Dopo la pandemia quale modello di sviluppo?

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Anno XXX • numero 1/2021

Dopo la pandemia

?

Quale modello di sviluppo

anno•XXX numero•1/2021

DOPO LA PANDEMIA QUALI MODELLI DI SVILUPPO?

Numero 1/2021 anno XX Autorizzazione Tribunale di Genova n. 27 del 3 agosto 1991 Centro in Europa – Centro di iniziativa europea Via dei Giustiniani 12/4 -16123 Genova tel. 010 2091270 ineuropa@centroineuropa.it - http://www.centroineuropa.it Facebook: @CentroinEuropa Twitter: @CentroInEuropa Direttore responsabile: Fabrizio De Ferrari Realizzazione a cura di Carlotta Gualco, direttrice del Centro in Europa Immagine di copertina: elaborazioni da mappe dell’Earth Observatory © NASA

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Sommario Editoriale Carlotta Gualco, direttrice del Centro in Europa

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Quali modelli di sviluppo dopo la pandemia?

Il nostro modello? Un’Unione europea più forte Brando Benifei, parlamentare europeo, capo delegazione PD/S&D

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Per un’Europa confederale più vicina ai cittadini Carlo Fidanza, parlamentare europeo, capo delegazione FdI/CRE

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L’economia di Francesco Davide Penna, professore di Filosofia e Storia Liceo Classico e Linguistico G. Mazzini (Genova)

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Oltre il capitalismo consumista. Nuovi modelli di sviluppo Lorenzo Basso, imprenditore, responsabile Scuola di Politiche Liguria

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Transizione ecologica e Modello economico Ezio Andreta, coordinatore del progetto Foresight del CNR

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Rompere il paradosso dello sviluppo: l’Europa accetta la sfida Ferdinando Boero, ordinario di Zoologia, Università di Napoli Federico II

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Nuovi Modelli di Sviluppo? Non più senza guardare alle Disuguaglianze Stefania Paredes Fuentes, professore associato, Università di Warwick

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La minaccia del nuovo capitalismo egemone Roberto Speciale, presidente del Centro in Europa

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Le vere radici dell’Europa (cristiana e solidale) secondo il cardinale Bagnasco Franco Manzitti, giornalista

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Cantieri d’Europa Il ruolo dell’UE nel mondo dovrebbe essere al centro della Conferenza sul futuro dell’Europa Mario Telò, professore alla LUISS e all’Università Libera di Bruxelles

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La Procura Europea e i “reati federali” Giuseppe M. Giacomini, avvocato in diritto euro unitario e penale

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Green Deal e siderurgia italiana Marco Vezzani, presidente Federmanager ASDAI Liguria

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Lettura e digitale, uno sguardo post pandemia Gabriella Dodero, già professoressa di Informatica presso la Libera Università di Bolzano

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Imprese verdi, sostenibili, ecologiche. Ma sarà vero?

Eugenio Piovano, esperto ambientale

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Direttiva copyright, un primo passo per fronteggiare i colossi digitali Carlo Perrone, vicepresidente di GEDI Gruppo Editoriale Spa, Board Associazione Europea degli Editori Giornali

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La lotta tutta europea alla disinformazione Matteo Fugazza, studente universitario, presidente dell’associazione Caffè Lanterna

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Essere donne e lavorare oggi Luisella Dellepiane, consulente del lavoro specializzata nella gestione delle risorse umane

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Rubriche Uno spazio per la scuola Il Green Deal per il mio lavoro di insegnante Roberta Bottaro, docente di scuola superiore

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Spazio Centro Europe Direct Genova Il Centro Europe Direct del Comune di Genova: una storia di successo Gianluca Saba, responsabile Ufficio Relazioni Internazionali, Comune di Genova

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EDITORIALE

Dopo la pandemia, quale modello di sviluppo?

CARLOTTA GUALCO - direttrice del Centro in Europa

Mentre “chiudiamo” questo numero di in Europa, il governo italiano si sta apprestando a presentare il suo Recovery Plan – Piano nazionale di ripresa e resilienza – alla Commissione europea. Il presidente del Consiglio Draghi ha chiamato la presidente della Commissione mettendo il proprio nome a garanzia che

le riforme si faranno e così tacitare le richieste di chiarimenti e dettagli dei nostri interlocutori di Bruxelles.

Sono combattuta tra la fiducia che l’Italia ce la farà a cogliere la “storica opportunità” di cambiare grazie al nuovo quadro europeo e il timore di una delusione, una delle tante che ci ha riservato la storia degli ultimi decenni del nostro Paese. Il Mezzogiorno sempre in crisi, l’occupazione femminile tra le più basse d’Europa, l’amministrazione pubblica che spesso non funziona o arranca (si veda la giustizia), l’evasione fiscale e la corruzione ancora troppo diffuse, le infrastrutture carenti. Partiti litigiosi e troppo spesso autoreferenziali. Le ignobili giustificazioni del concessionario autostradale per la mancata manutenzione del viadotto Morandi fanno ancora più male a chi quella tragedia se l’è vista più vicina perché genovese. L’ombra della corruzione e dell’italico esser furbetti si allunga anche sulla gestione della pandemia, che pure ha registrato così tante storie di sacrificio, impegno, generosità.

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EDITORIALE

D OPO

LA PANDEMIA , QUALE MODELLO DI SVILUPPO ?

Eppure questo numero di in Europa vuole scommettere sulla speranza di un cambiamento. L’emergenza sanitaria ha messo allo scoperto la nostra fragilità, gli effetti della violazione del rispetto della Natura (le cd zoonosi) e quindi quanto sia preziosa la vita di noi esseri umani e delle altre creature. Insomma la necessità di cambiare il nostro modello di sviluppo.

Così lo scorso marzo abbiamo organizzato un primo confronto tra il modello dell’Unione europea di uno sviluppo verde, sostenibile e inclusivo (Brando Benifei), quello proposto dal Papa con l’Economia di Francesco (Davide Penna) e alcuni modelli economici che mettono in discussione il capitalismo puro (Lorenzo Basso, cui è seguito Ezio Andreta). Si sono aggiunti i contributi di Ferdinando Boero, appassionato e lucido sostenitore della necessità di mettere al centro dello sviluppo la tutela degli ecosistemi e della biodiversità, Stefania Paredes Fuentes che dall’Università di Warwick sottolinea il peso crescente delle diseguaglianze e l’urgenza di farvi fronte. È un vero grido di allarme quello di Roberto Speciale, che coglie l’avanzata sempre più pericolosa per la nostra libertà di una nuova forma di capitalismo, basato sulla rete e gli algoritmi.

Il ritratto dell’Unione europea che scaturisce da questo numero è in chiaroscuro.

Da riformare in senso confederale (e non federale) per Carlo Fidanza. Dimentica delle sue vere radici per il cardinale Bagnasco, intervistato da Franco Manzitti, animata da buone intenzioni ma ancora

troppo tecnicistica per Basso, non incisiva per Speciale.

L’Europa effettivamente arranca dietro gli Stati Uniti di Biden che stanzia risorse imponenti per la ripresa, attua una campagna vaccinale rapida e incisiva, si riprende la scena internazionale rilanciando l’alleanza tra democrazie per contrastare lo strapotere cinese e proponendo in ambito G20 una tassa minima globale per le imprese (anche per recuperare gettito dalle multinazionali).

Ma pur sempre qualcosa in Europa è cambiato: la mole delle risorse finanziarie messe in campo dall’Unione, le modalità per raccoglierle ricorrendo ad una massiccia emissione di obbligazioni europee non hanno precedenti. La scelta di scommettere sulle nuove generazioni attraverso il paradigma ambientale e digitale offre la speranza di una soluzione per l’ILVA di Taranto (Marco Vezzani) e un sostegno alla cultura digitale (Gabriella Dodero). Avanzano altri cantieri: la Procura europea (Giuseppe Giacomini), la protezione del giornalismo di qualità (Carlo Perrone), la lotta alla disinformazione (Matteo Fugazza), i criteri per definire la sostenibilità delle attività economiche (Eugenio Piovano).

La Conferenza sul futuro dell’Europa avrà tanta più possibilità di successo – e cioè di innestare un ulteriore cambiamento dell’UE – quanto più sarà partecipata da noi cittadini con il sostegno di istituzioni, associazioni e reti come quella dei Centri Europe Direct. La riconferma del Centro di Genova presso il Comune di Genova è in questo senso una piccola bella notizia (Gianluca Saba).

D OPO

Lukasz Kobus © Unione europea 2019 Fonte: CE

Ci auguriamo che la Conferenza possa davvero essere, come auspica Mario Telò, l’occasione per rilanciare, in uno scenario mondiale multipolare, l’UE quale potenza civile, fautrice di politiche e scelte condivise tra Stati, organizzazioni internazionali e reti della società civile.

Il senso di questa condivisione, nella nostra dimensione locale, lo esprime bene Roberta Bottaro parlando dei suoi studenti alle prese con il Green Deal Europeo: “Occorre che ciascuno senta di essere parte di un progetto che è forte

Sciopero per il clima, Bruxelles, 2019

EDITORIALE

LA PANDEMIA , QUALE MODELLO DI SVILUPPO ?

dell’adesione di milioni di persone ma, al contempo, lo riguarda e lo impegna direttamente, un progetto che deve essere attuato e difeso nella nostra quotidianità.”

Come il precedente, questo numero nasce dalla partecipazione di tanti. Oltre alle Autrici e agli Autori vorrei rivolgere un ringraziamento particolare a Maria Pia Bozzo, Gianfranco Uber, Matteo Rando, Myriam Sanasi, e al paziente e schivo grafico della rivista Stefano Roffo.

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Quali modelli di sviluppo dopo la pandemia?

Il nostro modello? Un’Unione europea più forte

Philippe BUISSIN © Unione europea 2020 - Fonte: PE

BRANDO BENIFEI, parlamentare europeo, capo delegazione PD/S&D

Ringrazio il Centro in Europa per l’impegno costante nel trattare temi europei.

Oggi che di Europa si parla molto, c’è un grande bisogno di parlarne con competenza e conoscenza.

Il tema dei Recovery Plan è stato affrontato in molti modi dalla politica, dalla stampa, dal dibattito pubblico. Vorrei fare un po' di chiarezza, soprattutto su alcuni punti fondamentali.

Il Next Generation EU, che include il

Piano di ripartenza, è composto essenzialmente di progettualità nazionali. Non ci troviamo di fronte ad un bilancio comunitario tradizionale.

Sono stato relatore sul Fondo Sociale Europeo Plus e anche sul Programma per il mercato unico, un programma importante che contiene per esempio lo strumento COSME, utilizzato dalle imprese per l’accesso al credito, l’internazionalizzazione, ecc.

Il bilancio tradizionale lo abbiamo, e c'era prima della pandemia. C'è ancora -lo abbiamo approvato per il periodo 2021/2027- e presenta le note priorità e i programmi che conosciamo, inclusi i Fondi Strutturali e di Investimento, gestiti a livello nazionale e regionale e quelli a gestione diretta, come Erasmus, Horizon, Life ecc. Questo è il mondo dei fondi europei che conoscevamo fino ad oggi.

Il Piano di ripresa Next Generation EU è invece stato frutto di una scelta diversa.

All'inizio della pandemia si è scelto di cambiare o perlomeno sospendere temporaneamente, ma per tempi non brevi,

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QUALI MODELLI DI SVILUPPO DOPO LA PANDEMIA? NOSTRO MODELLO ?

le regole di funzionamento del Patto di stabilità e crescita e le regole sugli aiuti di Stato. È un aspetto importante, che va collegato al resto per capire il quadro generale. Quelle scelte, assunte tra marzo e aprile 2020, hanno consentito ad esempio al ministro dell’Economia Gualtieri di prevedere garanzie statali per i prestiti alle imprese altrimenti impossibili. Quelle scelte, che hanno permesso di fare molto extra deficit e di concedere alcuni aiuti di Stato che prima non erano possibili, le abbiamo fatte in tutti i Paesi europei. Ma non tutti gli Stati avevano le stesse possibilità di indebitamento e gli stessi margini di manovra degli altri. La Germania, la Danimarca e l'Olanda, per citare tre Paesi con una situazione debitoria pregressa molto migliore dell'Italia, ne avevano decisamente di più. La Germania, per esempio, se n'è “approfittata” al punto da fare molto più aiuto di Stato dell'Italia in quella fase e anche nei mesi successivi. Come ha potuto? Perché questo Paese ha la possibilità di fare scostamenti di bilancio superiori a quelli fatti in Italia, che a noi appaiono già molto significativi.

Il Piano di ripresa è esattamente il Next Generation EU realizzato con un debito comune e in stretto collegamento con una sospensione temporanea del Patto di stabilità che consente a Paesi come l’Italia di raggiungere livelli di indebitamento altrimenti impossibili.

All'inizio della crisi, come Parlamento europeo, avevamo avanzato una proposta differente, quella dei coronabond. Tutto il debito che si sarebbe fatto in più per reagire agli effetti del coronavirus sarebbe

U N ’U NIONE

EUROPEA PIÙ FORTE

stato mutualizzato; un po’ di più di quello che abbiamo realmente fatto. Si è infatti deciso di prevenire un debito aggiuntivo nazionale con un debito comune. L'Italia riceverà più di 200 miliardi attraverso prestiti agevolati e anche sussidi, quindi a fondo perduto: una cifra che è la più grande di tutta la torta del Recovery plan a livello europeo. Queste risorse non le prende a debito al livello nazionale ma le può ottenere grazie a un meccanismo finanziario comune che prima non c'era.

Si tratta di una sostituzione del debito nazionale che è il modo per evitare una divergenza fiscale fra i Paesi europei altrimenti insostenibile: se l'Italia queste cifre le avesse dovute produrre con un debito proprio avrebbe sfondato il tetto del 200% di debito pubblico. Abbiamo quindi messo in piedi un meccanismo tale da condurre, grazie a una copertura comune, alla sostenibilità dello sforzo finanziario enorme che è necessario per far ripartire i nostri Paesi.

Oggi in Italia abbiamo la necessità di fare un piano nazionale adeguato alle priorità indicate anche dal livello europeo: sostenibilità ambientale, innovazione tecnologica, questione sociale, in particolare il tema dell’occupazione femminile e giovanile, e altri temi ancora. E, lo dico da convinto federalista europeo, abbiamo la necessità di far sì che questo grande sforzo di incremento della sovranità condivisa in questo caso una sovranità di investimento di ripartenza-, vada avanti e non torni indietro. Perché il rischio che la macchina si fermi o addirittura arretri esiste.

Il Piano di ripresa potrebbe non essere

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QUALI MODELLI DI SVILUPPO DOPO LA PANDEMIA?

IL

NOSTRO MODELLO ?

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EUROPEA PIÙ FORTE

un successo, e ciò potrebbe dipendere anche da come verrà utilizzato in Italia, Spagna e Francia, i Paesi che ne hanno il pezzo più grande. Avrà un effetto forte sulla ripresa della crescita? Ricordiamoci che l'Italia era un Paese che cresceva poco, anche prima della pandemia, e che ha importanti questioni strutturali da affrontare. È importante realizzarle usando queste risorse, perché le riforme buone, che non si limitano a praticare dei tagli, costano. Magari conducono poi ad un risparmio ma all'inizio richiedono un investimento. Un Piano ben costruito rappresenta per l’Italia allo stesso tempo una responsabilità e una opportunità.

Il rilancio e la necessità di non di fermare

la macchina della trasformazione dell'Europa devono essere al centro della Conferenza sul futuro dell'Europa che si apre il 9 maggio. Finalmente inizia questo esercizio di dibattito per riformare l'Unione europea. Dobbiamo portare in quella sede anche il tema dello Stato di diritto. Sono intervenuto in aula al Parlamento europeo in proposito. Finalmente, entrerà in vigore, un po’ in ritardo a causa del Consiglio, un meccanismo che vincolerà, almeno in parte, l'utilizzo dei fondi europei di questa programmazione al rispetto dello Stato di diritto. Si tratta di uno strumento nuovo e innovativo che servirà a tutelare il bilancio dell’Unione dall’azione dei governi che deliberata-

Etienne Ansotte © Unione europea 2021 Fonte: CE

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QUALI MODELLI DI SVILUPPO DOPO LA PANDEMIA? NOSTRO MODELLO ?

Jonathan Nackstrand © Unione europea 2020 Fonte: CE

mente decidono di discostarsi dai valori fondanti dell’UE. La Conferenza sarà l’opportunità di riformare il funzionamento dell'Unione sapendo che su alcuni temi, come quelli sociali e della sanità, le persone oggi si affidano alla possibilità di un'Unione più sovrana e più forte. Lo sforzo finanziario comune va completato con la costruzione di una fiscalità comune che chieda di più ai giganti del digitale, agli inquinatori extraeuropei che poi vendono nel nostro mercato, alla finanza speculativa. Solo la forza dell’Europa può ottenere una perequazione fiscale cui i singoli Stati non possono arrivare.

Il Parlamento europeo ha ottenuto che ci

Tram a Stoccolma

U N ’U NIONE

EUROPEA PIÙ FORTE

sia una plenaria della Conferenza che, riunendo parlamentari europei, parlamentari nazionali, governi, dia il senso di un grande esercizio istituzionale di confronto.

Un’altra conquista del Parlamento europeo è che le conclusioni della Conferenza non saranno indirizzate solo al Consiglio, com’era in un primo momento, ma anche ad esso e alla Commissione, perché possano tradursi in iniziative politiche.

Oggi il dibattito pubblico sull’Europa è cambiato: l'euroscetticismo di prima si è trasformato in ansia ed urgenza di un'Europa più forte. Ci sono insomma grandi potenzialità e noi ci batteremo soprattutto perché diventino conquiste concrete.

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QUALI MODELLI DI SVILUPPO DOPO LA PANDEMIA?

“Riscaldamento globale”, di Gianfranco Uber https://gianfrancouberblog.blogspot.com/ http://www.gianfrancouber.eu/ https://www.affarinternazionali.it/blog/humo-uber/ https://www.facebook.com/gianfranco.uber/ https://twitter.com/gfuber/

QUALI MODELLI DI SVILUPPO DOPO LA PANDEMIA?

Per un’Europa confederale più vicina ai cittadini

Michel CHRISTEN © Unione europea 2020 - Fonte: PE

CARLO FIDANZA, parlamentare europeo, capo delegazione FdI/CRE

La pandemia da COVID-19 ha messo in luce tutte le lacune e le contraddizioni dell’Unione europea.

Se si vuole dare nuova linfa al processo di integrazione è fondamentale ripristinare il primato della politica sull’economia attraverso il superamento definitivo

di Maastricht e l’abbandono delle politiche di austerità. È necessario promuovere la solidarietà con strumenti monetari e fiscali innovativi volti al perseguimento del benessere dei cittadini. Tutto il contrario di iniziative quali il MES che chiedono sacrifici enormi alle popolazioni coinvolte legando le mani ai governi nazionali.

Serve difendere l’economia reale contro l’economia fondata sulla finanza. Realizzare un’autentica economia sociale di mercato, incentrata sul “capitale umano”, sulla tutela delle tecniche di lavoro tradizionali e la valorizzazione delle specificità dei territori e dei prodotti tipici.

Bisogna promuovere alti standard sociali e ambientali senza inseguire obiettivi irrealistici come il “Green deal”. Valorizzare il ruolo dell’imprenditore che investe e produce eliminando la burocrazia eccessiva. Contrastare lo strapotere delle multinazionali cancellando le pratiche fiscali scorrette applicate in alcuni Stati membri. Concentrare le risorse econo-

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QUALI MODELLI DI SVILUPPO DOPO LA PANDEMIA?

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UN ’E UROPA CONFEDERALE PIÙ VICINA AI CITTADINI

miche comuni solo su pochi, chiari, obiettivi che possono essere raggiunti soltanto a livello Europeo. Penso soprattutto al tema delle infrastrutture e dei trasporti, della ricerca, del digitale, dello spazio e della difesa.

L’UE deve concentrarsi oltre che sulla difesa dei confini esterni anche sul perseguimento della sua indipendenza industriale e militare e sulla protezione dei suoi settori economici strategici. La crisi del COVID-19 ha sottolineato drammaticamente la nostra dipendenza da paesi extra-UE per la produzione di medicinali e materiale medico. Dobbiamo dotarci degli strumenti per evitare che ciò accada di nuovo anche attraverso la ridefinizione delle catene di approvvigionamento.

Purtroppo le risposte delle istituzioni comuni sono state fino ad oggi insufficienti e tardive.

Il problema principale è che a Bruxelles si vuole perseguire un unico modello di sviluppo calato dall’alto, ispirato dal “pensiero unico europeista” e da una visione ideologica dell’ambientalismo. Strategie come la “Farm to Fork” sono infarcite di buone intenzioni ma nei fatti sono spesso distanti dalle reali esigenze del mondo produttivo e finiranno per indebolire ulteriormente l’agricoltura europea. Iniziative come il “Nutriscore” sono addirittura deleterie per il comparto agroalimentare Italiano.

Come Fratelli d’Italia abbiamo sostenuto con convinzione la decisione di contrarre del debito comune a livello di UE per far fronte all’emergenza. Ma nel corso dei mesi quello che doveva essere un piano

per la ripresa è diventato qualcosa di diverso. Le tempistiche del “Recovery plan” sono troppo lunghe. Vi è un eccessivo peso della componente prestiti rispetto agli stanziamenti a fondo perduto e una grande incertezza relativa alle risorse proprie, che rischiano di trasformarsi in nuove tasse dirette o indirette su cittadini e imprese. Inoltre vi è una notevole discrezionalità della Commissione sulle cosiddette riforme strutturali richieste ad ogni nazione al quale si aggiunge il convitato di pietra del meccanismo per il rispetto dello Stato di diritto.

Sul fronte della strategia comune per la vaccinazione abbiamo assistito ad un fiasco totale. La Commissione ha commesso due errori cruciali: ha firmato contratti con le case farmaceutiche senza garanzie sufficienti sulle consegne e ha atteso troppo tempo prima di firmare questi contratti e si è trovata scavalcata da altri paesi. Il risultato è che l’obiettivo di avere il 70% della popolazione europea vaccinata prima dell’estate non sarà facile da raggiungere.

Superata l’emergenza sanitaria sarà necessario promuovere un profondo cambiamento e rifondare l’UE. La Conferenza sul futuro dell’Europa, per come è stata impostata, sembra servire a riproporre la stessa soluzione preconfezionata di sempre. Il concetto di una “Unione sempre più stretta”, così come sancito nei Trattati, rischia di trasformarsi nel mantra di coloro i quali ritengono che la risposta alle sfide comuni sia una sempre maggiore cessione di sovranità dal livello nazionale a quello sovranazionale.

QUALI MODELLI DI SVILUPPO DOPO LA PANDEMIA? UN ’E UROPA CONFEDERALE PIÙ VICINA AI CITTADINI

Aurore Martignoni © Unione europea 2020 Fonte: CE

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L’obbiettivo politico dei Conservatori europei è quello di una ridefinizione delle competenze dell’Ue. Mentre i federalisti stanno cercando di promuovere una Nazione europea al posto delle Nazioni eu-

ropee, noi vogliamo un’Europa confederale. Serve un reale dibattito per valutare le attuali politiche dell’Ue e identificare le sue debolezze e i punti di forza. In particolare serve un’analisi alla luce del rispetto dei principi di proporzionalità e di sussidiarietà. Dobbiamo perseguire un progetto politico ambizioso ma realistico.

Le aspettative dei cittadini nei confronti dell’Ue sono aumentate nel corso degli ultimi decenni. Molte delle loro critiche odierne sono rivolte alle sue intromissioni nelle competenze nazionali e alla percezione che da Bruxelles si voglia imporre un cosiddetto pensiero unico che non tiene in debita considerazione le differenze culturali, sociali ed economiche che rappresentano il vero tesoro del nostro continente.

Nel frattempo, da diversi anni ormai, i cittadini europei si lamentano per la mancanza di azione coordinata di fronte alle sfide comuni poste dall’immigrazione, dall’islamismo radicale, dalla concorrenza della Cina, dalla crisi demografica. È giunto il momento di ascoltarli e di cambiare l’Unione europea.

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QUALI MODELLI DI SVILUPPO DOPO LA PANDEMIA?

L’economia di Francesco DAVIDE PENNA, professore di Filosofia e Storia - Liceo Classico e Linguistico G. Mazzini (Genova)

Sono lieto di presentare L’economia di Francesco, un progetto il cui direttore scientifico è il professor Luigino Bruni, docente di economia sia alla LUMSA (Libera Università Maria Santissima Assunta) sia all’Istituto universitario So-

phia. Oltre che essere stato mio professore, è anche mio amico e lo abbiamo avuto ospite a Genova in diverse occasioni.

Papa Francesco, nel messaggio pronunciato in occasione dell’apertura di questo progetto, nel novembre 2020, ha voluto definire non tanto un evento puntuale quanto un processo. Potremmo dire un processo di sviluppo di una mentalità.

Già dal nome richiama il carisma di San Francesco d’Assisi e per questo l’apertura si è tenuta in quella città. Questo processo di cambiamento di sviluppo, di ripensamento dell’economia, ma anche della società e della cultura, scaturisce da una serie di interventi precedenti, come l’enciclica Laudato si’ di Papa Francesco del 2015 ma anche da una tradizione economica che alcuni organizzatori, tra cui Luigino Bruni, Stefano Zamagni, Leonardo Becchetti e tanti altri, definiscono economia civile. Si tratta di quella tradizione di pensiero economico che si è sviluppata a partire dal ‘700, soprattutto grazie ad alcuni eco-

QUALI MODELLI DI SVILUPPO DOPO LA PANDEMIA?

L’ECONOMIA DI FRANCESCO

© Unione europea 2021 Fonte: CE

nomisti appartenenti all’Illuminismo italiano, primo tra tutti Antonio Genovesi, ma anche altri -Dragonetti, Galiani- che mettevano al centro della riflessione economica non tanto i concetti di competizione e di sviluppo indefinito quanto quelli di beni comuni, beni relazionali e non beni di consumo, felicità pubblica.

Queste le parole chiave, specialmente nella riflessione di Genovesi, che è stato anche il primo ad avere in Europa una cattedra di Economia, all’Università Federico II di Napoli.

L’economia di Francesco vuole tentare di mettere insieme giovani ed esperti, economisti ma anche change maker di

22 aprile 2021, il giorno della Terra

tutto il mondo per tentare, appunto, di ripensare il modello di sviluppo economico, sociale e culturale. Tra gli economisti intervenuti, oltre ai già citati Bruni, Becchetti e Zamagni, ricordo Suor Alessandra Smerilli, Mauro Magatti, Carlo Petrini, Gaël Giraud, economista francese gesuita, il teologo Leonardo Boff.

Questo processo si struttura nei cosiddetti dodici villaggi, che trattano diverse tematiche, come per esempio Management and Gift, Finance and Humanities, Work and Care, Women for Economy.

Occupandomi di un gruppo di lavoro chiamato economia disarmata, promosso in particolare dalla rivista Città nuova e dal redattore Carlo Cefaloni, faccio parte del villaggio Business and Peace, dove si tenta di ripensare un modello di sviluppo economico in cui la pace sia la chiave, disinnescando quello che Papa Francesco, e prima di lui anche Benedetto XVI nell’enciclica Caritas in veritate, enunciano come un vero e proprio cortocircuito del nostro modello economico: cioè quello di aver legato lo sviluppo economico al disastro umanitario.

Ciò che sta accadendo in questi ultimi anni con la guerra in Siria e nello Yemen è qualche cosa per molti aspetti di pericolosamente nuovo, perché qui il disastro umanitario ha raggiunto delle vette davvero molto pericolose. Quindi ripensare lo sviluppo economico facendo leva sulla pace, sulla riconversione industriale, rappresenta delle necessità quanto mai impellenti.

Per brevità mi rifaccio a tre parole che ha usato il Papa nel suo messaggio

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QUALI MODELLI DI SVILUPPO DOPO LA PANDEMIA?

L’ECONOMIA DI FRANCESCO

d’apertura: vocazione, cultura e patto.

Erano parole rivolte ai partecipanti di questa realtà ma possono indirizzarsi a tutti coloro che si riconoscono in questa necessità di ripensare il modello di sviluppo economico.

Vocazione: chi in qualche modo è sensibile a questi temi deve sentirsi chiamato a un cambiamento, un cambiamento che è difficilmente rimandabile e che la crisi pandemica che stiamo vivendo ha rimesso al centro con forza. Una vocazione a quella che Papa Francesco chiama la ecologia integrale, che mette assieme lo sviluppo umano, il benessere dell’umanità, specie dei più esclusi, con la salvaguardia dell’ambiente, e quindi con il concetto di sviluppo sostenibile nel quale l’umanità del presente non minaccia l’umanità del futuro, le nuove generazioni.

Cultura: cioè la diffusione della necessità di questa ecologia integrale.

Infine, un Patto tra i contraenti che si riconoscano in questa impostazione, alla luce del concetto già ricordato di economia civile, in base al quale il mercato va considerato come un luogo in cui si realizza l’essere umano, votato per natura alla reciprocità, alla fraternità. È sempre una proposta di economia di mercato

in cui però, al posto della competizione, del gioco a somma zero per cui ci deve essere sempre uno che guadagna sull’altro, si propone un modello in cui il mercato è il luogo della fraternità, della reciprocità, del mutuo vantaggio.

Su queste basi generali, i diversi villaggi lavorano su una serie di proposte approfondite, che si possono in parte seguire anche sui social del progetto, dal canale Youtube alla pagina Facebook.

Questo progetto ha scelto il carisma francescano come icona, lo stesso che ispira il magistero di Papa Francesco, dal nome che ha scelto alla Laudato si’.

Si riconosce come ingrediente essenziale per il futuro dell’umanità un carisma che dedica particolare attenzione alla cura del più debole, dell’escluso, dello svantaggiato. E allo stesso tempo questa cura si lega alla meraviglia verso il creato e verso gli altri esseri umani. Una meraviglia che nasce dall’esperienza della povertà. Come spesso sottolinea Luigino Bruni, non da una povertà negativa, malvagia, cioè la povertà imposta. Una povertà invece scelta, ovvero quell’atteggiamento di radicale nudità rispetto alla vita, che implica vivere come se nulla fosse proprio e quindi una povertà scelta come vocazione.

QUALI MODELLI DI SVILUPPO DOPO LA PANDEMIA?

Oltre il capitalismo consumista.

Nuovi modelli di sviluppo LORENZO BASSO, imprenditore, responsabile Scuola di Politiche Liguria

Per introdurre questa mia breve riflessione, vorrei iniziare citando quelli che sono universalmente considerati i cinque megatrend su cui valutare i campi di investimento futuri. Sono i trend che maggiormente influenzeranno la Terra nell’orizzonte 2050-2060: rivoluzione

tecnologica prodotta dalla quarta rivoluzione industriale; andamento demografico e conseguenti cambiamenti sociali; cambiamento degli equilibri economici a favore dei mercati emergenti e delle economie in via di sviluppo; cambiamento climatico e scarsità delle risorse; rapida urbanizzazione quale conseguenza/causa delle migrazioni.

Gli attuali modelli di sviluppo, sia prima sia dopo l’esplosione della pandemia sanitaria dovuta al Covid19, indicano una crescente concentrazione di ricchezza nelle mani di pochi e un aumento delle diseguaglianze fra super-ricchi e classe media ma anche fra i poveri e i poverissimi. Spesso non vediamo la dimensione di questi fenomeni perché ragioniamo in termini localistici, mentre i grandi cambiamenti stanno avvenendo su scala globale. Il recente viaggio di Papa Francesco ci porta a riflettere anche su questo: mentre noi siamo sempre più concentrati su ciò che avviene qui nel mondo “occidentale”, dimentichiamo che ciò che influenza e influenzerà il nostro Paese domani sta avvenendo oggi

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QUALI MODELLI DI SVILUPPO DOPO LA PANDEMIA?

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IL CAPITALISMO CONSUMISTA .

in altre aree del mondo. Basti pensare come la tematica dell’andamento demografico e dell'invecchiamento o la sempre più forte concentrazione di ricchezza nella mano di pochi soggetti sono le vere cause alla base delle problematiche sociali alle quali spesso si crede, o si fa finta di credere, di poter ovviare semplicemente innalzando delle barriere.

Anche la crescente urbanizzazione e la concentrazione della popolazione nelle “mega città” - fenomeno al momento più attenuato in Italia per ragioni storiche e culturali - è comunque un trend che andrà sempre più a espandersi. La rivoluzione tecnologica - un altro dei megatrend - porta, infatti, ad avere l'accesso a maggiori e migliori servizi là dove vi sono grandi metropoli rispetto

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MODELLI DI SVILUPPO

ai territori con minore densità abitativa.

Del resto, quando prendiamo consapevolezza che i “servizi tecnologici” non consistono solo nella rete internet ma anche, fra gli altri, in ospedali avanzati che offrono cure migliori rispetto a quelle prestate in altre aree (permettendo una prospettiva di vita migliore e più lunga a chi vi ha accesso) ci rendiamo conto come quel fattore geografico diventi anche un fattore economico e di distinzione sociale.

Vi sono poi gli altri grandi temi della contemporaneità come la transizione ecologica, il cambiamento climatico e la scarsità di risorse (inclusa acqua e cibo per moltissime aree del mondo) con un’esponenzialità dell’impatto ecologico della produzione di risorse alimentari a

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QUALI MODELLI DI SVILUPPO DOPO LA PANDEMIA?

IL CAPITALISMO CONSUMISTA .

Pascal Broze © Unione europea 2003 Fonte: CE

fronte di una popolazione sempre crescente.

Ho deciso di far partire le mie considerazioni da questi “megatrend” perché quando parliamo di un nuovo modello di sviluppo dobbiamo essere consapevoli di quali siano le grandi sfide che l’umanità ha di fronte a sé.

Mi concentrerò ora su una in particolare: la quarta rivoluzione industriale.

Affronto il tema di Industria 4.0 sia per la conoscenza professionale che ho maturato in vent’anni di attività lavorativa all’interno dei settori dell’ICT, sia per l’esperienza maturata durante la XVII legislatura come deputato della Repubblica, dove sono stato promotore e rela-

La UE per l’inclusione sociale

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MODELLI DI SVILUPPO

tore della prima (e finora unica) indagine conoscitiva del Parlamento italiano su questa tematica. Molti conoscono quanto i governi successivi hanno prodotto in termini di misure di incentivazione alla trasformazione industriale. In realtà la strategia italiana Industria 4.0 non conteneva soltanto gli incentivi per la riconversione del tessuto economico ma aveva in sé anche uno studio e una strategia volta a individuare lo stato di salute dell’economia italiana e le azioni mirate a gestire una transizione del tessuto industriale del Paese per renderlo più competitivo e meno esposto a rischi relativi alla perdita occupazionale. L’indagine esamina in profondità i cambiamenti dei modelli di business, partendo dalla consapevolezza che tutte le grandi rivoluzioni industriali della storia sono state tali non tanto per le tecnologie che le hanno caratterizzate ma per l'impatto che tali tecnologie hanno avuto sulla società, con cambiamenti radicali dello stile e delle prospettive di vita delle persone.

Basti pensare alla prima rivoluzione industriale e ai grandi cambiamenti sociali e culturali che sono stati alla base delle grandi ideologie del ventesimo secolo.Ciò è avvenuto, o meglio sta avvenendo, anche con Industria 4.0.

Faccio alcuni esempi. Il primo è quello dell’economia circolare che intende sostituire un modello consumistico, sviluppato nel corso delle tre precedenti rivoluzioni industriali, con uno in cui si prova a riutilizzare le materie prime invece di estrarle, usarle e infine conferirle in discarica. È solo una motivazione

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ideale? Non proprio. Nei Paesi occidentali, dove c'è scarsità di quelle materie prime e dove l’utilizzo delle stesse iniziava a diventare troppo oneroso rispetto al margine che poteva produrre, era interessante iniziare a capire come produrre meno scarti, riutilizzare le materie prime e quindi avere un modello che permettesse di diminuire i costi in termini di approvvigionamento di materie e di smaltimento di rifiuti. Un modello reso possibile grazie alle tecnologie 4.0, che sebbene ispirato da motivazioni economiche, porta a un impatto positivo dal punto di vista ecologico e quindi da promuovere con convinzione.

Perché questo modello sia efficace, va evidenziato però che la leva non può essere quella di far pagare per il riciclo, ma di pensare, nel momento stesso in cui si produce, che il valore finale di quel prodotto abbia già in sé il costo dello smaltimento e del riutilizzo. Va quindi cambiato il modello economico di base.

Solo così possiamo mettere in discussione un modello consumistico e quindi il capitalismo puro. Partendo da un modello economico che non esclude il mercato ma che lo considera come il luogo dove, nel rispetto di alcune regole, si costruisce uno scambio “anche” di beni e servizi ma dove soprattutto si deve produrre valore. Ne sono un valido esempio svariati modelli di economia civile che rimangono modelli di mercato ma in cui viene messo in discussione il consumismo come unica regola e il capitale fine a se stesso, che genera capitale a prescindere dall’economia reale.

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Un altro esempio è legato ai “beni relazionali” che sono beni di mercato ma di cui non è banale coglierne la specificità.

Provo a farlo utilizzando un tema molto dibattuto in questo periodo: la didattica a distanza. Per quanto efficace, essa non riuscirà a trasmettere esattamente tutti quegli elementi che era possibile trasmettere in presenza, perché esiste un bene che si crea solo nel momento in cui si instaura una relazione. Nel modello consumistico capitalistico quel bene relazionale non viene valorizzato da un algoritmo economico ma viene dato per scontato e ammortizzato all'interno di un meccanismo che non ne tiene conto. Lo percepiamo sempre quando pensiamo alle attività del non profit: associazionismo, terzo settore, benefit corporation, imprese ibride, cultura. È un mondo che, anche se non vede una valorizzazione di ciò che riesce a realizzare, costruisce un bene relazionale tangibile. Per chi volesse approfondire questa tematica consiglio lo splendido scritto “Felicità e beni relazionali”, fruibile liberamente in rete, scritto da Luigino Bruni, uno dei massimi esponenti a livello mondiale in questo campo. In questo e in altri scritti dimostra come si possa dare un valore, non solo economico ma anche econometrico, al bene relazionale per non darlo per scontato.

Quando questa relazione non si costruisce si vede la differenza e quel “delta di valore” ci indica che è necessario cambiare il metodo econometrico con cui attribuire il valore di un prodotto, sia esso un servizio o un bene reale.

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IL CAPITALISMO CONSUMISTA .

Come terzo esempio mi fa piacere citare il modello della “generatività sociale”.

Un altro modello economico che non rifugge il mercato, anzi riconosce l’importanza del lavoro e dell’economia, ma lo fa con una azione socialmente orientata, costruisce cioè un’alternativa a quel modello capitalistico che consuma risorse, consente di produrre denaro dal denaro senza creare valore per le persone, il territorio, le nuove generazioni.

Come fa invece il modello della generatività sociale attraverso le proprie fasi: la prima, quella di mettere al mondo; poi la fase organizzativa, che deve includere il “prendersi cura di ciò che viene realizzato” e infine quella del “lasciar andare”, per la quale vengono poste le basi per la sopravvivenza di un’azienda – o di altre organizzazioni – rispetto a chi l’ha generata1.

Ho fatto questi pochi esempi per mostrare come oggi la tecnologia potrebbe offrirci grandi potenzialità di cambiamento, se usata per introdurre nuovi modelli economici e sociali invece di continuare a piegarla per provare a ottimizzare od efficientare i vecchi modelli

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capitalistici. Quei modelli che, la storia ci insegna, non sono stati in grado di affrontare le disuguaglianze del presente e quindi non potranno certo essere adeguati per risolvere le grandi sfide del futuro che ho provato a delineare all’inizio del mio intervento.

In conclusione, un piccolo appunto sull'Unione europea. Nello scenario internazionale, l’Europa rappresenta certamente l'unico grande e autorevole soggetto politico che sta provando ad affrontare quelle grandi sfide di cui ho parlato. Purtroppo però anche l’UE tende spesso a ricercare e proporre risposte tecnicistiche: vuole ottimizzare, migliorare, diminuire l'inquinamento piuttosto che provare a trovare nuovi modelli economici che cambino radicalmente i presupposti che causano quelle criticità.

Il vero dibattito all’interno dell’Unione dovrebbe essere un altro: provare a mettere in discussione l’attuale modello economico. Per dare un futuro ai propri cittadini e per guidare il mondo a un cambiamento fornendo un esempio concreto che un’alternativa è possibile.

1 Il testo a cui rimando per ogni approfondimento è Nella fine è l'inizio. In che mondo vivremo, di Giaccardi e Magatti.

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Transizione ecologica e Modello economico EZIO ANDRETA, coordinatore del progetto Foresight del CNR

È possibile realizzare la transizione ecologica senza cambiare il modello economico?

Questa è la domanda che ci dovremmo porre, che la Politica dovrebbe porsi per poter valutare le scelte strategiche, in termini di riforme e di investimenti, che verranno realizzati per cambiare il Paese e usufruire pienamente delle risorse pre-

viste dall’Europa nel quadro del Programma finanziario 2021-2027. È evidente che esista una correlazione tra il modello economico e la transizione ecologica. Si tratta di un legame che può essere interpretato secondo prospettive diverse in funzione degli obiettivi strategici che un Paese si è dato. Credo che sia necessario chiarire questo concetto con un esempio. Un Paese può in effetti decidere d’investire in importanti programmi per ridurre le emissioni di CO2 e di gas serra, per recuperare le materie prime, per riciclare e valorizzare gli scarti della produzione, per decontaminare le acque e i suoli, senza preoccuparsi di cambiare i paradigmi di produzione, distribuzione e consumo, oppure agire in modo opposto, condizionando e adattando gli investimenti per la transizione ecologica al cambiamento del modello economico. Due approcci diversi. Uno tendente a mantenere il modello economico, l’altro a cambiarlo radicalmente. Quale scegliere e quale modello privilegiare?

QUALI MODELLI DI SVILUPPO DOPO LA PANDEMIA?

TRANSIZIONE ECOLOGICA E MODELLO ECONOMICO

Per rispondere penso che possa essere di aiuto riflettere su due aspetti fondamentali. Il primo riguarda le cause della crisi strutturale e sistemica che da circa un quarto di secolo bloccano la crescita del nostro Paese mentre il secondo concerne le reazioni emerse nella società durante la pandemia.

Per quanto riguarda il primo, dai dati disponibili emerge la fotografia di un Paese che non cresce, ingessato in un modello economico quantitativo, preoccupato piuttosto su come conservare il mondo di ieri che su come realizzare quello di domani.

Questa situazione è ben sintetizzata da tre paradossi: “più si investe nella riduzione dei costi di produzione meno occupazione si crea, più si investe in ricerca meno innovazione si genera, più si investe in alta formazione più fuga di cervelli si favorisce”. Un recente sondaggio fatto durante la pandemia su un campione importante di imprese fornisce la risposta a questi paradossi. Di fronte alla domanda “quali investimenti e spese pensate di tagliare per far fronte alla crisi” una larga maggioranza ha indicato la ricerca, confermando che in un modello economico, basato sulla produzione di massa di prodotti a basso valore aggiunto, l’uso della conoscenza è un “lusso” e il ricorso a persone con un’alta formazione è un investimento inutile e costoso. È preoccupante constatare che il problema strutturale del nostro sistema economico sia proprio dovuto al perdurare di questo modello quantitativo, poco incline ad usare la conoscenza

e a fare innovazione. Bisogna riconoscere che abbandonare un modello per introdurne un altro non sia un’impresa facile perché impone di fare tabula rasa di quanto costruito nel passato e di abbandonare alcuni principi economici, ritenuti immutabili. Uno degli ostacoli maggiori a questo cambiamento è certamente culturale. C’è in effetti una evidente esitazione nella maggioranza degli imprenditori, dei sindacati e della Politica a convincersi che il ritorno alla situazione precedente alla crisi sia impossibile. Il caso ILVA è emblematico ed eloquente a questo proposito. Questo caso conferma la convinzione sbagliata, radicata negli operatori socio-economici che si possa recuperare la competitività attraverso la riduzione dei costi di produzione senza cambiarne il paradigma.

Una posizione conservatrice, miope che impedisce di comprendere quanto sia più utile la soluzione opposta consistente nell’aumentare il valore dei prodotti e dei servizi. Soluzione possibile ovviamente se si dispone delle conoscenze e delle tecnologie appropriate.

In questa prospettiva l’educazione, la formazione, la cultura e la ricerca assumono un ruolo cruciale, sono il capitale su cui investire per introdurre un modello basato sulla conoscenza. Un modello smaterializzato che privilegia l’intelligenza e la creatività.

Per quanto riguarda il secondo aspetto è interessante notare che al di là dei disagi, dei troppi e dolorosi decessi, dei problemi sociali ed economici, la pandemia ha fatto emergere due indicazioni

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TRANSIZIONE ECOLOGICA E MODELLO ECONOMICO

interessanti per il nostro ragionamento.

La prima riguarda il primato della vita sull’economia. Un valore assoluto di cui essere orgogliosi, un principio importante che pone l’uomo al centro del sistema economico, come attore e fine ultimo dello stesso. Una prospettiva nuova destinata a trasformare il modello economico da industriale a sociale e a riorientarlo verso il soddisfacimento dei bisogni dei cittadini e la cura del pianeta.

Una trasformazione che rinforza il principio dell’accettabilità sociale dei prodotti e servizi innovativi e contribuisce ad aumentare il ruolo delle imprese sociali nel mercato (cooperative, fondazioni, ong, ecc.), oggi già presenti con 2,8 milioni di imprese e 13 milioni di occupati.

Il riconoscimento del ruolo della scienza nel processo decisionale è la seconda indicazione utile non solo per-

ché evidenzia l’urgenza d’introdurre un nuovo modello economico basato sulla conoscenza ma soprattutto perché sposta l’attenzione della Politica dall’economia alla scienza, attribuendo alla ricerca il ruolo trainante del sistema economico.

Uno spostamento di equilibrio nell’equazione del potere che vede prevalere il trio (Politica, Finanza, Tecnologia) su quello tradizionale (Politica, Economia, Sindacati). Una considerazione quest’ultima di strategia geopolitica che più di ogni altra argomentazione dovrebbe convincere la Politica e la classe dirigente a concepire e utilizzare il programma di riforme e investimenti per la transizione ecologica come una leva capace di generare quei cambiamenti necessari ad assicurare alle nuove generazioni una economia più umana, intelligente e rispettosa del Pianeta.

Claudio Centonze © Unione europea 2020 Fonte: CE

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5GG progetto del programma Horizon 2020

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Rompere il paradosso dello sviluppo: l’Europa accetta la sfida FERDINANDO BOERO, ordinario di Zoologia, Università di Napoli Federico II

Siamo onnivori: mangiamo piante e altri animali: all’apice delle reti trofiche, usiamo tantissima energia accessoria, consumata dagli organismi che consumiamo, e tantissimo spazio. Nelle piramidi alimentari si disperde il 90% di produzione ad ogni pas-

saggio di livello: 100 kg di “erba” sostengono 10 kg di erbivoro che, a sua volta, sosterrà 1 kg di carnivoro. Siamo macchine biologiche che consumano molto. La nostra impronta ecologica (la porzione di natura che usiamo per sostenerci) indica che consumiamo più di quello che la terra produce, e viviamo quindi a debito con un creditore implacabile: la natura. Mangiamo piante coltivate e animali allevati, usiamo fibre coltivate, metalli estratti, e i sistemi di raccolta, stoccaggio, distribuzione e vendita occupano spazio, consumano energia e generano scorie e rifiuti. Lasciano un’impronta.

Un tempo l’energia era prodotta dal cibo e dalla combustione del legno per scaldarci e cucinare. Il cibo era il combustibile di braccia umane e animali: buoi, cavalli, cammelli, cani. Assieme al vento, con la vela e i mulini. Abbiamo inventato altri modi di produrre energia (vapore, elettricità, motore a scoppio) sempre basati sulla combustione. Oltre alla legna bruciamo carbone, petrolio, gas. Non abbiamo abbandonato la combustione, l’abbiamo solo resa più efficiente.

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IL PARADOSSO DELLO SVILUPPO : L’E UROPA ACCETTA LA SFIDA

Il progresso tecnologico ha migliorato il nostro rapporto con la natura? No! Il paradosso di Jevons ci avverte che l’innovazione tecnologica che migliora l’estrazione o la produzione di una risorsa porta ad un aumento del consumo di quella stessa risorsa, mettendone a rischio l’integrità. Dato che le risorse che usiamo derivano tutte dalla natura, è l’integrità della natura ad essere a rischio.

Il caso della pesca è emblematico. Un tempo i pescatori si muovevano a remi o a vela, e azionavano a braccia le reti, le lenze, e gli arpioni. La resa della pesca portò ad un aumento dei pescatori e aumentò la loro pressione sulle popolazioni di pesci.

Di solito, la diminuzione delle prede (i pesci) causa la diminuzione dei predatori (i pescatori), e questo dà alle prede la possibilità di ricostituire le popolazioni depauperate. Noi, invece, abbiamo inventato nuove tecnologie: motori, verricelli, sistemi di ecolocalizzazione per scovare i pesci, e di refrigerazione per conservarli. L’innovazione tecnologica ha aumentato l’efficacia dell’estrazione della risorsa, e la pressione su di essa. Quando i pescherecci sono diventati efficientissimi… sono finiti i pesci e si è realizzato il paradosso di Jevons.

I nostri sistemi di produzione e consumo si basano su risorse offerte dalla natura: la nostra “preda” è il resto della natura, da essa estraiamo quel che ci serve. Se le risorse diventano difficili da ottenere, inventiamo tecnologie più efficienti.

Come sono finiti i pesci, anche il resto della natura è in condizioni critiche per la pressione che esercitiamo su di essa: ma l’impronta ecologica non è uguale per tutta la

popolazione umana. I paesi “avanzati” usano più spazio ed energia dei paesi “in via di sviluppo”. Se tutti vivessero come noi, la natura avrebbe già subito un collasso simile a quello dei pesci.

La globalizzazione è, prima di tutto, ecologica e demografica. Non ci sono barriere né per gli inquinanti né per lo spostamento di esseri umani. Chi si trova nelle parti svantaggiate del pianeta tende a spostarsi in quelle avvantaggiate. Nessuno è disposto a gettarsi a mare per salvare i privilegiati, tutti vogliono stare dalla parte “buona” della barca.

L’Europa ha deciso, con la transizione ecologica, di dare il buon esempio, vista la sua posizione di privilegio, e cerca di rendere sostenibili i suoi sistemi di produzione e consumo, diminuendo la propria impronta ecologica. Per farlo deve infrangere il paradosso di Jevons e deve consumare le risorse in modo da non esaurirle, lasciando loro la possibilità di rinnovarsi: la sostenibilità richiede un radicale cambiamento dei sistemi di produzione e consumo.

Dobbiamo inventare nuove tecnologie che si fondino su principi ecologici, con una stretta collaborazione tra tecnologi ed ecologi, due categorie che, in passato, sono state in contrapposizione. Avevano ragione gli ecologi, ma questo non significa che i tecnologi debbano scomparire… anzi. Ne abbiamo un bisogno disperato, ma devono agire assieme agli ecologi, formando una nuova alleanza che rompa il paradosso di Jevons. Se riusciremo a realizzare questa impresa, saremo un faro per il resto dell’umanità.

Per il momento non lo siamo: per sopperire

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QUALI MODELLI DI SVILUPPO DOPO LA PANDEMIA?

IL PARADOSSO DELLO SVILUPPO : L’E UROPA ACCETTA LA SFIDA

Xavier Lejeune © Unione europea 2020 Fonte: CE

alla mancanza di pesci, abbiamo inventato l’acquacoltura intensiva; e alleviamo specie carnivore (salmoni, spigole, orate) che nutriamo con farine di pesce selvatico di scarso valore commerciale, con l’illusione che questa tecnologia ci darà ulteriori risorse dagli ambienti acquatici. Questa “innovazione” è tanto folle quanto allevare leoni nutriti con le mucche.

La transizione ecologica si otterrà con pressioni dal basso, da parte dei consumatori divenuti più consapevoli nelle loro scelte.

Ma non basta. È inutile acquistare un’auto elettrica se l’elettricità viene prodotta da centrali a carbone, o essere vegetariani se mangiamo i prodotti dell’agricoltura intensiva.

Molte scelte dovranno venire dall’alto. Non ci sono bacchette magiche che risolvano il

Api e ape regina

problema all’istante, ma tutti i nostri sforzi innovativi dovranno andare in quella direzione. Non abbiamo scelta, visto che il debito ecologico non si paga con i soldi, si paga con la vita: se distruggiamo la natura, distruggiamo noi stessi. Potete immaginare un’economia e una società fiorenti in una natura devastata? Non è possibile. Nel nostro interesse dobbiamo attuare la transizione ecologica. L’Europa lo ha capito. Lo capiranno i singoli Stati? L’Italia inizia a capire: dopo aver basato la transizione ecologica esclusivamente sull’innovazione tecnologica, nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza c’è qualche spiraglio che considera la biodiversità, gli ecosistemi e il mare, come richiesto dalla Commissione Europea. Non basta, ma è un primo, piccolo passo.

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Nuovi Modelli di Sviluppo?

Non più senza guardare alle Disuguaglianze STEFANIA PAREDES FUENTES, professore associato, Università di Warwick

Di nuovi modelli di sviluppo economico si parlava già dalla seconda metà del XX secolo, e la discussione si è forse formalizzata con l’introduzione del concetto di sviluppo sostenibile nel Rapporto Brundtland del 1987, a seguito della Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente umano del 1972: “lo sviluppo sostenibile è uno sviluppo che soddisfi i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle

generazioni future di soddisfare i propri”.

Nella pratica sembrerebbe che il modello di sviluppo economico non sia cambiato molto. In parte, questo è dovuto al fatto che il successo dei modelli di sviluppo è collegato a misure quantitative di crescita economica. Difatti, sembra difficile parlare di sviluppo senza fare riferimento alla crescita del Prodotto Interno Lordo per capita ampiamente utilizzato come indicatore del progresso economico di un paese.Tuttavia, la valutazione del processo di sviluppo non può essere basata su misure di crescita economica della media della popolazione, ma deve considerare un’analisi qualitativa del processo che ci permetta comprendere appieno gli effetti del processo sulla tutta la popolazione.

Il processo di sviluppo è infatti un processo dinamico, che coinvolge aspetti non solo economici, ma anche politici, sociali e ambientali che sono fortemente intrecciati tra di loro, e sono questi altri aspetti che hanno evidenziato gli effetti sbilanciati dell’attuale modello di sviluppo.

Considerando l’aspetto sociale, negli ul-

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Pascal Broze © Unione europea 2003 Fonte: CE

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La UE per l’inclusione sociale

timi 20 anni abbiamo visto come le disuguaglianze all’interno dei paesi sviluppati si sono allargate, essendo forse più evidente la disparità di reddito: i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sono in aumento. Secondo un rapporto Oxfam1, dal 2000 la ricchezza del 10% degli italiani più benestanti è cresciuta del 7,6% mentre la ricchezza del 50% più povero si è ridotta del 36,6%. Nel 2019 il 20% della popolazione più ricca in Italia deteneva il

69,8% della ricchezza nazionale mentre il 20% più povero si fermava al 1,3%. Guardando ai dati ISTAT vediamo che le famiglie italiane che vivono in povertà assoluta sono aumentate: dal 6,4% del 2019 al 7,7% nel 2020 (si pensi che erano 3,6% nel 2005). Le disparità di reddito rafforzano altre forme di ineguaglianze. Ad esempio, le generazioni più giovani sono state colpite in modo sproporzionato dalle varie crisi economiche degli ultimi anni,

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che hanno condizionato il loro inserimento nel mercato del lavoro. La recente pandemia ha radicalizzato questa situazione. Secondo dati Eurostat, la disoccupazione giovanile in Italia è passata da 28,4% a 32,7% tra gennaio 2020 e gennaio 2021.

Il COVID ha ampliato anche le disparità di genere, come verificato dal rapporto “Global Gender Gap”2 nel quale si evidenzia come in Italia la partecipazione femminile al mercato del lavoro sia solo del 61,9% (in confronto con il 70% in Europa occidentale). Il virus ha anche peggiorato la situazione lavorativa degli immigrati3 che sono per di più impiegati in occupazioni precarie e sottopagate, e in quei settori più colpiti dalla crisi tipo l’alberghiero-ristorativo.

Nessun modello di sviluppo alternativo può ignorare questi squilibri e nuovi modelli di sviluppo per essere sostenibili devono essere inclusivi: la sostenibilità deve essere una questione anche distributiva.

Qualsiasi nuovo modello di sviluppo richiederà quindi cambiamenti strutturali.

Questi possono essere ottenuti solo attraverso riforme legislative e istituzionali che aggiornino gli attuali sistemi messi insieme per rispondere a regimi di lavoro, fiscali, e sociali di altri tempi.

Il lavoro è cambiato, e molto probabile cambierà ancora di più dopo la pandemia.

I giovani sono preparati a lavorare in modo diverso e hanno dimostrato un altro grado di flessibilità e adattamento, ma devono essere tutelati. Il modello attuale favorisce la tutela dei settori ‘tradizionali’ il che allarga i divari generazionali. Sono inoltre necessarie riforme sociali profonde che

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aumentino la resilienza dei sistemi di protezione sociale e che fungano da stabilizzatori economici e sociali di fronte a crisi di varia natura.

A livello fiscale abbiamo bisogno di riforme che garantiscano davvero progressività ed equità, iniziando col considerare come è cambiata la ricchezza e la distribuzione dei redditi. Tuttavia, il livello tecnologico e l’alto grado d’integrazione mondiale, richiede che le riforme fiscali siano coordinate a livello globale, e nuove proposte si fanno avanti, la più recente la creazione di un’imposta minima globale per il reddito d’impresa suggerita da Janet Yellen (segretario al Tesoro degli Stati Uniti).

Lo sviluppo, per essere sostenibile, non può avvenire a scapito delle generazioni future e quindi non può non mirare all’impatto ambientale. La Ricerca in questo ambito mostra chiari collegamenti tra degrado ambientale e disuguaglianze e che a soffrire di più il degrado ambientale sono le zone più povere. Affrontare le disuguaglianze sociali può anche aiutare nella lotta ambientale. Vari studi4 trovano che i più ricchi del pianeta sono anche i più grandi inquinatori al mondo, e questo non è nemmeno il problema più grande. Infatti, a tutto questo aggiungiamo gli interessi economici, visto che le élite economiche mondiali sono anche i maggiori investitori in combustibili fossili5 e impiegano grandi risorse finanziarie in azioni di lobbying verso il settore politico, che a sua volta influenza le normative in temi ambientali.

Quindi se vogliamo nuovi modelli di sviluppo durevoli e che siano veramente so-

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rativa comune intorno al bene pubblico da condividere, che crei un’identità positiva e un nuovo paradigma di benessere sociale comune, se si vuole ottenere il sostegno pubblico indispensabile per la loro implementazione.

6 aprile 2021

Robert Meerding © Unione europea 2020 Fonte: CE

stenibili, dobbiamo combattere le disuguaglianze sociali il prima possibile visto che queste disuguaglianze possono compromettere la stabilità politica e la crescita sostenibile, amplificando l’impatto delle varie crisi che saranno sempre più comuni.

Questi cambiamenti richiedono una nar-

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L’Agenzia europea del farmaco (Amsterdam) 1

Rapport DisuguItalia 2021, Oxfam Italia. Disponibile https://www.oxfamitalia.org/wp-content/ uploads/2021/01/FINAL_DisuguItalia_2021.pdf 2 Global Gender Gap, March 2021. Disponibile: http://www3.weforum.org/docs/WEF_GGGR_2021.pdf 3 Dossier Statistico Immigrazione 2020. Disponibile http://www.integrazionemigranti.gov.it/Attualita/Notizie/Pagine/Dossier-Statistico-Immigrazione-2020.aspx 4 Si veda ad esempio: “Confronting Carbon Inequality” Oxfam Policy Paper, Settembre 2020. Disponibile https://www.oxfam.org/en/research/confronting-carbon-inequality?awc=5991_1617788417_ 35d8166102bfe8880c986621fd41e44a&cid=aff_affwd_donate_id85386 - Chancel, L., T. Piketty (2015) Carbon and Inequality from Kyoto to Paris. World Inequality Lab Working Paper. Disponibile https://wid.world/document/chancel-l-piketty-t-carbon-and-inequality-from-kyoto-to-paris-wid-worldworking-paper-2015-7/ 5 Come si può leggere in “Warren Buffett is One of the World’s Richest Fossil-Fuel Billionaires” Bloomberg, Gennaio 2020. Disponibile https://www.bloomberg.com/features/2020-emissions-billionaires/

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La minaccia del nuovo capitalismo egemone ROBERTO SPECIALE, presidente del Centro in Europa

Da qualche anno si parla con insistenza di sostenibilità, di economia circolare, di un nuovo e diverso sviluppo. Impostazioni interessanti e condivisibili ma assieme bisogna analizzare qual è lo sviluppo che non ci piace e dal quale vorremmo allontanarci. Questo si chiama capitalismo se vogliamo alla fine chiamare le cose con il loro nome.

Non c’è solo la proprietà privata dei

mezzi di produzione e della grandissima parte delle attività economiche, ma il motore di tutto è la ricerca del massimo profitto individuale. Questo è il centro e la molla dell’economia capitalistica.

Questo motore detta legge e non si ferma, non può fermarsi di fronte a nulla: ambiente, guerra, povertà, fragilità. E così si è contribuito a distruggere l’ambiente in mare, a terra, nell’aria, così si è arrivati al cambio climatico che mette in pericolo il futuro di tutti, così vi è stata una crescita enorme delle diseguaglianze ed una polarizzazione scandalosa della ricchezza.

Non è una questione di moralità dei singoli che potrebbe anche essere molto alta, è il meccanismo in sé che non ha moralità e che travolge tutto. Si può dire: ma ci sono le regole del mercato che condizionano il capitalismo stesso, vi sono le istituzioni e la legislazione pubblica che fa da freno, che modera, indirizza, imbriglia gli “spiriti animali” del capitalismo. Vero e non vero: il mercato esiste e non esiste, spesso è un’astrazione e comunque è un campo da gioco co-

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struito e determinato da alcuni. Quando l’Arabia Saudita ha fatto saltare, con i suoi ribassi, il prezzo del petrolio ha comperato azioni di società petrolifere straniere a prezzi scontati ed assieme il 10% di Costa Crociere (Carnival) in grave difficoltà per la pandemia (da Giorgio Galli “L’anticapitalismo imperfetto”). Ha lucrato grandi profitti: è stato il “mercato” che ha determinato questa situazione o è stato qualcuno che ha determinato il mercato che voleva?

Le istituzioni e le leggi qualche volta tagliano le unghie ai possessori di capitale che tracimano dal loro ambito ma più spesso sono ignorate e scavalcate da chi ha una funzione economica e quindi anche sociale e politica preponderante.

La vicenda dell’Australia è significativa.

Quando quel governo ha deciso che si dovesse trasferire agli editori una parte dei profitti delle piattaforme tecnologiche che li ottengono dai contenuti giornalistici, Google ha minacciato di bloccare tutte le sue funzioni in quel Continente. In Francia ha fatto un accordo con l’Associazione della Stampa che rappresenta trecento testate giornalistiche per distribuire 20 milioni di euro all’anno quando Google in Francia raccoglie un miliardo e mezzo di pubblicità.

Quando l’Europa discuteva di una Web Tax, le grandi multinazionali tecnologiche hanno convinto Trump (e non è stato difficile) a scrivere una lettera all’UE per bloccare quell’iniziativa.

Non c’è stato e non c’è un capitalismo unico, vi sono realtà diverse nel mondo.

CAPITALISMO EGEMONE

Nella storia è cambiato più volte e le forze trainanti sono state diverse.

All’inizio era soprattutto il tessile, i cotonifici che usavano in modo selvaggio per 12-14 ore al giorno senza alcuna protezione sociale anche ragazze e bambini, anche nel lavoro notturno: distruggeva la vita ma la vestiva. Poi è stata la metallurgia, la chimica, la produzione per la guerra a trainare tutto lo sviluppo.

Il massimo profitto possibile in quei casi era “sperare” nella guerra continua e in una mano d’opera illimitata e l’inquinamento pazzesco poteva essere scaricato nei fiumi, nei mari, a terra, senza doverlo pagare, senza avere perdite. Infatti ancora oggi anche i più illuminati tra i proprietari dicono che i privati non possono lavorare in perdita e cioè che le perdite sono un problema del pubblico e dei cittadini e che non riguardano mai i profitti e il capitale.

Poi ci sono state le sette sorelle del petrolio che hanno depredato il sottosuolo impoverendolo, che hanno inquinato tutto ciò che potevano.

Quel capitalismo è stato ricchissimo e potentissimo. Assieme ad esso la funzione di traino è stata dell’industria mondiale dell’auto apparentemente per rendere a tutti la vita più piacevole. In effetti hanno dato un colpo determinante all’ambiente, all’atmosfera, alle città, al territorio.

Oggi qual è il capitalismo egemone?

Quello che sembra più carino, servizievole, progressivo. Si basa su una rivoluzione tecnologica stupefacente. Ci fa comunicare tra noi, aiuta, sembra, la

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L A MINACCIA DEL NUOVO

CAPITALISMO EGEMONE

conoscenza, ci fa vivere meglio. È proprio così? Parliamo degli OTT (Over The Top) o i Big tech, le grandi multinazionali che hanno costruito piattaforme tecnologiche gigantesche.

Quali sono? Le classificazioni sono diverse per scegliere le cinque maggiori: Google, Facebook, Twitter, Amazon, Apple, Microsoft, Netflix, Tesla.

Un’azione di Amazon nel 2015 valeva 500 dollari, nel 2020 2.400 dollari!

Assieme ad esse si muovono 500 grandissime multinazionali nei diversi settori (e almeno 500 super ricchi e super privilegiati: una superclasse che le dirige) e 60 mila multinazionali “minori”. Tutte queste hanno una capitalizzazione amplissima, una raccolta di capitali propri gigantesca che permette loro di espandersi anche in altri settori.

Poi vi sono decine e decine di milioni di imprese piccole e medie che dipendono dal finanziamento altrui, e 3 miliardi di persone che hanno ciò che chiamano piccole attività economiche personali, cioè la galassia del lavoro informale.

Quelle cinque grandi piattaforme che trainano il capitalismo a gennaio del 2020 avevano una capitalizzazione di 3,9 trilioni di dollari. Un anno dopo è quasi raddoppiata a 7,1 trilioni. La pandemia, la restrizione dei rapporti personali e dei movimenti, ovviamente, fanno bene a quelle imprese e prosperano.

Google, Facebook da soli hanno generato in un anno entrate pubblicitarie per 230 miliardi di dollari, cioè il 46% del mercato pubblicitario globale e non potrà che crescere.

Accanto ad esse ci sono le grandi piattaforme cinesi come Alibaba e Tik Tok (quest’ultima preoccupante e gestita, in parte, in modo diverso in occidente). Il loro rafforzamento indebolisce fortemente gli altri servizi “tradizionali” (e la diversità stessa) giornalistici, artistici e commerciali, e toglie al “mercato” gran parte del sostegno pubblicitario, mentre contribuisce a distruggere le piccole attività economiche, di prossimità.

Sono sempre più dei grandi monopoli verticali ma si espandono anche orizzontalmente in altri settori, dello spettacolo, dell’intrattenimento, della telefonia e della comunicazione.

Così Google ha Android per i telefoni, la posta elettronica con Gmail, i video con YouTube; Facebook ha WhatsApp, Instagram; Amazon ha Alexa, Amazon Prime, il Washington Post. Si calcola che il 60% dei messaggi che girano sul web siano fake news.

Qual è la loro caratteristica quindi rispetto alle forze trainanti del capitalismo nel passato? Il loro massimo profitto lo traggono dal possesso privato di una risorsa pubblica, cioè della rete internet.

Ma il loro effetto principale è che accumulano non solo capitale ma potere immenso e ridisegnano la democrazia, oltre che i gusti e i comportamenti dei cittadini.

E così possono portare al potere Trump (con l’aiutino russo) e poi quando questo è sconfitto anche se è ancora Presidente USA, cacciarlo con un calcio nel sedere, vietandogli la presenza sui loro siti. Arrogandosi una decisione che non

QUALI MODELLI DI SVILUPPO DOPO LA PANDEMIA?

L A MINACCIA DEL NUOVO

Georges Boulougouris © Unione europea 2017 Fonte: CE

può essere la loro. Eppure il Presidente aveva fatto poco tempo prima l’ultimo regalo: aveva incaricato Facebook, Google, Amazon di costituire una task force per controllare gli spostamenti dei cittadini per bloccare il contagio e così aveva regalato a costoro milioni di indirizzi, di contatti sui quali vivono quelle piattaforme. Questo è l’altro aspetto inquietante di questo capitalismo: hanno tutti i nostri indirizzi e li hanno per raccogliere pubblicità, per venderli e per capire, con gli algoritmi, le nostre propensioni, i nostri atteggiamenti.

Nel 2017 la Commissione europea sanziona Google per violazione delle norme antitrust

CAPITALISMO EGEMONE

È un capitalismo quindi predatorio e della sorveglianza che ci tiene in pugno e che ridisegna o affonda la democrazia, la sovranità individuale e collettiva che è, o dovrebbe essere, intangibile. Nessuna forza trainante del capitalismo del passato era giunta a tanto!

So bene che a questo punto c’è una grande obiezione. Qual è l’alternativa?

La proprietà pubblica di tutti i mezzi di produzione, l’abolizione del massimo profitto individuale come motore dell’economia? Dopo i fallimenti della rivoluzione russa e il capitalismo di Stato cinese a partito unico, è difficilmente attuabile, pensabile un’alternativa complessiva. Lo so e me ne rammarico.

Questo non dovrebbe impedirci di agire in tutte le direzioni per difenderci, come cittadini. A cominciare da chi lavora in quelle realtà, non solo rivendicando retribuzioni e condizioni di lavoro adeguate, che comunque sarebbero una piccola redistribuzione di ricchezza, ma soprattutto difendendo i diritti. Non è accettabile che si faccia un referendum per decidere se ci deve essere o no il sindacato in quelle aziende. È un fatto di una gravità assoluta. È come se si votasse per decidere se devono esistere i giornali o no, la magistratura magari.

L’esistenza stessa del sindacato è un diritto indisponibile. E poi bisogna agire con la tassazione non solo nelle sedi madri ma ovunque perché agiscono ovunque per esempio in Europa. Pretendendo la ridistribuzione di una parte dei profitti a chi sono stati sottratti: ai servizi giornalistici, allo spettacolo.

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QUALI MODELLI DI SVILUPPO DOPO LA PANDEMIA?

L A MINACCIA DEL NUOVO

CAPITALISMO EGEMONE

solo il pubblico che detta le regole e deve farlo. Insomma va costruita, per quanto possa sembrare un’utopia, un’etica dei comportamenti anche nell’utilizzazione delle tecnologie ed un embrione di potere pubblico mondiale più forte e più trasparente di qualsiasi capitalista.

E presto sarà necessario parlare anche di criptovalute, di fondi di investimento, di finanza speculativa e delle Big Pharma.

P.S. Non sono stato preda di un furore improvviso, scrivendo questo articolo, né da una resipiscenza, mai dimenticata d’altra parte, di antiche formazioni culturali.

Sono sbalordito, in effetti, dalla facilità

Mathieu Cugnot © Unione europea 2017 Fonte: PE

Soprattutto due questioni vanno affrontate. La prima è la messa in opera della legislazione antitrust, della legislazione della concorrenza che non può accettare monopoli, abuso di posizione dominante e deve tagliare ciò che va tagliato. E poi la restituzione ai cittadini dei loro dati: il divieto assoluto di utilizzare dati privati, di archiviarli e venderli per guadagni commerciali. Ci vuole una legislazione pubblica a partire dagli USA e dall’Europa. Nessun privato per quanto potente ed anche se ispirato da buoni propositi può decidere dell’interesse generale e dei cittadini.

Non spetta a nessuno di loro decidere chi può accedere alla rete e chi no ma è

Facebook

QUALI MODELLI DI SVILUPPO DOPO LA PANDEMIA?

CAPITALISMO EGEMONE

Xavier Lejeune, Yügen © Unione europea 2021 Fonte: CE

L A MINACCIA DEL NUOVO

Cybersecurity

con la quale grandi colossi privati decidono di noi e della relativa indifferenza o, peggio, del fatalismo che sembra contraddistinguere molti.

Mi sembra necessario lanciare l’allarme anche usando toni più perentori del solito. So bene, da tempo, che la realtà ha molte sfumature e non mi sfuggono i progressi, il relativo sviluppo (nonostante le molte ingiustizie e i danni che ha generato) che vi sono stati nel corso dei se-

coli: non è tutto biasimevole quindi ciò che è avvenuto fino ad oggi.

Ora siamo però, su un crinale; se non fermiamo o ridimensioniamo le potenze che agiscono in modo spregiudicato e senza contropoteri che le limitino o le contrastino, ci giochiamo, fatemi dire, vi giocate soprattutto voi più giovani, il futuro.

Se questa è la situazione non si può avere, dall’inizio, paura di esagerare.

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QUALI MODELLI DI SVILUPPO DOPO LA PANDEMIA?

Le vere radici dell’Europa (cristiana e solidale) secondo il cardinale Bagnasco FRANCO MANZITTI, giornalista

In una lunga conversazione con il giornale on line Blitzquotidiano il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo emerito di Genova, già presidente della Cei per 10 anni e oggi a capo della CCEE, la Conferenza che riunisce tutti i vescovi europei, chiarisce con forza il suo pensiero sulle radici dell’Europa, sulla sua antica matrice cristiana e, sopratutto, sugli ideali traditi dei “padri fondatori”.

Bagnasco è alla vigilia della riunione plenaria, che in settembre chiamerà a Roma tutti i vescovi delle Conferenze mondiali, insieme al papa, per celebrare i 50 anni della Istituzione europea, che oggi riunisce i prelati di 39 paesi, con 33 congregazioni di vescovi più 45 membri cooptati: una super assise, una specie di concilio planetario.

Alla vigilia questo “principe” della Chiesa cattolica, che ha lasciato da un anno la Diocesi di Genova per limiti di età, non si risparmia i toni forti per descrivere le condizioni dell’Unione Europea dal suo punto di vista.

Bagnasco non è solo preoccupato da prete per le condizioni della sua Chiesa, aggredita dalla secolarizzazione, dalla laicizzazione spinta, dalla carenza di vocazioni, dalle aggressioni dell’estremismo islamico.

“Ora siamo in discesa nella difesa dei valori europei – dice a Blitz il cardinale, sottolineando la preoccupazione del papa Francesco – bisogna che l’Europa si rifondi, come suggerisce il santo Padre.

LE

QUALI MODELLI DI SVILUPPO DOPO LA PANDEMIA?

VERE RADICI DELL’E UROPA ( CRISTIANA E SOLIDALE ) SECONDO IL CARDINALE

Claudio Centonze © Unione europea 2021 Fonte: CE

“Sono stati Giscard d’Estaing e poi Mitterand a imporre una visione più economica che etica dell’Europa Unita. Hanno voluto fondare quella pluralità di Stati sulla moneta. È una visione miope, che risponde a una parola d’ordine ideologica – scuote la testa Bagnasco.

A suo avviso questa nuova visione “economicistica” ha costituito un moloch inattaccabile. “Sono stato molte volte a Bruxelles – racconta – ma non si vuole cambiare quella logica, eppure il tessuto europeo è ancora fecondo, ricco, unico nel Pianeta. In nessuna parte del mondo c’è una così alta complessità antropologica come in Europa.”

Bimbo su bandiera europea

B AGNASCO

La grande tragedia della pandemia ha solo creato qualche sussulto ma anche in ritardo – osserva il capo dei vescovi europei, commentando l’operazione del Recovery Fund.

Bagnasco si stupisce ancora per come l’Unione Europea abbia reagito alla Brexit. “Mi aspettavo una rivoluzione - dice quasi con sgomento nella conversazione – e, invece, dal resto dell’Europa non c’è stato neppure lo spostamento di un millimetro. L’unica reazione è stata una minaccia indeterminata: ‘La pagherete!!!’.

Con una punta di delusione ironica Bagnasco ricorda i suoi colloqui con i vescovi inglesi dopo lo strappo, anche loro

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LE

VERE RADICI DELL’E UROPA ( CRISTIANA E SOLIDALE ) SECONDO IL CARDINALE

insensibili. “ Ma lo sa… sono inglesi...”

Poi c’è l’asse franco-tedesco, che non è più accettabile perché non si può pretendere che gli altri Stati facciano sempre atto di sottomissione: secondo il presidente dei vescovi europei manca oggi una vera leadership europea, al posto della quale si continua a imporre anche in modo stucchevole la grandeur francese e il peso della Germania.

Bagnasco torna, quindi, alla sua visione più “propria”, quella religiosa. “È necessario tornare alle verità ultime, come insegnava Platone nella sua Repubblica, per evitare l’implosione della costruzione europea.

Bisognerebbe, insomma trovare il fondamento di un cammino europeo, unitario, rispettoso di una condivisione.”

Ecco allora l’allarme per la perdita delle radici cristiane del Continente, dove le chiese di ogni culto si svuotano o si chiu-

B AGNASCO

dono: Stoccolma senza più un edificio sacro a qualsiasi religione aperto, Parigi che ha il problema urbanistico di sistemare le chiese sconsacrate, destinate ora ad ogni tipo di uso. Il cardinale cita gli studi scientifici americani che disegnano una società senza religione.

Nella lunga conversazione si ritorna così alle condizioni dell’Europa, a quella vera leadership che manca per guidare tutti i popoli. “E quando dico tutti – osserva con una vera stoccata – penso anche alla Russia, perché la Russia è Europa e non si può rifondare senza includerla, ricordando le sue radici culturali, politiche.”

“Le radici europee sono cristiane – insiste Bagnasco, tornando alle origini della civiltà – Atene, Roma, Gerusalemme, ecco da questo veniamo. La dignità dell’uomo non viene dai Rinascimento, come sostengono molti storici, ma dal cristianesimo, quindi ai secoli precedenti.”

Piero Cruciatti © Unione europea 2020 Fonte: CE -PE

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Mascherine in arrivo da Bucarest a Milano, operazione in ambito RescUE, 25/4/2020

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Cantieri d’Europa

Il ruolo dell’UE nel mondo dovrebbe essere al centro della Conferenza sul futuro dell’Europa MARIO TELÒ, professore alla LUISS e all’Università Libera di Bruxelles

Non vi sarà un futuro per la UE senza un nesso forte e strategico tra le necessarie riforme interne e un ruolo internazionale accresciuto.

La sfida ambiziosa della Conferenza sul futuro dell’Europa deve essere quella di rispondere alla seguente domanda.

Come la UE -che rappresenta appena il 5% della popolazione mondiale ma è comparabile con gli USA e la Cina per Prodotto Interno Lordo (15,4% nel 2019) e potenza commerciale (15%)-, possa, attraverso un processo di più profonda cooperazione e integrazione, non solo sopravvivere ma anche modellare un mondo multipolare non europeo e la sua governance, attraverso i suoi interessi e valori, inclusa, prima tra tutti, la promozione proattiva di convergenze multilaterali per i beni comuni. Tra questi, la pace, attraverso una prevenzione strutturata dei conflitti, la salute pubblica, segnatamente una vaccinazione universale, l’umanizzazione e regolamentazione della globalizzazione, la protezione dell’ambiente, lo sviluppo sostenibile, una regolazione equa e giusta dell’economia e del commercio globali.

Vi sono molte incertezze in merito all’obiettivo principale dell’annunciata

CANTIERI D’EUROPA

IL RUOLO DELL’UE NEL MONDO AL CENTRO DELLA CONFERENZA SUL FUTURO DELL’EUROPA

Begum Iman © Unione europea 2021 Fonte: CE

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Bambino rifugiato in Turchia

Conferenza sul Futuro dell’Europa. Se questa necessaria occasione di ripensamento collettivo, dopo gli straordinari cambiamenti e la crisi del 2020 (da un lato la Brexit e la pandemia, ma dall’altra, la storica decisione di finanziare il progetto europeo più integrante da decenni, il Recovery Plan) non ponesse al centro l’obiettivo di rafforzare il ruolo della UE nel mondo, il rischio sarebbe un tragico passo indietro rispetto al passato. Mi riferisco, ad esempio ad un momento creativo potenzialmente simile, quello del 2001/2003.

Nel 2001 l’ampio dibattito sul mandato della imminente Convenzione europea

mise a fuoco precisamente due obiettivi molto ben sottolineati dalla Dichiarazione di Laeken: la democratizzazione interna della UE e il suo ruolo internazionale.

I risultati di diversi anni di sforzi collettivi e controversi furono importanti decisioni e disposizioni del Trattato di Lisbona: la personalità giuridica della UE, la creazione del SEAE (Servizio Europeo di Azione Esterna), il concetto ampio di relazioni esterne e il doppio ruolo dell’Alto rappresentante per la Politica Estera e di Sicurezza Comune, quale coordinatore responsabile di tutte le relazioni esterne.

Questo esercizio ampiamente riuscito

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dovrebbe essere un riferimento per l’attuale fase di rinnovamento. Perché? Perché allora gli obiettivi furono sempre strettamente connessi agli strumenti istituzionali di governance attraverso i quali raggiungerli.

Cinque evidenze analitiche Dopo 20 anni di coordinamento proattivo di reti globali e sforzi di ricerca collettiva, vorremmo sottolineare cinque evidenze di analisi e poi tentare di definire altrettante raccomandazioni.

Il contesto globale consente a nuovi attori, quali la UE, di emergere? Nonostante molte incertezze, il contesto globale sta evolvendo in direzione di una multipolarità che non ha precedenti, asimmetrica e biforcata allo stesso tempo, combinata con una rete multilaterale multilivello, che è in una certa misura in crisi e in una certa misura resiliente e dinamica.

Perché asimmetrica? Gli USA, il nostro principale alleato, rimangono ampiamente la principale superpotenza. La retorica sulla crescente competitività militare della Cina non resiste ai dati statistici che mostrano il bilancio della difesa cinese, ancora lo scorso anno, 5/6 volte inferiore a quello statunitense. Tuttavia, la ricerca ci dice che la evidente primazia militare non comporta più l’egemonia costruttiva dei tempi di Roosvelt e Kennedy, e nemmeno di Clinton.

Per le finalità di sicurezza europea, nucleare e non nucleare, l’UE ha la necessità di combinare l’obiettivo di una “au-

tonomia strategica aperta” con un nuovo accordo transatlantico per i prossimi 20 anni (e avvalersi dell’art. 5 della NATO1).

C’è di nuovo (secondo Merkel, Macron e altri leader) che la UE non può contare solo sugli USA per la nostra sicurezza: anche l’Eurobarometro mostra che i nostri cittadini sono preoccupati dalla rilevanza della politica interna degli USA nel provocare oscillazioni nella volontà (e capacità) di questo Paese di condurre la cooperazione globale e i cambiamenti necessari. Il Financial Times ha ammesso che spesso Biden sarà obbligato a scegliere tra consenso interno e governo del cambiamento globale.

La seconda evidenza globale è l’imponente spostamento del potere economico: non solo, dal 2007, i BRIC hanno superato l’Occidente per quota del PIL globale, ma la Cina è già la più grande economia globale a parità di potere d’acquisto, la numero uno quale potenza di import ed export, e la numero uno quale partner commerciale della UE. È una realtà storica senza precedenti: un regime autoritario (con scarsa attenzione ai diritti umani) è la prima economia globale, un Paese altamente internazionalizzato, interdipendente e tecnologicamente avanzato.

Non solo ogni Stato dell’Asia/Pacifico ma tutte le più importanti entità democratiche (Giappone, Corea, Australia, Nuova Zelanda, in base al Partenariato Economico Globale Regionale -RCEPsiglato lo scorso 15 novembre), hanno firmato accordi con la Cina. Lo stesso

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hanno fatto Svizzera, Brasile e gli stessi Stati Uniti nel gennaio 2020 (con l’accordo “Fase uno”). È questo il contesto internazionale dell’Accordo globale UECina sugli investimenti, firmato lo scorso 30 dicembre.

La terza evidenza è in una certa misura una conseguenze delle prime due. L’ordine globale multilaterale si sta progressivamente biforcando tra USA e Cina: guerre commerciali, competizione tecnologica digitale, separazione delle catene di produzione, escalation di minacce reciproche e retorica politica fanno del rischio di una seconda Guerra Fredda uno scenario realistico, oggetto di decisioni quotidiane e apertamente considerato inevitabile da eminenti studiosi di entrambe le parti2. La UE come si pone di fronte a questa tendenza così accentuata?

Quarta evidenza della nostra ricerca: la rete multilaterale istituzionalizzata è in una fase di transizione tra, da un lato, un’eredità molto critica del passato, un profondo deficit di efficienza – e di legittimazione – (paralisi del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, blocco dell’OMC, performance scadente dell’OMS durante la pandemia) e, dall’altro lato, tendenze multiple e multilivello di resilienza e pure rinnovamento multilaterale. Reti della società civile che si moltiplicano, nuovi attori che si manifestano, nuove regolamentazioni contro il cambiamento ambientale (COP21), nuove opportunità e vie di governance multilaterale, in particolare il consolidamento e l’espansione di vari tipi di organizzazioni regionali in ogni continente.

L’UE in quanto organizzazione regionale non è un caso isolato: la cooperazione con molti Paesi di simile impostazione (Canada, Giappone, Corea del Sud, Australia…), entità regionali, inclusa l’ASEAN, l’Unione Africana e la CELAC, fanno del multilateralismo una realtà viva e varia, materia delle attività libere di migliaia di reti della società civile.

Il mondo non è solo una terra di lupi, un campo di dura competizione. Anche G. Allison, nel suo libro, troppo brevemente riassunto come annuncio dell’avvento di una ‘trappola di Tucidide’ (guerra tra Cina e USA), dimostra che istituzionalizzare la vita internazionale come una sfera basata su regole valide per tutti può essere un’alternativa ad un conflitto militare globale tra la superpotenza emergente e quella egemone.

Il futuro della UE quale entità multilaterale è direttamente connesso alla sopravvivenza e riforma della rete multilaterale, così come il futuro del multilateralismo è in larga misura dipendente dal ruolo di guida dell’UE. Infine la quinta evidenza della ricerca. La UE è più forte nel 2021 che nel 2001: è sopravvissuta alla peggiore crisi economica dal 1929 grazie ad una ulteriore integrazione e ha superato le numerose politiche di smantellamento decise dal Presidente della superpotenza che era stata la sostenitrice fondamentale della fondazione della Comunità europea negli anni 50 e 60: gli Stati Uniti.

Inoltre, la UE è stata in grado di confrontarsi con successo con l’onda populista, inclusa la Brexit, attraverso nuovi passi

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Bryan R. Smith © Unione europea 2020 Fonte: CE

avanti nel suo processo di unità e di integrazione. La Brexit è stata una novità negativa ma ha creato le condizioni per la Cooperazione Strategica Strutturata nel campo della Difesa (PESCO) nel 2018 e per il Recovery Plan nel 2020-2021, finanziato dal debito commune e dal bilancio UE. La UE non è soltanto un’entità regionale, non è solo un attore, ma anche una forma peculiare di potere internazionale incipiente.

Con potere intendo, come Norberto Bobbio (1999), la capacità di modificare il comportamento altrui anche contro la sua volontà. Nonostante le recenti umiliazioni

Wall Street, New York City

a Mosca ad opera di Lavrov e, a Londra, di Johnson (intenzionale sottovalutazione della rappresentanza diplomatica) gli Europei, i giovani dovrebbero essere consapevoli di tali storici traguardi. La UE è un genere strano, sui generis, di potenza, una potenza civile, ancora un nano dal punto di vista militare, che non utilizzerà mezzi militari quali strumenti di politica estera ma diplomazia, accordi commerciali, cooperazione, influenza valutaria e commerciale, inclusa la cultura della regolazione dei mercati attraverso standard elevati, la regolazione della globalizzazione e, ci auguriamo, anche della tecnologia digitale.

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Cinque azioni prioritarie per la PESC e le relazioni esterne della UE nella prospettiva della Conferenza sul Futuro dell’Europa Nel contesto appena descritto, la UE ha molte carte da giocare sulla base della volontà di una “Autonomia strategica” accresciuta, come anche affermato dall’Alto Rappresentante J. Borrell.

1) Se l’interesse della UE è contenere l’attuale forte tendenza verso una nuova Guerra fredda che influisce negativamente sul suo ruolo e rischia di trasformare l’Europa in un campo di battaglia tra USA e Cina, questa priorità dovrebbe avere un ruolo centrale; di conseguenza, l’unico rimedio è di promuovere molteplici coalizioni multilaterali, fora e sistemi di regolazione, rivitalizzare le organizzazioni multilaterali con la partecipazione della società civile. La Comunicazione congiunta tra Alto Rappresentante e Commissione dello scorso 17 febbraio è una dichiarazione costruttiva a sostegno del Multilateralismo. Tuttavia, non sempre le sue priorità sono abbastanza precise quanto al modo con cui assicurare il futuro del multilateralismo e della UE al suo interno. La ricerca può dare un contributo per ulteriori progressi3.

Il ruolo principale della UE è quello di costruttrice di ponti e di strutture di regolazione a livello globale, regionale e interregionale che guidino il processo di multilateralizzazione della multipolarità.

La combinazione di questo obiettivo con quello di “bilateralizzare il multilateralismo” potrebbe invece dare l’impressione che per la UE il multilateralismo è uno strumento, mentre esso è un valore, un modo di vivere e una scelta strategica fondamentale.

Dal momento che “lo status quo non è un’opzione”, difendere il multilateralismo è possibile solo riformandolo4. È per questo che la UE è politicamente obbligata a promuovere varie coalizioni funzionali. Per esempio, se fosse confermato che la Cina è a favore del rafforzamento della COP 21 in direzione di una COP 26, ma non è pronta a riformare l’OMC, l’Europa deve guardare ad una potenziale convergenza con gli USA quale partner principale di un patto transatlantico per una OMC più forte.

2)Il 18 febbraio scorso la DG Commercio della Commissione europea ha pubblicato un policy paper con il simpatico titolo “Una politica commerciale aperta, sostenibile ed assertiva5” Ciò appare uno sviluppo assai positivo per la politica estera in sé. Perché? Perché una priorità è evitare interpretazioni protezionistiche dell’autonomia strategica, che rafforzerebbero le critiche di quegli osservatori esterni che sostengono che, dopo la Brexit, la UE diventerà inevitabilmente una fortezza protezionistica.

Proteggere i cittadini dagli effetti negativi della globalizzazione non significa affatto diventare protezionisti. La UE deve dimostrare che una politica di commercio aperto è compatibile sia con un’autonomia politica strategica che con il consenso

CANTIERI D’EUROPA

Raul Arboleda © Unione europea 2014 Fonte: CE

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Medellín, Colombia

interno. In che modo? Attraverso una convergenza interna sulle migliori pratiche nazionali. La Svezia appare come il modello migliore che combina l’apertura commerciale con le politiche pubbliche interne, il famoso AMS, che sostiene le vittime interne del commercio aperto attraverso la formazione professionale. La politica commerciale dovrebbe essere parallela alla politica industriale in settori strategici (inclusa la sanità, la produzione dei vaccini e il digitale) come sottolinea, tra gli altri, il governo francese.

Questa è la via progressista contro le diverse tendenze protezionistiche.

3) L’approccio aperto al commercio com-

promette troppo la protezione internazionale dei diritti umani e in particolare è troppo naïf nel concludere accordi con regimi autoritari come la Cina e la Russia?

Secondo il Trattato la UE deve mettere i diritti umani e la promozione della democrazia in cima alla sua agenda. Però, qual è il modo migliore di difendere i diritti umani e promuovere la democrazia?

Il segretario generale dell’ONU A. Guterres ha fatto riferimento più volte al Processo di Helsinki. Nel 1975, quando l’OSCE fu fondata a seguito della famosa conferenza di Helsinki, l’idea dei promotori, da H. Schmidt a B. Kreisky, da O. Palme ad A. Moro tra gli altri, fu di

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IL RUOLO DELL’UE NEL MONDO AL CENTRO DELLA CONFERENZA SUL FUTURO DELL’EUROPA

cambiare i regimi autoritari dell’Europa orientale attraverso il dialogo e una cooperazione basata su tre pilastri: sicurezza, economia, cultura e diritti umani.

L’URSS e il blocco sovietico erano sistemi totalitari, molto più di quanto lo siano oggi la Russia e la Cina6. Cambiare i regimi autoritari attraverso la promozione dei diritti umani è una priorità, ma è un obiettivo che può essere raggiunto soltanto attraverso un dialogo e una cooperazione più stringenti.

4) Ha ragione Josep Borrell quando dice che con questi regimi autoritari l’UE deve usare il linguaggio della potenza, anche se il suo specifico linguaggio. Coerentemente, la UE dovrebbe precisare in che cosa consista il suo linguaggio distintivo di potenza. La ricerca è chiara sul punto: il potere del mercato e del commercio sono le leve più efficaci dell’influenza internazionale della UE. La politica estera non è sufficientemente coordinata con gli assertivi accordi commerciali e d’investimento negoziati dalla Commissione europea. Quando si giunge alla sfida della ratifica, il dialogo intenso con il Parlamento europeo dovrebbe assicurare la legittimità interna, secondo il Trattato di Lisbona, ma spesso si rivela più complesso.

I negoziati di successo con Cina, Vietnam e Mercosur (incluso il Brasile guidato da Bolsonaro, che è stato costretto ad una conversione ad u rispetto al suo programma elettorale di abbandonare la COP 21) mostrano chiaramente che, quando agisce in questo modo, nonostante le controversie interne e gli ostacoli

esterni che allungano i tempi, la UE raggiunge i suoi obiettivi; quando non fa uso di queste leve e solo si appella ai diritti umani in modo puramente propagandistico, fallisce.

Ci sono due modi di essere una potenza normativa: essere attivisti della propaganda o un’efficace potenza di trasformazione attraverso negoziati sul commercio e sugli investimenti, l’aiuto allo sviluppo e accordi globali interregionali.

Anche in merito alla tragica persecuzione e al lavoro forzato degli Uiguri nella Cina occidentale, grazie all’Accordo globale sugli Investimenti la CE ha ottenuto, dopo sette anni di duri negoziati, concessioni dalla Cina senza precedenti (gli impegni per “sforzi prolungati per i diritti dei lavoratori, contro il lavoro forzato”). Un Paese comunista ha accettato la prospettiva di liberalizzare le associazioni dei lavoratori e si è dato vita ad un processo di monitoraggio per il capitolo dello sviluppo sostenibile. Qual è un’alternativa realistica se si vuole seriamente cambiare il regime cinese, dal momento che è chiaro che “il contenimento non è un’opzione percorribile”, come ha scritto recentemente Martin Wolf sul Financial Times7? Con quale diritto J. Sullivan (consigliere nazionale alla Sicurezza, USA) critica l’Accordo quando anche gli Stati Uniti ne hanno firmato uno, molto meno qualificante, nel febbraio del 2020? È necessaria un’autonomia strategica aperta, e sarà impossibile senza cooperazione, impegno ed una assertiva combinazione di valori e potenza.

5) Infine, che dire della riforma della

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stessa UE? La UE è in condizione di condurre coerentemente queste politiche? O si tratta soltanto di “wishful thinking”?

La risposta è sì, la UE ha le sue carte da giocare, ma solo se si rafforzano alcune rilevanti condizioni, esterne ed interne.

Innanzitutto evochiamo queste condizioni internazionali:

(l’Eurozona). Nessun attore diventa una vera potenza se non organizza il suo vicinato: la Gran Bretagna, la Turchia, l’Ucraina, la sponda sud, richiedono ciascuna proposte di partenariato distinte.

Nonostante le controversie, assumere l’iniziativa politica è esattamente la responsabilità del leader regionale.

Condizioni interne

• La proposta inclusa nella Comunicazione congiunta tra Alto Rappresentante e Commissione del febbraio 2021di un “incontro annuale del Consiglio di Sicurezza dell’ONU con i responsabili delle principali organizzazione regionali” sarà cruciale nella prospettiva di lungo periodo di una regionalizzazione del sistema delle Nazioni Unite. Abbiamo avanzato idee concrete su come vagliarle e selezionarle in base alla loro coerenza con i principi e le procedure multilaterali.

• Tutti i partenariati strategici e le relazioni interregionali polivalenti con Asia orientale, Africa e America Latina dovrebbero essere potenziati nella loro dimensione politica e supportate da forti accordi commerciali e di investimento con un ruolo-guida.

• Riorganizzare l’interazione con il vicinato è una priorità per ogni aspirante potenza: l’area mediterranea e quella dell’Europa orientale dovrebbero essere riorganizzate attraverso una lungimirante iniziativa della UE per questo grande spazio macroregionale, attraverso cerchi concentrici e vari gradi di cooperazione con il nucleo centrale

Quali condizioni interne devono sussistere per fare dell’autonomia strategica aperta un percorso realistico? Primo, la volontà politica di autonomia strategica dovrebbe prevalere sui veto-players, gli Stati membri che giocano troppo spesso la carta del veto. In che modo? Attraverso una legittimazione ed una efficacia rafforzate della PESC e delle relazioni esterne. Nessuno sottolinea abbastanza che la politica estera offre l’opportunità di mobilitare l’opinione pubblica per più Europa. L’integrazione dell’Europa inizia all’estero grazie a relazioni esterne di successo.

Quali sono le implicazioni a livello delle istituzioni, della governance e della capacità della UE? Primo, nel caso in cui la Conferenza sul Futuro dell’Europa apra la prospettiva di un mandato dinamico per una Convenzione e una riforma dei Trattati, devono essere proposte alcune strade: voto a maggioranza qualificata nel Consiglio Affari esteri in caso di seria e persistente violazione del diritti dell’uomo. Nel caso

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Mauro Bottaro © Unione europea 2019 Fonte: CE

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Bandiere del Messico e della UE

in cui non sia possibile alcun cambiamento dei Trattati, la governance delle relazioni esterne e della PESC può essere migliorata grazie a diverse disposizioni offerte dal Trattato di Lisbona per ridurre il peso di chi esercita il potere di veto: - Passerelle dal voto all’unanimità a quello a maggioranza qualificata come nel recente Documento del Consiglio e la già citata Comunicazione congiunta dello scorso febbraio.

- Inoltre, andrebbe accuratamente messo in pratica il ruolo di coordinamento dall’Alto rappresentante per la politica estera in tutte le relazioni esterne. Mancava nel caso di C. Ashton (concentrata sulla costruzione del SEAE) ed è ancora piuttosto debole durante i mandati di

Mogherini e Borrell, anche se Mogherini aveva stabilito un’interessante riforma della governance, il Gruppo dei Commissari che hanno a che fare con le relazioni esterne.

Il Trattato attribuisce all’Alto rappresentante per la politica estera un doppio cappello: questa regola politica dovrebbe essere attuata in maniera coerente e in tutti gli accordi internazionali.

- L’art. 46 del Trattato sull’UE ha consentito di fondare nel 2018 la PESCO, mostrando il potenziale del coordinamento intergovernativo. È però di importanza cruciale monitorarne il prosieguo: l’effettivo accrescimento della “capacità di costruzione” (capacity building) di ciascuno dei 25 Stati membri.

CANTIERI D’EUROPA

IL RUOLO DELL’UE NEL MONDO AL CENTRO DELLA CONFERENZA SUL FUTURO DELL’EUROPA

- Con il medesimo spirito dovrebbe essere posta in agenda la questione di un “Esercito europeo”. Al di là della retorica, siamo consci degli ostacoli. L’UE ha bisogno di un dibattito franco su questo punto, affrontato da J. C. Juncker nel 2014 e recentemente (2020) da una proposta più credibile del Gruppo parlamentare della SPD al Bundestag.

Forse non è realistico proporre un unico esercito europeo8; ciò che appare più realistico è uno sviluppo della PESCO verso un ventottesimo esercito, che non ha lo scopo di sostituire ventisette eserciti nazionali ma di essere complementare ad essi nel caso di missioni comuni della UE, nel quadro delle missioni di Peterberg e del necessario sostegno e protezione indipendente delle missioni civili.

- Infine, sempre per neutralizzare i vetoplayers, se ci fosse la volontà politica, l’art. 20 del TUE sulle cooperazioni rafforzate offre la possibilità di migliorare la possibilità di agire in politica estera, la reazione rapida ad emergenze drammatiche.

Conclusioni: un “momento spinelliano”?

Nel 2021 celebriamo l’ottantesimo anniversario del Manifesto di Ventotene, il documento fondativo della costruzione

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europea, redatto da Altiero Spinelli e dai suoi compagni durante la detenzione fascista. Non sarebbe un’idea largamente condivisa quella di proporre di fare del 2021 un “momento spinelliano” per la UE? Il palazzo del Parlamento europeo a Bruxelles è dedicato a Spinelli, guida del processo di democratizzazione dell’UE. In una fase in cui l’UE ha necessità sia di maggiore democrazia che di forza accresciuta nel mondo, perché i cittadini dovrebbero provare entusiasmo per un “momento hamiltoniano”, citato da Wolfgang Schäuble sull’Economist? Hamilton lottò durante tutta la sua vita per costruire gli Stati Uniti ma la UE non può diventare un secondo USA. Spinelli rappresenta bene non solo l’idea federalista in senso stretto, ma una schiera molto più larga e articolata di forze e speranze per l’unità europea radicate in ogni Stato membro, un progetto europeo più ampio, che comprende una idea peculiare e coraggiosa di modernità europea nel mondo. Con questo riferimento simbolico, la Conferenza sul futuro dell’Europa e altre iniziative di quest’anno possono rendere l’“autonomia strategica aperta” della UE più credibile e maggiormente in grado di rappresentare un modello politico e socio-economico ispiratore nell’attuale incertezza mondiale.

Le parti convengono che un attacco armato contro una o più di esse in Europa o nell’America settentrionale sarà considerato come un attacco diretto contro tutte le parti, e di conseguenza convengono che se un tale attacco si producesse, ciascuna di esse, nell’esercizio del diritto di legittima difesa, individuale o collettiva, (…) assisterà la parte o le parti così attaccate intraprendendo immediatamente, individualmente e di concerto con

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IL RUOLO DELL’UE NEL MONDO AL CENTRO DELLA CONFERENZA SUL FUTURO DELL’EUROPA

le altre parti, l’azione che giudicherà necessaria, ivi compreso l’uso della forza armata, per ristabilire e mantenere la sicurezza nella regione dell’Atlantico settentrionale.

2 Yan Xuetong 2020, John Ikenberry 2020, Graham Allison 2018 3 Con ragione la Dichiarazione franco-tedesca dello scorso 20 novembre (Le Drian-Maas) ha affermato l’alternativa europea alla Guerra fredda, cioè la prospettiva di una nuova “Alleanza per il multilateralismo”, laddove lo scenario della Guerra fredda dividerebbe le attuali e potenziali coalizioni multilaterali per i beni comuni e indebolirebbe meccanismi e organizzazioni multilaterali: prima di tutto le Nazioni Unite e la strategia di Antonio Guterres per una seria riforma dell’ONU ma pure l’OMC, la COP26, l’OMS e anche il G20.

4 Mario Telò (ed), Reforming Multilateralism in Post-COVID times. For a more regionalised, binding and legitimate United Nations, with contributions by A.Acharya, QinY., L.van Langenhove, N.Schrijver, M.J. Rodrigues, N.Tocci, Jo Leinen, P.Guerrieri, Ruth Rubio, P.Padoan, A.Vasconcelos, A.Gamble, Brussels, 2021 5 COM/2021/66 final 6 Macron ha giustamente affermato che si rischia di applicare a questi regimi autoritari concetti superati e anacronistici propri della vecchia Guerra fredda; mentre essi, e specialmente la Cina, sono molto più integrati nell’economia globale interdipendente e anche nel sistema multilaterale.

7 21/2/2021 8 Ciò richiederebbe un nuovo trattato simile alla Comunità Europea della Difesa del 1952, fallita nel 1954.

© Unione europea 2021 Fonte: CE

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Centro di conoscenza per l’osservazione della Terra, Commissione europea

CANTIERI D’EUROPA

La Procura Europea e i “reati federali” Sovranità Europea necessaria e Sovranità Nazionale effettiva GIUSEPPE M. GIACOMINI, avvocato in diritto euro unitario e penale

A livello europeo è statisticamente previsto che nei primi 24 mesi di attività può attendersi l’apertura di circa 3000 procedimenti penali di competenza EPPO e che un’alta percentuale di essi riguarderà l’Italia. Non a caso i Procuratori delegati italiani saranno 20, distribuiti su nove Sedi di Corte d’Appello. Genova non è tra queste ed è lecito chiedersi il perché, stante l’eccellenza di detta Procura.

Resta il fatto che le frodi in materia di

fondi derivanti dal c.d. Recovery/Next generation UE sono di competenza della nuova Procura Europea istituita col Reg.UE 1939/2017 e definita “organo dell’Unione”.

Fondamentale dunque prenderne conoscenza da parte dei cittadini.

L’European Public Prosecutor Office (EPPO) è la prima Istituzione costituita ex novo a partire dai Trattati istitutivi.

Ma ciò che la caratterizza è il fatto che essa entra direttamente nella sfera penale degli Stati membri, ancor più protetta di quanto non sia accaduto per le monete nazionali, già superate nel 1992 col Trattato di Maastricht che tracciava il percorso verso l’Euro, completato nel 2001.

Neppure la Corte di giustizia ha prerogative così dirette negli ordinamenti nazionali sui quali essa interviene in modo efficace ma indiretto. La Corte UE infatti interpreta il diritto euro-unitario (non i diritti nazionali) e ne garantisce l’uniformità con effetto vincolante sulle normative interne.

La Procura Europea, al contrario, pro-

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L A P ROCURA E UROPEA

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“ REATI

FEDERALI ”

Xavier Lejeune © Unione europea 2020 Fonte: CE

muove ed esercita direttamente l’azione penale nel territorio degli Stati aderenti per lo strategico “set” di reati previsti dalla Direttiva UE 1371/2017.

L’istituzione della Procura Europea si concretizza dopo anni di negoziato conclusi grazie al metodo della “cooperazione rafforzata”.

Tale metodo, previsto in via generale dai Trattati UE, è stato promosso da sedici Paesi membri (poi ventidue). La proposta della Commissione di istituire una Procura Europea per l’intera Unione non trovava infatti l’unanimità del Consiglio europeo e ne restava paralizzata.

La cooperazione rafforzata consiste in un

Statuetta di Themis, dea della giustizia divina

percorso legislativo che consente ad almeno nove Stati membri di cooperare tra loro in un determinato ambito senza il coinvolgimento degli Stati che non intendano aderirvi.

Osservo che la valorizzazione di questo metodo gioverebbe al rafforzamento dell’Unione in settori strategici sui quali molti Paesi membri potrebbero concordare percorsi comuni che restano oggi impediti dall’esigenza di unanimità e dalla resistenza di alcuni Stati, legati a una logica territoriale anche in ambiti nei quali tale logica non è proporzionata all’inevitabile confronto con le grandi potenze globali.

Non si tratta di cedere la propria sovranità ma di trasferirla al livello superiore che la contiene. Trattasi, in breve, di dare contenuto al concetto di “Sovranità europea” necessaria a garantire la stessa “Sovranità nazionale” dei singoli Paesi membri.

In questa premessa l’EPPO vede oggi la partecipazione di 22 dei 27 Stati dell’Unione. Resta prevista la possibilità di estendere la cooperazione ad ulteriori adesioni che potranno intervenire senza che vengano (ri)messi in discussione i presupposti che regolano questa Istituzione.

La Procura Europea esercita i propri poteri nel perseguire le frodi e, a certe condizioni, qualsiasi altro reato “indissolubilmente connesso”, “strumentale” e “accessorio” in danno degli interessi finanziari dell’Unione, facendo fronte al loro carattere transfrontaliero.

Le condotte criminose rilevanti su cui tali

L A P ROCURA E UROPEA

poteri si esercitano sono delineate nella Direttiva UE 1371/2017 che definisce la nozione di “frode e lesione degli interessi finanziari dell’UE”. Basti qui accennare che costituiscono frodi e reati rilevanti ai sensi della Direttiva: le condotte fraudolente ai danni del bilancio dell’Unione; i reati contro il sistema comune dell’IVA, compiuti in due o più Stati membri ed il cui danno complessivo sia almeno pari a 10 milioni di Euro; le condotte di appropriazione indebita di “funzionari pubblici”, dell’Unione e nazionali, nonché di corruzione attiva e passiva e le condotte di riciclaggio di denaro riguardante beni provenienti dai reati di cui alla Direttiva. È prevista la responsabilità delle persone giuridiche. L’EPPO è altresì competente “per i reati relativi alla partecipazione a un’organizzazione criminale…. se l’attività criminosa di tale organizzazione criminale è incentrata sulla commissione di uno dei reati di cui… ” alla Direttiva UE del 2017.

Sono esclusi i reati in materia di imposte dirette nazionali, anche se “indissolubilmente connessi”.

La Procura Europea, nelle sfere a lei attribuite, si manterrà in stretto contatto con altri organismi sovranazionali preesistenti e collaudati quali Eurojust (che ne è all’origine), Europol e OLAF. La Procura Europea esercita dunque l’azione penale dinanzi agli organi giurisdizionali competenti degli Stati aderenti e, chiuse le indagini, se del caso, porta gli accusati a giudizio davanti alla giurisdizione nazionale che risulti competente.

L’EPPO ha sede in Lussemburgo ed è strutturato su due livelli. Il primo, centra-

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“ REATI

FEDERALI ”

lizzato, definibile come livello strategico, è composto dal Procuratore Capo e dal Collegio di Procuratori europei (uno per Stato aderente), deputati a definire e gestire gli obiettivi dell’organo nonché da Camere permanenti (3 membri) con funzione di indirizzo e supervisione delle singole indagini in atto. Il secondo livello, decentrato e di carattere operativo, è composto dai Procuratori europei delegati nei singoli Stati all’esercizio “sul campo” dell’azione penale. I Procuratori europei delegati sono tratti dalle Magistrature nazionali e agiscono nei singoli Stati di appartenenza collaborando con le autorità degli stessi ma essendone del tutto indipendenti.

L’EPPO è presieduto dal Magistrato romeno Laura Codruta Kövesi. Tra i suoi componenti si annovera il Procuratore italiano Danilo Ceccarelli che il Collegio ha designato quale Vice Procuratore Capo.

La struttura centrale dell’EPPO è stata pressoché completata ed il budget approvato. Ha tardato l’indicazione dei Procuratori delegati da parte di taluni Stati aderenti (tra cui l’Italia) e si prevede pertanto l’avvio delle funzioni di indagine penale non appena completato questo aspetto.

Resta che il tema è di stringente attualità poiché si dà per scontato che tale decisione di avvio sarà richiesta dal Procuratore Capo ed assunta dalla Commissione UE per il 1° giugno2021.

Durante i primi 3 anni, l’attività della Procura è stata pressoché esclusivamente votata al processo di creazione della

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L A P ROCURA E UROPEA

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“ REATI

FEDERALI ”

giurare ogni possibile incompatibilità.

Quanto al processo di selezione dei Procuratori europei, l’autorità italiana competente è stata individuata nel CSM che si è dato regole operative con Delibera del 25 febbraio scorso.

Sull’attualità e rilevanza strategica del tema, anche il Ministro di Giustizia, al Plenum del CSM il 23/3/2021, ha ricordato che le frodi nella ricezione ed uso dei fondi europei rientrano per definizione nelle competenze dell’EPPO. Utile che i cittadini siano consapevoli di questo strumento di giustizia che tocca molto direttamente i loro interessi e il senso stesso dell’Europa del diritto e della legalità.

Claudio Centonze © Unione europea 2021 Fonte: CE

struttura e di adozione collegiale degli atti amministrativi necessari all’efficace funzionamento del nuovo organismo.

Sono state infatti approvate le “Internal Rules of Procedure” e altri atti secondari cui è rimessa la disciplina di numerose scelte inerenti l’esercizio dell’azione penale.

Merita un cenno il percorso di adeguamento della normativa italiana cui ha provveduto il D.Lgs 9 del 2/2/2021. Sebbene il Regolamento EPPO, come tutti i Regolamenti UE, sia direttamente applicabile e sia pertanto direttamente vincolante negli ordinamenti nazionali, esso imponeva infatti alcuni adeguamenti della legislazione interna al fine di scon-

Giustizia

CANTIERI D’EUROPA

Green Deal e siderurgia italiana MARCO VEZZANI, presidente Federmanager ASDAI Liguria

Da decenni ormai si parla del futuro della siderurgia italiana e dei suoi stabilimenti di Taranto, Cornigliano e Novi Ligure ma senza trovare soluzioni condivise: si può anzi dire che solo il dossier Alitalia sia più vecchio e disperato.

Nel corso di questi lunghi anni si sono in realtà affrontati due opposti estremismi: quello dei successivi proprietari privati, Riva

e Arcelor Mittal, sostanzialmente preoccupati di “spremere il limone” nei periodi di ciclo favorevole minimizzando i costi per gli ammodernamenti ambientali e impiantistici e quello degli ambientalisti duri e puri che, basandosi più su suggestioni e pregiudizi ideologici che su dati scientifici certi avevano e hanno un solo obbiettivo: chiudere.

E il conto? Ça va sans dire; lo paga il contribuente. E l’occupazione? Cassa integrazione a vita e successivo lavoro in nero, ricetta stracciona e sempre attuale.

Eppure, nell’ultimo anno, si è fatta faticosamente strada l’idea che una terza via sia possibile, rispettosa dell’ambiente, all’interno delle linee guida europee (accordi di Parigi, Green Deal, sostegno alla ricerca, difesa delle attività strategiche europee) e supportata da un intervento misto pubblico-privato.

Proprio da questa premessa è partito lo studio di Federmanager ASDAI Liguria che lo ha sviluppato e presentato ad istituzioni, cittadini e parti sociali riscuotendo un ampio interesse.

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GREEN DEAL E SIDERURGIA ITALIANA

Il punto di partenza dello studio è che un paese industrializzato come l’Italia non può fare a meno della siderurgia a ciclo integrale, ad evitare una irreversibile penalizzazione dell’industria manifatturiera e del suo export, vitale per l’ Italia.

Inoltre, spegnere gli altiforni come vorrebbero gli ultras ambientalisti non è come spegnere il forno della pizza: richiederebbe mesi e sarebbe la morte dello stabilimento.

Ma al tempo stesso la difesa dell’ambiente e della salute è un problema reale, perché la siderurgia inquina sul serio, anche se spesso si fa confusione tra CO2 che produce i gas serra senza intaccare i polmoni dei tarantini e le polveri sottili e le diossine che davvero nuocciono alla salute.

E allora come trovare un equilibrio? Intanto, aiutano le regole ambientali europee e i grandi recenti sviluppi tecnologici; dalla

copertura dei parchi, allo spegnimento a secco del coke, dall’uso di nuovi combustibili meno inquinanti, oggi il gas naturale domani l’idrogeno, anche se per un uso esteso di quest’ ultimo occorreranno anni.

La tecnica e il buon senso suggeriscono un piano poliennale dove si attuino da subito tutti gli interventi ambientali possibili e necessari, a partire dagli altiforni, si avvii una produzione più pulita basata su riduzione diretta, forni elettrici, gas naturale in attesa della maturità dell’idrogeno; col tempo questo diventerà il ciclo produttivo unico, fino a raggiungere la produzione target di 8 milioni di tonnellate anno usando tecnologie pulite e allineate con quanto fanno USA e produttori europei più evoluti; il tutto investendo anche nelle necessarie manutenzioni e soprattutto sulle risorse umane, cioè sui giovani tecnici che dovranno gestire gli

José-Joaquín Blasco, Kathleen James © Unione europea 2020 Fonte: CE

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Progetto UE EQUFIRE. Resistenza delle strutture d’acciaio ai terremoti

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GREEN DEAL E SIDERURGIA ITALIANA

impianti “puliti” del futuro. Si può fare, anche grazie ai fondi europei e a un approccio ambientalista ma basato sull’evidenza scientifica; oltretutto, in Italia ma soprattutto a Genova abbiamo le migliori Aziende tecnologiche e impiantistiche, eredi di Italimpianti, che realizzano da sempre nel mondo gli impianti che non possono realizzare in Italia.

Inoltre, da questo scenario virtuoso che abbiamo cercato di delineare sarà assicurato anche un futuro produttivo e non assistito dei siti di Genova e Novi, che dipendono dall’approvvigionamento di semiprodotti da Taranto, essendo solo “wishful thinking” l’idea di acquistarli dal mercato straniero. In particolare Cornigliano, che produce soprattutto latta essenziale per l’industria alimentare, oggi non è competitivo perché i suoi impianti risalgono agli

Altoforno di Duisburg (Germania)

anni ’60. Eppure, il mercato interno richiede 800.000 tonnellate all’anno di banda stagnata che potrebbero in gran parte essere prodotte in Liguria anziché essere in gran parte importate come avviene oggi. Il tutto richiede investimenti contenuti e utilizzando anche il Recovery fund.

Difendere l’ambiente e assieme l’occupazione e la produzione sono obbiettivi altrettanto importanti, ed è realistico conseguirli.

Occorre però avere fiducia nell’Europa e nell’innovazione tecnologica: la transizione ambientale è possibile, il destino del pianeta non è segnato; occorre puntare a uno sviluppo sostenibile ed equilibrato: ma per riuscirci bisogna battere gli opposti estremismi che spesso nascondono entrambi solo gretti interessi di parte.

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Lettura e digitale, uno sguardo post pandemia GABRIELLA DODERO, già professoressa di Informatica presso la Libera Università di Bolzano

Tra le abitudini che la perdurante situazione della pandemia ci ha fatto perdere o prendere, c’è sicuramente una maggior frequentazione del digitale. In assenza di eventi culturali quali mostre, spettacoli teatrali o cinematografici, l’esperienza di eventi offerti in streaming e la fruizione di spettacoli su piattaforme web quali Netflix si è ormai consolidata nelle abitudini di molti di noi. Nel seguito proverò a fornire alcuni spunti di riflessione centrati in par-

ticolare sui libri, le risorse bibliografiche digitali e le possibilità che l’Europa ci fornisce per migliorare la (triste) situazione della scarsa abitudine degli italiani a leggere, che non nasce solo dalla pandemia.

Io che sto scrivendo queste righe, e voi che le state leggendo, facciamo parte del gruppo dei lettori italiani. Non siamo tanti, e questo si sa. I dati ISTAT1, quasi costanti tra il 2014 e il 2018, ci dicono che il numero di italiani "che leggono" era pari al 65%.Tra questi, due terzi leggevano esclusivamente libri, mentre il 25% leggeva ebook e il 10% circa ascoltava podcast ed audiolibri. E comunque questi lettori (più donne che uomini, più al Nord che al Sud) non erano particolarmente assidui: quasi la metà di chi legge si limita a un solo libro, ebook o audiolibro ogni quattro mesi. Solo il 16% dei lettori legge più di un libro al mese, e solo il 5% più di 2 libri al mese.

Questa situazione è mutata un anno fa a causa della pandemia e delle regole (e abitudini) che ne sono seguite? Una analisi del consumo di libri nel 20202 mostra che vi sono state diverse fasi, quelle corrispon-

L ETTURA

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E DIGITALE , UNO SGUARDO POST PANDEMIA

140% dell'utenza, e con picchi molto più elevati, anche del 300%, dove i sistemi bibliotecari erano già particolarmente virtuosi, come in Emilia Romagna e Liguria.

Le biblioteche liguri hanno fatto la loro parte, da una parte fornendo agli utenti risorse di libera consultazione (quindi non registrate come prestiti), dall’altra con il prestito di ebook ed audiolibri, che sul portale bi.G.met hanno fatto registrare aumenti del 320% tra marzo e luglio, e su base annuale, duplicando nel 2020 i prestiti del 2019.

Alla riapertura estiva, il settore librario recuperava gradualmente, con perdite su base annua scese al -11% del 10 luglio e al -7% di fine settembre. La nuova abitudine all’acquisto online però rimane, e

Yorgos Karahalis © Unione europea 2020 Fonte: CE

denti alle chiusure della prima ondata pandemica, quelle della fase estiva di riapertura, e una certa “normalizzazione” dall’autunno 2020.

Tra marzo e maggio 2020, come era prevedibile, le vendite di ebook e di libri online sono naturalmente aumentate, ma si sono concentrate su poche grandi piattaforme, e complessivamente non sono riuscite a compensare la perdita di fatturato delle case editrici e delle librerie, -20% rispetto allo stesso periodo del 2019. Particolarmente penalizzate le piccole case editrici e le piccole librerie. Il mercato degli ebook è invece cresciuto quasi del 50%, per poi attestarsi sul +24% in estate. Molto cresciuto anche il prestito bibliotecario digitale, mediamente con aumenti intorno al

La statua di Atena davanti all’Accademia di Atene

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E DIGITALE , UNO SGUARDO POST PANDEMIA

passa dal 27% del fatturato 2019 al 44% del 2020. Con le nuove chiusure dell'autunno 2020, e l'impossibilità per il pubblico di soddisfare altri interessi culturali, nei musei, teatri e cinema, il settore del libro continua il recupero e chiude l'anno addirittura con un segno positivo: +0,3% complessivo sul 2019, mentre sempre su base annua, gli ebook crescono del 37% e gli audiolibri quasi raddoppiano, +94%.

Per l’immediato futuro la preoccupazione maggiore circa la diffusione della lettura, e della lettura in digitale, riguarda l’impatto che la minore disponibilità finanziaria conseguente alla crisi avrà sui consumi culturali e sui libri in particolare.

Allargando lo sguardo dai libri alle risorse bibliografiche digitali, è evidente che queste ultime rappresentano oggi l’unica alternativa alla consultazione fisica di documenti, già prima della pandemia difficili da ottenere, per la loro fragilità. Esse rappresentano l’unico modo possibile di documentarsi, nell’impossibilità di recarsi fuori dal proprio Comune, e trattenersi dentro le biblioteche per consultarli a proprio agio.

Una utile “mappa” di queste risorse è stata compilata dalla Biblioteca Nazionale di Napoli3.

E molte risorse italiane si trovano all’interno di grandi progetti internazionali di digitalizzazione, come Internet Archive4 o Google Books5. Quest’ultimo fornisce funzioni di ricerca all’interno dei testi digitali, mentre IA consente la ricerca nei metadati, ma generalmente tratta il testo solo come “immagine”. Ad esempio, la Biblioteca Berio ha contribuito a IA con

oltre 300 titoli digitalizzati 6. I libri in queste due vaste raccolte sono generalmente liberi da diritti d’autore, anche se le legislazioni coinvolte, quella del Paese che ospita il sito e quella di chi lo consulta e scarica, possono essere diverse; in questo caso, Google Books limita l’accesso alle opere ancora sotto copyright.

La più grande biblioteca digitale del mondo, totalmente libera nella consultazione e nella possibilità di scaricarne i contenuti, è probabilmente quella creata negli USA da Progetto Gutenberg7. Contiene oltre 60.000 volumi digitali, riviste e quotidiani d’epoca, prevalentemente in lingua inglese, ma con opere in numero crescente scritte in altre lingue, italiano compreso. Il materiale può essere consultato online, oppure scaricato in un qualsiasi formato ebook. Purtroppo da circa un anno l’intero sito è stato oscurato dai provider italiani, su ordine della Magistratura, in quanto vi erano alcune opere non più protette da copyright in USA, ma ancora protette da copyright per la legge italiana, ed è stato quindi assimilato a un sito di pirateria digitale.

L’accesso a edizioni digitali di opere italiane libere da copyright, scaricabili gratuitamente, è comunque fornito da Liber Liber8, organizzazione di volontariato che oltre ai libri in formato digitale, ormai più di 8000, mette a disposizione audiolibri, musica, un network di riviste culturali, ed altro. In particolare tutti i testi in italiano già presenti su Progetto Gutenberg e liberi da copyright sono presenti anche su Liberliber. Nel corso del 2020 il sito di Liberliber è diventato sempre più popolare

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tra i lettori, ed il giorno 30.3.2020 ha registrato la cifra record di 90.000 visitatori unici.

Collezioni dedicate ad argomenti specifici, messe online da biblioteche italiane, si possono invece ricercare tramite il portale Internet Culturale9. Qui la ricerca avviene per argomento, ed oltre ai libri, manoscritti e documenti, sono indicizzati materiali multimediali. Ad esempio, alla voce “matematica” si ritrova il carteggio del matematico Placido Tardy, digitalizzato a cura della Biblioteca Universitaria genovese, mentre i volumi digitalizzati dalla Società Ligure di Storia Patria e le collezioni digitali del Comune di La Spezia sono anche essi reperibili su Internet Culturale, oltre che sui siti dei rispettivi Enti.

Diversi interventi a favore della cultura digitale e del libro sono stati messi in opera nei vari Paesi europei: oltre a misure di sostegno genericamente rivolte alle PMI, e quindi ai piccoli editori, vi sono state misure specifiche dei singoli Stati per incrementare la domanda e l’offerta di libri, quali ad esempio la riduzione temporanea dell’IVA, e interventi in favore dei festival

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librari rinviati o cancellati. Ogni Stato ha intrapreso le azioni che riteneva più adatte, e l’Italia ha stanziato somme in linea con il budget tedesco, e molto superiori a quello francese, per fare due esempi.

A livello comunitario, il programma Europa Creativa10, dedicato a finanziare diverse iniziative culturali e multimediali, contiene una linea specifica per il mondo dei libri. Nuovi progetti sono partiti già a settembre 2020, e tra questi ve ne sono al momento 63 con coordinatore o partner italiani, prevalentemente nei settori arte, spettacolo e multimedia, ma anche dedicati alla diffusione di libri ed autori incentivandone la traduzione in altre lingue.

Maggior quantità di risorse sarà destinata con Next Generation Europe, in cui circa il 2% dei fondi di ciascun Paese sarà dedicato alle industrie culturali e creative.

Si ringraziano per le informazioni Beppe Pavoletti, Regione Liguria Settore Cultura e Spettacolo e Francesca Cappelli, Comune di Genova, Coordinamento tecnico Sistema Bibliotecario Urbano Referente Polo Genova Metropolitana - GMP.

www.istat.it/it/files/2019/12/Report-Produzione-lettura-libri-2018.pdf https://drive.google.com/file/d/1SPDBjLgoDeqYTGX8u47WCYa81cOdeMRL/view 3 http://www.bnnonline.it/index.php?it/281/biblioteche-e-archivi-virtuali 4 https://archive.org/details/texts 5 https://books.google.com/?hl=en 6 https://archive.org/details/beriopubliclibrary 7 www.gutenberg.org.

8 www.liberliber.it 9 http://www.internetculturale.it/it/41/collezioni-digitali 10 https://ec.europa.eu/programmes/creative-europe/node_en 2

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Imprese verdi, sostenibili, ecologiche. Ma sarà vero?

EUGENIO PIOVANO, esperto ambientale

Il tema di uno sviluppo sostenibile non è certamente una novità. È almeno dagli anni ’70, con la pubblicazione del Rapporto: “I limiti dello sviluppo”, che, in ambienti sempre più vasti, la consapevolezza di dover fare i conti con un pianeta finito si è andata affermando.

A livello di accordi internazionali, la Conferenza di Rio delle Nazioni Unite del 1992, con il documento “Agenda 21”, sottoscritto

da 170 paesi di tutto il mondo, costituisce un momento fondamentale di questo processo. Ci sono voluti più di venti anni perché da un documento di intenti si passasse ad un programma di azione: l’Agenda 2030, sottoscritta da 193 paesi a Stoccolma, è infatti del 2015.

L’Agenda 2030 individua 17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile (Sustainable Development Goals - SDGs), a loro volta articolati in 169 ‘target’ o traguardi, che i Paesi sottoscrittori si sono impegnati a raggiungere entro, appunto, il 2030. L’Italia, con la Delibera CIPE 108 del 2017, ha approvato la Strategia Nazionale per lo Sviluppo Sostenibile. A livello locale, il varo della Strategia Regionale è di qualche settimana fa1 (e ci siamo già “mangiati” sei anni su quindici).

In parallelo, ma non senza correlazioni, per fronteggiare i cambiamenti climatici, evidenziati in primo luogo dall’ICCP2 (organismo anch’esso facente capo Nazioni Unite), si è stipulato il cosiddetto “Protocollo di Kyoto”, entrato in vigore nel 2005, che fissa un limite alle emissioni dei cosid-

I MPRESE

Jennifer Jacquemart © Unione europea 2021 Fonte: CE

detti “gas serra”. Tale accordo, pur con alti e bassi, è stato recentemente prorogato ed ampliato nei suoi obiettivi con l’accordo di Doha del 2020.

La “misura” del raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità ambientale è affidata ad una serie di “indicatori”. Allo stato attuale sono 2443; altri 37 sono in esame da parte dell’apposito gruppo istituito presso la Commissione Statistica dell’ONU. Non stupisca la numerosità degli indicatori presi in considerazione: il concetto di sostenibilità4, così come enunciato nell’altrettanto famoso Rapporto Bruntland “Il futuro di noi tutti”, non è riferito solo alla

Le nuove etichette energetiche UE

CANTIERI D’EUROPA

VERDI , SOSTENIBILI , ECOLOGICHE .

MA

SARÀ VERO ?

pur vasta sfera dell’ambiente, ma comprende anche aspetti legati allo sviluppo economico e sociale.

L’Europa partecipa attivamente a questo processo5; per quanto riguarda il contrasto ai cambiamenti climatici, anche in considerazione dell’adesione tardiva della Russia e del ritiro degli Stati Uniti voluto da Trump, svolge, come è noto, un ruolo di traino.

Il tema della sostenibilità non è tuttavia limitato nell’ambito istituzionale: con l’estendersi della consapevolezza e l’aumento della sensibilità sulla tutela degli equilibri che rendono possibile la vita sul nostro pianeta,

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I MPRESE

VERDI , SOSTENIBILI , ECOLOGICHE .

anche l’economia, dalla produzione al consumo, ne è rimasta naturalmente coinvolta.

Sempre di più, le imprese, amano rappresentarsi come “sostenibili”, così come i loro prodotti.

Accanto ai tradizionali bilanci, vengono così formulati “bilanci di sostenibilità” che si ispirano ai cosiddetti “criteri ESG”6 e le merci sono spesso accompagnate da varie forme di “Ecolabels”.

Anche la finanza ha pienamente recepito questo nuovo corso: fioriscono infatti le proposte di investimenti basati sui “Green Bond Principles”7.

Tutti questi standard che qualificano imprese, processi e prodotti si basano su indicatori che sono per lo più individuati da associazioni o fondazioni più o meno rappresentative.

Dal canto suo la UE, anche al fine di prevenire il cosiddetto “greenwashing”, ovvero la strategia di comunicazione tesa a costruire un’immagine ingannevolmente positiva sotto il profilo ambientale, è intervenuta normativamente con una serie di regolamenti, il più rilevante dei quali è il Regolamento (UE) 2020/852, noto come “Tassonomia”.

Questo Regolamento, che si affianca ad altri strumenti quali il Regolamento (UE) 2019/2088 “Disclosure”, relativo all’informativa sulla sostenibilità nel settore dei servizi finanziari, o il Regolamento (UE) 2016/1011 sugli indici usati come riferimento negli strumenti finanziari, consente di etichettare un’attività economica come “sostenibile”.

Anche in questo caso, la valutazione si basa su una serie di criteri/indicatori la cui indi-

MA

SARÀ VERO ?

viduazione è demandata ad un gruppo di esperti all’uopo nominati (TEG – Technical Expert Group).

La tassonomia è previsto sia utilizzata ad es. per il rilascio della garanzia da parte di SACE sugli investimenti all’estero8 e, più in generale, per valutare l’eligibilità dei progetti ammessi a finanziamento nell’ambito del “Green New Deal”9.

Avvicinandoci ai finanziamenti (per dirla con Marx) possiamo dare una prima risposta alla domanda iniziale: questi strumenti non sono semplici espedienti di comunicazione (da parte del pubblico o delle aziende), diventano elementi molto concreti per ottenere le risorse necessarie alla cosiddetta “transizione ecologica”.

Da un punto di vista “filosofico” molto c’è da dire sulla reale capacità di questi strumenti di rappresentare concetti difficili come la sostenibilità (o semplicemente la compatibilità ambientale). È un dibattito che, tra gli addetti ai lavori, va avanti da sempre: la stessa numerosità e complessità degli indici è conseguenza di tale difficoltà.

Non a caso, non si è ancora riusciti a trovare indicatori dello sviluppo da sostituire o affiancare al PIL (il famoso discorso di R. Kennedy risale agli anni sessanta!).

Un secondo ordine di problemi riguarda l’applicazione: essendo argomenti complessi, spesso rimangono “confinati” agli uffici che si occupano di ambiente (e questo vale sia per il privato che per il pubblico) o peggio ancora di enti esterni chiamati a “certificare” la sostenibilità di un’azienda che continua ad operare “business as usual”. È famosa la battuta di un noto operatore nel campo dei servizi ecologici: “Se

I MPRESE

CANTIERI D’EUROPA

VERDI , SOSTENIBILI , ECOLOGICHE .

SARÀ VERO ?

dono sostenibile la vita sul nostro pianeta.

Per questo servono competenze nuove (contabili ambientali?), ma anche precisi indirizzi politici che, con il nuovo Ministero alla transizione ecologica, sembrano finalmente concreti e competenti.

Lukasz Kobus © Unione europea 2019 Fonte: CE

hanno dato la certificazione a me, vuol dire proprio che non vale un….” È invece necessario che si affermi un nuovo punto di vista che porti a considerare il proprio “processo produttivo” inserito a pieno titolo nei grandi cicli naturali che ren-

MA

Marcia per il clima, Bruxelles, 21 febbraio 2019 1

Deliberazione Giunta Regione Liguria n. 60 del 29 gennaio 2021 Intergovernamental Climatic Change Panel 3 In effetti “solo” 232 sono effettivamente diversi in quanto alcuni vengono usati per il monitoraggio di più di un obiettivo 4 “Condizione di un modello di sviluppo in grado di assicurare il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri” (1987) 5 Nel novembre 2016 ha adottato tre comunicazioni che delineano il percorso di attuazione dell’Agenda 2030 6 Environment, Social, Governance 7 Processo volontario di certificazione di sostenibilità ambientale messo a punto da ICMA (International Capital Market Association) 8 Del CIPE 55/2020 9 Ministero Ambiente - Programma sperimentale: gli indicatori di sostenibilità ambientale per la finanza verde – http://www. minambiente.it 2

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Direttiva copyright, un primo passo per fronteggiare i colossi digitali CARLO PERRONE, vicepresidente di GEDI Gruppo Editoriale Spa, Board Associazione Europea degli Editori Giornali1

Vi ringrazio per l’invito all’incontro Liberi d’informarsi e in particolare mi fa molto piacere avere l’opportunità di dialogare con i rappresentati della Generazione Zeta, che sono nati e vivono nel mondo digitale.

La prima cosa che vorrei dirvi e che viviamo in un paese privilegiato. Abbiamo una libera stampa, abbiamo una libera informazione, mentre oggi molti Paesi

in giro per il mondo non ne dispongono e anzi gli Stati che tendono verso restrizioni alla democrazia e alla libertà di stampa sono purtroppo sempre più numerosi.

Abbiamo degli esempi, come le democrazie illiberali, quali la Turchia e la Polonia e Hong Kong, dove molti cittadini stanno perdendo questo pilastro della democrazia.

L’Unione europea sta compiendo uno sforzo per contrastare la disinformazione e le fake news. A mio avviso il modo migliore per combattere questi fenomeni è garantire una informazione vera, di qualità, che è stata verificata. Questo tipo di informazione la può garantire solo un giornalismo professionale, che lavora all’interno di società editoriali, come per esempio il Secolo XIX che fa parte del Gruppo GEDI, società televisive, grandi agenzie di stampa.

Questa informazione di qualità, però, non è gratis. Perché mandare un inviato su un fronte di guerra, fare un’analisi approfondita su che cos’è il vaccino, se

CANTIERI D’EUROPA

COPYRIGHT, UN PRIMO PASSO PER FRONTEGGIARE I COLOSSI DIGITALI

Emilie Gomez © Unione europea 2019 Fonte: PE - NO PROPERTY RELEASE

D IRETTIVA

Mostra dedicata alla giornalista assassinata Daphne Caruana Galizia (Parlamento europeo, 2019)

quel vaccino funziona bene o meno, condurre delle ricerche, ha un costo importante.

Per questo ritengo che il compito della politica e dell’Unione europea sia di dare delle regole e delle leggi che permettano a queste società dell’informazione di essere economicamente sostenibili. Solo se lo saranno, infatti, potranno retribuire i giornalisti, assumerne di nuovi e di giovani.

Dunque, per contrastare le fake news è necessario avere un’informazione libera, di qualità, economicamente sostenibile.

I ricavi dei giornali vengono prevalentemente dalla vendita in edicola e dagli abbonamenti digitali che sono in forte

crescita, ma una parte molto rilevante viene anche dai ricavi pubblicitari.

Ma con la rivoluzione digitale, c’è stata anche una vera e propria rivoluzione del mercato pubblicitario.

Il cambiamento radicale di questi ultimi anni è dovuto all’ingresso sul mercato pubblicitario di nuovi protagonisti, in particolare Google e Facebook. Questi soggetti sono così forti sul mercato della pubblicità, al punto di fatturare nel 2020 oltre 200 miliardi di euro e di accaparrarsi il 45% del mercato pubblicitario globale. Si prevede, con questo trend, che nel 2024 questi due colossi controlleranno il 60% di quel mercato.

Come è stato possibile che in così poco

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D IRETTIVA

COPYRIGHT, UN PRIMO PASSO PER FRONTEGGIARE I COLOSSI DIGITALI

tempo siano giunti a queste dimensioni gigantesche di fatturato? Senza dubbio una delle cause è il successo straordinario delle loro attività di società globali, talmente utili anche alla nostra vita di tutti i giorni che è ormai impossibile farne a meno. Ma il loro vantaggio competitivo, oltre che alla loro bravura, si deve anche al loro famoso algoritmo, attraverso il quale riescono a capire i nostri gusti, a spiare come la pensiamo, che cosa desideriamo. In questo modo possono canalizzare la pubblicità ad personam. Siete degli appassionati di bicicletta? Riceverete pubblicità sulle biciclette. Amate i dolci? Riceverete pubblicità sui dolci. Cercate una nuova casa?

Ecco che arriva una pubblicità sul tipo di casa che state cercando. Sanno dove siete, i vostri orari, come mi muovete. E questo è indubbiamente un vantaggio competitivo gigantesco.

Per di più, Google e Facebook, pubblicano sulle loro piattaforme i contenuti prodotti dagli editori e dai loro giornalisti, così attirano gli utenti ma i ricavi pubblicitari vengono incassati direttamente da loro e nulla va alle società editoriali o al giornalista.

Un po’ di anni fa abbiamo iniziato una battaglia a livello europeo perché venga riconosciuto il famoso diritto di copyright. Finalmente, nel marzo del 2019, è stata approvata una direttiva, che poi dovrà essere recepita dai singoli Paesi, in base alla quale, ogni volta che una piattaforma digitale utilizza un prodotto editoriale o un video deve, prima di poterne usufruire commercialmente, tro-

vare un accordo con chi l’ha creato. Chi ha prodotto l’articolo, la fotografia, il video, è titolare dei diritti di copyright e dovrà essere remunerato anche dalla piattaforma che ne fa uso.

Questa è una grandissima opportunità per il futuro del giornalismo, perché grazie alla direttiva ci sarà la possibilità di un riequilibrio economico attraverso la partecipazione al valore dell’articolo prodotto.

Però questo è un primo passo stabilito a livello europeo che certamente non basterà. Anche il mondo politico sta cominciando a capire che questo enorme potere di controllo da parte di Google e Facebook deve essere riequilibrato, e guidato.

I dati personali che ogni cittadino possiede e mette a disposizione di altri sulla rete devono appartenere a lui stesso, e non sarà più consentito che le piattaforme ne facciano un uso commerciale senza il suo accordo. Credo che questa sia la grande sfida politica e sociale degli anni a venire.

Un’altra riflessione importante riguarda il confronto tra la responsabilità delle piattaforme e quella delle società editoriali.

Le società editoriali, i giornali, sono responsabili giuridicamente di ciò che viene pubblicato. I social media no. Se un giornale pubblica una notizia inesatta, una fake news, chi dalla pubblicazione ha subìto un danno può far causa al giornale, o alla televisione, e ottenere un indennizzo, se un giudice ritiene che effettivamente la notizia fosse falsa. Il mondo dei social media non è responsabile. Chiunque può pubblicare una notizia su un so-

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cial, affermando qualunque cosa, ma non è responsabile. E nemmeno la piattaforma, con una giustificazione che suona più o meno così: “Siamo alla stessa stregua di un’autostrada; se, dopo che abbiamo fatto pagare il pedaggio, su quell’autostrada transita un criminale o meno, noi non ne siamo ovviamente responsabili.” Il mondo politico dovrà riflettere se i social media dovranno essere responsabili su ciò che viene pubblicato.

Sempre sul tema della libertà di opinione vorrei attirare la vostra attenzione sul caso della censura che Twitter ha operato nei confronti di Trump, quando ha iniziato a delirare intorno all’assalto di Capitol Hill.

Il consiglio di amministrazione di Twitter, o comunque un gruppo molto ristretto, ha deciso che fosse venuto il momento di dire basta e di vietargli l’accesso al social media. Vietare l’accesso sulle piattaforme deve essere una responsabilità più politica o, come in questo caso, può essere assunta da un gruppo o forse da una sola persona, che decide che Trump debba essere censurato perché sta facendo affermazioni false e pericolose?

Personalmente non mi sono ancora fatto un’opinione in proposito ma credo che sia un altro aspetto sul quale la società civile e il mondo politico dovranno dare delle risposte.

Il testo, rivisto dall’Autore, riprende l’intervento all’incontro Liberi d’informarsi? del 31 03 2021

Dati Bendo © Unione europea 2021 Fonte: CE

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CANTIERI D’EUROPA

COPYRIGHT, UN PRIMO PASSO PER FRONTEGGIARE I COLOSSI DIGITALI

Giornata mondiale della libertà di stampa (3 maggio)

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CANTIERI D’EUROPA

La lotta tutta europea alla disinformazione MATTEO FUGAZZA, studente universitario, presidente dell’associazione Caffè Lanterna

Il “Codice di condotta sulla disinformazione” ed il “Piano per la democrazia” sono solo due delle molteplici articolazioni dell’azione mossa dalla Commissione Europea contro la disinformazione.

Punto centrale dell’operato della Commissione è stata, infatti, la lotta a quelle che, impropriamente, chiamiamo Fake News.

Tale precisazione semantica risulta necessaria in quanto la Commissione preferisce uti-

lizzare il termine generico “disinformazione” al fine di ribadire l’ampio spettro del piano.

Questo, infatti, non copre solo la diffusione di notizie false bensì si spinge anche nella direzione dell’informazione di qualità e, soprattutto, nella difesa di tale informazione quale veicolo di democrazia.

Tale argomento è stato al centro dell’evento “Liberi d’informarsi?” (31 marzo u. s.) nato dalla collaborazione di molteplici realtà, quali il Centro in Europa, l’associazione Caffè Lanterna, il Centro Europe Direct di Genova e l’Ufficio Scolastico Regionale per la Liguria. L’evento ci ha permesso un’importante azione di divulgazione sull’operato della Commissione anche all’interno delle scuole.

Questa occasione d’incontro e scambio è stata fonte di molteplici suggestioni su vari temi.

Primo fra tutti il “Piano d’azione per la democrazia” che, promuovendo elezioni libere, libertà dei media e combattendo la disinformazione, mette in atto politiche di controllo su di un territorio, per ora, quasi inesplorato dalla giurisdizione europea.

LA

CANTIERI D’EUROPA

LOTTA TUTTA EUROPEA ALLA DISINFORMAZIONE

Alcuni dei molteplici temi del piano segnano un vero punto di svolta per la democrazia europea e mondiale, ponendosi come stimolo ad agire, in modo coeso ed omogeneo, contro una delle “piaghe sociali” più pericolose del XXI secolo.

Punto fondamentale è sicuramente la regolamentazione della propaganda in ambito europeo, che spinge per la promozione di una maggiore trasparenza nel campo dei contenuti che, per necessità di convincimento dell’audience o per malafede, spesso forniscono una rappresentazione delle intenzioni incoerente con la messa in atto delle azioni di coloro che l’hanno divulgata.

Provvedimenti necessari presi dalla Commissione in ambito di finanziamenti, sono quelli per l’educazione digitale dei giovani.

Il mondo sta cambiando ed evolvendo e, com’è noto, l’evoluzione porta in seno aumento dei rischi e complessità verso i

quali dobbiamo, necessariamente, farci trovare preparati, partendo dagli utenti primi del web.

Proseguendo sulla libertà e pluralismo dei media l’Unione ritiene necessario difendere una categoria ormai sempre più afflitta dalla cd. democratizzazione dell’informazione: i giornalisti. Questa sicuramente concede libertà di parola a tutti ma di contro ci espone ad un “fiume” di notizie che si scagliano su di noi indeterminatamente e non ci permettono di discernere ciò che è informazione di qualità e ciò che è “Fake”. Come se questo non bastasse la categoria dei giornalisti è afflitta anche dalla, per nulla democratica, azione di paesi e territori che controllano e censurano le notizie diffuse al loro interno, ostacolando la libertà d’espressione. Onde contrastare queste iniziative l’Unione intende provvedere con diverse misure, tra cui fondi per garantire un’adeguata assistenza giu-

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LA

LOTTA TUTTA EUROPEA ALLA DISINFORMAZIONE

Lukasz Kobus © Unione europea 2021 Fonte: CE

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Libertà di stampa

ridica e pratica che sostenga il pluralismo dell’informazione di qualità. Per quanto riguarda la lotta alla disinformazione, nel Piano viene introdotto “finalmente” un quadro di co-regolamentazione ed aggiornamento degli obblighi e delle responsabilità delle piattaforme online, in linea con l’imminente legge sui servizi digitali.

Tale co-regolamentazione, si articola in un codice di condotta sulla disinformazione.

Questo, badiamo bene, non si configura come un semplice vademecum di buona condotta, bensì come un vero e proprio codice che porta con sé obblighi di revisione dell’operato, da parte delle piattaforme on-line soggette a successiva valutazione da parte della Commissione e che, in caso di esito negativo produrranno conseguenze

sanzionatorie nei confronti della piattaforma inadempiente.

Tale insieme di normative deve necessariamente essere un punto di partenza per creare una vera e propria collaborazione materiale fra colossi privati ed istituzioni, in quanto il problema della disinformazione non colpisce solo tematiche futili, ma anche e, forse, soprattutto, tematiche mondiali di rilevanza primaria quali la salute.

L’emergenza sanitaria di quest’anno è stata l’esempio lampante di come una regolamentazione forte, in ambito di informazione, fosse, più che mai, necessaria.

La consapevolezza che proprio un’azione di tale entità, parta dal territorio dell’Unione dovrebbe renderci fieri di essere cittadini Europei.

CANTIERI D’EUROPA

Essere donne e lavorare oggi LUISELLA DELLEPIANE, consulente del lavoro specializzata nella gestione delle risorse umane

La Comunicazione della Commissione “Un’Unione dell’eguaglianza: la strategia per la parità di genere 20202025”1 individua i temi che sostanziano la differenza di genere e il divario esistente fra uomini e donne, indicando le linee d’azione per superarlo. Il Consiglio è invitato ad aderire alla convenzione di Istanbul e a garantirne una rapida ratifica da parte della UE; gli Stati membri sono invitati a ratificarla e attuarla. Un analogo invito riguarda la convenzione dell’Organismo Internazionale

del Lavoro (OIL) in merito all’eliminazione della violenza e delle molestie nel mondo del lavoro, le direttive inerenti ai diritti delle vittime, la lotta contro l’abuso sessuale di minori e altre normative della UE pertinenti la tutela delle vittime della violenza di genere.

La Commissione chiede di raccogliere e comunicare sistematicamente i dati sulla violenza di genere e di sostenere la società civile e i servizi pubblici nel prevenire e lottare contro la violenza di genere e gli stereotipi di genere, anche con l’aiuto di finanziamenti resi disponibili dal programma “Cittadini, uguaglianza, diritti e valori” per il periodo 2021-2027.

Si dà atto che per il raggiungimento del massimo potenziale occorra utilizzare tutti i talenti disponibili, la nostra diversità, e si espongono cifre interessanti sulla situazione attuale che riprendo brevemente.

La Commissione rileva che “nessun Stato ha raggiunto la piena parità di genere e i progressi vanno a rilento”. La media europea, quanto al raggiungimento degli obiettivi di parità di genere2, è di 67,4 punti su 100, un

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E SSERE

DONNE E LAVORARE OGGI

lento miglioramento, di soli 5,4 punti, rispetto al 2005.

Nonostante che le laureate in Europa superino in numero i laureati, le donne continuano a essere sottorappresentate nelle professioni più remunerate. Nei Paesi dell’OCSE, tra gli studenti con le votazioni più alte in matematica o scienze, un ragazzo su quattro pensa di intraprendere la professione di ingegnere o di diventare scienziato, tra le ragazze, una su sei. Una ragazza su tre pensa di intraprendere una carriera nel settore sanitario rispetto ad un ragazzo su otto. Anche le ragazze, sottolinea la Commissione, dovrebbero intraprendere in maggior numero studi di Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica (STEM).

Esprimo una mia personale non adesione a tale linea programmatica in quanto ritengo che alle persone vada lasciata libertà di scegliere secondo la propria naturale inclinazione.

Il principio della disparità di retribuzione sul lavoro era stato recepito daiTrattati fin dal 1957, tuttavia, prosegue la Commissione, le donne risultano discriminate e guadagnano in media meno degli uomini. In sostanza ancora oggi il divario retributivo è in Europa nel 15,7% mentre quello pensionistico è del 30,1%. Le donne dedicano 22 ore la settimana all’assistenza e al lavoro domestico a fronte delle 8 ore degli uomini.

Le donne dovrebbero essere più presenti in posti dirigenziali. Solo il 7,5% dei presidenti di consiglio di amministrazione e il 7,7% degli amministratori delegati delle maggiori società quotate in borsa sono donne. Nei parlamenti nazionali dell’UE la presenza femminile è di appena il 32,2%. È quindi del tutto evidente che occorre invertire

la marcia. Le donne devono fare strada, essere portatrici delle loro problematiche e dare un contributo essenziale a risolverle.

Le pari opportunità devono diventare cosa assolutamente concreta; la Commissione europea si è data l’obiettivo di raggiungere un equilibrio di genere del 50% in tutti i livelli dirigenziali del suo personale entro la fine del 2024; anche gli Stati membri dovrebbero assumere lo stesso obiettivo.

Occorre a questo scopo un cambio culturale che miri anzitutto a far sì che i tempi di cura e assistenza della famiglia e della casa siano equamente distinti tra i coniugi, che siano per entrambi rimodulati i tempi vita-lavoro in modo che il lavoro trovi la miglior interconnessione con i tempi di vita non lavorativa. Su questo punto lo smart working, che alcuni non vedono di buon occhio, se ben utilizzato potrebbe essere uno strumento per raggiungere questo obiettivo.

Deve essere riconosciuta la meritocrazia delle donne. Molti non lo vogliono fare e al proposito faccio un piccolo esempio.

Sapete quanti uomini seguono corsi di leadership e di problem solving? Moltissimi, mentre le donne sono pochissime, perché si ritiene che per i primi questi ambiti siano un loro patrimonio naturale.

Quando si parla di donne si parla sempre di violenza e di molestie, anche in ambito lavorativo. Sono situazioni sempre più presenti ma tuttavia si tratta di un tema che è stato affrontato dal legislatore italiano e deve solo esserne rafforzata l’attuazione. Infatti la nostra legge 81/2008, che riguarda la sicurezza sul lavoro, include l’argomento e sarebbe sufficiente una più

Christian Creutz © Unione europea 2021 Fonte: PE

E SSERE

L’Europa contro il cancro – ICANS (Strasburgo)

attenta lettura della normativa. In base a questa legge si potrebbe inserire tale rischio nel DVR, il Documento di Valutazione dei Rischi.

Occorre prendere atto che, durante la pandemia, sono state soprattutto le donne a perdere il posto di lavoro. La legislazione italiana deve far fronte con attente politiche attive del lavoro, anche favorendo l’imprenditorialità femminile. Ad esempio si può prevedere che un‘azienda che ha rispettato la parità nei salari e allo stesso tempo ha avuto pieno riguardo del complesso mondo della parità, quando partecipi ad una gara d’appalto 1

COM (2020) 152 del 5/3/2020 https://eige.europa.eu/gender-equality-index/2019 3 La sesta riguarda la Sanità.

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CANTIERI D’EUROPA

DONNE E LAVORARE OGGI

possa ottenere un punteggio più elevato; e che tale premialità debba essere concessa anche alle imprese “femminili”.

Inoltre si vede puntare a che entro il 2024, come è scritto nella Comunicazione, in tutti gli Organi di gestione e controllo delle società, degli enti pubblici, degli ordini professionali e di qualunque tipo di associazione sia garantito il 50% di presenza femminile. Non è piacevole dover ricorrere alle c.d. “quote” ma, in attesa di un cambiamento di tipo culturale, nell’immediato non ci resta altro che farlo. Le quote, oggi al 30%, non hanno dato risultati sufficienti e forse, se partiamo dal 50%, potremmo ottenere qualche risultato in più.

Il PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) si prefigge sei missioni, ovvero Digitalizzazione, Innovazione, Competitività e Cultura, Rivoluzione verde e Transizione Ecologica, Infrastrutture per una Mobilità Sostenibile, Istruzione e Ricerca. La quinta missione3 è dedicata ad Inclusione e Coesione e prevede consistenti fondi per l’inclusione di genere. A dire il vero si sarebbe preferita altra allocuzione, dal momento che la nozione di “inclusione” è molto limitativa. Sono comunque previste la formazione dei giovani, delle lavoratrici e dei lavoratori e il conseguimento di una maggiore equità di genere. Si prevede inoltre la modernizzazione del mercato del lavoro, nonché una riforma fiscale che affronti anche il tema delle imposte e sussidi ambientali, oltre che la riforma della P.A. e della Giustizia.

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UNO SPAZIO PER LA SCUOLA

Rubriche

Il Green Deal per il mio lavoro di insegnante ROBERTA BOTTARO, docente di scuola superiore

Il lancio da parte dell’Unione Europea del piano per la transizione verde e digitale è stato generalmente accolto con favore essendo ormai chiaro ai più che il nostro futuro non può prescinderne. I giovani e i giovanissimi di tutto il pianeta hanno da tempo espresso la consapevolezza della necessità di una svolta e condiviso l’istanza rivolta ai governi di procedere subito in tal senso. Il piano europeo prende in considerazione tutti gli aspetti connessi a una

riconversione verde e digitale del nostro agire, declinando in concreto le iniziative e gli obiettivi ivi compresi quelli di una transizione giusta ed inclusiva in una strategia non dirigistica ma partecipativa e democratica. Come insegnante sento mia la responsabilità di fare quanto possibile per aumentare nei miei studenti la cognizione del fatto che essere giovani europei è , una volta di più, una grande opportunità perché possono vivere in uno spazio dove le tematiche di cui sopra sono poste al centro dell’agire politico e perché essi possono essere parte attiva di quell’agire.

Il tema della sostenibilità ambientale e sociale oltre ad essere centrale per il futuro delle generazioni è tra quelli che rendono più evidente la maggiore efficacia di una azione sovranazionale rispetto a quella condotta a livello nazionale. Il confronto delle idee, la condivisione delle esperienze e delle risorse, la comunanza degli obiettivi costituiscono, anche considerando le inevitabili difficoltà, valore aggiunto per il perseguimento dei risultati. Perché tale efficacia sia piena è indispensabile che i cit-

I L G REEN D EAL

Lukasz Kobus © Unione europea 2020 Fonte: CE

tadini, e i giovani in particolare, si sentano coinvolti e partecipi. Occorre che siano preparati per cogliere appieno il significato dei cambiamenti che in ogni caso coinvolgeranno le loro vite e ne possano comprendere il corso a partire dalla realtà in cui vivono: la formazione, la mobilità, il lavoro, l’alimentazione, il clima, la città, ecc.

Occorre che ciascuno senta di essere parte di un progetto che è forte dell’adesione di milioni di persone ma, al contempo, lo riguarda e lo impegna direttamente, un progetto che deve essere attuato e difeso nella nostra quotidianità. Il Green Deal entra, quindi, a pieno titolo in ogni percorso di educazione alla cittadinanza di cui la scuola è parte attiva.

Personalmente avverto la necessità di po-

Al parco

RUBRICHE - UNO SPAZIO PER LA SCUOLA

PER IL MIO LAVORO DI INSEGNANTE

tenziare le sinergie a livello territoriale promuovendo iniziative che aiutino a comprendere l’impatto concreto tanto dei problemi legati alle tematiche affrontate che delle soluzioni e stimolino i ragazzi alla partecipazione attiva. Penso che la sfida sia impegnativa e che dovremmo attivare spazi di confronto e formazione degli insegnanti per accrescere le conoscenze dei temi del Green Deal in un’ottica trasversale e mirata a diventare più efficaci nella funzione di “trasmissione” tanto delle tematiche in questione che dei valori fondanti in cui le medesime si collocano. Oggi mi è difficile anche solo immaginare ulteriori adempimenti magari on line... ma è altrettanto vero che mai come oggi ho bisogno di confidare in prospettive di ripresa.

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SPAZIO CENTRO EUROPE DIRECT GENOVA

Il Centro Europe Direct del Comune di Genova: una storia di successo GIANLUCA SABA, responsabile Ufficio Relazioni Internazionali, Comune di Genova

Ottime notizie sul fronte europeo: è stata approvata la nuova programmazione del Centro Europe Direct del Comune di Genova fino al 2025.

Dopo tanti anni di lavoro e di impegno, spesi per avvicinare e sensibilizzare la popolazione alle politiche europee, la notizia acquisisce ancora maggior valore in questo

momento così delicato per il futuro dell’Europa e del mondo tutto.

In questi tempi di pandemia, è sempre più necessaria l’attivazione di politiche pubbliche vicine ai bisogni delle persone e il ruolo svolto dai Centri Europe Direct diventa cruciale come ponte di collegamento tra la Commissione Europea e i cittadini.

I prossimi anni vedranno infatti l’Europa affrontare sfide importanti e decisive, come non succedeva dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Saranno gli anni del Next Generation EU e del Green Deal che vedranno tutti gli Stati membri impegnati nello sforzo comune di ricostruzione, per un’Europa che sia ancora più forte, inclusiva e sensibile ai temi ambientali.

Il recente accordo sulla Conferenza sul futuro dell’Europa, firmato dal presidente del Parlamento Europeo David Sassoli, dal Primo ministro portoghese António Costa a nome della presidenza del Consiglio e dalla Presidente della Commissione Ursula von der Leyen, mostra la chiara in-

I L C ENTRO E UROPE D IRECT

DEL

RUBRICHE - SPAZIO CENTRO EUROPE DIRECT GENOVA

C OMUNE

tenzione di conferire ai cittadini europei un ruolo primario nella definizione delle politiche e delle ambizioni dell'UE, rispondendo in maniera resiliente alla grave crisi economica e sanitaria in cui stiamo vivendo.

Questo nuovo spazio d'incontro pubblico per un dibattito aperto e trasparente, si inserisce perfettamente negli obiettivi primari che da sempre hanno accompagnato

DI

G ENOVA :

UNA STORIA DI SUCCESSO

il Centro Europe Direct di Genova, che è stato scelto quale hub per il coinvolgimento di giovani e società civile, per costruire insieme l’Europa che verrà.

Il Comune di Genova, attraverso il suo Centro Europe Direct, dimostra così di voler svolgere un ruolo fondamentale nella partecipazione dei cittadini sui temi europei, come sempre è stato nel corso degli ultimi anni.

ORARIO (SPORTELLO CHIUSO AL PUBBLICO)

Alain Rolland © Unione europea 2021 Fonte: PE

Da lunedì a giovedì dalle 9:00 alle 13:00; dalle 14:00 alle 17:00 venerdì dalle 9:00 alle 13:00 Telefono: 010 5574087 Mail: centroeuropedirect@comune.genova.it Web: https://smart.comune.genova.it/contenuti/ centro-europe-direct-0

Centro di Coordinamento della Risposta alle Emergenze (CCRE) – Meccanismo di protezione civile UE

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FINITO DI STAMPARE NEL MESE DI MAGGIO 2021

€ 10,00