Prova d'Artista_Cecilia Giampaoli

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/ PROVA D’ARTISTA / INDAGINE COMPARATIVA SULLA PRATICA DELLA GRAFICA D’ARTE CONTEMPORANEA / CECILIA M. GIAMPAOLI /





/ INDICE / / INDRODUZIONE /

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/ VERSO NUOVE APERTURE

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/ NOTA ALLA LETTURA

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/ IN DIALOGO /

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/ ANDRZEJ FYDRYCH

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/ ALESSANDRO FORNACI

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/ VIOLETA GUILLÉN MARTÍN

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/ MOHAMMAD SHAQDIH

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/ CLARE SZYDLOWSKI

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/ MAJLA ZENELI

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/ SUI TEMI /

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/ L’UTILIZZO DEL PRINTMAKING NEL CONTESTO ARTISTICO CONTEMPORANEO

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/ INTEGRITÀ TECNICA E ORIGINALITÀ NEL PROCESSO DI LAVORAZIONE E STAMPA

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/ SCUOLE E TRADIZIONI: AUTORIALITÀ E RADICI CULTURALI

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/ MAESTRI: INFLUENZE ED EMANCIPAZIONE NELLA RICERCA ESPRESSIVA

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/ ASSIOMI DI UNA POETICA

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/ LE FORME DEL FARE /

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/ CIFRATA MEMORIA / ACQUAFORTE SU ZINCO / STAMPA POSITIVA E NEGATIVA

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/ BUY AMERICAN / STAMPA SERIGRAFICA A COLORI E TAGLIO AL LASER

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/ STARTLED HORSE / COLLOGRAFIA / COLLA E SABBIA DI VETRO

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/ INCISIONS / MANIERA NERA SU RAME E COLLAGE

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/ LUX-LEX / ACQUAFORTE / STAMPA E CONTROSTAMPA

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/ MEDITATION / COLLOGRAFIA / APPLICAZIONE DI PLASTICHE

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/ CREDITS /

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/ CONTATTI /

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/ BIBLIOGRAFIA /

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PROVA D’ARTISTA INDAGINE COMPARATIVA SULLA PRATICA DELLA GRAFICA D’ARTE CONTEMPORANEA CECILIA M. GIAMPAOLI



Quando non so cosa fare scavo Alberto Casiraghy



/ INTRODUZIONE /  ” i rigidi diktat delle Scuole classiche si smussano, si amalgamano, si trasformano e cadono attraverso il vivace confronto in atto fra gli artisti delle nuove generazioni  ” Attraverso una raccolta di esperienze professionali il testo vuole evidenziare la preziosa molteplicità che caratterizza la pratica della grafica d’arte contemporanea e la diversità di approccio a questa tradizione che i giovani artisti hanno. Sei artisti sotto i quarant’anni di origine geografica e contesto sociale diverso sono stati messi in rete. I giovani autori sono stati selezionati per la coerenza della propria ricerca artistica, per la disponibilità ad affrontare un dialogo e per l’interesse attivo nei confronti delle tematiche proposte. Alla loro attenzione sono state poste sei tematiche, volte a inquadrare il contesto grafico-artistico nelle differenti aree di appartenenza, le diverse modalità di approccio alla tecnica e al concept dell’arte della stampa. Dalla raccolta di interventi emerge una fioritura di principi teorici che si modellano sulla pratica per vestire le più eterogenee dimensioni poetiche. La stampa è un’arte antica, rigorosa e ludica al contempo, che nasce fra le radici stesse dell’umanità, influenza e racconta la storia dell’uomo; un complesso di tecniche difficili e severe cui l’artista deve dedicare sensibilità e fatica. Un serrato apparato di regole è strettamente necessario all’autore che intenda controllare lo sviluppo del proprio lavoro. L’ap-

prendimento delle tante tecniche della grafica richiede dedizione ed esercizio nella recitazione degli antichi gesti tramandati dai Maestri; movimenti rituali che descrivono il corretto metodo d’utilizzo degli strumenti, la giusta amalgama d’inchiostro per la stampa o il grado di umidità della carta fino all’attenta lettura finale dell’esemplare stampato. Le Scuole del mondo si ergono su fondamenta di regole stilistiche e tecniche le quali non sempre sono in grado di rinnovarsi, accettando la sfida delle nuove generazioni. Ho avuto l’opportunità di lavorare al fianco di autori di età, sesso, provenienza geografica e sociale diversa. Nello spazio aperto e neutrale del laboratorio ogni artista arriva portando con sé un carico di esperienze da condividere e la propria sensibilità artistica, inevitabilmente immersa, riflessa e condizionata dagli eventi e dalle fratture della propria vita. È questa profonda umanità dell’artista a muovere con coerenza i confini delle discipline, a dettare necessari cambiamenti in antiche pratiche e a risvegliare, coinvolgendole ancora con modalità nuove, le arti del passato. I rigidi diktat delle Scuole classiche si smussano, si amalgamano, si trasformano e cadono attraverso il vivace confronto in atto fra gli artisti delle nuove generazioni.

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/ VERSO NUOVE APERTURE / “dedicarsi all’utilizzo di una tecnica tanto antica non esonera l’artista dal confronto con il presente, lo costringe piuttosto ad una continua riflessione sul senso del proprio lavoro da affermare e rinnovare di giorno in giorno (...)  se la stampa sopravviverà all’era del digitale, lo farà grazie ai contenuti dell’arte, a un’attenta riflessione sul senso del segno, a una nuova apertura, a un utilizzo sincero e mai gratuito delle possibilità tecniche ” Gli scaffali virtuali degli e-commerce sono affollati di titoli di ogni tipo. Possiamo curiosare con grande facilità fra i prodotti culturali di tutti i Paesi del mondo. È sufficiente dare un’occhiata ai testi di riferimento presenti in questo catalogo sconfinato per accorgersi che la ricerca italiana sulla teoria e sulle tecniche della stampa non ha avuto, se confrontata ad esempio con il mercato americano, considerevoli sviluppi nei trascorsi quarant’anni. Alcuni ottimi testi tecnici italiani sono ancora in commercio; Incisione calcografica e stampa originale d’arte 1 di Renato Bruscaglia, ne è un esempio prezioso, ineccepibile e puntuale nella descrizione dei più complessi passaggi tecnici della calcografia. Sono passati appena alcuni decenni dalla stesura di questo testo, ma su di esso sembrano trascorse intere ere; le prospettive della ricerca grafica si sono velocemente estese. Per trovare un volume aggiornato o un manuale completo dobbiamo rivolgerci al mercato d’oltre oceano che propone ottimi testi tecnici, esaustivi e vivaci, i quali includono i processi tradizionali di stampa tanto quanto le più inconsuete sperimentazioni. Il corposo The Printmaking Bible 2 di Ann D’Arcy Hughes e Hebe Vernon-Morris, edito dalla Chronicle Books di San Francisco nel 2008, mantiene, attraverso una curata esposizione di contenuti corposi, vari e complessi, ciò che promette nell’altisonante titolo. Il contributo italiano non sembra reggere la sfida, la macchina culturale rallenta quando dovreb1 / Bruscaglia, R. Incisione calcografica e stampa originale d’arte, Edizioni Quattro Venti, Urbino, 1993 2 / D’arcy Hughes, A., Vernon-Morris, H., The printmaking Bible, Chronicle books, San Francisco, 2008

be invece approvvigionare di nuovi stimoli un settore così profondamente radicato nella storia dell’arte europea e nazionale. Un’inerzia dovuta forse anche al quotidiano, complesso confronto con la ricchezza artistica che ha magnificamente impreziosito il nostro passato storico e che rende più incerto e difficile ogni autentico tentativo di rinnovamento. L’arte grafica sembra necessitare di nuovi e vividi assiomi che esulino dall’annoso problema di legittimità tecnica che ancora tormenta gli appassionati, problema che peraltro la storia dell’arte ha dimostrato, da ormai cent’anni, di poter superare. Come è noto le tecniche della grafica si sviluppano nei secoli grazie al proprio potenziale divulgativo che nega in qualche modo l’unicità dell’opera d’arte, la quale viene replicata e diffusa in centinaia di copie, senza per questo essere parcellizzata. Con l’avvento della fotografia e poi del digitale la stampa si trova spogliata della sua primaria funzione e sopravvive acquistando valore per prerogative opposte alle prime: non perché di facile divulgazione ma piuttosto perché replicabile in un numero limitato di esemplari e solo attraverso un lungo lavoro artigianale. In questo caso l’affermazione di Benjamin: «ciò che vien meno nell’epoca della riproducibilità tecnica è “l’aura” dell’opera d’arte.»3 è, una volta in più, motivo di riflessione. Sormontata dall’enorme portata della riproduzione digitale l’opera stampata, classicamente intesa, accresce la propria aura dorata, definita da secoli di grande maestria e virtuosismi tecnici. 3 / Benjamin, W. (1936), L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, trad. it. Einaudi, Torino, 2000, p. 23.

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Venuta a mancare la stretta funzione divulgativa del mezzo gli estimatori della grafica d’arte hanno ritagliato per questa disciplina una nicchia sicura, protetta e troppo spesso isolata da un’estetica nuova e da un libero dialogo con la tecnologia che avanza. Giustificare l’utilizzo di una tecnica con l’abilità necessaria a padroneggiarla equivale, a mio avviso, a negarne ogni valore più essenziale, ogni dignità di puro mezzo espressivo. «La stampa può essere un’opera d’arte come qualunque altra creazione dell’uomo. Nella sua accezione più profonda e lontana può venire intesa come lotta dell’artista con la materia.»4 Quando questa tensione è visibile, quando questa guerra viene registrata dalla superficie della materia o più semplicemente, quando l’artista coinvolge nel lavoro le prerogative formali del mezzo utilizzato, allora la fatica della stampa è davvero giustificata. Persino a livello terminologico il sostantivo italiano con il quale si definisce la sfera tecnica di nostro interesse non riesce a raccontarla nella sua complessità; con il termine incisione impariamo a indicare, in ambito grafico artistico, l’insieme delle tecniche di lavorazione della matrice, l’esemplare ottenuto per impressione di questa 5 e, più genericamente, estesi dipartimenti professionali e didattici. Appare chiaro che, tale definizione, mal si presta a raccogliere sotto di sé l’ampio ventaglio di possibilità che fanno a buon titolo parte delle aspettative contemporanee della grafica d’arte. Non solo vengono escluse da questa catalogazione le stimolanti interazioni possibili con l’arte digitale ma, ancor più paradossalmente, le classicissime litografia e serigrafia, tecniche che hanno contribuito alla fioritura storica dell’arte grafica nel mondo. 4 / Salomon, F. (1960), Il conoscitore di Stampe, Umberto Allemandi & c., 1990, p. 21 5 / “Incisione: Disegno eseguito sopra una superficie dura, sia lavorando a mano con uno strumento a punta sia usando sostanze corrosive, in cavo oppure in rilievo, a scopo decorativo oppure per riproduzione di varie copie su altra materia.”, in AA. VV., Enciclopedia Treccani, Istituto Treccani, Roma, 1987

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In effetti la definizione incisione si riferisce con e‑ strema chiarezza ad incavografia e rilievografia che sembra voler legittimare quali uniche modalità appartenenti a pieno titolo al mondo delle arti grafiche. Un sodalizio di tecniche che nasce con una frattura che abortisce, con giustificazioni incerte, la stampa plano e permeografica. «I ritardi nella diffusione della litografia furono dovuti anche all’ostilità con cui venne accolta nell’ambiante dei calcografi questa nuova e a loro dire troppo semplice e facile tecnica di stampa. L’opposizione non venne soltanto dall’ambiente accademico (...) ma anche da parte di artisti, critici e letterati, che pur riconoscendo le possibilità, soprattutto divulgative, del nuovo mezzo ponevano ampie riserve sulla qualità del prodotto...»6 Questa menomazione, perpetrata a difesa dell’originalità, può avere l’effetto negativo di limitare le estese possibilità delle arti grafiche. Dobbiamo quindi chiederci come si sia arricchito negli ultimi anni il significato di autenticità e che cosa sia oggi un originale d’arte; la definizione sembra inseguire se stessa negli anni. «Accogliendo la proposta del “Comité de la Gravure” francese, il “Congrés International de la Gravure” del 1937, conveniva infatti che si dovesse definire “originale” la stampa ottenuta con i procedimenti calcografici e litografici tradizionali su disegno appositamente concepito dall’artista e “incisione” l’opera eseguita a mano e non con mezzi di riproduzione meccanici.»7 Dopo la mostra Immagini, del 1977 curata dal critico Douglas Crimp all’Artists Space di New York , in cui i lavori dei giovani artisti rappresentati erano collegati da una poetica che negava il valore stesso e la legittimità dell’originale in arte, come possiamo osserva-

6 / Massari, S., Negri Arnoldi, F., (1987) Arte e Scienza dell’incisione, La Nuova Italia Scientifica, Roma, 1996, p. 257 7 / ibidem, p. 259


re un’opera utilizzando gli stessi assiomi? 8 Nemmeno la grafica d’arte, e forse soprattutto questa, può esimersi da una profonda riflessione in questa direzione. Si tratta forse di un falso problema? Possiamo spostare, infine, il nostro focus di osservazione dalle piacevolezze della purezza tecnica ai contenuti dell’opera? Possiamo vedere oltre la raffinatezza del segno, oltre ciò che vuole rappresentare per mettere a fuoco ciò che sta a significare e, prima ancora, ciò che intimamente è? « (...) il segno sensibile, il suo significato non sono separabili nemmeno idealmente.»9 In questo modo potremmo accorgerci di essere sazi dei virtuosismi e dei manierismi che ancora una certa grafica propone e solleciteremmo la riapertura di un complesso, necessario dibattito su ricerca e poetica del visivo contemporaneo. «Collegare il segno al gesto significa non solo collegarlo alle necessità e alle intenzioni che determinano il gesto, ma anche ai parametri che lo definiscono e perciò, univocamente, alla tecnica di cui il gesto è una componente. Significa intendere il segno come anello visibile di una struttura variabile più ampia e complessa di quella che si può valutare solo in termini formali di equilibrio o di armonia. I segni, dun8 / “Giovani artisti che... erano collegati non dall’uso di uno stesso medium (usavano fotografia, video e performance ma anche mezzi tradizionali come il disegno), ma da un nuovo senso dell’immagine come picture, cioè come palinsesto di rappresentazioni, spesso trovate o appropriate, raramente originali o uniche, che complicavano, anzi contraddicevano, le pretese di autorialità e autenticità così importanti per la maggior parte dell’estetica moderna. Non cerchiamo origini, scrive Crimp, ma strutture di significazione: dietro ogni immagine c’è sempre un’altra immagine. Immagini voleva andare al di l­à di qualsiasi medium dato... si prendeva gioco dell’idea che uno specifico medium potesse costituire un atto di resistenza, una sorta di principio di verità che potesse servire da origine estetica (...)”, in Foster, H., Krauss, R., Bois, Y. A., Buchloh, Arte dal 900, Zanichelli, Bologna, 2006, p. 580 9 / Merleau-Ponty, M., Fenomenologia della percezione, Bompiani, Milano, 2005, p. 76

que, non sono solo espressione statica e formale di un’idea astratta, né puri nomi o simboli (albero, quadrato, lettere ecc.) ma, molto prima, sono risultanti necessarie, tra il razionale e l’irrazionale, di un nostro modo di essere. Si tratta di velocità e modi di variazione, di tendenza alla trasformazione, di situazioni statiche, addensamento e rarefazione, si tratta insomma di rapporti fra i gesti (le intenzioni), i segni, il tempo e lo spazio (velocità, accelerazione). Combinazioni alle quali, se fossimo attenti a ciò che dura nel tempo e avessimo gli occhi freschi, non chiederemmo né attribuiremmo significati aggiunti prima di aver riconosciuto, e di esserne appagati, ciò che sono: un insieme di situazioni, di provocazioni e tendenze che hanno il loro significato nel modo di attuarsi.»10 Per tornare al nodo terminologico, il corrispondente anglosassone printmaking sembra coniugare, almeno in parte, il desiderio di libertà espressiva dell’artista grafico con la necessità, riconosciuta su più fronti, di una sincera dichiarazione del processo di realizzazione dell’opera. Il printmaker (con un “make” che indica una buona dose di fisicità), non è solo colui che stampa, ma anche colui che fa, ciò lascia intendere una partecipazione corporale oltre che mentale al lavoro che ben si addice al nostro campo d’indagine. Non sembrano esistere purtroppo termini italiani corrispondenti, lo stampatore non è il printmaker il quale non esaurisce le proprie competenze nella pratica della stampa. Sostituire il termine italiano incisione con l’inglese printmaking non è pertanto, a mio avviso, da considerarsi indice di un’ostentato internazionalismo, ma tensione critica verso una visone coerente e aperta del panorama grafico contemporaneo. Osservato con il dovuto distacco, il gesto del “fare stampe” ha inoltre una non trascurabile evidenza simbolica: lasciare un segno, modificare la materia, vincerla con la forza e con l’intelletto e replicare in copie l’esito di questo confronto reiterandone il significato stesso. 10 Strazza, G., Il Gesto e il segno, 1979, Vanni Scheiwiller, Milano, 1979, pp. 13-14.

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L’azione indicativa in termini semiotici presente nel principio di realizzazione della matrice e poi della stampa è molto evidente. Il confronto con la materia costringe l’autore a preservare una traccia delle proprie azioni e a fronteggiare la risultanza del proprio potenziale attivo. La guerra è con la materia, la stampa ne è l’eco fedele ma lontana e specchiata. Cosciente o meno che sia tale relazione, questo gioco di impronte, tracce e segni accomuna tutti gli artisti-printmaker e contrappone al necessario e severo apparato tecnico un aspetto decisamente più ludico e leggero che si condensa nel puro gesto creativo e ricreativo dell’arte. Le pagine che seguono sono dedicate alle argomentazioni degli artisti coinvolti nel progetto; ricreando quella che in termini medici viene definita una équipe, per indicare un gruppo di professionisti che si confrontano sul medesimo caso clinico, l’intento del testo è quello di ottenere, attraverso triangolazioni di punti di vista, un dibattito virtuale intorno ai temi della grafica d’arte contemporanea. Ho personalmente avuto modo di riscontrare che un confronto diretto fra artisti con esperienze professionali diverse costituisce un’ottima occasione per problematizzare le tematiche dell’arte ed è, di conseguenza, fonte certa di arricchimento collettivo. Ogni centro artistico internazionale11 è uno spazio “extraterritoriale”, all’interno del laboratorio i ranghi slittano e si accavallano; si parla un sorprendente globish, una lingua spontanea e imperfetta che appartiene a tutti senza essere madre di nessuno. Gli artisti mettono in condivisione la propria esperienza arrivando con un intero mondo fatto di azioni, persone, convinzioni, debolezze, emozioni e sensazioni, percepibili nell’intimità del lavoro di alcuni giorni condivisi. Assistere un artista è un compito delicato e impegnativo, i contenuti del lavoro hanno attraversato l’intera vita dell’autore, per arrivare a prendere forma in quel dato momento; i problemi compositivi ed estetici non sono meno complessi e non hanno 11 / Fra il 2002 e il 2012 C. M. Giampaoli collabora in qualità di assistente agli artisti, insegnante e poi Direttore Artistico con il Centro Internazionale per l’Incisione Artistica Kaus di Urbino.

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soluzioni univoche; vivaci discussioni precedono la scelta di un’amalgama di rosso fra le infinite possibili. Ogni artista ha un’esperienza pregressa che, in un contesto collettivo, alimenta, e mette in discussione al contempo, la pratica stessa del fare arte. Ad arricchire questo sodalizio, contribuiscono le radici storiche e culturali, fondamentali nel lavoro di ogni autore; se la sfera personale è indubbiamente individuale e scarsamente condivisibile, qualcosa nella dimensione comunitaria sembra invece esserlo. Non di rado infatti ritroviamo fra conterranei assonanze estetiche e affinità cromatiche grazie a quella che non è certo una costante infallibile, ma un buon principio da tenere a mente per avvicinarsi con la necessaria delicatezza e consapevolezza al lavoro di un artista-printmaker. Se l’arte grafica mondiale del ’900 abbonda di punti di riferimento, fioriti armoniosamente fra le maglie di una tradizione solida e densa, una frattura abissale separa oggi le nuove generazioni dai propri Maestri, l’impatto e l’avanzare della tecnologia digitale e l’esposizione ad un confronto globale, hanno sconvolto il panorama e le prospettive dell’arte visiva contemporanea. Il cambiamento ha ormai dettato lo status di un era. L’artista non può voltarsi indietro; percorre la propria strada con la consapevolezza dei propri mezzi. Ma cosa succede se, mai come prima nella storia, questa strada sembra divergere a pazza velocità e in maniera definitiva da ogni punto precedentemente percorso? Il senso di smarrimento è palpabile, i punti di riferimento scivolano bruscamente indietro, risucchiati dalla storia. Dedicarsi all’utilizzo di una tecnica tanto antica non esonera l’artista dal confronto con il presente, lo costringe piuttosto a una continua riflessione sul senso del proprio lavoro da affermare e rinnovare di giorno in giorno. Già agli inizi del secolo scorso gli artisti imparano a mettere in discussione insegnamenti tecnici e formali per aprire le arti a nuove, necessarie sperimentazioni. Perché mai l’artista dovrebbe limitare il proprio lavoro e isolarlo da nuovi interessanti sviluppi? La storia e il suo evolversi sono fortemente connessi alla prerogativa propria dell’arte di seguire, registrare e talvolta anticipare lo sviluppo degli eventi del mondo e dell’uomo.


Se è vero che una buona conoscenza dei mezzi è necessaria al lavoro dell’artista quanto lo è il sillabario alle fatiche del bambino, possiamo però dire che la finalizzazione del processo creativo allo sviluppo di una sempre maggiore padronanza tecnica ne mortifica l’essenza stessa. La pratica artigianale si veste a festa e dichiara il proprio stato dell’arte. Mi domando in definitiva perché non considerare le tecniche della stampa per ciò che tanto semplicemente, quanto nobilmente sono: un mezzo non dissimile da altri a disposizione dell’uomo per rendere visibile l’invisibile. Se considerassimo l’incisione, la tecnica sorprendente che è (talvolta adeguata, altre inadatta a raccontare l’opera) potremmo finalmente spostare la nostra attenzione sui contenuti e liberare la poetica degli autori dal carico di virtuosismo e coerenza stilistica che ancora oggi l’aggrava. L’esistenza stessa di concorsi e mostre dedicati alla

grafica d’arte (che in Italia generalmente limitano la partecipazione alle tecniche così dette “tradizionali”) rischia, a mio avviso, di sfavorire piuttosto che incentivare, l’entrata di diritto delle opere in un contesto artistico universalmente riconosciuto. Un’opera grafica di valore artistico deve reggere il confronto con video, performance, scultura e arte digitale, deve sopravvivere specchiandosi nella contemporaneità, fuori da ogni nicchia protetta e costruita su misura. Se la stampa sopravviverà all’era del digitale, lo farà grazie ai contenuti dell’arte, ad un’attenta riflessione sul senso del segno, ad una nuova apertura, ad un utilizzo sincero e mai gratuito delle possibilità tecniche. Per poter trovare il nuovo valore dell’arte grafica, dobbiamo avere il coraggio di spogliarla della vecchia aura che la riveste e di osservarla nuda, per ciò che veramente è.

Cecilia M. Giampaoli

/ NOTA ALLA LETTURA / I contributi presentati nelle pagine seguenti sono il frutto delle personali posizioni e riflessioni di sei giovani artisti ai quali sono state sottoposte una serie di domande atte a circoscrivere alcune delle tematiche fondamentali per mettere in luce lo status del contesto grafico artistico nei diversi Paesi d’origine. Gli interventi sono raccolti in capitoli, perché le opinioni giustapposte possano fornire un sintetico pa-

norama della diversità di approccio al problema. Agli autori non sono stati richiesti approfondimenti storici né saggistici, ma lo sviluppo problematizzato delle diverse tematiche. Il dibattito si è esteso in rete e verrà ampliata e aggiornata con nuovi contributi: www.facebook.com/contemporaryprintmaking

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/ IN DIALOGO / / ANDRZEJ FYDRYCH / ALESSANDRO FORNACI / VIOLETA GUILLÉN MARTÍN / MOHAMMAD SHAQDIH / CLARE SZYDLOWSKI / MAJLA ZENELI


/ ANDRZEJ FYDRYCH /  “ la mia ispirazione è la musica, cos’è più astratto e al contempo così vicino a noi tutti della musica? Voglio confrontarmi con questo modello nella mia arte” Nasce a Łódź in Polonia nel 1983. Nel 2009 si diploma presso l’Accademia di Belle Arti di Łódź, Strzemiński, nel Dipartimento di Grafica e Pittura. Si diploma nell’indirizzo di corso del Prof. Andrzej M. Bartczak, Tecniche della Xilografia e Libro d’artista seguendo i corsi di specializzazione in Pittura del Prof. Wojciech Leder e in Tecniche Calcografiche del Prof.

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Krzysztof Wawrzyniak. Dal 2010 è assistente del Prof. Andrzej M. Bartczak nel dipartimento di Grafica e Pittura dell’Accademia di Belle Arti di Łódź. Lavora come artista nell’ambito della pittura e del printmaking. Oltre alle innumerevoli collettive cui ha partecipato, ad Andrzej sono state dedicate sei mostre personali.



/ ALESSANDRO FORNACI / “ mi ispiro all’ esoterismo e al simbolismo alchemico, grazie alle letture di R. Guénon, F. Shuon, A. Coomaraswamy, O. Wirth, E. Shuré, sulla “Sophia Perennis” e altri autori di saggistica tradizionale ” Nasce a Roma nel 1974. Nel 1994 Si diploma all’Istituto Statale d’Arte Silvio D’Amico, nella sezione Arte della Stampa; dove diventa assistente di laboratorio del Maestro Carlo Venturi. Nel 1998 si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Roma. Nel 2002 fonda a Roma il Laboratorio Sperimentale di Incisione, Stamperia del Tevere. Frequenta il KAUS, Centro Internazionale pel l’incisione artistica di Ur-

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bino, dove incontra importanti Maestri e partecipa a corsi e simposi. Viene invitato presso la Cal State University of Fullerton (CA, USA), esegue workshop alla Fullerton University, all’Orange Coast College, al Grand Central Art Center di Santa Ana. Da vita con l’artista Laura Peres e Stefano Pallagrosi al movimento ConSensoCosmico. Vive e lavora tra Roma e Urbino.



/ VIOLETA GUILLÉN MARTÍN / “ la mia ricerca artistica ruota intorno a riflessioni sul concetto di testo, linguaggio e scrittura (...) è su questo che si incentra la mia poetica , in certi casi le parole si sono trasformate in tessitura, in altri hanno acquistato senso piuttosto che significato. La parola esiste, ma non conta.” Nasce nel 1982 in Almeria, Spagna. Frequenta la Facoltà di Belle Arti Alonso Cano dell’Università di Granada e poi l’Accademia di Belle Arti di Urbino, città in cui entra anche in contatto con il Centro Internazionale per l’Incisione Artistica KAUS.

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Espone in molti Paesi d’Europa, il suo lavoro ottiene numerosi premi e riconoscimenti. Partecipa a fiere ed eventi d’arte contemporanea e collabora con il Centro MECA, Mediterráneo Centro Artístico de Almería.



/ MOHAMMAD SHAQDIH / “ nei miei lavori affronto anche temi umanitari ed esprimo personali preoccupazioni nei confronti della mia terra madre, la Palestina; la terra che conosco dai racconti dei miei genitori e dei miei nonni... da storie, immaginazioni e sogni che mettono in discussione il concetto stesso di identità ” Nasce ad Amman in Giordania nel 1976, studia Arti Applicate presso la Al Balqa University. Nel 2007 partecipa ai Corsi Internazionali di Incisione del Centro KAUS di Urbino. Dal 2008 Mohammad lavora presso la Khalid Sho-

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man Foundation, Darat Al Funun, in qualità di assistente alla direzione e all’organizzazione e promozione dei progetti. Il suo lavoro è stato esposto in numerosi collettive e personali in diversi Paesi del mondo.



/ CLARE SZYDLOWSKI / “potei intravedere un quadro più ampio: i fondamenti della promessa americana, quello che molti chiamano “The American Dream” (...) spazi di paesaggio che rivelano aspetti di una prospettiva unicamente americana radicati nell’individualismo e nell’industrializzazione ” Nata negli Stati Uniti, a Buffalo, New York, è artistaprintmaker e insegnante. Vive a Oakland, California. Ha conseguito il suo MFA presso la San Francisco State University dopo essersi laureata presso la UC Santa Cruz. Ha insegnato al Kala Art Institute di Berkeley, nella scuola superiore Convent of the Sacred Heart; at-

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tualmente insegna presso la Sequoia High School di Redwood City. Il suo lavoro, esposto fuori e dentro la Bay Area, si incentra sulle modalità con cui il processo industriale, con le proprie teorie e terminologie, ha caratterizzato la fisicità del paesaggio nordamericano e l’immaginario collettivo dei popoli che lo abitano.



/ MAJLA ZENELI / “ utilizzo la tecnica della maniera nera perché è come la fotografia, ma di un tipo molto controllato” Nasce a Tirana in Albania nel 1980, si diploma presso l’Accademia di Belle Arti di Wroclaw in Polonia. Nel 2006 e consegue gli studi postdiploma presso la Burg Giebichenstein University of Arts and Design nel Dipartimento di Grafica ad Halle in Germania. Partecipa a mostre e premi internazionali.

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Vive e lavora a Berlino. Nel 2009 fonda nella città tedesca la galleria Manière Noire presso la quale lavora e che ospita le opere di selezionati artisti-printmaker, affermati ed emergenti, provenienti da tutto il mondo. Lo spazio prende il nome dalla tecnica cui l’artista si dedica con grande passione.




/ SUI TEMI / / L’UTILIZZO DEL PRINTAMKING NEL CONTESTO ARTISTICO CONTEMPORANEO / INTEGRITÀ TECNICA E ORIGINALITÀ NEL PROCESSO DI LAVORAZIONE E STAMPA / SCUOLE E TRADIZIONI: AUTORIALITÀ E RADICI CULTURALI / MAESTRI: INFLUENZE ED EMANCIPAZIONE NELLA RICERCA ESPRESSIVA / ASSIOMI DI UNA POETICA



/ PERCHÉ UTILIZZI LE TECNICHE DEL PRINTMAKING? / QUALE VALORE HANNO CONSERVATO TALI TECNICHE DOPO AVER PERSO NEL CORSO DELLA STORIA, IN PARTE O DEL TUTTO, LA PROPRIA FUNZIONE DIVULGATIVA? / COSA NE GIUSTIFICA L’UTILIZZO NELLE ARTI CONTEMPORANEE? / COSA PENSI DEL VALORE ECONOMICO ATTRIBUITO ALLE OPERE DA ARTISTI, GALLERISTI E COLLEZIONISTI; HA A CHE FARE CON I CARATTERI FORMALI ED ESPRESSIVI DELL’OPERA O CON IL VIRTUOSISMO TECNICO LEGATO ALLA REALIZZAZIONE E ALLA STAMPA DELLE MATRICI ? CLARE SZYDLOWSKI / Mi sono interessata al printmaking per la connessione che ho trovato fra la stampa e il processo industriale. Il printmaking è, a suo modo, una forma di produzione di massa. Ogni tecnica tradizionale di stampa (calcografia, litografia, xilografia, serigrafia) è accompagnata da un insieme specifico di movimenti che devono essere eseguiti, ripetutamente, dall’artista. Come un lavoratore alla catena di montaggio il printmaker perfeziona questi movimenti per produrre un risultato specifico e replicabile. La pratica del printmaking funziona, per me come artista, attraverso la ricerca di soluzioni che ne rompano la struttura stessa, modificandone il processo senza abbandonare il linguaggio della stampa. Nel mio lavoro recente questo ha significato far sì che le stampe prendessero la forma di confezioni tridimensionali, cosa che penso sottolinei bene l’idea di tale connessione industriale; una sorta di ribaltamento fra ciò che siamo abituati a vedere realizzato a mano in piccola scala e ciò che invece sappiamo essere stato fatto a macchina in grande scala. Trovarsi di fronte a una moltitudine di packaging stampati a mano, mette in discussione il modo stesso in cui questi devono essere trattati; devono essere maneggiati come arte o come oggetti usa e getta? Negoziare la presentazione e la vendita di queste opere è complicato. I miei packaging sono modelli scultorei e stampe al contempo. Ho deciso di preservare le convenzioni della grafica classica stampando le mie confezioni in edizioni limitate, numerando e firmando ogni singolo esemplare come avrei fatto con una stampa tradizionale.

ANDRZEJ FYDRYCH / La stampa è un settore molto stimolante, pieno di possibilità non ancora scoperte. Ricercare queste nuove soluzioni può essere molto stimolante per l’artista-printmaker. Gli aspetti tecnici costituiscono una fonte di ispirazione, ancora maggiore della concettualizzazione del lavoro. Nella mia ricerca questo punto è fondamentale. Struttura, fattura, superficie e molti altri elementi, sono veicolo di significato. La tecnica può rimanere immutata per anni, ma il concept che determina l’opera dipende dall’epoca in cui l’artista vive. D’altra parte ci sono molteplici possibilità ancora non esplorate nell’ambito del printmaking, soprattutto se si considera l’idea di unire una tecnica con altre. In questo modo l’artista crea il proprio linguaggio. Questo tipo di ordine è fondamentale. Gli aspetti tecnici sono il motore dell’esplorazione concettuale. Gli artisti usano prima gli occhi e solo dopo il cervello. L’aspetto commerciale della grafica a mio avviso si spiega molto semplicemente; oggi non sono più molti i collezionisti di stampe, le gallerie preferiscono i dipinti agli esemplari cartacei (si pensa che la tela abbia un valore maggiore). Non è un buon momento per gli artisti-printmaker. Credo che chiarezza tecnica e concettuale siano fondamentali, anche più del virtuosismo formale presente nell’opera. MAJLA ZENELI / Utilizzo la tecnica della maniera nera perché è come la fotografia, ma di un tipo molto controllato.

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ALESSANDRO FORNACI / Il fattore che da subito mi ha entusiasmato dell’incisione artistica, e che ho sempre considerato un valore primario, è proprio quello di essere per antonomasia un’arte condivisa, divulgativa e non privata. L’elemento evolutivo maggiore della grafica d’arte è stato quello di permettere la condivisione a più fruitori, è un’arte che unisce gli uomini, che non li gerarchizza, in qualche modo credo sia una delle prime forme di democratizzazione dell’arte. Pur mantenendo importanza il valore intrinseco dell’opera, con la stampa d’arte si ha la possibilità di moltiplicare questo valore, trasformando un godimento individualistico in un godimento circolare, condiviso, non esclusivo di un luogo, di un padrone, di un palazzo. Le tecniche principali di riproduzione oltremodo impongono una riflessione sul gesto, sull’espressività del segno, che ci costringe ad una vivisezione di questa espressione, se si parte sempre dalla necessità espressiva, è la tecnica che si adegua al tipo di esigenza e non il contrario. Quindi l’incisore deve saper ponderare l’inizio e la fine di tutte le cose, e porsi come mediatore tra le due, l’amore per l’incisione nasce quando ad una fine coincide sempre un nuovo inizio... MOHAMMAD SHAQDIH / La stampa richiede creatività, ricerca e facoltà di valutazione; è un approccio all’arte di tipo sperimentale, che coinvolge diversi media, materiali e strumenti. La maggior parte delle opere richiede capacità d’immaginazione e predisposizione ad avventurarsi in creazioni simboliche. Questi lavori raccontano il valore illimitato della bellezza e della creatività su un piano mentale e visivo. Lo sviluppo della stampa ha costituito un aspetto fondamentale per la diffusione delle arti visive, in modo particolare alla luce delle implicazioni che questa tecnologia ha con la cultura e con i media così come li intendiamo oggi. Va di pari passo con la tecnologia. Il valore del colore è poi un aspetto fondamentale per comprendere le tecniche di stampa che richiedono sensibilità per le gradazioni tonali. L’artista può utilizzare il colore-concettuale per richiamare nell’opera il significato voluto. Questa è stata

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una delle motivazioni alla base del lavoro di Dalì, Picasso e altri importantissimi artisti. Il printmaking è un lingua con una grande quantità di vocaboli e possibilità diverse per comporli. Allo stesso modo, la stampa include un’estesa varietà di tecniche, è sempre stata un’ottima via di espressione per gli artisti e ha costituito uno strumento fondamentale per raccontare la vita sociale; prerogativa che è stata a lungo fonte di ispirazione per molti e ha coadiuvato gli sforzi sociali e politici di altri, come Goya ad esempio o, come nel caso di Toulouse Lautrec, la tecnica può calzare alla perfezione una natura impulsiva. Oggi, il printmaking si sviluppa coerentemente con le moderne tecniche e tecnologie, le quali hanno contribuito a promuovere quest’arte al livello delle altre arti visive attribuendogli una propria specifica peculiarità. VIOLETA GUILLÉN MARTÍN / Basandomi sulla mia breve esperienza (l’arte dell’incisione richiede una conoscenza estesa), posso dire che utilizzo questa tecnica principalmente per amore e per il fascino che essa ha, e ha avuto fin dal primo momento, su di me; una fascinazione non facilmente descrivibile. In secondo luogo perché, in qualche modo, essa rispecchia esattamente il modello di ricerca ed elaborazione che si crea nel mio processo di lavoro, nel mio processo di creazione, di pensiero. Il valore è qualcosa di abbastanza soggettivo, su cui possiamo essere d’accordo o meno, pertanto la validità di quest’arte dipenderà in grande misura dalle singole sensibilità che sperimenteranno sensazioni diverse e variabili. Se tralasciamo la sua funzione divulgativa, resta comunque tutto il valore di quest’arte, diciamo che esso resta visibile anche se non è più identico a ciò che era: ora la grafica può essere tutto il resto. Nella contemporaneità tutto, per il solo fatto di appartenere a questo momento, è utilizzabile e praticabile. Quest’arte è e sarà valida, è e sarà giustificabile fintanto che esisterà qualcuno pronto ad esprimersi attraverso le sue tecniche, non è necessario alcun aspetto funzionale. L’arte è sempre espressiva, sia che si esprima in una tecnica pura o attraverso un’evoluzione di questa, un’ibridazio-


ne o qualche forma di mixed-media. È bene ricordare che, nella contemporaneità, è più importante ciò che si dice rispetto a come lo si dice. L’opera grafica può quindi ben dialogare con il resto delle creazioni artistiche, a livello espressivo, economico e nel suo riconoscimento globale, ma a patto che venga equiparata al resto in qualità di opera originale. Nel momento in cui un’opera comprende numerose copie, in questo caso parliamo di edizioni, il suo valo-

re economico scende per perdita di originalità; non è più unica, ma sono varie e uguali. Credo pertanto che il valore economico non dovrebbe essere legato unicamente a questioni tecniche quanto piuttosto a qualità espressive; entrambi gli aspetti sono fondamentali. Nel mio lavoro è più importante il cosa del come e solitamente non faccio tirature di nessuna delle mie opere.

/ TI CONSIDERI UN “PURO” PRINTMAKER ? / UTILIZZI ALTRI MEDIA NEL TUO LAVORO (FOTOGRAFIA, VIDEO, COMPUTER GRAPHIC...)? / TI PONI IL PROBLEMA DELL’INTEGRITÀ DELLA TECNICA O SCEGLI SEMPLICEMENTE LO STRUMENTO PIÙ ADATTO AL RISULTATO CHE INTENDI OTTENERE? / PENSI CHE NEL CONTEMPORANEO QUESTO RAPPRESENTI UN FALSO PROBLEMA O CREDI CHE SI TRATTI DI UN DIBATTITO GIUSTIFICATO? / QUAL È LO STATO DEI FATTI NEL TUO PAESE? / PENSI CHE I CONCORSI RISERVATI AI PRINTMAKER CONTRIBUISCANO A DIFFONDERE LE TECNICHE DELLA GRAFICA O AD ALIMENTARE UNA NICCHIA DI APPASSIONATI ? ALESSANDRO FORNACI / Queste tecniche tradizionali racchiudono nella loro forma e approccio un’originalità e una singolare espressività che (nonostante millenni di storia) ha ancora molto da sperimentare e da scoprire, la conoscenza, racchiusa nell’uso degli strumenti, dei materiali e nei metodi di lavorazione diretta e indiretta delle matrici, può senz’altro essere considerata, nel panorama della grafica contemporanea un punto di forza e di prestigio, ancor più se abbinata a processi fotografici o elettronicodigitali. Ponendo proprio nell’unione tra tradizione ed innovazione, sia a livello tecnico che concettuale, il progresso espressivo e quindi culturale che la grafica d’arte può oggi attuare. Credo sia giusto mantenere premi e concorsi dedicati alle pure tecniche incisorie, ma quando c’è più apertura nei concorsi e

premi internazionali nel considerare un’opera grafica originale mi fa piacere, perché permette il confronto tra più “agenti creativi”. ANDRZEJ FYDRYCH / Sì, mi considero un puro printmaker. Le mie tecniche sono collografia e xilografia, anche se qualche volta devo coinvolgere nel mio lavoro altri mezzi quali la serigrafia, la pittura o l’aerografo. In alcuni casi le tecniche tradizionali non sono sufficienti. È necessario conoscere quali possibilità i programmi del computer possano offrire, concreti effetti speciali, ma non dobbiamo lasciare che il computer determini il contenuto dell’opera. Nel 2012 ho partecipato alla Print Triennial di Cracovia e alla Polish Triennial di Katowice, in quell’occasione ho potuto vedere alcune stampe digitali e

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devo dire che la situazione sta evolvendo in modo positivo. Ho notato alcune nuove idee. In passato la maggior parte degli artisti utilizzavano la fotografia e gli effetti digitali con molta parsimonia, io penso che disquisire sulla purezza dei media nel contesto dell’arte contemporanea non sia giustificato. Oggigiorno subiamo una grande pressione da parte della stampa digitale e della fotografia, la nostra vita ne è fortemente influenzata attraverso giornali, libri e manifesti quali potenti strumenti d’informazione visiva. Non si può ignorare questo tipo di segnali. Nelle accademie polacche, gli studenti e gli insegnanti sono consapevoli di quanto sia necessario conoscere i nuovi media, ma allo stesso tempo tendono ad utilizzare le tecniche tradizionali. Sarà un processo di lunga durata, la cosa fondamentale è cominciare a cambiare mentalità. Noi l’abbiamo già fatto, ma, come possiamo osservare, non tutta la stampa digitale è di buona qualità, la risoluzione tecnica di questi problemi sarà graduale. MOHAMMAD SHAQDIH / In occasione della mia partecipazione ad eventi artistici internazionali o del mondo arabo, mi presento come artista specializzato nella grafica d’arte. Nonostante abbia prodotto alcuni lavori fotografici, video e dipinti, riconosco che queste esperienze necessiterebbero di pratica e ricerca per essere sviluppate, all’opposto so di possedere una buona conoscenza tecnica nell’ambito del printmaking. In qualche occasione combino altre tecniche quali la fotografia o l’acquerello ai miei lavori grafici, con il fine di arricchire l’esperienza artistica e perseguire le finalità espressive dell’opera. Credo che un puro lavoro grafico originale preservi un proprio valore che lo caratterizza se comparato ad altre opere che coinvolgono media contemporanei, questo alimenta una discussione nell’ambiente artistico arabo ed internazionale riguardo l’identità delle grafica contemporanea, il vantaggio costituito dalle nuove tecnologie e dalle nuove tecniche. D’altra parte tutte queste tecniche richiedono di essere realizzate e stampate a mano dall’artista o dal suo assistente. Ho personalmente notato che gli appassionati di

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quest’arte apprezzano l’utilizzo delle moderne tecnologie per la realizzazione dei lavori, anche se alcuni danno ancora grande importanza alla purezza tecnica dell’opera, l’esistenza e la partecipazione di questa categoria di estimatori dipende in parte dal nome dell’artista trattato. MAJLA ZENELI / Non mi considero solo un printmaker. L’immagine stampata è il primo passo verso una ulteriore creazione. VIOLETA GUILLÉN MARTÍN / Posso affermare con certezza di non essere un “puro” incisore. Nel mio processo di lavoro, credo che l’autore debba farsi servire dalla tecnica, dal mezzo o dall’ibridazione di cui ha bisogno. Il processo di creazione è e deve essere aperto e libero, pertanto mi sembra giusto e coerente che un artista utilizzi di volta in volta la tecnica più adatta ad esprimersi. Quando non incido, disegno, e il disegno può diventare un’installazione o restare semplicemente su carta. Tutto nel mio lavoro dipende dal cosa. Se incido la matrice può essere un metallo graffiato, un metallo morso dall’acido, un legno mangiato, un’acquaforte su cui poi disegno o un pezzo di lattice stampato. È in questo modo che il mezzo si adatta. Sono sempre stata per la sperimentazione più che per l’emulazione esatta. Questo mi permette di essere libera. D’altra parte devo dire che in qualche modo amo la “purezza” e che una volta che si è padroni della tecnica la si può utilizzare sempre. Non ritengo che tali questioni siano importanti né veramente significative, né che possano contribuire in qualche modo ad un arricchimento del contesto grafico-artistico, all’evolversi di questo o al suo permanere nell’ambito di questa nostra contemporaneità. La grafica dovrebbe essere in grado di “difendersi” da sola, senza che si rendano necessarie discussioni su tecnicismo o accademismo. Non penso si tratti di un dibattito giustificato nell’epoca in cui viviamo. La Spagna è sempre stata avida nel voler conseguire quello che non ha avuto per tradizione, fermare il progresso, un passo in più in questa direzione, per preservare, in un certo senso, un pezzo di storia, non è ammissibile. Forse perché la nostra storia non è stata così grande, così determi-


nante come in altri Paesi. Quando si va avanti con più leggerezza non ci sono molte difficoltà, i piedi camminano senza domandarsi cosa si stanno lasciando dietro. La grafica deve alimentare sé stessa, ma deve anche essere in qualche modo rispettata, conosciuta, non solo dagli appassionati, ma anche da coloro che si interessano di altri ambiti artistici... è la pagina in più di un libro aperto. Se alimentiamo la specificità di questo settore non possiamo pretendere che questa si diffonda nell’ambito di concorsi aperti e che possa competere con altre forme d’arte quali il disegno, la pittura o una fotografia. Non possiamo lamentarci se la grafica d’arte viene rifiutata o poco valorizzata, se sono gli artisti stessi a serrarla nell’esclusività del proprio circolo chiuso che si sono costruiti, tanto accuratamente, lungo il corso della storia. Per diffondere è necessario aprire, non costruire ghetti. Noi incisori conosciamo già le tecniche, non c’è alcun bisogno che ci riuniamo per premiarci fra noi. CLARE SZYDLOWSKI / Io non mi considero una “pura” printmaker. Penso alla mia conoscenza delle tecniche tradizionali di stampa come ad un ulteriore strumento che posso utilizzare per raggiungere i miei obiettivi concettuali. Apprezzo l’arte del-

la stampa e dei metodi tradizionali che ho studiato a scuola, ma mi sento maggiormente ispirata dagli artisti che uniscono liberamente il printmaking ad altri media. Gli strumenti digitali giocano un ruolo molto importante nel mio lavoro, utilizzo Adobe Illustrator per tutti i disegni che faccio nelle mie serigrafie. Usufruire di questi strumenti sostiene anche i miei obiettivi concettuali in quanto gran parte del mio lavoro si incentra sull’appropriazione del linguaggio del packaging design, utilizzare uno strumento digitale mi permette di simulare questo linguaggio perfettamente. Inoltre, per tagliare i miei packaging utilizzo un laser. Sono un membro del Techshop di San Francisco, un laboratorio dove è possibile seguire corsi e utilizzare una grande varietà di macchine e strumenti industriali. Nella Bay Area vedo molti printmaker legati all’utilizzo della tecnologia nel proprio lavoro, non trovo che la preservazione della purezza del mezzo sia una preoccupazione espressa spesso dagli artisti della Bay Area. L’atteggiamento che ho riscontrato sia alla San Francisco State University che presso le comunità di printmaker quali ad esempio il Kala Art Institute di Berkeley, sembra voler sostenere l’utilizzo dei nuovi media e spingere i limiti della stampa d’arte tradizionale.

/ ESISTONO SCUOLE TECNICHE E DI PENSIERO IN AMBITO GRAFICO-ARTISTICO NEL TUO PAESE? / C’È, O C’È STATA, UNA FORTE TRADIZIONE SULLA QUALE SI È SVILUPPATA E DIFFUSA QUESTA PRATICA? / PROMUOVE REGOLE FORMALI, CONTENUTISTICHE E TECNICHE PRECISE? / TI SENTI LEGATO A QUESTA TRADIZIONE? ANDRZEJ FYDRYCH / Ora che tutto diventa globalizzato è difficile individuare caratteri specifici. Tuttavia esiste una scuola in Polonia che, a mio parere, è davvero differente, l’Accademia di Belle Arti di Katowice ha questo carattere così speciale. L’Istituto ha

a disposizione un’attrezzatura estremamente pro‑ fessionale e gli studenti non hanno paura di sperimentare ciò che non conoscono. Suppongo che i docenti a Katowice siano di mentalità veramente aperta, forse perché sono piuttosto giovani.

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Chiaramente ogni scuola ha il proprio stile che, in qualche modo, può essere percepito. In passato si diceva: Cracovia/tradizione, Łódź-Varsavia-Poznan/ modernità. Devo dire che è molto difficile separare completamente le diverse tradizioni. Ho capito che l’Accademia di Łódź mi ha dato la possibilità di imparare a pensare in termini astratti e questo perché nell’Istituto è ancora percepibile l’influsso del costruttivismo russo. Studiare la composizione stimola enormemente la logica. Nel mio lavoro sento chiaramente l’effetto di questo tipo di priorità. ALESSANDRO FORNACI / L’Italia è sempre stata all’avanguardia nella tradizione delle tecniche incisorie. Uno dei migliori Centri è stato, a mio parere, quello urbinate, tra la Scuola del libro, l’Accademia di Belle Arti, l’I.S.I.A e il Centro Internazionale KAUS. VIOLETA GUILLÉN MARTÍN / Ci sono scuole di grafica in tutte le grandi città come Barcellona o Madrid e corsi nei diversi stituti di Belle Arti in tutta la Spagna, ma non sono a conoscenza dell’esistenza di una tradizione dominante in questo ambito. Non ci sono scuole antiche in Spagna, sono istituzioni piuttosto recenti a regolare l’insegnamento delle arti grafiche. Non hanno una forte tradizione, ma la ferma vocazione di voler creare spazi per rendere possibile la realizzazione di opere grafiche e mostre e per diffondere la cultura di quest’arte. Personalmente non mi sento legata a nessuna tradizione grafica spagnola, credo sia proprio perché non ce n’è, mi sento piuttosto legata alla tradizione italiana. L’Italia dimostra ampiamente di possedere una ferma tradizione ed è il luogo in cui ho imparato ad amare l’incisione, a conoscerla e a godere di questa pratica. CLARE SZYDLOWSKI / Ci sono certamente delle scuole negli Stati Uniti conosciute per i loro corsi di printmaking: la Rhode Island School of Design, l’Università del Wisconsin-Madison, l’Università del Tennessee-Knoxville, l’Università dell’Iowa, e la Cranbrook Academy of Art, per dirne solo alcune. Io non ho frequentato nessuno di questi Istituti, per cui non posso parlare della loro filosofia. Ho comunque riscontrato una serie di modi di fare printmaking attraver-

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so il mio coinvolgimento con organizzazioni come la California Society of Printmakers (CSP) e l’SGC International (ex Southern Graphics Council). Ho incontrato prinmaker alle conferenze dell’SGC che preferiscono lavorare all’interno del mondo della stampa tradizionale, ma, più spesso, ho conosciuto artisti che sono interessati ad estendere i confini della grafica d’arte lavorando con la tecnologia (video, suono ed elementi interattivi) o attraverso la creazione di installazioni basate sulla stampa. Molti degli artisti che conosco, interessati a sperimentare le tecniche non tradizionali o alle forme di stampa ibride, non sono giovani; ho conosciuto molti artisti a metà carriera veramente all’avanguardia nell’esplorazione delle nuove possibilità di stampa. Nel 2007 ho fatto parte di un comitato di professori e studenti al meeting della California Society of Printmakers che ha affrontato problemi riguardanti l’utilizzo degli strumenti digitali in sinergia con i metodi tradizionali di stampa. Ricordo che ci fu un’interessante dibattito fra gli artisti che dichiaravano di voler preservare la “purezza” del proprio lavoro e quelli che invece liberamente preferivano fondere diversi media e sperimentazioni con il processo digitale. MOHAMMAD SHAQDIH / In Giordania la grafica d’arte viene insegnata solo nelle Facoltà di Belle Arti di due Università, in aggiunta esistono alcuni laboratori di pertinenza del Ministero della Cultura, il Museo Nazionale di Belle Arti e il Darat al Funun, la Fondazione Khalid Shoman. Il Darat è un’Istituzione pionieristica per la Giordania e per il mondo arabo che è aiutato attraverso l’attività del Centro nella diffusione della propria arte. Il Darat dispone di un laboratorio professionale e specializzato, nei trascorsi vent’anni, ha ospitato artisti provenienti da tutte le parti del mondo, i quali sono stati chiamati a lavorare, collaborare e scambiare esperienze con gli artisti arabi e giordani. È importante ricordare che la prima facoltà d’arte in Giordania è stata fondata nei primi anni’80 del secolo scorso e che, fino a quel momento, la maggior parte degli artisti era costretta a studiare in Europa, negli Stati Uniti, o in altri Paesi arabi. Negli ultimi dieci anni gli artisti giordani hanno iniziato a produrre un tipo di arte grafica personale, rap-


presentativa di una vera identità, in contrapposizione alla produzione artistica dei cinquant'anni precedenti la quale era evidentemente il riflesso di influenze determinate dalla cultura dei Paesi in cui essi si erano formati.

MAJLA ZENELI / Mi sono laureata all’Accademia di Belle Arti di Wroclaw in Polonia. Sono molto orgogliosa di essere stata una studentessa di Eugeniusz Get Stankiewicz che è stato un importante Maestro nel ritratto, nel disegno e nel collage.

/ HAI AVUTO DEI MAESTRI ? / CHI SONO STATI? / QUALI SONO STATI I LORO INSEGNAMENTI FONDAMENTALI?/ HANNO INFLUENZATO LE RADICI DELLA TUA RICERCA? / LA TUA RICERCA SI È, CON IL TEMPO, ALLONTANATA DA QUESTI PRESUPPOSTI O NE È RIMASTA FEDELE? / IN CHE MODO ? VIOLETA GUILLÉN MARTÍN / Nel momento in cui si inizia a lavorare in questo ambito si devono riconoscere uno o più Maestri, amici o collaboratori che hanno condiviso la propria esperienza con la nostra o che ci hanno trasmesso le proprie conoscenze. Ho avuto dei Maestri, tanto in Italia, dove ho imparato a conoscere l’incisione, quanto, più tardi, in Spagna, all’Università di Granada. Soffermandomi sul tema, mi vengono alla mente tre persone in particolare; tre italiani. Due professori dell’Accademia di Belle Arti di Urbino e il Direttore di un centro per l’incisione. Tre nomi legati, in maniera indissolubile a me e al mio lavoro: Giovanni Turria, Gianluca Murasecchi e Giuliano Santini. I primi due hanno messo nelle mie mani, per la prima volta nella mia vita, una matrice di metallo, per poi mostrarmi la magia di questo processo così misterioso. E questo non si dimentica. Tutti i loro insegnamenti, tanto tecnici quanto morali, sono stati fondamentali. Io non conoscevo nulla di quest’arte e credo che in me resterà per sempre il modo di agire di coloro che per la prima volta mi hanno condotto in questa sperimentazione. La terza persona ha indubbiamente segnato il mio percorso concedendomi spazio, tempo e materiale per poter fare; per attivare il processo creativo e riuscire ad ottenere ciò che volevo. Giuliano ha influenzato la mia vita, il mio modo di lavorare in laborato-

rio, mi ha dato la forza per perseverare senza esitazione e questo permettendomi di conoscere altri artisti e persone creative. A lui devo tutto quello che è arrivato in seguito. Tuttavia, nonostante questi incontri siano stati fondamentali, non credo di poter riconoscere molte influenze nelle radici della mia ricerca. Hanno modificato il mio modo di fare, ma non la mia poetica. La mia ricerca sarà sempre intimamente mia, anche se queste persone resteranno, in qualche modo, sempre implicate in essa. ANDRZEJ FYDRYCH / Il mio vero Maestro è stato ed è il Prof. Andrzej M. Bartczak, egli mi ha insegnato ad utilizzare l’intuizione nel processo creativo. Secondo lui questo è più importante di qualsiasi aspetto tecnico. L’etica è più importante dell’estetica. Probabilmente la sua lezione fondamentale si riflette nel fatto che siamo due artisti completamente differenti. Onestamente non credo che richiamare fedelmente l’influenza dei Maestri nel proprio lavoro sia positivo, impedisce di esplorare in maniera libera. CLARE SZYDLOWSKI / Ho studiato printmaking presso la University of California a Santa Cruz. Sono stata molto influenzata dalla mia insegnante Jimin Lee che è una master-printmaker. Jimin ha studiato pirn-

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tmaking in Giappone e poi è venuta in California per una borsa di studio presso il Kala Art Institute e per dei master aggiuntivi al San Francisco Art Institute. l lavoro di Jimin si basa principalmente sull’intaglio e fa leva sui processi digitali e di fotoincisione. Lei ha avuto una determinante influenza sul mio lavoro di giovane artista, ero interessata ad utilizzare la fotografia nel mio lavoro e fui guidata dal processo che Jimin utilizza: fotoincisione con collage di carte kozo stampate in digitale. Ho sperimentato questi processi per tutto il periodo della mia formazione universitaria e ho lavorato con Jimin in qualità di suo assistente tecnico al corso di fotoincisione nel quale insegnava. Non fu solo il suo lavoro ad influenzarmi ma anche la sua etica del lavoro, dedicava molto tempo alla sua carriera al di fuori dell’insegnamento e, nel periodo in cui io ero sua studentessa, esponeva regolarmente. Lei mi spinse a continuare gli studi e ad iscrivermi al Master of Fine Arts alla San Francisco State University. Dopo la laurea alla UC Santa Cruz ho continuato alla SF State per fare il mio Master in Printmaking. Durante il primo anno fui in grado di prendere parte ad un progetto con Jimin Lee e il suo insegnante giapponese Tadayoshi Nakabayashi attraverso il Kala Art Institute e Barbara Foste, professoressa alla SF State. Tadayoshi Nakabayashi, anche lui principalmente calcografo, portò alcune delle sue lastre perché fossero stampate nel laboratorio della SF State. Ho personalmente guidato il gruppo di studenti che ha stampato due tirature dei lavori. È stata un’esperienza entusiasmante essere parte di tre generazioni di printmaker attraverso il progetto. Potei trascorrere del tempo con Tadayoshi Nakabayshi mentre mostrava la sua tecnica di pulitura delle lastre incise all’acqueforte, e fu molto interessante vedere la calma precisione che accompagnava ognuno dei suoi movimenti. A quel tempo ero imbarazzata dal mio stesso modo di lavorare (sempre un po di fretta per passare la lastra al torchio!). La calma che vidi nel suo metodo di lavoro la portai nella mia ricerca. Nonostante io abbia smesso di lavorare con la calcografia e con la stampa al torchio, posso vedere l’influenza di Jimin nel sentiero che mi ha condotta

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dove sono ora. Vedo la sua influenza nella mia volontà di sperimentare nuovi strumenti digitali e nella mia etica del lavoro come artista. ALESSANDRO FORNACI / All’età di 8 anni mio padre Salvatore Fornaci (1919/1996), mi portò all’Istituto Nazionale per la Grafica a veder stampare delle acqueforti, nacque da subito un acuto interesse che durante gli studi all’Istituto d’Arte Silvio D’amico nella sezione Arte della stampa divenne un amore smisurato. All’età di 15 anni Il Maestro Pasquale Santoro mi ha insegnato il reverenziale e intimo approccio all’arte grafica, in seguito Carlo Venturi mi ha insegnato come sconsacrarlo e Alfredo Bartolomeoli come indirizzare la mia energia, a consacrare e dissacrare a mio piacimento. Ad influenzare la mia ricerca dopo il periodo accademico sono stati i Maestri Stefano Pallagrosi e Bruno Aller. Laura Peres mi ha insegnato come attuare un armonico distacco dall’IO e come riconoscere e disinnescare le lotte dell’EGO interne ed esterne. MOHAMMAD SHAQDIH / Ho imparato le tecniche della grafica da artisti e printmaker professionisti, questi mi hanno aiutato con i loro suggerimenti e la loro esperienza; ricordo in particolare l’artista iracheno Samer Osama. Sono stati fondamentali anche i quattro corsi professionali e completi frequentati al Centro Kaus di Urbino, questi furono supervisionati dall’artista polacco Dariusz Kaca, dagli italiani Mario Guadagnino e Giovanni Turria, da Rossano Guerra e dallo spagnolo Antonio Alcaraz Mira. Questi artisti hanno avuto grande influenza nello sviluppo delle mie abilità e della mia esperienza. Negli anni successivi ai corsi, i miei lavori mostravano un’evidente rimando all’opera di questi artisti e alle loro tecniche, solo dopo un certo periodo ho iniziato a sviluppare il mio proprio stile e le mie tecniche, creando lavori che raccontano la relazione fra la comunità cui appartengo e l’ambiente. Mi è stata data conferma della puntualità di questa auto-analisi dal Maestro Dariusz quando venne a trovarmi e vide i miei lavori quattro anni dopo il nostro primo incontro al Centro Kaus.


MAJLA ZENELI / Ho avuto l’opportunità di imparare la tecnica della maniera nera da Chistopher Nowicki. Certamente il lavoro ha preso una direzione diversa nel mio caso. Penso che ogni artista trovi un

proprio linguaggio e che utilizzi una specifica tecnica in modo che essa si adatti perfettamente al proprio obiettivo.

/ DESCRIVI LA TUA RICERCA NEL CAMPO DEL PRINTMAKING / PARLA DELLA TUA POETICA, DEI TUOI TEMI, DEL TUO APPROCCIO ALLA PRATICA ARTISTICA. MOHAMMAD SHAQDIH / I miei lavori affrontano il tema della città e del suo sviluppo. Amman è un luogo con un proprio particolare stile, questa nuova e vecchia città è testimone di molte migrazioni e della presenza di diverse culture dall’inizio della storia ad oggi; testimonia un rapido e crescente sviluppo (concentrato negli ultimi 20 anni). Questi fattori costituiscono una grande eredità culturale e un ottimo stimolo per me e per la mia ricerca artistica che si incentra sui luoghi e sull’estetica. Nei miei lavori affronto anche temi umanitari ed esprimo personali preoccupazioni nei confronti della mia terra madre, la Palestina; la terra che conosco dai racconti dei miei genitori e dei miei nonni... da storie, immaginazioni e sogni che mettono in discussione il concetto stesso di identità. MAJLA ZENELI / Incisions è il nome di una serie di opere alle quali sto lavorando recentemente, queste vengono prima incise tradizionalmente su lastre di rame, poi stampate, tagliate in modo evocativo, sovrapposte e riassemblate. Le tirature vengono in questo modo distrutte per ottenere esemplari unici. Le immagini scelte vengono moltiplicate e utilizzate in modo perpetuo per crearne di nuove. VIOLETA GUILLÉN MARTÍN / Il senso delle mie opere, la mia ricerca, è presente tanto nella grafica, quanto nel disegno o nell’installazione, al di là della tecnica. La mia poetica, le mie sintesi, non sono esprimibili con un solo modo di fare arte. Certo è che nel

contesto della grafica trovo un aspetto poetico che si lega al metodo stesso di lavoro. La mia ricerca artistica ruota intorno a riflessioni sul concetto di testo, linguaggio e scrittura; Barthes, Derrida... In Variazioni sulla scrittura, Barthes sostiene che l’illeggibilità è la vocazione stessa della scrittura. È su questo che si incentra la mia poetica. In certi casi le parole si sono trasformate in tessitura, in altri hanno acquistato senso piuttosto che significato. La parola esiste, ma non conta. Nell’ambito dell’opera grafica si genera la poetica, più specificatamente attraverso l’incisione calcografica e in relazione a tutto il processo di lavoro. Già in progetti grafici precedenti avevo cominciato a considerare l’incisione non come arte seriale ma come opera originale. Questo aspetto mi interessa molto, alcuni miei lavori si sviluppano attraverso variazioni intorno a uno stesso tema, da due matrici nasce un alto numero di pezzi (variazioni). Questo mi sembra interessante, perché inserisce l’incisione nel contesto della, tanto ricercata, originalità propria di altre discipline artistiche, senza perdere comunque d’occhio le qualità specifiche di questa tecnica e la sua predisposizione alla molteplicità (da leggersi come la possibilità di produrre opere-variazioni a partire da una stessa matrice). Questo in modo da realizzare, attraverso un mezzo che è sempre stato utilizzato per la sua prerogativa seriale, opere uniche all’interno di una stessa serie o di un progetto. Questa modalità ha in sé stessa la tensione a voler avvalorare questa disciplina artistica non tanto per la sua peculiare riproducibilità o per le sue ca-

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ratteristiche; è arrivato il momento di utilizzarla per la sua antica alchimia che suggerisce sempre nuove sperimentazioni e per la sua modalità di lavorazione. Non sono interessata alla tiratura dell’opera, non è mai questo l’obiettivo per cui inizio a incidere. La mia indiscutibile passione per l’incisione nasce dalla sua magia, dalla sua particolarità, dalla sua alchimia, da quel processo inverso per il quale, quello che nel tempo comincia a prendere forma non si vede fino alla fine del lavoro, è solo immaginato. Al contempo, il mio mancato interesse nei confronti della tiratura mi permette di coniugare la tecnica calcografica ad altre modalità di lavorazione; quella che all’inizio è un’opera grafica al 100%, smette di esserlo per tornare unica e originale, senza legge, senza limiti. Inserisco l’opera grafica in nuovi spazi, senza tralasciare di conservare un esemplare dell’inizio del processo e uno in fase di lavorazione. Il mio lavoro inizia e si espande nel pensiero. Sono concetti e riflessioni che si rivelano, poco a poco, nella forma, oppure no. “... poiché la mia invenzione contiene l’impiego della ragione intera, un giudice per le controversie, un interprete delle nozioni, una bilancia per le probabilità, una bussola che ci guiderà per l’oceano delle esperienze, un inventario delle cose, una tavola dei pensieri, un microscopio per scrutinare le cose presenti, un telescopio per indovinare le lontane, un calcolo generale, una magia innocente, una cabala non chimerica, una scrittura che ciascuno leggera nella propria lingua...” (Leibniz, lettera del 1679) CLARE SZYDLOWSKI / Durante l’Università ho iniziato a fotografare gli edifici industriali di Buffalo, New York, dove sono nata e cresciuta fino ai primi anni dell’adolescenza. A quel tempo non sapevo che gli edifici che stavo fotografando erano in realtà montacarichi per il grano, ero semplicemente attratta dalle loro forme verticali e cilindriche, strutture che mi hanno affascinata fin dall’infanzia. Ho iniziato a fare grandi stampe alla gomma bicromata. Questo è poi diventato il mio lavoro di tesi. Ricercando il ruolo dei montacarichi per il grano nello sviluppo del Midwest e della Regione dei Grandi Laghi potei intravedere un quadro più ampio: i

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fondamenti della promessa americana, quello che molti chiamano The American Dream. A partire da quel progetto mi sono molto interessata all’osservazione degli spazi del paesaggio americano (degli Stati Uniti) che rivelano aspetti di una prospettiva unicamente americana radicati nell’individualismo e nell’industrializzazione. Gli spazi cui mi sono interessata più recentemente sono i negozi che vendono merce a prezzi stracciati e gli insediamenti residenziali suburbani. Entrambi si fondano sulla medesima spinta a voler fornire “una versione accessibile” del Sogno Americano. Con questo intendo che, sia nei bazar dove tutto costa un dollaro che in un insediamento residenziale suburbano chiunque può trovare l’immagine del Sogno Americano permettendosi di reclamare un pezzetto di quel sogno per sé stesso. Molte delle ricerche che faccio a proposito di questi aspetti derivano dalla lettura delle storie della narrativa americana, libri che trattano episodi di città e di luoghi da visitare cui sono interessata e che vengono fotografati. Cerco di vedere molti di questi luoghi in differenti città e aree del Paese. Raccolgo anche molte informazioni dalle persone che vedono il mio lavoro. È entusiasmante perché il lavoro sembra raccontare storie prese dalle esperienze di persone che sono cresciute o che vivono in America. Molte volte alle esposizioni e ai dibattiti, le persone condividono ricordi personali che continuano ad alimentare la mia indagine e a cambiare il mio punto di vista sul lavoro che ho realizzato. ALESSANDRO FORNACI / Da anni affronto nelle mie opere tematiche legate agli aspetti fisici e psichici della società contemporanea, Il gruppo artistico Consensocosmico è stato creato proprio con queste finalità di analisi, attuando in più lo scambio reciproco di esperienze e informazioni; personalmente mi ispiro all’ esoterismo e al simbolismo alchemico, grazie alle letture di R. Guénon, F. Shuon, A. Coomaraswamy, O. Wirth, E. Shuré, sulla Sophia Perennis e altri autori di saggistica tradizionale. Ho approfondito negli ultimi anni la conoscenza della cultura medio orientale e orientale con particolare attenzione a quella Islamica, Buddhista, Taoista e Vedica.


ANDRZEJ FYDRYCH / La mia ispirazione è la musica. Cos’è più astratto e al contempo così vicino a noi tutti della musica? Voglio confrontarmi con questo modello nella mia arte. Chiaramente credo che sia impossibile creare qualcosa che sia completamente staccato dalla realtà e dalla vita. Non è possibile realizzare una pura astrazione, ci sono sempre delle connessioni con il mondo che ci circonda. Questo è il motivo per cui osservo tutto intorno a me e scelgo unicamente l’es-

senza importante. Cerco figure caratteristiche e in‑ teressanti, forme che rimandino significati speciali che possano suggerire sonorità. Forma significa contenuto. Preferisco i compositori di colonne sonore come: Thomas Newman, Hans Zimmer, and György Ligeti. La mia arte è il riflesso, non un’illustrazione della musica. Il trucco è trovare gruppi di forme intrinsecamente dense e comporle su base armonica.

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/ LE FORME DEL FARE /



/ CIFRATA MEMORIA / CALCOGRAFIA / ACQUAFORTE SU ZINCO / STAMPA POSITIVA E NEGATIVA


/ VIOLETA GUILLÉN MARTÍN / “... poi inizio a incidere, a mano libera, non ricalco mai il disegno; almeno non l’ho fatto finora perché non ne ho mai avuto bisogno, mi piace incidere direttamente ” Solitamente utilizzo la tecnica dell’acquaforte per sviluppare i miei lavori. Per prima cosa è necessario avere una lastra di zinco. Preparo la matrice levigando la superficie con carte abrasive di diversa durezza, dalla più dura alla più fine, e insisto finché non ottengo una buona levigatura. Bisello e smusso i bordi, poi sgrasso la superficie con bianco di spagna. Preparo la matrice con la vernicetta da acquaforte Charbonnel, ma non sempre l’affumico, questo dipende dal formato della lastra e dal tipo di lavoro che sto realizzando. Poi inizio a incidere, a mano libera, non ricalco mai il disegno; almeno non l’ho fatto finora perché non ne ho mai avuto bisogno, mi piace incidere direttamente. Solitamente tengo a disposizione due punte diverse e lavoro la matrice unicamente con questi strumenti. La morsura dipende dal lavoro, può essere piana, una sola e molto lunga o diverse più brevi,

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ma il risultato deve comunque essere un segno nero e ben definito. Di solito non faccio correzioni e passo a provare i colori, che spesso si limitano al bianco, al nero e alle diverse tonalità di questi. Utilizzo differenti tipi di inchiostro per ottenere diversi bianchi e diversi neri, che vicini evidenziano sottili particolarità. A questo punto realizzo delle varianti e comincio a sperimentare; faccio una o due stampe soltanto, ottenute in genere attraverso due o più battute e mascherature. Lavoro più sulla stampa che sulla matrice. Provo ad elaborarla con cere di diverso tipo, perché diversi sono gli effetti che voglio ottenere; i materiali sono molto importanti per me. Anche in questa fase faccio ricerca sperimentale, utilizzo tutti i tipi di materiali possibili per perseguire il risultato che ho in testa. Non penso ai limiti.



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/ BUY AMERICAN / SERIGRAFIA / STAMPA A COLORI E TAGLIO AL LASER


/ CLARE SZYDLOWSKI / “... fra la produzione di massa e l’oggetto unico nel suo genere. Visti da distante queste opere sembrano packaging industriale, è solo da una distanza ravvicinata che si notano le piccole imperfezioni che tradiscono le origini artigianali dell’oggetto ” Il mio lavoro negli ultimi tre anni è stato principalmente serigrafico. Ho uno spazio in uno studio condiviso a Oakland chiamato Faultline Artspace dove posso utilizzare una grande unità espositiva e un lavaggio con idropulitrice. Per prima cosa decido quale forma tridimensionale dovrà avere la stampa finale, se si tratterà di una confezione da appendere o di una scatola e trovo una scatola o una confezione che abbiano una sagoma simile per ricavarne un modello. Appiattisco la forma, ne misuro le dimensioni e ne disegno una versione 2D. Da questo disegno inizio a modificare la progettazione dell’involucro, giocando con le varianti possibili. Spesso a questo punto realizzo un prototipo su cartone rigido utilizzando una pieghetta d’osso per segnarne il perimetro, in modo da capire in anticipo come apparirà la stampa finale. Una volta ottenuto il modello lo misuro e lo disegno utilizzando Adobe Illustrator, grazie al software posso aggiungere o togliere dettagli. Questo disegno iniziale diventa il livello base del mio processo di progettazione ed è lo stesso vettoriale che utilizzerò per ritagliare al laser la carta. A questo punto inizio a progettare la stampa, separando con cura i livelli in modo da poter esporre i telai nella maniera corretta. Stampo ogni livello su pellicola ed espongo i telai. Utilizzo unicamente i prodotti per la serigrafia Ulano. I telai che utilizzo hanno un numero medio o alto di fili, 280-320 (scala americana), in quanto il mio lavoro si compone di molte linee e dettagli. Prima di stampare taglio al laser la carta utilizzando il disegno vettoriale. Utilizzo una macchina al laser del Techshop di San Francisco. Scegliere di utilizzare il laser mi ha permesso di avere il volume di lavoro necessario a centrare il mio obiettivo concettuale finale: offrire all’osservatore la sensazione di essere in un negozio all’ingrosso dove la quantità di pro-

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dotti è imponente. Il laser funziona come una stampante, posso inviare il file direttamente da Adobe Illustrator alla macchina, tagliando un foglio alla volta. Quanto i miei fogli sono pronti li riporto nel mio studio per la stampa. Non faccio uso di registro né di macchina serigrafica. Utilizzo una tecnologia molto povera quando arrivo alla fase di stampa, sebbene i miei lavori si compongano di 15-20 livelli. Utilizzo un pezzo di acetato attaccato con nastro adesivo al lato del mio tavolo da stampa per mettere a registro le stampe e allineo ogni livello a mano prima di stampare utilizzando l’acetato. Questo processo richiede tempo ma mi consente di controllare il modificarsi del progetto durante la stampa. Adoro utilizzare strumenti digitali, ma non mi piace sentirmi come se stessi banalmente eseguendo un piano di lavoro. Spesso modifico il progetto durante il processo di stampa coprendo con il nastro adesivo aree del mio telaio per omettere alcuni elementi e tornare in un secondo momento a riempire gli spazi vuoti con un nuovo telaio. Molte delle mie confezioni comprendono piccole parti che incollo internamente per creare, nell’oggetto, una certa sensazione di profondità. Anche questi elementi sono tagliati al laser prima di essere stampati con il metodo che ho descritto. La mia ultima fase di lavoro è l’assemblaggio delle confezioni. Utilizzo una pieghetta d’osso e un piccolo strumento a forma triangolare per segnare i bordi. Incollo ogni scatola utilizzando colla PVA. Questo processo laborioso è essenziale per il lavoro, che come risultato si colloca a metà fra la produzione di massa e l’oggetto unico nel suo genere. Visti da distante queste opere sembrano packaging industriale, è solo da una distanza ravvicinata che si notano le piccole imperfezioni che tradiscono le origini artigianali dell’oggetto.


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/ STARTLED HORSE / COLLOGRAFIA / COLLA E SABBIA DI VETRO


/ MOHAMMAD SHAQDIH / “ ho cercato di individuare materiali non inquinanti (...) una tecnica di stampa con sabbia di vetro e colla ” Come risultato delle prove sperimentali effettuate nel processo di realizzazione del mio lavoro grafico, in cui ho cercato di individuare materiali non inquinanti, sviluppai una tecnica di stampa con sabbia di vetro e colla il cui risultato è molto simile alla stampa di matrici di zinco o rame. Utilizzo una base di legno o alluminio e su questa vado a disegnare le forme desiderate che poi copro con uno strato di colla. A questo punto cospargo sulla colla la sabbia di vetro e ripeto quest’opera-

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zione diverse volte al fine di ottenere la giusta texture per l’intensità tonale desiderata. Attendo che la matrice si sia asciugata perfettamente, in modo che possa essere stampata. Per l’impressione utilizzo colori naturali vegetali, un tipo di inchiostro particolarmente vischioso e pertanto molto indicato alla stampa delle matrici realizzate con questa tecnica. Il processo di stampa è lo stesso utilizzato tradizionalmente.









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/ INCISIONS / CALCOGRAFIA / MANIERA NERA E COLLAGE


/ MAJLA ZENELI / “ non lavoro mai una maniera nera senza avere un progetto in quanto questa tecnica non permette una libera espressività ” Preparo la mia lastra di rame con un berceau Edward Lyons a 100 denti (per inch). La matrice viene lavorata a lungo e coperta di piccoli incavi. Quando i denti della mezzaluna entrano nel metallo creano delle sottili barbe che tratterranno l’inchiostro in fase di stampa. La texture di incroci viene lavorata finché l’intera lastra non è uniformemente coperta di segni. In questa fase la matrice stamperebbe un nero profondo.

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Uso unicamente il raschietto per realizzare le mie immagini. Non lavoro mai una maniera nera senza avere un progetto in quanto questa tecnica non permette una libera espressività. La creazione è in qualche modo limitata e questa è la ragione per la quale ho trovato una porta aperta alle emozioni e all’intuizione nei miei ultimi lavori, i collage.









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/ LUX-LEX / CALCOGRAFIA / ACQUAFORTE / STAMPA E CONTROSTAMPA


/ ALESSANDRO FORNACI / “... i sali, le emulsioni, le soluzioni fotosensibili, un mondo di elementi chimici e misture ha iniziato a far parte della vita dell’artista visivo” L’acquaforte, la ceramolle e l’acquatinta sono le tecniche che solitamente coniugo insieme nella realizzazione dei miei lavori. Preparo la matrice di rame o ottone con carte abrasive a secco, 800, 1200 bisello e smusso i bordi, lucido in seguito con pasta abrasiva. Sgrassata la lastra con bianco di spagna la preparo con una vernice Charbonnel satiné affumicata, continuo con la fase di ricalco del disegno a magnesio. Lavoro generalmente con 2 punte una fina e una medio larga, mediamente gli interventi sono dilatati in 2 o 3 distinte preparazioni e morsure, con relativi ritocchi a bulino o puntasecca e stampa delle varie prove di stato. Raggiunto il bon a tirer eseguo una controstampa sulla parte lucida di un foglio di velina, che userò per il disegno della ceramolle, solitamente il tratto a lapis viene eseguito con più matite, dalla 2B alla 6B. L’aggiunta di un velo a mezzo tono d’aquatinta definisce con la brunitura di quest’ultima la resa finale delle lumeggiature. Stampo solitamente su carta Hahnemuhle.

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Nella mia attività artistica ho sempre cercato di stimolare la ricerca sperimentale per coniugare alle tecniche tradizionali l’utilizzo di tecniche di riproduzione moderne sia fotomeccaniche che digitali. Grazie all’artista Laura Peres è iniziato nel 2009 un viaggio a ritroso per arrivare ai punti di contatto tra le tecniche incisorie e quelle fotografiche, con il foro stenopeico e il bitume giudaico all’essenza di lavanda si ha l’eliografia, si passa quindi dalla punta alla luce, in seguito con i sali, le emulsioni, le soluzioni fotosensibili, un mondo di elementi chimici e misture ha iniziato a far parte della vita dell’artista visivo, dove la grafica incisa supera la fotografia per “possibilità”, la fotografia e i processi fotomeccanici restano sempre un metodo efficace laddove sia necessario fermare istantaneamente il tempo. I processi digitali di campionatura e lavorazione dell’immagine vettoriale o bitmap sono oggi stampabili con plotter a pigmento puro ed è possibile utilizzare carte da stampa tradizionale così da poter sovrapporre le une alle altre; differenti tecniche, differenti forme espressive.









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/ MEDITATION / COLLOGRAFIA / APPLICAZIONE DI PLASTICHE


/ ANDRZEJ FYDRYCH / “cerco figure caratteristiche e interessanti, forme che rimandino significati speciali che possano suggerire sonorità ” Per realizzare le mie matrici utilizzo una lastra di PVC bianca o trasparente dello spessore di 0,1 / 0,2 cm, nastro adesivo di plastica, una lastra di alluminio, carta da stampa da 300/350 gr, inchiostri da stampa colorati, taglierino, forbici una matita e un pennarello. Per cominciare taglio la lastra di PVC in modo da ottenere la forma che desidero (la trasparenza del materiale aiuta ad eliminare il problema del ribaltamento in fase di stampa), dopodiché applico sulla sagoma delle strisce di nastro adesivo seguendo una certa direzionalità; fermo la plastica sul retro della matrice e ne elimino l’eccesso.

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Preparo il torchio, predisponendo la giusta pressione per la stampa. Stendo l’inchiostro sulla matrice con un tampone di garza, lo stesso materiale che utilizzo per la prima pulitura della superficie. Finisco questa operazione con dei pezzi di carta piuttosto spessa (300gr), questo mi permette di ottenere un buon effetto di chiaroscuro. Stampo e fermo la stampa ottenuta su una tavola con del nastro di carta per facilitarne l’essicatura. A questo punto ritaglio la lastra di alluminio e stendo su di essa il colore trasparente utilizzando un rullo; posiziono la lastra a registro ed eseguo la seconda battuta.









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/ CREDITS / Progetto grafico / Cecilia M. Giampaoli / ceciliagiampaoli.art@gmail.com Nota: gli artisti sono stati fotografati da professionisti e amici, per coerenza compositiva le fotografie provenienti dalle diverse fonti, sono state impaginate intere o tagliate. Si ringraziano per le fotografie: / Yanal Janbek per Mohammad / pp. 27, 75, 76, 77, 78 / yanal.janbek@gmail.com / Adam Kubala / per Andrzej / pp. 21, 111, 112, 113, 114, 115 / Alessia Meglio per Majla / p. 87 / alessia.meglio@gmail.com / Jonathan Odom per Clare / pp. 29, 63, 64, 65, 66 / Laura Peres per Alessandro e per Violeta / pp. 23, 25, 51, 52, 53, 54, 99, 100. 101, 102, 104, / info@lauraperes.it / www.lauraperes.it / Pia Pianori per Majla / pp. 31, 88, 89 / piarte@libero.it / Alan Sundberg per Majla / p. 90 / www.alansundberg.com / (c) Copyright 2013. Stampa / Il Poliedro s.n.c. / Via Bramante 33, 61029 Urbino / info@poliedrosnc.com Legatura / Legatoria Artistica e Restauro del Libro di Dondi Gabriele / Via Battista Sforza 61029, Urbino / tel. 0722 327808 Si ringrazia Grant Ditzler per il sostegno al progetto e per il prezioso aiuto / www.grantditzler.com

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/ CONTATTI / / Andrzej Fydrych / Akademia Sztuk Pięknych im. Władysława Strzemińskiego w Łódźi, Dipartimento di Grafica e Pittura / ul. Wojska Polskiego 121, 91-726 Łódź, Poland / www.asp.lodz.pl / andrzejfydrych@o2.pl / Alessandro Fornaci / Stamperia del Tevere / Via S. Francesco a Ripa 69, 00153 Roma / www.stamperiadeltevere.it / fornaci@stamperiadeltevere.it / Violeta Guillén Martín / www.violetaguillen.blogspot.com.es / violeta.g.m@hotmail.com / Mohammad Shaqdih / Darat al Funun / P.O.Box 5223 Amman 11183, Jordan / www.daratalfunun.org / m.shaqdih@gmail.com / Clare Szydlowski / Faultline Artspace / 850 42nd Ave, Parking at 815 High Street, Oakland CA 94601 www.faultlineartspace.com / www.americanhinterlands.com / clareszyd@gmail.com / Majla Zeneli / Maniere Noire / Waldenserstr 7a, 10551, Berlino, Germany / www.manierenoire.net www.facebook.com/maniere.noire.7 / mailtomajla@gmail.com

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/ BIBLIOGRAFIA / / Benjamin, W. (1936), L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, trad. it. Einaudi, Torino, 2000 / Bruscaglia, R. (1988) Incisione calcografica e stampa originale d’arte, Edizioni Quattro Venti, Urbino / D’arcy Hughes, A., Vernon-Morris, H., The printmaking Bible, Chronicle books, San Francisco, 2008 / Eco, U., (1973) Segno, Istituto Editoriale Internazionale, Milano, 1974 / Foster, H., Krauss, R., Bois, Y. A., Buchloh, Arte dal 900, Zanichelli, Bologna, 2006 / Gombrich, E. H., Hochberg J., Black, M., (1972), Arte percezione e realtà, Einaudi, Torino, 2002 / Gruppo µ, (1992), Trattato del segno visivo, Bruno Mondadori, Milano, 2007 / Massari, S., Negri Arnoldi, F., (1987) Arte e Scienza dell’incisione, La Nuova Italia Scientifica, Roma, 1996 / Merleau-Ponty, M., Fenomenologia della percezione, Bompiani, Milano, 2005 / Paparone, N., Dillon, J., Print Liberation, North Light Books, Cincinnati, 2008 / Salomon, F. (1960), Il conoscitore di Stampe, Umberto Allemandi & c., 1990 / Strazza, G., Il Gesto e il segno, 1979, Vanni Scheiwiller, Milano, 1979

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