50 anni in poche parole
Cinquant’anni in poche parole e un pentolino.
Caritas Diocesana Brescia consegna a due parole poveri, noi la consapevolezza maturata nel tempo e affida poeticamente a “Il pentolino di Antonino” (di Isabelle Carrier) la rappresentazione delle fragilità e delle ricchezze di tutti e di ciascuno
“50 anni. In poche parole” è il titolo dell’Incontro delle Caritas parrocchiali che si è svolto sabato 14 dicembre presso il Centro Polivalente di Castegnato, ultima tappa di un compleanno vissuto in una forma diffusa, partecipata, essenziale. Un titolo che porta con sé un richiamo a quel “che belle parole, i gesti” scelto per rendere esplicita la pedagogia dei fatti di Caritas, ma anche e soprattutto che esprime il desiderio di condensare in poche parole la consapevolezza maturata nei 50 anni (29 aprile 1974–29 aprile 2024). E proprio dalla parola Caritas ha preso avvio l’incontro. Così il vescovo Pierantonio, rispondendo a tre domande con davanti ventitré “tavoli sinodali” e alle spalle la
scritta “Siete la nostra Caritas” (San Paolo VI): “Quello che mi sta a cuore e che vorrei dirvi, guardando a questi 50 anni e guardando avanti, è che Caritas è un’abbreviazione: perché la formula piena dovrebbe essere ‘Caritas Christi’, perché l’anima ultima della Caritas è il mistero di Cristo. Nella seconda lettera ai Corinzi si legge ‘Caritas Christi urget nos’ ovvero la carità di Cristo e del Suo amore ci prende nel profondo e ci spinge, ci urge dentro. Il segreto della Caritas è nascosto, perché la dimensione più vera della carità è interiore e quello che si fa è espressione di quello che si sente dentro, nel profondo”. Oltre alla parola ‘Caritas Christi’, il Vescovo ha consegnato l’immagine composita

della candela, del camino, della casa: “Voi siete la candela o lo stoppino che accende il fuoco del camino, perché questo riscaldi la casa. La casa è il mondo, il camino sono le comunità, le candele siete voi. È chiaro che una candela da sola non scalda una casa, ci vuole un camino. Voi accendete qualcosa che non riguarda solo voi, voi siete la candela che fa ardere il fuoco del camino e questo fuoco è capace di scaldare tutto l’ambiente. Oggi la Chiesa, più che mai, deve percorrere la strada della carità e la strada maestra della creatività è la carità, che è capace di parlare a tutti, perché l’amore è un linguaggio universale […] Sentitevi preziosi, siete preziosi perché se non avessimo una candela, un
camino non si accende più, la casa sarebbe sempre fredda; neanche però chiudetevi in voi stessi, non esistete per voi stessi: non è tanto l’esserci per esserci, ma è l’esserci per far ardere anche gli altri, voi ricordate a tutti qualcosa che è essenziale, che è indispensabile per vivere il comandamento dell’Amore […]”. A partire dall’intervento del Vescovo, l’incontro ha preso forma tra punti di vista e gruppi di prossimità, provando a risignificare uno dei tratti distintivi di Caritas: l’opzione preferenziale per i poveri. Guardando da prospettive diverse alla parola poveri, sono maturate almeno tre consapevolezze. La prima: povertà è sostantivo plurale perché le povertà sono molte. Nunzia Vallini ne ha argomentate
almeno dodici, specifiche e tra loro intrecciate: povertà economica, ambientale, educativa, affettiva, di empatia, di pensiero, di giustizia, di senso, di tempo, di politica, di pace, di linguaggio... La seconda: i poveri non sono gli altri, ma ciascuno di noi è povero: siamo “poveri, noi”, fratelli tutti (don Maurizio Rinaldi). La terza: la povertà di Cristo che ci arricchisce è il suo farsi carne, il suo prendere su di sé le nostre debolezze, i nostri peccati, comunicandoci la misericordia infinita di Dio (don Massimo Orizio). Tre consapevolezze, non solo l’approdo di questi 50 anni, ma soprattutto il punto autentico di partenza per rinnovare ogni giorno, in poche parole, l’identità di Caritas. (Chiara Buizza)
Piccoli racconti, densi di vita
Mensa Menni
ANCHE DOMANI
RIAPRIREMO
Febbraio 2020. Come ogni giorno, anche oggi apriamo il portone d’ingresso agli ospiti, in loro notiamo un forte senso di smarrimento e, come noi, hanno dipinta sul volto la paura per quello che sta succedendo. La fila delle persone che hanno fame si forma velocemente all’interno del cortile e silenziosamente si infila nella porta d’entrata della sala. È una fila silenziosa, ma si sente nell’aria una marcata tensione e un diffuso nervosismo. “Ma la mensa chiuderà?” è la domanda che sentiamo rivolgerci ripetutamente. Poi lunghi silenzi che evidenziano un profondo timore di perdere un punto di riferimento. Di fronte a questa domanda non si può che rispondere: “noi ci siamo”. È vero: abbiamo paura, non sappiamo cosa sta succedendo, ma non possiamo perdere un pezzo di umanità voltando le spalle a chi ci sta guardando dritto negli occhi. Come tutti i giorni anche oggi, “Mario” è arrivato in bicicletta, ha i capelli arruffati, la barba incolta, veste dei buffi pantaloni alla zuava. Con il suo parlare incespicato ci dice sommessamente che, da quando si cominciano a contare le persone che finiscono in condizioni gravi in ospedale, ha iniziato a pensare a chi conta veramente nella sua vita, ma non ha trovato nessuno. Poi ci confida che, da quando ha perso i genitori, chi si sta occupando di lui siamo noi. Noi siamo le uniche persone che gli sono vicine e venire alla Mensa Menni è andare a trovare qualcuno a cui vuole bene. Ci dice che, se gli dovesse capitare qualcosa, nei suoi ultimi momenti di vita penserebbe a noi. Rimaniamo, commossi, in silenzio. Anche domani riapriremo quel portone.



(Gianbattista Treccani)
Progetto assistenza invernale ai migranti nella Bosnia Erzegovina Occidentale
UN MURO DA ATTRAVERSARE



Incontrammo Ramin circa un anno fa, al suo arrivo al Campo di accoglienza di Usivak, situato alla periferia di Sarajevo, capitale della Bosnia e Erzegovina. Ramin è un ragazzo afghano che, al momento del suo arrivo, già viaggiava da oltre un anno per tentare di raggiunger e la moglie, attualmente in Francia. Purtroppo per molti afghani, come Ramin, non esistono canali sicuri e legali per raggiungere l’Europa: l’unica speranza è quella di compiere un lungo, faticoso e duro percorso migratorio. Anche Ramin, dunque, dopo avere abbandonato il suo paese, ha dovuto attraversare il Pakistan, l’Iran e la Turchia, per arrivare lungo la cosiddetta “Balkan Route” – il percorso migratorio che consente di arrivare nell’Unione Europea attraverso i paesi della regione balcanica. Nonostante le fatiche del suo viaggio personale, nonostante l’inquietudine per le sorti dei propri cari in Afghanistan e nonostante la preoccupazione di non riuscire a raggiungere la moglie in Francia, Ramin scelse di non passare le sue giornate in maniera passiva, lamentandosi del destino avverso. Si rimboccò le maniche e decise di essere utile a sé stesso e agli altri migranti in transito: cominciò a fare ogni giorno il volontario dentro il Social Corner aperto da Caritas – uno dei pochi luoghi di aggregazione del campo. Questa scelta di fare il volontario ha probabilmente salvato Ramin da una vita di inedia, fatta di lunghe attese e disillusioni. Nel marzo scorso, dopo quasi un anno passato insieme, Ramin ci ha salutato, dicendo che si sentiva finalmente pronto di provare il “Game” – “game” è il modo in cui i migranti in transito chiamano il tentativo di attraversare l’ultima frontiera, quella con la Croazia. Non lo abbiamo sentito per qualche giorno, poi ci è arrivato un suo messaggio dall’Italia, e dopo un paio di settimane ci ha mandato una foto dalla Francia, finalmente in compagnia della moglie! (Daniele Bombardi)



Accoglienza delle persone ucraine
I GRANDI DOVREBBERO SAPERLO!


Da fine ottobre ai primi di aprile abbiamo accolto e ospitato presso il nostro oratorio una famiglia ucraina, composta da tre generazioni: nonna Irina e sua figlia Natascia con la piccola Mascia di 9 anni. C’è stata empatia e collaborazione fin da subito, tutti si sono attivati per essere d’aiuto. Io e Natascia abbiamo stretto un’amicizia speciale. Conoscere bene l’inglese ci ha permesso uno scambio di pensieri più profondo, ma credo che la cosa che più ci abbia avvicinate sia l’essere madri in un periodo storico spaventoso per lei e incerto per me, così come vedere i nostri figli legarsi fin da subito in una gioiosa amicizia senza limiti. Durante una passeggiata Natascia mi ha raccontato di quando la loro vita serena è stata sconvolta. Fino alla notte in cui una bomba sulla palazzina accanto ha portato con sé tante vite. Da lì la decisione di scappare. Quel pomeriggio le lacrime hanno parlato per noi unendoci in un lungo abbraccio misericordioso. Poi le settimane sono passate, tra compiti, lezioni di italiano, feste cattoliche e ortodosse, fino al giorno in cui Natascia è stata richiamata sul posto di lavoro, in fabbrica. Non senza dolore e tanta preoccupazione, ha scelto di rientrare nel suo paese con la figlia. “Ho paura, ma un posto di lavoro è sempre prezioso se hai una famiglia e l’Ucraina è la mia casa” ha detto. Mio figlio, 7 anni, vedendo Natascia e Mascia partire ha detto: “La guerra fa paura e la pace non è sempre facile, ci vuole impegno. Mamma, i grandi questo dovrebbero saperlo!”. (Marta G. – Parrocchia S. Eufemia)


…Di poche parole. Siamo “di poche parole”, quelle necessarie e sufficienti, che da sempre segnano un prima e un dopo, un passaggio di crescita e di trasformazione. È la parola connessa alle opere che nella storia di Caritas si diranno segno, “opere segno”; oggi, per noi, nella consapevolezza di un percorso compiuto, vale l’affermazione: “poveri, noi!”. Da sempre “la prevalente funzione pedagogica”, “l’opzione preferenziale per i poveri” si esprime nella laboriosità degli “animatori di carità”, che rende le comunità “soggetto di carità”. La densità dei 50 anni
Benedetti. Quella di Caritas italiana fu una nascita benedetta affettuosamente da San Paolo VI. Feconda fu quella benedizione se di lì a poco nacquero le Caritas diocesane e le Caritas parrocchiali. Dal giorno della nascita si celebrarono i compleanni o, come per le persone illustri, i genetliaci. Ogni anno, nella successione degli anni, celebriamo il dono in atto di quella benedizione, che c’impegna a “compiere” gli anni, cioè a “dare compimento al tempo”. In quella benedizione “Dare” significherà dare sé stessi a sé stessi, ma paradossalmente in dono agli altri. In questo oggi celebriamo il ringraziamento ai vescovi, ai direttori, ai vicedirettori, ai professionisti, ai volontari, ai gruppi Caritas e alle comunità, a tutti coloro che nel dono ricevuto e dato hanno fatto vivere Caritas Diocesana Brescia,
ma soprattutto hanno favorito la vita e l’amore.
Compiuti per un compimento. “Lavorare” in Caritas per molte persone ha significato tempo dedicato, preghiere offerte, discernimento, azioni, amore e dono di sé! Il 50° compleanno è celebrato nel compimento delle persone che hanno donato loro stesse e contestualmente nel compimento in divenire di Caritas Diocesana Brescia, in un rapporto di continuità con la sua storia; di discontinuità rispetto alle odierne provocazioni del reale; di progresso, attraverso successive e forse mai concluse trasformazioni pasquali.
Incipienti. Per questo ci diciamo “incipienti”. Detto e ripetuto, lo abbiamo imparato: siamo sul punto di partenza, in stato di avanzamento, con buoni margini
di miglioramento; a partire da S. Paolo VI ad oggi, nel 50° anniversario di fondazione, celebriamo l’incessante opera di spinta e di attrazione che lo Spirito Santo attiva, nel segno della creatività pastorale.
Ogni volta che raccontiamo facciamo un dono: a noi, perché ci riappropriamo in maniera più consapevole della nostra esperienza e del suo significato; agli altri, perché la condivisione può aiutare a sentirsi consegnati gli uni gli altri, a recuperare la memoria e a rinsaldare i legami, a immaginare che un altro modo-mondo è possibile. Un altro modo-mondo in cui (ri)scoprire il volto dell’altro e la comunità in azione
Rifugio Caritas CONDIVIDERE
Non potrò mai dimenticare la domenica in cui con due ospiti di turno in cucina abbiamo preparato la torta di compleanno per un altro ospite. Unendo le idee e le forze abbiamo tagliato mele e mescolato ingredienti. L’obiettivo: una gustosa torta di mele. Appena prima di infornare, come una lampadina che si accende all’improvviso, un altro ospite che ci vede all’opera propone di aggiungere qualche pezzetto di cioccolato “perché, si sa, il cioccolato rende tutto subito più goloso”. Un suggerimento tutt’altro che banale: a me è parso come una carezza ancora più sentita verso un compagno che festeggiava il suo giorno speciale. È attraversando la soglia del portone di ritorno verso casa che tocco con mano il valore emotivo di questi momenti, a cui so di non voler più rinunciare. (Sofia Giugno)
Centro di Ascolto Porta Aperta IL CORAGGIO DI ...
Sembrava che il mondo mi fosse caduto addosso quando, a causa di un problema giudiziario, persi il lavoro, la libertà e la casa in cui vivevo. Fu così che, dopo aver scontato gli anni di reclusione, mi ritrovai a fare i conti con la mia nuova vita, che di lì a poco mi avrebbe visto solo, senza un tetto sulla testa, per strada, senza nulla e nessuno che si prendesse cura di me. Chiesi aiuto al Centro di Ascolto Porta Aperta. Di lì a poco, trovai un pasto caldo alla Mensa Menni e fui accolto al Rifugio Caritas. Della vita al Rifugio ricordo tanti momenti belli, tante premure, tante attività. Con alcuni operatori e volontari esperti ho potuto anche scrivere il mio curriculum vitae. Ora ho un lavoro e vivo in due stanze con bagno. Ho capito di non smettere mai di avere il coraggio di chiedere aiuto, per non negarlo mai a nessuno. (Gianbattista)
significati di queste poche parole ci conduce al bordo di un “sogno” quello di una “civiltà dell’amore”.
Nella Chiesa e nella società. Nel sogno che crediamo e che proviamo a realizzare, in assetto ecclesiale, nel cambiamento d’epoca, in modalità sinodale, alla vigilia della visita giubilare, oggi, a 50 anni, insieme a tutte le Caritas e alle comunità parrocchiali, nella nostra incipienza, desideriamo ancora progredire attraverso tentativi di cambi di paradigma, di sperimentazioni pastorali di integrazione, per un sogno missionario che abbisogna di eucaristiche alleanze ecclesiali e sociali, dunque di comunione, per la Speranza in atto, da favorire con coraggiosa profezia.
Attraverso domande e risposte. Abbiamo imparato che esistono le domande di esplorazione e le
Ottavo Giorno
LA GENTILEZZA DELL’ECCEDENZA


Ma è stata in una delle aperture straordinarie del Magazzino Ottavo Giorno che un incontro ci ha segnato. Avevamo convocato per il pomeriggio una trentina di Caritas parrocchiali ed avevamo trascorso la mattina a predisporre i bancali per svolgere in maniera ordinata la distribuzione al pomeriggio. A fine mattina si presenta al magazzino un signore di mezza età: lo avviciniamo prevenuti, quasi “temendo” la richiesta di un sostegno alimentare di qualche tipo. Invece ci chiede se può donarci un bancale di insalata; dopo qualche minuto si affaccia al portone col suo bancale, lo accogliamo, chiedo un suo recapito per poi mandare due righe di ringraziamento. È lui, ora, a guardarmi stranito: stende il braccio e indica un punto alle mie spalle, dicendomi “Ci penserà semmai quel Signore là”. Mi volto per capire chi indicasse: era il crocifisso appeso in ufficio, che avevo già visto, ma mai guardato. Quando mi son rigirato quel signore si era già allontanato e ancora oggi non so chi fosse. Sono rimasto così spiazzato che mi ci è voluto tempo per accorgermi che quel giorno, in quella abbondanza, mancava proprio un po’ di insalata. E non un’insalata qualsiasi, ma la Gentile, perché senza un po’ di amore e gentilezza non si può riconoscere l’eccedenza della Provvidenza. (Stefano Savoldi)

“50perTRE. Carità incipienti” È LA PRIMA VOLTA
È la prima volta che verifico il mio essere facilitatore nella lettura guidata della Parola. La tovaglietta predisposta per il percorso 50perTRE. Carità incipienti e consegnata al titolo “Per grazia, carità incipienti” è lo strumento che mi accompagna nell’esperienza insieme al gruppo. Leggiamo il brano della Parola: S. Paolo, prima Lettera ai Corinzi (15, 1-11). Ci fermiamo per condividere le risonanze che la Parola opera in noi. Il silenzio occupa parecchio del tempo a disposizione, si coglie l’incapacità di stare in un silenzio meditativo, contemplativo. Facciamo fatica a partire dalla nostra esperienza. Sono convinta però che il silenzio abbia un valore fondamentale: ci purifica, aiuta l’azione dello Spirito, ci riempie della Grazia. L’ascolto che emerge è arricchente, non giudicante, partecipe della nostra personale esperienza spirituale. Dobbiamo essere sempre più consapevoli e autentici nel nostro essere credenti, riconoscendo che la fatica che facciamo noi è la stessa che la Grazia fa nei nostri confronti. (Raffaella Poli)

L’editoriale DI MAURIZIO RINALDI*
domande di sviluppo e la loro formulazione richiede intelligenza credente e professionalità. A 50 anni si guarda in avanti con sguardo lucido e disincantato, non cinico, ma coraggioso, nella assunzione del reale superiore all’ideale; siamo sempre più esperti nella ricerca e nella lettura degli indizi di credibilità che la fede crede, che la speranza anima e che la carità anticipa e realizza. Nel contempo certezze e domande sono e devono rimanere in tensione polare sul presente e sul futuro delle Caritas e in modo più ampio sugli assetti ecclesiali di comunità e parrocchie. E le risposte? Assomigliano sempre di più a “palline d’argilla”, umide e ricche di semi vivi e vivificanti, da lanciare e forse persino da sprecare in un deserto che nella Grazia fiorisce e fiorirà in una eccedenza non di quantità, ma di vitalità e verità.
Risignificando e creando. Cambiando soprattutto il punto di vista, integrandolo;
Terza età: si.cura insieme
ANDARE DA LORO
Mi ricordo perfettamente quella mattina piovosa del 20 dicembre. Una mano sorreggeva l’ombrello, l’altra alcuni pacchetti. Arrivai alla prima abitazione e suonai il campanello. Attesi alcuni minuti, nulla. Finalmente la porta si aprì. Mi aprì un signore, sorretto da ausili di deambulazione. Mi presentai e depositai il piccolo pacco. Iniziò a ringraziarmi, dai suoi occhi colmi di stupore, dalla sua cortesia e dal desiderio di comunicare, capii quanto fosse felice nell’accogliere un gesto inaspettato. Compresi, toccando con mano, quanto bisogno di aiuto ci sia, spesso offuscato dalla vita frenetica che ci travolge. Terminata la consegna, proseguii il mio cammino: altro anziano da visitare, altra situazione di solitudine e difficoltà. Non tutto andò come pensavo, ricevetti anche un rifiuto. Ricorderò le sue parole, scandite con molta cortesia e chiarezza: “Dona questo a chi ha più bisogno di me”. Questa frase mi fece rabbrividire, Lui ammalato pensava agli altri. Questa fu per me una nuova lezione di vita. (Gianfranco Spalenza)

di fatto nessuno è così povero da non avere nulla da donare, e nessuno è così ricco da non dover chiedere nulla. Riconoscerci “Poveri, noi!”, di povertà materiale, intellettuale e spirituale ci rende destinatari di un nuovo nome “Fratelli tutti”; “Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese: al vincitore darò la manna nascosta e una pietruzza bianca sulla quale sta scritto un nome nuovo” (Ap 2,17). Risignificare e/o ri-creare noi stessi come persone di carità ricevuta e donata e le relazioni di prossimità autentica, ci permette sempre di ricevere un nuovo nome e di rendere ragione di quel “tutto è compiuto” (Gv 19,30), fondamento e promotore della nostra incipienza.
Testimoni di un Centro eccentrico. Se vale l’immagine, essa deve interpretarsi in
senso dinamico, evolutivo, in trasformazione. 50 anni valgono in ragione di un passato attuale, ricco di Grazia; valgono per un presente celebrativo autentico, di ringraziamenti a Dio e a tutti voi; valgono per un futuro processuale, aperto ad un fine infinito. Il Centro, il Testimone, fu Colui che portò avanti l’opera del Padre; in Lui noi portiamo avanti l’opera del Figlio. Scrisse San Gregorio di Nissa “Non mancherà mai lo spazio a chi corre verso il Signore. [...] Chi ascende non si ferma mai, va da inizio in inizio, secondo inizi che non finiscono mai”, nella progressiva dilatazione del cuore e della carità sperimentata dal medesimo santo; varrà anche per noi e sarà la stessa feconda benedizione in atto del primo inizio.
* Direttore Caritas Diocesana di Brescia e Coordinatore dell’Area pastorale per la società