Clara sanchez le mille luci del mattino 2015

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consiglio d’amministrazione urgente, a cui naturalmente Xavier non partecipa. Io, in assenza di Teresa, predispongo tutto come mi ha insegnato lei. Ordino i cartellini con i nomi sul grande tavolo delle riunioni e i dossier e le matite di materiale riciclato. Prendo i bicchieri. Il consiglio dura tre ore solo per l’abitudine dei consiglieri di allungarlo il più possibile, visto che di fronte all’evidenza della situazione finanziaria dell’azienda l’unica via d’uscita è vendere. Resta solo da accordarsi con i compratori, i fratelli Dorado, sulle condizioni di vendita. I negoziati proseguono per un mese, durante il quale Alexandro e Jano entrano ed escono nuovamente dalla Torre di Vetro. Si mostrano come ai loro tempi d’oro: uniti e imbattibili, veloci come fulmini, creativi nelle loro proposte. Devo dissimulare una certa allegria nel vederli, non so se per loro, se per me, se perché formiamo il passato più recente che ho in testa. Il primo giorno, quando entrano nel mio ufficio, non ci salutiamo, ma Jano mi fa l’occhiolino, gesto che interpreto come un modo per dirmi che pensano di contare su di me. Magari Jano non ha dimenticato che gli ho dato una mano in un momento molto delicato della sua vita. Un gesto fatto da qualcuno che può togliere o dare qualcosa si colloca in prima fila tra tutti i gesti fatti o che stanno per essere fatti, si imprime nella mente. Xavier suole camminare qualche passo dietro di loro, come un bambino che deve correre per rimanere nel gruppo. Lui e Lorena non si parlano e non si guardano. Emilio Ríos non ha mai rimproverato niente a nessuno, sa che queste cose vanno così e nei momenti liberi dai negoziati sta studiando con Lorena il modo di mettere su una nuova attività. Lorena non si è seduta mai più sulla poltroncina di velluto, credo che voglia dimenticare ciò che so di lei. Ormai gli impiegati sanno cosa li aspetta e vanno e vengono con un atteggiamento così indolente che se fossero coperti da un lenzuolo potrebbero passare per anime in pena e, anche se siamo ancora tutti qui, a volte l’edificio sembra deserto, un palazzo di uffici abbandonato in mezzo al mondo. E tutti noi sembriamo abbandonati nelle stanze di questo palazzo. Mi sembra un bene che almeno Jorge si sia risparmiato questo finale e chiamo a casa sua per dirglielo. Dall’aldilà di Jorge risponde una voce di donna che deve essere quella di Luisa, ma più impersonale e automatica. Quando chiedo di lui mi risponde che non c’è, senza ulteriori spiegazioni. Allora mi faccio riconoscere. «Ah!» dice. «Jorge non vive più qui.» «Non vive lì?» chiedo sinceramente sorpresa. «No, e non so dove potresti trovarlo. Penso che adesso sia in Grecia o in qualche posto del genere. Di tanto in tanto torna per venire a trovare i bambini. Mi segno che hai chiamato per dirglielo, mi piacevi molto.» «Grazie. Volevo solo dirgli... be’, non importa. A dire la verità, non mi aspettavo questo.» «Senti, devo lasciarti, ho aperto un salone di bellezza e stanno arrivando le clienti. Spero che verrai prima o poi, ti troverai benissimo.» Le assicuro che lo farò e, prima di riagganciare, lei sta già parlando con una cliente. Ormai dobbiamo passare tutti in amministrazione per firmare le liquidazioni e cominciamo a portarci a casa le piccole cose che abbiamo accumulato nel tempo, e incomprensibilmente allo scoccare delle due nessuno esce più a mangiare. È come se si aspettasse qualcosa, un miracolo o essere portati fuori a spalla dalla porta girevole, qualcosa che non sia andarsene come qualsiasi altro giorno ma per sempre. Anch’io aspettavo il miracolo che Jano e Alexandro contassero su di me, ma il loro silenzio è assoluto, non hanno chiesto a nessuno di noi di rimanere al proprio posto, perciò mi applico lavorando di buona lena ai progetti di Ríos e Lorena. Vicky mi dice che è una sciocchezza che mi strapazzi così, perché quei due pensano solo a sé stessi. Il bagno continua a essere il nostro rifugio, l’unica cosa della Torre di Vetro che rimane intatta. Lì ci confrontiamo sul tipo di attività che ci andrebbe meglio. Vicky punta su un piccolo negozio di informatica. Non raduno solo le mie cose ma anche quelle di Teresa, quelle che ha conservato nei cassetti della sua scrivania extrapiatta. Le metto in una scatola di cartone, come a suo tempo ho fatto con quelle di Sebastián Trenas, poi la chiamo al telefono nel paesino sperduto della provincia di Guadalajara per raccontarle ciò che è successo e per dirle che deve venire a firmare. Ma non riesco a parlare con lei, devo raccontare tutto al suo medico perché Teresa ha avuto una piccola crisi. Il dottore mi dice che si occuperà lui di tutto, cosa che mi inquieta abbastanza. Perciò parlo con il direttore delle Risorse Umane, gli dico che la povera Teresa attualmente non sa neppure di non avere più un lavoro. Allora il direttore delle Risorse Umane mi guarda con un tic-tac più serio delle altre volte e mi dice che, sebbene io


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