Mio fratello rincorre i dinosauri riassunto dalla 2^ A Villa Valerio

MIO FRATELLO RINCORRE I DINOSAURI

di Giacomo Mazzariol riassunto dagli alunni di 2^A con disegni di Davide Gomiero Villa Valerio - Casciago (Va)

“Ognuno è un genio.

Ma se si giudica un pesce dalla sua abilità di arrampicarsi sugli alberi lui passerà tutta la sua vita a credersi stupido.”

Albert Einstein

To see a World in a Grain of Sand And a Heaven in a Wild Flower, Hold Infinity in the palm of your hand And Eternity in an hour.

W. Blake, Auguri di innocenza [TRADUZIONE: Vedere un mondo in un grano di sabbia e un universo in un fiore di campo, possedere l'infinito sul palmo della mano e l'eternità' in un'ora.]

Questa è la storia di Giovanni e Giacomo Mazzariol, due ragazzi davvero speciali.

1. ANNUNCIAZIONE

Tutto cominciò un pomeriggio di una domenica in un parcheggio. Eravamo in cinque: io, Chiara, Alice, papà e mamma. Io avevo cinque anni, Chiara sette e Alice due. Papà, davanti al parcheggio abbandonato di una fabbrica, sterzò come quando in un film si vuole schivare un’esplosione.

Mamma non si arrabbiò, ma bofonchiò scherzosamente. La macchina si fermò in un parcheggio vuoto, con solo un furgone. Mamma sganciò la cintura e si voltò, dicendo: “Due a due”. Rimasi perplesso, perchè mamma aveva detto così? La mamma si toccò la pancia, e io capii: avrei avuto un fratellino! Quel giorno fui felicissimo. Qualche giorno dopo mamma e papà ci dissero un’altra cosa: il nostro fratellino sarebbe stato speciale, diverso.

Un altro problema era scegliere il nome. Proposi di chiamarlo Ghepardo, all’inizio. Poi mi vennero in mente un altro nome che secondo me era perfetto: Joe! “Mio fratello Joe!” pensai. A mamma, però, non piacevano i nomi stranieri, quindi decidemmo di chiamarlo in un altro modo, ma mantenendo la “G” iniziale, perché si capisse che eravamo fratelli. Alla fine il suo nome scelto fu Giovanni, che abbreviai in “Giò”. Giovanni nacque il pomeriggio del 7 dicembre. Proprio quella mattina avevo visto una foto di noi cinque, e avevo pensato che Giovanni si sarebbe dispiaciuto di vedere che eravamo felici anche senza di lui, così disegnai un omino vicino a noi con un pennarello rosso, con anche un mantello rosso alle spalle: era Giovanni, il supereroe, con dei veri e propri superpoteri, in grado di attraversare le fiamme.

Immaginavo mio fratello chiuso dentro un pacchetto -carta regalo, fiocco, eccetera. Ero seduto sul divano e lo tenevo sulle ginocchia. E’ il momento migliore quello: quando hai il pacchetto tra le mani e non l’hai ancora aperto. In quell’istante tutto è possibile.

2. CENTOTTANTA PUPAZZI

Ed eccolo lì, nella sua nuova culla. Notai subito che era particolare, infatti Giovanni aveva la nuca piatta, gli

occhi

a mandorla, orientali,

e

le ultime due

dita dei

piedi

unite.

I giorni passarono, tutto andava per il meglio, però un giorno, scoprii qualcosa che mi segnò.

Mia madre amava leggere, aveva libri sparsi ovunque per la casa e uno di questi parlava proprio della

sindrome

di

down.

Presi

il

libro,

sfogliai

le

pagine

senza

capirci

molto.

Ma mi bastò guardare le figure per capire che il libro parlava proprio di mio fratello Corsi

in

cucina,

da

mia

madre,

chiesi

spiegazioni

e

le

ottenni.

Così venni a sapere che mia sorella Chiara, poco più grande di me, era già stata informata della verità e di tante cose che riguardavano giovanni. Mi sentii come tradito dalla mia famiglia, dato che ero l’unico ad esserne all’oscuro. Poi papà mi spiegò che non mi avevano parlato della sindrome di Down, perché Giovanni era Giovanni, con il suo carattere, i suoi gusti, i suoi pregio e si suoi difetti, Non era la sindrome che doveva essere al centro dei nostri pensieri ma Giovanni.

Giovanni intanto cresceva, a suo modo e con i suoi tempi, ma cresceva. Imparava ad afferrare gli oggetti e purtroppo anche a lanciarli. A lui infatti non piaceva giocare con i pupazzi, almeno, non

giocare

tranquillamente

con

i

pupazzi,

lui

si

divertiva

a

lanciarli.

Giovanni aveva una decina di pupazzi, che però non lo tenevano impegnato per più di pochi minuti.

Secondo un calcolo fatto da me per tenere mio fratello occupato Giovanni mezz’ora servivano 180 pupazzi. Per fortuna papà lavorava in un asilo, dove c’erano tantissimi peluches che i bambini non usavano più, così riuscì a portarne a casa tanti: finalmente Giovanni poteva lanciare tutti i pupazzi che voleva e intrattenersi da solo per un po’.

3. TUTTI I SUPEREROI FANNO LE CAPRIOLE

Passarono i primi tre anni e Giovanni venne iscritto all’asilo, non quello in cui lavorava papà, un altro. Il primo giorno di scuola decidemmo di vestire Gio con i nostri colori preferiti perché ci sentisse vicini. Giovanni non era completamente solo, perché si era portato dietro il pupazzo Rana la rana, il suo migliore amico.

La maestra aveva permesso a Gio di uscire mezz’ora prima dalla classe per andare in mensa, in modo da dargli il tempo di percorrere il corridoio da solo, ma un giorno la maestra Valentina si mise a parlare per un secondo con un collega e quando si girò Gio era scomparso. La scuola era preoccupata e si misero a cercarlo dappertutto, fino a quando lo ritrovarono sotto il carrello del cibo.

Dal quel giorno Giovanni si recò in mensa con questo nuovo mezzo di trasporto.

La paura più grande di Giovanni erano le recite. Una volta la maestra era riuscita a convincere Gio a partecipare alla recita ma ci chiese di non farci vedere da lui, quasi alla fine della recita feci l’errore di farmi vedere da Giovanni e alzare il pollice per dirgli che stava andando tutto bene. In un battibaleno lui ci raggiunse e bene presto anche tutti gli altri bambini fecero lo stesso.

Gio aveva altre paure, tra cui quella di Babbo Natale e della sabbia, forse troppe paure per essere un supereroe. Un giorno eravamo tutti a tavola tranne papà che era al lavoro, eravamo tutti presi dai nostri racconti che per un minuto abbiamo perso di vista Gio che si mise in bocca un pezzo di wurstel che finì per strozzarlo, allora mamma lo dovette portarlo all’ospedale e così io, Chiara e Alice restammo in casa preoccupati per Gio; il silenzio mi parlò e mi disse che mio fratello aveva bisogno di me però non potevo farci niente. Da quel giorno Gio ebbe paura dell’ospedale, ma un giorno fece una visita dove ero presente anch’io , il medico gli chiese molte cose cui Gio rispose correttamente, alla fine il dottore gli disse: “non c’è bisogno dell’assegno di accompagnamento perché Giovanni è autonomo”.

4. LA MORTE DI MARAT

I primi due anni delle medie mi passarono accanto come un ghepardo nella savana. Della prima e della seconda media mi ricordo molto poco. Sempre che non consideriate significativo il fatto di aver nascosto di avere un fratello, un fratello di nome Giovanni. In quel periodo il rapporto tra me, Gio e il mondo era molto cambiato. Alle elementari non avevo mai avuto problemi a lasciare che Gio invadesse il territorio della mia vita; alle medie, invece, era diventato un problema. In quel momento della mia vita, l’unico mio amico a sapere della sua esistenza era Vitto, il mio migliore amico.

Perchè

non

lo

dicevo

a

nessuno?

Razionalmente

non

avrei

saputo

spiegarlo.

Istintivamente sapevo che poteva essere… pericoloso. Un giorno un bulletto della scuola, soprannominato Pisone, mi disse che mio fratello aveva una malattia, e che avrebbe avuto una vita corta, usò proprio questa parola.

Tornai a casa sconvolto e mi chiusi in camera, poi guardai la parte della stanza di Gio, e vidi che mi stava copiando: stava decorando la camera come facevo io, con adesivi, figurine, poster. Per Gio era semplice, non aveva idea di sè. Ma io sì, io sapevo tutto.

Mi resi conto, quel giorno, che da troppo tempo, avevo smesso di farmi domande su di lui, per paura delle risposte. In quel momento sentii bussare, era ora di cena. Volevo condividere quei pensieri con la famiglia ma appena iniziai a parlare entrò Gio e si mise a fare il suo solito giro di saluti. Poi inciampò e rise. Guardandolo rotolarsi sul pavimento pensai che Gio aveva un talento speciale: sapeva creare una storia diversa con ognuno. Così decisi di non dire nulla. Poi tornai in camera e feci ripartire la canzone ma la misi a basso volume, perchè volevo chiamare Vitto. Parlammo un po’ e poi gli chiesi di uscire, chiusi la telefonata e andai di sotto, dissi ai miei genitori che stavo uscendo.

Recuperai la mia bici, che io chiamavo Fosca, e mi trovai con Vitto. Era bello gironzolare senza una meta perché non rischi mai di perderti. A metà pomeriggio andammo a casa sua e io gli chiesi di Pisone. Mi disse che lo conosceva ma alla fine non ebbi il coraggio di raccontare ciò che mi aveva detto su Gio. In quel periodo una delle poche certezze che avevo era mia zia Fede, era un po’ un idolo per me, ascoltava musica rock e mi portava i cd da ascoltare: la musica era ciò che mi serviva per pescare nel lago di emozioni in cui navigavo. Avevo tredici anni. Ero un vinile senza solchi che aspettava di essere inciso da qualcuno. Un giorno ci comunicarono che la nostra prof di arte si sarebbe assentata, così arrivò un supplente e fece il solito giro di presentazioni dicendo di aggiungere anche il nostro cantante preferito, scoprii un sacco di cose sui miei compagni ma quando arrivò il mio turno, quando dovevo aggiungere il mio cantante preferito, mi bloccai e fu così che mi sentii dire -... ascolto Taio Cruz-

“Perché non avevo detto la verità?

Perché continuavo a nascondermi?

Pensai che se potevo dire di me quello che volevo potevo, allora potevo fingere anche su Gio. Potevo fingere che non ci fosse.”

5. SIAMO TUTTI PESCI VOLANTI

Trascorsi un inverno inquieto, come inquieta è, non di rado, l’alba della consapevolezza, e scollinai nel nuovo anno con una grandissima voglia di novità, di qualcosa che arrivasse a sconquassare le mie giornate. Fu in quel periodo che conobbi Brune e Scar. Ci incontrammo all’oratorio, in quella feste dove far suonare i piccoli gruppi del posto, loro erano un gruppo: due chitarre e due

voci. Non facevano pezzi recenti, non rappavano e non sputacchiavano sui

microfoni. I loro veri nomi erano Pietro e Leonardo. Il mio soprannome invece era Mazza. Capii subito che potevamo andare d’accordo.

Un giorno li invitai a casa mia, andammo in giardino, Brune vide il canestro e mi chiese la palla e gliela passai. Subito dopo mi sentii chiamare da dietro: era mia madre e le chiesi perché non fosse in giro con Gio e mi disse che aveva la febbre e quindi erano rimasti a casa. Brune e Scar ci raggiunsero e dopo che si furono presentati, mia madre ci disse che potevamo fare merenda, prendendo quello che volevamo. Passai tutto il pomeriggio a sperare che Gio non uscisse dalla nostra stanza dove stava guardando l’Era glaciale.

Un giorno Vitto venne a casa mia per pranzo. Una volta finito di mangiare andammo in camera mia e cominciai a parlargli di Pisone e gli dissi che Pisone sapeva di Gio. Vitto mi fece riflettere e decisi che il giorno dopo dovevo parlare con Pisone. Il giorno dopo andai da lui e gli chiesi come ha fatto a sapere dell’esistenza di Gio. Pisone mi disse che gliel’aveva detto sua madre. Io con tono arrabbiato gli dissi che se lui e tutta la Piso-famiglia avessero parlato di Gio sarebbe stato meglio per loro trasferirsi in un altro pianeta.

Un pomeriggio andai a casa di Arianna con Goss perché dovevamo fare una ricerca sugli animali. Ad un certo punto facemmo una pausa per mangiare un pezzo di torta. A Goss suonò il telefono e io e Arianna andammo a sederci sul dondolo e iniziammo a parlare con una mano vicino all’altra. Finché arrivò Goss che ci disse di continuare la ricerca e ritornammo in casa.

6. TIRANNOSAURO, SCELGO TE

Un giorno andai con la scuola a una conferenza sulla sicurezza stradale. C’erano anche altre scuole tra cui quella di Vitto, che mi venne incontro per sedersi con me lontano da tutti gli altri, parlammo un po’, ad un certo punto sentii dei ragazzi che dicevano quanto fossero down i loro cani. Mi sembrava che la parola “down” fosse sulla bocca di tutti e lo dissi a Vitto, lui mi disse che era una coincidenza, ma io non la pensavo così.

Poche volte all’anno tutta la famiglia si riuniva e ogni volta ci scambiavamo i regali di Natale.

Quella volta Gio ricevette uno stegosauro di gomma, dal momento in cui lo vide non pensò ad altro, era come se il mondo fosse scomparso. Provammo in tutti i modi a coinvolgerlo, ma per lui esisteva solo lo stegosauro. Da quel momento mi accorsi che Giovanni si comportava sempre come lui decideva di comportarsi, anche quando provai a insegnargli a giocare a calcio lui giocava comunque a modo suo. Cominciai ad innervosirmi per quello che faceva.

Spesso la mamma mi chiedeva di portare Gio al parco, io non riuscivo a dire di no e così lo accompagnavo sperando che non arrivasse nessuno dei miei compagni di scuola mentre ero con lui. Un giorno la mamma me lo chiese di nuovo e io come sempre le risposi di sì. Mentre lui giocava con una bambina vidi passare tre ragazzini e mi accorsi che ne conoscevo uno: era il fratello di Paolo, un mio compagno di scuola; subito pensai che se mi avesse visto con Gio l’avrebbe detto a suo fratello. Quando il ragazzino e i suoi amici cominciarono a prendere in giro Giovanni, io avrei voluto alzarmi per andare ad aiuta, ma rimasi fermo, così Gio chiamò il tirannosauro perché gli venisse in soccorso.

Quando i tre se ne andarono corsi da lui e iniziai a piangere, arrivati a casa Gio cominciò a suonare il campanello, io gli dissi che non c’era nessuno in casa, ma lui continuò, mi innervosii e lo spinsi a terra. Ma ero molto più arrabbiato con me che con lui.

7. LITTLE JOHN

-Il

trucco è questo,- mi spiegò papà afferrandomi per le spalle, - devi sembrare convinto.

Insomma, ero arrivato all’esame di terza media. Uscii in giardino, dove Chiara, Alice e Gio stavano facendo colazione. -Io vado- dissi, -consigli ?- Gio indicò un diplodoco. -Devo uscirne a testa alta?- Lui annuì. In cortile incontrai Goss. -Domande peggiori?- chiesi. -La Tasso, pensa che mi ha chiesto quando Napoleone ha dichiarato guerra alla Russia. - Giusto per saperlo, quand’è che gli ha dichiarato guerra?- Chiesi. -1812- Attesi il mio turno con un paio di compagni e alla fine arrivò.

Portai un lavoro sull’arte della persuasione. Domanda dopo domanda arrivò storia. Quando mi chiese di cosa volessi parlare, dissi della propaganda italiana dopo la conquista della Libia.

Ovviamente mi chiese la Seconda guerra mondiale. - In che anno Hitler dichiarò guerra alla Russia?- Goss aveva detto che Napoleone lo aveva fatto nel 1812, Vitto una volta mi ha detto che Hitler lo aveva fatto 129 anni dopo di lui. 1812+1919...1941 - 1941 - dissi.

Andai avanti a parlare così velocemente che nessun prof. ebbe il tempo il farmi una domanda. Continuai a parlare finché la Tasso mi disse che poteva bastare e uscii, a testa alta come un diplodoco.

Arrivò luglio, e con luglio il mare. Tutti gli anni andavamo sempre nello stesso campeggio, per tre settimane. Quell’estate accaddero tre fatti di assoluta importanza, che cambiarono il mio sguardo su Giovanni. Durante uno spettacolo, che raccontava la storia di re Leone, Gio, provando un’istintiva simpatia per Scar, il cattivo si accanì contro l’attore che interpretava Simba, e tutti i bambini del campeggio parteggiarono per lui.

Il secondo fatto importante fu quando un bambino italiano ci chiese cosa avesse Gio e Alice disse che era diverso perché era nato in Groenlandia. La facilità con cui Alice difese Gio mi sorprese e in quel momento la invidiai tantissimo perché io non ci riuscivo.

Il terzo fatto avvenne nel supermercatino del campeggio, Gio aveva messo in un carrello tutti i barattoli di nutella e vedendo gli altri avventori che ne volevano, faceva il gioco di concederne generosamente uno a tutti quelli che gliene chiedevano. Tutto a un tratto anch’io stetti al suo gioco.

E capii che solo noi potevamo decidere come sarebbe stata la nostra storia.

Arrivò il momento di tornare a Castelfranco. Vitto e Arianna erano in vacanza, ma per fortuna c’erano Bruno e Scar. Un giorno li invitai a casa mia, a un certo punto Gio scese in taverna e cominciò a ballare con noi. Bruno e Scar però non erano sorpresi, anche se io non avevo mai parlato loro di mio fratello Giovanni, semplicemente suonarono e ballarono insieme a lui.

Un pomeriggio andammo a vedere uno spettacolo cui Giovanni doveva prendere parte. Gio non aveva più paura del pubblico come ai tempi della materna, si era lasciato convincere a fare uno spettacolo con una compagnia di disabili. Quel giorno conobbi un ragazzo down di nome Davide che mi fece capire il fatto che tutti hanno delle disabilità. Poi mi chiamò Arianna e decisi che quello era il momento giusto per dirle di Gio. Ma poi lei mi disse che si sarebbe trasferita, e allora non dissi nulla.

8. SPACK FRUSH SNAP

Oggi ho deciso di accontentare Giovanni e vado con lui a festeggiare il carnevale: prima peró dobbiamo scegliere i vestiti e le parrucche dalla “scatola delle pazzie” e prendere i coriandoli, poi andremo in piazza a Castelfranco.

Incontriamo molte persone che conosciamo, le salutiamo e poi ci fermiamo in gelateria: in mezzo alla gente io e Giovanni ci divertiamo: andiamo sulle giostre dove giochiamo al gioco della pesca, saliamo sulla ruota panoramica e sugli autoscontri, cantiamo e balliamo ed io mi sento libero, mi sento me stesso.

In questo giorno inventiamo anche il nostro saluto privato: “Spack” per darsi il cinque, “Frush” per far scivolare le mani e “Snap” per far schioccare il pollice e il medio, e in questo giorno rivedo dopo tanto tempo Arianna che era andata a vivere a Milano; Arianna peró scopre che ho un fratello, Giovanni, e rimane sorpresa perché non gliene avevo mai parlato.

La guardo mentre va a giocare con Giovanni e quando li vedo camminare per mano sento di avercela fatta e mi sento bene!

Saluto Arianna con un abbraccio e continueró a sentirne il calore per molto.

Inizio il liceo, faccio nuove amicizie, faccio nuove scoperte, faccio un elenco della mia visione della vita in quel periodo, vado a vedere un concerto a Milano e mi affeziono sempre di piú a Giovanni che diventa il mio supereroe perché per me lui é un bambino libero come vorrei esserlo anch’io; intanto Giovanni continua a stupirmi, soprattutto quando qualche anno dopo, prende dieci in un disegno di arte sulla guerra: nel disegno c’é una ragazza che mangia il gelato da sola perché Giovanni dirá alla professoressa che la guerra é anche questo .

“Capì che era tutto finito. Che in un modo o nell’altro ce l’avevo fatta.”

“Di quell’abbraccio, se chiudo gli occhi e ci penso, sento ancora oggi il calore.”

9. MIO PAPA’ FA IL SEGRETARIO

Una sera fuori dal cinema, pargheggiammo in uno dei parcheggi VIP, ossia quelli con il contorno giallo per le persone SPECIALI. Io adoro i posteggi VIP, sono un segno di rispetto della società per la gente come Gio, come una cornice dorata attorno ai loro spostamenti, alle loro soste. Un sacco di gente vorrebbe il permesso Vip, solo per non impazzire a cercare un posto dove lasciare la macchina. Non è una cosa per tutti. In quell’occasione io salvai la famiglia di Pisone, colpevole di aver posteggiato senza tagliandino per persone Vip accanto a noi, gli lanciai sul cruscotto il nostro permesso, e Pisone farfugliò un “grazie”, ma io gli dissi di ringraziare Giovanni, era suo il cartellino! Così Pisone offrì la mano a Gio, che gliel’annusò e poi gliela strinse ridendo.

Al concerto di Moreno chiamai il responsabile della sicurezza, indicando Giovanni, e gli dissi sfacciatamente che Gio era un suo grande fan e che salutare il cantante di persona sarebbe stata una cosa indimenticabile per lui… cinque minuti dopo eravamo con Moreno dietro il palco. Fu una serata straordinaria, l’emozione di Gio era tale da irradiare tutta la piazza, era contagiosa. Fu come andare a un concerto con il mio migliore amico, e il mio migliore amico era mio fratellino, con un cromosoma in più.

Qualche sera dopo il concerto mi venne in mente di fare un tutorial su cosa fare se si offendono i Down. Le reazioni si potevano dividere in tre categorie: quella gentile, quella leggermente irritata e quella nervosa.

Per anni la mia reazione era stata quest’ultima, avevo creduto che attaccare fosse la miglior difesa.

Ma a cosa serviva? A cosa era servito? Dovevo trovare un altro sistema, e la soluzione me la suggerì mio padre una volta che incontrò un suo vecchio compagno di scuola: ciò che mi rimase più impresso fu il potere salvifico dell’IRONIA. Mio padre fa il segretario in un asilo, e tutte le volte che lo dicevo la gente mi dava un colpetto… una volta mi fecero persino le condoglianze! Ma quella volta al mercato papà incontrò un suo vecchio amico.. e incredibile ciò che gli disse: “contratto a tempo indeterminato, mensa,fotocopie, mamme,telefonate,vincere sempre a calcio, parcheggio solo per te, bicicletta e giochi in disuso per i tuoi figli...insomma cose che chi fa un lavoro normale non sa cosa sono!”

Ecco, smontando l’offesa , capendo che tutti al mondo abbiamo qualche sindrome, che la diversità fa parte della vita.

“Io credo che che dobbiamo vedere la sua vita con occhi nuovi, è una di sguardo.” Disse mia mamma a proposito del futuro di Giò.

Avevo impiegato 12 anni a vedere il mondo con gli occhi di mio fratello, e quel mondo non era affatto male.

Andai al cimitero dal nonno, e gli lessi la lettera, che gli scome sempre: “Caro nonno, Giovanni è cresciuto ed è la voglia, il movimento. Ma penso alla sua morte, è probabile che morirà prima di me.Ma quando succederà io sarò felice, ogni lacrima sarà un ricordo, ogni ricordo un sorriso, perchè come si fa a non ridere con lui? Il punto è che lui non può sparire, ormai Giò è nell’aria, nell’acqua, nella terra e nel fuoco, è in mezzo a noi, è dentro di noi.

Ogni posto in cui mette piede cambia irreversibilmente. Ma sarò dispiaciuto perché non lo hanno conosciuto tutti.

Se non ci sarà più abbraccerò ogni persona, come faceva lui, e lì nel mesozoico tra un diplodoco e un t-rex, ci sarà lui ad aspettarmi,e per sempre. Mio fratello, che rincorre i dinosauri.

Tuo Jack.”

10. SEI UGUALE SEI

E alla fine decisi di fare il video su Giovanni, usando l’ironia, come avevo imparato da papà.

Giovanni mi convinse a rubare la macchina fotografica di Alice, che però si accorse del nostro tentativo di furto e ci prestò la sua super macchina fotografica, senza neppure troppe raccomandazioni. Qualche anno prima a scuola avevo fatto un corso di videomaker e così passai tre giorni a riprendere Giovanni, lo intervistai, con il farfallino, ma ripresi anche tanti momenti della sua vita quotidiana.

La sera prima del 20 marzo 2015, la Giornata mondiale della sindrome di Down, mi misi al computer e passai tutta la notte a montare le scene che avevo girato. Certo non era un video da professionista ma c’era tutto Giovanni e tutto il mio amore per lui.

E così a notte fonda caricai il video su youtube. Pochi giorni dopo, The simple interview era stata vista da tantissime persone. Poi Giovanni finì sulle prime pagine dei giornali. Questo però non mi stupì, in fondo accade sempre, con i supereroi.

https://www.youtube.com/watch?v=0v8twxPsszY

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