Clara sanchez le mille luci del mattino 2015

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Anabel

È difficile sapere fino a che punto si può intervenire nella vita degli altri. La pattumiera infinita è piena di questa incognita ripetuta mille volte, il che significa che non ha una risposta chiara, come quasi niente. Io sono intervenuta raccontando a Ríos ciò che Teresa mi ha detto di Anabel, perciò in parte sono responsabile della situazione attuale di Anabel e questo in un certo senso mi costringe a continuare a intervenire. Il giorno dopo la nostra conversazione, Ríos mi dà l’ordine di non passargli nessuna telefonata della ragazza. Perciò devo inventare una bugia dopo l’altra: è in riunione, è uscito, sta parlando al telefono. E tutte le volte devo sentire la voce via via sempre più morente di Anabel che mi ringrazia per averle mentito. La mia conoscenza della vicenda è paragonabile all’ascoltare una conversazione telefonica o al guardare dal buco della serratura. So di Anabel cose che lei ignora, so anche che in questo momento brancola nel buio, che non capisce e che questo deve provocarle una grande angoscia. L’aver vissuto con Raúl mi ha aiutato almeno ad apprezzare certe sfumature. Perciò so anche che da un momento all’altro lei si presenterà qui e dovrò inventare qualche scusa significativa per impedirle di entrare nella stanza di Ríos. Anabel diminuisce la frequenza delle chiamate, ma non l’intensità che mette nella sua voce, già di per sé lacerata, in modo tale che, dopo aver riagganciato, resta sempre un’aura di tragedia che circonda il telefono. E anche se ci mette qualche giorno a presentarsi in ufficio, alla fine, come temevo, arriva. Ha scelto il tardo pomeriggio, cioè un momento della giornata in cui Ríos, se volesse, potrebbe andare via con lei. Appena entra mi accorgo che è cambiata o che sta cambiando, come suggeriscono i brufoli in faccia e i chili che ha messo su. Ancora non è grassa, ma se non si trattiene con il tempo potrebbe arrivare a esserlo. Al dito ha l’anello di brillanti in pendant con un cuore, anch’esso di brillanti, che porta al collo, probabile regalo di Emilio Ríos. Le dico con la maggiore naturalezza e indifferenza di cui sono capace che è occupato. «In ogni caso mi piacerebbe che sapesse che sono qui.» Le chiedo di accomodarsi sulla poltroncina dove di solito si siede Vicky e pigio il pulsante del presidente. «C’è Anabel», dico davanti allo sguardo fisso di lei. Ríos ha bisogno di un minuto per pensare. «Non dirle niente. Adesso esco», risponde. Riaggancio e non dico niente. Anabel mi guarda con una drammaticità fuori luogo, perciò compongo il numero delle informazioni sul traffico per non dover parlare. Sto sentendo che l’autostrada per La Coruña è paralizzata quando vedo uscire Ríos con la giacca su un braccio, la valigetta nell’altra mano e l’aria frettolosa. «Anabel, non sai quanto mi dispiace, ma Hanna mi sta aspettando per portarmi in aeroporto. Perché non mi chiami giovedì o venerdì?» Anabel non ha avuto neanche il tempo di alzarsi dalla poltrona, è rimasta letteralmente a bocca aperta. «Credo che abbia detto di chiamarlo giovedì o venerdì», dice con la sua voce profonda e sconsolata. Io le sorrido e compongo il numero delle informazioni meteo. «Vorrei sapere a che punto è la faccenda delle pratiche», dico al niente. Lei resta seduta, le costa fatica andarsene a mani vuote, le piacerebbe parlare almeno con me. Io però preferisco intavolare una conversazione con uno di quei vecchi esseri immaginari di Teresa e Anabel non può fare altro che alzarsi. Dalla porta mi saluta con un cenno della mano e io ricambio. Per togliermi questo amaro dalla bocca, telefono all’ospedale psichiatrico e chiedo di parlare con Teresa, ma lei, come altre volte che ho chiamato, sta dormendo, il che significa che non deve essere quasi mai sveglia.


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