo come se non lo conoscessimo e quindi come se fosse sempre nuovo. Diceva Cage: «[…] non posso dire alle persone come ascoltare o come vedere; certamente non posso dire loro cosa ricordare in particolare quando sono io che non voglio ricordare tutto. Se guardo la bottiglia della Coca Cola e poi guardo un’altra bottiglia di Coca Cola, voglio dimenticare la prima così da vedere la seconda bottiglia di Coca Cola come quella originale, ed è originale perché è in una diversa posizione spaziotemporale e la luce la illumina diversamente perciò, le due bottiglie di Coca Cola non sono più le medesime». (http://it.youtube.com/watch?v=q2tNeoMKyq8) 20 Già nel corso della seconda edizione di Cantieri d’arte – Ridisegnare i luoghi comuni – si è registrata la misteriosa scomparsa della targa “Un edificio qualunque” del duo di artisti 01.org. In quest’ultima edizione, invece, un gruppo di vandali – solo così si può giudicare un atto privo di qualsiasi ambizione estetica (a tale proposito si può leggere la polemica scoppiata in merito al gesto compiuto dall’artista russo-israeliano Alexander Brener [fig. 4], vedi Flash Art 202, 1997, rubrica Lettere al Direttore) – ha danneggiato con una bomboletta spray una parte dell’intervento del Laboratorio Saccardi nel sottopassaggio di piazza Crispi lasciando, questa volta si, assolutamente indifferenti i cittadini di Viterbo. 21 “Spazi Manifesti” ha inaugurato il 27 ottobre e in quegli stessi giorni gli studenti di tutta Italia sono scesi in piazza a manifestare contro quella che è oggi la riforma Gelmini, allora ancora decreto. 22 Salvino chiama i protagonisti dei suoi quadri “soggetti antagonisti” ad indicare quel «desiderio disperato di inceppare, a qualunque costo, il meccanismo disumano di cui fanno parte. […] Sono uomini e donne che violentemente e senza


speranza, ciascuno a suo modo, resistono all’amorfa e piatta oppressione del tessuto sociale, alla caduta di senso, alla sconnessione di un agire senza presa sul reale, all’impotenza». C. Perrella, ANTAGONISTA, catalogo della mostra ANTAGONISTA, realizzata presso la galleria Colombo, Milano, ottobre 2005 23 Sebastian Comelli è il vincitore del concorso Spazi Manifesti bandito quest’anno per la prima volta. 24 J e B (Jachin e Boaz) sono le lettere con le quali venivano identificate le due colonne situate di fronte al portico di ingresso del tempio fatto realizzare da Salomone a Gerusalemme. Al tempio di Salomone e alla simbologia delle due colonne s’ispira la massoneria, ordine iniziatico che ha come fine la costruzione del tempio dell’Umanità. 25 «[…] La strategia mediatica impone ormai che il principio di simulazione vinca su quello della realtà e che i veri eventi siano diventate le notizie su questi eventi, con un’enfasi sugli aspetti scandalistici e collaterali che hanno trasformato l’esperienza estetica in un fatto di cronaca effimero privo di obiettivi e di reali referenti al di fuori della notizia in sé […] ». Vedi M. R. Sossai, Arte e censura, p. 48, Flash Art n. 275, aprile – maggio 2009. 26 Il suono in questo caso va inteso così come lo intendeva Cage: non come musica generata dal controllo logico della composizione, bensì nell’ottica delle filosofie orientali e, soprattutto dopo lo studio dell’I-Ching, come prodotto della casualità e dell’imprevedibilità il cui risultato sarà una mancanza di collegamento tra sensibilità, intenzioni, desideri e preferenze individuali con il materiale musicale. Ma l’esperienza del suono più intensa, sosteneva ancora Cage, è quella del silenzio. Il silenzio è una condizione del suono, è materia sonora, amplifica i suoni. È puro mezzo espressivo. Il riconoscimento del “suono del silenzio” (il silenzio assoluto è irraggiungibile anche nelle stanze perfettamente insonorizzate poiché si ascolteranno sempre i suoni prodotti dal proprio corpo) è il raggiungimento della strada intrapresa con la musica aleatoria verso la negazione dell’io, è la rinuncia definitiva a qualsiasi intenzione. 27 Sculpture Musicale è il titolo di un’opera di Duchamp ripresa successivamente, ma col titolo al plurale, da J. Cage. Il titolo fa riferimento a un suono che arriva da diversi punti dello spazio creando una scultura nella sua durata. Vedi F. Bonami, John Cage, Il significato è nel respiro, p. 65, Flash Art 136, 1991, 28 N.Borriaud, Postproduction, Postmedia, Milano 2004, p.48 29 V.Gravano, Paesaggi attivi. Saggio contro la contemplazione. L’arte contemporanea e il paesaggio metropolitano, Costa & Nolan, p.134 30 La nozione di paesaggio attivo è ben esplicata dalla pubblicazione di Viviana Gravano, Paesaggi attivi. Saggio contro la contemplazione. L’arte contemporanea e il paesaggio metropolitano, Costa & Nolan, Milano, 2008


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