Casatrend n.48 - dicembre 2011

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mestiere il mio non è un lavoro, è un mestiere

Sono due mesi che devo scrivere questo testo, inizialmente avrei voluto parlare del mestiere dell’architetto e fare alcune considerazioni a riguardo, sul senso etico, che dovrebbe appartenere alla mia professione. Il tempo però ha cambiato la mia prospettiva e mi sono reso conto che non esiste differenza tra il fare l’architetto e fare

PAOLO ARMENISE architetto

il ciabattino, la differenza sta solo nel senso che ognuno dà al mestiere che sceglie di fare. Mi piace pensare che questa differenza sia la stessa che c’è tra fare un lavoro e fare un mestiere. Infatti, se guardo il mondo del progetto, trovo molti colleghi che scelgono di lavorare e per i quali l’architettura è solo un pretesto, potrebbero fare qualunque lavoro, quello che fanno non ha nulla a che vedere con l’architettura, perché limitandosi a loro stessi, prendono un progetto fatto da altri e lo raccontano come se fosse loro, ne cambiano punti e virgole, e se ne prendono addirittura i meriti. Tale criterio di complicità coinvolge anche il committente, che evidentemente si ritrova convinto anche lui che cambiando la copertina il suo libro racconti una storia diversa. Per chi come me crede nel proprio mestiere, guardare il mondo significa cogliere delle opportunità. La creatività è un enorme opportunità per esempio, come è un enorme opportunità avere il desiderio di guardarsi attorno e approfondire. Il progetto è un’occasione per tutti e anche poterla cogliere; il mondo è il teatro delle opportunità e ognuno deve sapere cogliere quella che fa per sé, piccola o grande che sia, così come avere l’umiltà di accettare che certe opportunità ora non fanno per noi è una scelta che può diventare occasione per approfondire. Dire di no oggi significa magari urlare sì domani, usare il sì degli altri è un lavoro, mentre coltivare i propri sì è un mestiere. Penso al mio amico ciabattino e a quando gli hanno chiesto di creare una scarpa, penso a quando è andato a conoscere chi le scarpe le sa fare e ha capito la differenza. Lui ora sa come si crea una scarpa e quando la ripara, non si limita ad attaccare toppe, ma crea a suo modo un modello, passando con il suo filo tra suola e tomaia crea una seconda magia, la scarpa la fa sua e da lì inizia la sua storia. Per creare la nostra storia bisogna saper rischiare e il rischio non è per tutti. Certo è molto più semplice copiare gli altri, scegliere un contesto riuscito e scriverci sopra con la nostra penna… a volte però le nuove parole non riescono a coprire il brusio della complicità e il risultato ha a che fare più con il rumore di un supermercato, piuttosto che con il silenzio che si crea attorno ad una cosa ben fatta. Credo in ogni tipo di progetto, così come nella possibilità di costruire il mio futuro, credo nel rispetto di chi il mestiere lo sa fare, credo nelle idee, anche in quelle in contrasto con le mie, ho rispetto di chi accetta il rischio e si mette di fronte alla vita credendo in quello che fa. Sono stufo di progetti copiati e di vedere la totale mancanza di etica da parte di chi non sa fare il suo lavoro e sceglie di interpretare con i suoi segni orrendi il mestiere fatto da altri. Sono stufo di tutti quei piccoli uomini che non hanno memoria. Grazie ad Achille, Ettore e ai tanti che hanno saputo insegnarmi qualcosa, perché oggi so che il progetto è un grosso rischio, ma avere un mio progetto e crederci è ciò che mi fa capire ogni giorno quanto ancora c’è da stupirsi e da sognare. Il mio non è un lavoro, è un mestiere e sto ancora studiando per diventare architetto. Forse un giorno riuscirò ad esserlo, per adesso sono Paolo, figlio di Giovanni e Giulia.

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