Un giorno maledetto - Romolo Panico

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Napoli era fatta così! Una soluzione si trovava sempre, bastava non avvilirsi

In un’altra parte d’Italia: Napoli; in un ridente e signorile quartiere: i vicoli della Maddalena; in un appartamento lussuoso e ben arredato: un basso di due camere senza finestre, Geppino Casamassima, detto ’o Ggepps, si preparava per il suo ultimo giorno di lavoro. L’azienda dove lavorava stava per chiudere, così come tante altre in quella città dove l’imprenditoria settentrionale, sfruttati tutti i contributi statali erogati per agevolare l’occupazione meridionale e terminati i fondi per la cassa integrazione, non era più interessata a spremere quella parte dell’Italia, schiava di un pizzo da pagare mensilmente a criminali e amministratori affamati e senza scrupoli, o asfissiata dalla continua lotta combattuta contro l’assenteismo difeso da un sindacato assillante e provocatorio. E così Geppino, dopo essersi lavato e vestito, cercando di non far rumore per non svegliare moglie e figli, alle sei di quella mattina, anche lui, stava uscendo da casa per andare a prendere la sua Fiat Panda quattro per quattro, comprata a fatica con una montagna di cambiali che adesso non sapeva più come pagare. — Allanemechive… — imprecò quando capì che quei due ragazzi che scappavano stavano portando via la ruota di scorta e l’autoradio sottratta dalla sua macchina, dopo aver rotto il finestrino. Senza riflettere li inseguì, lanciandogli ogni cosa che gli capitava di raccogliere, accecato dalla rabbia e imprecando ogni sorta di maledizione, aggiunta a qualche solenne bestemmia, ma si fermò perché la distanza tra lui e loro aumentava e perché


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