Butoba mt5 registrare il rimosso

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BUTOBA MT5 _REGISTRARE IL RIMOSSO Marco Trulli e Claudio Zecchi

«L’arte ha il compito di bucare la disattenzione collettiva» (Achille Bonito Oliva) Facendo una ricerca su internet si trovano informazioni interessanti dedicate ai registratori Butoba. Immagini, schede tecniche, recensioni. Nella fattispecie si rileva che Butoba MT5, fiore all’occhiello della serie, è il nome di un registratore a bobine di fabbricazione tedesca dei primi Sessanta. Caratteristica principale dei registratori Butoba era quella di avere una qualità acustica molto elevata che li rendeva particolarmente indicati per registrare i suoni della natura. Uscendo dai tecnicismi esasperati ed entrando nel campo letterario 1, si allargano gli orizzonti operativi relativi a quella “macchina” e si scopre che veniva impiegata anche per indagini di altro tipo. Si trattava di una sorta di piccola “borsetta” che poteva essere portata a tracolla, facile da utilizzare e, allora, comoda da portare in giro. Ora, ciò che rende il titolo perfettamente calzante rispetto al tema del convegno – Arte e memoria dell’arte – è la duttilità che avevano quegli strumenti nel riprodurre e cancellare la memoria diversamente

dai moderni

lettori mp3 o Ipod (e qui non va dimenticato il passaggio dall’analogico al digitale) che hanno solo funzione di riproduzione del suono e delegano registrazione o cancellazione solo alla fase di “postproduzione”. Quel tipo di registratori, come anche i più moderni, hanno la funzione di preservare la memoria dei fatti all’istante e spesso sono preziosi strumenti di recupero della memoria passata. Da qui il legame concettuale con il senso del progetto che il gruppo a12 ha realizzato

per

l’ultima

edizione

di

Cantieri

d’Arte

Visioni

Urbane

Contemporanee. Intervento permanente, -14,86, titolo dell’installazione, nasce proprio dalla suggestione di recuperare una memoria collettiva ormai sopita attraverso la


registrazione alla fonte delle acque del fiume Urcionio la riproduzione della stessa in un luogo della città dove prima che venisse intubato e interrato scorreva a vista. Così la memoria rimossa del corso d’acqua viene recuperata con la suggestiva diffusione in superficie del suono attraverso un sistema autoalimentato. Attraverso una sorta di speleologia acustica l’acqua riaffiora lì dove scorreva un tempo portando con sé una vivida rievocazione della funzione “sociale” del fiume che i cittadini viterbesi usavano come riparo dai bombardamenti alleati durante la Seconda Guerra Mondiale e che era normalmente luogo delle attività lavorative e delle abitudini ricreative dei bambini. Praticando un’estensione concettuale del termine “visione”, il gruppo a12 ha realizzato una intromissione sonora all’interno della routine auditiva urbana. Se è vero, infatti, che «l’ascolto può mutare radicalmente ciò che il corpo attraversa con gli occhi»2, -14,86, installazione sonora posta al centro di una delle piazze più importanti della città di Viterbo, Piazza dei Caduti, è il risultato di un approccio visionario al territorio urbano, che, fondendo memoria collettiva e stratificazione dello spazio, edifica per sottrazione di materia un luogo dell’ascolto e dell’immaginazione. A quattordici metri e ottantasei centimetri di profondità dalla superficie pedonale, scorre indisturbato il fiume Urcionio, intubato nel primo dopoguerra e anticamente fonte di energia e di vita per la cittadina. Questa presenza, viva nelle viscere della terra, viene evocata dall’intervento del gruppo a12 non più come esistenza latente, sottintesa, bensì come presenza viva e pulsante, a contatto con la città nuova. Attraverso una sorta di zoom acustico, il rumore scrosciante dell’acqua (registrato alla fonte sul Monte Palanzana) permea dal terreno grazie ad un imbuto di acciaio in esso inserito, come fosse un megafono della voce liquida del fiume. L’opera allude ad una dimensione di profondità illusoria che estende lo spazio reale concependo un luogo relazionale a cui il cittadino è chiamato a prendere parte, attraverso un atteggiamento dedito alla meditazione e all’ascolto.


-14,86 è un segno, minimale e poco invasivo, che vuole essere un elemento di messa in relazione tra cittadino e contesto urbano, per la creazione di un paesaggio attivo3. Ora, se l’installazione realizzata dal gruppo a12 allude chiaramente al recupero di una memoria diretta, il lavoro realizzato in questi anni da Cantieri d’Arte ha sviluppato la medesima tematica per via progettuale o anche accidentale. In ragione del suo modus operandi, Cantieri d’Arte ha da sempre invitato artisti della nuova scena nazionale e internazionale a realizzare operazioni ad hoc sulla scorta di un concept di riflessione sul tema della città e del recupero in senso «culturale, formale e spirituale di alcuni luoghi storici di Viterbo» 4. Progettualità e “accidentalità”, pensiero e “imprevisto” 5, hanno sempre corso di pari passo, a volte intrecciandosi, in queste quattro edizioni, lasciando una forte traccia nel territorio e nella memoria di chi lo vive quotidianamente. Utilizzando un ossimoro si può dire che gli “imprevisti” erano prevedibili, in alcuni casi addirittura programmati ma le reazioni dei cittadini e dalla stampa locali

assolutamente

inimmaginabili

e

del

tutto

genuine.

Eppure,

paradossalmente, sono state il completamento dell’operato degli artisti: così è accaduto per la Guggheneim Collection di Ozmo, per l’Edificio qualunque di 0100101110101101.org, per il recente sottopassaggio – Whispers – di Laboratorio Saccardi e per il poster di Andrea Mastrovito Senza titolo6. Già nel 2006 con Ridisegnare i luoghi comuni abbiamo cominciato a riflettere in maniera organica sul tema della città confrontandoci con la storia, le tradizioni e il folklore locali senza mai cadere nella trappola di un progetto localistico. Questo è stato possibile – e poi si è mantenuta come costante nel corso degli anni – in ragione dell’intervento di artisti che venendo da fuori avevano con la città un primo contatto solo in quel momento. Gli artisti,quindi, sono stati catapultati in una realtà a loro perfettamente sconosciuta e grazie ad uno sguardo privo di sovrastrutture hanno potuto osservare il contesto con quella distanza che gli ha permesso di approcciare al tema proposto con assoluta libertà di pensiero. L’edizione successiva, quella del 2007, La città dei biSogni, portava in dote un forte slancio utopistico nella direzione di una rilettura della città non


necessariamente pregnante con il contesto locale e particolarissimo di Viterbo. Il concept si proponeva di porre domande alle quali non necessariamente l’intervento degli artisti era funzionale ad una risposta concreta. Piuttosto si è tentato di forzare la mano sulla base dell’uso di linguaggi diversi connaturati all’arte

contemporanea

(il

videoprogram

2007:Odissea

nello

spazio,

il

workshop di Santiago Cirugeda con lo studio Recetas Urbanas e Spazi manifesti uno special project di arte pubblica in collaborazione con una società di comunicazione e pubbliche relazioni del luogo) in una dinamica tesa a far comprendere l’importanza di una piattaforma di riflessione comune sul tema della città e sull’abitare, approfondendo la necessità di un utilizzo consapevole degli spazi per evitare che essi potessero cadere nell’oblio di una memoria collettiva spesso sfocata. Perciò il workshop con l’architetto spagnolo Santiago Cirugeda,

che

ha

fatto

della

riconsiderazione

degli

spazi

urbani

e

dell’utilizzazione del preesistente un leitmotiv del suo lavoro, era aperto all’intera popolazione e non circoscritto ai soli addetti ai lavori; per questo si è pensato di strutturare un videoprogram per il quale sono stati scelti da parte dei curatori alcuni significativi lavori sul tema dello spazio (politico, fisico, mentale, di fantasia); per questo, infine si è deciso di interagire con un’agenzia di pubblicità e pubbliche relazioni di Viterbo che ha messo a disposizione alcuni spazi pubblicitari per gli artisti invitati a realizzare lavori ad hoc. Con l’edizione 2008-2009, Visioni Urbane Contemporanee, si è tentato, infine, di incidere nel contesto urbano in modo più diretto e meno estemporaneo attraverso interventi che, fruibili con maggiore continuità, avessero potuto diventare una presenza costante della città. Quest’ultima edizione tenta di dare risposte che nelle precedenti erano solamente intuibili e, a ben guardare, l’intervento permanente del gruppo a12 può a giusto esserene considerato la quadratura del cerchio: non è solamente un’indagine sulla storia del recente passato, ma anche, la restituzione attraverso l’audio di una memoria “visiva” di sapore politico, sociale e geografico ormai sopita. Un progetto che ha visto coinvolti attivamente i cittadini più anziani che, raccontando storie realmente vissute e condividendole con altri fruitori, hanno definitivamente completato l’opera7.


Il coinvolgimento così da vicino su fatti che riguardano la sensibilità comune, la presenza attiva del Comune di Viterbo, sono stati due fattori che hanno chiaramente garantito all’opera uno straordinario consenso e successo. Sottolineare la partecipazione al progetto dell’istituzione pubblica non è di secondaria importanza

poiché introduce ad un aspetto

particolarmente

importante relativamente al tema del convegno. Gli

interventi

degli

artisti

nelle

passate

edizioni,

non

avendo

goduto

dell’appoggio istituzionale sono stati avvertiti come un’intrusione forzata nel territorio causando non poche reazioni, alcune delle quali eclatanti. Per questo motivo di quelle installazioni e del loro significato relativo al progetto Cantieri d’Arte se ne è perduto il senso, è stato premuto il tasto erase e la memoria hardware è stata cancellata nonostante il clamore suscitato in prima battuta. Fortunatamente, invece, la memoria software è stata conservata ed è possibile ritrovarne traccia in rete o presso il nostro archivio. Da questa memoria si evince come uno degli aspetti del progetto sia stato nel corso di questi anni quello di lavorare tangenzialmente al tema della conservazione attraverso una duplice direttrice: 1 RECUPERO DELLA STORIA simboli, immagini e folklore locali 2 RECUPERO (fisico) DI LUOGHI STORICI Nell’ambito del primo filone, oltre alla già citata opera del gruppo a12, possono essere individuati i lavori di altri artisti: Abbominevole

L’artista

milanese

realizzò

una

serie

di

poster

che

riproducevano edifici tipici dell’architettura medievale viterbese piuttosto che volti

caratteristici

della

storia

cittadina

(la

Bella

Galiana

fanciulla

di

straordinaria bellezza, vissuta nel XII sec.) o altri volti fotografati casualmente in città il giorno del sopralluogo. I poster, installati “clandestinamente” sulle facciate delle abitazioni private per la loro impressione low definition hanno destato equivoci tali da essere scambiati per interventi di terroristi islamici 8. Per questo sono stati rimossi e non se ne conserva più alcuna memoria se non quella fotografica.


L’intenzione di questo lavoro era quella di portare il centro nella periferia cercando di sviluppare una maggiore sensibilità verso il degrado urbanistico che si sviluppa fuori dalle mura della città medievale 9. La rimozione, ordinata dal Comune di Viterbo, suscitò un vero e proprio dibattito sui media locali sul senso dell’arte contemporanea e sul decoro urbano 10. OZMO – Un’esperimento di guerrilla marketing dallo straordinario sapore concettuale

ha

movimentato

la

città

dal

quotidiano

tepore

culturale

sviluppando una sorta di piccolo “effetto Guggenheim”. Una serie di poster di cm 70 x 100 e un poster di m 6 x 3 invasero la città in lungo e in largo con una pubblicità che divulgava la presenza in diverse sedi – quelle scelte dai curatori per le opere degli artisti invitati – della prestigiosa collezione Guggheneim (scritto volutamente come si pronuncia e non come avrebbe dovuto essere correttamente). Il poster, che riproduceva fedelmente il logo del museo americano e i loghi istituzionali di Regione, Provincia e Comune, aveva una straordinaria verosimiglianza con quello autentico. Per giunta l’elenco dei nomi degli

artisti

era

da

capogiro:

oltre

agli

artisti

realmente

presenti

a

quell’edizione di Cantieri d’Arte (Ridisegnare i luoghi comuni) tutta una serie di nomi dello star system dell’arte mondiale. La gente del luogo, facilmente tratta in inganno, ha invano cercato le meravigliose tele di Picasso o le straordinarie sculture di Richard Serra senza rendendosi conto di aver perduto l’occasione di recuperare il contatto con i luoghi abbandonati, sia fisicamente che nella memoria comune, nei quali attraverso un piccolo stratagemma (i luoghi della “improbabile” collezione erano esattamente quelli della manifestazione Cantieri d’Arte) erano stati “costretti” ad andare11. Anche in questo caso l’eco mediatica è stata spropositata e qualche testata locale ha bollato l’azione come «opera di artisti in cerca di celebrità»12 Franco e Eva Mattes aka 0100101110101101.org – Un edificio qualunque. Nel settembre del 2006 ha cominciato a circolare nella stampa locale un comunicato grazie al quale veniva diffusa la notizia che gli storici dell’arte della facoltà di Conservazione dei Beni Culturali dell’Università degli Studi della Tuscia avevano fatto una clamorosa scoperta: l’appartenenza di un edificio viterbese ad un grande personaggio della storia italiana. La cittadinanza tutta


era

stata

invitata

a

partecipare

all’atto

dello

svelamento

della

targa

commemorativa che subito il Comune si sarebbe premurato di far realizzare. La cerimonia è avvenuta esattamente il giorno dell’inaugurazione di Cantieri d’Arte. Una volta svelata la targa secondo il rituale ufficiale, si poteva leggere quanto vi era scritto: «Questo edificio, progettato da architetto sconosciuto in epoca irrilevante, mai appartenne a persona di spicco. Il complesso non presenta originali soluzioni architettoniche né al suo interno sono conservate opere di rilievo. Non si serba memoria di avvenimenti storicamente significativi verificatisi in questo luogo. Nessun personaggio noto qui nacque, visse o morì, né tutt’ora vi opera alcun creatore mirabile o sommo poeta». L’opera, che parla uno stringente vocabolario concettuale, mette in luce in modo ironico il costume tipico delle amministrazioni locali pronte a beatificare chicchessia13, incoraggiando «il pubblico a riflettere sullo spazio urbano, lo sfruttamento del patrimonio storico e la forza della morte oltre la vita» 14. Anche questa volta l’opera ha destato reazioni contrastanti nella cittadinanza, sorpresa dall’irrituale celebrazione15. In questo caso il lavoro, ennesima beffa dei Mattes, subì altra sorte rispetto ai precedenti: “scomparve in misteriose circostanze”! Laboratorio Saccardi – Progetto polisensoriale (composto dalla riproduzione di suoni, posters e dipinti su muro), Whispers (Sussurri) è stato realizzato presso il sottopassaggio di Piazza Crispi che collega la città contemporanea con quella storica, che si sviluppa dentro le mura medievali. Attraverso una sintassi ludica e dissacratoria il sottopassaggio diventa luogo ideale, sia metaforicamente che concettualmente, per una lettura dinamica della città. Varcato quotidianamente da centinaia di persone, ben si presta ad una visione immediata e a un coinvolgimento “distratto” incapace di riconoscere, nel caso dell’intervento audio, lì dove finisce la realtà e dove inizia l’opera. I 60 minuti di cui è composto l’intervento vocale non sono nient’altro che la riproduzione dei “suoni” che scandiscono la quotidianità di ognuno di noi: rumori, bisbigli, segnali e il silenzio che, sulla scorta della lezione di Cage, assume un ruolo


fondamentale volto, in questo caso, a sottolineare e amplificare i suoni, rendendoli più vibranti e creando suggestivi effetti di attesa e sospensione. L’atmosfera irreale generata dal suono viene spezzata bruscamente da una serie di manifesti che, sottoforma di collage digitali, riprendono quelle tematiche politiche, sociali o più strettamente connotabili all’interno del linguaggio artistico in senso stretto, care al gruppo. I posters, allestiti nelle bacheche pubblicitarie del sottopassaggio, hanno perciò il compito di connotare corporalmente un ambiente estremamente suggestivo dando allo spazio un forte contrappunto materiale. L’Universalità del messaggio che riguarda con intenzionalità contenuti politicosociali di largo interesse si restringe, trovando il suo ribaltamento ideale, nell’intervento

pittorico

effettuato

perlopiù

nella

parte

bassa

del

sottopassaggio. Collage e pitture animano il contesto con ampi riferimenti all’immaginario

della

comunicazione

mediatica,

attraverso

manipolazioni

ironiche e dissacratorie. Il progetto, concepito nel suo complesso come spazio aperto e volto a creare una dinamica dialettica tra lo spettatore e l’opera, presenta su una delle due entrate, quella che dà verso Porta della Verità, due colonne dipinte e indicate con le lettere J e B16, riferimento ironico alla massoneria capaci di innescare un clamoroso caso mediatico locale. A ben cinque mesi di distanza dall’inaugurazione della manifestazione e dopo una comunicazione serrata sul territorio, volta a spiegare il senso del progetto, nel capoluogo della Tuscia si è alzato il polverone: il giornale Nuovo Viterbo Oggi pubblica un articolo a firma di Evaristo Cerrini in cui l’intero lavoro del Laboratorio Saccardi viene (mal)interpretato da un “esperto” come intervento di entusiasti neofiti della massoneria che, come recita l’articolo, «intendono palesare la loro presenza nel territorio» 17. Il secondo filone di analisi della piattaforma Cantieri d’Arte, relativamente al tema del convegno – recupero (fisico) di luoghi storici – è, diversamente dagli esempi precedenti in cui la tematica della memoria emerge attraverso la


matrice estetica dei lavori stessi, legato ad una sorta di intenzionalità prima in cui la scelta dell’aspetto conservativo è primario. Infatti, attraverso un lavoro di monitoraggio del territorio, si è cercato di recuperare alcuni luoghi dismessi, anche di particolare interesse storico (rispetto alla storia locale), al fine di riportarli a quell’uso “quotidiano” che gli permetterebbe di uscire da un oblio, ormai sedimentato, nella storia della collettività. In questo senso, oltre ai luoghi urbani in senso lato, teatro delle vicende legate ai lavori di Abbominevole, OZMO, 0100101110101101.org o allo special project Spazi Manifesti, sono stati investiti dall’entusiasmo degli artisti coinvolti anche alcuni luoghi specifici e significativi: Cortile di Donna Olimpia. Qui si sono succeduti negli anni gli interventi di Wiedmer, Menicagli, o workshop come quello dello studio spagnolo Recetas Urbanas di Santiago Cirugeda. Cantieri d’Arte ha contribuito negli anni alla riscoperta di questo luogo suggestivo da parte della cittadinanza e delle istituzioni, tantochè l’intero edificio è stato scelto come futura sede della facoltà di Conservazione dei Beni Culturali. Ospedale vecchio. Franco Menicagli vi ha installato dei palloncini predator, utilizzati

solitamente

come

spaventapasseri,

dandogli

il

compito,

metaforicamente, così come la struttura effimera realizzata per il lavatoio del cortile di Donna Olimpia, di difendere e sostenere strutture fatiscenti situate paradossalmente nel centro della città (adiacente a Palazzo dei Papi); Ex Chiesa di Santa Maria della Salute. È stata palcoscenico privilegiato del videoprogram 2007: Odissea nello spazio, costruito interamente sul concetto di spazio (e finora unico progetto che non risponde alla modalità del site specific); Parco dell’Arcionello. Con il workshop itinerante Lungo l’Urcionio. Tra Tuscia, Etruria e Maremma, a cura di ON/Stalker, è stato seguito l’itinerario del fiume che dal Monte Palanzana scende fino a Viterbo per essere intubato sotto la zona centrale della cittadina, fuoriuscire a valle Faul in direzione di Castel d’Asso e, infine, proseguire nel suo tortuoso percorso fino a Tarquinia. Il workshop è stato occasione per mappare la zona dell’Arcionello, proclamato riserva regionale dopo una lunga battaglia di un coordinamento di associazioni


cittadine, e la presenza significativa dell’Urcionio, tema che è tornato attuale nel recente lavoro del gruppo a12. In definitiva il lavoro messo in atto nelle quattro edizioni di Cantieri d’Arte è stato quello di affrontare da punti di vista molteplici ed eterogenei, gli aspetti della memoria cittadina, dell’abitare consapevole, della comunicazione urbana attraverso il linguaggio contemporaneo in un contesto in cui difficilmente riescono ad emergere proposte differenti ed inconsuete e la città rimane intrappolata nel sogno di un passato ingombrante e glorioso. Questi spiragli di alterità, spesso volutamente tesi ad innescare processi di relazione con gli spettatori inconsapevoli, hanno scatenato in alcuni casi proteste ed echi mediatici e in molti altri casi hanno portato i cittadini ad un’attenzione maggiore verso il paesaggio urbano, osservato, con maggiore profondità, attraverso la lente dell’arte contemporanea.


1

Wu Ming 1, New Thing, Einaudi, Torino, 2004 V. Gravano, Paesaggi attivi. Saggio contro la contemplazione. L’arte contemporanea e il paesaggio metropolitano, Costa & Nolan, p.134 3 La nozione di paesaggio attivo è ben esplicata dalla pubblicazione di V. Gravano, Paesaggi attivi. Saggio contro la contemplazione. L’arte contemporanea e il paesaggio metropolitano, Costa & Nolan, Milano, 2008 4 Per un’informazione più completa e dettagliata sulla mission e la storia del progetto consultare il sito www.cantieridarte.org. 5 A tale proposito Duchamp parlava di «coefficiente d’arte» ponendo l’accento sui concetti di errore, imperfezione e imprevedibilità che sono alla base del processo creativo e causa di un’azione reciproca tra progetto e inintezionalità alla base del progetto creativo arrivando così a «comprendere ciò che lo spettatore aggiunge a quanto fa l’artista che non è mai solo». C. Subrizi, Introduzione a Duchamp, Editori Laterza, Roma-Bari, 2008, pp. 63-64 6 Il problema sopraggiunge quando l’intervento della stampa si sovrappone a quello dell’artista cercando di manipolarne il significato riducendolo ad un commento da stampa scandalistica: «[…] La strategia mediatica impone ormai che il principio di simulazione vinca su quello della realtà e che i veri eventi siano diventate le notizie su questi eventi, con un’enfasi sugli aspetti scandalistici e collaterali che hanno trasformato l’esperienza estetica in un fatto di cronaca effimero privo di obiettivi e di reali referenti al di fuori della notizia in sé […] ». Vedi M. R. Sossai, Arte e censura, Flash Art n. 275, aprile – maggio 2009, p. 48. 7 Nel testo Estetica Relazionale, Nicolas Bourriaud, afferma il ruolo attivo dello spettatore attraverso una partecipazione che si sviluppa secondo una traiettoria orizzontale di scambio: «il senso è il prodotto di un’interazione fra l’artista e, l’osservatore e non un fato autoritario». N. Bourriaud, Estetica Relazionale, Postmedia Book, Milano 2006, p.78 8 La città era già rimasta scottata una volta. Nel 1997, infatti, sull’onda di quella che era allora la più grande fobia di massa, vennero inscenate messe sataniche costruite ad hoc. La paura, che serpeggiò a lungo a Viterbo, richiamò, attraverso una forte eco mediatica anche l’interesse dei media nazionali fin quando non venne rivendicata come una beffa mediatica da parte di un collettivo di artisti che si firmava con il nome multiplo di Luther Blisset. Per un maggiore approfondimento consultare il sito www.wumingfoundation.org/italiano/biografia.htm 9 I. Aquilanti, P. Martore, M. Trulli, C. Zecchi (a cura di), Ridisegnare i luoghi comuni, ed. Stampa Alternativa, Roma, 2006 10 Il sito d’informazione locale Tusciaweb ha pubblicato gli interventi di diversi cittadini e partiti politici, che si sono espressi contro la rimozione delle immagini di Abbominevole, denunciando anche che Il Comune non era intervenuto con la stessa celerità nel far rimuovere simboli e scritte vandaliche presenti in tutto il centro storico della città. 11 Vedi nota 6 12 A. Alessi, Guggheneim, un bluff, Il Corriere di Viterbo, 24 Settembre 2006 13 Vedi nota 6 14 D. Quaranta, It means what it says, in Eva e Franco Mattes. 0100101110101101.org, Edizioni Charta, Milano 2009, p. 106 15 Ibidem 16 J e B (Jachin e Boaz) sono le lettere con le quali venivano identificate le due colonne situate di fronte al portico di ingresso del tempio fatto realizzare da Salomone a Gerusalemme. Al tempio di Salomone e alla simbologia delle due colonne s’ispira la massoneria, ordine iniziatico che ha come fine la costruzione del tempio dell’Umanità. 17 M. Benucci, M. Trulli, C. Zecchi (a cura di), Visioni Urbane Contemporanee, Gangemi, Roma, 2009, p.14 2


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