

La Casa del Popolo La Montanina nasce nell’Agosto del 1946 per volontà della popolazione di Ontignano, Montebeni, Vincigliata, unita dal desiderio e dal bisogno di dar vita ad un luogo di aggregazione e di scambio culturale e ricreativo. Un luogo immediatamente connotato dalla volontà di superare gli orrori della guerra e che si definisce per la chiara matrice antifascista.
Negli ultimi 15 anni la Montanina si è distinta per essere un centro di aggregazione sociale e culturale, grazie ad un programma costante di eventi, come mostre d’arte contemporanea, mostre fotografiche, presentazione di libri, rassegne musicali e cinematografiche, di poesia, incontri e dibattiti su temi di politica, di economia, di ambiente e sul tema dei migranti, che hanno reso questa Casa del Popolo una delle realtà più attive e presenti della provincia di Firenze.
La Montanina realizza oggi un giusto mix fra gli eventi propriamente culturali e di impegno sociale e politico e quelli di intrattenimento e svago: una vocazione che affonda le radici nella nostra storia e che è in assoluta sintonia non solo con quanto prescrive il Codice del Terzo Settore, ma anche con la nostra esperienza attuale e con i nostri progetti futuri.

Ringraziamo tutti gli artisti e un ringraziamento speciale a Elisabetta Beneforti, Tomaso Montanari, Paola Zannoner e a tutti i volontari della Casa del Popolo La Montanina, storico luogo di cultura e condivisione.

Tutte le donne parlano due lingue: la lingua degli uomini e la lingua della sofferenza silenziosa. Alcune donne parlano una terza lingua, la lingua delle regine.
Sono meravigliose E sono mie amiche.
Mohja Kahf
La mente è un utero. Una matrice, la mente matrice
Dell’umanità intera.
Dorothy Wellesley
“8 marzo e 25 novembre, non due semplici date. Alle soglie della primavera l’occasione per festeggiare l’essenza delle donne con lodi e fiori, invece verso fine anno il momento per ricordare con rabbia e rammarico la violenza verso le donne, violenza partorita da mentalità ataviche connesse a culture e religioni, a un patriarcato di fondo. Mimose e scarpe rosse, baci e pugnalate, cioccolatini di occasione e lacrime di coccodrillo. Il nostro pensiero è che non devono rimanere due belle date da appuntare sul calendario, un ciclo che come un cerchio ineluttabile si avvia e si chiude annualmente. Non esiste luogo del mondo in cui si disattenda al motivo che queste ricorrenze vogliono richiamare, né luoghi né occasioni. Ci sono le spose bambine dello Yemen, ci sono le ragazze afghane che rifiutano il velo, ci sono le infibulazioni inflitte nei paesi africani. Anche all’interno del nostro ‘civilizzato’ Occidente la condizione delle donne viene quotidianamente esposta a difficoltà sia economiche che sociali, senza tralasciare il diritto all’aborto in via di negazione dalle politiche correnti. Essere escluse dagli studi o penalizzate nella carriera lavorativa, essere costrette da abitudini tribali ad amputazioni o a conformarsi nell’abbigliamento, dover assumere ruoli standardizzati senza possibilità di appello, subire penalità e punizioni per non avere osservato e rispettato quanto stabilito dai vari codici collettivi vecchi di secoli. In più occasioni è sul corpo della donna che si dibatte, che ci si incontra e ci si scontra, anche la sua voce e i suoni che racchiude vengono spesso abbassati al minimo volume. Sarebbe semplicemente bello se queste voci rimpicciolite potessero arrotondarsi e salire a toni da soprano, nelle metropoli e nelle lande più isolate fino a divenire benevolmente globali. La rappresentazione vulgata è quella della madre-moglie-sorella-compagna, figure bellissime ma sovente velate di un ruolo per lo più assistenziale. È possibile invece ripensare a una donna in quanto
tale, alle donne per il loro pensiero e le loro attività, a una e mille donne belle in ogni loro forma fisica e dunque staccate da qualsivoglia immagine o abitudine condizionata per altri da sé.
Questo non è un pensiero nuovo o innovativo che dir si voglia (tanti i movimenti e le organizzazioni attive sul territorio), tuttavia sembra necessario ricordarlo oggi più che mai. Concetti come identità e parità di genere corrono nel dibattito politico come nelle manifestazioni di piazza e nei migliori interventi sui media o sui social. Poi accade che apriamo il giornale e aggiorniamo il conto dei femminicidi, delle molestie sessuali, delle prevaricazioni. Il 25 novembre piangiamo collettivamente la violenza, quando l’8 marzo avevamo amorosamente festeggiato il genere femminile. L’amore cantato in primavera ha il volto della violenza ricordata in autunno. Nei territori di queste due date importanti abita il mondo delle donne, quel mondo fatto di colori in quanto a creatività e progetti, un potenziale esistente e vivo e palpitante. Neppure la Cultura passa indenne attraverso questo percorso. Pensiamo alle scienziate rimaste nell’ombra di colleghi uomini, nonostante ricerche e scoperte fondamentali. Pensiamo al destino di molte artiste e alla “porta piccola” da attraversare per accedere al mondo letterario e delle belle arti. È un ciclo, una contraddizione in termini, sicuramente due momenti per ricordare di non dimenticare. Anche stavolta la memoria è importante per non perdere quanto anno dopo anno viene acquisito, sia in positivo che in negativo. Allora una necessaria messa in opera può essere proprio nel passaggio da ciclo che pone domande a girotondo gioioso e riflessivo che offre presupposti e sviluppi.
Questa mostra-evento vuole dare un volto ulteriore al ciclo 8 marzo-25 novembre, quello del girotondo a significare partecipazione e comunità, quello dell’abbraccio non meramente simbolico quanto gesto solidale e gioioso. Lo spazio espositivo eletto a luogo deputato, nella storica casa del popolo La Montanina, ha proprio una struttura circolare per raccogliere opere di artiste e artisti su questa tematica. Ogni artista viene invitato a esporre la propria testimonianza espressiva dalla riflessione sulle due date, opposte nella loro natura di ricorrenza ma decisamente complementari nella richiesta di attenzionalità e discussione. L’espressione artistica ha una parte importante nel veicolare istanze e suggestioni, attivamente partecipando al cammino per le donne con le donne. Un cammino che chiama a raccolta una pluralità di forze in vista di un lavoro significativo.
Saranno così le forme e le non forme, i colori e le immagini a dare voce alle mille e più voci delle donne che in tutto il mondo chiedono di essere ascoltate, riconosciute, rispettate.”
Elisabetta Beneforti“Ci commuove questo cerchio tracciato a pennello, rosso, dentro il quale si inscrive la parola “rondò”, termine musicale più che pittorico, che riunisce in una danza circolare artiste e artisti contemporanei, di età e formazioni diverse, che raccontano frammenti del femminile attraverso la loro sensibilità e le loro esperienze e così formano il mosaico contemporaneo della nostra condizione umana e dell’essere donna, dell’esperienza e dell’azione, della costruzione e della relazione femminile.
Commuove perché non è un cerchio perfetto, non è l’o di Giotto, non è chiuso, invece è un circolo aperto e appare come un segno ancestrale che si assottiglia e sfuma scardinando l’idea dell’arte come esclusività, come luogo elitario riservato ad alcuni com’è stato per secoli in cui le donne non avevano accesso ai saperi e alle professionalità, potevano dipingere per diletto, sotto controllo, ma non per mestiere e in totale libertà di espressione.
Questa pennellata decisa, robusta e sottile, forma dunque un circolo accogliente, dove i generi dialogano e non si contrappongono, e dove le tessere di questo mosaico sono tutte di identico formato, sono posizionate ad altezza di sguardo, come tante finestre aperte sulle identità, sui temi personalissimi e quelli sociali, in una cadenza circolare per cui si inizia a guardare dove il nostro sguardo, libero, si posa, si procede in un verso o nell’altro, e si può tornare indietro a nostro piacimento. Il rondò lo forma chi guarda, non chi espone, non chi ha curato la mostra che, anzi, ci regala una grande libertà di movimento e di riflessione.
Il circolo è rosso del sangue versato dalle donne per l’autonomia, per l’autodeterminazione, e collega non tanto “la festa” della donna, quanto la “giornata internazionale della donna” dell’8 marzo, con un appuntamento che ci riguarda tutte, ed è la giornata contro la violenza sulle donne del venticinque novembre. C’era bisogno di due tempi distinti e cadenzati nell’arco dell’anno per sviluppare la circolarità del nostro pensiero dialogante, della nostra riflessione e della nostra espressione, perché il sangue delle donne diventa il magma della creatività, dell’effervescenza, della costruzione di relazioni e di una cultura inclusiva, dove tutti si sentono a casa, ben accetti e compresi. Il contributo delle donne nell’arte è stato principalmente uno spostamento di sguardo, un ribaltamento da soggetto rappresentato a soggetto rappresentante, che ha aperto nuove esplorazioni e nuove ricerche, su temi mai trattati, mai considerati. Il cerchio vibrante del Rondò ci appare come una spirale che ci coinvolge, ci parla, ma sempre se vogliamo anzitutto guardare, se ci lasciamo catturare dal soggetto, dalla scena, dal sentimento che promana da queste finestre sull’anima di ogni artista e che infine compongono per ciascuno di noi una piccola e significativa storia se abbiamo voluto guardare e trovare, in quel cerchio, un pezzetto di noi.”
Paola Zannoner“...Su 100 strade italiane dedicate ai maschi ce ne sono mediamente solo 8 dedicate a donne. Prendiamo per esempio, Firenze, una città in cui la destra non ha mai governato dopo la Liberazione. Su 2438 strade totali, 1220 sono intitolate a maschi e solo 110 a donne. E di queste ultime 25 sono la Madonna; 26 sante, beate e martiri; 12 suore, o comunque figure del mondo cattolico; 5 figure mitologiche e poi 17 figure storiche e politiche; solo 8 letterate e umaniste; 3 scienziate; 6 donne dello spettacolo; 2 artiste e infine una sola donna atleta. Quanto ai monumenti l’associazione di lavoratrici e lavoratori del patrimonio culturale Mi Riconosci? ha realizzato il primo censimento della rappresentanza femminile nelle statue. I risultati sono illuminanti: in Italia ci sono solo 171 monumenti dedicati a donne, su un totale non quantificato ma che certo ascende all’ordine di decine di migliaia. Per esempio, a Milano, siamo a una statua di donna contro 125 di uomini, e tra i busti romani del Gianicolo siamo a 228 maschi contro una donna. E non è solo questione di numeri. Come nota Mi Riconosci?,
Nelle maggiori città italiane monumenti dedicati a donne sono pressoché assenti: mettendo insieme Roma, Napoli, Milano, Torino, Firenze, Bologna, Bari, Palermo, Cagliari e Venezia, arriviamo a un totale di 20 di cui solo 8 sono vere e proprie statue o monumenti figurati. Dei 148 monumenti e statue censiti, solo il 36% è collocato in una piazza; il restante si trova agli incroci o ai lati di strade, nonché in parchi. Di queste 148 opere, il 14% sono busti, il 4% fontane, il 2% gruppi che vedono anche la presenza di uomini o bambini. Dai dati si deduce che molto poche sono le donne ricordate per meriti che non includano il sacrificio o la cura. I monumenti dedicati a donne realmente vissute in Italia sono pochissimi: Grazia Deledda, Maria Montessori, suor Maria De Mattias, e mancano figure come Elsa Morante o Ada Rossi, Gaetana Agnesi o Trotula de Ruggiero. Su 148 opere censite, ben 60 sono figure anonime collettive: di queste il 12,5% rappresenta partigiane, mentre il 70% professioni particolarmente faticose sul piano fisico, come mondine o lavandaie. E nessun monumento ricorda, ad esempio, le levatrici, le impiegate o le scienziate. Lo spazio pubblico […] non può essere considerato neutro: rispecchia sempre le istituzioni che collocano le statue, anche se sono donazioni. E ad oggi è uno spazio androcentrico, come conferma non solo l’assenza di donne, ma anche l’enorme sproporzione tra autori e autrici dei monumenti femminili censiti: 120 opere su 148 hanno un’attribuzione certa: di queste solo il 5% è stato realizzato da donne, il 5% vede la collaborazione tra autori e autrici, mentre il restante 90% è a firma solo maschile. Si sottolinea anche la tendenza a rappresentare la figura femminile in maniera stereotipata: molte statue, infatti, hanno atteggiamenti sensuali o sono connotate da dettagli leziosi, aspetti che vanno inevitabilmente a sminuire il soggetto ritratto. Ricorrente è anche la presenza di bambini che sottolinea il ruolo di cura, come a giustificare la presenza di una statua di soggetto femminile nello spazio pubblico.
Cosa dovrebbe pensare una ragazza di oggi, passeggiando nella sua città? Cosa si aspetta da lei la Repubblica, quali modelli le offre, quale idea di società le propone? E i giovani maschi italiani non rischiano di avere, dall’apparato monumentale della memoria che segna lo spazio pubblico, l’ennesima conferma di essere padroni della storia per diritto di genere? E le ragazze italiane non penseranno che lo spazio pubblico è, da
sempre e ancora, dominato dai corpi dei maschi, vestiti e in atto di comando: e che i loro, di corpi, vanno bene invece solo fotografati, sui cartelloni pubblicitari? Lì sì che sono in maggioranza: ma sono quasi sempre corpi nudi, corpi oggetto, corpi offerti a un rapace sguardo maschile. La violenza sul corpo delle donne - una violenza innanzitutto morale, culturale - inizia così, già in effige per poi tradursi in atto con una frequenza sempre più mostruosa.
La densità semantica, la forza di suggestione, la capacità di penetrazione nello spazio della vita quotidiana possedute dal patrimonio monumentale memoriale pubblico sono straordinarie: possiamo crescere generazioni impermeabili a tutto questo, abituate ad attraversare come in apnea le piazze e le strade in cui imparano ad amare la vita. Oppure possiamo impegnarci perché le nostre figlie e i nostri figli lascino entrare tutto questo dentro di loro come «per osmosi», come diceva Simone Weil. Ma questo secondo, e più auspicabile caso, non possiamo non chiederci quale sia il messaggio che arriva loro, e che rapporto abbia con il progetto della Costituzione.
La nostra fede democratica è davvero sincera, o è solo una patina ipocrita che copre secoli di culto della forza, e della sopraffazione?”
Cit. Tomaso Montanari, Le statue giuste, Editori Laterza, Bari, 2024, pp. 27-29.

Rondò 8/03 - 25/11
Stampa digitale, 40x40 cm - 2024
Fabio Chiantini


FRanCesCa RiCCi
RosaRium, dalla serie FondaLi
Tecnica mista su voile e pannello (trasferimento manuale di immagine, acrilico e penna), 40x40 cm - 2024

La condivisione deL sangue
luCia dameRino Fotografia digitale stampata in Fine Art su carta baritata in tiratura limitata. Scattata a luce naturale con modelli non professionisti, 40x40 cm - 2024
tenebRe/Luce
maRgheRita VeRdi
miRiam CaPPelletti
Legati da RicoRdi e spine
Assemblaggio di filo da ricamo, stoffa, organza, carta, materiali vari, acrilico su tela naturale, 40x40x7 cm - 2024

viRginia WooLF
Teatrino, 43x43 cm - 2024
moniCa saRsini
Olio su tela, 40x40 cm - 2024
Josie mCCoy amáLia RodRigues
ValeRia Catania
Le pagine che non ho scRitto
Tecnica mista su tela, 40x40 cm - 2024

meRRy-go-Round
Acrilico su tela, 40x40 cm - 2024
maRta luPPi
FuoRi campo
Tecnica mista su tela, 40x40 cm - 2024
antonella FosCaRini
baLLeRina Rossa
Foto su alluminio, 40x50 cm - 2003
steFania balestRi

Acrilico
andRea ChiaRantini Rondò e smalti su tela, 40x40 cm - 2024
è
CaRlo beRtoCCi una Rosa Olio su tela, 40x40 cm - 2024
Rondò
Tecnica mista su cartone, 40x40 cm - 2024
maRgheRita abbozzo
caRpe diem
Olio su tela, 40x40 cm - 2024
angela de nozza
Olio
noam Rubin La LibeRazione degLi ostaggi su tela, 40x40 cm - 2024
coLoRi di donne
Elaborazione digitale, 40x40 cm - 2024
gioVanna sPaRaPani
Olio e pigmento su tessuto, 40x40 cm - 2024
elisa zadi pLumeRia
in ascensione domini
Tecnica mista su tela, 40x40 cm - 2024
KiKi FRanCesChi
costRuiRe La casa
Tecnica mista su tela e biancospino, 40x40 cm - 2024
luCy JoChamowitz
abbRaccio
Olio su tela, 40x40 cm - 2024
enRiCo Pantani

Pasta per modellare, cartoncino e lapis, 40x40 cm - 2024
angela noCentini La FanciuLLa senza mani
cu avi a Lingua passa u maRi
Tecnica mista e collage su tela, 40x40 cm - 2024
Renzo bellanCa
iL mio aLbeRo
Uncinetto su tela, 40x40 cm - 2024
daniela PeRego


tutte Le peRsone
Cartoncino e colla vinilica, 40x40 cm - 2024
edoaRdo malagigi
loRenzo Fontanelli
Rondò degLi amoRi bRucianti
Tecnica mista su carta, 40x40 cm - 2024


aldo FRangioni
senza titoLo
Acrilico su tela, 40x40 cm - 2024

Acrilico e collage su tela, 40x40 cm - 2024
antonia Fontana ascoLto... abbRaccio
RiCCaRdo biondi
santa passeRa puLcRa
Vetroresina, 40x40 cm - 2024

abakuà
Tecnica mista su legno, 40x40 cm, 2024
gustaVo maestRe3 marzo 2024
Inaugurazione alla
Casa del Popolo
La Montanina.
Ph Martino Acciaro.












Un ringraziamento speciale a Giorgia Calvanelli e Jacopo Papp, che hanno condviso con noi altri scatti dall’inaugurazione:






