Mfl31 ott 2013 lr

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MFL Supplemento al numero odierno di MF/Mercati Finanziari. Estero: BE 6,00 €. Spedizione in abbonamento postale L. 46/2004 art. 1 C. 1 DCB Milano

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Magazine For Living n. 31. OTTOBRE 2013. Solo in abbinamento con MF/Mercati Finanziari - IT Euro 4,50 (3,00 + 1,50) BIMESTRALE

HOUSE/A MARRAKECH L’ALHAMBRA DI GRANADA DIVENTA REGGIA DELUXE FASHION/LA COUTURE SCOPRE UN MONDO D’ETNO AVANGUARDIA ARREDAMENTO/IBRIDI D’ISPIRAZIONE LOCALE E LINGUAGGIO FUTURIBILE

MULTICOOLTURAL

AFRICA, INDIA, CINA, BRASILE E MEDIO ORIENTE. L’ARREDO MODERNO RECUPERA CODICI ESTETICI DI CULTURA GLOCAL


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Da oggi esplora il mondo con uno sguardo diverso. 1 SOGNA il lusso dell’hotel itinerante 2 GUARDA il tuo bucato durante un concerto 3 CERCA il benessere nel club riservato alle donne 4 GUSTA la dolcezza nel caveau delle ciambelle 5 NAMASTE il relax prima di volare 6 VIVI il mondo con il tuo city crossover

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Openview

MultiCooltural

Un movimento mondiale sottotraccia, chiamato a raccontare la modernità recuperando codici ancestrali, legati alle origini. Il contemporaneo globale riscopre l’antichità locale, il sogno della tradizione più antica e personale di ogni popolo. E l’estetica sceglie un linguaggio nuovo, lontano dall’omologazione e vicino alla propria storia, troppo spesso dimenticata. Il nuovo numero di MFL - Magazine For Living, progetto editoriale studiato per raccontare un lifestyle di lusso, è dedicato proprio ad analizzare questa rinnovata pluriculturalità di concetti ed estetica. Un melting pot di suggestioni che arrivano da India, Cina, Giappone, Stati Uniti, Europa, Africa, Medio Oriente, Sudamerica. In un puzzle di idee differenti, per un poema senza confini. Che si tratti di una reggia dai décor moreschi ricostruita a Marrakech o di quattro fotografi-mitologici chiamati a ritrarre una couture sempre più worldwide. Che si parli di arte in arrivo da Paesi ad alto fermento creativo o delle spiagge brasiliane, con il loro bagaglio di bellezza gridata. Perché il pensiero glocal non è mai stato così cool come in questo momento. Giampietro Baudo


Sommario 10 12 e 13 14 a 19 21 22 24 26 e 27 28 31 e 32 34

in Cover 02 04

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36 38 40 42 44 46 a 52 54 a 60

03 01 - SCHIFFINI. Pampa, cucina compatta interamente in legno. Design Alfredo Häberli 02 - IGuZZINI. Cestello, lampada a sospensione in alluminio e gruppi ottici regolabili. Design Gae Aulenti e Piero Castiglioni 03 - DE DIETRICH. DOP1190GX, forno a incasso multifunzione plus pirolitico in acciaio inox, dotato di display Tactilium

04 04. una veduta del cortile interno, decorato a mosaico, dell’ex scuola coranica Ben Youssef Medersa a Marrakech Artwork: Marta Bandirini e Giorgio Tentolini

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Evergreen/Ritorno alla natura di Camilla Gusti Follie/Le sedute impossibili di Cristina Morozzi Atmosfere/Global living di Matteo Zampollo Photo/Testino’s couture gallery di Elisa Rossi Performance/Indian kaleidoscope XXL di Francesca Manuzzi People/Ambasciatori d’asian style di Francesca Manuzzi Museum/La frenesia di cultura di Matteo Zampollo Art/New african avant-garde di Francesca Manuzzi Book/L’enciclopedia delle tribù di Matteo Zampollo Beauty/Le dee tribal di Givenchy di Elisa Rossi Fashion/Una Stella multiculturale di Elisa Rossi Collectibles/Esperimenti di street art di Francesca Manuzzi Video/Mexicans play hard di Matteo Zampollo Music/Rock in the desert di Matteo Zampollo Haute cuisine/United colors of food di Matteo Zampollo Alhambra in Marocco di Matteo Zampollo, foto Kensington finest properties Marrakech Living in a small world di Cristina Morozzi, artwork Giorgio Tentolini Global couture codes di Giampietro Baudo, foto Terry Richardson,Willy Vanderperre, Patrick Demarchelier e Paolo Roversi Wunderkammer di Francesca Manuzzi, foto Antonio Intorcia MultiCooltural di Cristina Morozzi, artwork Marta Bandirini Carioca gym servizio e foto Stefano Roncato Shine a light di Francesca Manuzzi, foto Daniela Exley e Joseph Fox Product/Child of God, Sacro Gra, Tom à la ferme di Cristiano Vitali Story teller/Un mondo di ceramica di Camilla Gusti


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Evergreen

Ritorno alla natura «In una società sempre di corsa e caratterizzata da ritmi frenetici, il bagno è l’ambiente dove l’uomo, maggiormente, ritorna allo stato naturale. Prendersi cura del proprio corpo, rilassarsi e recuperare le energie sono ormai i bisogni primari... Ergo è l’emblema di questo concetto. In questa collezione ho voluto che la natura si fondesse con l’abitare, due mondi così lontani ma legati da un’indissolubile trama». A parlare è Antonio Pascale, anima creativa scelta da Ceramica Galassia per dare vita a uno dei loro fiori all’occhiello. L’azienda con sede a Corchiano in provincia di Viterbo, una zona specializzata nella produzione della ceramica, si è affermata fin da subito, in Italia e all’estero, come una delle realtà più importanti del settore. Il tutto grazie all’expertise vincente di saper combinare, da più di 40 anni, questa antica tradizione con l’utilizzo delle più

moderne tecnologie. Ergo, nata nel 2012, ne è un esempio lampante. Il suo successo nasce dalla volontà di un riavvicinamento alla natura, non solo in senso estetico, con scelte che riprendono volutamente le forme naturali, ma anche da un punto di vista funzionale. Ogni elemento della collezione nasce per andare incontro prima di tutto al bisogno pratico adattandosi, ergonomicamente appunto, alla dimensione che ognuno vive nella quotidianità. Lavabi sospesi, con colonna e d’appoggio, sanitari, mobili, specchi e una particolarissima serie di accessori in legno massello di Iroko, elementi e forme differenti convivono armoniosamente creando un ambiente rilassante, pulito, quasi etereo e strutturato rigorosamente «a misura d’uomo», un posto dove ritrovare se stessi in perfetta armonia con la natura. Camilla Gusti

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home

young lady design Paolo Rizzatto

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Follie

Le sedute impossibili

Variazioni attorno alla seggiola, banco di prova per eccellenza del design. Sedute ricche di creatività, pensate da progettisti provenienti da culture diverse, capaci di trascendere le tradizioni locali per diventare bizzarre opere d’arte globali Disegnare una sedia è il traguardo ideale di ogni progettista. Nella seduta si sposano statica, funzionalità ed estetica. Molteplici sono, perciò, le variazioni stilistiche attorno a questo soggetto ideale, comprese quelle più folli, che trasformano la sedia da oggetto funzionale in opera d’arte fruibile. È il caso della poltrona Balao, creata dal designer brasiliano Sergio Matos, simile a un origami costituito da volumi triangolari concavi e convessi di corda intrecciata (nella foto qui sopra). L’ispirazione nasce da un oggetto anonimo di Sao Joao. Partendo dalla tradizione locale, Sergio Matos ha creato una seduta

complessa, il cui disegno stilizzato rammenta una foglia d’edera, articolata su vari piani triangolari, costituiti da una struttura metallica su cui è intrecciata una corda di poliestere colorato. La fitta tessitura regala all’oggetto una inedita plasticità, accentuata dal gioco di luci e ombre, prodotto dal complesso gioco della struttura. Si tratta di un fantasioso pezzo di bravura, originato da un disegno ardito, parente delle geometrie di Escher, eseguito con minuziosa perizia artigiana. Nella costruzione virtuosa la tradizione locale assurge al rango di realizzazione artistica, assumendo un carattere globale.

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Matthias Pliessnig

Tra i progetti della straordinaria mostra «Against the grain», allestita al MAD di New York e dedicata a opere virtuose in legno, firmate da artisti e designer internazionali, c’è Thonet n. 18, una rielaborazione fantasiosa, o meglio, una decostruzione della classica seduta viennese, creata da Matthias Pliessnig, un designer di Philadelphia, noto per le sue opere create lavorando il legno curvato (nella foto a sinistra). Il particolare intreccio, che rende simbolica la seduta, è stato, come la tela di Penelope, disfatto. Il filo di giunco che, classicamente viene passato prima in senso verticale e poi orizzontale, è stato invece avvolto in modo apparentemente disordinato attorno alla struttura lignea, sino a creare una sorta di grande bozzolo. L’effetto è quello di un gomitolo arruffato da un gatto imbizzarrito. Pare un gioco. Si tratta, invece, di una realizzazione complessa, originata da una speciale dimestichezza con il disegno al computer e da un raro talento di stampo artigiano.

Lisa Hilland

La giovane designer inglese Lisa Hilland, al contrario di quanto sostiene il popolare proverbio, è convinta che l’abito faccia il monaco. Le sue poltroncine, proposte nel 2013 al Salone del mobile di Milano, sono, a tutti gli effetti, sedute-couture. La struttura è costituita da un sottile tubolare metallico bianco. La sagoma è definita da un tessuto jacquard arricciato, disposto in triplice corolla a formare un accogliente pozzetto, un’analogia con la tecnica sartoriale del moulage. Ma in questo caso il disegno non è casuale e l’aggiustaggio è ritmato da un susseguirsi regolare di pieghe, studiate per dare morbidezza ed effetti lucido/opaco (nella foto a destra).. La realizzazione, che richiede dimestichezza con i tessuti e una mano addestrata, sottolinea le parentele tra design e moda, rivelando quanto, anche nell’arredo, l’abito contribuisca all’identità dell’oggetto.

Clarke & Reilly

La Red silk (nella foto a sinistra), creata dallo studio Clarke & Reilly, può essere definita una variante design del moulage, la tecnica sartoriale utilizzata per costruire gli abiti, modellando, con pieghe e pinces, il tessuto direttamente sul manichino. Il rivestimento in seta tartan è stato aggiustato sul corpo di una vecchia poltroncina mediante una serie di strategici nodi. Non si tratta, come nella classica tappezzeria, di un rivestimento tagliato a misura, pensato per calzare a pennello la sagoma, ma della composizione creativa di un metraggio abbondante di lucente tessuto serico. La forma viene ridisegnata dai nodi e dalle disordinate pieghe della seta, assumendo un aspetto morbido e ridondante. Il risultato è un’originale opera d’istant art, fervida di suggerimenti stilistici: vecchie sedie e poltroncine possono rinascere a nuova vita. Basta uno scampolo di leggero tessuto, un po’ d’abilità e di pazienza. E i risultati sempre diversi saranno rivelatori della mano dell’artista. a cura di Cristina Morozzi


Un'opera della serie Gypsy interiors di Carlo Gianferro, esposta al Festival internacional de fotografia di Belo Horizonte


Atmosfere

Global living Siamo di fronte a regole sociali che si sovvertono. Ai luoghi comuni che spariscono. Una serie di ritratti gypsy. Ma lontani da quello che si potrebbe pensare. Le case sono sontuose, dagli spazi sproporzionati. Gli arredi ricchi, con mobili introvabili, anche questi in formato XXL. Spesso con sedute in sovrannumero, per ospitare le numerose riunioni familiari. I colori, neanche a dirlo, pescati da una tavolozza imbizzarrita. Il lavoro di Carlo Gianferro, fotografo romano, è uno sguardo all'interno degli spazi privati delle popolazioni zingare, finora inesplorati. Ma non quelle stereotipate, che vivono ai margini delle città . BensÏ quelle stabili, che hanno costruito da sÊ il loro spazio sociale, all'interno della casa. Finalmente lontane da una vita sempre in viaggio che, anche a loro, in fondo, va stretta. Ma la serie di fotografie Gypsy interiors rivela come le tradizioni siano dure a morire, soprattutto quelle tramandate di generazione in generazione. Lo spirito vivace, colorato e stravagante non smette di esistere, una volta presa una stabile dimora. Ritratti tra Moldavia e Romania, i gypsy benestanti riescono per la prima volta a fare un annuncio orgoglioso del loro nuovo status, costato fatica. Ma ora irrinunciabile.

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Atmosfere

Un popolo nascosto. Una comunità che vive negli spazi nascosti di una città intera. Nelle pieghe di Jakarta, una metropoli che ormai conta 14 milioni di abitanti, c'è un movimento sotterraneo. Nascoste ai più, vivono persone che non hanno niente, che spariscono, completamente sommerse dalla popolazione. La città rappresenta un centro importante per le migrazioni interne all'Indonesia, soprattutto dai territori di Java, una tappa per moltissimi che lasciano le isole minori per cercare di ricostruirsi una vita, attratti da un sogno, spesso illusorio, di benessere. Sanja Jovanovic, fotografa di Sarajevo, ha scavato proprio in queste pieghe. E trovato il rifugio di gran parte di queste persone. Il suo progetto Kamar, che in indonesiano significa piccole stanze, ha varcato i confini segreti del ponte principale di Jakarta, il Kuningan bridge. All'interno di questa mastodontica struttura in cemento armato hanno trovato dimora centinaia di migranti. La struttura ha una serie di piccoli cubi. E proprio qui si è arenata la ricerca di un futuro migliore. Le stanze sono povere, piene di sopravvissuti, che si riparano per la notte, tra materiali di costruzione abbandonato e pavimenti in legno. Una vita sotterranea, partita con le migliori intenzioni. E finita a trascorrere tra le fondamenta di un ponte.

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Una fotografia tratta dal progetto Karma di Sanja Jovanovic, in esposizione al Festival internacional de fotografia di Belo Horizonte



Un'opera della serie Stage, del fotografo taiwanese Shen Chao-Liang, in esposizione al Festival internacional de fotografia di Belo Horizonte

Atmosfere

Camion abbandonati nei quartieri più lontani dal centro. Enormi tir parcheggiati, apparentemente lasciati lì per sempre. Che improvvisamente si aprono ed esplodono in un vortice di colori. Questa è la base del teatro taiwanese. Dagli anni 70 in poi le compagnie teatrali, soprattutto quelle specializzate in musical e danza, hanno preso a muoversi nelle città, improvvisando palchi nelle zone meno usuali della città. Un'abitudine che ben presto si è trasformata in una delle caratteristiche più curiose di tutta Taiwan. Negli anni 90, però, qualcuno pensò di ottimizzare il tutto. La necessità di un trasporto si unì alla comodità di avere uno stage sempre pronto all'esigenza. E come, se non convertendo i camion in enormi palchi semovibili? Tolta la paratia esterna, questi esplodono in una miriade di colori. Di luci psichedeliche. Le casse, le più potenti in circolazione, sparano musica a tutto volume. E così accendono di trip ipervisivi anche le periferie più scure. L'obiettivo di Shen Chao-Liang è andato a raccogliere queste testimonianze polisensoriali. Che trasformano desolati paesaggi periferici in luoghi ai confini con la realtà. Matteo Zampollo

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Un'immagine della mostra Alta moda by Mario Testino, in scena al Mate di Lima

Photo

Testino's couture gallery

Click! Moda ed esplorazione etnica si alimentano a vicenda in alcuni tra gli scatti di uno degli obiettivi più famosi al mondo, per aprire uno scorcio curioso e cromaticamente impattante sulla cultura peruviana. Lui è Mario Testino, il fotografo preferito dalle star ma non solo, e lo dimostra continuando a sostenere la Mate-Asociación Mario Testino, associazione culturale no-profit da lui fondata nel luglio 2012 nella città che gli ha dato i natali, Lima, in Perù, con lo scopo nobile di sostenere gli artisti peruviani ma anche internazionali, oltre che rappresentare una piattaforma permanente, aperta democraticamente a tutti, per l’esposizione dei sui lavori. Come seconda exhibition dall’apertura (la prima ad essere organizzata è stata quella dello scorso febbraio al Prism di Los Angeles), Mate ha presentato «Alta moda», una ricca selezione di ritratti firmati dall’artista che indagano e mostrano i costumi tradizionali e da festa delle popolazioni peruviane originarie delle regioni montane del Cusco, in una vera e propria esplosione di colori, delizia per gli occhi. Un lavoro realizzato durante

diversi viaggi, organizzati in oltre cinque anni, che ha richiesto una lunga ricerca alla scoperta del prezioso heritage vestimentario della regione. Ispirandosi alla storia della fotografia del paese sud-americano, l’artista ha lavorato a stretto contatto con il nipote di Martin Chambi, ricreando per l’occasione alcuni backdrops ripescati dall’archivio personale di uno dei maggiori fotografi latino-americani. Ed ecco che il concetto di alta moda, generalmente utilizzato per indicare le collezioni haute couture delle maison del lusso, diventa motivo di riclassificazione di un guardaroba antico, dal sapore misterioso ed esotico, dove i costumi nazional-popolari vengono immortalati per donare loro una nuova vita, questa volta eterna. Il risultato è un omaggio alla tradizione della fotografia etnografica, di cui Testino si fa orgogliosamente portavoce attraverso i suoi lavori, anche in quelli dedicati alla moda, in cui una sola immagine, forte e dirompente, si fa ambasciatrice di un’intera storia, spesso e volentieri dalle radici lontane. Elisa Rossi

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Performance

Indian kaleidoscope XXL Cerchi concentrici di luce. Chakra di canuttiglie. Frattali di cristalli. Per tappeti 100% olandesi firmati dall’artista Suzan Drummen, formata creativamente tra Germania e Paesi Bassi. Pavimenti come mosaico, opere come piastrelle di chiese bizantine. I rosoni, quasi illustrazione del sistema tantrico, diventano in tre dimensioni. Colorati da un arcobaleno prismico di Swarovski, metallo cromato, pietre preziose, specchi e lenti ottiche per dipinti da pavimento. Le opere della Drummen sono sculture murarie, che mimano certe iscrizioni sanscrite, studiate ad hoc per essere momentanee e in costante evoluzione. Perché tutto appare ordinato, aggrappato al suolo, inerpicato sulle pareti, appeso e inchiodato saldamente, ma è solo un’ulteriore illusione ottica. Una magnifica finzione offerta dall’artista al suo spettatore. L’olandese, infatti, appoggia il tutto e lo abbandona al divenire, alle mutazioni naturali. Vulnerabile, effimero all’ennesima potenza, esattamente come il lusso dei décor della società odierna, e in balia degli eventi, affidandosi alla buona coscienza del fruitore. «È un atto

di fiducia», ha spiegato Drummen, «nulla è fissato con la colla al pavimento, ogni singolo pezzo è modificabile». Per un’opera che cambia i connotati con il passare dei giorni di esibizione. Le installazioni sembrano mimare quindi una pioggia di bindi indiani, posizionati per definire il sesto chakra, la sede della saggezza nascosta. A un primo sguardo appaiono nella mente gli occhi di Shiva o gli Evil eye turchi e greci. Oltre a tanti altri amuleti, rubati alle tradizioni popolari worldwide. Così come gli elementi della terra, le simmetrie che naturalmente crea, dei cerchietti impressi sull’acqua del lago dal rimbalzo di un sasso. Intimità sparkling, di oggetti che attingono dalla tradizione kundalini. Che da lontano paiono un conglomerato geometrico e ordinato, ma più il soggetto si avvicina, più l’occhio rimane disorientato dal caleidoscopio di dettagli e stimoli visivi. Il riverbero delle luci rimbalza in ogni direzione, gli anelli di colore giocano con lo spazio in cui vengono installati, tra oasi multicolore e miraggi onirici. Francesca Manuzzi

Un’installazione di Suzan Drummen all’Akkuh di Hengelo, in Olanda

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Abdul Abdullah, Casey Ayres e Nathan Beard durante una delle performance

People

Ambasciatori d’asian style

Australiani con un parente asiatico. Abdul Abdullah, Casey Ayres e Nathan Beard sono ambasciatori naturali di un dilemma. I tre artisti di base a Perth lavorano e stressano il linguaggio delle classificazioni razziali con dipinti, installazioni, video e sculture. Eurasian, mulatto, blasian o cablinasian, come una macchina etichettatrice. Il trio lascia da parte i gangli dell’attualità politica e del labelling e, dal 2011 a oggi, si trasforma in figli coronati dell’Imperialismo. «Non siamo occidentiali, ma nemmeno asiatici. Siamo alieni, etnicamente ambigui, apolidi, che vivono in una torretta di osservazione», hanno spiegato. Con copricapi da Ram Thai, delle caste più alte del Bengala, dei fasti arabi, mettono in scena una pantomima placcata oro, un summit tradizionale facsimile, che celebra la globalizzazione e promuove il dibattito. The greater Asia co-prosperity sphere trasforma in macchietta il concetto pan-asiatico ideato dal ministro degli Esteri giapponese Hachiro Arita nel 1940 per

promuovere l’Asia per l’Asia, capitanata dal Giappone, dopo la fine del colonialismo occidentale. Lo stesso accade in Interregna, altro lavoro che li vede uniti per sintetizzare, in arte, i cambiamenti sociali sulla tolleranza. Come Oliviero Toscani negli anni 90 con le sue campagne controverse e oggi entrate nel mito, i tre artisti giovanissimi parlano dell’immaginario e dei décor sovraccarichi della cultura asiatica, di come entrino nella quotidianità, camminino per strada, si integrino tra le opere d’arte contemporanea. Come logo per distinguerli worldwide un Buddha seduto che si prende cura di un koala, in un gioco preciso con i cambiamenti dell’identità culturale aussie. Abdullah ha addirittura vinto il Blake prize for human justice. Come moderni Nelson Mandela o Martin Luther King, che sfruttano l’arte e l’happening per rendere facilmente fruibile un dibattito che divide da millenni. Francesca Manuzzi

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Museum

La frenesia di cultura Una nuova rivoluzione di idee si sta consumando in Cina. Un fiorire, senza sosta, di poli museali ed exhibition creati per dare un’anima all’incredibile impero industriale. Una forte scossa educativa, ma forse un po’ avventata

Un altro anno in crescita. L’incredibile economia cinese non perde colpi, neanche quando l’assetto economico globale sembra stia tornando verso la normalità. Chi additava la crisi per giustificare il successo del sistema orientale deve ora guardare con ammirazione a una previsione di crescita del 7,5% dell’economia del Paese. Ma il governo non si accontenta dei muscoli mostrati finora. Vorrebbe sviluppare anche la mente. La proverbiale mens sana che serve per un altrettanto sano corpore. Un mecenatismo tipico delle potenze mondiali forti, e ancora più tipico degli Stati con forte identità nazionale. Così, da Pechino si sta espandendo un piccolo paradiso museale. Che sembra seguire e sorpassare le intenzioni del governo locale, che nel 2006 aveva dichiarato l’intento di aprire mille musei in dieci anni. Cento all’anno, quindi. Ecco, solo nel 2011, ad esempio, i musei aperti sono stati addirittura 395. Una cifra che ha dell’incredibile, soprattutto se


Un’installazione del Shanghai museum of glass

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paragonata alla cinghia stretta che vive l’arte nel mondo occidentale. Tanti gli industriali che finanziano queste iniziative. Non ultimi quelli della Shanghai glass company, principale sponsor, ça va sans dire, del Shanghai museum of glass: una sequenza di installazioni ed esibizioni con lo scopo di: «Condividere gli infiniti utilizzi del vetro». Gli spazi sono bellissimi, mastodontici, creati da architetti famosi (di poche settimane, il premio portato a casa da Jean Nouvel, che si è aggiudicato il concorso per disegnare il National art museum of China, ndr). Hanno strutture adeguate ad ospitare file di visitatori. Ma, dentro? Ecco, qui arrivano i problemi. Dentro, molte volte, non c’è niente. Le scatole sono meravigliose, immaginifiche. Il Museo dell’Ordos, palazzo disegnato dal collettivo Mad architects, sorge ancora vuoto nel deserto del Gobi. Ed è così da due anni. I problemi sono tanti: le collezioni private hanno portato via molti degli artefatti storici locali. I saccheggi hanno fat-

to il resto. La censura, anche, ha dato una grossa mano. La furia cinese moderna ha sviluppato, così, un rapporto non semplice con la sua storia millenaria. Che fare allora? Ci si arrangia, un po’. Come all’inizio delle rivoluzioni culturali. Anche rischiando figure non proprio rispettabili. Wei Yingjun, consulente del Jibaozhai museum di Jizhou, ha dovuto ammettere che soltanto circa 80 pezzi, su 40 mila artefatti storici esposti nel museo, sono risultati originali. Gli altri? Falsi, evidenti, con errori storici giganteschi. Tanto da far chiudere lo spazio, costato oltre 7 milioni di euro appena tre anni fa. Perché, è la domanda che sorge spontanea. Forse, è semplicemente il figlio di una cultura troppo chiusa nel tempo che non ha ancora sviluppato basi abbastanza solide per approcciare con rispetto l’arte e la propria storia. E che prova costruirsi un passato almeno verosimile. Matteo Zampollo


Art

New african avant-garde Sud Africa del cuore. Che si regge su gambe sempre più forti, muove le sue mani lavoratrici. Lo confermano mostre e installazioni worldwide dedicate a quell’arte la cui storia è in via di costruzione, così come le aste della Bonhams di Londra, leader nel mercato d’arte sudafricana, che a marzo 2013 hanno registrato 4,6 milioni di sterline di vendite. Con in cima il dipinto Chinese girl del russo-afrikaans Vladimir Tretchikoff, tra le opere più pagate del XX° secolo. Fino a Irma Stern, J.H. Pierneef, Alexis Preller e Stanley Pinker. Tutti frutti del post-apartheid e del periodo a colori segnato dalla liberazione di Nelson Mandela. Colori della pace, della Rainbow room dell’artista di Cape Town Pierre Le Riche in mostra itinerante in giro per l’Europa. Altra stanza in scala 1:1 è la cella dei 27 anni di prigonia di Nelson Mandela, riprodotta nel cortile del municipio di Parigi e che ospita My Joburg coniata da Maison rouge. In mostra i principali rappresentanti della scena artistica della megalopoli da 6 milioni di abitanti, che a quasi dieci anni dalla fine dell’apartheid, abolito nel 1994, è simbolo dell’evoluzione radica-

le della società sudafricana. Tra le opere, scene di vita a Soweto, le township e le mami sudafricane di Mary Sibande, artista 27enne super acclamata. Quelle signore XXL vestite di tutto punto, con abiti vittoriani dai toni vividi, narrano la storia controversa delle figure femminili che si sono prese cura delle case e dei bimbi degli occidentali per lustri. Johannesburg oggi è il cuore del fermento artistico, i quartieri un tempo pericolosi, oggi pullulano di gallerie, ospitano il Wits, museo dell’università del Witwatersrand, il Centre for historical re-enactments, la Trinity session, la Bag factory o l’August house, così come l’annuale Joburg art fair, che spinge sempre più il mecenatismo. Perché da mistero e misticismo, primitivo e primordiale, l’arte del Continente nero si focalizza su denuncia alla violenza e al sangue. Diventa terapia, capacità di assemblare dolore, vita, rivincita e amore. Mettendo in luce le ombre della realtà. La Sibande sarà ancora in mostra nella Ville Lumière dal 25 ottobre al Macval con la nuova serie The purple shall govern. Francesca Manuzzi

L’opera Wish you were here di Mary Sibande, che ritrae il suo alter ego e trademark Sophie

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CINQUETERRE designed by Vico Magistretti. Photography: Marcus Gaab



Book

L’enciclopedia delle tribù

Il progetto di Jimmy Nelson è un’avventura epica: fotografare le popolazioni rare di tutto il mondo, prima che scompaiano. Un’antropologia visiva, che cattura le forme di società più remote e nascoste, per scoprire anche come eravamo in passato C’è un continente che vive in mezzo agli altri continenti. Nascosto nelle pieghe della società contemporanea. Quindici milioni di persone divisi in 29 tribù diverse. Oltre 40 Paesi, toccati in 13 diversi viaggi. Un’impresa, vera. Un giro intorno al mondo che Jimmy Nelson ha intrapreso assieme alla sua macchina fotografica dal 2009 ad oggi. Con un intento molto chiaro. «Volevo testimoniare le loro tradizioni secolari, unirmi ai loro rituali e scoprire come il resto del mondo tenta di cambiare il loro modo di vivere per sempre. Più importante ancora, ho voluto creare un progetto fotografico con un’ambizione estetica, che supera la prova del tempo. Un ricordo etnografico che non può essere rimpiazzato da un mondo che scompare velocemente».

Before the pass away, edito da Teneus, è un’opera fotografica enorme. L’obiettivo di Nelson ha incastonato nel tempo qualcosa che respira il sapore dell’effimero. Anche se la speranza di tutti è che le prossime generazioni riescano a mantenere intatti tutti i caratteri unici delle loro culture. L’armonia con cui vivono a contatto con la natura è una rarità nei nostri giorni, del mondo globalizzato di cui queste popolazioni sono portatrici di valori introvabili. Che fanno vivere su sfondi unici, paesaggi che risultano i segreti meglio nascosti del pianeta. Che Jimmy Nelson ha raccolto con una camera 4x5, utilizzando un negativo dal formato straordinario. Per un motivo tecnico, ma soprattutto sentimentale: «Il dettaglio che si ottiene grazie all’uso di un negativo così


Sopra, la tribù degli Himba, in Namibia. Sotto una Dokpa, che vive tra India e Pakistan. In apertura, i Kazakh della Mongolia

grande fornisce una vista straordinaria all’interno delle vite emozionali e spirituali degli ultimi indigeni del mondo. Allo stesso tempo, glorifica la loro variegata e unica creatività, con le loro facce colorate, i loro corpi pieni di cicatrici, i gioielli, gli stravaganti tagli di capelli e i loro linguaggi rituali». In cui Nelson si è trovato immerso, dopo aver condiviso con loro non solo l’attimo della fotografia, ma dei passaggi di vita vera. Ha cenato, pregato, ballato con loro. Nelle montagne così come nei ghiacci, in mezzo alla foresta o nel nulla del deserto, ha condiviso momenti unici. Non sempre con semplicità. Oltre alle intemperie, alle tempeste di sabbia della Namibia, al gelo della Siberia fino ai vulcani delle Vanuatu, a preoccupare la spedizione spesso sono state anche le persone. In Etiopia, a fronte di fotografie dalla forte energia, Nelson ha dovuto affrontare le tribù guerriere locali, contrattando sulla base dei soldi, unico linguaggio universale. Il luogo migliore? La Mongolia. «Raramente nel progetto abbiamo visto un’armonia che coinvolgeva così tanti aspetti: l’estetica, i panorami, la cultura, il paesaggio, l’anima delle persone». Altre ancora hanno avuto un fascino speciale, una su tutte il Mustang, regno nepalese nel territorio del Tibet, inaccessibile fino agli anni 90, mai toccato da niente per millenni. E che ora è stato rivelato, assieme agli altri magnifici paesaggi, dall’obiettivo di Jimmy Nelson. Matteo Zampollo

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Beauty

Un’immagine dal backstage Givenchy spring-summer 2014. Photo Sonny Vandevelde

Le dee tribal di Givenchy India, Giappone e Africa. Il giro del mondo proiettato in passerella da Riccardo Tisci per la primavera-estate 2014 di Givenchy si illumina grazie a un grooming d’eccezione. Il make-up delle divinità della prossima spring-summer si anima attraverso le pennellate di Pat McGrath, influente truccatrice britannica, dando vita a un immaginifico work of art. Centinaia di cristalli Swarovsky provenienti da Los Angeles, Londra, New York e Austria rappresentano il viaggio-nel-viaggio sui volti delle ancelle, formando simulacri tribali multicolor, un perfetto richiamo alle mask ricamate sugli outfit, per un sogno dal sapore futuristicancestrale. Glitter, paillettes, perle, cristalli, cromie e pizzo nero raccontano così l’incontro-scontro tra diverse culture, libere da confini, che volano dal Continente nero alla terra dei ciliegi in un percorso tangibile ai limiti del surreale. Sulla passerella salgono fiere 17 maschere, ognuna delle quali ha richiesto due truccatori e quattro ore per la realizzazione certosina e l’applicazione hand made di ognuno dei 1.500 cristalli in oltre cinque sfumature. «È stato un lavoro organizzato al minuto», ha raccontato McGrath, che insieme all’hair stylist Luigi Murenu ha creato i look, «io e il mio team siamo arrivati nel backstage alle 9 del mattino, e abbiamo finito di preparare l’ultima ragazza alle 19.30, giusto mezz’ora in anticipo rispetto all’inizio dello show. Prima di quel giorno, solo quattro persone erano a conoscenza di cosa stavamo per creare». Per un risultato modern-tribal, ma allo stesso tempo curiosamente futuristico. Ed ecco che le feroci guerriere Masai sono pronte a intraprendere l’attraversata di deserti e fiumi con in mano ramoscelli immaginari di Sakura, facendosi portavoce della multiculturalità moderna e della bellezza effimera, vestite da fluidi kimono e drappeggi dinamici. Così come da sottili strisce di pelle cucite a plissé, piume di condor e sequin ricamate a tre dimensioni per ricordare la pelle squamosa dei serpenti. Elisa Rossi

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A.D. ph. Michele Poli

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letto MARGARETH design C. Marelli / M. Molteni


Fashion

Nella foto, look Stella Jean s/s 2014, cappello Superduper hats per Stella Jean Servizio e foto: Stefano Roncato Photo consultant: Michele De Andreis Grooming: Bonnie @ Greenappleitalia.com Model: Kim Freire @ Independent men Location: Riccardo Grassi showroom - Milano

Una Stella multiculturale

Una storia di multiculturalità. E un nobile progetto di fucina delle etnie. Stella Jean, giovane e promettente designer di origine italo-haitiana, si fa portavoce delle sue radici personali, come di quelle del mondo intero, all’interno delle sue collezioni. Non solo concettualmente, ma anche e soprattutto pragmaticamente. Come ad esempio durante l’ultimo show femminile dedicato alla primavera-estate 2014, andato in scena all’Armani/Teatro, dove l’ispirazione è un viaggio affascinante attraverso i continenti, per un nuovo concetto di plurietnicità. L’occasione si concretizza nel programma portato avanti con l’International trade center, agenzia dell’Onu e dell’Organizzazione mondiale del commercio, da dove prende vita l’Ethical fashion initiative, il piano attivo dal 2008 per favorire la realizzazione di prodotti artigianali di lusso creati attraverso processi eticamente sostenibili al 100%, a cui hanno aderito diversi designer worldwide come Vivienne Westwood e Stella McCartney. Coinvolgendo di-

rettamente le comunità svantaggiate che vivono in Africa occidentale e orientale oltre che ad Haiti, e creando in loco infrastrutture e posti di lavoro, in prevalenza indirizzati alle donne artigiane, tutelando tutte le preziose pedine che compongono la fashion chain, sotto l’efficiente imperativo del «Not charity, just work». «Questa collaborazione rappresenta la possibilità di applicare il concetto di métissage a tessuti che nascondono tra la trama e l’ordito tradizioni dal respiro centenario e che aspettano solo di essere scoperte», ha raccontato la stilista che ha lanciato la sua prima collezione uomo lo scorso giugno durante PItti immagine uomo. «Un dialogo tra sartorialità italiana e patrimonio culturale del Burkina Faso: matrimoni trasversali di inesauribile ricchezza nell’ottica della multiculturalità». Per un’idea di moda che sceglie lo scambio tra culture come bandiera di un messaggio concreto, prima ancora che estetico. Elisa Rossi

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Collectibles

Esperimenti di street art

Caravanserai. Un pellegrinaggio visivo. Prima tra Giappone, Usa e Brasile. Oggi, la seconda tappa del tour immaginifico creato da Louis Vuitton e le mani dei suoi artisti tocca Uk, Indonesia e Tunisia. Per un giro del mondo, con la celebre maroquinerie alla mano e foulard di seta impalpabili impirolati al collo. Il progetto Foulards d’artistes par Louis Vuitton torna. Il nuovo team annovera il graffittaro londinese Eine, l’indonesiano Eko Nugroho e il franco-tunisino eL Seed. Tre nuovi street artist che, dopo il lavoro di Aiko, Retna e Os Gemeos, proseguono il viaggio creativo per l’autunno-inverno 2013/14. La maison del gruppo Lvmh ha creduto ancora una volta nella forza dei writer per creare le reinterpretazioni del maxi foulard in seta, riaffermando il lungimirante trait d’union con arte e design. Mecenatismo nato nel 1988 coinvolgendo artisti contemporanei del calibro di Gae Aulenti, Andrée Putman e Philippe Stark per il concept di disegni esclusivi per i tessili della maison. Legame poi consacrato con l’arrivo di Marc Jacobs e le sue collaborazioni. Dalle mille parole del graffittaro Stephen Sprouse nel 2001 al bombing di fiori di Takashi Murakami. Poi le infermierine dipinte da Richard Prince e il mondo fluttuante e dotty di Yayoi Kusama. Le novelle sono tre riquadri di seta, che si fanno tavolozza d’artista. Neon giant square, questo il nome dell’opera di Eine (nella seconda foto a destra, dall’alto), parla di «great adventures», strillate assieme al brand con font in technicolor. Poi, Eko Nugroho e il suo Tropical giant square (nella foto in alto), che mescola la tradizione indonesiana e un retaggio pop, per dar vita ad animale fantasy e super colorato, posato sul dorso squamoso di un coccodrillo chimerico. Il franco-tunisino eL Seed, con il suo magno esercizio di buona scrittura Calligraffiti giant square (nella foto in basso), pennella sul Monogram le memorie di motivi ancestrali, in cui l’alfabeto arabo s’interseca in vortici fucsia e filigrana dorata. Tra arte e fantasia. Logo e astrazione. Francesca Manuzzi

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Video

Mexicans play hard A Monterrey, Messico, stanno succedendo delle cose strane. O meglio, si sta concentrando una serie di suoni particolari che vengono assimilati e riassemblati in una nuova forma. Si prende un po' di musica tradizionale locale, come il Norteño, tutto fisarmoniche e chitarre a sei corde. Poi qualche canto indigeno, cori e litanie. E si mescola tutto con la dance di stampo Usa. Che alla fine dista soltanto 200 chilometri. Quello che esce è il cosiddetto tribal. Un genere di musica elettronica che sta impazzando al confine tra il Messico e gli States. Non è un mercato di nicchia, attenzione: i maggiori esponenti, o meglio, quelli più pop, bellocci e idoli delle ragazzine della zona, i 3ball Mty, sono stati invitati all'ultimo Coachella, festival-Mecca dei suoni alternativi. È forse guardando a questo fenomeno interessante che David Guetta ha pensato «Perché no?». Perché non onorare tutto il mondo tribal, i loro sterotipi, positivi o negativi che siano, nel clip del suo ultimo singolo? Così il video di Play hard, che ben poco ha a che fare stilisticamente con questo mondo, vista la partecipazione dei due rapper Ne-yo e Akon, si è trasformato in un'ode al Centroamerica. Il regista Andreas Nillson ci ha messo del suo: oltre a pescare dai video più classici del genere (da qui gli epici stivali appuntiti dei protagonisti, una via tutta messicana ai Leningrad cowboys), ha preso spunto da un bel po' di filmografia «colta», più o meno recente. L'Harmony Korine di Spring breakers nella scena del ghiacciolo, le maschere dorate omaggio alle scene più angoscianti di Eyes wide shut, ma anche alla lucha libre locale, e un tocco della mitologia sportiva disegnata da Matthew Barney, visionario compagno di Björk e quotato artista. Il risultato? Una mezcla, come direbbero da quelle parti. Ma che suona un po' come una presa in giro. Per dirla politically correct, una sapiente esagerazione di alcuni luoghi comuni. Ma con la certezza che la vita oltre la frontera non possa essere poi così diversa. Matteo Zampollo Nelle immagini a lato, alcuni frame tratti dal video Play hard di David Guetta, realizzato dal regista Andreas Nillson

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photo: www.studioventuno.eu

www.ceramicaflaminia.it Mono’Noke’/Patrick Norguet, Compono System/Cappellini e Talarico


La formazione dei Tinariwen ritratta nel deserto del Mali

Music

Rock in the desert

Una lattina, un bastone e il filo dei freni di una bicicletta. Quarant’anni dopo, un Grammy. In mezzo una storia incredibile, di unione, di interculturalità. Di sfide e difficoltà. Tutte vinte per amore della musica. E di quello che rappresenta. La storia di Ibrahim Ag Alhabib è una di quelle su cui scrivere un romanzo: rimasto orfano di padre, un ribelle Tuareg ucciso davanti ai suoi occhi con un’esecuzione durante le rivolte del Mali nel 1963, ha vissuto da rifugiato prima in Algeria, poi in Libia. Negli anni 80 ha fatto parte dell’esercito sahariano di Gheddafi, formato dai Tuareg più valorosi, poi di quello dei ribelli della Libia. Nel 1989 è, infine, tornato a casa, dopo 26 anni, nel villaggio maliano di Tessalit. Ma tutti questi spostamenti, questi viaggi, hanno sempre avuto in comune un filo conduttore ufficioso. Che era quello della musica. La lattina, il bastone e il filo dei freni della bicicletta. Questa è stata la prima chitarra di Ibrahim, creata dopo aver visto un cowboy suonarla, in un vecchio film western. Quando arriva il primo strumento vero, lui si è già appassionato ai suoni nordafricani. Quelli più classici, i canti di ribellione. Ma anche tutte le influenze che arrivavano negli anni 70. Santana, Elvis, i

Led Zeppelin, Bob Marley. Un calderone che univa lui e altri suoi quattro compagni di viaggio. «Quelli del deserto», li chiamavano, Kel Tinariwen, in linguaggio Tamashek. Il collettivo inizia a farsi conoscere, e quando arriva la chiamata per l'esercito libico espande la formazione, scrive le prime canzoni, dal forte valore politico. Il nome cambia e diventa solo Tinariwen. All'inizio degli anni 90 iniziano a capire che quello potrebbe essere un vero lavoro: si dedicano alla musica full-time, sempre mescolando le influenze, i suoni del blues e del rock. Verso la fine del secolo, Ag Alhabib e i suoi, sempre in formazione diversa, a seconda della reperibilità dei singoli, attirano le prime attenzioni internazionali. Partecipano a festival in tutto il mondo. Hanno fan come gli U2, Brian Eno, i Coldplay. Nel 2010 rappresentano l'Algeria alla cerimonia di inaugurazione del Mondiale di calcio in Sudafrica. L'anno successivo, l'uscita del loro album, Tassili, che scala le classifiche mondiali. Un risultato incredibile, che vale la vittoria del Grammy come Best world music album. Quarant'anni dopo la lattina, il bastone e il filo dei freni del giovane Ibrahim. Matteo Zampollo

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L'ingresso del burger bar Al mercato, in via Sant'Eufemia a Milano

Haute cuisine

United colors of food

Un incontro avvenuto alle scuole medie. E una passione comune per il cibo. Poi le scuole di cucina, i viaggi per il mondo, a mangiare e imparare. Il ritorno in Italia dietro i fornelli e poi la scommessa vera. La storia di Beniamino Nespor ed Eugenio Roncoroni, chef e amici, tocca Milano, California e Paesi Bassi. Per scrivere una storia che la città della Madonnina sta imparando ad apprezzare Al Mercato. Con un pochino di arroganza spavalda, si sono messi in testa di fondere un sacco di cose in pochissimo spazio. La tradizione italiana, la testa nella cucina contemporanea Usa, un abbraccio ai cibi dell'Est. Tutto miscelato. Il risultato è un localino super hip diviso in due da una cucina a vista. Metà serve burger gourmet entusiasmanti, con ingredienti di altissima qualità. Oltre a cibi street da

tutto il mondo, dai nacho alla testa di maiale, dal thai food ai lobster sandwich. L'altra metà parla al mondo fusion, ma quello vero. Il tradizionale e il particolare in un clash di gusti continuo, una sorta di: «Critica sul classico», come la definiscono gli chef. A metà 2013 ha aperto anche la nuova avvenutura della coppia Nespor-Roncoroni: un Noodle bar. Che ovviamente non può essere solo noodle. In mezzo al menù si trova anche una selezione di hot-dog coraggiosi. Ancora una volta con ispirazioni da tutto il mondo, riassunte sopra il più classico dei würstel (anche qui ci si può sbizzarrire nella scelta della materia prima). Due micro spazi che racchiudono un mondo intero di cucina. Di ispirazioni. Di coraggio, innanzitutto. Matteo Zampollo

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Vivi l’eleganza senza tempo della nuova collezione GROHE Grandera. Una gamma esclusiva di miscelatori, sistemi doccia e accessori caratterizzata da una sensuale combinazione di linee sinuose e forme più decise, capace di trasformare in realtà il bagno da sempre sognato. Progettata, sviluppata e prodotta in Germania.

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Alhambra in

maro

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OCCO Che cosa succede quando due costruttori si innamorano di una delle architetture piÚ belle del mondo? Fanno di tutto per ricostruirla. CosÏ nasce Bin Ennakhil, una replica opulenta dei fasti del palazzo di Granada, riportati a Marrakech. Nel cuore della sua terra d’origine Testo Matteo Zampollo - Foto Kensington finest properties Marrakech

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In apertura di servizio, uno dei cortili interni di Bin Ennakhil. Nella pagina a fianco, uno dei saloni della casa, con vista sullo stagno lungo. In questa pagina, dall’alto, la sala da pranzo con caminetto, un salone interno e la piscina coperta

Non puoi mai sapere cosa trovi nei mercatini dell’usato, nelle librerie polverose. Quelle delle grandi città a volte nascondono tesori inestimabili, senza rendersene conto. Così può capitare di andare a Londra, a cercare tra carte ingiallite, spinti dalla passione per le anticaglie di valore. E trovarsi all’improvviso tra le mani una piantina. Una piantina di un palazzo molto speciale. Questo è successo a una coppia di costruttori che in un attimo ha avuto la possibilità concreta di realizzare la propria ossessione. Quella che li segue da quando si sono conosciuti. Entrambi sono innamorati del palazzo di Alhambra, a Granada, un esempio meraviglioso di come le occupazioni musulmane abbiano portato una ricchezza culturale incredibile e unica nelle terre della Andalusia. E tra le carte polverose, hanno trovato proprio una replica dei progetti originali del palazzo. Guardandosi negli occhi, hanno capito che si poteva fare. Il loro sogno poteva realizzarsi. Non in Spagna, ma nella terra più adatta per queste forme, quella da cui hanno preso origine. Primo aereo verso Marrakech, quindi, alla ricerca di uno spazio abbastanza grande per accogliere il loro glorioso sogno. Lo trovano all’interno di un parco di palme di 11 acri. Un luogo perfetto per costruire la loro replica. Ovviamente i tempi non sono veloci, l’opera è enorme, i dettagli infiniti, soprattutto richiedono un artigianato accurato, per ricreare al meglio le atmosfere ricche del tempo. Tre anni,

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A lato, un corridoio che porta verso la zona notte. Qui sopra, dall’alto, uno degli otto bagni della costruzione e una stanza da letto padronale

durante i quali lavorano 1.300 operai, tra cui compaiono manodopere specializzate. Ora Bin Ennakhil, l’abitazione, è un tributo eterno alle abilità e alla ricchezza dell’artigianato tradizionale marocchino. Legno di cedro finemente cesellato, zelige (le tradizionali piastrelle marocchine) dai mille colori e intricati intonachi iperlavorati, che emanano sapori orientali, grazie ai sapienti riflessi dorati. Tre le costruzioni del palazzo, una casa principale, una guest house e una dependance dedicata al personale di servizio. Ogni stanza della casa è trasformata in una meraviglia, che si svela appena si aprono le porte. Gli spazi sono ampissimi, anche grazie soffitti alti oltre 14 metri. Un’altezza che ha obbligato i costruttori a studiare un riscaldamento a pavimento, per trasportare al meglio il calore, altrimenti disperso negli immensi volumi dell’abitazione. Otto camere da letto, ognuna con un camino, più otto bagni, divisi equamente tra le due costruzioni. Una parte coperta che arriva a misurare oltre 5.500 metri qua-

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In questa pagina, in alto lo stagno Main Menara e, a sinistra, i sentieri piastrellati del giardino delle rose

drati. L’esterno è addirittura più ricco e rigoglioso dell’interno. Sostituendo le decorazioni manuali alla forza e all’eleganza della natura. Un giardino studiato ad hoc che si interseca e dialoga naturalmente con il parco esistente, creando l’illusione che la casa sia lì da secoli, tanto è circondata e sommersa dalla flora rigogliosa della zona. L’ispirazione di matrice andalusa è evidente anche qui, con sentieri decorati dalle forme geometriche. Un percorso piastrellato, labirintico, divide la foresta di bamboo dai giardini dedicati alle piante grasse e agli aranci, e alle rose ornamentali. Piantate in 1.200 unità, sono rinfrescate da una serie di ricche fontane di marmo, realizzate a mano, che toccano quota 60. Tante le varietà di piantagioni, nelle aree verdi disegnate dal talentuoso landscaper locale Ahmed Bentaher. Che ha studiato la posizione di una quantità incredibile di vegetali: 100 cipressi, 286 ulivi, 150 cedri e oltre 2 mila palme, divise tra tradizionali e Phoenix, che si aggiungono a quelle infinite del parco in cui è stata costruita l’abitazione. Per non parlare del disegno delle siepi e delle aiuole, geometricamente perfetto. Ma non ci sono solo le zone verdi ad abbellire l’esterno di Bin Ennakhil. Ci pensano anche due stagni (il Main Menara e uno secondario, lungo 77 metri) e tre piscine, una per edificio. Oltre a una Jacuzzi per esterni lunga 12 metri. Una casa dal valore inestimabile che è attualmente in vendita presso la filiale locale di Kensington finest properties, agenzia affiliata a Christie’s real estate. Pronta a iniziare una favola nuova, ancora tutta da scrivere.

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Symphonia. a g r e at s e n s i t i v i t y to c r e at i v i t y

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Living in a small world Piccoli pianeti a sĂŠ stanti. Mondi paralleli scoperti dopo anni di navigazioni pionieristiche. Il design rivela il suo lato cosmopolita, cogliendo ispirazione dalle piccole tradizioni locali. E fondando cosĂŹ la sua visione di un living moderno, dal linguaggio glocal a cura di Cristina Morozzi - artwork GiorgioTentolini


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B&B Italia

Hive, serie di pouf con struttura in metallo e rivestimento in pelle lavorata a effetto nido d’ape. Design Atelier Oï


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Fratelli Boffi

Trono Rococò, sedia con alto schienale in legno laccato. Design Ferruccio Laviani


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Fendi casa

Vague, pouf con struttura in acciaio verniciato e seduta in pelliccia. Design Maria Pergay


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Fabbian

F22 Clove, lampada a sospensione con struttura in acciaio zincato, verniciato a polveri. Design Dompieri&Pisoni


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Carpenters workshop gallery

Sushi, specchio a muro della collezione Ocean, con cornice sagomata in stratificato rigato. Design Fernando e Humberto Campana


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Baxter

Molly, poltrona con rivestimento in pelliccia di Kalgan. Design Doriana e Massimiliano Fuksas


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Quello di cui sono fatti i sogni Mobili in finitura Lino

Un‘insolita eleganza tessile, pensata appositamente per il bagno: Happy D.2 in finitura Lino. La serie per il bagno dal fascino femminile che seduce grazie all‘inconfondibile linguaggio delle sue forme: bordi sottili, curvature delicate e al tempo stesso massima funzionalità. Scegliere un bagno Duravit significa sempre optare per una tecnologia innovativa, la massima qualità e l‘originalità del design firmato Duravit. www.duravit.it


GLOBAL

COUTURE

CODES Europa, con uno sguardo a Parigi. E poi Asia, America e Africa. Sono quattro le anime della collezione d’alta moda immaginata da Raf Simons per la maison Dior. Che ha chiamato quattro fotografi cult come Patrick Demarchelier, Paolo Roversi, Willy Vanderperre e Terry Richardson per interpretare, ognuno, un continente. Nel segno di una rinnovata multiculturalità femminile, svelata in questo portfolio esclusivo

Testo Giampietro Baudo - Foto Terry Richardson, Willy Vanderperre, Patrick Demarchelier e Paolo Roversi

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L’Africa secondo Terry Richardson. Look Dior couture fall-winter 2013/14


Quattro continenti, quattro storie di stile precise e differenti. Ma anche quattro obiettivi fotografici chiamati a raccontare la haute couture contemporanea. Raf Simons continua nel suo percorso di trasformazione dell’alta moda e di quotidianizzazione del lusso scegliendo di rendere omaggio ad Europa, con un focus particolare sulla Parigi dove ha sede la maison, Africa, Asia e America nella collezione portata in scena per la maison Dior. E scrive un

nuovo capitolo di alta moda, partendo dall’autunno-inverno 2013/14. «Sto cercando di portare un senso di verità nella couture... Ho iniziato a guardare le clienti che visitano il nostro atelier e che provengono da tutti i continenti, con le loro differenti culture e il loro stile personale», ha spiegato il designer belga, «la collezione non è soltanto parigicentrica, ma racconta di un Dior che si confronta con il mondo intero. E di come culture diverse

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Nelle immagini, l’America secondo Willy Vanderperre. Look Dior couture fall-winter 2013/14


L’Europa secondo Patrick Demarchelier. Look Dior couture fall-winter 2013/14

possono influenzare il mio lavoro e quello dell’atelier». Per scandire il percorso di trasformazione e di quotidianizzazione di un’alta moda 2.0, il designer ha chiamato quattro maestri dell’obiettivo: Patrick Demarchelier, Paolo Roversi, Willy Vanderperre e Terry Richardson, ognuno scelto per interpretare i mondi che coabitano in passerella. Che si tratti, rispettivamente, dell’Europa con il suo ésprit parisienne o dell’Asia, pulita e architettonica. Che si parli dell’America, audace e active, o ancora dell’Africa, in un turbinio di cultura ancestral-tribale e riferimenti estetici al mondo Masai. «Quello che ho cercato di fare con questo progetto è stato portare

un senso di realtà nel mondo dell’alta moda. E questa collezione si concentra in modo specifico sulla realtà stessa delle donne, che si confrontano e che cercano di raccontare con un abito la propria personalità e la propria cultura», ha aggiunto il designer, «non si tratta soltanto di capire come porteranno i vestiti, ma anche come sceglieranno di indossarli. La loro libertà di scelta non farà altro che sottolineare la loro personalità». In un melting pot d’atelier, costruito dalle mani sapienti delle premières, che dal palazzo parigino di avenue Montaigne raccontano il mito di monsieur Christian con un linguaggio sempre più globale.

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L’Asia secondo Paolo Roversi. Look Dior couture fall-winter 2013/14


wunder La Vecchia Milano e i grattacieli di Porta Nuova; 16 anni con Ferré e l’alba di un nuovo brand. Così nasce la casa di Liborio Capizzi, tra cimeli di viaggio e ricordi di persone. In una stanza delle meraviglie, dove vive un prét-à-couture moderno e cool Testo Francesca Manuzzi - Foto Antonio Intorcia Cuscini creati da poncho messicani. Cornici barocche in total black e casse da spedizione americane a uso e consumo della vita quotidiana. Liborio Capizzi esegue un taglia e cuci magistrale anche per la sua abitazione. Che altro non è che un ibrido, ovviamente: casaatelier, refugium pensatorum, cabinet de curiosités. Nella zona più meticciata di Milano, tra la nuova Porta Garibaldi e corso Como, mette le radici quello che per 16 anni è stato il braccio destro di Gianfranco Ferré. In uno spazio di 300 metri quadrati, al secondo piano di un palazzo anni 20, prende forma il primo avanposto della Di Liborio, una nuova label, che ristabilisce anche un legame con

L’open space dello spazio multifunzione di Capizzi, con parete ricoperta di opere, oggetti e ricordi accumulati negli anni


kammer

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Lusso nel cuore di Firenze

L’Hotel Savoy, nel cuore di Firenze. La base ideale per visitare la città, i suoi musei e fare shopping nei negozi più esclusivi. L’Incontro Bar and Restaurant con la sua atmosfera unica renderà il vostro soggiorno un’esperienza indimenticabile. Piazza della Repubblica 7 50123 Firenze T 055 27351 F 055 2735888 reservations.savoy@roccofortehotels.com roccofortehotels.com

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Berlino, Bruxelles, Edimburgo, Firenze, Francoforte, Londra, Manchester, Monaco di Baviera, Roma, San Pietroburgo, Sicilia. Prossime aperture: Cairo, Jeddah, Luxor, Marrakech.


A sinistra, il salotto con cuscini-poncho; sotto, l’open space con lampade cinematografiche, cover di album e fanzine di musica rock

il passato: «Perché tutto vive in armonia», ha spiegato il designer. Lo stilista, nato a Ribera in Sicilia e cresciuto in Toscana, dopo una vita al fianco dell’architetto della moda e un periodo speso worldwide in cui ha collezionato cimeli che ora albergano nell’appartamento-wunderkammer, rilancia con una collezione che unisce: «Ricerca, metamorfosi, rock, attitudine e couture, estrapolando dal contesto originario un elemento cardine del guardaroba femminile, per questa prima collezione la camicia». Così avviene anche per la casa. Due camere da letto, la cucina, due bagni, poi sartoria, ufficio, un salotto openspace e l’ingresso con bar ospitano gli oggetti più disparati. I classici del furnishing di design che annoverano poltrone etniche di Moroso, un mobile bugnato di Giò Ponti, sono avvicinati ai tappeti antichi sovratinti di nero, da cui traspare il disegno originale come fosse un ricamo, uno scudo zulu, mobili e scrivanie recuperati da uffici in smantellamento, la cornice croce installazione di Fabio Paleari. E, ancora, un tavolo ottenuto dall’assemblaggio di un vecchio

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Da sinistra, in senso orario, uno scorcio sull’opera di Fabio Paleari, specchio con dècor gotici del salone, la cucina con insegna Liborio a ideogrammi cinesi, la camera padronale e il bagno affrescato

cancello con ruote industriali e due strati di vetro con incastonata pelle di leopardo, poi illuminazione cucina-bar Sputnik, una vecchia insegna modificata con il nome Liborio scritto in cinese. Tra gli ospiti della casa, oltre a Capizzi, l’attività di Giorgia Mattioli, altra figlia d’arte e diretta discendente dell’industriale bolognese Franco Mattioli, fondatore e socio per decenni della Gianfranco Ferré, che gestisce la controparte imprenditoriale del brand Di Liborio. Un mix che accosta sacro e profamo, antico e moderno, design e brocantage senza indugi, in un métissage integralista. «Milano è un luogo magico», ha raccontato lo stilista, «quando ti sembra che sia sul punto di annoiarti, scopri un angolo nuovo. Anche ora, guardando dalle finestre, vedo il pennone e lo skyline dei nuovi building ed è uno spettacolo impagabile, che si innesta perfettamente tra le costruzioni della vecchia Milano».

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Photo: Cesare Chimenti

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Kin, lampada a sospensione. Design Francesco Rota

seletti

Zenobia e Smeraldina, servizio in porcellana

snaidero

Lux, cucina componbile. Design Nudesign

il giardino di legno Avalon, sedia impilabile in tondino di acciaio. Design Federica Ferrara

MultiCooltural


la murrina

Ballroom, lampadario a sei braccia in vetro di Murano. Design Samuele Mazza

artemide

Laguna, lampade sospese. Design Antonio Rodriguez e Matteo Thun

desalto

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Sail, porta televisore in metallo. Design Tokujin Yoshioka

Pleasure, divano lineare. Design Antonio Citterio

poliform

Mad, poltroncina con struttura in legno. Design Marcel Wanders

fratelli boffi

Good vibration, credenza in legno. Design Ferruccio Laviani

venini

Tavolino scultura in marmo e vetro soffiato di Murano, della collezione Osmosi. Design Emmanuel Babled

misuraemme

Bertha, sedia con braccioli, in legno massello e pelle. Design Carlo Marelli e Massimo Molteni

poltrona frau

Bolero, tavolo in legno massello. Design Roberto Lazzeroni

Il settembrino festival di letteratura di Mantova ha dedicato una delle sue giornate agli Afropolitan, scrittori che vengono dal Continente nero ma abitano a New York o Londra, sottolineando quanto sia

importante condire la vena narrativa con intensi sapori locali. Nel design il fenomeno della glocalizzazione (locale globalizzato) è sempre più frequente, quasi che la vena appassita del good design

debba essere rinsanguata per catturare le emozioni di un pubblico, sempre più informato ed esigente. Attenzione a non confondere il glocale, neologismo coniato dalla sociologia, con l’etnico. In fatto

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di stile l’etnico è ormai demodé. Non si prendono più a prestito tendenze già confezionate altrove, ma si sviluppa l’arte dell’ibridazione, mescolando in libertà non solo spunti provenienti da


porro

lema

Storage, sistema armadio. Design Piero Lissoni

Mirage, specchio da muro. Design Tokujin Yoshioka

magniflex

Materasso matrimoniale in gel antidecubito

baxter

Rocking Nepal, sedia a dondolo in metallo e rivestita in pelliccia di mongolia bianca

visionnaire

Chesterfield, letto capitonnè. Design Studio Memo paesi lontani, ma anche stilemi di epoche differenti. Le creazioni di Fernando e Humberto Campana, brasiliani, star internazionali del design, ma con studio a San Paolo dove ritornano a rigenerar-

si dopo le frequenti incursioni in giro per il mondo, sono l’esempio più significativo di questa fertile tendenza. Ferruccio Laviani, invece, fantasioso designer italiano, gioca in libertà con stili d’epo-

che diverse, osando improbabili assemblages di contemporaneo e barocco, per definire un nuovo sorprendente eclettismo. Sulla scia dei fratelli Campana, dal Brasile appare sulla scena internazionale

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una nuova generazione di designer che contamina la cultura tradizionale, alla cui riscoperta si dedicano con passione. Lo stesso accade con l’Africa, grazie anche all’intuito d’imprenditori illuminati,


la murrina

Le Jardin de verre, lampada in vetro di Murano. Design Alessandro La Spada

verpan

Moon, lampada a sospensione in polipropilene. Design Verner Panton

seletti

fantini

Levante, set doccia

Submarino, set da bagno in gomma

flaminia

Monò, ambiente bagno

grohe

Grandera, miscelatore monocomando

poltrona frau

Fiorile, tavolino basso in legno. Design Roberto Lazzeroni

flaminia

Wash, vasca da bagno

tra i quali, in prima fila, Patrizia Moroso. Che nel 2009 ha fatto lavorare a quattro mani designer europei e designer/artigiani del Mali per costruire la collezione Ma Africa, uno dei primi esempi di glo-

calismo. Il progetto Ma Africa era introdotto dalle parole rivelatrici della poetessa americana, originaria del Ghana, Maya Angelou: «L’Africa, come impressione, come idea, vive nel profondo dell’imma-

ginazione umana. Spesso la sua forma è oltre il potere della parola e il suo profilo giace sotto gli strati del recupero cosciente. Vive in tutti noi a un livello primordiale, inesplicabile, ma innegabile». La

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creatività, per dirla alla Zygmunt Bauman, scegliendo un passo di Vita Liquida: «È di casa in tanti luoghi e in nessuno in particolare». testo Cristina Morozzi artwork Marta Bandirini



Nelle foto, underwear Dsquared2

CARIOCA GYM Una tribÚ scultorea. Body conscious. Discoboli del 2013, al sole di Rio de Janeiro. Lo sport come rito propiziatorio e d’iniziazione. La moda del fitness come segno distintivo di una cultura del corpo senza confini

Servizio e foto Stefano Roncato

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Nelle foto, underwear e felpa Dsquared2. Models: Diogo Henrique e Nicolai Fritzen @ Eliangallardo

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shine a Una scorza nera e un cuore luccicante. Non è un minerale, ma la casa dell’artigiano della luce Philip Oakley. Nell’East Sussex, vicino a Londra, in un vecchio pub inglese refurbished, vivono lui, la moglie, i cocker spaniel e una caterva di luci neon. Croci, cuori tributo, facce cartoon e Queen Elisabeth: tutto extra luminescente, come in un luna park Testo Francesca Manuzzi Foto Daniela Exley e Joseph Fox


a light


Sopra, poltrone da cinema e due opere di luce dedicate alla madre di Oakley nel salone di casa, zona favorita dei proprietari. Nella foto sotto, un portrait del light designer

Fuori la bat-caverna. Nera come la pece e dalle reminiscenze di un vecchio pub londinese del 1901. Infissi, capriate e tetto total black. Scuri come nemmeno un mausoleo dedicato ad Anubi, divinità protettrice delle necropoli e del mondo dei morti. Ma quella che da fuori altro non pare che la magione di Mr e Mrs Adams, dentro si accende come la motrice di un camion da truck racing, urla come una tromba bitonale, gioca esattamente alla stregua di una slot machine o di un pachinko giapponese. Dentro a questo involucro fintamente creepy, alberga un dandy delle luci. Philip Oakley ha fatto del light design eccentrico una religione, una professione e la sua casa. «Sono in questo business da 20 anni, ma otto anni fa, mentre lavoravo nel resort Blackpool, che aveva una grande insegna luminosa old fashioned sul lato fronte spiaggia, ho deciso che avrei creato con le mie mani decorazioni ispirate al mare e ai luna park», ha spiegato il proprietario di casa. Che indossa solo

completi à la Savile row maniera, abiti gommati o camouflage dai tagli sartoriali, con camicia, cravatta, guanti, cappello e scarpe, tutto in coordinato. Matchato come la moglie Olivia Yip. Asiatica e chiaramente impeccabile, vivono a East Sussex, tra quelle opere che lo rendono il master dell’illuminazione d’antan. Shine bright like a neon. Quei neon 50s, bold e super colorati. Oakley e la moglie dividono la loro casa dalle mille e una luce con i loro due cani. Jarvis e Joe, due orange roan cocker spaniel, sono i guardiani del faro: «In charge of security and demolition», come li definisce nella sezione del sito della Philip Oakley illuminations a loro dedicata. Quindi, poco da guardia, ma onnipresenti e che indossano occhiali da sole nerdy, pull dalle mille righe marinière e cravattine rosse annodate al collo. Così come Oakley si veste da dalmata per posare insieme a loro nel portrait ufficiale. Ma non è l’unico puntino di stravaganza: «Il mio prototipo di bicicletta è un

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idee per la mia casa riflessisrl.it

PICASSO Credenza in rovere poro aperto bianco. Anta mito in acciaio martellato. www.facebook.com/Riflessisrl - Tel. (+39) 085 9031054 - info@riflessisrl.it Store Milano, piazza Velasca 6 - Store Napoli, viale Kennedy 415\ 419


Sopra, il salotto con tavolo in cristallo e area relax. Sotto, il magazzino-officina di Oakley nel seminterrato della casa

cavallo a pedali. Sarebbe interessante incrementare il turismo di Hastings, ampliando la marina, creando una struttura all’interno del faro che conti al top floor un ristorante e al pian terreno un hotel», ha fantasticato Oakley senza troppa fatica. Perché la sua vita è abbagliata da un sogno cartoon. Un circo di luci e giocattoli. Icone d’altri tempi luminescenti e arredi da flea market. Un imprenditore del mirabolante, con una collezione dal valore accecante più di un caveaux ricco d’oro. «Tre quarti di ciò che vendiamo è nostra manifattura, prodotta con componenti di giostre e carrozzoni, ma riadattate per l’uso domestico. Lavoriamo anche il neon, che è una vera e propria arte customizzabile», ha poi proseguito Oakley. La sua è una casa in primis, poi parco giochi, ufficio e magazzino. Con angoli bar nascosti, celati dietro a quadri luminosi. Tra le effigi emblema della cultura old school, come ancore, croci e cuori, campeggiano gli arredi che mantengono la loro funzionalità, ma si trasformano in completamento, lasciando brillare al centro della scena le luci, vere guest star della casa. La struttura dell’edificio ruota intorno al cuore pulsante della grande zona living, con milioni di luci e lucine,

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Nella foto in alto, la seconda camera da letto. Sotto, da sinistra, la cucina con insegne e accessori da tavola calda retro e lo specchio cabaret del bagno


Sopra, la camera da letto padronale. Sotto, uno scorcio del laboratorio, con light vintage ancora da riassemblare

divano, poltrone e un tavolo in cristallo con sedie cangianti. «È la mia camera preferita», ha spiegato Oakley. In quello stesso posto, si fumavano sigarette, bevevano birre e scotch: «La stanza ospitava il tavolo da biliardo e abbiamo preferito mantenere il parquet originale e reintegrare i lucernari. E nella mia stanza preferita anche i pezzi a cui sono più affezionato. Il neon che recita Lots of Love Mum X è una copia di una lettera che mi scrisse mia madre in vacanza dai suoi parenti al Lido di Venezia». Una casa carillon, che custodisce i tesori di famiglia, tra il mare e il verde di Hastings, a 90 minuti da Londra, dove Oakley continua a lavorare. «Vivevo vicino al Tower bridge, ma facevo continuamente viaggi qui per acquistare antiquariato. Poi, ho trovato a un prezzo stracciato questo vecchio pub ed era il luogo ideale per avere business e casa nello stesso spazio», ha continuato il light designer. Hastings, oltre a ospitare una popolazione creativa, conta mare, continui festival, architettura fiorente e un mercato del real estate dai prezzi abbordabili. E la casa museo di Oakley, super visitata. «Crea stupore. Le persone si sconvolgono che tutto questo non sia made in China», ha concluso.

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Le figurine di Royal Copenhagen raccontano la serenitĂ degli affetti, la gioia e il calore del Natale.

Distributore per l’Italia: Messulam S.p.A - Via Rovigno 13, 20125 Milano - tel. +39 02.283851 - fax +39 02.2610163 Ufficio Royal Copenhagen tel. 02.28385200 - ufficio.royalcopenhagen@messulam.it - www.messulam.it


LA PERSONALIZZAZIONE DELLA LUCE FIRMATA IGUZZINI

S

i chiama Laser Blade il nuovo fiore all’occhiello di casa iGuzzini che combina il design più minimale alla massima esperienza acquisita nei prodotti LED per il retail. La novità dell’azienda, con sede a Recanati, è un innovativo apparecchio che modifica la tipologia degli incassi e fornisce nuove opportunità per personalizzare gli spazi, utilizzando in modo intelligente i led. Una fascia lunga e stretta di soli 4 cm è il corpo di questo apparecchio di ultima generazione pensato per realizzare sofisticate scenografie luminose e per emettere una luce molto concentrata, con un cono a 25°. Il prodotto ha come vantaggio di poter lavorare anche con una luce generale, grazie a coni luce di 50° ottenuti con lenti molto efficienti e con un altissimo grado di anabbaglianza. Laser Blade,inoltre, adotta la soluzione che viene definita “cut off”: elimina i raggi luminosi che vanno a colpire gli occhi e che non servono a illuminare gli oggetti. È comunque assolutamente garantito l’elevato rendimento dell’apparecchio attraverso lenti che indirizzano il flusso luminoso nella zona voluta; quello che esce da questa zona, ovviamente il meno possibile nella corretta progettazione firmata iGuzzini, viena tagliato (cut off, appunto). Non ultimo vantaggio nell’utilizzo di Laser Blade, che si caratterizza anche per le dimensioni minimali, è quello di creare texture grafiche nelle applicazioni a soffitto che risultano così non più traforati da buchi luminosi, ma veri piani da disegnare. Il pregio della soluzione con il cono più stretto, è quello di concentrare la luce su superfici orizzontali: piani di appoggio, tavoli, pavimenti, dimostrandosi particolarmente adatta come luce d’accento che stagliandosi su pareti più scure valorizza per contrasto gli oggetti esposti nelle vetrine e sulle scaffalature. Il cono di luce più ampio consente anche di ottenere un’illuminazione generale. www.iguzzini.it

Tutti i dati e le informazioni contenuti nel presente Focus sono stati forniti dall’Azienda che ne garantisce correttezza e veridicità, a soli fini informativi.


03-la corbeille

Product

02-porro

Child of God 01-seletti

Il ritorno a uno stile di vita primitivo, essenziale. In un percorso evolutivo a ritroso, come quello di Lester Ballard nella pellicola diretta da James Franco 01-SELETTI. Rock me, sedia a dondolo in vetro curvato. 02-PORRO. Sundial, orologio da parete con numeri a rilievo. La lettura avviene tramite la loro ombra riflessa sul disco. 03-LA CORBEILLE. Lit Cabane, casetta con letto costruita con doghe di legno. 04-XILO1934. Passi letterari, parquet decorato con soggetto di Piero Fornasetti. Le doghe sono in rovere verniciato all’acqua. 05-SOCIETY. Copriletto matrimoniale

con i bordi sfrangiati. 06-SCHOLTEN & BAIJINGS. Scatola di legno con esterno intarsiato con disegni a soggetto contemporaneo e interno a contrasto. 07-SIMMONS. Materasso Constellation, con struttura a doppio molleggio alternato e combinato. 08-MOGG. Botero, tavolo da pranzo ovale con il basamento strutturato a dispensa con ante. ricerca di Cristiano Vitali

04-xilo1934

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Product

02-bitossi

Sacro Gra

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01-morelato

I confini del Grande raccordo anulare, raccontati da Gianfranco Rosi, svelano storie di invisibilità quotidiana. Esportata in un arredamento di modernariato italiano sello con possibilità di avere l’antina in vetro, collezione Zig Zag. 06-MODÀ. Attaccapanni decorato in Light Galles della collezione Suite 41. 07-NANIMARQUINA. Folk, tappeto annodato a mano in stile nordico. 08-VISIONNAIRE. Gorgona, tavolo torchon basso. 09-MARIO LUCA GIUSTI. Miranda,

06-modà

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01-MORELATO. Letto matrimoniale in noce canaletto con testata lunga. 02-BITOSSI. Palm, vasi in ceramica tinta. Edizione limitata a 199 pezzi. Design Cedric Ragot. 03-FLAMINIA. Lavabo a colonna classico della collezione Efi. 04-SIA. Soprammobili in terracotta. 05-HANS K. Credenza in legno mas-

09-mario luca giusti

08-visionnaire 05-hans k


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11-fade 10-royal copenhagen

12-billiani

piatti con bordi sagomati e decorati. 10-ROYAL COPENHAGEN. Bimba con cucciolo, statuetta in porcellana. 11-FADE. Tuscany, bicchieri in vetro smerigliato trasparente e colorato. 12-BILLIANI. Gradisca, sedia in massello di faggio. 13-ALIAS. Setes, panchina in teak. 14-KITCHEN AID. Artisan, bollitore.

15-HENRIETTE. Alzata a tre piani in fine bone china con bordi merlettati della collezione Valmont. 16-SERVOMUTO. Applique realizzata con tessuto e passamaneria d’antan. 17-TREND. Decoro a mosaico dedicato alla cameretta dei bambini Squares 1 della Toys Collection. ricerca di Cristiano Vitali

15-henriette

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17-trend


02-normann copenhagen

Product

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Tom à la ferme

Il gusto tradizionale della campagna canadese, quella drammatica del film di Xavier Dolan. Che si ripropone up-to-date negli arredi dall’ispirazione bucolica

04-poltrona

frau

01-D’ANCAP. TeGamini, pentolini in porcellana della collezione Millecolori. 02-NORMANN COPENHAGEN. Friends, sottopentola in sughero. 03-PIGR. Cork stem glass, bicchiere con tappo in sughero. 04-POLTRONA FRAU. Mamy Blu, poltrona in pelle. Design Roberto Lazzeroni 05-INTERNOITALIANO. Cevo, attaccapanni in acero o frassino e metallo.

05-internoitaliano

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06-LA CORBEILLE. Tovaglietta in tessuto stampato con piatto e forchetta. 07-JANNELLI E VOLPI. Cuscino stampato con serigrafia di una seduta in paglia intrecciata. 08-JANNELLI E VOLPI. Cucchiaio da cucina in legno con manico/matita. 09-SELETTI. Sending Animals, contenitori in legno a forma di animali. ricerca di Cristiano Vitali



Story teller

Un mondo di ceramica

Tutto esaurito per Cersaie 2013, con 898 espositori da 35 nazioni. Tra progetti social e di design etnico, etico ed estetico, che rendono l’Italia leader nell’export È calato il sipario su Cersaie 2013, la 31ª edizione del Salone Internazionale della Ceramica per l’Architettura e dell’Arredobagno, evento di riferimento mondiale per il settore in programma al quartiere fieristico di Bologna. E il bilancio di questa tornata è più che positivo. La manifestazione, promossa da Confindustria ceramica in collaborazione con Bologna fiere, si è confermata ancora una volta un appuntamento imperdibile per il sistema della distribuzione e per il mondo degli interior designer, degli architetti e dei posatori. Si è registrato anche quest’anno il tutto esaurito nell’ampia area espositiva, che dà spazio a 898 espositori, di cui 302 stranieri, provenienti da 35 diverse nazioni. Sono state presentate 480 imprese di piastrelle di ceramica, 269 imprese di arredobagno e, in percentuali minori, aziende del settore delle materie prime, delle attrezzature per la posa, dell’editoria e servizi. Non è mancato il trade internazionale di alto livello, dalle imprese di costruzioni ai grandi studi di progettazione. Forte l’attenzione ai Paesi emergenti, con la presenza di oltre 30 top buyers e key players provenienti da Brasile, Russia e Sud Africa. «Per quanto riguarda i dati di settore le previsioni sono da fare con molta cautela in questo periodo fortemente perturbato», ha raccontato Vittorio Borelli, presidente di Confidustria ceramica. «I numeri ci parlano di un calo sul mercato interno tra il 5 e il 6% a fronte di esportazioni che registrano il segno positivo di alcuni punti percentuali. Tenendo conto che il mercato estero vale il 75% del totale, possiamo stimare una sostanziale conferma dei valori del 2012. Il mercato delle ristrutturazioni e quello del contract hanno ovviamente dinamiche differenti e vivono fasi del ciclo diverse a seconda dei diversi Paesi». A inaugurare l’edizione di quest’anno è stato il convegno economico Manifattura e innovazione: la ceramica italiana nella competizione internazionale con protagonista il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi, l’amministratore delegato di Unicredit group Federico Ghizzoni, il presidente di Confindustria ceramica Vittorio Borelli e Monica Maggioni, direttore di Rai News 24. A rendere ancora più interessante la già ricca manifestazione il consueto appuntamento culturale con la rassegna Costruire Abitare Pensare, che dal 2009 arricchisce la fiera con incontri e conferenze sulla progettazione contemporanea e sulle più attuali tendenze del design e dell’architettura. Ad aprire le danze Ceramic Futures: from poetry to science fiction: la conferenza di pre-

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sentazione dei risultati del primo progetto social dedicato interamente alla ceramica, in collaborazione con quattro scuole di design internazionali e la partecipazione del designer Elio Caccavale. A far da padrone quest’anno ospiti come Rafael Moneo, unico spagnolo ad avere vinto, nel 1996, il premio Pritzker per l’architettura e i fondatori dello studio d’architettura norvegese TYIN Tegnestue che hanno presentato gli originali interventi tra sostenibilità e solidarietà in Paesi in via di sviluppo come quello realizzato a Sumatra per i coltivatori e gli operai del settore della cannella, con l’obiettivo di migliorare le loro precarie condizioni di lavoro. C’è stato spazio anche per una giornata firmata tutta al femminile con le tre architette Carla Juaçaba (Brasile), Izaskun Chinchilla (Spagna) e Sarah Robinson (Usa) che hanno raccontato al pubblico la loro visione creativa. «Nel nostro settore circa il 40% della forza lavoro è femminile, grazie a particolari mansioni svolte con profitto proprio dalle donne. Mi riferisco al trend setting sui prodotti, allo sviluppo e decorazione manuale del prodotto, alla fase di scelta del prodotto stesso in fabbrica», ha continuato Borelli, «accanto a queste va ricordato che nelle imprese ceramiche italiane quasi tutti i ruoli possono essere ricoperti da dipendenti di entrambi i sessi: l’importante è che siano capaci ed efficienti». A chiudere in bellezza ci ha pensato la

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Nelle immagini di queste pagine, piastrelle firmate Mutina (01), Cir (02), Marazzi (03), Ceramica Sant’Agostino (04), Mipa (05) ed Edimax (06) andate in scena durante Cersaie 2013

visione creativa di Ito Morabito, in arte Ora-Ïto, il designer francese più ironico e irriverente del momento. Ricco anche il programma delle mostre, a partire da «Bathroom excellence 1998/2012», che ha esposto la selezione di prodotti per l’arredobagno annualmente scelti e pubblicati su ADI Design Index, un vero viaggio nelle tendenze della sala da bagno nel corso degli anni. Alla Galleria dell’Architettura invece sono stati presentati i lavori vincitori del concorso La ceramica e il progetto e i bozzetti inviati dagli studenti per il concorso di idee Beautiful Ideas. Nella stessa location anche gli scatti di «Seccoumidofuoco», mostra fotografica frutto del progetto Manodopera del Comune di Fiorano dedicato agli stabilimenti ceramici del distretto Modenese-Reggiano, o i risultati del progetto di creatività e social network Ceramic Futures. Ampio spazio anche al mondo dei posatori con la Città della Posa, un vero paradiso per gli esperti del settore, con mostre-laboratorio, prove e dimostrazioni, a cui si è aggiunto il convegno Come aumentare la quota di consumo delle piastrelle di ceramica in Europa. «L’Italia della ceramica, che esporta oltre 3,6 miliardi di euro l’anno, è il leader del commercio internazionale in valore di questo prodotto, davanti alla Cina e agli altri Paesi. Questa leadership deriva da prezzi medi di vendita che sono doppi rispetto a quelli della concorrenza, a riprova del fatto che i rivestimenti ceramici italiani inglobano “valore” estetico, di design e di innovazione per il quale il consumatore e l’utilizzatore estero è disposto a riconoscere un significativo plus rispetto a quanto offerto dalla concorrenza», ha concluso Borelli, «i mercati che ci vedono più presenti sono quelli dell’Europa Occidentale, diverse zone dell’Europa Orientale quali Ungheria, Repubbliche Baltiche e paesi dell’area Balcanica, oltre ovviamente al Nord America, dove siamo market leader». Camilla Gusti

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Indirizzi

MF

il quotidiano dei mercati finanziari

Direttore eD eDitore Paolo Panerai Direttore eD eDitore AssociAto Gabriele Capolino Direttore Pierluigi Magnaschi

MFL

Magazine For Living

Direttore Giampietro Baudo (gbaudo@class.it)

responsabile MoDa e Design Stefano Roncato (sroncato@class.it) grafica Valentina Gigante (vgigante@class.it) Al MercAto

al-mercato.it

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lamurrina.com

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society

societylimonta.com

di legno

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stellA JeAn

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interno itAliAno

internoitaliano.com

suzAn druMMen

suzandrummen.nl

teneues

teneues.com

il giArdino

JAnnelli e volpi

jannellievolpi.it

tinAriwen

tinariwen.com

Joseph Fox

josephfox.co.uk

trend

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kensington Finest

venini

venini.com

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verpAn

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kitchenAid

kitchenaid.it

visionnAire

ipe.it

lA corBeille

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xilo1934

xilo1934.it

Hanno collaborato Cristina Morozzi (special design consultant) testi

Francesca Manuzzi, Matteo Zampollo, Camilla Gusti, Elisa Rossi, Cristiano Vitali foto

Giuseppe Albera, Shen Chao-Liang, Patrick Demarchelier, Daniela Exley, Joseph Fox, Carlo Gianferro, Antonio Intorcia, Sanja Jovanivoc, Marie Planeille, Terry Richardson, Paolo Roversi, Mario Testino, Willy Vanderperre, Sonny Vandevelde grafica & special effect Marta Bandirini, Giorgio Tentolini è un PRoGETTo

Direttore Generale Andrea Mattei concessionaria pubblicità class pubblicità spa Direzione Generale: Milano - via Burigozzo 8 - tel. 02 58219500 Sede legale e amministrativa: Milano - via Burigozzo 5 - tel. 02 58219.1 Sede di Roma: via Cristoforo Colombo 456 - tel. 06 69760887 - fax 06 59465500 executive chairman, Andrea Mattei vp sales, Gianalberto Zapponini chief marketing officer, Domenico Ioppolo Direttore commerciale, Stefano Maggini per informazioni commerciali: mprestileo@class.it Class Editori spa Direzione e Redazione 20122 Milano, via Burigozzo 5 - tel. 02.58219.1 - fax 02.58317429 Amministrazione e abbonamenti: 20122 Milano, via Burigozzo 5 tel. 02.58219285 - 02.5821929 - fax 02.58317622 Registrazione al Tribunale di Milano n. 210 del 19/4/86 Distribuzione Italia: Erinne srl - via Burigozzo 5 - 20122 - Milano - tel. 02.58219.1 responsabile Dati personali Class Editori spa, via Burigozzo 5 - 20122 Milano Composizione e fotolito: Adda officine Grafiche spa via delle Industrie 18 - 24030 Filago (Bg) - tel. 035.4938958 Stampa: Elcograf S.p.A. - via Mondadori, 15 - 37131 Verona Supplemento a MF - Spedizione in a.p. 45%, articolo 2, comma 20/b, legge 662/96 - Filiale di Milano Registrazione Tribunale di Milano n. 266 del 14/4/89 Direttore responsabile Paolo Panerai


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