Cerchioscritti n.4 - Oltre le polarità

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ORIZZONTALE E VERTICALE | VISIBILE E INVISIBILE | SU CHI HO POTERE E CHI HA POTERE SU DI ME | ORDINARIO E STRAORDINARIO | TOLLERANZA E INTOLLERANZA | NORD E SUD | CHI DÀ LO SCHIAFFO E CHI LO RICEVE | PREDATORE E PREDA | RICOMINCIO DA ZERO | VOCERCHIOLARIO: RETROTOPIA | DOMANDE OLTRE LE POLARITÀ

ORIZZONTALE

PROVINCIA RUMORE

PREOCCUPAZIONE

SBAGLIATO

MANIFESTO DI CERCHIOSCRITTI

Con-scrivere, scrivere-con

Per incrociare le proprie storie in punti di traduzione reciproca: un cerchio di uomini e donne di generazioni diverse che si incontrano nella scrittura, che scrivono e riscrivono le proprie storie, individuali e collettive allo stesso tempo.

Ci si siede in cerchio per guardare oltre i confini segnati dalle etichette del buono e del cattivo, del libero e del prigioniero, di chi può e chi non deve essere visto né ascoltato: Cerchioscritti raccoglie e pubblica gli scritti prodotti tra diversi che sono anche simili e tra simili diseguali.

Un cerchio che si riapre per liberarsi da gabbie mentali che per necessità di ordine sociale categorizzano i luoghi della cultura, silenziano le voci difficili, producono rifiuti algebrici e intelligenze di scarto. Cerchioscritti invece mescola i dialetti, i registri di un linguaggio eterogeneo, colora di accenti i racconti di sè che si danno come esperienze ricalate nel mondo.

Un ‘cerchio’ all’interno del carcere dentro il quale il tempo ritrova il suo significato, l'attesa una speranza, la vita uno spazio che non è lo spigolo del mondo su cui spesso si è costretti a sedere come spettatori superflui.

Si diventa coprotagonisti affacciati sul mondo per dire io esisto e tu con me.

Un teatro che riflette come uno specchio l’altra parte di esistenze vissute a metà che spesso restano nascoste; una narrazione fatta da uomini e donne che nel cerchio trovano un ruolo e uno spazio senza tempo in cui la pratica dell’ascolto permette la costruzione di ponti, una rete fatta di parole, sguardi, risate, gesti di affetto, lacrime, che a volte parlano e a volte restano silenti, ma fanno comunque rumore.

Un cerchio in cui l’apprendimento è uno scambio tra saperi ed esperienze, tra il sapere detenuto e i detenuti del sapere.

Qui l’Università cerca nuove forme di incontro, di superamento degli spazi stretti, di gestione delle distanze e dei conflitti.

Cerchioscritti cerca di dar vita a questi propositi attraverso la rielaborazione delle storie individuali perchè traghettino con delicatezza ricordi provenienti da mondi distanti e così vicini che basta stendere una mano per toccarli e sentir che esistono, e che insieme fanno la storia collettiva.

La rivista Cerchioscritti inizia questo cammino augurando a tutti e tutte voi buon viaggio, in qualunque punto del cerchio vi troviate.

SOMMARIO

Editoriale Maddalena Tasca per

la Redazione aperta

Ri-editoriale Nino Di Girgenti per la Redazione interna

Orizzontale e verticale

Visibile e invisibile

Su chi ho potere e chi ha potere su di me

Ho fiducia e ho sfiducia, Mi viene

spontaneo e mi viene forzato

Ordinario e straordinario

Tolleranza e intolleranza

Nord e Sud

Il Bianco e l’Augusto

Chi dà lo schiaffo e chi lo riceve

Predatore e preda

Ricomincio da zero

Destra, sinistra, scarpe spaiate

29 Aprile 2022

Laura e Giuseppe, L’ombra

Vocerchiolario: Retrotopia

Domande oltre le polarità

Materiali di approfondimento,

Eventi & Contatti

La Redazione interna CerchioScritti è formata da persone detenute che si trovano nel carcere di Parma o in regime di semilibertà e studiano e partecipano alle attività culturali promosse dal Polo Universitario Penitenziario.

La Redazione aperta CerchioScritti è composta da persone che, in qualità di studenti, tutor, volontari e/o partecipanti ai laboratori in carcere, fuori dalle mura carcerarie possono collaborare con altre realtà territoriali alla composizione della rivista

Ogni numero prevede la collaborazione di tutto il gruppo Cerchioscritti, sia della Redazione aperta sia della Redazione interna.

I testi presenti in questo numero sono estratti dai Diari del ciclo di laboratori teatrali di scrittura autobiografica collettiva in Alta Sicurezza dell’a.a. 2021-2022.

Referente scientifico del progetto: Vincenza Pellegrino (sociologa culturale delegata del rettore per le attività del Polo Universitario Penitenziario di Parma)

Coordinamento della redazione: Maddalena Tasca (dottoressa in Comunicazione e media contemporanei per le industrie creative - UniPr)

Impaginazione: Ester Frizzarin, Maddalena Tasca

Copertina e illustrazioni: Aurelio Cavallo

EDITORIALE

MADDALENA TASCA per la redazione aperta

Era la fine del 2021 quando cominciammo a comporre la lista delle polarità. Tra noi, che entravamo da fuori, e loro, che abitavano dentro, era imposta la distanza. Già prima dell’era delle mascherine era difficile ottenere il permesso di sedersi misti in cerchio, ma in quel periodo le due schiere erano tenute a fronteggiarsi: noi su una fila di sedie sopra il palco, loro sulle sedie del pubblico sotto il palco. Noi e loro, fuori e dentro, sopra e sotto, distanza e vicinanza: una voce lanciava una parola, un ’altra rispondeva con il suo opposto. E la lista si allungava. Buio e luce, bianco e nero, freddo e caldo, Nord e Sud, silenzio e rumore. Nel Teatro era in gioco il conflitto Oppresso e oppressore Su chi ho potere, chi ha potere su di me. Entrava in scena il Clown Bianco che umiliava l’Augusto. Poi lupi, leoni, pecore e gazzelle. Predatori e prede.

Ci guardavamo negli occhi per minuti infiniti e immaginavamo la vita di chi avevamo di fronte. In quegli sguardi la distanza si accorciava. Imbarazzo. Qual è l’opposto di “imbarazzo”? Il “barazzo”? Voi come vi sbarazzate dell’imbarazzo? i i il f d ll

Nel frattempo erano comparsi tre cartelli ai due estremi del ponte che collega il centro città di Parma all’Oltretorrente: “Parma di qua dall’acqua” e “Parma di là dall’acqua”. Al centro, “Parma qua e là”.

Cerchioscritti continua il suo intento di essere ponte, binocolo da una sponda per far almeno scorgere quella opposta. Punto di incontro, di domanda e, forse, di attraversamento.

RI-EDITORIALE

NINO DI GIRGENTI per la redazione interna

Scrivere di sé è guardare le parole nel momento in cui vengono cercate, trovate, scritte o dette. Le prime che vedi sono loro, poi ti guardi intorno e vedi le macerie della tua tribolata vita. Guardi e vai avanti. Indugi per un istante e poi ancora a cercare e ancora a cercare frustrato per non riuscire a ritrovare quella parte di te che ti osservava da dentro e che era sempre in conflitto con la tua anima e tu non potevi fare a meno di nutrirla, mentre essa nutriva te in un rapporto inverso di proporzionalità: se ti trasformavi anche lei si trasformava, mangiava con te, dormiva con te, trasformava le tue giornate, trasformava la tua lingua.

E i ll i “ l ” è i i d

È come se un ago mi penetrasse il cervello e cogliesse nel segno riuscendo a farmi rivedere gesta di giorni lontani: le gesta di un eroismo confuso e indisciplinato. Non riesco ad immaginarmi un eroe. Riesco solo a vedere un riflesso di me stesso che cammina all’aria aperta, mentre da questa parte del muro vedo filtrare uno spiraglio di luce che rischiara le viscere di questo luogo

E sto dritto, in punta di piedi, ad osservare quella immagine di me che si perde all’orizzonte, mentre altre centinaia di vite girovagano inseguendo qualcos’altro, cercando forse di intravedere anch’essi qualche sprazzo di luce improvvisa, qualche

ORIZZONTALE E VERTICALE

Tra l’orizzontale e il verticale l’uomo ha inventato le scale, uno spostamento trasversale tra le due dimensioni.

Il leone del circo resta spesso fermo nella gabbia sognando di rincorrere una preda. Il barbagianni vola libero tra gli alberi illuso di aver già visto tutto.

Straordinario è il sogno, ordinaria l’illusione. Così il mondo si fa gabbia per milioni di persone, il corpo recinto per le anime che hanno smesso di credere.

Guerra e pace la continua altalena, una sinusoide ancestrale incastrata nello spettro di ascisse e ordinate, X e Y in alternanza stagionale.

Siamo abituati ormai a queste due dimensioni, padre e madre del piano cartesiano.

Dimentichiamo la Z, l’altra grandezza, figlia necessaria per comporre una visione tridimensionale.

Il prigioniero è costretto a stringersi in una cella, può vagare in modo verticale.

L’uomo libero spesso si limita a camminare in orizzontale.

L’incontro tra i due è come una scala, comprensione trasversale. Il confronto tra i due è come il piano Z: entrambi possono prendere parte ad una dimensione tridimensionale.

L’incontro degli opposti genera figli, questa è la dinamica primordiale che spesso la macchina e la statistica dimenticano di assimilare.

Quello che serve da comprendere è già qui, ma è necessario il confronto tra piani diversi, lo scambio tra esseri diversi per ricordare che siamo un animale sociale.

VISIBILE E INVISIBILE

NINO DI GIRGENTI

INVISIBILE: Non c’è niente di buono in questa tua vita. Tutto qui è banale, ossessivo, stabile. Il senso di questa esistenza è immutabile, interrotta e già mi annoio a fare avanti e indietro in quattro metri di spazio.

VISIBILE: Ma tu che entri in questo luogo e vieni a cercarmi, per che cosa? Perché poi io? E perché in questo tempo di follia?

INVISIBILE: Parli troppo! Mettiti qualcosa addosso e vieni con me.

VISIBILE: Vengo con te dove? L’ultima volta che ho seguito qualcuno mi ha depositato qui e non è un bel posto.

INVISIBILE: Seguimi e non protestare. Chiudi gli occhi, fai un bel respiro e non temere l’ignoto. Non temere gli spazi aperti. Non temere i colori cheil cielo ti offre. Non temere il freddo e la nostalgia. Lascia questa prigione che non è mai stata casa tua. Impara ad esplorare. Cerca nel tuo cuore nuovi orizzonti e cerca dentro di te la forza della speranza. Dove io ti condurrò la speranza è un pezzo di pane raffermo e ammuffito: ti affama. Prendi se le possiedi, la gentilezza, la promessa, la forza e la costanza. Dove ti condurrò non c’è nient’altro che il nulla. Lì ci sarai tu e la tua carne. Dove ti condurrò neanche il tuo spirito vorrà risiedere. Egli vorrà scappare via e dileguarsi.

VISIBILE: Vuoi forse uccidermi?

INVISIBILE: Ucciderti? Perché mai! Io non posso ucciderti. Tu hai già le chiappe a terra. Io voglio condurti in un mondo dove potrai rivivere la gioia per un evento, la rabbia per una sconfitta, il dolore per una perdita. Io ti condurrò in un posto dove potrai essere te stesso e non dovrai mai più chiedere il permesso. Io ti porterò a casa tua.

SU CHI HO POTERE

Se ci penso veramente non ho potere su nulla. Se invece penso ai condizionamenti che agiscono in me quando non ci penso, allora credo di avere potere: sulla mia vita; sull’acqua che scende quando apro il rubinetto; sul mio cuore.

C.

Io ho potere su mia madre e anche su mio padre (ma un po’ meno, lui a volte mi fa sentire impotente).

Io esercito potere verso chi non riconosco come mio pari. Io esercito potere verso chi entra in competizione con me.

Il mio previlegio è stato spesso essere bella. Sono privilegiata perché non ho difficoltà economiche.

Io ho potere sul mio cavallo, ma non sui miei cani e gatti. Ho potere sul gestore del bar dove lavoro, che fa decidere a me quando andare a lavorare.

C.

CHI HA POTERE

SU DI ME

Se ci penso veramente, nessuno ha potere su di me. Se invece penso ai condizionamenti che agiscono in me quando non ci penso, allora credo che abbiano potere su di me le istituzioni e le persone che amo.

C.

Mi fa sentire impotente chi ritengo essere più acculturato di me.

Mi fa sentire impotente chi mi si rivolge con dolcezza.

Mi sento impotente se penso alle faccende domestiche e al matrimonio. Mi fanno sentire impotente le storie di vita degli altri.

Mi fa sentire impotente il mare e il terremoto.

Mi fa sentire impotente chi mi ignora.

Mi fa sentire impotente il tempo che scorre.

Io non ho potere sul mio umore.

C.

Credo ormai l’unica persona su cui riesco ad esercitare il mio potere sia me stesso.

Riesco a sopprimere le mie reazioni nonostante le ritenga giuste perché potrebbero offendere gli altri.

Quasi sempre preferisco subire che far subire.

Non sempre ci riesco.

S.

Ho potere

Sui libri, quando decido di aprirli per imparare qualcosa

Sull’interruttore della luce quando decido di accenderla

Sul fornellino quando devo riscaldarmi qualcosa

Sul cuscino quando decido di appoggiarci la testa

Su di me

quando mi impunto che una cosa

è come dico io

Su ciò che posso ancora dare, e spero sia sempre tanto

Sui ricordi e sui pensieri della mia mente

N.

Ha potere su di me

Lo Stato che mi tiene chiuso

L’agente che mi controlla

La muffa che invade la mia stanza

L’acqua spesso fredda

I dolori alle ginocchia che mi impediscono di farmi la corsa

La Magistratura di sorveglianza che non mi concede i permessi I muri del passeggio che non permettono di fare entrare i raggi del sole

Il tempo che passa, il quale accompagnandomi mi rende consapevole che sto invecchiando

La paura, quel terrore che la gabbia diventi abitudine e ogni cosa perda senso I ricordi e i pensieri della mia mente.

N.

Antonio ha potere su di me, perché mi condiziona a vedere la Tv con l’audio bassissimo e devo dire che ci riesce nonostante la mia resistenza. Hanno potere su di me tutte le persone con cui mi relaziono.

Il fatto di essermi sempre sentito un nero in mezzo ai bianchi mi ha sempre condizionato a subire su di me il potere degli altri.

S.

Prima, posso dire che il mio potere è stato esercitato male, perché manipolato da altri, ma era sempre il mio potere, un potere grande, iniquo, ingiusto e spavaldo che rimane nei ricordi non tanto sereni.

Ora, il mio potere è più forte di quello che avevo, perché ora lo esercito su di me.

Lo esercito sulla mia volontà.

Non vi è più istigazione o manipolazione, non vi è quella illusione che gli altri ti trasmettono.

Ora il mio potere è puro, perché lo posso esercitare come voglio sulle mie decisioni e mi ci posso anche divertire.

Lo posso dosare a mio piacere su di me per fare tutto ciò che voglio in questo mondo che non voglio ma mi circonda.

G.

Hanno potere su di me:

L’educazione

L’umiltà di Mimmo

La sincerità di Salvatore

La semplicità di Aurelio

Voi tutti

L’accoglienza

Il garbo di Gianfranco

Chi mi giudica senza essere stato condizionato

L’intelligenza gentile di Vincenza

A.

Ora tutto ciò che mi circonda ha potere su di me. Tutti mi dicono cosa fare e non fare. L’impotenza di fronte a quello che vorrei è talmente forte che mi fa sprofondare nel nulla per non vedere e pensare a questa realtà di impotenza.

G.

HO FIDUCIA

Nelle parole della famiglia

In me, così poi posso fidarmi degli altri

In quel che sento

In quello che sono in grado di costruire

Nell’amicizia “nonostante tutto”

Nel lato positivo della gente

Nel lavoro che faccio su me stesso

Nella cura

MI VIENE SPONTANEO

Sbadigliare

Fare il giullare

Scherzare con la persona che ho davanti per metterla a proprio agio, anche se quest’ultima a volte si rivela un flop Giocare, anche se prima facevo fatica

F. nei confronti di T.

Dare una mano negli spostamenti con la carrozzina

Avere cura, protezione e rispetto, anche per la nostra differenza di età

Innalzare a verità incontestabili profezie le sue parole

HO SFIDUCIA

Nell’ignoranza

Nella non-conoscenza che può portare a essere raggirati

Verso chi parla della libertà e poi non la garantisce

MI RISULTA FORZATO

Avere un ritmo sonno - veglia regolare

Rendere comprensibile agli altri quello che dico

Studiare

Cucinare

Rispettare gli ordini

Salire sul palco

Accontentare

F. nei confronti di T.

Parlare di me in modo profondo, per paura che a T. non interessi

ORDINARIO E STRAORDINARIO CLAUDIO CONTE

A volte penso che la mia vita sia al contrario. Tutto quello che è ordinario per gli altri ha il sapore di straordinario per me, mentre tutto quello che può essere straordinario per gli altri è ordinario per me

La libertà. La libertà è come l'aria, ci si accorge di quanto sia importante quando la si perde, diceva Piero

Calamandrei, uno dei nostri padri costituenti. Per la maggioranza delle persone essere libere è qualcosa ordinario, per me è qualcosa di straordinario, di un tempo lontano, lontanissimo; allo stesso modo per gli altri sarebbe qualcosa di straordinario essere privati della libertà, per me è diventata ordinarietà. Com'è ordinario vivere attenzionato.

Molti sono quelli che si occupano e si preoccupano di me, interesso davvero a molti, interi apparati dello Stato: organi investigativi, giudiziari, penitenziari. Decide, sono le persone che si dedicano a me, da decine di anni. Ogni richiesta che avanzo mette in modo tutta una serie di organi statali a diversi livelli. Contenti o scontenti. Chissà.

Questa è la mia ordinarietà. Per me è straordinario passare inosservato.

Non accade quasi mai. Non da quando sono in carcere, ma neanche quando ero fuori. Molti mi chiedono cosa vorrei in un'esistenza futura, da libero: il passare inosservato, essere un tipo ordinario, ecco quello che vorrei, non mi offenderebbe tale definizione. Anzi. Forse è la cosa più desiderabile. Una vita ordinaria, con un lavoro ordinario, una famiglia ordinaria. D'altra parte, nel mito di Ercole si racconta che Ulisse, il più saggio tra gli eroi dell'antica Grecia, quando gli viene chiesto in quale corpo voleva che la sua anima si reincarnasse, lui non scelse quella di un re o un potente, ma di un contadino, un semplice contadino. La mia esistenza è di un ordinario che fa invidia a un orologio a cucù. Il tempo è regolato in ogni minimo dettaglio. Pochi metri lo spazio in cui vivere. Di notte è un continuo passaggi odi estranei che mi controllano. Neanche ci faccio più caso, il mio buongiorno sempre lo stesso. Stesse facce, anche alla TV, stesse voci, stessi rumori, stessi odori, stessi corridoi, stessi sorveglianti, stessi truffatori,

stessi rompicoglioni, altre facce simpatiche, davvero simpatiche, ce ne sono molte, stessi amici, stessi programmi, stesse scale, stessi passeggi, stessi pavimenti tutti di cemento, stessi discorsi, stesse aspettative, stessi ritardi, stessa corsa, stessa musica, stesse scale, stessa stanza, stessa doccia, stessi pranzi, stessi programmi, stessi film, stesse promesse, stesse attese, stesse delusioni, stesse notti. E poi di nuovo giorni sempre uguali, storie sempre uguali, libri, romanzi, lettere, altre lettere, emozioni sempre forti, tutte le volte. Uguale anche la pazienza ogni giorno, ogni settimana, ogni mese, ogni anno, ogni decennio, da quando avevo 19 anni moltiplicato per 33 anni di carcere, senza neanche un'ora di libertà. Unico caso in Italia e in Europa tra ordinario e straordinario. Non lo so. Ma so di giorni e di decenni sempre uguali, come un rewind avanti e indietro, indietro avanti, la storia che si ripete, sembra di no, forse cambia un po' ma no è sempre quella, ordinario, siamo sull'ordinario in quello che più straordinario non può essere.

PASQUALE

soggettive. Prendiamo come esempio una hostess che ordinariamente sale su un aereo per svolgere il suo lavoro ed è talmente abituata a volare che non manifesta attenzioni, timori e gioie, pur sapendo che di lì a poco si troverà faccia a faccia con le nuvole. A differenza di un bambino che, se sale per la prima volta su un aereo, manifesta inevitabilmente un miscuglio di emozioni straordinarie Per cui, straordinario e ordinario oscillano da persona a persona. Lasciando da parte il mio parere, vorrei concentrarmi di più sull’oggettività delle cose straordinarie, dal momento in cui di ordinario non dovrebbe esistere nulla. Straordinario è tutto Se noi vedessimo la nostra vita da un vetro, da spettatori, proprio nel modo in cui osserviamo un acquario oppure un'opera d'arte ci renderemmo conto che è straordinario svegliarsi la mattina accanto alla persona che ami, è straordinario fare lezione con i figli e accompagnarli a scuola, giocarci insieme, confortarli, aiutarli nel momento del bisogno, di soffrire con loro e per loro. È straordinario avere

la fortuna di conoscere persone come voi che siete la prova grande che non esistono distanze temporali né spaziali in grado di sminuire il legame e la stima che nutriamo ognuno nei confronti dell'altro. Oggi mi trovo in condizioni di vivere forzatamente molte dinamiche ordinarie, ma nonostante ciò c'è sempre qualcosa di straordinario o meglio cerco di renderlo tale, come la conoscenza della cultura Pure la conoscenza di altre persone chiama abitudini, tradizioni e cultura diversa dalla mia. La conoscenza in generale è una cosa straordinaria, non perché è una cosa nuova, ma perché è una cosa bella e genuina Proprio come sono le vostre anime che con straordinarietà e semplicità ci supportano e ci confortano annullando quel “NOI” e “VOI” e ci fanno sentire meno soli e meno diversi. Straordinaria è la libertà che molto spesso non è valorizzata da chi la possiede, perché noi per natura diamo tutto per scontato, come se tutto sia dovuto per diritto, gli abbracci, l'affetto e tante altre emozioni. Questa nostra presunzione ci fa cadere tristemente nella noiosa ordinarietà e ci fa perdere quel miscuglio di emozioni che prova quel bambino salendo sull'aereo.

TOLLERANZA E INTOLLERANZA

Con F. e A. facciamo una premessa esplorativa su cosa sia per noi la in/tolleranza.

Per me ha due accezioni come forma di “sopportazione” di qualcosa che non ti piace, e come importante mezzo di convivenza civile, che tutela le minoranze dalle maggioranze.

Per A. è un sentimento che hai dentro e ti permette di essere flessibile, è qualcosa di inscritto in noi nei nostri geni che ti porti dentro da sempre e sviluppi col tempo. L’esperienza aiuta a essere più tolleranti, perché fa maturare. Il tempo necessario non è quello della vecchiaia ma della maturazione.

Per F. la tolleranza è una forma civile di intolleranza, si tollera ciò che è diverso da sé. Se ci fosse accettazione vera non ci sarebbe bisogno di tolleranza. Se non è vera accettazione invece ti porta a essere tollerante, quindi tolleranza e intolleranza sono sullo stesso piano, nella prima il conflitto non esce fuori ma c’è ugualmente, mentre se c’è accettazione c’è integrazione. Io vengo in carcere ma non è che vi tollero perché avete fatto reati, io non ci penso neanche.

NORD E SUD

Dialogo sulla polarizzazione in dialetto napoletano e parmigiano

Però

tì 't ghè da tgnir a mént che chi dentòr a ghé de tut. At dig na roba acsì 't me capis meij: mi a son na béla ragasa, no?

Vulite sapé 'a polarizzazione ch'eré?

E mo vo spiegamm noi!

E' na diversità ca nun essa esistere, ma esistarrà semb.

Uardamm a tut chella gent ca venan scurdat, maltrattat e trascurat.

A sola colp e nascere rind a nu paese addo stato nun esist.

E se sentono calpestat cumm e vierm. E pur chella gend tenena semb stampat nu surris in faccia e dann l'impressione ca stann buon e nun ce mang nient. Po ce sta chi dice ca diversità è important e fondamendale.

Ma ti ‘t ghè da credor quand at dig ch'a so èsor anca bruta bombén. At raconti n'ètra roba: quand a vén chi dentor, in col teator chi, mi'm senti bén. E vot savér al parché? Parché anca s'a son in méza a vu ètor, mi'm senti in béla compania. Ti t'è fat i tò asiò e mi a jo fat il mei, ma'm nin frega un cas, parché mi con vu ètor a stag bén bombén!

IL BIANCO E

L’AUGUSTO

“Quando dico ”clown” penso all’Augusto. Le due figure sono, infatti, il Clown Bianco e l’Augusto. Il primo è l’eleganza, la grazia, l’armonia, l’intelligenza, la lucidità, che si propongono moralisticamente come le situazioni ideali, le uniche, le divinità indiscutibili. L’Augusto, che non subirebbe il fascino di queste perfezioni se non fossero ostentate con tanto rigore, si rivolta. Egli vede che le “paillettes” sono splendenti: però la spocchia con cui esse si propongono le rende irraggiungibili.

L’Augusto, che è il bambino che si caca sotto, si ribella a una simile perfezione, si ubriaca, si rotola, per terra e anima, perciò, una contestazione perpetua.

Le due figure incarnano un mito che in fondo è ciascuno di noi: la riconciliazione dei contrari, l’unicità dell’essere.

Dice Lao Tse: se costruisci un pensiero = Clown Bianco; ridici sopra = l’Augusto.” da Fare un film di Federico Fellini

CHI DÀ LO SCHIAFFO E CHI LO RICEVE

Cosa si dicono il Clown Bianco e l’Augusto prima di entrare in scena?

BIANCO: Quante volte te lo devo dire che per educare servono le maniere forti?

AUGUSTO: Ma ma ma ma ma... (agitato e balbettante)

BIANCO: Niente “ma”! Le cose stanno così, che tu lo voglia o no. Altrimenti ne pagherai le conseguenze

AUGUSTO: Ma ma ma ma... guarda che musetto dolce che ha! Non posso sgridarlo, come faccio?! Non voglio, non voglio, non vogliooooo!

BIANCO: Fai come ti dico, altrimenti la sberla che dovresti dare a lui te la tiro io

AUGUSTO: Ma ma ma... sai che qui l’unico cane che vedo non ha quattro zampe, bensì due gambe e due braccia?! Ihihihihih

BIANCO: Ora. Prendi il cane. Mostragli la pipì che ha fatto in cucina. Dagli una sberlona sul sedere. Urlagli NO. Mettilo a cuccia. Non guardarlo. Lascialo solo. Vattene nell’altra stanza. Ascoltalo ululare e senti il suono della buona educazione (godendo)

AUGUSTO: Aspetta aspetta aspetta aspetta aspetta amico. Non è che potresti venire più vicino a spiegarmelo meglio? Non ho capito...

Il Clown Bianco si avvicina e l’Augusto gli mette la testa nella pozzanghera di pipì del cane. Risate dell’Augusto, risate grosse. Non riesce a respirare. Il Clown Bianco è disgustato. Gli viene da vomitare. Con il vomito che gli sale in bocca, sferra una serie di cinquine a mano ben aperta all’Augusto. Il cane esce in giardino, si china e fa la cacca.

AUGUSTO: Vedi amico? I cani sono creature intelligenti dopotutto…

PREDATORE E PREDA

Un leone, apparentemente forte e saggio. Una pecora, apparentemente debole e ingenua. Lui la vede e subito si sente predatore.

Lei lo vede e subito si sente preda.

Ma facciamo un passo indietro. Non bastò al leone essere forte: la sua ambizione lo portò ad apprendere le nozioni più importanti della natura, fino a divenire il leone e l’animale più colto fra i tanti (o almeno, questo è quanto pensava).

La scienza acquisita fece sì che il leone non ponesse più la sua fiducia nella sua forza, nella sua prestanza fisica, che solo a guardare incuteva paura, ma su altro: la saggezza che ammalia anche i più astuti.

Fu così che crebbe di notorietà fra gli animali della savana, molti dei quali ad ogni evenienza chiedevano aiuto al leone affinché egli, con la sua studiata e calcolata disponibilità, risolvesse i loro problemi. Fra i tanti animali, una pecorella restò veramente attratta dal saggio leone: una pecorella graziosa ma incauta.

“Ascolta me” le disse un giorno il leone “io conosco la verità e ho tanta di quella esperienza da farti evitare le insidie di tutti gli altri animali, che sono cattivi e nella maggior parte dei casi si mostrano buoni ma sono dei lupi rapaci. Io posso proteggerti con la mia sapienza e tu vedrai la libertà e la verità esserti amiche”.

“È saggio, colto e mi vuole pure bene” pensò la pecorella.

Nei mesi successivi lei seguì

tutte le istruzioni del leone, proprio come la pecora segue un pastore oramai diventato cieco. Agli occhi della pecorella lui appariva come il più saggio e il solo, che al di sopra degli altri, conoscesse la verità, che stava lì, a pochi passi da lei. Un bel giorno, la dolce pecorella chiese al saggio leone “Ma tu, dove mi vuoi condurre?”.

Lui rispose dicendo:

“Lontano dal falso, lontano da tutti gli animali che vogliono solo sbranarti e lusingarti, lontano da tutto ciò che finge di essere buono. Con me imparerai e un giorno sarai al sicuro”. Ma ecco che all’improvviso una voce irruppe nel discorso “Allora allontana la pecorella da te, impostore!”.

“Chi è che osa replicare a me, che son grande sia in forza che in scienza? Io, saggio fra i non saggi? Io che conosco le leggi del mondo per aver tanto studiato e dono gratuitamente agli altri il mio sapere? Chi sei? Manifestati oppure taci per sempre!”.

“Tu non conosci le leggi del mondo, tu non conosci altro che te stesso, e ciò che dai oggi lo riprendi domani con l’interesse della vanagloria, che ti ha gonfiato fino a farti dimenticare chi sei tu e chi sono gli altri”.

“Come osi! Lei che vedi qui, non riconosce altro che me, questa è la prova che sei in errore”.

“No, questa è la prova del tuo errare: la saggezza unisce i diversi e non divide gli uguali. Se sei davvero saggio come dici, allora lascia che la pecorella sia libera, anche di sbagliare. È facile mostrarsi saggi in mezzo alla gabbia dorata che le hai recintato intorno, più difficile farlo in mezzo all’arena del mondo, dove ognuno è ciò che è. Ma tu scappi, temi il confronto aperto e l’unica arma che hai è quella della calunnia.

Guai ai vinti e guai pure ai creduloni.

Lei pensa che tu sia forte, buono e pure saggio; ma se solo potesse vedere una piccola parte della vera saggezza, scapperebbe da te per vivere con tutti gli altri nella diversità. Tu l’hai ammaliata e lei non riesce più a distinguere il vero dal falso”

“Zitto! Io son saggio e la mia sapienza mi dà atto” interruppe il leone.

“Quale sapienza? Quella che anteponi al resto del mondo?” replicò la voce misteriosa.

“Ma chi diavolo sei?”

“Te lo dirò, ma prima rispondi a questa domanda! Qual è la differenza fra il colpevole e il responsabile?”

“...E’...è...”

“Che c’è? Il saggio fra i più

saggi non conosce la risposta? La differenza è che il colpevole paga mentre il responsabile espia”

“E allora?”

“Allora il primo peggiora mentre il secondo migliora”

“In che senso?”

“Nel senso che resterà per sempre nel suo errore fino a quando non riconosce la sua responsabilità. Proprio come te, colpevole irresponsabile. E comunque io sono la voce di chi crede nell’amore, la voce di chi crede nell’amicizia sincera e disinteressata, la voce di chi crede nell’uguaglianza e nell’aiuto reciproco. Sono uno che sa e non sa; sono semplicemente te stesso quando ancora credevi nel diverso.”

RICOMINCIO DA ZERO

Dialogo di ANTONIO DRAGONE

ZERO: Ci sarebbe bisogno di ricominciare da zero, per provare a ripartire su basi nuove.

UNO: Se solo tu fossi un numero…

ZERO: Come non detto, sempre pronti a polarizzare: il dubbio o l’azione, yin o yang, il divino o l’umano, il biologico o il tecnologico, il femminile o il maschile, la cultura o la natura, il pubblico o il privato.

UNO: Ma che ne sai tu di quanto abbiamo lottato per creare il giusto equilibrio, di quanto si è combattuto per garantire un mondo coerente.

ZERO: Ok, mi fermo qui! Non ho nessuna intenzione di creare

DUE: Io gioco!

1,5: Io amo giocare.

-2: Ci sono anch’io.

IO: E voi chi siete?

TRE: Tutto quello che un pensiero polarizzato non riesce a contenere.

1,5: Vedi, il rischio è di perdere l’abitudine al molteplice, accordare a forza ciò che non può essere consonante.

DUE: Rischio nel quale siamo precipitati: la ricerca dell’unità, dell’unico, dell'identitario, della non contraddizione, ci ha allontanato dalla capacità di immaginazione, soffocando le variazioni qualitative.

-2: È una miscela esplosiva che ci porta verso la frammentazione, lo smarrimento, la disuguaglianza, che apre alla logica della separazione, dell’espulsione e indebolisce la spinta alla convivenza e alla coesione.

UNO: Il disastro è incombente!

ZERO: Bisognerebbe mostrarsi inventivi e pieni di coraggio, immaginare un’altra maniera di percepire il mondo-diversità.

TRE: Ma allora qual è la via per uscirne

ZERO: Pensare multiplo, pensare plurale, questa è la via di fuga. Si tratta di assumere la diversità e il conflitto come strumenti positivi di crescita e non come ostacoli da abbattere.

UNO: Ad esempio pensando alle disabilità sociali e alle vulnerabilità degli individui come risorse possibili e non come limiti e povertà. Ho capito bene?

ZERO: Sì! Fai conto che siamo come dei minuscoli granellini in balia degli eventi, dobbiamo provare a ritagliarci un ruolo e un'importanza nel procedere verso il futuro di una comunità multipla.

DUE: Esatto!

1,5: Quando diciamo che bisogna smantellare il pensiero binario per attivare un pensiero biologico, non parliamo di astratti

DESTRA, SINISTRA, SCARPE SPAIATE

CLIZIA CANTARELLI

“Toglietevi le scarpe, mischiatele in mezzo al pavimento e poi sceglietene un paio ciascuno, anche spaiate, e indossatele".

Prendo due scarpe spaiate, quelle più vicine, che riconosco, mi piace mettere i piedi su terreni conosciuti.

"Adesso ognuno provi a camminare con le scarpe che si ritrova" aggiunge Vincenzo. Non mi imbarazzo. Chissà perché. Forse nello spazio del gioco, del palco di un teatro i pregiudizi restano sospesi

Indosso due scarpe da donna spaiate e invece di pensare a conservare l'immagine ipermaschilista costruita dalla società, la mia attenzione è catturata dalla sensazione di un caldo torpore ancora presente nelle scarpe. Cammino, sento la morbidezza della sneaker e la protezione dello stivale.

Le calzo a modo mio. Dov'è scritto che le scarpe devono essere indossate ai piedi in modo canonico? Non sono della mia misura ma so che con loro potrei affrontare un lungo viaggio, come quello che stiamo facendo in questa "grotta", "caverna", laboratorio Mi accorgo che le due scarpe che indosso sono entrambe sinistre: come le arterie del cuore o quelle notti senza luna, "sinistre", chissà perché si dice una "notte sinistra" e non "destra", la vituperata "destra", forse perché a "sinistra" tutto sembra essere più bello e pure più "sinistro", un "sinistro bello"

Cammino con due scarpe uguali. Alla fine sono scarpe entrambe. Uomo o donna, bruna o bionda, dentro-fuori, fuori-dentro, dentro o fuori oppure dentro e fuori, liberi o prigionieri oppure liberi e prigionieri? Aggressori o aggrediti oppure aggressori e aggrediti?

Per fare la guerra bisogna essere in due, ma anche per la pace e per amarsi.

Legami distruttivi, costruttivi, da riparare: i legami voluti dal destino sono indistruttibili.

29 APRILE 2022

Testo composto tutti insieme con il gioco della sigaretta

Polarizzazioni che si attraggono

Che ti danno consapevolezza

Le mattine d’amore, la sera di paura

Le piogge estive, il sole in inverno e le loro attese

Quando penso alla polarità vedo un cerchio

La polarità della molecola dell’acqua carica positiva e carica negativa l’elemento iniziale della vita

La polarità della vita, che ci riserva il bene ed il male, la salute e la malattia, la vita e la morte!

E senza morte non c’è vita

La morte la concepiamo con il dentro, la vita con il fuori

Anche se alla fine, ogni volta che mi sento viva, il movimento viene da dentro

Ma la sensazione è che dentro non ci sono “io” ma i boschi che stanno lontani, dentro è fuori,

quindi la polarità non esiste

Il due che si fa uno è una speranza due tre quattro cinque…mille,

Unione condivisione ponte crederci non desistere

Crederci fino al punto in cui vedrai il tuo desiderio finalmente realizzato perché l’ordinarietà non esiste, tutto è possibile renderlo straordinario

Straordinario è tutto ciò che è ordinario e l’ordinaria meccanicità può diventare utile consapevolizzandola e imparando a scegliere.

Io sono come te

Nella solitudine

Nella ricerca della libertà

Quando non riesci a trattenere le risate

quando starnutisci

e anche quando sbadigli

Io sono come te:

Perché ho paura a guardare i miei mostri

quando arrivano nella notte

Perché entrambi, da qualche parte, abbiamo l’arma per iniziare

ad accarezzarli

o forse perché dobbiamo imparare, semplicemente, a farci delle carezze.

Io sono come te:

quando arriva la tentazione e credi proprio che questa volta non riuscirai a resistere quando resisti

ma anche quando slacci la corda

e ti lanci nel burrone

Io sono come te

In questo tempo strano, che ci sembra tutto ingiusto

Io sono come te

L’OMBRA

Il gioco delle ombre

Aleggiare come un’ombra

Parlare con l’ombra

L’ombra di sé stesso

Rincorrere l’ombra

Intravedere un’ombra

Restare nell’ombra

Vivere nell’ombra

Aver paura dell’ombra

Fidarsi dell’ombra

Perdere l’ombra Invisibile!

Peter Pan ha ricucito la propria ombra?

Lui vive nell’isola che non c’è!

Cerca dentro di te e scoprirai che quell’isola c’è sempre stata!

V O CERCH IOLA R I O

RETROTOPIA

Utopia che idealizza il passato, considerato più rassicurante.

La “retrotopia” è l'inverso dell'utopia, è un'utopia rivolta all'indietro: è la nostra recente attitudine a collocare nel tempo passato – e non più nel futuro o in un luogo leggendario –l'immaginazione di una società migliore.

Treccani

RETROTOPIA

Si parlava della polarità “ordinariostraordinario”.

Io vorrei soffermarmi su una cosa per me importante, l’utopia e la retrotopia. La scorsa settimana ho ricevuto una risposta per me direi inaspettata, anche se per molti anni ho lottato affinché avessi ragione su articoli e diritti che mi vengono negati. In questi lunghi anni ho vissuto periodi affidandomi alla speranza, all’utopia e alla retrotopia. Nell’utopia coltivavo pensieri, idee, costruivo; non è vero che non ci sia alternativa a superare certi ostacoli, che erroneamente vorrebbero importi compromessi di loro comodo. L’alternativa c’è sempre, bisogna cercarla e l’utopia aiuta a trovarla. Mi sono sempre detto: presenterò istanze, farò ricorsi, contro-ricorsi, ma come si suol dire “ un giudice a Berlino dovrò pure trovarlo”.

La retrotopia è un ritorno al passato. Ho pensato spesso al mio passato: chi non ha mai avuto nostalgia di ricordi piacevoli, eventi vissuti che ti lasciano ricordi indelebili? Il passato è la nostra storia. Un giorno qui a Parma mi fu chiesto: “ritorneresti indietro?” Ho risposto “assolutamente no ” , perché sarebbe come perdere tutto quello che ho fatto e ho vissuto. Se tornassi indietro dovrei rivivere di nuovo sia la retrotopia che l’utopia, sarei molto più infelice di quello che sono. Invece questa mia utopia inaspettatamente si è quasi realizzata, al punto che per quello che sentivo e sento da altri mi sembra ancora più utopico, ma questa mia utopia mi ha traghettato verso una possibilità concreta.

Non ho nostalgia della retrotopia, ma vorrei scendere da questo viaggio che mi fa pensare “ non qui, non ora ” .

Qui è un continuo immaginare a pensare la vita futura, invece che rimpiangere la vita passata. Quindi tra l’utopia e la retrotopia preferisco l’utopia che si rivolge al futuro, per il semplice motivo che niente ritorna mai come prima, come ci insegna la retrotopia. Dall’unione dell’utopia e della retrotopia sono nato io, ancora realtà.

La realtà è che oggi sono qui nel presente e questa vita me la sono vissuta. Siamo tutti figli della nostra decisione di essere ordinari o straordinari.

DOMANDE OLTRE LE POLARITÀ

Per l’esito teatrale dell’anno di laboratori sul tema delle polarità, ogni partecipante ha tratto dalle proprie riflessioni una domanda da porre al pubblico.

Mi ricordo della nostra dissertazione sui poli, sul blu e sul rosso, di quando abbiamo scoperto che una posizione non meno dignitosa è quella del giallo. Non una via di mezzo, nè una non-scelta, non il grigio omertoso dell'indifferenza, ma una posizione che da un vertice del triangolo dei colori primari osserva le altre due. Bene, credevamo di aver trovato il nostro posto in quel giallo, la messa in dubbio, l'affermazione dell'esistenza del rosso e del blu.

Abbiamo sostato a lungo nel giallo per interrogarci sul rosso, sul blu, sulla scelta tra il rosso e il blu. Abbiamo scelto di affrontare il problema contemplandolo.

Abbiamo scelto che il nostro punto di vista fosse il punto di domanda. Abbiamo scelto. Abbiamo scelto? Chiedo a voi.

A chi? A noi?

Avete scelto?

Maddalena

Rifletto, osservo le cose che mi circondano e rifletto… Penso alle cose che ho, a quelle che ho perso e mi chiedo se può bastarmi. Secondo voi, se mi accontento di quello che ho, e mi rassegno per le cose perdute, posso essere davvero felice?

Pasquale

Io ho capito da poco che capire le cose corrisponde a creare una gabbia. Dorata. Ma pur sempre una gabbia. Come si fa a vivere senza creare gabbie? Scusate volevo dire come si fa a vivere senza creare conoscenze ingabbiate...no. Volevo dire proprio gabbie. Vincenzo

Se tra i bianchi e i neri ci stanno le maschere e tra il nord e il sud ci stanno i soldi. E tra i maschi e le femmine ci stanno le gravidanze. E tra me e te ci sta la nostalgia, allora tra noi e voi cosa ci sta?

Se quando un frutto cade per terra poi non lo puoi riattaccare su un ramo neanche se ti arrampichi su, se quando i capelli cadono non puoi appiccicarli con lo scotch, e se quando finisci il gelato non puoi mettere la testa dentro al freezer, insomma se indietro non si torna, le persone possono davvero rimediare?

Vincenza

Cammino a piedi nudi. Quando cammino a piedi nudi mi ricordo di sentire. L'erba, il freddo, il caldo, il male dei sassi. Quando cammino a piedi nudi non sono un soldatino che fa cose per bene. Devo decidere dove mettere i piedi, non posso dare per scontati i miei passi. Se divento automa rischio di pestare la merda. Allora, quando sento l'erba, il freddo, il caldo, il male dei sassi, sento anche che tutto acquisisce senso. Quante volte riusciamo a sentirci presente?

Laura

Avere buon compito di eterno, eterno campare, etere respirare.

Nel mezzo stare, che non è sostare.

Collocare la vita tra punto e punto.

Lasciare parte, prendere parte.

Un corpo completo.

Il tuo lo immagini?

Ci riesci?

Irene

Se c'è una cosa che ho capito, ma non sono certo di averlo fatto, è che quello che vivo e vedo quotidianamente non è solo esterno a me, ma è una manifestazione fisica di quello che ho dentro. Un'altra cosa che forse ho capito è che nel brutto c'è energia. Nel brutto c'è verità. Imparare ad abbracciare il brutto e capire cosa ci sta dicendo è un valido obiettivo. Come si può propagare l'amore per il brutto? Filippo

Il carcere umanizza le persone o le disumanizza? O meglio, le rende più socievoli o asociali? Salvatore

Quanti viaggi, quante avventure, quante occasioni sfruttate e quante mancate. Ogni minuto è vita. A volte è ferma, altre volte va troppo veloce. Molto spesso si ferma...si ferma a pensare, si ferma per ascoltare, per ridere e piangere insieme. Per affrontare dolori, per sentirli addosso e fanno male, ma non si muore. Anzi si muove! Prima o poi si muove! Voi vi sentite più fermi o in movimento?

Serena

Voglio che la mia voce ti arrivi.

Desidero che la mia voce si faccia strumento a fiato per chi voce non ha. I senza voce urlano alle nostre coscienze più di quanto ci si possa immaginare.

Nel silenzio, un rumore portavoce?

Bianco che persiste. Resiste.

Chi non ha voce spesso ne ha anche per te.

Uscendo da qui, oggi, ti farai portavoce?

Annalisa

Riuscite a immaginare quanto sia fondamentale per noi detenuti avere un appuntamento settimanale con persone al di fuori del nostro contesto sociale?

Sasi

E voi avete una domanda da fare?

Uscendo da qui cosa vi rimane?

Rifletterete su quello che è accaduto o è stato solo intrattenimento?

Siete disposti a concedervi un tempo per desiderare un mondo più umano?

Davide

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