Poltronissima IV edizione

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L

foto: Antonio Sollazzo

a profondità di un abisso mentale si spalanca con l'immagine di un firmamento su tre piani divisi in orizzontale, lasciando poi libero movimento ai due acrobati che intersecano i loro corpi rivestiti di luci bianche e rosse. Una “selva oscura” contorce i suoi rami, apparsi quasi come ologrammi. Si è aperto con una grandiosità sonora di ampio respiro l'ipotetico sipario de “La Divina Commedia. L'opera”, in scena al Palasport di Reggio Calabria dal 29 maggio al primo giugno. Poche note iniziali per rivelare un'atmosfera inquieta consapevole dell'antro angusto da varcare. Davanti alla Porta dell'Inferno i dipinti di Gustave Dorè sullo sfondo trasfondono una metamorfosi continua delle scenografie. Mura inamovibili disvelano corpi che si contorcono, lasciando poi tingere di sangue la scena. In trenta metri per ventiquattro, incastonando le creature di Carlo Rambaldi, premio Oscar per due volte, il maestoso allestimento scenico si è

avvalso del sigillo musicale di monsignor Marco Frisina, ideatore del progetto. L'essenza delle scelte umane, catturate dalla mente del Sommo poeta diventano musica anche per il pubblico del Sud d'Italia. Dopo il debutto romano ed il tour in città europee, nel 2008 quattro giorni in riva allo Stretto per lo spettacolo che concede il primo atto alla narrazione dell'Inferno ed il secondo a Purgatorio e Paradiso. Quasi in una commistione incontrovertibile tra i significati della “Commedia” di Dante e il sentire del pubblico, lo spazio scenico sconfina anche nella platea. È proprio dal lato sinistro del palcoscenico, infatti, che prende vita il primo effetto-sorpresa per lo spettatore. Gli “occhi di bragia” di Caronte ipnotizzano, lasciando alla sua voce grave la rivelazione di un crudo monito per coloro che, ridendo sempre “indifferenti al mondo, cercando solo felicità”, hanno “perso tutto”. Il barcone dei dannati avanza dalla

platea, raggiunge la scena assumendo le sembianze umane di sei ballerini. Al limite tra reale e immaginario, il tema di musica strumentale introduce alla tempesta infernale. A quadri ben costruiti si compone la prima vicenda di passioni umane, narrata nel quinto canto della Divina Commedia. Un turbinio sonoro rivela subito all'udito il senso vorticoso di un vento che trascina “anime affannate”. L'aria di un amore struggente cantata da Francesca, in arte Manuela Zanier, lascia la scena alla città del diavolo. In chiave rock, le musiche assumono sonorità heavy-metal, mentre la mostruosità delle tre Furie, disegnate da Rambaldi, si pongono al centro del palcoscenico quando alle loro spalle, sullo sfondo il volto pietrificante di Medusa si avvicina

all'occhio dello spettatore con effetto tridimensionale. Il viaggio di Dante, affiancato da un Virgilio, interpretato magistralmente da Lalo Cibelli dall'espressività vocale e scenica mai fuori contesto, arriva al secondo girone del settimo cerchio nella selva dei suicidi. È la tragica vicenda di Pier delle Vigne a comporre sulla scena una foresta ossuta che alterna visivamente la forzata inamovibilità parziale del protagonista dell'aria vocale, Alberto Mangia Vinci e la concitata movenza di quattro danzatori posti ai suoi piedi quasi come radici inquiete. La pietas di archi che sono il preludio all'aria di Ulisse, lascia spazio all'incalzare degli ottoni con cadenza di marcia imponente. La storia di chi “distrusse Troia con l'ingan-


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