Segno 2009

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SEGNO Incontro internazionale sull’incisione contemporanea

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SEGNO Incontro internazionale sull’incisione contemporanea

Gabriella Locci presidente Casa Falconieri,Cagliari Brita Prinz collezionista presidente Brita Prinz Arte,Madrid Pedro Galilea vicepresidente Fundación CIEC, Betanzos Maria Grazia Scano Naitza docente di Storia dell’Arte Moderna presso la Facoltà di Lettere e Filosofia, Cagliari Gianni Murtas storico dell’Arte,Carbonia Enrique Gonzáez Flores direttore rivista Grabado y Edición, Madrid Joaquin Jimeno Saluena sindaco di Fuendetodos vice presidente Consorcio Goya-Fuendetodos Lucio Ortu, Paolo Sanjust studio associato di architettura, Cagliari Lucia Siddi storico dell’arte Soprintendenza B.A.P.P.S.A.E di Cagliari e Oristano Isabel Elorrieta direttore ESTAMPA Feria Internacional de Arte Múltiple Contemporáneo,Madrid Roberto Puzzu dirigente Istituto d’Arte Filippo Figari, Sassari Julio León responsabile talleres Fundació Pilar i Joan Miró a Mallorca Mauro Salis storico dell’arte Paola Dessy presidente associazione Stanis Dessy, Sassari Ugo Collu presidente Fondazione Costantino Nivola, Orani Anna Maria Montaldo direttore Galleria Comunale d’Arte, Cagliari Jesús Carrobles Santos archeologo,direttore Centro de Estudios Juan de Mariana

Casa Falconieri

Regione Autonoma della Sardegna

Assessorato della pubblica istruzione, beni culturali, informazione, spettacolo e sport

Realizzato con il contributo della L.R.20.09.2006, n14, art 20 e art 21, comma 1, lett.r annualità 2010 “Patrimonio Culturale SARDEGNA” © Regione Autonoma della Sardegna

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Relatori Gabriella Locci - Casa Falconieri e la sperimentazione Brita Prinz - Historia de una pasion Pedro Galilea - La Fundación CIEC. Mas que una colección Maria Grazia Scano Naitza - Incisione in Sardegna nel ‘900 Gianni Murtas - Gli orizzonti sperimentali dell’incisione contemporanea Enrique González Flores - Grabado contemporaneo. Una vision de conjunto Joaquin Jimeno Saluena - Fuendetodos y el Arte Grafico: el Museo Goya -Fuendetodos Lucio Ortu - Paolo Sanjust - L’arte di mostrare: note di museografia Lucia Siddi - L’importanza delle stampa quali fonti di ispirazione per i pittori operanti in Sardegna nel XVI sec. Isabel Elorrieta - Estampa ante lo retos de la grafica actual Roberto Puzzu - Manualità colta o accademia del contemporaneo? Brevi riflessioni sulla vdidattica del fare artistico nelle scuole d’arte in Italia Julio León - Los talleres de la Fundació Pilar i Joan Miró a Mallorca: cursos, premios y becas, ediciones de obra grafica Mauro Salis - Il laboratorio di incisione. Analisi e prospettive Paola Dessy - Stanis Dessy incisore, maestro, organizzatore di eventi. L’arte dell’incisione a Sassari nel ‘900

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Ugo Collu - Museo e territorio Anna Maria Montaldo - L’incisione e le collezioni civiche della Galleria Comunale d’Arte di Cagliari Jesús Carrobles Santos - Arte y artistas contemporáneo in Toledo. Propuestas de trabajo desde la Diputación Provincial

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Introduzione Negli obiettivi e negli intendimenti, fin dai primi anni di attività, Casa Falconieri ha individuato quale strumento culturale indispensabile gli incontri/dibattito, le tavole rotonde, i seminari e tutti i momenti di confronto che si possono creare. Diventa indispensabile incontrarsi con artisti, professionisti, operatori culturali e fruitori dell’arte, per costruire e aprire situazioni che ci permettano di continuare a operare in modo significativo nel vasto e articolato mondo dell’Arte e dell’incisione originale. Incontrarsi per parlare e analizzare è una situazione dinamica che coinvolge e crea alleanze culturali e progettuali; è opportunità ma diventa anche assunzione di responsabilità in quanto si affrontano tematiche, si propongono modalità e si modificano percorsi. Molte sono le problematiche che attraversano il ricco universo dell’Arte in generale, e dei linguaggi incisori in particolare; le tecnologie digitali hanno creato la necessità di confrontarsi e di aprire maggiormente alla sperimentazione e a un uso più spregiudicato delle tecniche classiche mescolandole con quelle più innovatrici. Vogliamo affrontare il discorso sui linguaggi e sulle tecniche che offrono opportunità nuove o modificano l’approccio verso i fatti visivi: i nuovi strumenti e le sperimentazioni sono una indispensabile ricchezza che si aggiunge al patrimonio di metodologie e linguaggi consolidati. Alla luce di queste considerazioni, e altre più generali, intendiamo muoverci secondo uno schema aperto che non vuole fare il punto su una situazione per storicizzarla, ma apre a problematiche articolate che vanno dall’attualità dei linguaggi incisori e la loro apertura sperimentale, alla necessità degli spazi espositivi e di conservazione, ai percorsi visivi adatti, al rapporto spazioopera-fruitore, al rapporto artista-stampatore, per toccare anche il rapporto con le istituzioni e capire quanto peso ha la diffusione di questi linguaggi nella loro programmazione. Casa Falconieri non si propone di stabilire punti fissi ma vuole essere uno strumento che attiva relazioni tra soggetti differenti e promuove possibilità di operare con modalità coordinate. Parliamo quindi di un Progetto di Sperimentazione e Ricerca in-

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dispensabile alla promozione di una Cultura aperta e innovativa. Alla base di qualsiasi idea di lavoro è la progettualità che non è mai un fattore isolato ma è un metodo e un ideale di lavoro, un desiderio di costruire una identità innovata e innovatrice; sperimentare è scrivere in un grande spazio bianco dove, giorno dopo giorno, si aggiungono dati sempre nuovi. Intendiamo aprire un dialogo che affronti molteplici problematiche, tutte ugualmente importanti e facenti parte del territorio dell’arte. Gabriella Locci artista, presidente di Casa Falconieri

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Interventi BRITA PRINZ HISTORIA DE UNA PASION El factor “suerte” y el factor “casualidad” han jugado un papel importante en mi vida. Cuando mi marido y yo nos mudamos a nuestro piso, en la calle Jerez, hace ahora 37 años, resultaba que los dos únicos vecinos, el de la derecha y el de la izquierda, eran artistas plásticos. Siempre nos había atraído el arte moderno, pero solamente a partir de entonces, bajo el “manto artístico” de Jesús Núñez, ahora presidente de la Fundación CIEC y en aquel momento nuestro vecino de la derecha, empezamos a interesarnos por el mundo del grabado. Su gran conocimiento de éste en todas sus facetas y su don especial para transmitirlo a los demás nos cautivó por completo y quedamos enganchados para siempre. Y así fue como empezamos a comprar los primeros grabados, apoyándonos en sus consejos, y llegando, a lo largo de los años, a juntar una pequeña colección. Cuando en 1987 Jesús Núñez y yo nos lanzamos al proyecto común de abrir una galería/taller en Madrid, entró otra vez en acción el factor “casualidad”. Mi marido encontró en el periódico alemán “Frankfurter Allgemeine” un artículo sobre un galerista alemán que acaba de editar un portfolio en homenaje a Joseph Beuys. Se trataba de Bernd Klüser, amigo personal de Beuys, y hoy en día uno de los mas importantes propietarios de su obra. El motivo de esa carpeta había sido el 65 cumpleaños de Beuys, pero su inesperada muerte hizo que la celebración se convirtiera en un evocador tributo tras la desaparición del genial artista. Así nació la serie gráfica “For Joseph Beuys”, una suite que recoge la obra de amigos y colaboradores del artista, de la talla de Keith Harina Cindy Shermann, Andy Warhol, Jannis Kounellis o Mimmo Paladino. La carpeta nos parecía una forma idónea para acercarse, a través de la obra gráfica, al escenario artístico de aquellos años; así que la compramos y inauguramos con ella la galería Brita Prinz. Unos años más tarde, también adquirimos a Klüser los dos tomos del portfolio “El leopardo congelado”, un proyecto que nos cautivó. Klüser rescató del olvido una fotografía de 1926 en la cual aparece un leopardo congelado, en postura sedente, cerca de la cima del Kilimanjaro, a una altitud de casi 6000 metros. Este misterio del leopardo congelado, animal típico de

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la sabana, descubierto en esas alturas, fue la base para que 19 artistas internacionales invitados por Bernd Klüser crearan un grabado original con su propia interpretación. A lo largo de los años, nuestra relación con Klüser se ha convertido en una amistad: admiramos un trabajo que refleja gran respeto por el papel estampado y sobre todo las cuidadas ediciones que realiza. La experiencia vivida en nuestra galería/taller nos ha marcado profundamente. Era un privilegio poder enseñar al visitante lo que es una plancha mordida por el ácido, el suave tacto de una piedra de litografía o de la seda del bastidor de serigrafía, el relieve de la madera tallada. Vivir la tensión que se crea en un taller de estampación cuando se pasan plancha y papel por el tórculo o la prensa, cuando se levanta cuidadosamente el papel y aparece la estampación, son momentos de sorpresa que no quisiera olvidar nunca. Para mi, tocar algo con los dedos es muy importante: la piedra, la madera, la misma textura del papel o sus relieves y zurcos; es un arte vivido, es naturaleza y lo respeto profundamente. En aquellos 15 años conocimos a muchos artistas tanto a través de los talleres como por las exposiciones que realizábamos regularmente. Participábamos en eventos relacionados con el grabado, como la feria Estampa, donde estuvimos presentes desde su primera edición. Organizábamos intercambios con los artistas formados en nuestros talleres o con otras galerías extranjeras, y cada vez teníamos más contactos dentro y fuera de España. A principios de los 90 participamos en la feria de grabados que se celebró muy pocos años en Basilea junto con la famosa feria Art Basel. De ahí volvimos con otro importante conjunto que compramos a un colega: “El Poema del Ángulo Recto” de Le Corbusier. Consiste en una suite de 20 litografías editadas por Verve en 1955. Para Le Corbusier el ángulo recto es la base de su pensamiento arquitectónico. Toda su obra edificada, todos sus proyectos lo atestiguan. El ángulo recto no es sólo geometría sino símbolo. Está cargado de valor místico. Es la imagen del hombre erguido para actuar, y tumbado para dormir y morir. Y este balanceo entre lo vertical y lo horizontal, es la imagen de la vida. El ángulo recto es “un pacto con la naturaleza”. Otra adquisición importante, en 1994, fue el conjunto de 10 pochoirs de Picasso, “Ten ornamental designs”, realizadas a partir de una serie de gouaches cubistas durante 1919-1920 en Juanles-Pins y publicadas en los primero años 20 por Paul Rosenberg. La técnica del Pochoir o Estarcido consiste en la aplicación del color de forma manual mediante muñequillas o pinceles, em-

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pleando para ello plantillas, cuyo resultado final es la composición de partida. Este procedimiento fue muy utilizado durante los años veinte por los creadores del cubismo: Picasso, Juan Gris y Braque, así como por sus seguidores. En relación con Picasso, tuvimos otro conjunto de grabados muy interesante: se trataba de 60 obras agrupadas en 5 tomos realizadas por artistas internacionales en homenaje al 90 cumpleaños de Picasso y editadas por el Propyläen Verlag de Berlin en 1974. Se expusieron en mi galería para celebrar nuestro X aniversario y después tuve la ocasión de vender el conjunto a un coleccionista suizo, hecho que mi marido todavía lamenta. Más tarde, hemos podido comprar algunos grabados sueltos de esa carpeta, pero nunca más hemos podido encontrar el conjunto completo. Cuando comprábamos obra, siempre intentaba aclarar con mi marido de antemano si la compra era para nosotros o para intentar venderla en la galería. Pero eso no funcionaba siempre, y algunas veces me he encontrado en una situación bastante incómoda porque mi marido se había encaprichado tanto con el grabado que ya no lo quería venderlo, cuando yo, en cambio, lo había ofrecido a un cliente; en fin, siempre había una solución. Cuando ahora hago una evaluación de nuestras adquisiciones me doy cuenta de que tenemos predilección por los conjuntos de obras, sea temáticamente o con determinado objeto. Nos gusta ver como un artista interpreta a su manera un cierto tema o un cierto personaje y que material de expresión emplea. El grabado permite un sin fin de lenguajes propios, que transmiten la entrega y sinceridad del artista. Hay otras series, como la de Jean Emile Laboureur “Tableau des Grands Magasins”, con 12 buriles de extraordinaria delicadeza; la de Marcoussis titulada “10 aguafuertes para Aurelia”; “Aromas” de Chillida o la suite “Le Sable Mouvant” de Picasso, un ejemplar sin firmar ni numerar pero proviniendo directamente de Mourlot, un lujo que solo se puede permitir un coleccionista. Para terminar, quiero hablarles de Antoní Clavé, (Barcelona, 1913 - Saint Tropez, 2005). Han pasado casi 25 años desde que Jesús Núñez nos dio a conocer la obra gráfica de ese artista. Fue él quien realmente nos introdujo en su mundo interior, quien nos invitó a sumergirnos en su estética y quien, en definitiva, nos contagió de la pasión por su trabajo. Suponemos que, por su condición de artista, Jesús nos descubrió la importancia fundamental de Clavé: la de introducir en España la investigación de las técnicas gráficas y de estampación

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rompiendo con la tradición. Los papeles deformados por los gofrados y relieves, la mezcla de técnicas, o la utilización libre del papel, han servido de modelo a seguir para toda una generación de artistas que veían en las obras de Clavé el paso necesario para el desarrollo y evolución de la gráfica española. No tardamos mucho en comenzar nuestra colección de Clavé, no como un plan preconcebido, sino mas bien como algo que surgió con el paso de los días, como una tentación constante de la que difícilmente podíamos escapar. Sorprendentemente, fue fuera de España donde encontramos más obra gráfica de Clavé, especialmente en Francia, Inglaterra y Alemania. En 1993, coincidiendo con el ochenta cumpleaños del artista catalán, se realizó una exposición de Clavé en mi galería con ayuda de la Sala Gaspar de Barcelona, y se expusieron 24 obras de grabados y litografías. Comprobando ahora la lista de títulos, lamentamos no poder volver atrás en el tiempo para quedarnos con la totalidad de las obras que pasaron por nuestras manos y que vendimos o no adquirimos en esa ocasión. Una carta nuestra, del 21 de mayo de 1996, nos recuerda el primer contacto directo mantenido con el artista, una llamada telefónica a su residencia en Saint-Tropez para solicitar información de algunas de las obras sin identificar entre la treintena de grabados ya en nuestra posesión. Esa carta siguió a la llamada y fue contestada cuatro meses después por el artista con otra misiva. Escrita a mano y con pluma, con una caligrafía antigua, como dibujando las letras, nos contestaba en tono cordial acerca de las fechas de edición de esos grabados. Y, dos años más tarde, contactamos en Paris con Maurice Felt, uno de los estampadores de obra gráfica que Clavé utilizó durante varios años, contacto con el que conseguimos aumentar nuestra colección que ya sobrepasa largamente el centenar de obras. Especialmente orgullosos estamos también por haberla completado con cuatro de sus fantásticos libros ilustrados: “Lettres de Espagne”, de 1944, “Carmen” de 1944/46, “Candide” de 1948 y “Gargantua” de 1951/55. Ya han pasado 7 años desde que cerré la galería y empecé nuevas actividades dentro del mundo del grabado. Ahora tengo tiempo de ocuparme de nuestra pequeña colección, y es un privilegio poder mostrar parte de ella aquí, en el Teatro Lírico de Cagliari. Gracias a Dios, sigue habiendo personas como Gabriella Locci y Darío que comparten con nosotros el entusiasmo por el mundo del grabado y hacen posibles encuentros como los que estamos viviendo estos días. Un inmenso “gracias” a ellos!

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PEDRO GALILEA LA FUNDACIÓN CIEC, MÁS QUE UNA COLECCIÓN La Fundación CIEC, Centro Internacional de la Estampa Contemporánea, se sitúa en Betanzos, A Coruña, España. Hasta allí se desplazan numerosos artistas para compartir su trabajo y experiencias artísticas en un espacio creado para el mundo de la Gráfica. Nuestra historia nace en 1997 gracias al sueño y la generosidad de un artista, Jesús Núñez, quien cede el espacio que ahora ocupamos, un bello edificio de 1923 construido por el arquitecto González Villar en el centro del casco histórico de Betanzos. Quien se acerque hasta allí podrá contemplar una de las mejores colecciones de gráfica contemporánea española, siendo la presencia de autores extranjeros menor. Obras de Picasso, Miró, Clavé, Tàpies, Canogar, Feito, Genovés, Saura, Valdés y un largo etc. destacando los conjuntos dedicados a Amadeo Gabino, Jesús Núñez, Luis Seoane, François Marechal y Luis Caruncho.

A parte de estos grandes nombres de la Gráfica, la colección esta abierta a todo tipo de creadores y jóvenes emergentes cuya exposición y contrapunto crean interesantes diálogos entre las obras y el bello espacio que las acoge. Pero como el título de esta exposición nos indica la Fundación

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CIEC es mucho más que esta importante colección, ya que la Fundación organiza todo un programa de actividades en pro del Arte Gráfico, abarcando desde los aspectos formativos hasta los divulgativos y de promoción. Los artistas y público que traspasan nuestras puertas tendrán una experiencia completa de todos los ámbitos que rodean la creación de una Estampa, desde su origen y creación hasta su estadio final. EXPOSICIONES Cada mes se invita a un artista, nacional o internacional, a que exponga su obra en las salas temporales, de tal forma que los alumnos y público en general puedan estar en contacto con las últimas creaciones. En muchos casos los autores se acercan hasta Betanzos para compartir la inauguración con nosotros y así poder conversar con los allí presentes sobre sus obras y maneras de trabajo. Entre ellas destacan las realizadas en el periodo estival, ya que por ser el de mayor afluencia de público, la Fundación CIEC dobla sus esfuerzos para poder disfrutar de muestras de la talla de “Picasso, Desconocido”, “Le Corbusier, Le Poeme de l’Angle Droit”, “Dalí-Dante, La Divina Comedia” y “Valdés, Gráfico”, por citar a los más recientes. Por último, referirnos en este apartado a las exposiciones itinerantes, que pretenden acercar la Estampa y a sus creadores

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a todo tipo de públicos, con un doble objetivo dar a conocer nuestros fondos y acercarnos a aquellos núcleos de población que muchas veces quedan apartados de los circuitos del arte.

CURSOS La actividad formativa es el tronco sobre el cual crecen la mayoría de las actividades que este centro realiza. En nuestros talleres se pueden llevar a cabo cursos de Calcografía, Litografía, Serigrafía y Xilografía, así como sus variantes y nuevos procedimientos. A ellos se invita a importantes profesores y artistas para que compartan su tiempo con alumnos de todas las partes del mundo, contribuyendo con ello a crear un espacio de encuen-

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tro y confrontación de ideas, de procesos creativos y de experiencias vitales gracias al crisol cultural que año tras año se concita.

La programación se reparte a lo largo de todo el año, a través del Máster sobre la Obra Gráfica que se extiende de octubre a junio y con los cursos de verano, los meses de julio y agosto, que se organizan desde 1985, siendo los más antiguos de España dedicados de manera monográfica al grabado. A través de un amplio programa de becas e intercambios con instituciones extranjeras, numerosos alumnos y artistas han compartido su tiempo con nosotros, podemos citar: Escuela de Artes de Lugo, Facultad de Belas Artes de Pontevedra, Cooperativa de actividades artisticas Arvore, Oporto, Portugal, Casa Falconieri, Cagliari, Cerdeña, Italia, Accademia di Belli Arti L’Aquila, Italia, Instituto Statale d’Arte Filippo Figari, Sassari, Cerdeña, Italia, Atelier L’Empreinte, Luxemburgo, Atelier Bo Halbirk, París, Francia, École de l’Image d’Epinal, Francia, École Supériere de l’Image d’Angoulême, Francia, Corcoran School of Art, Washington, USA, Museo Nacional del Grabado, Bue-

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nos Aires, Argentina, Estampería Quireña, Ecuador, Facultad de Bellas Artes de Pereira, Colombia, Fundación ESART, La Paz, Bolivia, Fundación Rojo Urbiola, Zacatecas, México, La Casa de los Tres Mundos, Granada, Nicaragua, Instituto Cervantes, Damasco, Siria, Facultad de Bellas Artes de Jartum, Sudán ... Y valga como ejemplo de estas colaboraciones los nombres de los artistas sardos que ya han pasado por la Fundación CIEC; Carla Mancini, Giorgio Sedda, Alberto Marci, Michel Chevalier, Michella Ambu y esperamos a muchos más. PROMOCIÓN Por último señalar que la Fundación CIEC, apoya al arte gráfico y sus creadores por medio de la difusión y la divulgación, en este apartado se encuentran desde los talleres infantiles donde los escolares realizan una plancha que les proporciona un primer acercamiento a la estampa de forma lúdica. Hasta la presencia en eventos que den a conocer sus actividades, entre ellas destaca la Feria de ESTAMPA, que se desarrolla en Madrid siendo una de las más importantes a nivel europeo y podemos decir mundial. Pues bien la Fundación CIEC ha estado presente con un stand desde la creación de esta cita, hace ya 17 años, de esa forma se mantiene el contacto con editores, galeristas, artistas y público en general. Desde 2006 la Diputación de A Coruña organiza el Premio Internacional de Arte Gráfico Jesús Núñez, premio abierto a las diferentes técnicas y a todos los artistas. Charlas sobre el grabado, encuentros artísticos, conferencias, conciertos, instalaciones... dinamizan una actividad ya de por si febril que intenta que todos los facetas del arte se encuentren en nuestro espacio y se compartan por todos, artistas y visitantes.

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ENRIQUE GONZALEZ FLORES Grabado contemporaneo. Una vision de conjunto. Antes de comenzar quiero agradecer a Gabriella Locci su invitación para asistir a este encuentro y la confianza y el apoyo que ha prestado a nuestra publicación desde su nacimiento. La creación de esta revista dedicada al grabado y a la edición, pareció a primera vista una locura por la enorme dificultad que entrañaba sacar adelante una publicación semejante en un país como España. Grabado y Edición nació en 2006 a partir de una ilusión personal por la difusión del arte gráfico y el apoyo de diversas figuras del mundo del grabado en España que apoyaron este proyecto. En un momento en el que en todo el territorio peninsular trabajan cientos de excelentes grabadores que están creando obras de primera calidad utilizando todo tipo de soportes en formatos inimaginables hasta hace poco, derrochando imaginación y sabiduría, era necesario un vehículo de cohesión que los pusiera en contacto. Un lugar donde poder encontrar, no sólo información a nivel nacional e internacional, sino también dar a conocer sus trabajos, sus investigaciones, sus proyectos y sus necesidades. Era fundamental contar con un foro de encuentro en el que poder abordar y tener representados todos los campos en los que se mueve el grabado: artistas, editores, galerías, exposiciones, historia del grabado, investigación... Su planteamiento es amplio y muy coherente, abierto a todos los que se interesen por la obra gráfica y, al mismo tiempo, siendo un vehículo de comunicación entre ellos. A lo largo de estos cuatro años de trabajo nos hemos esforza-

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do en dar a conocer a nuestros lectores todo lo que sucede en relación al grabado y la obra gráfica a nivel internacional. Para ello hemos visitado talleres y entrevistado artistas, editores, estampadores y galeristas... grandes y pequeños, conocidos y desconocidos. Grabado y edición ha contribuido a la difusión y el acercamiento del grabado a la sociedad. Siendo uno de nuestros principales objetivos estimular a las galerías e instituciones para que apoyen y difundan la obra gráfica original que se hace dentro y fuera de España. Otro de nuestros propósitos es que los artistas y el público en general conozcan lo que se está haciendo en el extremo opuesto del planeta, para de esta forma activar el intercambio de información entre todos los que se acerquen a nuestra publicación. Hemos tenido la oportunidad de publicar contenidos que hasta hoy nunca se habían editado debido a la poca difusión realizada hasta el momento y muchos de estos textos han visto la luz por primera vez en nuestras páginas. Cómo ejemplo de la labor que hemos venido realizando, me gustaría hacer referencia a algunos de los artículos más representativos de los 21 números publicados hasta la fecha: Refiriéndonos a La revista“ LA ESTAMPA”, nuestro único antecesor en España. Publicamos en 2006 un reportaje escrito por Carmen Rodríguez Perales, responsable del servicio de dibujos y grabados de la Biblioteca Nacional de España. Para nosotros fue una sorpresa el día que llegó a la redacción la noticia de la existencia de una revista de grabado en el primer tercio del siglo XX. Como si de una vuelta al pasado se tratara, los cien años que nos separan de nuestros colegas no han sido suficientes para cambiar el día a día de nuestras comunes experiencias. Con idéntica fuerza e ilusión, compartimos con ellos el objetivo de que la obra gráfica encuentre el mismo espacio que otras disciplinas del arte. Me gustaría rendir un pequeño homenaje a Antonio Lorenzo, artista recientemente fallecido, y uno de los creadores clave para el desarrollo del grabado contemporáneo en España. En su labor como artista y director del Grupo quince entre 1972

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y 1975 represento un gran avance para la gráfica en una España paralizada por la dictadura. Antonio Lorenzo fue protagonista de un reportaje publicado en 2007 sobre su apasionante biografía. Nuestro interés en la difusión dentro del mundo de la gráfica, nos lleva a seguir la pista de las personas e instituciones que apuestan por el arte más sincero y comprometido con la sociedad, cómo es el caso de la entrevista que mantuvimos con el mexicano Francisco Toledo, uno de los artistas plásticos más destacados de nuestro tiempo y promotor de importantes proyectos culturales en su país, cómo el Museo de Arte Contemporáneo de Oaxaca, el Instituto de Artes Gráficas, el Centro de Fotografía Álvarez Bravo, la Biblioteca del IAGO o el Centro de las Artes de San Agustín Etla de la misma ciudad. Un año más tarde, en 2008, el pintor y Premio Nobel de literatura Gao Xingjian nos recibió en su casa de París, donde pudimos compartir con él la angustiosa experiencia sufrida en una granja de reeducación del gobierno chino, su exilio en Alemania y Francia, y su posterior éxito literario, teatral y artístico en Europa. Con él, a partir de esta entrevista, tenemos el honor de mantener una relación de amistad y colaboración en el campo del grabado. Éste compromiso con la sociedad, al que hacíamos referencia anteriormente, está patente en la conversación mantenida más recientemente con Stephen Fredericks, presidente de la Sociedad de Grabadores de Nueva York, asociación que cuenta en la actualidad con más de 350 artistas afincados en la ciudad de los rascacielos. Con su tenacidad, Stephen a creado proyectos de los que Grabado y Edición se hizo eco, como por ejemplo: Arte y Democracia donde a través de la edición y pegada de carteles, realizados con técnicas de grabado, denunciaron y criticaron de forma activa la política de George

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Bush durante las últimas elecciones en Estados Unidos. Recientemente ésta asociación neoyorkina ha puesto en marcha otro proyecto llamado INOCENCE, en defensa de aquellas personas que permanecen encarcelados en Estados Unidos, a pesar de no haber cometido ningún crimen. Se trata de una labor conjunta, con un grupo de abogados, que a través de las pruebas del ADN, intentan demostrar la inocencia del reo en cuestión. Para recaudar fondos, y pagar los altos precios de los análisis de ADN, la asociación consigue dinero a través de la venta de grabados y carteles creados por los artistas miembros. Con este tipo de artículos, queremos demostrar la pluralidad de formas y variedad de objetivos que puede llegar a alcanzar la producción de obra gráfica e incluso la utilidad social que puede tener en nuestra sociedad.

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Grabado y Edición tiene interés por difundir también el trabajo de las personas que luchan por el desarrollo del grabado en países donde el arte contemporáneo, y el grabado en particular están comenzando a progresar de forma incipiente. En el congreso internacional de grabado Impact, -celebrado en 2007 en la ciudad de Tallin, Estonia- conocimos a la artista Karen Oremus, profesora de grabado en la Zayed University de Dubai de Emiratos Árabes. El trabajo de esta educadora nos pareció relevante por haber conseguido la primera promoción de mujeres artistas dedicadas especialmente al grabado y la estampación, en un país donde las libertades de la mujer brillan por su ausencia. En torno a este tema, próximamente publicaremos una entrevista realizada a la artista india afincada en Nueva Delhi, Anupam Sud, reconocida artista grabadora, perteneciente a la nueva generación de creadores contemporáneos que están apareciendo en el país asiático. Sud ha dedicado gran parte de su vida a la enseñanza y la promoción del grabado en la india, con las dificultades que esto conlleva. Actualmente retirada de la labor docente está consagrada de lleno a la producción y difusión de su propio trabajo. Para nosotros es muy importante que nuestros los lectores conozcan el trabajo de los grandes talleres internacionales de gráfica dedicando artículos a talleres como: Tanden Prints de Wisconsin - Estados Unidos, Benveniste Contemporary de Madrid, Pace Prints de Nueva York,

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Barbará en Barcelona, Mixografía de Los Ángeles

o Marc Balakjian de Londres, taller recientemente clausurado, y que se dedicó durante numerosos años, casi en exclusiva, a la elaboración y estampación de los aguafuertes creados por Lucian Freud.

Pero no solo queremos dar cabida a los grandes nombres del mundo del arte, publicando artículos y entrevistas con artistas como Jan Hendrix, Juan Genovés, Georg Baselitz o la desaparecida Kate Kollwitz. Desde la creación de la revista hemos intentado mostrar la obra de los artistas más jóvenes, y quizá menos conocidos, pero que mantienen una altísima calidad en su trabajo.

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Como ejemplo podemos citar los nombres de: -Elena Alonso, uno de los tres artistas premiados por Grabado y Edición en la convocatoria destinada a Jóvenes artistas que organizamos en 2007. -Susan Mowray, artista británica afincada en España, con un riquísimo mundo interior alrededor del hecho de ser mujer. -El mexicano René Almanza, que con tan sólo 27 años, ha logrado poner en marcha una galería de arte, fundar un taller de edición y desarrollar una seductora y personalísima obra artística. -o la croata Anna Vivoda que con una técnica gráfica tremendamente básica, logra transportarnos al interior de nuestro inconsciente... Han sido muchas las entrevistas, técnicas, ensayos y propuestas publicadas hasta la fecha, los artículos a los que me he referido son solo un mínimo ejemplo del camino que hemos recorrido hasta el momento. Con cada número que sale a la calle nos damos cuenta de lo poco que sabemos y del largo camino que nos queda por recorrer. La conclusión que podemos sacar después de estos casi cinco años de trayectoria, es que, poco a poco, la gráfica comienza a ser descubierta por el público; nos espera un futuro prometedor si sabemos mantener y fomentar entre todos el conocimiento, la compresión y el desarrollo del grabado. Pero son necesarios más congresos, exposiciones, ferias y eventos abiertos a un público potencialmente coleccionista y también para el que ya lo es. En general sigue existiendo mucha desinformación con respecto a todo lo que rodea a la edición de arte. Y encuentro que todavía no está valorada correctamente. Sin embargo

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cuando se brinda algo de información, este público, se siente hechizado con las cualidades de la obra gráfica, sea artista, coleccionista o simple aficionado. Por otro lado hemos comprobado que, cómo sucede en nuestra sociedad actual, existen enormes diferencias y contrastes entre los artistas que viven en países pobres, y los que disponen de grandes medios a su disposición.

Desde nuestro punto de vista podemos apreciar cómo, por diversas razones, esta distancia se hace cada día más grande. Cómo dice Felipe Ehrenber: “Urge que reconozcamos la diferencia entre las nuevas academias y la verdadera creación, entre la novedad y la invención, entre crítica y literatura, entre loas y lisonjas, entre curadores y curanderos, entre “lo de adentro” y “lo de afuera”, entre pintura pintada, pintura ampliada y artes plásticas, entre lo marginado y lo subversivo, entre la gráfica y la neográfica, entre la calidad y la mercadotecnia, entre el coleccionismo competitivo y el coleccionismo responsable, entre el presupuesto y el despilfarro...”

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Joaquin Jimeno SalueÑa FUENDETODOS Y EL ARTE GRAFICO: EL MUSEO GOYA - FUENDETODOS Fuendetodos, villa Natal del pintor D. Francisco de Goya y Lucientes, es un municipio de 175 habitantes ubicado a 44 Km. al sur de Zaragoza, que ha apostado por la explotación de recursos vinculados al Patrimonio y al turismo cultural, con el objeto de hacer frente a los problemas que aquejan al municipio, marcado por la crisis de las estructuras agrarias tradicionales por la despoblación, debida a la falta de servicios que requiere la sociedad actual. Fuendetodos, inicia en 1988 un amplio programa de difusión y promoción de la figura y la obra de Goya como principal objetivo del desarrollo social, económico y cultural y paralelamente comenzó a desarrollar todo un conjunto de iniciativas para el impulso y la promoción del arte gráfico. Con el apoyo de otras instituciones y la generosa contribución de un gran número de artistas, procedió a la reapertura de la Casa Natal de Goya y a la creación del Museo del Grabado de Goya. A partir de estos dos primeros equipamientos museísticos, se desarrollan toda una serie de actuaciones culturales, vinculadas a la obra gráfica, como complemento y dinamización del Museo del Grabado: exposiciones de obra gráfica, experiencia pedagógica Goya y su época en el aula, creación del Taller de Grabado de Fuendetodos, cursos de grabado, con diferentes niveles de especialización, ediciones de obra gráfica de artistas de reconocido prestigio, etc. En 1996, coincidiendo con la celebración del 250 aniversario del nacimiento de Goya, se impulsan nuevas iniciativas que venían a completar la dedicación específica de Fuendetodos, prueba de ello fue la apertura de la Sala de exposiciones Ignacio Zuloaga, que ha venido acogiendo desde su inauguración más de 50 muestras de obra gráfica, tanto históricas como contemporáneas. Dada la intensa actividad expositiva y la estrecha y fructífera colaboración con diferentes artistas contemporáneos, Fuendetodos ha ido ampliando sus fondos museográficos en materia de arte gráfico sobre todos a partir del año 2000, en el que se realizó la primera Edición de carpetas de grabados de

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los “Disparates de Fuendetodos”: que surge de la necesidad de homenajear a Goya, cuya trabajo interrumpido, legó a la posteridad veintidós imágenes de la serie los Disparates y de otras necesidades más pragmáticas, como la creación del nuevo Museo Goya Fuendetodos, En la propuesta de dar continuidad a aquella primigenia intención creativa, seguir incre-

mentando desde el presente el número de imágenes en un proceso sin fin, han participado ya, artistas como Saura, Pepe Hernández, Günter Grass, Manolo Valdés, Arroyo, Broto, Víctor Mira, Guinovart, Ricardo Calero, Jaume Plensa, etc. La excelente acogida por parte de los artistas convocados para dar continuidad a dicha serie, supone una ampliación sistemática de los fondos del Museo. Actualmente los fondos de arte gráfico del Museo del Grabado de Fuendetodos, están constituidos por: -De las cuatro series de los Grabados de Goya y una colección de más de 2.500 obras, entre grabado histórico y estampa contemporánea, que tiene un crecimiento constante, en particular a partir de la serie Disparates de Fuendetodos, y por las donaciones que se vienen produciendo. La labor realizada en Fuendetodos lo largo de estos años ha

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supuesto no sólo un incremento considerable de su patrimonio artístico con una numerosa colección, sino la necesidad de tener que pensar en la creación de un nuevo espacio donde poder mostrar al público dichos fondos y seguir dando respuesta a la demanda y a las posibilidades culturales que de una manera natural y paulatina han ido surgiendo durante todo este periodo a través del FUTURO MUSEO DEL GRABADO GOYA-FUENDETODOS. El nuevo Museo Goya-Fuendetodos nace con la doble intencionalidad de asumir y dar soluciones a las necesidades generadas, y con el firme propósito desde su creación de ser el «espacio» de referencia dentro del mundo de la obra gráfica a nivel nacional.

Diseñado por el equipo de arquitectos Matos-Castillo, ganadores del Concurso de Ideas convocado en el 2007, sus 5.000 m2 están concebidos para conseguir un funcionamiento versátil e intercambiable, donde poder acoger tanto las exposiciones Permanentes: Goya, Disparates de Fuendetodos, Fondos del Museo, etc.; las muestras temporales de gráfica; así como un centro de investigación e interpretación del grabado, con un marcado y especial hincapié en la obra de Goya y en su capacidad innovadora, talleres (calcográfico y de nuevas tecnologías),biblioteca, espacios didácticos, centro de actividades,etc. La forma del proyecto generada a partir de la conjunción de elementos con un alto grado de independencia, y su plante-

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amiento constructivo con elementos de hormigón que son a la vez estructura y material de acabado del edificio, permiten un sencillo funcionamiento de la construcción por fases, cada una de las cuales puede incluir la construcción de un determinado número de cáscaras o módulos, en función del presupuesto disponible. Texto de B.Matos y A.Castillo. “Fuendetodos es un pequeño municipio situado en una ladera cuya cualidad espacial más importante es la fragmentación. Pequeños tejados inclinados se agolpan unos contra otros, sobre o bajo otros. Crean visiones que recuerdan imágenes cubistas que usaban la superposición de visiones parciales (de una ciudad, un objeto o una persona,) para dar una idea de la globalidad. Por tanto, y pese a tener individualidades notables como la casa natal de Goya, principal y lógico objeto de culto e interés por parte del público, a nosotros nos interesa la generación mental de una imagen urbana por medio de la conjunción de fragmentos. Nuestro proyecto nace de la unión de las cualidades a que nos hemos referido al hablar del grabado y de Fuendetodos: repetición y fragmentación. Proponemos una unidad (pieza de planta trapezoidal) como plancha a partir de la cual hacer los múltiples. Su geometría es especialmente adecuada para concatenar espacialmente el interior del museo y conseguir un funcionamiento versátil, intercambiable. Como si apretáramos más o menos el rodillo de la tinta al hacer las diferentes reproducciones, en ocasiones nuestra plancha produce elementos deformados en planta o sección que pasan a formar parte del conjunto y lo personalizan. Obtenemos un edificio suma de elementos menores, de fragmentos planos o inclinados cuya Superposición dialoga en la distancia con aquellos del pueblo. El museo nace de un sistema y como tal podría seguir creciendo, añadiendo los elementos necesarios. Hormigón con áridos y tierras del lugar sería el material con que construir las “cáscaras”. Vidrio y paneles metálicos (zinc) serían los materiales que cerrarían aquellas. Las salas de exposición dispondrían de un sistema de control de la luz natural hasta su oscurecimiento total” CASA NATAL DE GOYA. La Casa Natal del pintor fue documentada por el pintor Ignacio Zuloaga y un grupo de artistas zaragozanos en 1913. En

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1982 fué declarada Monumento Artístico Nacional y el 13 de julio de 1985 se procedió a su inauguración, después de los trabajos de remodelación. La casa conserva hoy todo el aspecto rústico y popular de la época de Goya.Interiormente, el edificio posee todos los atributos y cualidades propias de una casa de labradores. Consta de planta baja, con zaguán, cuadra y cocina, piso superior y granero. La casa se encuentra ambientada con muebles y enseres propios de época de Goya, y documentación gráfica.

MUSEO DEL GRABADO DE GOYA. Creado en 1989 a partir de la obra gráfica de Goya cedida por la Calcografía Nacional y la Diputación Provincial de Zaragoza. Están expuestas una selección de las 4 series de Grabado originales del artista: Los Caprichos, la Tauromaquia, los Desastres y los Disparates.

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SALA DE EXPOSICIONES TEMPORALES “IGNACIO ZULOAGA” La Sala está especializada en Arte Gráfico, tanto histórico como contemporáneo. En ella se exponen temporalmente obras de los más obra de los más representativos artistas: Picasso, Miró, Saura, Chillida, Günter Grass, Barceló, Eduardo Arroyo, Luis Gordillo, Hernández, Víctor Mira, el grabado científico y coetáneo de Goya, etc.

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PAOLO SANJUST L’arte di mostrare. Note sulla museografia in Sardegna. Premessa L’approvazione nel 2007 del Piano di razionalizzazione e sviluppo del Sistema museale regionale da parte della Regione Sardegna ha dato il via ad un processo di aggiornamento dei musei locali, dal punto di vista organizzativo e gestionale, e ad un vivace dibattito sui temi della museologia, segnato dalla successione di diversi convegni. Si stanno costituendo le prime reti di musei, tematiche o territoriali, stimolate dalla normativa regionale sunnominata, ma anche dalle premialità, indicate in diversi Bandi regionali di finanziamento del settore dei Beni Culturali, per le reti museali; - si sono svolti diversi corsi di formazione ed aggiornamento professionale per il personale dei musei, impostati alla luce della Carta delle professioni museali; - sono in fase di progettazione il Museo delle Identità della Sardegna, a Nuoro, il Museo della Sardegna Giudicale a Oristano e Sanluri, il Museo Tavolara per l’Artigianato; - si è invece arenato, tra crisi economica e contrarietà politiche, il Betile, Museo dell’arte nuragica a e contemporanea, che era stato ideato come il capofila dell’intero Sistema museale regionale. Nel frattempo si continua comunque ad inaugurare nuovi musei locali, mentre è difficile tenere il conto di quelli che chiudono, o che riducono drasticamente gli orari d’apertura ed i servizi al pubblico. Grande assente nel panorama regionale è invece la riflessione sugli obiettivi, sulle metodologie, sulle pratiche che orientano le scelte nell’ambito della museografia e dell’allestimento. Riflessione che potrebbe, da una parte, nutrirsi di alcune interessanti realizzazioni degli ultimi anni e, dall’altra, favorire una crescita della consapevolezza degli operatori museali sulla necessità di un’attenta e professionale progettazione degli allestimenti che, nella gran parte dei musei sardi, è invece superficiale e non aggiornata. Allestimenti, comunicazione visiva e percezione. Tra il giugno e il novembre 2009 a Palazzo Fortuny a Venezia,

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era visitabile la mostra Infinitum, organizzata dalla Fondazione Musei Civici di Venezia e dalla Vervoordt Foundation. La visita a questa mostra, e in particolare ai piani superiori (imm.01) ha costituito, tra l’altro e per ciò che può essere inerente al presente saggio, una particolare esperienza di percezione visiva, riconducibile al modello allestitivo della ridondanza; in questo modello, al di là della percezione lineare e puntuale di ogni singola opera … ciò che più conta è il contesto, il risultato generale, la spettacolarità dell’insieme; la lettura dell’opera d’arte e la sua percezione critica si dissolvono nella complessità scenografica; a un primo approccio, quantomeno, la sensazione prevalente è che il mio grado di percezione è bassissimo, cioè io ho un’immagine complessiva fortissima, ma ho una percezione del singolo oggetto bassissima. Troviamo, affiancate e disposte con lo sfondo dei tessuti di Mariano Fortuny o su arredi del suo palazzo, opere di Escher, Van Delen (1629), Piranesi, de Chirico e Vik Muniz; oppure opere di George Romney (1785), Pierre Bonnard, Mario Schifano, Michael Borremans, proposte in un silenzioso dialogo con una selezione di sculture dell’antico Egitto. Una volta superato il primo momento di immersione emotiva e sensoriale, diventa possibile isolare percettivamente le singole opere per ricomporle poi in nuove configurazioni di senso, che siano quelle istituite dai curatori, come il tema della costruzione prospettica dello spazio o il tema dell’incompiuto nell’arte, oppure altre che la propria cultura e immaginazione possa concepire. Credo si possa paragonare questo tipo di allestimento a quello della Casa Museo londinese di John Soane (imm.02) dove i numerosissimi reperti archeologici e le presenze antiquariali – frammenti di opere architettoniche o scultoree - occupano tutto lo spazio disponibile sulle pareti, sui pilastri, sui soffitti e a pavimento, creando quella sensazione di pienezza della percezione e di difficoltà di orientamento di cui parla Paul Valery, riferendosi, in generale, alla visita dei musei dei suoi tempi: .... non è forse un esercizio di tipo particolare questa passeggiata bizzarramente ostacolata dalle bellezze, e deviata ad ogni istante a destra e a sinistra da capolavori, tra i quali bisogna comportarsi come un ubriaco tra i banconi del bar? (...) L’orecchio non riuscirebbe ad ascoltare dieci orchestre contemporaneamente. La mente non può seguire né compiere operazioni diverse e distinte, e non esistono ragionamenti simultanei. Ma l’occhio nell’apertura del suo angolo mobile e nel momento della percezione, si trova

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costretto ad accogliere un ritratto e una marina, una cucina e un trionfo, personaggi dalle condizioni e dalle dimensioni più diverse; e, per di più, deve accogliere nello stesso sguardo armonie e modi di dipingere non paragonabili tra loro. A partire dal ‘900 le acquisizioni della Gestalt contribuiranno a sostanziare, dal punto di vista scientifico, quella sensazione di ridondanza di cui parla Valery; una delle funzioni fondamentali della Gestalt stabilisce che la forma di un oggetto è percepibile per differenza rispetto ad uno sfondo, ed è quindi nel rapporto figura-sfondo che si istituisce il grado di percezione, e quindi il grado di conoscenza di ciò che viene mostrato. Da qui si sviluppa la museografia novecentesca italiana, che a partire dagli anni ’50 del ‘900 concepisce l’allestimento come la mediazione tra opera e spazio, nella quale non si deve verIficare una prevaricazione dell’una sull’altro. Giorgio Vigni, Soprintendente alle Gallerie siciliane, ordinatore del Museo Abatellis (imm. 03), allestito da Scarpa, scrive nel 1953: l’architettura del palazzo non deve costringere il museo che vi sarà contenuto, ma neanche questo deve soffocare l’architettura; i due elementi devono vivere l’uno nell’altro in armonia vicendevole, in modo che il visitatore ne riceva un’impressione naturale e riposante… l’architettura può risultare soffocata dal semplice fatto di sovraccaricare le sale di esposizione con troppa quantità di opere. Tale eccesso, oltre ad impedire che ogni opera possa essere vista e goduta nel necessario isolamento, tende a sminuzzare lo spazio architettonico e quindi a distruggere la misura, e da ciò derivano confusione ed affaticamento per il visitatore. Per dare una guida al visitatore comune è importante anzitutto la scelta rigorosa delle opere; direi che la funzione didattica del museo si soddisfa, prima che con qualsiasi altra iniziativa, proprio con questo principio … L’anno successivo, nella prolusione tenuta all’inaugurazione dell’Anno Accademico allo IUAV, intitolata “Le mie esperienze di architetto nelle esposizioni in Italia e all’estero”., Franco Albini sostiene che nell’allestimento occorre che l’invenzione espositiva attiri nel suo gioco il visitatore; occorre che susciti attorno alle opere l’atmosfera più adatta a valorizzarle, senza tuttavia mai sopraffarle. L’architettura deve farsi mediatrice tra il pubblico e le cose esposte, deve dare valore all’ambiente come potente elemento di suggestione sul visitatore. Per raggiungere questo risultato bisogna ricorrere a soluzioni spaziali piuttosto che a soluzioni plastiche: bisogna creare spazi architettonici, o sottolineare

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quelli esistenti, legandoli in un’unità assoluta con le opere esposte. E’ mia opinione che sono proprio i vuoti che occorre costruire, essendo aria e luce i materiali da costruzione. L’atmosfera non deve essere ferma, stagnante, ma vibrare, e il pubblico vi si deve trovare immerso e stimolato, senza che se ne accorga. (imm. 04) La museografia del moderno seleziona, isola e valorizza le singole opere, esponendole su sfondi neutri, rarefacendone la presenza negli spazi architettonici, e inventa, o reinventa, l’allestimento come tecnica e poetica dell’esporre. Negli anni più recenti si verifica una mutazione radicale nei modi dell’allestimento, che deriva in buona misura dalla modificazione delle capacità percettive che si è verificata in occidente con la diffusione del web, oltre che dallo sviluppo delle tecnologie informatiche che consentono nuove forme di interazione con il pubblico; non si tratta più soltanto di informare sui contenuti scientifici o didattici che si intende trasmettere, ma soprattutto di comunicare, evocare, coinvolgere anche dal punto di vista delle emozioni, rendere partecipe il visitatore, attraverso l’esperienza dello spazio, l’interazione con l’esposizione, e la partecipazione interattiva, dell’avventura della conoscenza che un museo rappresenta: il compito di rendere esplicito tutto ciò, attraverso specifici codici comunicativi, è del progetto di allestimento. In questo senso mi pare che l’esperienza di Infinitum sia significativa, anche se certamente non isolata nel panorama delle esposizioni, come dimostra, per esempio, il successo di critica e di pubblico che sta avendo un piccolo ma straordinario museo etnografico come quello realizzato da Ettore Guatelli ad Oggiano Taro in provincia di Parma (imm. 05), che, dal punto di vista allestitivo, richiama l’esperienza di Soane. La nostra esperienza di allestitori Pochi altri luoghi richiedono, come un museo, un lavoro condiviso da diverse discipline, un lavoro che converga verso un obiettivo comune. Nella nostra esperienza di allestitori di piccoli musei locali in Sardegna, abbiamo avuto occasione di collaborare con antropologi culturali, storici, archeologi, paleontologi, oltre che con grafici, esperti di informatica, comunicatori, ed ogni volta abbiamo voluto addentrarci nello specifico di discipline sempre nuove e diverse, o almeno abbiamo provato a indossarne, di volta in volta, gli abiti mentali; con l’intento di agire come il regista con la sceneggiatura, dando

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forma e rendendo visibile ed esperibile ciò che fino a quel momento aveva solo forma discorsiva. La nostra esperienza si sviluppa inizialmente sui musei demoetnoantropologici, in anni nei quali gli allestimenti ruotavano prevalentemente intorno alla forma della casa-museo, nella quale la ricostruzione delle ambientazioni (più o meno) autentiche doveva informare sui modi di vita, e gli oggetti esposti dovevano raccontare prevalentemente il loro ruolo di “strumenti” del lavoro tradizionale. Il nostro contributo fu orientato, inizialmente, verso una forma espositiva che desse conto anche delle qualità formali e materiche delle collezioni, per poi svilupparsi verso forme di comunicazione contemporanee legate all’uso delle tecnologie audiovisive ed informatiche. Alla fine degli anni ’90 nel Museo etnografico di Armungia, uno dei nostri primi piccoli allestimenti, in un edificio che dal punto di vista tipologico e costruttivo risultava radicalmente differente dagli spazi del tessuto edilizio armungese, abbiamo esposto gli oggetti della tradizione in modo da valorizzare le loro qualità materiali e formali, su supporti che consentissero una visione tridimensionale, in modo che potessero essere intesi non solo come strumenti di lavoro, ma anche come frutto, essi stessi, di lavoro specialistico e perciò esponibili ed osservabili in quanto tali. La comunicazione era demandata a tecniche tradizionali, come i pannelli esplicativi, ed all’interpretazione dello spazio ospite attraverso espositori in legno di grandi dimensioni. (imm. 06) Qualche anno dopo, nel Museo delle tradizioni alimentari della Sardegna di Siddi, allestito in una grande casa tradizionale a corte, con il progetto museografico abbiamo inscindibilmente legato i percorsi d’uso della casa a quelli del percorso espositivo senza prediligere l’uno o l’altro, in quanto nell’esposizione non esistono percorsi predefiniti degli spazi da visitare. Si è deciso per alcuni spazi di ricostruirne l’ambientazione con l’originaria destinazione, in quanto sono stati ritrovati intatti corredi e attrezzature (imm.07), mentre in altri spazi che avevano perduto la loro iniziale destinazione, si è deciso di intervenire con i mezzi propri dell’allestimento ovvero esponendo con l’utilizzo di pedane, leggii, pannelli, ed utilizzando un materiale, come la canna palustre, già presente nei solai della casa, per accentuare il senso di appartenenza dell’allestimento alla casa che lo ospita e l’armonia del linguaggio architettonico adottato. Nel granaio al primo piano abbiamo esposto

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una “fioritura” dei numerosi forconi che venivano utilizzati nella casa-azienda. (imm. 08) Con il Museo della cultura pastorale di Fonni del 2006 si avvia, per noi, un nuovo modo di affrontare l’allestimento museale attraverso la predisposizione di attrezzature audio, video ed informatiche che permettono al visitatore, anzi gli richiedono, una partecipazione attiva alla costruzione di un percorso espositivo personalizzato, nel quale il palinsesto di contenuti scientifici e didattici è disponibile alla manipolazione. (imm.09-10) A Fonni oltre all’aspetto relativo all’integrazione del codice espositivo con gli ambienti tradizionali, cui dedichiamo abitualmente particolare attenzione, abbiamo predisposto un’ambientazione sonora, diversa nei diversi piani dell’edificio e dedicata alle diverse tematiche trattate, e un sistema, diffuso ma non pervasivo, di audiovisivi integrati nella pannellistica didattica; una particolare cura è stata posta nella riproduzione delle immagini dell’archivio fotografico del Comune di Fonni che sono state reinterpretate graficamente. (imm. 11) Nel 2009 nell’allestimento del Museo dedicato alle figure di Emilio e Joyce Lussu, il progetto affianca un’esposizione tradizionale di foto d’archivio e testi tratti dai libri dei due autori, a un allestimento multimediale e interattivo. La sala dedicata alla mostra fotografica (imm.12) è animata dalla predisposizione di un sistema di audio guide RFID che consentono di conoscere l’origine, la datazione, il soggetto delle diverse immagini; in un’altra sala un’applicazione multimediale dedicata alla vita e alle opere di Emilio Lussu, prodotta per il museo, è consultabile attraverso tre postazioni con monitor touch screen, integrati nei pannelli, dove uno dei monitor comanda anche una videoproiezione di grande formato, adatta alla consultazione per gruppi; (imm.13) nella sala dedicata alle pubblicazioni di Emilio e Joyce, ed alle numerose edizioni straniere dei loro testi, nei banconi centrali si può comodamente consultare una serie di monitor, dotati di cuffie, che propongono interviste ai Lussu e letture di brani dei loro scritti (prodotte per il museo che commercializza un audiolibro con la lettura integrale di un testo per entrambi gli autori); una sala è infine dedicata alla proiezione integrale di film, video e documentari che vedono la presenza dei Lussu in veste di autori o protagonisti. (imm.14) Le nuove modalità della percezione sviluppate negli ultimi

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anni di esperienze multitasking consentite dalla tecnologia informatica stanno modificando le necessità delle esposizioni museali e delle mostre temporanee; l’uomo è sempre più in grado di svolgere più compiti, e di cogliere più eventi, contemporaneamente, e ha sempre più bisogno di costruire percorsi personalizzati di visita. Si tratta di cogliere le potenzialità che le nuove tecnologie ci offrono senza dimenticare che la museografia novecentesca ha prodotto allestimenti che ancora oggi possono essere considerati esemplari per chiarezza, semplicità e bellezza. Regione autonoma della Sardegna, Sistema regionale dei musei. Piano di razionalizzazione e sviluppo, maggio 2007. Negli anni 2004-2008, sotto la presidenza di Renato Soru, la RAS ha impostato un rilevante numero di iniziative in campo museale, nell’ambito del Piano suddetto, che la Giunta attualmente in carica ha lasciato, in gran parte, cadere. La Carta delle professioni museali, promossa dalla Conferenza Permanente delle Associazioni museali italiane (AMACI, AMEI, ANMLI, ANMS, ICOM ITALIA, SIMBDEA) è stata aggiornata nel giugno 2007. Per quanto riguarda i corsi di formazione, si segnala il progetto Parnaso, realizzato in Sardegna negli anni 2007-08. dall’Ifold di Cagliari. Secondo le definizioni di Pierfederico Caliari la Museografia istituisce il rapporto esistente tra una collezione e una struttura architettonica finalizzata al suo contenimento; si applica ai rapporti tra l’organizzazione dell’edificio e l’organizzazione della collezione a livello sintattico, cioè a livello della posizione delle opere in ragione di un percorso didattico scientifico; l’Allestimento apre ai terreni della performance visiva, si occupa dal punto di vista progettuale del rapporto estetico tra collezione e pubblico e istituisce i rapporti estetici tra opera e pubblico, operando emozionalmente sulla visione. Cfr Caliari P.F., “La forma dell’effimero tra allestimento e architettura: compresenza di codici e sovrapposizione di tessiture”, Milano, Lybra immagine, 2000. Strutturata intorno a temi e concetti che evocano per metafore e approssimazioni di significati il senso dell’infinito, altrimenti inafferrabile: il Cosmico, L’opera d’arte incompiuta, l’Infinito nella costruzione prospettica, lo Spazio-in-mezzo (il concetto giapponese di MA); la Stanza Nera, il Monocromo, il Vuoto (in giapponese KU), la mostra è stata organizzata dalla Fondazione Musei Civici di Venezia e dalla Vervoordt Foundation; presentava oltre 300 opere, da pezzi archeologici a dipinti di antichi maestri, fino a opere moderne e contemporanee e a installazioni, alcune create espressamente per l’occasione. Le opere provengono da tutti i continenti e da epoche diverse: grandi maestri e autori anonimi; dipinti, sculture, installazioni, oggetti d’uso comune e di recupero; la sfida intellettuale e il coinvolgimento emozionale. Il modello della ridondanza è una tecnica espositiva che, dal punto di vista formale e percettivo si basa sull’equilibrio, sull’isomorfismo tra codice oggettuale, cioè la collezione esposta, codice sfondo, e codice mediale, cioè tutto ciò che sta dietro e accanto alla collezione: tra architettura ed allestimento. Cfr P.F. Caliari, cit. alla nota 4. Franco Albini, prolusione tenuta all’inaugurazione dell’Anno Accademico 195455 allo IUAV, Le mie esperienze di architetto nelle esposizioni in Italia e all’estero, “Casabella” n.370, febbraio 2005. http://www.museoguatelli.it/ ARCHeI, Società cooperativa Architetti e Ingegneri di Cagliari, opera in vari setto-

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ri della progettazione e realizzazione di architetture, spazi pubblici, infrastrutture, restauro, allestimenti museali. E’ composta dall’arch. Lucio Ortu (Presidente), dall’Arch. Isabella Braga (vice Presidente), dai soci ing. Fabrizio Cadeddu, ing. Enrico Erdas, ing. Carlo Pillola, arch. Paolo Sanjust. Progettisti architetti Isabella Braga e Paolo Sanjust; il sito del Museo è: www.comune.armungia.ca.it/sistemamuseale/sistema.html Pietro Clemente, noto antropologo museale, a proposito del museo di Armungia, ha detto: “perché la scopa da forno, su furconi, la pala da forno... sono così alte? Stanno lì con una predella che le fa svettare? Qui c’è un altro codice museografico che funziona e che io chiamo il ‘codice epico’. Cioè: qui si vuol dire... : Guardate che non é solo una bandiera o una spada che ha diritto di svettare! L’umile lavoro di queste donne che preparano l’alimento fondamentale della nostra vita ha anch’esso qualche cosa da ricordare, da sbandierare, da elevare e quindi lì siamo noi che li guardiamo dal basso in alto, questi oggetti del lavoro umile, del lavoro contadino.” Progettisti architetti Isabella Braga e Paolo Sanjust. Il sito del museo è: www.sardegnacultura.it/j/v/253?s=22728&v=2&c=2487&c1=2127&visb=&t=1 Progettisti architetti Isabella Braga e Paolo Sanjust. Il sito del Museo è: www.museodellaculturapastorale.com/ Emilio Lussu, grande figura di antifascista, scrittore, fondatore del Partito sardo d’azione, fu Ministro nei primi due governi dopo la liberazione dal fascismo; Joyce Salvadori Lussu, poetessa, scrittrice, traduttrice, condivise con Emilio l’avventura antifascista dell’esilio. Alcune immagini del cantiere dell’allestimento e dell’inugurazione del museo sono su: http://www.youtube.com/ watch?v=o1XD7Y2Pjds. Progettisti architetti Isabella Braga, Lucio Ortu, Paolo Sanjust, ingegner Carlo Pillola. Ma il sistema, per problemi amministrativi, non è stato ancora attivato.

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Lucia Siddi L’importanza delle stampe quali fonti di ispirazione per i pittori operanti in Sardegna nel XVI secolo. In occasione dell’importante convegno internazionale sull’incisione, organizzato da Casa Falconieri, in considerazione dell’esperienza che ho maturato in trent’anni di attività nella Soprintendenza per i Beni Culturali di Cagliari e Oristano, durante la quale ho avuto modo di progettare e dirigere numerosi lavori di restauro sui dipinti, mi è sembrato interessante presentare una relazione che sottolineasse l’enorme contributo dato dalla stampa, nel Cinquecento, alla trasmissione e diffusione in tutta Europa, e quindi anche in Sardegna, delle opere pittoriche realizzate dai diversi artisti nel periodo rinascimentale. Se l’incisione è stata spesso considerata un’arte minore, essa invece ha sempre svolto un ruolo documentario importantissimo e possiede, come ben sappiamo, tutte le caratteristiche di una vera e propria creazione artistica. Solo a partire dalla prima metà del XV secolo si procedette a trasferire su carta le raffigurazioni incise a bulino sulla lastra metallica; furono i mercanti a promuovere questa nuova espressione artistica che consentiva di diffondere i modi espressivi della cultura, soprattutto quella religiosa, con più rapidità ed efficacia. Tra i numerosi maestri incisori che hanno influenzato la cultura figurativa della Sardegna del primissimo Cinquecento, spicca per abilità e fama il grande artista tedesco Martin Schongauer, nato e vissuto a Colmar nella seconda metà del XV secolo (1450ca.-1491). Figlio di un orafo, attraverso i suoi viaggi in Olanda e in Borgogna ebbe modo di conoscere e apprezzare le opere dei pittori fiamminghi che influenzarono notevolmente la sua produzione artistica e aprì una bottega a Colmar dove visse fino alla morte. Egli realizzò molte incisioni su rame, quasi esclusivamente di soggetto religioso, che vendette in Germania, in Italia e in Inghilterra. Ancora più del Schongauer, l’incisore maggiormente “citato” dai pittori operanti in Sardegna nel XVI secolo è il tedesco Albrecht Dürer. Nato a Norimberga nel 1471, si formò nella bottega orafa del padre. Tra il 1494 e il 1495 fece il suo primo viaggio nel nord Italia che gli consentì di conoscere le opere dell’arte italiana, conoscenza che approfondì ulteriormente in occasione del suo secondo viaggio, realizzato tra il 1505 e il

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1507, durante il quale prese anche lezioni di prospettiva a Bologna. Intorno al 1504 realizzò diciassette stampe da xilografie raffiguranti episodi della vita di Maria che pubblicò prima singolarmente e poi, nel 1511, raccolte in un volume con l’aggiunta di altri due fogli. Nel 1520, in compagnia della consorte, si recò nei Paesi Bassi e prese contatto con diversi artisti ivi operanti. Tornato in Germania nel 1521, morì nel 1528. La sua vasta attività nel campo della grafica è caratterizzata dall’uso di due diverse tecniche: quella xilografica, di estrazione più popolare, dove prevalgono gli intenti espressionistici e visionari, e quella su lastra metallica più raffinata ed elaborata concettualmente. Durante la sua lunga attività, Dϋrer rimase sempre in contatto con esperti venditori ambulanti che diffusero le sue opere di paese in paese, opere che affascinarono enormemente gli artisti italiani colpiti in un primo momento dai minuti dettagli paesaggistici e dal pathos di alcune raffigurazioni; dalla metà del XVI secolo, periodo in cui le opere grafiche di Dϋrer ebbero la più ampia diffusione, furono invece le scene religiose, soprattutto la serie delle Passioni eseguite tra il 1507 e il 1512, ad ispirare i pittori italiani. L’altro polo che influenza fortemente la pittura sarda del Cinquecento è costituito dalle opere di Raffaello, conosciute grazie alle incisioni di Marcantonio Raimondi, il più famoso e valente incisore italiano del XVI secolo. Nato nei pressi di Bologna intorno al 1480, si trasferì a Venezia dove, nel 1506, incontrò dei mercanti provenienti dal nord Europa “…con molte carte intagliate e stampe in legno e in rame da A. Dϋrer”. Raimondi rifece talmente bene le 17 xilografie della Vita di Maria dell’artista tedesco, incidendole però su rame, che vennero vendute come originali del Maestro provocando, secondo la testimonianza del Vasari, il suo profondo risentimento. Nel 1508, trasferitosi ormai a Firenze, Marcantonio incise opere di Michelangelo e di Raffaello. Nel 1513 lo troviamo a Roma dove si lega strettamente al grande pittore urbinate tanto che si arrivò a sostenere che i due avessero impiantato un laboratorio di incisione, di cui condividevano i guadagni, nella casa di Raffaello con quest’ultimo che forniva i disegni e il Raimondi che ne eseguiva le stampe. Egli non sempre riproduceva fedelmente le opere dei grandi pittori ma spesso le trasformava ispirandosi ad altri artisti e dando vita a nuove opere. Considerato il più eccellente incisore su rame, cercavano di entrare a far parte della sua bottega i giovani italiani e stranieri che volevano imparare

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l’arte dell’incisione. Nel 1527, durante il sacco di Roma, i soldati fecero irruzione anche nella sua bottega devastandola e uccidendo il suo allievo prediletto, Marco Dente. Da quel momento il Raimondi lasciò Roma e di lui non se ne seppe più nulla. Fu proprio in seguito al sacco di Roma che nacque il vero e proprio commercio delle stampe: le nuove insieme a quelle vecchie, recuperate tra i banchi dei robivecchi dopo che i soldati spagnoli le avevano gettate in strada dalle finestre delle botteghe durante il saccheggio della città, diedero vita ad un fiorente commercio da parte di accorti editori come il Salamanca e il Lafréry. Prima di quella data erano gli stessi incisori a preoccuparsi di smerciare le loro opere e le relazioni tra i mercanti erano alla base del mercato della grafica i cui acquirenti erano soprattutto i pittori che sentivano la necessità di rendere più moderno il loro repertorio figurativo. L’analisi della produzione pittorica del Cinquecento sardo, costituita essenzialmente dai retabli, dimostra con estrema chiarezza come i soggetti e le scene raffigurate derivino da modelli incisori i quali, in diverse occasioni, consentono almeno una datazione post quem delle opere in mancanza di documenti certi. Pensiamo al caso del Retablo di Sant’Eligio, oggi nella Pinacoteca Nazionale di Cagliari, attribuito ad un ignoto pittore denominato convenzionalmente Maestro di Sanluri, la cui datazione veniva preferibilmente collocata dalla critica alla fine del XV secolo ma che, in seguito al riconoscimento della derivazione di alcune scene della predella dalla serie di stampe della Vita di Maria realizzate da A. Dürer intorno al 1505-07, è stata necessariamente posticipata di qualche anno. E’ evidente, infatti, come per la realizzazione del terzo scomparto destro, raffigurante L’elemosina di S.Eligio, il pittore nel realizzare lo sfondo architettonico si sia ispirato alla scena della Circoncisione incisa dal Dϋrer nel 1504 e appartenente alla serie della “Vita di Maria”. Il ricorso alle incisioni del grande artista tedesco appare ancora più palese se confrontiamo il terzo pannello a sinistra con S.Eligio davanti a Clotario (Fig.1)e l’incisione xilografica di Gesù fra i Dottori (Fig.2), appartenente alla serie dell’opera dϋreriana, dove ritroviamo la stessa impostazione architettonica con alcune varianti. L’uso cospicuo dei modelli incisori si rileva nel grande retablo di Ardara, firmato nello scomparto centrale della predella da Giovanni Muru e datato 1515. Nell’opera, attribuibile a più mani, i rimandi alle stampe sono molteplici: dalla scena del-

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la Dormitio Virginis, nello scomparto centrale sopra la nicchia, ripresa dall’omonima scena di Martin Schongauer (Fig.3), a quella dell’Annunciazione, nella prima tavola in alto a sinistra del retablo, dove il riferimento è invece da individuare nello stesso episodio inciso da Dϋrer nel 1503, presente nella serie della “Vita di Maria”(Fig.4). Ancora ad un incisore tedesco fa riferimento l’ignoto autore del Retablo di Dolianovanello scomparto centrale superiore dove la Madonna col Bambino e i tre Angeli cantori replicano fedelmente le stesse figure della rara incisione del Maestro tedesco i.c., datata intorno al 1500.Il paesaggio, a Dolianova, è scomparso per lasciare il posto ad una semplice balaustra grigia e ad un prezioso drappo broccato in oro, ma identici sono i panneggi e le pose delle figure, così come il rinascimentale vaso con i gigli (fig.5). E’ soprattutto Dϋrer la fonte di ispirazione di Pietro Cavaro quando, nel 1518, realizza il retablo dell’altare maggiore della Parrocchiale di Villamar(Fig. 6). Nella sua prima e unica opera datata e firmata, il pittore stampacino raffigura l’episodio di San Francesco che riceve le stigmate (Fig.7) riprendendo dall’incisione dell’artista tedesco l’immagine in primo piano del Santo inginocchiato sul cui corpo, attraverso cinque raggi, si imprimono le piaghe del Cristo crocifisso; se lo sfondo di paesaggio nell’opera del Cavaro viene semplificato, l’immagine del fraticello addormentato che si scorge a sinistra della scena è ripresa con notevole fedeltà dall’originale realizzato su matrice xilografica tra il 1503 e il 1504 (Fig.8). Il ricorso alle stampe del Dϋrer da parte di Pietro Cavaro, spesso rielaborate con una discreta libertà, è evidente anche in altre opere da lui realizzate nel corso del primo trentennio del XVI secolo, soprattutto nel retablo dedicato alla Madonna dei sette dolori, oggi smembrato e in parte perduto. Con i due retabli cagliaritani dei Beneficiati e dei Consiglieri, l’interesse dei pittori si sposta verso le stampe derivate dalle opere di Michelangelo, in particolare gli affreschi della Cappella Sistina, e di Raffaello delle Logge vaticane. Le citazioni da quest’ultimo si accentuano nel polittico dei Consiglieri: nella predella, infatti, le figure dei dodici apostoli sono tratte da quelle ideate nel 1517 dal grande artista urbinate per la sala detta dei Palafrenieri e incise da Raimondi e dai suoi collaboratori (Figg.9-10), mentre lo scomparto centrale superiore con la figura della Trinità (Fig.11) deriva dalla Visione di Ezechiele di Palazzo Pitti a Firenze (Fig.12), ad eccezione del Crocifisso tipi-

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camente cavariano. Nello scomparto laterale destro, l’immagine della Santa Cecilia è chiaramente tratta dalla Maddalena della Pinacoteca Nazionale di Bologna e il gruppo degli Angeli musicanti deriva dalla stampa che il Raimondi fece della stessa opera raffaellesca(Figg.13-14). Il figlio di Pietro, Michele Cavaro, utilizzando evidentemente le stampe presenti nella bottega del padre, nella Sacra Famiglia di Barisardo (Fig. 15) si ispira ancora una volta alle opere di Raffaello, mediate attraverso le incisioni del Raimondi, in particolare alla Sacra Famiglia di Francesco I (Fig.16), dove al paesaggio del dipinto raffaellesco viene preferito un ampio drappeggio. E’ sempre Raffaello la fonte di ispirazione quando Antioco Mainas, nel 1565, dipinge lo scomparto centrale del Retablo dei Consiglieri, oggi nell’Antiquarium Arborense di Oristano; egli, infatti, nella figura di Maria che allatta Gesù (Fig.17), riprende il dipinto raffigurante la Sacra Famiglia del grande artista urbinate incisa da Marcantonio Raimondi (Fig.18). Alle incisioni dϋreriane, riprese con meticolosa precisione, si ispira invece il figlio di Antioco, Peroto, il quale, insieme con Michelangelo Cavaro, nel 1571 rileva la commissione del retablo di S.Anna per la Parrocchiale di Sanluri in seguito alla morte del padre. Dal foglio 3° e 4° della Vita di Maria sono tratte le scene dell’Incontro di Anna e Gioacchino davanti alla Porta Aurea e La nascita di Maria, dal 7°,8° e 9°gli episodi relativi all’Annunciazione, all’Adorazione dei pastori e a quella dei Magi (Figg. 19-20-21 e 22). Con alcune varianti, dovute però alla volontà di semplificare le scene più che all’intento di reinterpretarle, i due Maestri riprendono dalle incisioni di Albrecht Dϋrer anche l’Ascensione, la Resurrezione, la Pentecoste e l’Assunzione E’ verosimile che il Maestro di Ozieri, attivo nel nord Sardegna nella seconda metà del XVI secolo, abbia attinto invece per il suo repertorio iconografico alle incisioni che il Raimondi fece dei fogli del Dϋrer; è palese, infatti, il ricorso ad essi nella raffigurazione della Visitazione di Maria alla cugina Elisabetta, scomparto laterale destro del Retablo di Nostra Signora di Loreto (Figg.23-24), conservato nella Cattedrale di Ozieri, mentre nella scena della Sacra Famiglia, appartenente ad un retablo smembrato e oggi conservata a Ploaghe, si ispira all’incisione che fece il Raimondi dell’opera di Raffaello (Figg.25-26), a dimostrazione dell’ampiezza e varietà del repertorio a stampa

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conosciuto dall’ignoto artista. Ho ritenuto di estremo interesse concludere il mio intervento al convegno presentando un retablo oggi smembrato che, in occasione della mostra intitolata Dal colle una eco…Sette secoli di storia, fede e cultura dei Mercedari in Sardegna, allestita a Cagliari presso i locali del Lazzaretto di Sant’Elia, è stato eccezionalmente ricomposto nei locali della Pinacoteca Nazionale. Analizzando le diverse proposte degli studiosi che si sono occupati di questo polittico, sono stati riassemblati i diversi scomparti che si riteneva facessero parte dello stesso polittico: La Crocefissione, quale scomparto centrale superiore, S.Pietro e S.Girolamo, scomparti laterali a sinistra, tutti e tre attualmente esposti nella Pinacoteca Nazionale di Cagliari. S.Ludovico di Tolosa (oggi nei locali del convento mercedario cagliaritano), sempre secondo gli storici dell’arte, doveva costituire lo scomparto superiore destro, mentre la predella era formata da sette scomparti: i Santi Andrea, Elena, Michele e Nicola di Bari ( fino al 1939 ancora presenti nei depositi della vecchia Pinacoteca Nazionale), Raffaele e Tobiolo, (oggi nel convento dei padri mercedari di Bonaria) e Chiara d’Assisi (attualmente appartenente alla collezione Piloni dell’Università degli Studi di Cagliari.) Secondo la testimonianza di padre Brondo, il retablo costituiva la pala dell’altare maggiore del Santuraio di Nostra Signora di Bonaria, eretto dai catalano-aragonesi nella prima metà del XIV secolo, ma appariva già smembrato intorno alla metà dell’Ottocento. Il canonico Giovanni Spano, infatti, nel 1861, descriveva nella seconda cappella dedicata alla Madonna di Loreto …il più bel dipinto antico sulla tavola che mai possa vedersi del più bel forbito stile del Perugino e di Raffaello. Rappresenta la Vergine col Bambino, ed il piccol S.Giovanni che con grazioso ed innocente modo stendesi sulle ginocchia della Vergine per consegnare un cardellino a Gesù. Dopo essersi soffermato ulteriormente sulla bellezza del dipinto, l’insigne studioso precisava che…Attorno a questa tavola vi stavano altri spartimenti con diversi Santi dello stesso stile, che furono dispersi. La Crocefissione che si conserva dentro il chiostro formava il finimento superiore di questa grand’opera. Nell’Archivio mercedario di Bonaria si conserva un foglio nel quale Raffaello Delogu per la prima volta ipotizzava una possibile ricostruzione del polittico che pubblicava nel 1937:una predella con, da sinistra, S.Chiara, S.Elena, S.Andrea, uno spazio vuoto, un Santo non identificato (verosimilmente Raffaele con Tobiolo), S.Nicola di Bari e S.Michele. Nello scomparto centrale

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inferiore inseriva la Madonna col Bambino e S.Giovannino, in quello sovrastante la Crocefissione e in quelli laterali S. Pietro e un generico Santo vescovo. Nel 1939 i quattro scomparti della predella,raffiguranti i Santi Elena, Michele, Andrea e Nicola, insieme ad altre opere, vennero imballati per essere trasferiti nel rifugio di Siligo a salvaguardia di eventuali danni bellici, ma non giunsero mai a destinazione e, nonostante le numerose ricerche, non vennero mai recuperati. Nel 1990 R.Coroneo e R.Serra confermavano l’ipotesi ricostruttiva del Delogu e proponevano che anche lo scomparto con il San Girolamo facesse parte del retablo. Nella ricomposizione operata nel 2008 (Fig.27), ho ritenuto di dover modificare la posizione dei pannelli costituenti la predella che doveva avere al centro non il S. Michele, come ritenuto dal Delogu, ma una tavola oggi perduta che doveva raffigurare o Cristo in pietà o l’Ecce Homo come in quasi tutti i retabli, soprattutto in quelli dedicati alla Vergine. Il riassemblaggio, anche se non completo, altre a consentire di conoscere le dimensioni dell’opera originaria, circa 5 metri di altezza per 4 metri di larghezza ha dato l’opportunità di notare una serie di incongruenze che mi hanno portato a dubitare seriamente sulle reali possibilità che i diversi elementi appartenessero ad un’unica opera. Il primo dato che saltava subito agli occhi era la presenza del fondo in oro zecchino con decorazioni incise nella sola tavola centrale con la Madonna in trono e il ben più alto livello della sua pittura, da confrontare solo con quella del S.Girolamo sia per la gamma cromatica che per la composizione e il disegno. Un altro dato non trascurabile era costituito dalla totale assenza, tra i Santi raffigurati, di quelli appartenenti all’Ordine mercedario e invece la presenza di Santi francescani o particolarmente venerati da quest’ultimo Ordine. Appariva alquanto improbabile che nella pala dell’altare maggiore di un santuario mercedario mancassero proprio i Santi dell’Ordine. Già queste considerazioni erano più che sufficienti per rimettere in discussione le ipotesi finora avanzate dalla critica e proporre delle nuove soluzioni. Tra quelle possibili, mi sentirei di affermare che ci troviamo di fronte non ad un unico retablo ma a due diversi polittici: uno costituito dagli scomparti con la Madonna, Gesù e San Giovannino, il S. Girolamo e, con qualche serio dubbio, la tavola della Crocefissione, in origine nel santuario mercedario (Figg.28-2930), mentre tutti gli altri elementi dovevano appartenere ad

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un altro polittico, verosimilmente proveniente da una chiesa francescana. Non potendo identificare quest’ultima con il vicino edificio di S. Bardilio, oggi distrutto, perché nel 1508, quindi ben 25 anni prima della verosimile realizzazione dell’opera, i francescani lo abbandonarono per trasferirsi nella chiesa del Gesù, le ipotesi più plausibili sembrerebbero quelle della sua provenienza o dalla stessa chiesa di S.Maria di Gesù oppure da quella sempre cagliaritana di S.Francesco di Stampace, crollata nel 1875. Anche per quanto riguarda gli autori dei due retabli, le differenze citate in precedenza mi portano ad attribuirli a due distinti artisti: il primo, con capacità tecniche e pittoriche di più alto livello che ritrovo nella produzione di Pietro Cavaro il quale ritengo possa essere identificato quale autore dell’opera, esegue le parti superstiti del polittico di Bonaria, con la collaborazione del figlio Michele nello scomparto della Crocefissione; il secondo, invece, potrebbe essere identificato in Michele che, dopo la morte del padre, realizza il retablo per una delle chiese francescane citate in precedenza del quale restano gli scomparti incompleti della predella e una delle tavole laterali con il S.Ludovico. Nelle parti superstiti del retablo di Bonaria rilevo, come accennavo prima, tutta una serie di elementi che trovano precisi riscontri nelle opere di Pietro, dai bassorilievi in monocromo del trono della Madonna, da porre in relazione con quelli del parapetto posto dietro la figura di S.Giovanni Battista nel retablo di Villamar, ai caratteristici tratti dei volti; dallo sfondo di paesaggio del S.Girolamo, le cui architetture, la vegetazione e la singolare morfologia delle rocce richiamano, nonostante il cattivo stato di conservazione dovuto ad un vecchio intervento di pulitura, lo scomparto del retablo del Santo Cristo di Oristano raffigurante le Stigmate di S.Francesco, alla punzonatura del fondo oro il cui motivo a fiorone entro rombi si ripete nel retablo del Santo Cristo di Oristano e nel polittico di Suelli, datati entrambi intorno al 1533 Se dunque la questione relativa al retablo di Bonaria o ai due retabli resta ancora aperta, certa è, invece, la derivazione della figura della Madonna e del Bambino del Santuario di Bonaria da stampe che riproducono il dipinto denominato Madonna della Rosa , oggi nel museo del Prado a Madrid, datato intorno al 1520, attribuito al pittore Giulio Romano su disegno di Raffaello. Identici appaiono, infatti, il volto di Maria e la complessa capigliatura, identica la torsione del busto della Madonna, il modo in cui essa

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sostiene Gesù che, come nel dipinto del Prado, poggia il piede destro sul grembo della Madre e il sinistro su uno sgabello. L’approfondimento della ricerca, tuttora in corso, conferma ulteriormente lo stretto legame tra le stampe e la produzione pittorica presente in Sardegna, legame che proseguì anche nei secoli successivi contribuendo ad ampliare le conoscenze degli artisti isolani su ciò che veniva prodotto nel resto d’Europa, e che avveniva spesso solo ed esclusivamente attraverso l’ampia circolazione dei modelli incisori, consentendo di svecchiare e aggiornare il loro repertorio iconografico. A.BARTSCH, Le peintre graveur. Nouvelle édition-Maitres allemands”, Sixieme volume, 1982, p.60. Dϋrer. Incisioni scelte e annotate da Roberto Salvini, Firenze 1980, p.3 e segg. G.M.FARA, Albrecht Dϋrer.Originali, copie, derivazioni, Firenze 2007, p. XII e segg. A.PETRUCCI, Panorama della incisione italiana. Il 500, Roma 1964, p. 19 e segg. A.PETRUCCI, Panorama...cit., p.20 A.PETRUCCI, Panorama…cit., p.22 A.PETRUCCI, Panorama…cit., p. 30. A.PETRUCCI, Panorama…cit.,p. 55 R.SERRA, Pittura e scultura dall’età romanica alla fine del 500, Nuoro 1990, p. 275. Ultimamente si è proposto di identificare nei pittori Pietro Cavaro, Guglielmo Mesquida e Giuliano Salba, citati in un documento del 2 febbraio 1512 conservato nell’Archivio Capitolare di Cagliari, gli autori del retablo di S.Eligio. Cfr. A.PILLITTU, Nuovi scenari per il Maestro di Castelsardo e per la pittura in Sardegna fra Quattrocento e Cinquecento in “Castelsardo. Novecento anni di storia” a cura di A.Mattone e A.Soddu, Roma 2007, p.697 e segg. R.SERRA, Pittura…, cit., p. 277, tavv. XIII-XIV. R.SERRA, Pittura…cit., p. 277, tavv. XV-XVI. R.SERRA, Pittura…cit., pp. 148-149. Cfr. anche M.G.SCANO,La pintura del Gòtic tardà a Sardenya in “L’Art Gòtic a Catalunya. Pintura”, vol. III, Barcellona 2006. The illustrated Bartsch 8-Part 1, New York 1996, p. 67. G.M.FARA, Albrecht …cit., pp. 207-208. R.SERRA, Pittura…,cit., pp.154-155. A.BARTSCH, The illustrated…,cit., 8 commentary, part. 1, p.291. R.SERRA, Pittura…,cit., pp.178-179 G.M.FARA, Albrecht …cit., p. 339. R.SERRA, Pittura…cit., pp. 276-279. Il polittico, proveniente dalla Cattedrale di Cagliari, si conserva oggi nell’attiguo museo diocesano ed è attribuito ad un ignoto pittore campano attivo entro il primo trentennio del 1500. Cfr.Pittura del Cinquecento a Cagliari e provincia (a cura di G.Zanzu e G.Tola), Genova 1992, pp.69-88. L’opera si trova nei locali del Municipio di Cagliari. Attribuito a manierista campano con la collaborazione di Pietro e Michele Cavaro, risale presumibilmente al terzo decennio del XVI secolo. Cfr. Pittura del Cinquecento… cit.,pp.89-114. Secondo Roberto Coroneo (in R.SERRA, Pittura…cit.,p.209)l’opera è da identificare con quella commissionata a P.Cavaro nel 1527 dalla confraternita di N.S.di S.Michele per la Cattedrale di Cagliari. Se così fosse, il suo trasferimento nell’antico Palazzo di Città dovette avvenire intorno agli anni settanta-ottanta del Seicento in occasione dei lavori di ristrutturazione della chiesa primaziale. E’ forse in seguito al trasferimento che i Consiglieri civici chiesero al pittore Giuseppe Deris, attivo negli ultimi decenni del XVII secolo, di renovar il polittico ridipingendo la figura della Madonna e sovrapponendo agli scomparti

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laterali le tele con le figure dei Consiglieri allora in carica. Le ridipinture vennero asportate nel primo Novecento in occasione del restauro, così come le tele che ancora oggi, dopo il distacco dalle tavole cinquecentesche, si conservano in una sala del nuovo Palazzo Civico. Ritengo, comunque, più verosimile che l’opera sia stata commissionata per la cappella del Palazzo di Città, anche perché se il retablo fosse stato dedicato a S.Michele, come ipotizza Coroneo, la sua immagine non sarebbe stata dipinta nel polvarolo centrale superiore ma in una delle tavole laterali come di solito. L.BIANCHI, La fortuna di Raffaello nell’incisione in “Raffaello. L’opera. Le fonti. La fortuna”, Novara 1968, vol. II, pp. 673-674, fig. 44. La scuola di Stampace, a partire da Pietro Cavaro, per tutto il Cinquecento, nel raffigurare l’immagine del Cristo in croce sceglierà sempre il tipo iconografico del crocifisso gotico-doloroso il cui prototipo, realizzato in legno e di dimensioni naturali, si conserva a Oristano nella chiesa conventuale di S.Francesco ed è attribuibile alla prima metà circa del XIV secolo. Cfr. L.SIDDI, Le opere scultoree in “La Corona d’Aragona: un patrimonio comune per Italia e Spagna (secc. XIX-XV)”, catalogo della mostra, Cagliari 1989, p. 287 scheda 441. L.BECHERUCCI, Raffaello e la pittura in “Raffaello. L’opera…”, cit., vol. I, p. 163. R.SERRA, Pittura…cit., p. 222 e p. 281. L.SIDDI, Il retablo di Sanluri, in “Pittura del Cinquecento…”, cit., p.173 e segg. Antioco Mainas risulta già defunto il 28 marzo del 1570, cfr. I.FARCI, “Guida alla Basilica di Sant’Elena. Quartu”, Quartu S.E. 2007, p. 66, nota 1. R.SERRA, Pittura…cit., pp.272-75. R.SERRA, Pittura…cit., p. 235 e segg. R.SERRA, Pittura…cit., pp.236-237. La mostra è stata organizzata in occasione della venuta a Cagliari, il 7 settembre 2008, di papa Benedetto XVI dalla Soprintendenza Archivistica della Sardegna in collaborazione con i Padri mercedari, con la Soprintendenza BAPPSAE di Cagliari e con l’Assessorato alla Cultura del Comune di Cagliari. Inaugurata il 5 settembre 2008 si è conclusa il 30 dello stesso mese. A.BRONDO, Parte primera del libro llamado historia y mila gros de N.S. de Buenayre de la Ciutad de Caller, Caller 1595. G.SPANO, Guida della città e dintorni di Cagliari, Cagliari 1861, p. 310. R.DELOGU, Michele Cavaro. Influssi della pittura italiana del Cinquecento in Sardegna in “Studi Sardi” III, 1937, pp. 5-92. Negli archivi della Soprintendenza BAPSAE di Cagliari è presente una cartella relativa agli avvenimenti citati e le foto in bianco e nero delle opere che appaiono in un precario stato di conservazione. R.CORONEO in R.SERRA, Pittura e scultura…, cit., p. 212, scheda 98. Le proporzioni dovevano essere quelle del retablo che Pietro Cavaro e il figlio Michele realizzarono tra il 1533 e il 1537 per la Cattedrale di Suelli, ancora oggi conservato nel presbiterio. Cfr. la relativa scheda di G.ZANZU in Pittura del Cinquecento…, cit., p. 43. La chiesetta di S.Bardilio sorgeva nel luogo in cui oggi si apre l’ingresso al cimitero monumentale di Bonaria, situato all’inizio della salita che porta al Santuario di Nostra Signora di Bonaria. G.SPANO, Guida della città…,cit., p. 304. La chiesa di S.Maria di Gesù sorgeva nel sito della vecchia Manifattura dei Tabacchi e venne abbandonata dai padri Osservanti il 26 aprile del 1749 per trasferirsi nel vicino convento di S.Rosalia. Cfr. G.SPANO, Guida…cit., p.248. Per le vicende che portarono alla distruzione e abbandono dell’edificio Cfr. G.STEFANI, La chiesa nell’Ottocento:cronaca di un crollo annunciato in “Quaderno 4/91.S.Francesco di Stampace (1861-1991) della Soprintendenza ai Beni Ambientali, Architettonici, Artistici e Storici per le province di Cagliari e Oristano”, Cagliari 1991, pp.7-14. R.SERRA, Pittura e scultura…cit., pp. 196-197, 198-199 e p.210. A.MARABOTTINI, I collaboratori in “Raffaello…”, cit., vol. I, p. 249.

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ISABEL ELORRIETA ESTAMPA ANTE LOS RETOS DE LA GRÁFICA ACTUAL 1. Historia y estructura de la feria Estampa nace en 1993 como iniciativa de la Fundación Actilibre, y ha contado desde sus comienzos con la presidencia de honor de S. M. La Reina Doña Sofía y el apoyo del Ministerio de Cultura, Comunidad de Madrid y Ayuntamiento de Madrid, además de otros destacados organismos que han contribuido a convertir la feria, en cita ineludible dentro del mundo de la edición. Desde su primera edición ESTAMPA ha seguido un criterio ecléctico para ofrecer al público español muestras del trabajo oculto de los más significativos artistas. Si en el 93 se presentó por primera vez en España la obra gráfica de Jasper Jones o la serie más reciente de grabados de Bacon, también acudieron las principales galerías de América latina con una densa muestra de los mejores grabadores de ese continente y una selección de la colección de obra gráfica del Museo Olímpico de Lausana. La promoción de la edición de arte, y su forma más alambicada, los libros de artista, es otra de las prioridades de la comisión organizadora, en 1994 la Biblioteca Nacional expuso en la feria una selección de sus libros de artista, prácticamente desconocidos hasta entonces. Pero también fue el año en que la presencia iberoamericana comenzó a hacerse notar, Cuba, México, Argentina o Colombia entre otros países han frecuentado la feria desde entonces. En 1999 llegan a ESTAMPA para quedarse, las Tentaciones. Un espacio que la organización cede a un grupo de jóvenes artistas que inundan de frescor con sus atrevidas propuestas el panorama artístico español, con ellos llegan también a la feria los Encuentros Juana Mordó, un ciclo de conferencias que se repite en sucesivas ediciones y que analiza el papel de la mujer en la gestión cultural. El grabado japonés contemporáneo, la Fundación Amigos del Museo del Prado o el gabinete de estampas del Museo Cerralbo complementan la oferta de exposiciones ese año. Del año 2000 hasta la actualidad, Estampa se ha convertido en referente dentro del mundo de la edición intentando adaptarse a los distintos momentos marcados por el panorama

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artístico actual e intentando ser un escaparate que refleje la actualidad dentro de este mundo. De “Salón del grabado” se ha pasado al concepto de “Feria de Arte Múltiple“ ya que desde la Comisión Organizadora de la feria se pensó que este término aglutinaba de un modo más categórico el contenido de la feria. 2. Estructura La feria, que se distingue por ser feria especializada en arte múltiple, de carácter único en Europa, se estructura en secciones perfectamente identificadas y parceladas que a su vez favorecen el dialogo y la interrelación entre los distintos agentes que conforman el panorama artístico. GALERIAS y EDITORAS. Conforman el grueso de la feria, su razón de ser. La feria debe ser un escaparate donde se den cita las principales galerías y editoras, donde converjan todas las iniciativas y nuevos movimientos y que a su vez que ayuden a dar un paso más en el arte múltiple. Tenemos la obligación de ser la aglutinadora y mostrar nuevas técnicas, dar paso a nuevos artistas por medio de becas y de nuestras “Tentaciones “ , favorecer la continua revisión que sobre los conceptos propios de la gráfica, se van produciendo. ARTISTA INVITADO: La elección de la imagen que representará la feria, tiene la importancia de reflejar que se persigue y cuál es la “cara” que queremos dar al exterior. Desde Canogar a Feito pasando por Blanca Muñoz, Chema Madoz hasta Jan Hendrix y Jesús Pastor, todos ello encarnan perfectamente la manera en la que Estampa quiere afrontar los nuevos retos en la gráfica. No solo la utilización de nuevos materiales o nuevos métodos sino que continuamente se están enfrentando a los retos y posibilidades que ofrece el mundo de la edición. INSTITUCIONES. Dese el Ministerio de Cultura a la Comunidad de Madrid así como otras instituciones que nos han ayudado a difundir la importancia del arte múltiple, nos han dotado de los recursos necesarios para fomentar el coleccionismo tanto público como privado en este ámbito del arte múltiple. TENTACIONES: Es una plataforma que quiere fomentar la actividad creadora y apoyar a aquellos artistas que, individualmente o como colectivo, desarrollan sus proyectos desde una perspectiva de investigación al entender el proceso de creación como parte de un acto de comunicación relevante y necesario para un mayor conocimiento sobre la compleja

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sociedad en la que vivimos y los cambios a los que ésta se ve sometida. Incentiva la creatividad artística y promueve las nuevas tecnologías. Seguimiento y continuidad de los proyectos con becas en Ciec ( Betanzos ) Casa Falconieri (Cerdeña), CPS (Lisboa), Casa Velázquez (Madrid) y Fundación Miró (Palma de Mallorca) Presencia de los artistas en eventos como el festival LOOP de Barcelona o la selección en la última Bienal de Zamora. Apoyo e integración de la Comunidad de Madrid en el proyecto: Premio de Jóvenes Creadores creado por la comunidad con ayuda a la producción, ha venido a sumarse a la sección de Tentaciones para dar mayor trascendencia y continuidad a estos proyectos. BOOK IN El libro como elemento fundamental dentro de una feria de edición nos ha llevado a dar mayor relevancia a una sección ya de por si importante durante los 17 años de la feria. Nueva concepción espacial que favorecerá el intercambio y la presencia de editoriales y editores de relevancia además de editoriales independientes o todos aquellos museos y centros de arte con especial relevancia en sus proyectos editoriales dotando de mayor repercusión a esta sección. La idea del libro como obra de arte en si mismo, la contraposición de objeto único a la de objeto múltiple, nos lleva a intentar convertir la feria en referente de las novedades bibliográficas dentro del mundo del arte. PUBLICACIONES. El apoyo de todos aquellos periódicos, revistas o portales de internet que aúnen fuerzas en torno a la feria, siempre tendrán cabida en Estampa. FRAME. Desde Estampa se pretenden tejer una serie de alianzas con distintos centros de gráfica o de producción que aporten dinamismo a le feria, la doten de una visón más internacional con modelos de trabajo complementarios y que posibiliten el intercambio con distintos artistas. De esta manera se ha posibilitado la presencia de centros de producción artística como Umbrella o Le Fresnoy o el centro de video de Holom en Israel. VIDEO.ES. En el arte gráfico actual los nuevos medios electrónicos están obligando desde hace algunos años a la revisión del propio concepto de la estampa, sus formas de producción, canales de distribución y su uso. ESTAMPA quiere ser reflejo

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de estas revisiones y por ello destina un espacio propio para la presentación de proyectos de vídeo durante la feria. El Comité de Selección evaluará las obras y seleccionará una cantidad de ellas por determinar, para que puedan optar a diferentes becas y exhibición en festivales. La duración de los videos presentados no será superior a 10 minutos. Festival Loop de Barcelona 3. Límites y retos de la feria ante los continuos cambios Como se plantea Jesús Pastor en su concepción teórica del arte múltiple, la definición de estampa como sistema y no como categoría, sistema adaptable a nuevos componentes, permeable a flujos y que se cuestiona la dependencia evolutiva de las distintas fases procesuales del arte gráfico respecto al producto final reivindicando la autonomía de idea, matriz y la propia estampa. El grabado no como procedimiento técnico sino como forma de crear con un fuerte substrato ideológico y conceptual: esta es la idea que nos mueve y que creo es el motor que impulsa la supervivencia del arte múltiple. Los retos que se plantean para el futuro pasan por fomentar el coleccionismo tanto privado como a nivel institucional, impulsar la investigación en nuevas técnicas, procedimientos y materiales y continuar ofreciendo un nivel de calidad mostrando nuevas ediciones cada edición. Asimismo la necesidad de atraer a expositores de nivel internacional que aporten una visión más abierta y extensa y que favorezcan el dialogo y el intercambio . 4. Situación del Arte Contemporáneo en España y Coleccionismo de Obra Gráfica Tras esta 17 edición, llega como siempre el momento de hacer una reflexión pero no una reflexión particular sino una revisión amplia del momento por el que esta pasando el arte contemporáneo. Nuevas ferias y revisiones constantes de las ya existentes. Estampa como feria radicalmente distinta en varios aspectos: Concepción de la propia feria como feria especializada Escaparate de lo que sucede entre los distintos agentes de arte gráfico

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Mayor implicación por parte de museos y colecciones institucionales Becas premios: continuidad de los proyectos Papel del artista y la función del artista y la galería dentro del contexto de mercado desde donde ya se vislumbra un nuevo panorama en las relaciones profesionales y comerciales. Las ferias son una herramienta para generar negocio y establecer relaciones comerciales con clientes Permiten acceder a la realidad del mercado en pocos días que sirven para medir la eficacia de de la política de ventas Posibilidad de descubrir nuevos productos o servicios Genera imagen de marca Refuerza tu posicionamiento Para el visitante le permite acceder a las principales novedades y cambios Permite obtener información capaz de transformarse en ventaja competitiva Entorno favorable para efectuar un trabajo Máximo número de compradores Intereses comunes de un sector Objetivo de la feria: detectar, entender y satisfacer las necesidades de clientes y visitantes

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Roberto Puzzu LA RIFORMA DEI LICEI E DEGLI ISTITUTI D’ARTE. Il contenuto della comunicazione all’interno di questo articolato incontro esprime il mio più profondo dissenso per la riforma Gelmini che ha investito l’Istruzione Artistica della fascia della scuola secondaria di secondo grado nella sua trasformazione in altro. Nel rispetto più totale delle motivazioni generali che hanno portato ad una improcrastinabile riforma della scuola, dissento dalla genericità delle argomentazioni che hanno trasformato una scuola di eccellenza in un liceo generico dove il tempo del fare artistico, ovvero l’apprendimento di quella metodologia della manualità colta dove il sapere creativo incontrava la conoscenza del sapere operativo degli strumenti che realizzano l’idea. E’ stata creata una scuola nella quale è sicuramente potenziato l’indispensabile aspetto dei saperi linguistico-letterari, matematico-scientifici, sicuramente utili alla formazione complessiva dell’Allievo, ma si va perdendo nel nuovo schema presentato l’attenzione del capire, concepire, fare Arte e Arte applicata. E’ forse mancato il coraggio istituzionale di dire ad alta voce che il ciclo di studi dell’istruzione artistica non può essere affidato ai soli cinque anni della scuola superiore. E neppure può essere affidato, per il suo completamento, genericamente a istituzioni universitarie presenti nel Territorio nazionale senza un progetto complessivo di prosecuzione degli studi e dell’acquisizione dei Saperi necessari alle specificità dell’Istruzione Artistica, o delegando alle generiche sensibilità regionali il compito di una formaziome professionale dentro la quale finisce, miseramente, la didattica e le peculiarità degli Istituti d’Arte, ovvero la parte migliore della creatività del Paese. Nel caso e nonostante la forte opposizione di Tutti coloro che si occupano in maniera professionale di Arte e della sua didattica, la riforma andasse a regime a partire dal prossimo anno scolastico, una proposta potrebbe partire dalla Regione Sardegna che, nell’ambito delle competenze istituzionali demandate alla Regione dallo Stato centrale, potrebbe portare al recupero sistematico di tutte quelle specificità dell’Istruzione Artistica che costituiscono uno dei motori trainanti della nostra economia regionale e nazionale, attraverso la costituzio-

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ne di una Formazione professionale del settore artistico che recuperi, come qualifica spendibile a livello nazionale,il vecchio diploma,di Maestro d’Arte, anche con il diretto coinvolgimento degli istituti d’arte della Regione, ancora in possesso di tutte le attrezzature e maestranze, indispensabili alla riuscita dell’eventuale progetto. Per meglio comprendere quanto espresso in premessa appare opportuno sottolineare la mia totale condivisione del documento del COORDINAMENTO ARTISTICO NAZIONALE e della RISOLUZIONE DEL PARLAMENTO EUROPEO del 2009 “ sugli Studi Artistici nell’Unione Europea”, parte integrante della mia comunicazione che, molto meglio di qualsiasi altra documentazione, chiarisce il senso dei dubbi espressi dal dibattito in corso nel Paese sulla Riforma Gelmini. In questo contesto diventa indispensabile un appello accorato: L’INDIFFERENZA NON INVECCHIA MAI Odio gli indifferenti. Credo come Federico Hebbel che “vivere vuol dire essere partigiani. Non possono esistere isolatamente uomini, gli estranei alla città. Chi vive veramente non può non essere cittadino, e parteggiare. Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. L’indifferenza è il peso morto della storia. E’ la palla di piombo per il novatore, è la materia inerte in cui affogano spesso gli entusiasmi più splendenti, è la palude che recinge la vecchia città e la difende meglio delle mura più salde, meglio dei petti dei suoi guerrieri, perché inghiottisce nei suoi gorghi limosi gli assalitori, e li decima e li scora e qualche volta li fa desistere dall’impresa eroica. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. E’ la fatalità; e ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che si ribella all’intelligenza e la strozza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, il possibile bene che un atto eroico (di valore universale) può generare, non è tanto dovuto all’iniziativa dei pochi che operano, quanto all’indifferenza, all’assenteismo dei molti. Ciò che avviene, non avviene tanto perché alcuni vogliono che avvenga, quanto perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia fare, lascia aggruppare i nodi che poi solo la spada potrà tagliare, lascia

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promulgare le leggi che poi solo la rivolta farà abrogare, lascia salire al potere gli uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. La fatalità che sembra dominare la storia non è altro appunto che apparenza illusoria di questa indifferenza, di questo assenteismo. Dei fatti maturano nell’ombra, poche mani, non sorvegliate da nessun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa. I destini di un’epoca sono manipolati a seconda delle visioni ristrette, degli scopi immediati, delle ambizioni e passioni personali di piccoli gruppi attivi, e la massa degli uomini ignora, perché non se ne preoccupa. Ma i fatti che hanno maturato vengono a sfociare; ma la tela tessuta nell’ombra arriva a compimento: e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto, del quale rimangono vittima tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. E questo ultimo si irrita, vorrebbe sottrarsi alle conseguenze, vorrebbe apparisse chiaro che egli non ha voluto, che egli non è responsabile. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi anch’io fatto il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, il mio consiglio, sarebbe successo ciò che è successo? Ma nessuno o pochi si fanno una colpa della loro indifferenza, del loro scetticismo, del non aver dato il loro braccio e la loro attività a quei gruppi di cittadini che, appunto per evitare quel tal male, combattevano, di procurare quel tal bene si proponevano. I più di costoro, invece, ad avvenimenti compiuti, preferiscono parlare di fallimenti ideali, di programmi definitivamente crollati e di altre simili piacevolezze. Ricominciano così la loro assenza da ogni responsabilità. E non già che non vedano chiaro nelle cose, e che qualche volta non siano capaci di prospettare bellissime soluzioni dei problemi più urgenti, o di quelli che, pur richiedendo ampia preparazione e tempo, sono tuttavia altrettanto urgenti. Ma queste soluzioni rimangono bellissimamente infeconde, ma questo contributo alla vita collettiva non è animato da alcuna luce morale; è prodotto di curiosità intellettuale, non di pungente senso di una responsabilità storica che vuole tutti attivi nella vita, che non ammette agnosticismi e indifferenze di nessun genere. Odio gli indifferenti anche per ciò che mi dà noia il loro piagnisteo di eterni innocenti.

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Domando conto ad ognuno di essi del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime. Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze virili della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano nel sacrifizio; e colui che sta alla finestra, in agguato, voglia usufruire del poco bene che l’attività di pochi procura e sfoghi la sua delusione vituperando il sacrificato, lo svenato perché non è riuscito nel suo intento. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti. ANTONIO GRAMSCI “La Città futura” - 1917 Il documento del COORDINAMENTO ARTISTICO NAZIONALE La Scuola è oggetto di una trasformazione di cui non può e non deve solo subire gli effetti, ma prendere parte responsabilmente fornendo alle Istituzioni ed alla società tutti gli apporti di esperienza maturata dentro le aule dove si intersecano l’apprendimento e la didattica, le relazioni umane e quelle pedagogiche dentro un contesto fisico e organizzativo collaudato quasi in un secolo di storia dell’Istruzione Pubblica in Italia. Da mesi una sequenza di Convegni a Genova, Napoli, Palermo, Corato (Bari), Padova, Torino, Venezia, Milano ha punteggiato l’evolversi della riflessione critica e delle proposte nel paese lasciando emergere gradualmente numerosi aspetti di convergenza. Il Coordinamento dell’Istruzione Artistica Nazionale, proseguendo nell’inedito percorso di raccordo ed incontro fra Licei e Istituti d’Arte italiani, con riconoscimento unanime delle delegazioni e delle rappresentanze provenienti dal Sud al Nord del paese, nel Convegno di Roma ha assunto il compito di rendere più visibili e istituzionalmente più sostenibili le istanze emerse fino a questo momento traducendole in specifiche proposte tecniche. I riferimenti specifici introduttivi sui documenti ministeriali e la legislazione, le relazioni sulle proposte di modifica elaborate nei differenti ambiti regionali dai referenti CIAN, la sintesi dell’iter elaborativo della Riforma presentato dal D.S. Mariagrazia Dardanelli, componente del Gruppo di lavoro ministeriale per l’Istruzione Artistica, la lettura in diretta dello Schema di Regolamento presentato il giorno precedente ai sindacati e due fasi di ampio e approfondito dibattito, hanno caratterizzato l’incontro. Con evidenza, liberi da pregiudizi ideologici e conservatorismi fuori dal tempo, questo confronto su carenze e criticità presenti nella riforma ministeriale ha fatto emergere un’ampia condivisione di presupposti generali, una convergenza sentita sui capisaldi fondamentali, un’intesa di massima su altri aspetti tecnici per i quali forniremo più precisi dettagli.

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Articolando analiticamente i contenuti essenziali provenienti dalle relazioni e dalle osservazioni emerse nel corso dei dibattiti e soprattutto dai Documenti elaborati dagli Istituti della Puglia, dalla Toscana, dalla Campania e dalla Sicilia, interpretando in larga misura le istanze presenti nei documenti prodotti in altre regioni e città, possono considerarsi presupposti generali di riferimento: - La confluenza di tutti gli indirizzi del Liceo Artistico e dell’Istituto d’Arte in un unico Liceo nell’ottica della salvaguardia delle peculiarità educativo-didattiche dei due tipi di Istituti esistenti. - L’accordo sulla denominazione di Liceo delle Arti, in ragione dell’esperienza e del reciproco riconoscimento tra Licei Artistici e Istituti d’Arte, nell’ambito dell’educazione e formazione artistica. - La condivisione del profilo educativo, culturale e professionale di cui all’Allegato B del decreto legislativo 17 ottobre 2005, n. 226 (confermato dall’allegato A della bozza di schema di regolamento del 4 giugno 2009), secondo cui gli studenti, a conclusione del percorso di studio, devono essere in grado di: - individuare le problematiche estetiche, storiche, economiche, sociali e giuridiche connesse alla tutela e alla valorizzazione dei beni artistici e culturali; - conoscere e utilizzare i codici della comunicazione visiva e audiovisiva nella ricerca e nella produzione artistica, in relazione al contesto storico-sociale; - conoscere e padroneggiare tecniche grafiche, pittoriche, plastiche e architettoniche e collegarle con altri tipi di linguaggio studiati; - impiegare tecnologie tradizionali e innovative nella ricerca, nella progettazione e nello sviluppo delle proprie potenzialità artistiche. - La condivisione sulla rispondenza di tutti i punti individuati per il profilo d’uscita ai traguardi formativi attesi sia in relazione ai percorsi scolastici tradizionali quanto a quelli sperimentali e assistiti. - La necessità di colmare il divario fra le finalità, individuate in modo preciso ed articolato nel profilo educativo, culturale e professionale (P.e.cu.p) del nuovo Liceo e i passaggi intermedi per conseguirle, contenuti nelle articolazioni degli Indirizzi, nei Piani di studio corrispondenti e negli obiettivi specifici di apprendimento (O.s.a.). - La necessità di procedere nel quadro del riordino liceale, ad un innalzamento complessivo dei livelli formativi, dei linguaggi umanistici, matematici e scientifici. - La consapevolezza che la conseguente riduzione oraria delle discipline dell’area artistica presenti nei Piani di Studio, rispetto ai livelli attuali, penalizza pesantemente l’operatività specifica di queste materie. - In riferimento alla singolarità della seconda lingua straniera all’interno del quadro orario precedente appare inspiegabile nella bozza presentata il 4 giugno, il trasferimento delle ore provenienti dalla soppressione della seconda lingua alle discipline di base (ulteriormente così accresciute in rapporto a quelle artistiche). - Per la motivazione contenuta nei precedenti punti e per stabilire, così come avviene negli altri licei, almeno un parziale equilibrio fra area di base e quella caratterizzante e di indirizzo si ritiene necessario l’innalzamento dell’orario a 36 ore nel I biennio e 38 nel II biennio e V anno (così come previsto dallo stesso D.lgs 226/05). Il confronto tra le bozze di Regolamento ministeriali, i riferimenti legislativi e l’esperienza didattica organizzativa maturata all’interno degli assetti scolastici vigenti, ha fatto emergere nel corso del Convegno aspetti del nuovo Liceo, talora contraddittori o non congruenti con le finalità del profilo d’uscita, spesso in contrasto con aspetti qualificanti dell’offerta formativa attuale da non disperdere nella nuova formulazione. Una condivisione ampia si è manifestata rispetto ai seguenti punti: - laddove in riferimento alla relazione illustrativa contenuta nello Schema di

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Regolamento recante norme concernenti il riordino dei licei, si riporta che “... Nel liceo artistico e nel liceo musicale e coreutico è potenziato l’orario delle discipline caratterizzanti…” , in tutti gli indirizzi si costata una drastica riduzione dell’orario relativo alle discipline artistiche e una completa esclusione di materie che costituiscono fino ad oggi un supporto tecnico-scientifico specifico (non per questo professionalizzante) della formazione artistica nei Licei e negli Istituti d’Arte tra le quali: Chimica dei materiali per l’arte, Tecnologia dei materiali, (totalmente assenti nell’elenco degli insegnamenti attivabili sulla base del piano dell’offerta formativa nei limiti del contingente di organico assegnato alla istituzione scolastica), Sociologia - Diritto e Economia. L’ipotesi di accorpare diverse classi di concorso in pochi ambiti disciplinari risponde certamente ad una logica di risparmio di risorse che però ha in se un grande pericolo: quello di impoverire la didattica. Depauperare e mortificare la ricchezza delle competenze e conoscenze acquisite dai docenti durante la loro formazione e durante l’esperienza didattica professionale maturata, ricchezze e competenze che i docenti trasferiscono ai propri allievi, comporta il decadimento della qualità dei percorsi educativi proposti. - Rispetto alle finalità contenute nel profilo in uscita: - individuare le problematiche estetiche, storiche, economiche, sociali e giuridiche connesse alla tutela e alla valorizzazione dei beni artistici e culturali, considerata l’ampia diffusione di questo ambito negli istituti artistici di tutta Italia e la sua interazione con le istituzioni museali e archeologiche del territorio, risulta inspiegabilmente assente una sezione dedicata alla Tutela e la valorizzazione dei beni artistici e culturali. - Si è ravvisata, per contro, la sostanziale anomalia costituita dalla istituzione dello specifico indirizzo denominato Audiovisivo, Multimedia, Scenografia, considerato che: - l’Audiovisivo rientra pienamente nelle specializzazioni dell’ambito progettuale laboratoriale o del Design (Media Design, Graphic Design, Web Design, Video Design, Sound Design); - il Multimediale è in sostanza l’utilizzazione di più mezzi di comunicazione (testo,scritto, immagini, sonoro, filmati) nella realizzazione di prodotti didattici, pubblicitari,d’informazione e pertanto trasversale a tutte le attività didattiche (artistiche e non); - la Scenografia non trova lo spazio adeguato, visto che i suoi elementi fondanti risultano assolutamente assenti, non permettendo di conseguenza un’adeguata preparazione all’omonimo corso accademico. È questa disciplina che rivela, in maniera particolare, la necessità di offrire una formazione equilibrata e trasversale nell’ambito delle tre discipline artistiche di base (pittoriche, plastiche e geometrico-architettoniche). I documenti contenenti proposte di modifica alle disposizioni ministeriali, presentati nel corso del Convegno e quelli menzionati, pubblicati nel Sito del CIAN, manifestano, pur nella diversificazione di alcune articolazioni degli Indirizzi, aspetti di convergenza riconducibili ai punti contenuti nel profilo d’uscita. In particolare i punti 2 e 3 del p.e.cu.p. (ripresentati senza variazioni nella Bozza del 4 Giugno): - conoscere e utilizzare i codici della comunicazione visiva e audiovisiva nella ricerca e nella produzione artistica, in relazione al contesto storico-sociale; - conoscere e padroneggiare tecniche grafiche, pittoriche, plastiche e architettoniche e collegarle con altri tipi di linguaggio studiati, si riconosce la necessità che le discipline che possiedono gli strumenti teorici, tecnici e pratici fondamentali per la formazione artistica, necessari alla codifica e decodifica ed alla produzione dei linguaggi visivi della Pittura, Scultura e Architettura, supportate dal disegno artistico e geometrico e rivisitate con l’uso delle strumentazioni

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tecnologiche più aggiornate,costituiscano una presenza essenziale. Si individua una sostanziale illogicità nell’assenza della Fisica all’interno dell’indirizzo Arti Figurative. Questa scelta, che accentua ulteriormente l’impoverimento e la discriminazione di questo indirizzo, non è giustificabile didatticamente.In relazione al punto 4 del p.e.cu.p., secondo cui gli studenti, a conclusione del percorso distudio, devono essere in grado di : - impiegare tecnologie tradizionali e innovative nella ricerca, nella progettazione e nello sviluppo delle proprie potenzialità artistiche. Si ribadisce, nel quadro di una formazione liceale artistica, il ruolo specifico dei Laboratori disezione presenti negli Istituti d´Arte come luogo dove il saper fare, preservando antiche tecniche o usando le più recenti strumentazioni tecnologiche, non ha programmaticamente un ruolo professionalizzante, ma si pone come verifica operativa della Progettazione (in tutte le sue forme), disciplina per cui si rileva, data la sua centralità formativa, un incongrua riduzione oraria in tutti gli indirizzi. Rispetto a questa valutazione emergono le seguenti istanze: - Proprio in riferimento agli assetti didattici e le modalità didattiche più collaudati nonché ai fini della sicurezza e prevenzione degli infortuni si sottolinea, nell’ambito delle attività laboratoriali, la necessità di una limitazione del numero di alunni. • Da parte dei docenti intervenuti nel dibattito è emersa l’esigenza di individuare e tutelare le strutture fondamentali di esperienze didattico-formative realizzate dentro i Licei Artistici e gli Istituti d’Arte, esperienze che trovano radicamento, da più di un secolo, sul territorio nazionale secondo le realtà storico-produttive. La razionalizzazione e la semplificazione dell’esistente non possono e non devono sopprimere l’efficacia acquisita attraverso il connubio tradizione-tecnologia. E’ proprio questa capacità di interpretare la realtà storico-artistica e produttiva, attraverso l’innovazione e la ricerca, che contraddistingue l’importanza e la peculiarità dell’istruzione artistica. - In relazione alla presenza di indirizzi nel “Liceo delle Arti” e alla tutela della minoranza che desidera intraprendere uno specifico percorso, si ritiene necessario il mantenimento della facoltà d’istituire classi articolate (classi a doppio indirizzo). Da questa ampia articolazione di proposizioni emerse nel Convegno Nazionale del 5 di Giugno, attraverso il contributo dei relatori e dei docenti intervenuti nel dibattito, si delinea un quadro di osservazioni e proposte che entrano nel merito della Revisione dell’ordinamento degli attuali Istituti rivelando la necessità di un confronto più diretto fra gli estensori della riforma (Commissione ministeriale, gruppo di Dirigenti Scolastici coordinati con il ministero, Funzionari del MIUR) e coloro, (Docenti, Dirigenti Scolastici, Personale A.t.a) che dovranno gestirne la transizione e l’attuazione pedagogica, didattica e organizzativa. Perché questo confronto si realizzi, forzando l’attuale “riservatezza” con cui si sta disegnando il cambiamento della scuola pubblica italiana per i prossimi decenni, appare ancora di più necessaria la partecipazione attiva di Dirigenti Scolastici e Docenti. Il CIAN rappresenta la struttura di convergenza e coordinamento, di elaborazione e confronto su scala nazionale e non solo, dell’Istruzione Artistica sulle tematiche pedagogiche, didattiche, organizzative e degli assetti ordinamentali, grazie ad essa, dal singolo docente ai collegi dei docenti degli Istituti artistici, è possibile pervenire a proposte condivise e sostenibili in sede istituzionale. Guardare verso questo orizzonte significa contemperare le ragioni imposte dai provvedimenti finanziari con quelle della salvaguardia delle strumentazio-

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ni tecniche, didattiche, organizzative, delle professionalità, delle strutture architettoniche e dei rapporti con contesti urbani e territoriali che si attendono dagli istituti ridenominati Licei delle Arti, il giorno dopo l’istituzione del nuovo ordinamento, una reale possibilità operativa, una garanzia della praticabilità e qualità degli insegnamenti e degli apprendimenti. Si ferirebbero le legittime attese con ulteriori conseguenze imprevedibili laddove: - nell’incardinare il nuovo ordinamento sui precedenti, le strumentazioni e le professionalità necessarie all’attivazione dei percorsi previsti fossero assenti o incomplete; - le strumentazioni e professionalità disponibili dentro gli Istituti risultassero sovradimensionate rispetto alle previsioni di utilizzo; - le strutture architettoniche faticosamente adattate ad un percorso previgente dovessero trovarsi inadeguate ed economicamente non sorrette per l’adattamento al nuovo. Le inevitabili difficoltà connesse alla transizione al nuovo assetto possono essere controbilanciate solo attraverso una compartecipazione solidale e coordinata dei Licei e degli Istituti d’Arte, con le altre Istituzioni concorrenti: Comuni, Province, Regioni e attraverso un’auspicabile apertura al confronto da parte del Ministero. Particolarmente destabilizzante appare pertanto, la previsione di passaggio al nuovo ordinamento, “A partire dalle prime e seconde classi funzionanti nell’anno scolastico 2010/2011” contenuto al’art.13 dell’ultima bozza ministeriale dello Schema di Revisione degli ordinamenti liceali. La coerenza del Piano dell’offerta formativa, del progetto didattico-organizzativo, dell’azione di orientamento, nonché della continuità didattica nell’insegnamento e nell’apprendimento risulterebbero stravolti con danno anche alle attese legittime degli alunni e delle loro famiglie. Con questa iniziativa si esprime la volontà di riaffermare il diritto della Scuola e dei suoi operatori dell’Istruzione Artistica di partecipare e contribuire alla ridefinizione di un percorso educativo e formativo di cui hanno ogni giorno, davanti alla società, la responsabilità operativa. Il Convegno di Roma del Coordinamento dell’Istruzione Artistica Nazionale e del Centro Studi per la Scuola Pubblica, ha consentito di maturare collettivamente la consapevolezza, per la parte che compete alla Scuola, che è responsabilità dei Dirigenti Scolastici, dei Docenti e complessivamente della comunità scolastica favorire il dialogo, l’iniziativa costruttiva e propositiva, nelle rispettive realtà territoriali con tutte queste parti concorrenti, verso una Riforma realmente condivisa il cui percorso già avviato costituisce un riferimento offerto alla riflessione. Salvare l’arte in tutte le sue forme è diventato un imperativo categorico. Il nostro paese rischia di perdere definitivamente, nella sostanza, una delle sue risorse ineguagliabili a livello mondiale: la Formazione Artistica nelle Scuole Superiori (Licei e Istituti d’Arte), la qualità delle Accademie di Belle Arti già incrinata dall’attuale sistema dei crediti e delle discipline “fantasma” e quella dei Conservatori di Musica. Per colpa di interventi insensati dettati dall’assenza di conoscenza del settore e da fattori meramente economici (tristemente individuati in un settore non difeso da potere), il Governo metterà la parola Fine all’ineccepibile primato che questo paese ha potuto sfoggiare come vanto in tutto il mondo: la sua Arte e l’Istruzione Artistica.

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PAOLA DESSY Stanis Dessy incisore, maestro, organizzatore di eventi. L’Arte dell’incisione a Sassari nel ‘900 Stanis Dessy nasce nell’agosto del 1900 ad Arzana dove il padre è medico condotto. A sei anni viene mandato con i fratelli maggiori a studiare a Cagliari. Inizia gli studi classici al liceo Dettori, ma nel 1917 li interrompe per andare a Roma, vincitore di una borsa di studio per frequentare i corsi dell’Istituto di Belle arti e quelli della scuola del nudo a via di Ripetta.

Tornato a Cagliari tra il 1922 e il 1926 insegna nella Scuola per i reduci della Grande guerra e collabora a varie testate. Sono gli anni delle esperienze di xilografo-illustratore e di collaborazione con quel grande silenzioso Maestro che fu Francesco Ciusa nel cui studio trovò ospitalità per iniziare la sua avventura di artista, dedicandosi anche alla scultura oltre che alla pittura ed alla grafica studiate all’Accademia romana. Inizialmente utilizzerà prevalentemente la xilografia, ma dagli anni Trenta

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le tecniche preferite saranno la calcografia, il monotipo e la vernice molle. Per Stanis Dessy ventunenne al ritorno a Cagliari da Roma, dove aveva studiato con gli insegnanti Prini, Cambellotti, Paolo Paschetto, Antonio Calcagnadoro (grande acquerellista che lo aveva iniziato a tale tecnica) e la frequentazione con i più grandi nomi non solo del mondo dell’arte visiva, ma di tutto il cosmo culturale dell’epoca con cui Dessy è sempre rimasto in contatto in un clima di grande affabilità e collaborazione; per Dessy, dicevo, è stata formativa, nel campo della grafica, la collaborazione alla “Rivista sarda” fondata da Pantaleo Ledda e Giovanni Russino. La rivista era nata con un preciso programma di impegno politico e sociale di rifiuto di ogni isolamento intellettuale degli artisti e pensatori sardi. Infatti proponeva un costante contatto degli artisti isolani col contesto nazionale ed ospitava, tra i suoi collaboratori, personalità di varia provenienza. Sicuramente, però, fu la rivista “Il Nuraghe”, su cui Dessy compì le prime esperienze di un certo impegno, a rappresentare, anche per gli intenti che perseguivano, sia la Rivista che la Fondazione, il trampolino di lancio di quella che sarebbe stata la formula grafica dell’artista negli anni a seguire. Dessy con la tendenza alla riduzione linguistica che gli è propria, crea nel 1923, nel primo numero del “Nuraghe” e nei numeri successivi, la grafica, non solo della copertina, ma su tutta la rivista: sobria impaginazione con fregi xilografici di composizione misurata ed appropriata in cui è già evidente la maestria e l’operare senza pentimenti che caratterizzeranno tutta la sua opera. Con la collaborazione al “Nuraghe” l’artista rivela la capacità di grande grafico nella pulizia della composizione, nella sicurezza del tratto e la personale inclinazione verso forme di contenuta energia e soprattutto la piena indipendenza, in campo xilografico, dalla produzione incisoria sarda precedente e quindi lontano da Giuseppe Biasi, che già aveva operato tra il 1912 e 1915 pubblicando anche alcune cose su l’“Eroica” di Ettore Cozzani, e da tutti gli altri incisori contemporanei che in qualche modo a Biasi si ispiravano. Dessy anche nelle prime xilografie concepite non come decorazione tipografica, ma opere autonome come “bagnanti” del 1924, “Mendicanti”, ecc. dimostra grande autonomia priva di compiacimenti esteticizzanti seppure un po’ acerba data la

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giovanissima età dell’artista.

Già nelle xilografie coeve presentate sulla rivista il “Nuraghe” il contorno spezzato e tagliente tradisce quella vena espressionista che va messa in rapporto con le soluzioni contemporaneamente adottate dall’artista in pittura. La pungente obiettività che gli proviene dal clima romano di “valori plastici” segna ormai tutta la sua opera. La grande valenza dell’intaglio composta entro cadenze ordinatamente ornamentali conserva la forza improntata ad un efficace realismo rappresentativo che nei dipinti è affidato al gioco delle differenze cromatiche. Negli anni Venti egli tornerà più volte sul tema dei “Mendicanti”. È un tema caro anche a Biasi, ma in quest’ultimo rientrava in un repertorio populista e sentimentale mentre in Dessy è esclusivamente soprattutto la ricerca della forza dell’immagine: un isolare le figure con viporosi colpi di sgorbia e l’insistenza del tratteggio e è anche documento di vita quotidiana. Alla fine degli anni Venti il segno, nelle xilografie, si fa sempre più nitido e isolato. Nelle sue opere, più che il motivo di polemica sociale (Mendicanti) colpisce la lucidità obiettiva con cui l’artista registra i vari soggetti ed anche in questo è molto vicino alle sue opere coeve di pittura (es. “Ada, zia Remondica”

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e i suoi vari ritratti). Con questa visione nitida e dettagliata delle cose si differenzia nettamente dagli altri xilografi che collaborano al “Nuraghe”. È più portato al taglio netto del bulino anziché ai segni imprecisi degli altri che operano con sgorbiate larghe e morbide. Sempre alla fine degli anni Venti esamina attentamente le forme creando un segno continuo con uniformità di spessore. Nelle opere in cui è più evidente questa interpretazione del segno egli è vicino alla lezione di Dürer e degli incisori del Quattro e Cinquecento. Dessy è anche un grande studioso degli incisori del passato soprattutto Goja, ma anche Rembrant e tutta la scuola nordica. Con questa visitazione ai ritorni storici, propria degli anni Venti, egli è figlio del suo tempo. All’epoca la Sardegna è appartata e periferica per cui la scelta di Dessy è isolata. Anche nelle scene di vita contadina e di tradizioni sarde l’approccio ai temi è sempre di carattere investigativo, puntiglioso e possente. Così l’artista riesce ad ottenere dei risultati sottilmente stranianti in cui i personaggi sono immersi in una atmosfera tersa e rarefatta, assolutamente privi di folklore. In quegli anni il lato folkloristico dei lavori dei sardi era stato notato in maniera negativa dai critici anche nazionali (Delogu). Dessy è esente da critiche proprio per la sua capacità di creare, anche quando parla della Sardegna, opere schiette e primitive, dal segno forte, fluido, da abilissimo disegnatore, conoscitore di tutte le tecniche che padroneggia in maniera esemplare, ma mai contaminato dal folklore. In un articolo di Silvio Prunas de Quesada sulle colonne del “Lunedì dell’Unione” nel 1929 il critico nota che la tagliente precisione dello stile di Dessy è strettamente legata con “la innata e latente violenza del suo essere”, lo spirito analitico che si appunta su “cespugli, architetture rustiche e oggetti immoti” non è che una conseguenza della “esuberante energia” del suo carattere e dice: “Pochi, forse comprenderanno il grande valore riposto in questa acuta penetrazione; ed, in un certo senso, infatti sorprende come un tale senso quasi esclusivo degli orientali e di alcuni sommi di altri tempi sia posseduto in maniera così spiccata da un artista nostro contemporaneo”. Teniamo presente che gli artisti del tempo risentono ancora degli influssi dell’arte decò e quindi di forme di ispirazione

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decorativo-floreale. Negli anni Trenta l’artista continua le esperienze grafiche soprattutto con la calcografia, curando particolarmente, dagli anni Cinquanta in poi, la vernice molle. È una tecnica, come accennato all’inizio, che il maestro ha messo a punto dopo un suo soggiorno a Parigi nei primi anni Trenta e che all’epoca nessuno utilizzava non solo in Italia. Sono noti i suoi successi in campo nazionale ed internazionale con presenza alla Biennale di Venezia, che nel 1940 gli dedica anche una sala personale, e la costante presenza in tutte le mostre che la Calcografia Nazionale di Roma organizza in tutto il mondo. Negli anni 1934/35 è promotore della scuola comunale di incisione sulla quale ha le fondamenta l’istituto statale d’arte di Sassari. Il Maestro Dessy propone al Comune il progetto nel quale la sua opera di docente per l’incisione, il disegno e la pittura sarà prestata gratuitamente e le lezioni si svolgeranno, alla sera, nelle aule della scuola di arti edili e fabrili, di cui era docente. È un progetto molto ambizioso che però otterrà subito grande successo in quanto gli “scolari” che frequentano la scuola hanno buone doti iniziali e un grande desiderio di emulare il maestro che, lavorando a stretto contatto con loro, vedevano mietere onori e grandi risultati di critica e riconoscimenti. È grazie a Stanis Dessy, Mario Delitala e Remo Branca, che formano – “negli anni Trenta il gruppo trainante di quella scuola sarda di incisione che ebbe all’epoca vasti riconoscimenti e di cui sarebbe miope negare oggi la specificità nel più largo contesto delle correnti tradizionaliste nate in sintonia con Strapaese”, – che si poté avere un simile risultato. “Se un tale gruppo poté sorgere, fu anche e soprattutto grazie alla vocazione didattica immediatamente manifestata dai suoi capofila. Delitala la esplicò fuori della Sardegna, in una lunga carriera che lo portò, tra l’altro, alla Scuola del libro di Urbino; Branca istituì un corso di xilografia nel liceo da lui diretto ad Iglesias; ma fu Dessy ad ottenere i risultati più lunghi e duraturi con la fondazione a Sassari – come accennavamo all’inizio – di una scuola comunale di incisione che si sarebbe trasformata in Scuola d’Arte: la prima scuola d’arte stabile che la Sardegna abbia conosciuto. Il pittore vi avrebbe insegnato per trentacinque anni, formando intere generazioni di allievi su un inflessibile tirocinio volto a fornir loro la padronanza del disegno, “probità dell’arte”, sen-

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tito come base indispensabile anche alle più ardite avventure formali” (G. Altea, Stanis Dessy, L’Artista e il Maestro, 1993). Non solo Dessy formò intere generazioni di artisti, pittori e incisori, ma ebbe una grande attenzione alla vita culturale e artistica della città come organizzatore di eventi, mostre, conferenze, dibattiti.

Per Dessy l’arte è anche impegno sociale e di relazione. Egli spenderà infatti le sue capacità di grande organizzatore per riunire sempre intorno a sé, con generosità ed altruismo, quanti si dedicano all’arte coinvolgendo soprattutto i giovani. Il suo prestigio personale lo porterà ad essere una delle figure di spicco non solo nella città di Sassari e in Sardegna, perché, scevro da qualsiasi forma di campanilismo, ha sempre portato alto il valore di sardo, ma soprattutto di cittadino del mondo.

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Come organizzatore di eventi è noto il suo attivo interesse per l’organizzazione di mostre. Le più significative che lo vedono nella veste di coordinatore scientifico (ma anche allestitore, curatore, factotum) sono una serie di Mostre Nazionali di incisione importanti per la presenza di partner qualificati come la Biennale di Venezia e la Calografia nazionale di Roma con il suo presidente Carlo Alberto Petrucci. Queste mostre coprono un arco di tempo che va dagli anni 1950 al 1971. Purtroppo non con cadenza fissa perché legate ai fatti economici dei finanziamenti che si concretizzavano solo all’ultima ora, ma la cui risonanza, dovuta agli artisti in mostra, è sempre stata notevole sia in campo nazionale che internazionale. Tutta la storia di queste Mostre è documentata nell’archivio dell’artista e mette in risalto il grande lavoro fatto dal Dessy non solo come curatore. I contatti con la Calcografia Nazionale, le scelte degli artisti tutti presenti nelle Biennali di Venezia, lo scambio di lettere con le personalità internazionali del momento, con l’allora Commissario Palucchini e con Umbro Apollonio. Sarà lo stesso Palucchini a scrivere a Dessy per complimentarsi dell’iniziativa che tende a valorizzare l’incisione italiana. Nelle edizioni della mostra più recenti sono presenti nella rassegna i nomi di artisti emergenti della grafica sarda che, cresciuti alla scuola di Dessy, ormai si fanno notare come personalità indiscusse dell’arte sarda.

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UGO COLLU MUSEI E TERRITORIO Argomento di grande attualità e di grande ambiguità. L’identità del Museo durante gli ultimi due decenni si è completamente ridefinita. Il quadro legislativo in costante evoluzione ne esprime chiaramente una trasformazione di ruolo senza precedenti. Esso non è più solo, come in passato, il luogo di conservazione e di tutela, il contenitore del “patrimonio materiale” da tramandare alle future generazioni. Non più soltanto le esigenze conservative, ma anche e soprattutto quelle del pubblico, quelle del marketing, della capacità di attrarre e di aggregare. Insieme alle opere d’arte canoniche ha fatto ingresso anche la storia della vita quotidiana e gli oggetti significativi di quella vita nel tentativo di dare al museo anche un ruolo di identificazione territorio. Di conseguenza gestione e personale nuovi, capaci di nuova progettualità, di strategie comunicative sofisticate, di progetti editoriali, progetti espositivi e di sfruttare tutte le opportunità offerte dalla società circostante e dal territorio allo scopo valorizzare campi significativi, di calamitare consensi e presenze. Tutto questo, in alcuni (pochi)casi benedetti dai finanziamenti abbondanti, ha condotto a delle esasperazioni al punto da produrre situazioni di totalizzazione e di cannibalismo nei confronti delle altre istituzioni territoriali. Per fare un esempio: se un Museo solo perché ha i soldi e la volontà di potenza si mette a presentare libri in concorrenza con la biblioteca cittadina o concerti in competizione con la scuole di musica….. Non solo non fa un buon servizio, ma costringe a chiudere altre realtà importanti. Impoverisce la comunità, pur sapendo che quel compito di concorrenza potrà andare avanti solo fino a quando glielo consente l’abbondanza finanziaria (e quindi non a lungo). Riducendo la prospettiva, le nostre realtà non si possono assimilare a quelle di qualche città americana dove al Museo si va per trascorrere una gioiosa giornata di intrattenimento e di shopping. In Italia questo sarebbe illusorio anche per le situazioni più fortunate. Come personalmente non credo che bisogna acriticamente dare al visitatore tutto ciò che desidera

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secondo leggi di supermercato orientate al prodotto, quanto piuttosto accompagnare il visitatore a desiderare il meglio secondo offerte di valore culturale. Ciò che nella attuale trasformazione non deve andare perduto è certamente la determinazione a ridurre i costi psicologici, fisici e temporali che la visita ai musei tradizionali ha da sempre comportato prevalentemente: uno stress. Ho provato personalmente nell’ultima visita al Metropolitan, qualche mese fa, che dopo mezza giornata di sforzo mentale e fisico, stordito, non vedevo l’ora di guadagnare l’uscita. Di sicuro bisogna rendere i Musei interessanti, attraenti, direi sorridenti, nel senso che devono lasciare nel visitatore un senso di soddisfazione, di arricchimento. La certezza di aver fatto una esperienza significativa anche in termini di autoconoscenza. Predisporre ogni elemento in modo da “fidelizzare” (il termine usato dai museologi) il visitatore. Questa la sfida del presente e del futuro. L’eterno per sedurre deve indossare la maschera dell’effimero (Germain Bazin). E va bene. Ma purché non scompaia l’eterno e resti solo l’effimero. Indubitabile che a questo scopo sia richiesta una nuova professionalità, da parte soprattutto dei Direttori; progettualità, opportunismo (in senso anglosassone: cogliere le opportunità), equilibrio, conoscenza del territorio, relazioni e comunicazione…. E saggezza ad evitare il rischio della banalizzazione. Il nocciolo della questione sta nel non esaurire la vita del Museo in attività cattedratiche, ma riservare uno sguardo costante e integrato al rapporto fra Museo e Territorio, inteso quest’ultimo come comunità e come teatro antropologico ricco di risorse spesso ignorate o non valorizzate a dovere. Mantenere cioè un legame dinamico col territorio in continuo movimento evolutivo. Per la realtà di cui mi occupo io, il Museo Nivola, per quanti non lo conoscessero, affaccio alcune brevi note aiutato dalle immagini. Il Padiglione storico, progettato nel ’91, quando la Fondazione non era ancora attiva, e inaugurato nel ’95, è nato vecchio. Concepito come un mausoleo, è tutto il contrario di quello che deve essere un museo secondo le attuali tendenze. La collezione esposta ubbidisce al criterio di una scelta solo

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estetica. Ruth scelse le opere secondo lei più belle, con una generosità sconfinata, ma escludendo qualsiasi riferimento di tipo organico, filologico e storico. Il Padiglione è assiepato di sculture che non respirano, non si sentono a proprio agio, e lo stesso disagio possono ingenerare nel visitatore. Che dopo l’incanto di uno sguardo panoramico, ha non poca difficoltà a mettere ordine, interpretare e comprendere. Nessuno spazio per i cosiddetti servizi aggiuntivi, per i laboratori, per esposizioni temporanee… Più che un Museo, un mausoleo.

Né lo ha migliorato di molto il II° Padiglione del 2005, nato indipendentemente dalla sua destinazione con progetto dell’ente locale privo di condivisione da parte della Fondazione. In seguito alla rilevazione di gravi errori dovuti alla mancanza di una consulenza specializzata rispetto alla destinazione degli stabili (e ciò ha comportato spese ingenti di correzione) si è riusciti a creare una alleanza finalmente funzionale con gli Enti interessati (Comune e Regione). Il Parco di recente inaugurato è il primo frutto di questa novità. Ma dentro il nuovo clima abbiamo anche potuto richiedere

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e ottenere il completamento del un progetto complessivo di Museo; cosa per noi ormai improcrastinabile. L’esposizione del Vecchio Lavatoio, secondo la nostra visione era insufficiente a dare una immagine attendibile di Nivola. Per certi versi risultava anche fuorviante rispetto alla sua statura e multiformità. Abbiamo inoltre sempre sostenuto che senza servizi al pubblico (book shop, archivio, sala studio, laboratorio per i ragazzi delle scuole, biblioteca per gli studiosi – sono numerosi gli studenti che fanno tesi di laurea su Nivola provenienti anche dall’estero – sala espositiva per mostre temporanee…) il museo è destinato a languire e a morire. Ecco il perché della nuova struttura in costruzione che sarà completata nel 2010 e che renderà il Museo un vero Centro di cultura e di attrazione al servizio del Territorio e riferimento importante nel mondo verso la Sardegna. Il Padiglione storico (Vecchio Lavatoio) ospita unicamente opere scultoree appartenenti all’ultimo periodo dell’attività di Nivola. Concepito secondo i tradizionali schemi della museologia, esso rispondeva ad una funzione puramente celebrativa dell’artista, senza intenti scientifici e filologici. Non vi erano presi in considerazione né la varietà dei materiali, né la gamma veramente straordinaria delle tecniche da lui utilizzate e soprattutto assenti totalmente i servizi al visitatore. Grazie al dialogo continuo tra noi e Ruth Guggenheim Nivola e grazie soprattutto alla di Lei generosità nell’accogliere le nostre richieste, abbiamo potuto disegnare una esposizione a carattere scientifico che nel rigore filologico ricostruisse la figura di Nivola attraversando l’intero percorso della sua ricerca. Fortunatamente in tempo. La morte della Vedova avrebbe stroncato ogni nostro disegno, se insieme a Lei non avessimo scelto opere e stilato un accordo di donazione. Si tratta di un’ottantina di pezzi fra disegni, dipinti, bozzetti, schizzi, legni, gessi, cementi, sandcast, lamiere, terrecotte. Alcuni di questi (18) sono già arrivati in Italia e saranno in Mostra da dicembre a Nuoro (“Nivola. Investigazione dello spazio”): particolare importanza rivestono i preziosi Progetti per spazi pubblici, come “La bandiera americana”, il “Monumento a Gramsci”, la cappella “Corpus Christi”, Brigata Sassari, Corregidor e altri. La donazione dei pezzi rimanenti è subordinata ai tempi e alla dignità dei locali che li accoglieranno in permanenza. Ma i lo-

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cali saranno puntualmente pronti e adeguatamente predisposti entro il prossimo anno. Il Territorio. Il nostro Museo è sorto per volontà della comunità del territorio in accordo con Regione e Famiglia dell’artista. Questi tre soggetti ne hanno con atto notarile firmato l’atto istitutivo. E’ un Museo monografico. Questo può essere un handicap. Ma non con un personaggio così poliedrico e multiforme come Nivola. Facile capire che non basta avere un artista e raccoglierne un certo numero di opere per creare un vero museo. Espressione del territorio, il museo rischia presto di diventargli estraneo, se non si trovano e si coltivano i rapporti che a quel territorio lo legano e imparentano. La prima operazione rilevante rispetto alla comunità che ospita il Museo è stata quella didattica. Stranamente, ma non troppo, la difficoltà maggiore ad accogliere convintamente il Museo si è avuta proprio ad Orani. Non dico ostilità, ma indifferenza sì. Nemo propheta in patria. Un intervento sistematico annuale sulle scuole con progetti di laboratorio finalizzati alla conoscenza del loro concittadino illustre al di là del chiacchiericcio del paese è servito molto. Per lo meno a far capire che Nivola è degno di un Museo. Sulla Scuola dell’infanzia hanno operato ogni esperti di marionette ricostruendo la vita di Nivola nel paese inserendolo su una mappa sia mentale che reale concreta e consueta ai bambini. Per la scuola elementare e media il laboratorio si arricchisce di elementi teatrali desunti dalle Memorie dell’artista e di attività manipolative con materiali plastici (creta, das, gesso, cemento…). Il tutto ad ogni fine anno si è concluso con performance collettive a sintesi del lavoro svolto. Teatro, canti, esposizione di lavori nel piazzale del Museo col grande pubblico delle autorità e dei genitori. Conoscere e mantenere viva la memoria nelle giovani generazioni. Questa la prima interazione con la popolazione. Nei prossimi anni questa attività sarà realizzata negli stessi laboratori del Museo. Restando nell’ambito territoriale più prossimo abbiamo una

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serie di altri impegni che si allacciano all’arte di Nivola e che in ogni caso interferiscono con Nivola. Prima di tutto la tutela e conservazione di opere nivoliane nel paese come il graffito della chiesetta di Sa Itria, gravemente danneggiato dall’ umidità. La tomba dei genitori con altre due sculture. Ma tutto il paese è un museo aperto che chiede soltanto di essere valorizzato, visitato, vissuto, curato e conservato. A Nuoro poi c’è Piazza Satta, uno spazio di alto valore innovativo e di livello internazionale che meriterebbe da solo un lungo discorso. In accordo col Comune abbiamo dato vita al prolungamento della visite al Museo col tracciato di percorsi culturali nel paese. Ma il lavoro più impegnativo è quello della ricerca e valorizzazione. Tale impegno ha coinvolto la Fondazione fin dall’inizio della sua attività. Compito non facile essendoci trovati davanti ad un artista estremamente eclettico e vulcanico, continuamente alla ricerca curiosa di nuovi materiali e di nuove tecniche, mai subordinato a scuole e correnti. Mai scontato. Con la preziosa collaborazione di Ruth abbiamo raccolto una documentazione tale che oggi ci consente di ricostruire la figura dell’artista nella sua complessa vicenda di incontri, fecondazioni e contaminazioni con scuole artisti sparsi in tutto il mondo (a partire da Delitala suo compaesano e primo maestro). Il frutto di tale ricerca si è materializzato in una serie di pubblicazioni di carattere scientifico (per settori: scultura, dipinti, grafica, Terrecotte, Monza e rapporti con Pintori e Fancello), ma soprattutto con alcune Mostre con cui il risultato della nostra ricerca risulta coerente e convincente. Una serie di altri sentieri esplorativi sono in cantiere. Tra cui il rapporto NivolaLe Corbusier, il rapporto di Nivola con i grandi architetti (Le Corbusier, Sert, Saarinen, Richard Stein…). Il rapporto con Steinberg e Pollock, vicini di casa e abituali frequentatori della famiglia Nivola. Un tessuto di coincidenze e di incidenze tutte ancora da decifrare e valutare, ma con l’aiuto di un archivio completo come quello che progressivamente stiamo acquisendo, si avranno presto esiti positivi e gratificanti. Ecco, quindi, conservazione e tutela. L’altro pilastro del nostro Museo è la ricerca. Ricerca su Nivola, ricerca sull’evolversi dell’arte contempora-

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nea e ricerca anche sulle modificazioni antropologiche e fisiche dell’ambiente geografico e umano in cui l’artista oranese si è formato. I Musei nel passato hanno quasi sempre vissuto senza uno “stato in luogo”. Ma siamo convinti che, fuori contesto e senza riferimenti, il Museo Nivola avrebbe una pesante decurtazione di vita e di significato. Ecco quindi l’altro sforzo: ricondurre il nostro Museo al naturale legame che lo unisce al territorio circostante e agli abitanti reali. Un tramite fisico è da ora il Parco, fruibile liberamente per l’intera giornata da tutti e speriamo sentito proprio da tutti. L’opera di Costantino Nivola mal si comprende se estraniata da quella radice socio-geo-culturale che caratterizzò gli anni della sua infanzia. Pur vagando per l’intero mondo, egli non ha fatto altro che orientare la sua bussola verso le sue origini e la sua terra, fonti d’ispirazione permanente della sua poetica. Basterebbe scendere da Sarule o salire da Orotelli ad Orani per capire quanto abbiano colpito il suo immaginario quelle rocce antropomorfe, ora custodi rassicuranti e ora conturbanti giganti. L’intento progettuale è quello di muovere dalle opere esposte nel Museo, per svilupparle nelle vie del paese, alla scoperta dei luoghi più cari all’artista in una visione aperta che ambisce a coinvolgere il visitatore avvolgendolo in una cultura veramente singolare e di grande portata etica. Il territorio nel nome di Nivola può aspirare ad assumere una sua caratteristica e riconoscibile personalità. Come è successo per la Deledda con i paesi della Baronia e con la stessa Nuoro.

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Anna Maria Montaldo L’INCISIONE E LE COLLEZIONI CIVICHE DELLA GALLERIA COMUNALE D’ARTE DI CAGLIARI Il ricco patrimonio artistico dei Musei Civici di Cagliari è costituito, fra l’altro, da tre importanti collezioni di grafica: La Collezione grafica della Galleria Comunale d’Arte, la Collezione Valle e la Collezione d’Arte Contemporanea. La Collezione Grafica della Galleria Comunale conta circa 300 pezzi tra disegni e stampe, acquisiti grazie a fortuite occasioni economiche e munifiche donazioni da parte degli artisti. La sua formazione, iniziata negli anni Trenta del secolo scorso, non è stata l’espressione di un preciso programma culturale. Alla base del progetto, mai accompagnato da una sistematicità della ricerca, il desiderio di acquistare il meglio della produzione artistica isolana. La collezione è caratterizzata dall’eterogeneità dei materiali che non privilegiano una sola tendenza creativa né un’unica tecnica. Pur prevalendo le xilografie e l’acquaforte, non manca la linoleografia, l’acquatinta, la litografia, la vernice molle. All’interno della Collezione, la compagine più omogenea è forse quella costituita dagli artisti sardi della prima metà del Novecento. Le opere, pur non essendo completamente esaustive del panorama incisorio isolano, sono comunque sufficientemente rappresentative della produzione grafica in Sardegna nel secolo scorso. Infatti, pur essendo meglio rappresentata la produzione cagliaritana, sono presenti, anche se con poche opere, gli artisti più significativi di quella che è stata definita “La scuola sarda dell’incisione”. Mi riferisco, per esempio, a Giuseppe Biasi presente nella Collezione con un’unica opera Focolare domestico, una linoleografia databile al 1934. Mario Delitala, grande protagonista, è presente con diverse opere, fra le quali Ballo tondo e Pastore seduto, due xilografie del 1929 che insistono sulla vita popolare sarda e sui suoi naturali protagonisti, opere in cui l’artista dimostra un abile uso del chiaroscuro per definire forme e volumi ed un’attenzione spasmodica per la definizione plastica dell’immagine. Ricordiamo, inoltre, la bellissima Resurrezione di Lazzaro, una litografia datata 1936 in cui si registra, accanto al mutamento del soggetto, una notevole evoluzione

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nell’impostazione scenografica dell’episodio narrato che pare debitore della pittura del Tintoretto. Altro grande protagonista della Collezione è Remo Branca, presente con Ragazze di Orgosolo, 1934, un’unica opera, comunque assolutamente rappresentativa della sua produzione xilografica; Stanis Dessy è presente con una xilografia, Mendicanti di Monte Gonare, data 1930 e una vernice molle del 1950, Cagliari, via Manno”. Numerose le incisioni di Carmelo Floris: fra le xilografie ricordiamo Parasceve, 1936, mentre fra le acquaforti S’iscravamentu in cui è evidente la commossa partecipazione dell’artista alla religiosità della sua gente. Abbiamo anticipato che la produzione cagliaritana è certamente meglio rappresentata. A fare da padrone è Felice Melis Marini con i suoi lirici paesaggi. Scorci di Cagliari come Una porta del Duomo di Cagliari, del 1923, e paesaggi di campagna che hanno fatto scuola per le generazioni successive. Certo memori della lezione di Melis Marini sono due artiste cagliaritane, Anna Marongiu Pernis e Dina Masnata che in comune con il maestro hanno dimostrato una particolare sensibilità nei confronti del paesaggio. Di Anna Marongiu è l’acquaforte intitolata I tre giganti (1933) mentre Dina Masnata è ben rappresentata nella Collezione da Brezza fra i pini del 1945, opera con la quale l’artista vinse un premio in occasione della Prima Libera Esposizione Regionale d’Arte, tenutasi proprio alla Galleria Comunale d’Arte di Cagliari, premio che, fra l’altro, comportava la segnalazione dell’opera al Comune di Cagliari per il suo acquisto. Nell’impossibilità di parlare di tutte le opere della Collezione, vorrei comunque citare gli altri artisti presenti: Battista Ardau Cannas, Antonio Mura, Enea Marras, Giorgio Carta,di Raffaele Angelo Oppo, Stefania Boscaro, Guido Cavallo, Giovanni Dotzo e Valerio Pisano. La mostra, inaugurata all’EXMA’ il 23 dicembre 1993, con l’esposizione di circa 60 opere, sapientemente restaurate per l’occasione, ha costituito il primo significativo passo per il riordino esaustivo e sistematico della collezione di grafica. Nella stessa occasione sono stati esposti i disegni del Diario della memoria di Giuseppe Biasi e sono stati pubblicati i relativi cataloghi La Collezione Valle, che sottolinea il fine ed esperto gusto del suo collezionista, ha arricchito il patrimonio dei Musei Civici a partire dalla donazione (1998) avvenuta per volontà della figlia, Giuseppina e della moglie Nicla, che hanno così sensibil-

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mente interpretato l’affetto di Nicola Valle per la nostra città. Intellettuale di spicco, studioso d’arte, di musica e di teatro, appassionato organizzatore culturale, Nicola Valle, nel corso della sua vita, ha raccolto un ampio corpus di opere, circa 700 che, accanto alle 357 incisioni di artisti sardi del Novecento, enumera 80 opere di Bartolomeo Pinelli, numerosi pezzi di incisori italiani e stranieri e una settantina di “stampe di riproduzione” dell’Ottocento che rappresentano famosi dipinti di grandi artisti del passato. Con l’elevato numero di opere dedicate all’incisione in Sardegna nel Novecento, la Collezione Valle, ampliando il ventaglio degli artisti, costituisce un valido completamento della Collezione grafica della Galleria Comunale d’Arte. Anche in questo caso passiamo dalle liriche incisioni di Felice Melis Marini e dai legni di Giuseppe Biasi attraverso capolavori della xilografia come Cattedrale di Cagliari (1930) e La Torre di San Pancrazio (1938), opera di Stanis Dessy, per arrivare ad un grande protagonista degli anni Cinquanta come Foiso Fois di cui ricordiamo due significative xilografie Mattanza (1954) e Mondariso (1955). Anche all’interno della Collezione d’Arte Contemporanea, un’importante raccolta costituita da circa 70 opere realizzate da importanti artisti italiani degli anni Sessanta e Settanta, acquistate dalla Galleria Comunale d’Arte intorno alla metà degli anni Settanta, si può individuare un interessante nucleo di opere che testimoniano, fra l’altro, lo sviluppo delle tecniche incisorie in ambito contemporaneo. Evidente è il proliferare della tecnica serigrafica, testimoniato dalle opere di Valerio Adami, Sfinge, e di Lucio del Pezzo, Disegni per la scultura Saggitarius, entrambe del 1970. Si registra, in generale, un’evidente tendenza alla sperimentazione, già chiara in opere come Testa, un’acquaforte e acquatinta su zinco di Enrico Della Torre e soprattutto in un’opera come Unicum di Lia Rondelli in cui l’artista utilizza il procedimento della stampa calcografica per assemblare, in un unico processo,materiali differenti. Numerose le mostre che i Musei Civici di Cagliari hanno dedicato all’incisione, a partire dalla fine degli anni Ottanta. Solo per citarne alcune: • 1988 Segni di autore in Sardegna • 1993 Out of print • 1994 Inciso altrove • 1995 I colori del nero

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• 1996 Leinardi. L’opera grafica • 1999 Renzo Vespignani. L’essenza dell’apparenza Alla fine degli anni Novanta, un’altra importante testimonianza di apertura nei confronti dell’incisione contemporanea è stata l’organizzazione di una serie di importanti eventi in collaborazione con Casa Falconieri. Una collaborazione iniziata nel 1997 con la realizzazione di un progetto, “I luoghi del segno”, che nasceva dalla lucida volontà di valorizzare il linguaggio dell’incisione attraverso l’esplorazione delle varie forme espressive che ha assunto in vari paesi europei. Da tale ricerca è scaturita l’organizzazione, presso il Centro Culturale EXMA’ di Cagliari, di cinque eventi espostivi e di cinque stages che hanno testimoniato l’esigenza di passare dalla fase della ricerca a quella della sperimentazione, dalla Mostra al Laboratorio. I cinque stages avanzati di incisione, il primo dei quali si è svolto dal 14 al 23 luglio 1997, hanno indagato le possibilità espressive delle tecniche incisorie nella prospettiva di creare un appuntamento annuale internazionale di incisione che alternasse al laboratorio importanti momenti espositivi. La prima mostra, tenutasi dal 3 luglio al 14 settembre 1997, ha presentato al pubblico le opere della stamperia d’arte di Locarno “Il Salice”. Tra le opere esposte quelle di Gabriella Locci e di Ermanno Leinardi. La seconda mostra, tenutasi dal 26 giugno al 30 agosto 1998, era dedicata a tre artisti belgi orientati in diversi settori di ricerca: Franky Cane, Rik De Boe, Enk De Kramer. La terza mostra, tenutasi dal 18 giugno al 17 luglio 1999, ha avuto come protagonisti quattro artisti spagnoli: Dario Alvarez Basso, Oscar Manesi, Juan Muñoz e Hernandez Pijuan. La quarta mostra, tenutasi dal 19 maggio al 5 luglio 2000, ha proposto l’opera di tre artisti austriaci: Adolf Frohner, Wolfgan Herzig e Alfred Hrdlicka.La quinta mostra è stata interamente dedicata ad un grande protagonista dell’incisione italiana, Emilio Vedova. Con queste attività espositive e di laboratorio si è sperimentata un’interessante sinergia fra pubblico e privato, connotando il centro comunale dell’EXMA’come uno dei riferimenti in Europa nel campo dell’incisione. E’ stata un’esperienza complessa perché assolutamente innovativa e molto interessante. E’ cresciuta negli anni coinvolgendo anche altre istituzioni isolane come il Liceo Artistico di Tempio. Un’iniziativa che ha avuto, dunque, per un certo periodo continuità e questo è un grande valore anche se limitato nel tempo.

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Jesús Carrobles Santos HISTORIA DE UNA RELACIÓN VARIABLE: ARTE CONTEMPORÁNEO Y POLÍTICA CULTURAL EN LA DIPUTACIÓN PROVINCIAL DE TOLEDO. 1. LOS ORÍGENES. El inicio de la gestión cultural en España tuvo lugar en el siglo XVIII en relación con el éxito de las políticas ilustradas. Hasta ese momento sólo se habían producido actuaciones y decisiones que tenían que ver con el ejercicio del mecenazgo regio y se dirigían a la formación y organización de las colecciones atesoradas por la monarquía hispana. La voluntad de intervenir en el ámbito cultural por parte del Estado tuvo su reflejo en la creación de una legislación y una estructura administrativa destinadas a gestionar el Patrimonio cultural. Un fenómeno paralelo al que se produjo en otros países de Europa que, en el nuestro, tropezó con una serie de situaciones de crisis y enfrentamientos civiles que dificultaron la consolidación de las instituciones encargadas de cumplir esa función. Buena parte de nuestro siglo XIX estuvo condicionado por una cruenta pugna entre liberales y conservadores, que acabó con la victoria de los primeros y la consiguiente desaparición del Antiguo Régimen que defendían los segundos. La muestra más evidente de este desenlace fue la desamortización de los bienes eclesiásticos y municipales que provocó el abandono de la mayor parte de los complejos religiosos monumentales existentes en torno a las ciudades episcopales como Toledo y la disminución de la labor asistencial que realizaban las congregaciones religiosas que los habitaban. Dentro de este ambiente de confrontación hay que situar el origen de las Diputaciones Provinciales que aparecen contempladas por primera vez en las disposiciones de la Constitución de Cádiz en 1812, que se convirtió en la referencia de los políticos liberales hasta fechas tardías. Sus distintos títulos plantearon un modelo administrativo completamente nuevo que no pudo aplicarse más que de manera restringida, por la fuerte oposición que planteó el rey Fernando VII tras su vuelta al trono en 1814 que provocó la paralización de las reformas. A su muerte se iniciaron los cambios políticos que culminaron con la llegada al poder de los modelos liberales y con ellos, la

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recuperación del modelo administrativo basado en las Diputaciones Provinciales. Su constitución se produjo a lo largo del año 1836 con la única pero amplia finalidad de promover la prosperidad de sus correspondientes territorios. Sus primeros años de vida estuvieron dedicados a organizar la defensa de sus pueblos para hacer frente a la situación creada durante los enfrentamientos relacionados con la Primera Guerra Carlista. Su final marcó el comienzo de un periodo en el que estas instituciones se centraron en las labores administrativas para las que habían sido concebidas, fundamentalmente, las dirigidas a paliar los problemas planteados por las medidas desamortizadoras a las que antes hemos hecho referencia. Por un lado fue necesario organizar un programa asistencial que supliese las dificultades causadas por la supresión de antiguos hospitales y cofradías. Por otro, se tomaron las medidas dirigidas a proteger una parte del Patrimonio histórico que había quedado en manos del Estado, tras el cierre forzado de los monasterios y conventos. Su actuación fue selectiva y tuvo una repercusión limitada por la falta de una estructura adecuada y de los fondos económicos necesarios. Sin embargo, los inicios de esta labor de intervención en temas civiles sirvieron para sentar las bases de su posterior desarrollo a partir del último tercio del siglo XIX, coincidiendo con la definitiva consolidación del Estado centralista. Fue entonces cuando se pudo iniciar una política cultural ambiciosa que permitió cambiar conceptos y tradiciones en la gestión del Patrimonio cultural, gracias en buena medida al trabajo realizado por las Diputaciones Provinciales. En el caso de la Diputación Provincial de Toledo, en adelante DPT, nos encontramos con datos que muestran una clara voluntad de actuar en los edificios históricos más destacados de la provincia desde fechas bastante antiguas. Así, desde 1871 conservamos los expedientes administrativos para la concesión de distintas subvenciones destinadas a sufragar los trabajos de restauración emprendidos en inmuebles tan emblemáticos como son la mezquita del Cristo de la Luz o las sinagogas del Tránsito y de Santa María la Blanca. Durante esos años comprendidos en el último tercio del siglo XIX, la Institución también se hizo responsable de financiar aspectos tan necesarios y poco atendidos como eran la formación Primaria y Secundaria, el funcionamiento de la Escuela Normal de Maestros, la Biblioteca Provincial o el Museo Arque-

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ológico y todas aquellas agrupaciones e iniciativas que hicieron posible el inicio de una nueva manera de entender la cultura. Coincidiendo con estas primeras medidas dirigidas a conservar algunos inmuebles o a permitir la formación de las gentes de la provincia de Toledo, se tomaron las primeras disposiciones dirigidas a fomentar la creación artística a través de propuestas para construir monumentos públicos para recordar las glorias pasadas y, sobre todo, para colaborar en la formación de los artistas que querían realizar sus estudios en los centros de referencia situados en la capital de España. Es el caso de Eugenio Duque, un escultor nacido en la localidad de Almonacid de Toledo, que en 1865 se convirtió en el primer pensionado de la DPT del que tenemos noticia. El éxito político y económico alcanzado durante el periodo de la Restauración, en las últimas décadas del siglo XIX y los años iniciales del XX, permitió la consolidación de estas políticas culturales y su posterior ampliación. En esos años, nuestra Institución planteó una política de formación de artistas estable. Su faceta más conocida fue la concesión de pensiones o becas a todos aquellos jóvenes que querían realizar su formación en los centros que empezaban a abrir sus puertas en Toledo, caso de la entonces conocida como Escuela de Artes Industriales de Toledo y alegaban los méritos necesarios. La más desconocida fue la inauguración de un espacio expositivo en el interior del propio Palacio Provincial que sirvió para dar a conocer la obra de la mayor parte de los artistas locales durante décadas. A partir de 1911 se modificó este primer planteamiento y dio comienzo una labor más ambiciosa que permitió la concesión de ayudas de mayor cuantía para la formación de artistas en centros académicos de referencia en cualquier ciudad del continente europeo. El primero de los artistas en disfrutar este nuevo modelo de becas fue el paisajista Enrique Vera Sales, al que siguió poco después el músico Jacinto Guerrero que se convirtió en una referencia mítica de la cultura popular española en la primera mitad del siglo XX. El éxito de este programa de ayudas se vio coronado por el que alcanzó el escultor Alberto Sánchez, que también contó con la necesaria ayuda de la DPT. Su calidad artística lo convirtió en una referencia de las vanguardias y en el mejor exponente de las posibilidades que tenían estas ayudas institucionales, que habían sido capaces de conseguir que un panadero se convirtiera en un artista conocido en el panorama internacional.

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Consecuencia directa de todo ello fue el aumento en número y dotación de las ayudas, que permitieron la formación de una amplia generación de artistas que han dominado el panorama artístico toledano en los años centrales del siglo XX. La Guerra Civil iniciada en 1936 marcó el inicio del fin de este tipo de políticas culturales aunque todavía hay que destacar el esfuerzo que realizó la DPT fiel a la República que, en 1938, meses antes de la finalización del conflicto, destinó parte de su presupuesto al mantenimiento de las becas que tantos éxitos habían reportado a la Institución. El régimen surgido de la Guerra cambió la manera de concebir y gestionar la cultura, hasta el punto de que se acabó con todos aquellos planteamientos previos que hemos descrito. El arte contemporáneo dejó de ser considerado como un valor y, en algunas ocasiones, llegó a serlo como una manifestación impropia de la cultura nacional. Todo ello provocó el final de un modelo de gestión que no volvió a mostrar signos de recuperación hasta el inicio de los años 70 del siglo XX, en que la sociedad española había logrado su modernización al margen de las estructuras del propio Estado que quedaron completamente desbordadas. Es en esos años cuando volvemos a tener datos del inicio de las políticas activas para el mundo de la creación artística desde la DPT, a través de algunas convocatorias de certámenes como los que se organizaron con la Caja de Ahorros Provincial de Toledo entre 1973 y 1977, o los que han tenido continuidad hasta hace algunos años con las Bienales del Tajo. Este proceso de recuperación de la presencia de la Institución en el mundo del arte contemporáneo terminó por consolidarse en los años 90 del pasado siglo. El inicio de las actuaciones parte de un ejercicio de reflexión que trató de aprovechar la rica tradición que acabamos de resumir y su combinación con las medidas y actuaciones propias de la nueva situación en la que vivimos. El resultado de todo ello ha sido la creación de un programa cultural diferente que ha empezado a dar sus frutos en los últimos años y que promete colaborar activamente en la formación de una nueva generación de artistas. 2. EL ARTE CONTEMPORÁNEO EN LA POLÍTICA CULTURAL DE LA DIPUTACIÓN PROVINCIAL DE TOLEDO (1990-2010). El diseño y aplicación de un programa cultural ambicioso en la DPT es un claro resultado de la incorporación de una nueva generación de profesionales que fuimos los encargados de

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romper con un modelo restrictivo de entender la cultura. Una visión trasnochada que reducía la actuación de la Institución a la organización de fiestas o cualquier otro tipo de actividad popular y que relegaba a la creación artística a la esfera de lo privado, al margen por lo tanto de cualquier intervención por parte de las administraciones públicas. A la incorporación de estos equipos técnicos hay que sumar la llegada al poder de una clase política mueva formada en la Universidad, que hizo posible el inicio de los cambios que pasamos a enumerar y que, en conjunto, constituyen el núcleo de la política cultural de la DPT en las dos últimas décadas. 2.1. Espacios culturales para el arte contemporáneo.- A fines de los años 80 del siglo XX, la DPT carecía de espacios en los que realizar una labora cultural propia. Su creación fue el primer reto que asumimos, al considerar que las instalaciones condicionaban el tipo y alcance de cualquier actuación en el futuro, al garantizar la independencia de las propuestas que pudieran formularse. Fruto de este tipo de razonamientos fue la inauguración de las instalaciones del Centro Cultural San Ildefonso en las inmediaciones del Casco Histórico de Toledo, que permitieron la recuperación de un antiguo cementerio. Su rehabilitación permitió que la antigua capilla y otras dependencias auxiliares se transformaran en las primeras salas públicas existentes en Toledo que se dedicaron con exclusividad al fomento del arte contemporáneo. Su inauguración marcó el inicio de una programación cultural basada en el apoyo a los artistas toledanos que fueron los responsables del éxito alcanzado y de que, en pocos años, se acometiera la ampliación de las instalaciones dedicadas a este fin mediante la rehabilitación de otro edificio que permitiera emprender actuaciones más ambiciosas y complejas. Al final, en el año 2002, se inauguraron las instalaciones del Centro Cultural San Clemente que, a pesar del tiempo transcurrido, sigue siendo una de las infraestructuras que más inversión ha requerido en la historia de la DPT. La actuación se centró en la rehabilitación y adaptación de una parte importante del monumental convento de San Clemente de Toledo, que se encontraba completamente arruinado y en claro peligro de hundimiento. Las obras realizadas han conseguido recuperar el edificio declarado Bien de Interés Cultural

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y crear un amplio conjunto de espacios expositivos dotados de diferentes medios e instalaciones. En sus instalaciones destacan diferentes salas de exposición en plantas y ambientes diferentes, aulas de formación, salón de actos y espacios destinados a la administración, en los que se realizan diferentes actividades culturales y el diseño del resto de las actuaciones que se dirigen a generar propuestas para los ayuntamientos de la provincia de Toledo. En lo referente a la creación más actual, se están programando una serie de exposiciones que en pocos años se han convertido en un referente en los ambientes culturales de nuestro entorno. Cada año se realizan un mínimo de cinco montajes que, dependiendo del formato elegido por cada artista, pueden llegar a reunir más de doscientas obras. Todos ellos van acompañados del correspondiente catálogo que es financiado en su totalidad por la Institución y se distribuye de forma completamente gratuita. Las exposiciones y publicaciones se centran en la obra de artistas nacidos, residentes o vinculados con la provincia de Toledo, aunque también se realizan algunos montajes puntuales destinados a fomentar la colaboración internacional con los centros y ciudades con lo que tenemos acuerdos establecidos que, en definitiva, también redundan en la apertura de nuevas posibilidades para nuestros artistas. Fruto de la labor realizada en los centros de San Ildefonso y San Clemente y del creciente aumento de las peticiones para realizar todo tipo de actividades, fue la necesaria apertura de un tercer espacio expositivo en el Sitio Histórico de Santa María de Melque (San Martín de Montalbán), en el año 2005. Se trata de un importante complejo arqueológico situado en un excepcional entorno rural, en el que destaca la existencia de un monasterio de época visigoda que genera su propio modelo de visitas, muy distinto del que podemos encontrar en las salas de exposición dedicadas al arte contemporáneo más habituales. La oferta realizada en Santa María de Melque se dirige a ese público más amplio y menos especializado, que acude a contemplar una iglesia visigoda del siglo VII y se encuentra con manifestaciones artísticas propias del XXI. La programación se limita en este caso a la organización de cuatro exposiciones al año que también se acompañan de su correspondiente catálogo. El interés de este centro radica en la posibilidad que

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ofrece para realizar montajes en los que se combina la presencia de artistas jóvenes con las apuestas más arriesgadas de artistas consolidados, que presentan su obra en un marco distinto y menos protocolario. A pesar de encontrarse lejos de cualquier zona poblada y a más de 50 km. de Toledo, las exposiciones que allí celebramos, han adquirido su propio protagonismo en el calendario cultural de la provincia y están consiguiendo que los artistas se interesen por un público ajeno a este mundo que, a su vez, lo hace por unas creaciones con las que no esperaba encontrarse. En la actualidad y con el fin de concentrar esfuerzos, se ha procedido al cierre del primero de los centros a los que hemos hecho referencia, el de San Ildefonso, y se mantienen plenamente activos los otros dos. En ellos se realiza una parte importante de nuestra actividad cultural y se han convertido en lugares asociados al arte contemporáneo de calidad, gracias a una trayectoria corta pero intensa, que surge de un proyecto perfectamente definido. 2.2. Recuperación de la memoria.- La actividad de fomento del arte contemporáneo de la DPT está dirigida a completar la formación y favorecer la actividad de los creadores más jóvenes. Sin embargo y como muestra de la amplitud del programa que hemos emprendido, también hemos tratado de recuperar la memoria de ciertos artistas que no habían conseguido el reconocimiento que merecían, como consecuencia en muchas ocasiones de la compleja historia que ha sufrido nuestro país a lo largo del siglo XX. La Guerra Civil de 1936, el exilio de la mayor parte de los agentes culturales y la implantación de modas y propuestas estéticas relacionadas con el pasado más trasnochado, provocaron el olvido de una parte significativa de nuestros mejores artistas que, en algún caso, ni siquiera tuvieron la oportunidad de exponer su obra. Se trata de una labor de recuperación compleja y costosa que, a pesar de todo, nos ha permitido realizar montajes que han cosechado el mayor número de visitas y los mejores reconocimientos. Es el caso del que dedicamos a al pintor Daniel Conejo, un magnífico pintor de Olías del Rey que fue discípulo de Daniel Vázquez Díaz e integrante cualificado de la denominada Segunda Escuela de Vallecas. Su obra no llegó a mostrarse más que en alguna exposición colectiva y ha empezado a ser reconocida gracias a la recuperación de un

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amplio lote de pinturas por expreso deseo de la familia, que han pasado a formar parte de la colección artística de la DPT. A este mismo modelo de recuperación pertenece la exposición que dedicamos en 2009 a dos artistas de Quintanar de la Orden, Joaquín y Antonio Arnau. El primero fue un excepcional fotógrafo que, entre otras muchas ocupaciones, trabajó como responsable del programa de documentación de la Hispanic Society de Nueva York en La Mancha durante la década de los años 20 del pasado siglo. El segundo, hijo del anterior, ha sido otro buen pintor relacionado con la misma Segunda Escuela de Vallecas antes citada y el creador de un foco artístico de excepcional calidad en su localidad natal. A pesar de contar con un amplio currículo y trayectoria, su obra nunca se había mostrado en Toledo ni había sido objeto de una publicación monográfica, lo que demuestra la escasa atención puesta hasta ahora en su figura. Por último, vamos a destacar la recuperación de la figura de Pedro Román Martínez, un pintor y fotógrafo completamente olvidado, que fue el responsable de la creación de un fondo de imágenes que desde su exposición al público en el año 2008, se han convertido en iconos de Toledo y de sus gentes. 2.3. Formación de una colección pública.- Una de las preocupaciones principales del trabajo que realizamos en cada uno de los centros culturales a los que hemos hecho referencia, es la realización de montajes que pueden tener vida propia y se muestran en otros lugares en función de sus propias características e interés. En primer lugar y por las propias competencias legales de la DPT, hay exposiciones de reducido formato que se dirigen a divulgar la labor de nuestros artistas en los centros y casas de la cultura que existen en los más de doscientos municipios de nuestra provincia. También, y con un formato distinto, hemos tratado de generar otros montajes más amplios o especializados, destinados a itinerar por diferentes provincias o países, en función de los distintos contactos y colaboraciones que mantenemos con otras instituciones. Para hacer posible estas exposiciones y favorecer la presencia de los artistas toledanos en cualquiera de los montajes que se realizan, es necesario contar con una colección pública bien diseñada y gestionada, que permita el fácil acceso a la obra de nuestros creadores sin costes ni las complicaciones que suelen darse en los préstamos gestionados ante particulares o museos, generalmente vinculados a las tradiciones más aca-

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demicistas y conservadoras. Esta labor de adquisición y recopilación la venimos realizando desde hace algo más de 15 años y ha constituido uno de los grandes éxitos de nuestro programa por muy diferentes motivos. Las compras se han realizado tanto en el mercado del arte, fundamentalmente en subastas y galerías, como directamente a los artistas y, en conjunto, hemos conseguido crear una colección de arte toledano de los siglos XX y XXI que no existe en ningún otro museo ni entidad pública o privada. Al margen de conjuntos de pinturas de autores como Daniel Conejo del que ya hemos hablado, esta labor de búsqueda y compra selectiva, nos ha permitido formar una serie de conjuntos de referencia. Uno de ellos, quizás el más valorado y solicitado, es el dedicado a Rafael Canogar del que tenemos obra significativa de las principales series que se diferencian en su rica y variada trayectoria profesional. Junto a este fondo, otro de los que más juego ha dado, es el de la colección de grabados fechados entre los siglos XVI y XXI que recogen la imagen de cualquier lugar de la provincia. Se trata de una colección amplia que supera el centenar de piezas, en la que junto a las estampaciones románticas de autores como Parcerisa o Villamil, destacan las realizadas por miembros destacados de las vanguardias en las primeras décadas del XX o aquellas que proceden de artistas contemporáneos, que, de esta manera, encuentran otra vía de divulgación de su trabajo. La facilidad de transporte y la versatilidad que muestran estas obras para adaptarse a cualquier espacio expositivo, ha permitido que la exposición titulada “La provincia de Toledo a través del grabado” se haya mostrado en salas de un buen número de ciudades de España, de Europa, África o Asia, de la mano del Instituto Cervantes, del Ministerio de Asuntos Exteriores o de diferentes universidades, bibliotecas y centros culturales. Por último, también hay que hacer referencia en este apartado que describe los trabajos de recopilación a los que estamos haciendo referencia, a un proyecto paralelo de digitalización de archivos fotográficos que tienen un valor histórico y en algún caso artístico. Son los fondos de artistas tan destacados como Pedro Román o Joaquín Arnau antes citados, o de establecimientos como Casa Flores o Foto Estudio que, con sus más de cincuenta mil negativos, se han convertido en los responsables de la conservación de una parte importante de la memoria colectiva de nuestra gente que ahora nos toca gestionar.

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2.4. Certámenes y convocatorias.- El inicio de la formación de la colección de arte contemporáneo de la DPT, está directamente relacionado con la organización de una serie de certámenes que convocamos en el momento en el que iniciábamos nuestra actividad en este campo de la promoción del arte contemporáneo en nuestra provincia. Su realización sirvió para introducir nuestro programa cultural entre los grupos de artistas existentes en el entorno de Toledo, al permitirnos dar a conocer nuestras instalaciones en ese colectivo y fomentar la posibilidad de incluir obras de muchos de ellos en nuestra colección mediante la compra directa de las piezas que se nos ofrecían. Un modelo de trabajo dirigido a un sector muy amplio de nuestros creadores, que finalizaba con la celebración de una exposición y la edición del correspondiente catálogo. En total se organizaron cinco ediciones con este formato y no han vuelto a convocarse para dar paso a otras actividades más específicas que permiten concentrar nuestros limitados esfuerzos en obras y artistas concretos. Sin embargo y a pesar de que no se planteen nuevas ediciones con estas características, la DPT sigue colaborando con la organización de otros certámenes como es el Excultural que se organiza en colaboración con el Ayuntamiento de Bargas. Se trata de una convocatoria destinada a organizar muestras de escultura al aire libre y conseguir la formación de una colección en la que existen obras de calidad como es la que realizó Gustavo Torner para iniciar el proyecto. El jurado y los criterios de organización, son responsabilidad de un grupo destacado de creadores en el que destacan nombres como Rafael Canogar, Alberto Corazón, Paco Rojas o José Luis Sánchez. Una de las ideas básicas de este certamen es promover el acercamiento del arte al ciudadano y, a la vez, dotar de nuevos símbolos a una localidad que cuenta con una larga tradición cultural y ha crecido en población en los últimos años, con los riesgos de desarraigo que esa situación puede ocasionar en nuestros días. Buena parte del éxito del certamen radica en que sus montajes se realizan fuera del casco urbano, sobre campos de trigo o espacios destinados al paseo, que durante un tiempo de primavera se transforman en lugares de relación para los vecinos de la localidad y para todos aquellos que acuden desde otras poblaciones a contemplar y disfrutar del montaje. El reconocimiento alcanzado por las convocatorias pasadas, ha permitido aumentar la calidad de las obras que se exponen. De

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hecho una simple mirada al catálogo de las obras incluidas en el catálogo de la última edición Excultural-Bargas 2010, sirve de magnífico resumen del panorama y las principales tendencias de la escultura española en la actualidad. 2.5. Becas de formación.- Desde el comienzo de la programación del nuevo proyecto cultural de la DPT, la recuperación de las antiguas becas y pensiones se convirtió en una prioridad con el fin de vincularnos con las políticas e ideas que alentaron la labor realizada con anterioridad a 1936. El problema residía no tanto en nuestra capacidad para aprovechar esa herencia, como en la necesidad de actualizarla y organizar un programa de actuación internacional paralelo, que diera sentido a los esfuerzos que queríamos emprender. Las primeras ediciones de las becas de formación de profesionales de las artes de la DPT se convocaron abiertas a cualquier tipo de propuestas y los resultados fueron buenos pero insatisfactorios, dada la imposibilidad de obtener informes de los becarios por parte de los centros de acogida con los que no manteníamos ningún tipo de relación. Una situación compleja que presentaba otros problemas como era la dificultad para entablar relaciones duraderas entre colectivos y crear flujos con vocación de permanencia, que eran nuestros principales objetivos. Este fue el principal motivo que nos llevó a buscar centros de acogida concretos que permitieran iniciar un trabajo de colaboración a largo plazo, en el que cada becario aporta su grano de arena pero dentro de un modelo de trabajo y de relaciones establecido con anterioridad. Su integración en equipos en los que existe una experiencia previa acumulada, marca el inicio de nuevas posibilidades de colaboración que han permitido que muchos de nuestros jóvenes artistas se hayan implicado en las redes que surgen de este tipo de contactos. La convocatoria de becas de formación para destinos cerrados ha supuesto uno de los mayores éxitos del programa cultura de la DPT, al lograr que los centros de acogida se conviertan en un destino conocido para los artistas de Toledo, especialmente para los más jóvenes. En total se convocan cuatro becas de formación para asistir a cursos de diferente duración y naturaleza, en el Instituto Nacional de Bellas Artes de Tetuán (Marruecos) y en Casa Falconieri (Italia). El primero de los destinos citados es el centro académico de referencia para el arte contemporáneo en

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el Norte de África. El segundo es un taller que cuenta con un evidente prestigio en toda Europa y que, como consecuencia de un trabajo bien planteado y mejor ejecutado, se ha convertido en una experiencia ampliamente solicitada por los artistas toledanos más jóvenes que aspiran a pasar por sus instalaciones. En la actualidad todos los contactos mantenidos durante los años que venimos trabajando en el establecimiento de este tipo de relaciones estables, están dando los resultados que buscábamos y son varios los proyectos surgidos de la colaboración entre artistas de cada una de las ciudades de destino, al margen de la iniciativa de las instituciones públicas. 2.6. Otros proyectos de colaboración.- Además de la labor que realizamos en nuestros centros culturales o del resto de actividades descritas hasta ahora, nuestro modelo de trabajo también incluye otra serie de actuaciones realizadas en colaboración con los principales agentes culturales que trabajan en el ámbito territorial de la provincia de Toledo. Con ellas tratamos de fomentar la existencia de un tejido social y cultural diversificado, que es la base necesaria para el fortalecimiento de la actividad artística. Es el caso de la colaboración que mantenemos con la Escuela de Arte de Toledo que implica la edición del catálogo que se recoge la totalidad de los trabajos de fin de ciclo que realizan los alumnos al acabar sus estudios e iniciar su carrera profesional. La importancia de esta publicación reside en que constituye una magnífica tarjeta de presentación para el mundo laboral o para iniciar su propia trayectoria artística. La colaboración con este centro educativo no se reduce a esta exposición, sino que también se conceden ayudas para la presentación de algunos montajes en sus propias instalaciones o en las de otras instituciones con motivo del homenaje a algún profesor, tal y como ocurrió con la exposición dedicada al escultor Kalato en el Museo de Santa Cruz. Otra de las actividades más destacadas e interesantes, por lo que supone de apoyo a las iniciativas surgidas desde el sector privado, es la colaboración que mantenemos con el Grupo Tolmo de Toledo. A través de un convenio que se renueva cada año desde 2001, se patrocina una exposición de las que se programan en su galería, con la única condición de que el artista seleccionado sea nacido o residente en la provincia de Toledo. La colaboración de la DPT hace posible la edición de

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un importante catálogo y la adquisición de una obra que pasa a engrosar los fondos de nuestra colección y sirve de apoyo económico al mantenimiento de una sala que ha cumplido los 35 años de vida y se ha convertido en un lugar de discusión y debate ciudadano sobre temas que, en muchas ocasiones, superan el marco de la creación artística. Similar a este planteamiento, es el que realizamos en colaboración con el Círculo de Arte San Vicente, otro colectivo de artistas que plantea una oferta diferente y genera importantes actividades que enriquecen nuestro panorama cultural. Mediante la firma del correspondiente Convenio se subvenciona la realización de encuentro internacional de artistas denominado Nexo, que tiene lugar durante la segunda quincena del mes de agosto en Toledo. En él se reúne un número variable de artistas en el que se incluye la presencia de algunos representantes de origen local, que comparten una serie de sesiones de trabajo con creadores invitados procedentes de diferentes países. Los trabajos realizados por todos ellos son expuestos en el Centro Cultural San Clemente y parte de los fondos reunidos por la venta de las obras, se destinan al apoyo de diferentes programas humanitarios. 2.7. Publicaciones.- Aunque sin la trascendencia e importancia que tienen otras propuestas previamente descritas, también hay que hacer referencia a la edición de algunos trabajos de nuestros mejores críticos de arte que, en buena medida, se ocupan de artistas de nuestro ámbito territorial. Con ella tratamos de apoyar a dos sectores tan distintos pero complementarios como son el del pensamiento y la creación material. Es un tipo de trabajo que se realiza por iniciativa de la propia DPT, pero también se colabora con algunas editoriales privadas especializadas, que se “atreven” a editar este tipo de trabajos y necesitan un mínimo apoyo para dar entrada en sus colecciones a nuestros mejores artistas. Los libros editados de una manera u otra, entre los que destacan obras de Nacho Llamas, Paco Rojas o Fernando Sordo, se envían a diferentes bibliotecas y centros de arte, con las lógicas consecuencias de divulgación que este tipo de actuación tiene para nuestra gente. 3. PLANTEAMIENTO DE FUTURO El diseño de un programa ambicioso como es el que acabamos

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de describir en sus aspectos más esenciales, es una consecuencia del crecimiento económico y del desarrollo alcanzado por la sociedad toledana en las dos últimas décadas. El problema, en estos primeros meses del año 2010, radica en mantener un programa tan diversificado y costoso como es el que acabamos de exponer, en un momento económico complejo. Nuestro reto consiste en mantener la actividad y demostrar que el arte es una necesidad social más, como lo pueda ser la información, el deporte o cualquier otra manifestación que influye en nuestra calidad de vida. Pero además de buscar el mantenimiento del programa esencial, nuestro trabajo debe buscar la intensificación de la colaboración entre los artistas de la red que estamos tejiendo entre Toledo-Cagliari-Tetuán. De esta manera los becarios se convierten en un punto de partida para iniciar otro tipo de colaboraciones que son nuestra asignatura pendiente. El reto por lo tanto es doble: mantener e intensificar. Si en el camino hay que dejarse algo, ya lo recuperaremos.

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Riflessioni Manuela Vacca Quando l’arte incisoria non è figlia di un dio minore Un campo di spighe macchiato di papaveri quale scenografia profetica di un buon raccolto, nella sala prove della Fondazione Ente Lirico di Cagliari. A conclusione dell’Incontro internazionale sull’incisione contemporanea, che ho avuto l’onere e l’onore di coordinare, ognuno dei partecipanti ha infatti portato via qualche chicco di grano prezioso per seminare altri confronti sull’arte. Merito di Gabriella Locci e Dario Piludu, artefici di quel centro sardo di ricerca e sperimentazione dei linguaggi incisori che è Casa Falconieri. Certo bisogna specificare che l’evento ha oltrepassato il campo dell’incisione, pur restando fedele al suo fil rouge. E, sempre da precisare, l’incisione non è figlia di un dio minore ma anzi sa spalancare finestre più ampie. I destinatari degli orizzonti delineati sono stati gli artisti (in un uditorio composto da chi ha un talento già affermato e da altri che iniziano il loro percorso), gli studiosi e gli studenti, gli amministratori e tutti gli operatori intenzionati ad attivare reti e avvicinare virtualmente nodi. Insomma, annullare distanze di un’arte che ha pari dignità delle altre. In questo senso è stata pensata la diretta via web delle due giornate nel sito Internet di Casa Falconieri: raggiungere il numero più alto di interessati. Al tavolo dei relatori si sono seduti esperti italiani e spagnoli nella precisa volontà di non limitarsi al mero confronto di tecniche dell’arte incisoria dagli inizi a oggi, ma condividere buone pratiche e scambiare idee su altri temi con cui l’incisione deve necessariamente connettersi. Per esempio, i luoghi espositivi dei musei e delle gallerie d’arte dove l’oggetto artistico deve essere reso fruibile. O il fenomeno del collezionismo e la produzione di un mercato dell’arte, la didattica e la scuola, la comunicazione del prodotto e il rapporto con le istituzioni e con il pubblico. Infine, perché no, si può ripensare il turismo culturale secondo un’ottica che avvicini nuovi visitatori. Una riflessione globale tesa alla messa in comunione di esperienze sarde e ispaniche, resa possibile da personalità di peso dello scenario locale e di quello iberico.

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Tra gli intervenuti gli artisti Gabriella Locci, che presiede Casa Falconieri, Paola Dessy, anche presidente dell’associazione Stanis Dessy e Roberto Puzzu, giunto nella veste di dirigente scolastico dell’Istituto d’arte Filippo Figari di Sassari. Quindi l’apporto considerevole degli storici dell’arte Maria Grazia Scano Naitza, Gianni Murtas, Lucia Siddi e Mauro Salis, il presidente della Fondazione Nivola Ugo Collu e della Galleria Comunale di Cagliari Anna Maria Montaldo. Significativo anche il contributo degli architetti Lucio Ortu e Paolo Sanjust per soffermarsi sugli interrogativi legati alla spazialità di collocazione delle opere. Dalla Spagna è giunta una collezionista dinamica e colta del calibro di Brita Prinz che ha contribuito alla mostra “Da Tàpies a Chillida - grafica originale”, ospitata nel foyer del Teatro Lirico di Cagliari, nell’ambito di “Mat – musica arte teatro”, il progetto visivo curato da Gabriella Locci, rappresentante - nel consiglio di amministrazione del Teatro Lirico di Cagliari - del Ministero per i Beni. Ancora nomi illustri: Pedro Galilea vicepresidente del prestigioso centro internazionale di incisione contemporanea “Fondazione Ciec” di Betanzos e Julio León responsabile delle incisioni della “Fondazione Pilar i Joan Miró a Mallorca”, due realtà che fanno importante formazione nelle loro strutture. L’archeologo Jesús Carrobles Santos, direttore del “Centro Studi Juan de Mariana di Toledo” ha mostrato altre visioni e nuovi spunti di lavoro sull’arte e sugli artisti contemporanei. Da “Estampa”, rinomata tra le fiere internazionali europee e in cui lo stand degli artisti sardi portati da Casa Falconieri compete ad alti livelli, è arrivata la direttrice Isabel Elorrieta. L’analisi delle criticità e degli scenari dei centri decisionali locali è stata affrontata con Joaquin Jimeno Saluena, sindaco di Fuendetodos, la cittadina che vive la sua identità intorno al museo Goya. Gli organi dell’informazione specializzata sono stati rappresentati da Enrique Gonzàlez Flores, direttore della rivista “Grabado contemporaneo”, orgogliosa del suo taglio civile capace di essere cassa di risonanza dell’utilità sociale dell’arte grafica. Molti degli intervenuti sono legati da amicizia di lunga data, nata da rispettosa e proficua collaborazione. Da queste occasioni, lontane dalle invidie spicciole, nascono opportunità per chi fa arte e vuole crescere. Grazie ai contatti già attivati e messi a disposizione da Casa Falconieri, ogni anno sono a disposizione due borse di studio per i giovani artisti, direttamente alla Fondazione Ciec, in una prospettiva che scavalca i

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confini nazionali. È sempre impegnativo definire stati dell’arte, ma la dimensione internazionale è spesso in grado di condurre, per fortuna, allo sguardo rinnovato. A Cagliari si assiste a un fiorire di piccole gallerie? L’arte cerca e ritrova i suoi spazi. L’intento perseguito dall’incontro è stato quello di pungolare, aprirsi e far discutere in un terreno dell’arte incisoria contemporanea che deve essere smosso. La Sardegna, per due giorni è stata ponte e nuovo punto di partenza per tentare di creare davvero circuiti d’arte, prima di tutto come fatto culturale.

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Artisti Francesco Alpigiano Nato a Nuoro dove vive e lavora. Ha compiuto i suoi studi artistici presso l’Istituto Statale d’Arte, Nuoro 1986 Nel 1999 vince il prestigioso 1° Premio al 2° Concorso di Scultura Fondazione C. Nivola, , Orani (Sardegna). E’ presente in importanti concorsi e manifestazioni d’arte in Italia e all’estero. PAOLA DESSY Nata a Sassari, in Sardegna dove vive e lavora, Dopo un esordio in campo figurativo affronta temi più ampi che approfondisce con linguaggi diversi e tecniche sperimentali. È presente nella scena artistica italiana con stampe di grande formato, dipinti, installazioni, percorsi a terra e con l’utilizzo dei più diversi materiali, libri in terracotta e spago, sculture in ceramica, marmo, trachite, plexiglass. Ha fatto parte nel 1965 del gruppo “Gruppo A” formazione della Neoavanguardia isolana e nel 1976 del “Gruppo della Rosa” di marca concettuale. Si è sempre dedicata alla divulgazione dell’arte attraverso l’insegnamento, nella scuola e suo laboratorio, e anche con l’Associazione Culturale “Stanislao Dessy” di cui è Presidente dall’anno 2000. Ha ricevuto premi e riconoscimenti sia in campo nazionale che internazionale e sue opere sono in Musei e collezioni pubbliche e private; è vincitrice del “Concorso di idee per gli arredi sacri della chiesa di S. Chiara ad Oristano”. Invitata più volte da enti, università e strutture comunali ha tenuto conferenze sull’arte. È presente ad Estampa dall’anno 2004 con i progetti di Casa Falconieri. Già docente di discipline pittoriche disegno dal vero ed incisione, ha al suo attivo numerose mostre in Italia all’estero.

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ELISABETTA DIAMANTI Nata a Roma dove vive e lavora. La sua formazione incisoria inizia nell’ambito dell’Accademia di Belle Arti di Roma con G. Strazza e presso l’Istituto Nazionale per la Grafica in Roma, con una specializzazione nella tecnica di “bulino” con J.P. Velly. Docente della cattedra di Incisione nell’Accademia di Viterbo dal 1996 al 2006 e del corso di Incisione e Stampa nella scuola del Comune di Roma dal 1996 a tutt’oggi. Partecipa ai Worksessions di incisione calcografica presso il Centrum voor grafick Frans Masereel – Kasterlee (Belgio) dal 1997 al 2003, nel 2004 alla Citè International des Arts a Parigi. Ha collaborato e organizzato con l’Università di Nantes, Bilbao, e Granada seminari specifici nell’incisione. E’ invitata, come docente, nei laboratori di ricerca di Casa Falconieri, Serdiana - CA, al Papirmuseet Silkeborg - DK. Dal 1995 la sua ricerca approfondisce il rapporto MATRICE - SUPPORTO - FORMA. Le sue opere sono conservate in collezioni pubbliche e private. NINO DORE Nato a Sassari nel 1932, ha conseguito in questa città il titolo di maestro d’arte in decorazione pittorica, compiendo gli studi nell’Istituto d’Arte “Filippo Figari”. Dal 1960 al 1963, con una borsa di studio del governo francese e una della Fondation de la Maison de l’Italie a la Citè Universitaire, si trasferisce a Parigi dove frequenta i corsi di Incisione nell’Atelier 17 della “Académie Ranson” diretti da Hayter. In questo periodo espone al “Centre Culturel International”, alla Galleria Le soleil dans la tête” e nelle collettive del “Musée National d’Art Moderne”. Successivamente rientra a Sassari e insegna all’Istituto Statale d’Arte. Intensifica la sua ricerca artistica approfondendo il valore del segno nelle sue componenti lineari e formali, ma anche nelle sue risonanze coloristiche. Espone all’VIII Quadriennale di Roma e alle più importanti esposizioni organizzate in Sardegna. Dal 1970 vive e lavora a Roma dove, lasciato l’insegnamento, si concentra unicamente nella sua ricerca pittorica e grafica.

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Angelino Fiori Nato a Osilo, vive e lavora a Sassari. Dal ’62 al ’64 soggiorna in Germania, dove si avvicina alla sperimentazione nell’ambito della stampa dei tessuti. Dal ’64 all’85 insegna Discipline Pittoriche presso l’Istituto Statale d’Arte di Sassari. Intensa la partecipazione a manifestazioni d’arte e di arte applicata. Attualmente si occupa di progettazione nel settore della grafica e dell’artigianato. Dal 2000 è presente a Madrid in Estampa - Salone Internazionale di Incisione, nei progetti sperimentali di Casa Falconieri. ERMANNO LEINARDI (1933/2006) Nato a Pontedera da genitori sardi, si stabilisce dapprima a Milano e in seguito a Genova. La sua carriera artistica inizia nella seconda metà degli anni cinquanta con opere di tipo espressionista, che lasceranno ben presto lo spazio ad un linguaggio di astrattismo concreto. ­Dagli anni sessanta ai novanta l’artista attraverso una vasta produ­zione di acquerelli, oli, acrilici e soprattutto incisioni, elabora un pro­prio segno, la “O”, e lo svolge in combinazioni e interpretazioni governate da una ferrea logica geometrica. Nel 1967 a Cagliari è cofondato­re del Gruppo Transazionale. Nei primi anni settanta si stabilisce a Roma, articolando il suo lavoro e le sue esposizioni, fra Italia, Francia, Svizzera e Germania. Rientrato in Sardegna, attraverso la fondazione di “CONCRETO” studio d’informazione estetica”, promuove una serie di esposizioni di respiro internazionale, finalizzate alla divulgazione del­l’arte non figurativa e d’avanguardia. È stato il promotore e fondatore del museo d’Arte Astratta di Calasetta. GABRIELLA LOCCI Impegnata nella sperimentazione e ricerca nelle arti visive e in particolare nel settore dei linguaggi incisori. Su commissione di enti pubblici, ha realizzato progetti di interventi nello spazio urbano. Ha fatto parte del “Gruppo Interdisciplinare di Ricerca e Sperimentazione” del Dipartimen-

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to di Scienze Matematiche dell’Università di Cagliari. Dal 1992 al 1997 è stata docente e responsabile del laboratorio di Tecniche d’Incisione e Stampa presso l’Istituto Europeo di Design di Cagliari. È presidente di Casa Falconieri, struttura di sperimentazione e ricerca che con il suo modello fortemente innovativo ha delineato nuove linee guida che ottengono riconoscimenti internazionali. 2001 è invitata in Romania dal Ministero della Cultura come “artist in residence”. Dal 2000 promuove e realizza workshops di sperimentazione e ricerca nel settore dell’incisione originale.Nel 2008 è docente, nella Facoltà di Belle Arti di Cuenca, di un “Taller de grabado experimental” e nel 2009 di un “Taller di tecnicas aditivas” nel Consorcio Goya-Fuendetodos. Nel 2010 presenta la ricerca di Casa Falconieri nel II° Encuentro de Arte Universitario IKAS-ART a Bilbao. Dal 2006 al 2010 rappresenta il Ministero della Cultura italiano nella Fondazione Teatro Lirico di Cagliari. Ha ideato e cura progetti quali “I Luoghi del Segno”, “Viaggiatori/ Viajeros, “MAT”. 2010, Madrid, Estampa XVIII Feria Internacional de Arte Multiplo Contemporaneo, premio della critica quale “miglior opera di artista vivente presente in Estampa” Sue mostre personali sono state allestite in Italia, Spagna, Belgio, Svizzera, Romania, Paraguay. E’ presente nelle importanti rassegne internazionali e nazionali dedicate all’incisione originale. Sue opere sono presenti in collezioni pubbliche e private in Belgio, Svizzera, Italia, Polonia, Spagna, Paraguay, Portogallo. MONICA LUGAS Vive e lavora a Cagliari. Si forma presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze e Carrara studiando scultura. In Germania si dedica alla progettazione e realizzazione di opere lapidee e nella città di Ingolstadt lascia una importante fontana in marmo bianco. Nel 1995 vince il Primo premio al “Concorso di scultura” della Fondazione Nivola di Orani al quale seguono partecipazioni a workshop internazionali di scultura e installazione in Austria e di incisione sperimentale presso Casa Falconieri a Serdiana (CA). Nell’ultima ricerca utilizza il linguaggio della scultura privilegiando assemblaggi di materiali sintetici, reti elettrosaldate, materiali di recupero.

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Lalla Lussu Nasce e vive a Cagliari dove si diploma al Liceo Artistico Statale, attualmente vi lavora come docente al corso di Grafica. In seguito si laurea in Storia dell’Arte Contemporanea. Nel 1971 frequenta il corso di pittura presso l’Intenatìonale Sommerarakademìe fur Bildende Künst di Salisburgo con il maestro Heinz Trökes, e nel 1989 con il maestro Jörg Immendorf. Dal 1982 al 1984 frequenta i corsi d’incisione presso l’Accademia Raffaello d’Urbino e nel 1997/1998 ai corsi avanzati d’incisione tenuti dal maestro Enk de Kramer. Recentemente ha collaborato con artisti e architetti al recupero d’alcune aree urbane della città di Cagliari, partecipando nel 2000 al progetto “Dieci artisti per il Favero” e nel 2001 al progetto “Piazza d’Arte”. Nel 2009 e nel 2010 ha preso parte alle mostre di New Design “SiediTi” e “Contenitori alT”. Dal 2003 decide di rivolgere tutta la sua attenzione e il suo impegno alla tecnica dell’acquarello, partecipando alle mostre “RAMADURA”, “Carte…Carte”, “Bianco come la Pece”, “Architetture di terra, architetture d’aria”, “Riflessi” fino all’ultima mostra personale del 2011 dal titolo “I fiori sbocciano…presto raggiungerò il bosco”. Antonio Mallus

 Nel 1976 si diploma presso il liceo Artistico Statale di Cagliari; trasferitosi a Firenze lo stesso anno, termina gli studi in Pittura presso l’Accademia di Belle Arti nel 1980. 
Inizia ad insegnare immediatamente presso il Liceo Artistico. Attualmente risiede e opera a Quartu Sant’Elena. 
I suoi campi di ricerca sono: Arazzopitture 1978 (stracci su tela); Monocromia – tributi - 1978 (Piero Manzoni); Policromia – olii (Keropitture); Monocromi – smalti rosa e celesti 1978/80; 1982 Graffittogrammi, Polychrom –Ecoline (1980); 1990 Implosioni Esplosioni - Olii; 1991 Geometrie Mistiche - Geometrie Simboliche; 1992 Paesaggi neoinformali – monocromi, policromi. 
Sino ad oggi predilige dipingere olii su tela ed ecoline su cartoncino, dal 2002 ha ripreso saltuariamente ad incidere grazie a Casa Falconieri, su invito di Gabriella Locci.

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Maria Grazia Medda Inizia la sua attività artistica alla fine degli anni settanta. Nel 1980 frequenta un corso all’Accademia di Belle Arti di Perugia. Contemporaneamente segue un corso di incisione presso la stamperia “ L’ Aquilone “. Dal 1988 al 1995 aderisce e partecipa al movimento “ Plexus “. Approfondisce la pratica dell’arte incisoria, partecipando al primo ed al secondo stage avanzato, sotto la guida di maestri quali Giovanni Job ed Enk de Kramer, presso l’ Exma di Cagliari. Nel 1999, per il comune di Pula, Assessorato alla Cultura, organizza “ Arte Evento Creazione “, rassegna di Installazioni, Musica, Teatro, Recital, Video, Proiezioni e Performing Art. Nel 2000 durante un lungo soggiorno in Argentina, lavora presso l’ atelier dello scultore Rafael Martin, confrontandosi con diversi artisti locali. Wanda Nazzari E’ direttore artistico del Centro Man Ray, spazio polivalente di ricerca contemporanea. Studi umanistici, pittrice e performer. Realizza interventi installativi per il teatro. Progetta e dirige numerosi eventi multimediali (Percorsi dello Spirito, Stanze, Imperfetto Futuro, Attraversamenti). Ha creato opere performative (Fessura di tempo, Sonora, Se il grillo resta udibile, Listen!). Primo PANTOLI Primo Pantoli, pittore, scultore, incisore, scenografo, è nato a Cesena (Forlì)nel 1932. Nel 1950 si trasferisce a Firenze, dove alterna la pittura agli studi letterari. Nel 1957 si stabilisce in Sardegna, dove insegnerà discipline artistiche al Liceo Artistico di Cagliari fino al 1990. E` stato tra i fondatori dei primi gruppi di arte di avanguardia in Sardegna (Studio ’58 nel 1958; Gruppo di Iniziativa, nel 1961; Centro di Cultura Democratica, nel 1967). Ha pubblicato scritti e disegni su quotidiani e periodici, articoli di critica d’arte su L’Unità , il Tempo

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e L’Unione Sarda; è stato disegnatore satirico di Rinascita Sarda e di Sardegna Oggi. Espone un po’ ovunque, in Italia e all’estero dal 1952. Incide e stampa opere di xilografia, acquaforte, puntasecca. Ha progettato un centinaio di manifesti per manifestazioni culturali e politiche, scenografie per il teatro e la televisione (Rai 3), allestito sale e piazze per congressi e conferenze. Dall’anno 2000 si dedica anche alla scultura,usando materiali diversi, dal bronzo, al gesso, all`acciaio inox. Paola Porcedda Nata in Sardegna . Nel 1998 si è diplomata nel corso di Pittura all’Accademia di Belle Arti di Sassari. Attualmente vive e lavora a Cagliari dove insegna Discipline Pittoriche al Liceo Artistico Statale di Cagliari. Roberto Puzzu Vive e lavora a Sassari, dove è nato e ha compiuto gli studi presso il locale Istituto Statale d’Arte, del quale, per un circa un decennio, è stato docente di Discipline Pittoriche. Attualmente è direttore del Liceo Artistico di Sassari.Si occupa di progettazione nei settori della grafica e della produzione artigiana legata all’accessorio per l’abito.La produzione attuale vede, in abbinamento alle tecniche tradizionali della pittura e dell’incisione, l’uso di tecnologie informatiche complesse per l’elaborazione e la produzione delle immagini. Sue opere sono presenti in collezioni pubbliche e private in Italia e all’Estero. Rosanna Rossi Nata nel 1937 a Cagliari dove vive e lavora. Compiuti gli studi presso L’istituto d’Arte Zileri di Roma rientra nell’isola nel 1958. Dopo le prime esperienze all’interno delle attività di Studio 58, caratterizzate da una figurazione espressiva, alterata da suggestioni materiche, la sua ricerca si orienta nel decennio successivo verso un’astrazione che

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fa interagire reminescenze naturalistiche nell’uso del colore con le connotazioni segniche di matrice informale. Gli sviluppi successivi, pur con periodici sconfinamenti nell’ambito del ready-made, mantengono questa ambivalenza progettuale, oscillando costantemente tra un ordine costruttivo di ascendenza concreta e soluzioni materico-espressive dell’astrazione neoinformale. Docente al liceo artistico dal 1968 al 1983, ha insegnato in vari corsi di specializzazione e dal 1984 al 1990 all’Istituto Europeo di Design. Dal 1970 inizia ad occuparsi di installazioni permanenti in spazi pubblici. Il suo lavoro continua a scandagliare i linguaggi tradizionali ma all’interno di una figurazione inusitata. In parallelo al proprio linguaggio pittorico identifica nuove possibilità espressive ottenute con materiali poveri, trovati, diversamente utilizzati, scavalca la tradizione precedentemente espressa. Piero Zedde Nasce a Carbonia. Dopo gli studi artistici,consegue a Cagliari l’abilitazione all’insegnamento al quale dedica alcuni anni. Successivamente è responsabile del coordinamento del settore tecnico e artistico presso l’I.S.O.L.A.

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Casa Falconieri Sede Legale Via Lagrange, 6 - Cagliari Atelier: Via Monsignor Saba, 16 - Serdiana (CA) Tel. +39.070.742343 - +39.347.1095801 www.casafalconieri.it mail: casafalc@tiscali.it

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