Essere marginali. Fragilità, coni d’ombra e sguardo asimmetrico al confine con le terre estreme.

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Essere marginali. Fragilità , coni d’ombra e sguardo asimmetrico al confine con le terre estreme. di Claudio Zecchi


In Free Fall: A Thought Experiment on Vertical Perspective1, l’artista e teorica tedesca Hito Steyerl tenta di mettere sotto scacco l’oggettivazione della prospettiva lineare nell’arte occidentale opponendosi alla sua rivendicazione universale di rappresentanza a favore di un’altra prospettiva: quella del corpo a caduta libera. Se la prospettiva lineare presume infatti delle coordinate ben precise – uno spazio fisso, infinito ed omogeneo che si espande verso l'esterno da un punto fisso o un corpo/spettatore a terra – la prospettiva di caduta libera è condizionata piuttosto dalla manca di tali certezze2. Qui, come dice Steyerl, «[…] l'orizzonte si chiude in un labirinto di linee che collassano e si può perdere qualsiasi senso di sopra e sotto, di prima e dopo, di te e dei tuoi confini […]»3. La caduta presuppone quindi una fase transitoria di disorientamento che determina una condizione di perdita di potere e di controllo, di fragilità, di coni d’ombra, inciampi e scarti che ci costringono a rimettere in discussione la centralità del nostro posizionamento alimentando innumerevoli e conflittuali possibilità in una prospettiva dove l’apparente debolezza può essere convertita in un potenziale significato di forza. Spostando il ragionamento sul piano specifico della nostra ricerca, le terre estreme ci invitano ad indagare su questo stato di relazioni infinite, complesse e asimmetriche in cui la marginalità diventa parametro capace di mettere in discussione e interrogare la nozione di centro sia come luogo geografico sia come luogo di produzione di una pratica discorsiva egemonica4. Per continuare a costruire e alimentare nuovi modi di vedere, la marginalità non ha quindi bisogno di essere riposizionata verso il centro. È infatti importante restare marginali per costruire spazi di espressione e di azione fuori dal controllo e mantenere vivo il legame con il proprio desiderio alimentando così un’apertura sul piano dell’immaginario5. Assumendo questo come quadro di riferimento e calandolo nella specifica realtà del Capo di Leuca, le terre estreme diventano, a seconda di dove le si osserva, punto ultimo e punto primo, o forse, terra di passaggio al centro del Mediterraneo, i cui confini sono molto più vasti e meno definibili di quello che appaiono ad una prima osservazione. Questa ampiezza le rende terre che non si danno nell’immediato e che nella loro posizione marginale rimettono costantemente in discussione il senso comune delle cose. Le terre estreme sono quindi luoghi capaci di mobilitare problemi, conflitti e domande. Se consideriamo le terre estreme come strumento per se, è chiaro allora che ci troviamo nel dominio del rischio, dominio in cui è possibile operare per rotture e discontinuità. Sul piano metodologico, infatti, questa parte di progetto che ho avuto occasione di curare invitando come artisti Lia Cecchin e Riccardo Giacconi + Carolina Valencia Caicedo, si è basata sulla divisione in tre diverse fasi di ricerca nell’arco di sei mesi6. 1

H. Steyerl, Free Fall: A Thought Experiment on Vertical Perspective, p. 13-30 in The Wretched of the Screen, e-flux journal, 2012 http://thecomposingrooms.com/research/reading/2013/e-flux_Hito%20Steyerl_15.pdf 2 P. Pieroni, in ArtReview, 2014 https://artreview.com/features/summer_2014_feature_hito_steyerl/ La traduzione è dell’autore del testo. 3 Vedi nota 1 4 B. Hooks, Marginality as a site of resistence in S. Frangi, The Domain of Risks. Archiving the Experience, Reifying the Other, Recentring Marginality in Western De-colonising Cultural Practices, p. 15 in AA.VV., Let Us Say this Again, Opaquely A Natural Oasis? A Transnational Research Programmme 2016-2017, Postmedia books, Milano, 2016 5 Un piano capace di connettere, ad esempio, la terra estrema del reale con la terra estrema del sogno come nel caso del workshop Mare estremo, guidato durante la seconda fase di ricerca da Radical Intention (Aria Spinelli e Maria Pecchioli). 6 Le prime due fasi di conoscenza del territorio e l’ultima di restiuzione della ricerca. Vedi http://sinoallafinedelmare.ramdom.net/


La prima, per certi versi la più delicata poiché basata sulla necessità di stabilire delle coordinate e dei codici in un tempo brevissimo, ha necessariamente indotto a delle forzature nelle relazioni tra il territorio – inteso come paesaggio geografico e antropologico al tempo stesso – gli artisti, fino ad allora esclusivamente ricettori di un’esperienza che si limitava a raccogliere informazioni e conoscenze di diversa natura, e un tempo estremamente lento. Qui i momenti di perlustrazione vera e propria sul territorio si sono alternati a momenti di pausa e momenti di interazione con la vita di tutti i giorni e con quei luoghi di riferimento che alimentano le relazioni sociali a Gagliano del Capo; le tracce lasciate dagli artisti che hanno partecipato alle passate edizioni; i professionisti ed infine le associazioni che operano nel territorio stesso7. In questa fase organica di conoscenza in cui diversi livelli si sono intrecciati tra di loro, il territorio, nella sua vasta stratigrafia, si è comportato come una sorta di piattaforma8, o meglio, un complesso dispositivo di tracce e di punti fino ad allora lasciati in sospeso. Lì dove il processo non è stato infatti guidato dai meccanismi della produzione forzata, quei punti sono stati uniti solo successivamente in una forma che, attraverso il libro (questo), è diventata una sorta di rizoma. Un dispositivo che lascia spazio libero a successive ipotesi di lavoro e ricerca per gli artisti stessi, per Ramdom e per quegli artisti/ricercatori che verranno. Restando sul piano strettamente metodologico, il tentativo è stato infatti quello di liberare la ricerca dal momento della produzione vera e propria, non chiedendo agli artisti la realizzazione di un lavoro finale – se non quello per questo libro – formalmente risolto. Questo spazio di libertà ha paradossalmente generato una sorta di inciampo e, quella che avrebbe dovuto essere solo la presentazione della ricerca nel suo statuto discorsivo fin dove era giunta, si è trasformata nella presentazione di oggetti (se non proprio opere) dai contorni certamente più definiti e potenzialmente generativi di ulteriori possibilità. Riccardo Giacconi e Carolina Valencia Caicedo hanno infatti riconosciuto nel Capo di Leuca la possibilità di continuare la loro ricerca a lungo-termine sui paesaggi sonori e le testimonianze orali di specifiche comunità realizzando la prima parte di un radio documentario dal titolo Scarcagnuli9 presentato in forma di installazione come una sorta di “cinema senza immagini” e come appuntamento “radiofonico” trasmesso tutti i giorni per mezz’ora alla stessa ora presso il Bar 2000. Il loro è stato un processo aperto e di costante confronto con il territorio e chi lo vive; un processo in cui le storie personali, per la loro capacità di intrecciarsi con la tradizione, il folklore e i riti del posto, hanno la forza di diventare universali. Anticipando la loro estraneità al territorio ed adottando un approccio non di tipo antropologico, Giacconi e Caicedo hanno accumulato (registrato in questo caso) informazioni e storie, innescando un meccanismo generativo basato sulla fiducia e la complicità instaurata con le persone intervistate. Ogni persona ne menzionava infatti qualcun’altra alla quale i due artisti potevano riferirsi per una nuova intervista; ogni intervista approfondiva o indicava un nuovo tema da indagare. La loro posizione di quasi estraneità gli ha così permesso di agire come degli inneschi il cui 7

Alcune delle associazioni con cui abbiamo collaborato: Made for walking; Salento Verticale; Sherazade; Terra Rossa. E. Volpato in Introduzione, Iperpianalto Pubblicazione finale del progetto annuale Iperpianalto, collaborazione tra Fondazione Spinola e GAM Torino, A cura di Andrea Caretto e Raffaella Spagna, Viaindustriae publishing, Foligno, 2018 9 Lo scarcagnulu (o scazzamurieddru), è un omino brutto e peloso che, sempre scalzo e con un cappellino in testa, si aggira di notte andando ad infastidire il sonno dei malcapitati sedendosi sulla loro pancia. Vedi http://www.masseriamelcarne.com/lu-scazzamurrieddhu-leggenda/ e https://it.wikipedia.org/wiki/Laurieddhu 8


approccio dialogico è stato costruito attraverso degli spunti su cui riflettere insieme piuttosto che delle domande vere e proprie. In fase di post-produzione il materiale è stato infine montato facendo sì che le diverse voci registrate interagissero tra di loro attraverso l’aggiunta di suoni esterni che permettessero l’armonizzazione delle stesse in una linea fluida. Il risultato finale assomiglia a quello di una sola storia capace di generare forme di appropriazione materiali e simboliche del territorio, così caricato e definito di nuovo senso10. Qui verità e finzione si rincorrono e s’intrecciano creando, paradossalmente, una nuova immagine lì dove questa non c’è. Come nel cinema di osservazione questa sorta di «ancoraggio al terreno aiuta lo spettatore ad avere una visione di insieme della scena, con l'obbligo di cercare un proprio appiglio visivo, nell'inquadratura (nella traccia audio in questo caso) senza aiuti da parte dell'autore»11. La linea fluida delle voci che si rincorrono determina dunque una pluralità e una stratificazione di sguardi che fa del radio documentario una forma di narrazione piuttosto articolata, complessa e sorprendente legata, tenendo ancora saldo il confronto con un certo tipo di cinema, ad intuizioni, attese, ad un fare artigianale e ad una profonda osservazione12. Anche Lia Cecchin ha scelto di lavorare sul tema della memoria facendo però leva su ciò che si è dimenticato anziché sulle informazioni che sono resistite al tempo. Gagliano del Capo è una paese contraddistinto da un passato migratorio che ha visto le precedenti generazioni trasferirsi altrove per cercare fortuna e da un presente che lo ordina come meta turistica e luogo di passaggio. Partendo dall’identità transitoria di Gagliano del Capo, Cecchin ha deciso di lavorare sui concetti di assenza, perdita e quindi sulla ricostruzione dei ricordi. Ha costruito OLGA (Outdoor Lab for Gathering the Absence), un dispositivo che nella forma è molto simile a quei distributori automatici che si trovano comunemente nelle stazioni dei treni. OLGA, però, è una macchina che invece di erogare bibite o biglietti di viaggio, permette facilmente all’utente di realizzare i ritratti computerizzati dei volti di quelle persone che non vediamo da tanto tempo e di stamparli. Questo processo è possibile grazie all’installazione di un software che viene normalmente utilizzato dalla polizia per la costruzione di identikit. OLGA, che è stata installata temporaneamente presso il dehors del Bar Central, è diventata in quei giorni una presenza, una sorta di dispositivo o meglio ancora un generatore a cui ogni cittadino ha potuto facilmente e liberamente accedere per richiamare alla memoria i propri ricordi mettendoli in relazione con il presente. Nonostante il risultato finale sia quello di volti realistici perfettamente eseguiti in ogni dettaglio, ci troviamo in realtà di fronte ad una forma che è il compromesso tra il ricordo mnemonico e il racconto del ricordo stesso. Nella sua perfezione, la macchina nasconde tuttavia un meccanismo in qualche modo fallace, capace di creare uno scarto tra realtà e finzione, mettendoci di fronte ad un dispositivo narrativo il cui risultato non è tanto il volto o la sua storia per come è, ma la storia per come vorremmo che fosse. Dice James Elroy: «[…] solamente una verosimiglianza 10

Riferimento fondamentale per gli artisti sono i radio drammi di Glenn Gould e in particolare la Trilogia della Solitudine (L'idea del Nord, I ritardatari, Il riposo in campagna) https://en.wikipedia.org/wiki/Solitude_Trilogy e la tecnica del contrappunto musicale https://it.wikipedia.org/wiki/Contrappunto 11 A. Gemmi, M. Marmiroli, C. Zecchi, Ogni Opera di Confessione: sguardo (s)oggettivo e disposizione anti-narrativa. Paradosso linguistico tra cinema d'osservazione e opera d'arte, in Arte e Critica n. 84, pp. 94-96 12 Ibidem


senza scrupoli è in grado di rimettere tutto in prospettiva»13. Si innesca così un meccanismo di credenza che rende le storie efficaci in quanto capaci di «connettere emozioni e visioni del mondo, fatti e sentimenti»14. Entrambe i lavori, seppur in tempi e modi differenti, sono riusciti a definire, usando le parole di Alessandra Pioselli, un «campo permeabile all’incontro di varie soggettività dando vita ad una ricettività dell’opera basata su una relazionalità affettiva, intersoggettiva, empatica e non meramente e fisicamente interattiva»15.

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Wu Minng 2, La salvezza di Euridice in New Italian Epic, Letteratura, sguardo obliquo, ritorno al futuro, p. 189, Einaudi Stile libero, Torino, 2009 14 Ibidem p.145 15 A. Pioselli, Soggettività aperte in L'arte nello spazio urbano, L'esperienza italiana dal 1968 a oggi, capitolo 6, p. 131, Johan & Levi, Monza, 2015


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