MasterX magazine marzo 2024

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L’intervista a David Puente: è necessario ripensare il ruolo del giornalista _ p.12

L’approfondimento Quanto c’è di vero nel racconto della guerra in Medioriente? _ p.4

Portrait Testimonzianze dal fronte dall’inviata Azzurra Meringolo Scarfoglio _ p.7

Anno XXII | Numero 1I | Marzo 2024 | www.masterx.iulm.it

Da sapere La vera storia dietro il vaccino anti-Covid: tra allarmismo e disinformazione _ p.26

MasterX

AI CONFINI DELLA REALTÀ

Guerra, elezioni, ambiente, moda e non solo: come le fake news influenzano le nostre vite

Periodico del master in giornalismo dell’Università IULM Facoltà di comunicazione Un modello della collezione Hidden Body creata dall’artista Gianluca Traina con l’intelligenza artificiale generativa

Diretto da: DANIELE MANCA (responsabile) Progetto grafico: ADRIANO ATTUS

In redazione: Elena Capilupi, Valentina Cappelli, Andrea Carrabino, Umberto Cascone, Filippo Riccardo di Chio, Andrea di Tullio, Christian Leo Dufour, Thomas Fox, Sara Leombruno, Andrea Muzzolon, Alessandra Pellegrino, Ivan Torneo, Letizia Triglione, Erica Vailati, Davide Aldrigo, Elena Betti, Elena Cecchetto, Serena Del Fiore, Alessandro Dowlatshahi, Vittoria Giulia Fassola, Alberto Manni, Glenda Veronica Matrecano, Cosimo Mazzotta, Francesca Neri, Tommaso Ponzi, Riccardo Rimondini, Rebecca Saibene, Ettore Saladini, Giulia Spini

Registrazione: Tribunale di Milano n.477 del 20/09/2002

Stampa: RS Print Time S.r.l

Master in Giornalismo Iulm

Direttore strategico: Daniele Manca

Coordinatrice organizzativa: Marta Zanichelli

Coordinatore didattico: Ugo Savoia

Responsabile laboratorio digitale: Paolo Liguori

Tutor: Sara Foglieni

Docenti:

Anthony Adornato (Social media e mobile Journalism)

Adriano Attus (Art director e Grafica digitale)

Federico Badaloni (Architettura dell’informazione)

Luca Barnabé (Giornalismo, cinema e spettacolo)

Ivan Berni (Storia del giornalismo)

Silvia Brasca (Fact checking and Fake news)

Federico Calamante (Giornalismo e narrazione)

Marco Capovilla (Smartphone photojournalism, Dizione e Public speaking)

Marco Castelnuovo (Social media curation I - video)

Maria Piera Ceci (Giornalismo radiofonico I)

Pierluigi Comerio (Simulazione esame di idoneità professionale)

Mario Consani (Deontologia)

Cipriana Dall’Orto (Giornalismo periodico)

Giovanni Delbecchi (Critica giornalismo Tv)

Andrea Delogu (Gestione dell’impresa editoriale)

Luca De Vito (Cronaca locale e produzione multimediale I e II)

Guido Formigoni (Storia contemporanea)

Alessandro Galimberti (Copyright e Deontologia)

Paolo Giovannetti (Critica del linguaggio giornalistico)

Alessio Lasta (Reportage televisivo)

Stefania Lazzaroni (Comunicazione istituzionale)

Antonino Luca (Videogiornalismo)

Bruno Luverà (Giornalismo Tv)

Caterina Malavenda (Diritto e procedura penale)

Matteo Marani (Giornalismo sportivo)

Anna Meldolesi (Giornalismo scientifico)

Alberto Mingardi (Giornalismo e politica)

Micaela Nasca (Laboratorio pratica televisiva)

Elisa Pasino (Tecniche dell’ufficio stampa)

Martina Pennisi (Social media curation Ipersonal branding)

Aldo Preda (Giornalismo radiofonico II)

Davide Preti (Tecniche di montaggio e ripresa digitale)

Roberto Rho (Giornalismo economicoGiornalismo quotidiano)

Giuseppe Rossi (Diritto dei media e della riservatezza)

Federica Seneghini (Social Media Curation II)

Gabriele Tacchini (Giornalismo d’agenzia)

Marta Zanichelli (Publishing digitale)

Editoriale

Armi di mistificazione di massa di Valentina Cappelli, Andrea Carrabino

Medioriente: la guerra attraverso le bombe mediatiche di Umberto Cascone, Filippo di Chio

Sguardo sulla psicologia delle fake news di Letizia Triglione, Erica Vailati

Noi fact-checkers «siamo una figura anomala»

Intervista di Thomas Fox

Difendersi dal phishing in sette mosse di Andrea di Tullio

Sicuri sia reale? L’era dei Deepfake di Ivan Torneo

USA, elezioni a rischio? di Andrea Muzzolon

Mappa

Le fake news attraverso la storia

Image Is Everything: fake photos di Filippo di Chio, Andrea di Tullio

Devil wears fake-Prada di Elena Capilupi, Alessandra Pellegrino

Covid: vaccino e verità di Sara Leombruno

IULM e Carabinieri di Glenda Veronica Matrecano

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SOMMARIO
3 4 8 12 14 16 18 20 22 24 26 27 COLOPHON
MARZO 2024 - N°2 - ANNO XXII
M asterX

Valentina Cappelli e Andrea Carrabino

Master in Giornalismo

ARMI DI MISTIFICAZIONE DI MASSA

New York, 5 febbraio 2003. L’allora segretario di Stato americano Colin Powell mostra al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite una curiosa fialetta piena di un liquido giallastro. Secondo il militare, conterrebbe la prova lampante della presenza di armi di distruzione di massa in Iraq. Le immagini fanno il giro del mondo. E convincono l’opinione pubblica statunitense - e non solo - della necessità di un intervento armato per abbattere il regime autoritario di Saddam Hussein. Peccato che si sia rivelato tutto falso. Le truppe statunitensi sbarcate in Iraq non hanno trovato nessun arma di distruzione di massa. Tantomeno le prove di legami del leader iracheno con organizzazioni terroristiche. Ma ormai quella che si era dimostrata una fake news stava già producendo i suoi effetti: la disinformazione di massa. L’intervento militare promosso da George W. Bush - e poi da Barack Obamaha causato in vent’anni di guerra del Golfo 584 mila morti. Un massacro.

che cos’è una fake news?

L’episodio della fialetta dimostra come una bufala, se ben costruita, possa influenzare la coscienza di un individuo. Così come quelle di un popolo. Ma che cos’è una fake news? Come funziona? Da chi viene prodotta? Facciamo un po’ di ordine. Con l’espressione “Fake news” - nella sua accezione italiana - si fa riferimento a un’informazione in parte o del tutto non corrispondente al vero. Può essere divulgata attraverso il Web, i media, i social network o le tecnologie digitali di comunicazione. Ciò che la distingue

da una vera e propria fesseria risiede nella sua apparente plausibilità, alimentata da un sistema distorto di aspettative dell’opinione pubblica. E, soprattutto, da un’amplificazione dei pregiudizi che ne sono alla base.

distinzioni necessarie

Quando si parla di fake news, però, c’è ancora troppa confusione. Soprattutto si tende a considerare “misinformazione” e “disinformazione” come sinonimi. Con il primo termine ci si riferisce a un’informazione falsa che viene diffusa, indipendentemente dall’intento di fuorviare. Al contrario, la disinformazione si serve di informazioni deliberatamente fuorvianti o distorte, fatti manipolati, propaganda. E infatti le fake news create ad hoc per manipolare l’opinione pubblica, generano disinformazione. Ciò che la distingue dalla misinformazione è proprio l’intenzione di recare un danno, essendo molto potente e distruttiva. I governi spesso hanno interesse a diffondere intenzionalmente informazioni false alle nazioni rivali.

chiunque può generare fake news

Una notizia falsa, oltre che da un governo, può essere divulgata anche da un semplice cittadino. È il caso, per esempio, di un blogger che pubblica storie inventate per attrarre traffico sul suo sito, o di un utente social che condivide teorie del complotto senza verificarne l’attendibilità. Risultato? Le fake news smettono di essere menzogne isolate e acquistano ripercussioni reali, che influenzano l’agire di tutti noi e il nostro relazionarci con il mondo.

EDITORIALE MARZO 2024 | MASTERX | 3
USA, 2003. Il segretario di Stato Colin Powell mostra la fiala contenente prove della presenza di armi di distruzione di massa in Iraq

LA GUERRA ATTRAVERSO LE BOMBE MEDIATICHE MEDIORIENTE

Gli effetti delle fake news non si riversano solo sul fronte. Ma influenzano le coscienze di chi, ai combattimenti, assiste a distanza

COVERSTORY

Se si parla di guerra, il bombardamento non è solo quello sul terreno. Oltre a bombe, missili e carri armati, nei conflitti di oggi l’arma mediatica non è meno letale. Il suo obiettivo non è uccidere, ma spostare i delicati e instabili equilibri internazionali da una parte o dall’altra. Il bersaglio? Le opinioni pubbliche, tanto quelle in gioco quanto quelle che osservano da lontano. E che non hanno altra difesa se non l’istinto e la capacità di informarsi più a fondo. È uno schema diffuso ormai da anni. Prima con la guerra in Ucraina, adesso con il conflitto in Medioriente. «La cinematografia è l’arma più forte», era il mantra del regime fascista negli anni ’30. Oggi la situazione non è cambiata, anche se al grande schermo sono subentrati i social media. Come esistono decine di carri armati diversi – quelli che uccidono per davvero – lo stesso vale per quelle che chiamiamo “fake news”.

le fake news sull’ospedale al-ahli

La sera del 17 ottobre 2023 sui cellulari di tutto il mondo si vedevano le stesse immagini: una palla di fuoco nel cielo nero sopra la Striscia di Gaza, che scendeva fino a esplodere in fiamme e fumo. La scritta di accompagnamento, in lingue e versioni differenti, era grossomodo la stessa: «Israele colpisce l’ospedale di alAhli». I portavoce di tutto il mondo arabo si lanciarono alla carica. Dall’«orrendo crimine» di cui parlava l’Arabia Saudita alle accuse del presidente turco Recep Tayyip Erdogan: «Gli Stati Uniti hanno dato il via libera a Israele per massacrare impunemente i Palestinesi». Lo stesso mondo occidentale, fin dal 7 ottobre schierato in maniera compatta al fianco di Tel Aviv, diede segni di incertezza. Il presidente americano Joe Biden si disse «indignato» e pronto a lanciare un’investigazione internazionale sul caso.

Morale della favola? Già il 20 ottobre l’Associated Press, incrociando una dozzina di video, sostenne che il razzo responsabile del massacro di centinaia di persone fosse, in realtà, uno di quelli utilizzati da Hamas. L’arma, diretta in Israele, si era spezzata ed era precipitata nell’affollato parcheggio dell’ospedale. Col passare dei giorni questa tesi venne corroborata da nuovi video e dalle investigazioni di enti indipendenti. Non solo. Se il ministero della Salute della Striscia parlò di 471 vittime e oltre 300 feriti, l’intelligence statunitense riportò le stime tra i 100 e i 300 morti. Alla fine fu chiaro che un tragico incidente era stato sfruttato dalle autorità di Gaza per i loro scopi. Gli organi dell’informazione occidentali – tra cui New York Times e BBC – che si erano affrettati a seguire la prima versione della storia, si scusarono per essere caduti nel tranello.

la prima vittima è la verità

Non c’è da stupirsi. «In guerra la prima vittima è la verità», diceva il drammaturgo greco Eschilo (V secolo a.C.). Un vecchio adagio che mai come in questi mesi risulta attuale. Alla naturale tendenza delle parti in gioco a distorcere la realtà a proprio vantaggio, si aggiungono difficoltà logistiche. A Gaza non >

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I CASI Quattro fake news sulla guerra in Medioriente

A cura di U.C. e F.d.C.

Gli scontri in Medio Oriente hanno riportato al centro dell’opinione pubblica il tema dell’informazione in zona di guerra. Alle immagini crude del conflitto ogni fazione tende a dare le proprie interpretazioni. Non è raro che, così facendo, ci si allontani dalla verità per sfociare in imprecisioni, dati modificati o del tutto inventati. A peggiorare la situazione contribuisce la difficoltà nella verifica delle notizie e una barriera linguistica in molti casi insormontabile.

1. I BAMBINI DECAPITATI

La notizia ha scosso le coscienze di gran parte dell’opinione pubblica. Il 12 ottobre, nel kibbutz israeliano di Kfar Aza, sarebbero stati rinvenuti i corpi di 40 bambini decapitati e bruciati da Hamas il 7 ottobre. La fonte è una reporter del canale televisivo i24. Subito gli organi di stampa occidentali rilanciano la notizia, sottolineando la brutalità dei miliziani. Ma qualcosa non quadra: gli inviati nella zona dicono di non poter confermare la questione, nemmeno dopo aver sentito e interrogato i militari entrati nel kibbutz. Solo allora ci si rende conto che la reporter non aveva parlato di 40 bimbi decapitati, ma di 40 minori uccisi. Alcuni di questi portavano segni di violenza inaudita. Ma la macchina della propaganda era ormai in moto. E quei bambini, per tutti, erano stati decapitati.

si può entrare. Niente giornalisti. Niente reporter. Solo la gente che vive nella Striscia, e che cerca disperatamente di uscirne. E che, di fronte agli orrori a cui si assiste, li documenta come può, inconsapevoli dell’impatto che immagini e storie possano avere sul mondo esterno. Oltre ai civili, di tanto in tanto, qualche raro cronista viene accompagnato dall’esercito israeliano in luoghi predeterminati. Si potrebbe dire che della guerra in Medioriente non si sa nulla con certezza. Non si sa quanti siano i morti. Non si sa come vadano le operazioni di terra. Non si capisce se ci sono soluzioni all’orizzonte. Quello che arriva rischia di rivelarsi una fake news. Ma, come si accennava in precedenza, si fa presto a dire “fake news”. La realtà è più complessa. Dal fronte arrivano tre tipi di informazioni non veritiere: quelle del tutto false, quelle vere ma viste sotto la luce della propaganda e la zona grigia tra le due. Nell’ultima categoria rientra il caso dell’ospedale al-Ahli. Il fatto – l’esplosione di un razzo sulla struttura – era vero e verificabile. Ma la propaganda di Hamas ha spostato le responsabilità dai miliziani agli israeliani che, per una volta, non c’entravano nulla.

2. LOST IN TRANSLATION

Nella prima settimana del conflitto si diffonde su X (ex Twitter) una clip video di sette secondi. Il protagonista è l’emiro del Qatar, Sheikh Tamim bin Hamad al Thani. Ad accompagnare le immagini una didascalia in inglese: «Ultim’ora. Il Qatar minaccia di provocare una carenza globale di gas se non si interromperà il bombardamento di Gaza». Nessuno si prende la briga di verificare che le parole in arabo pronunciate dall’emiro corrispondano alla didascalia. Né che il video stesso fosse effettivamente riferito a quei giorni. A intervenire sarà lo stesso governo qatariota, precisando che la clip è estratta da un discorso datato 2017, in occasione dell’inaugurazione del Doha Forum. In cui, pur con un riferimento alla situazione palestinese, si dice tutt’altro.

alcuni casi di notizie false

Gli esempi di notizie del tutto false non mancano. Tra queste vale la pena di ricordare, per tutti i vari casi analoghi, il videomaker palestinese Saleh Aljafarawi.

Della guerra in corso in Medioriente non sappiamo nulla con certezza

In un filmato postato su Instagram, il ragazzo sosteneva di aver visto decine di missili colpire gli edifici davanti ai suoi occhi. Un israeliano aveva preso quelle immagini e le aveva montate a fianco a un altro video, nel quale una persona molto simile a Saleh era sdraiata in una barella. Secondo l’autore di questo montaggio, entrambi i filmati rappresentavano il medesimo soggetto (Saleh). Il giorno prima in ospedale in fin di vita, quello successivo in giro per Gaza. Inutile dire che si trattava di un falso: il video girato nei corridoi dell’ospedale risaliva al precedente agosto. Non solo. Era stato filmato in Cisgiordania. E il ragazzo ritratto non era lo stesso.

Non è mancato l’utilizzo di immagini reali che non ritraevano eventi legati alla guerra in corso. Su tutti, i numerosi scatti di corpi allineati al suolo, fasciati nei tipici sudari islamici bianchi, accompagnati da scritte sulla falsa riga di: «Israele ha usato armi chimiche, uccidendo

3. LE “BAMBOLE” INSANGUINATE

Sin dall’inizio della guerra non sono mancate immagini di corpicini straziati. E ogni volta le accuse reciproche erano le stesse: quelli nelle foto non sono bambini, ma bambolotti coperti di sangue e sporcizia. In alcuni casi era davvero così. La propaganda delle parti passa anche dalla falsificazione dell’orrore. Il problema è che, più spesso, ciò che veniva derubricato come bambola, bambola non era. Come nel caso delle accuse israeliane ai danni di una palestinese. A prima vista il volto bianco ed emaciato del bimbo che teneva in braccio in una fotografia poteva ingannare. Ma dopo accurate analisi e una grande esposizione mediatica della storia, la realtà si è rivelata in tutto il suo orrore: quello era un vero corpo. E il dolore materno non era simulato.

tutte queste persone». Le foto ritraevano effettivamente vittime di attacchi con il gas. Ma non palestinesi. Siriani. Morti durante la guerra civile, tra il 2013 e il 2019.

Di tutt’altra natura sono le notizie vere, ma distorte dalla propaganda. Come non citare il caso di un altro ospedale, quello di al-Shifa. Per settimane le forze israeliane, in particolare l’aviazione, hanno condotto attacchi contro la struttura sanitaria.

Il motivo? Secondo fonti vicine al governo di Tel Aviv, sotto l’edificio si sarebbe trovato il quartier generale di Hamas.

In effetti dei tunnel c’erano. Ma del comando dei miliziani, quando la fanteria ha preso il controllo della zona, non si è trovata traccia. Dunque la notizia era vera. I nascondigli dei terroristi c’erano, ma l’informazione è stata gonfiata per legittimare raid altrimenti ingiustificabili.

Non si può poi tralasciare un’altra opera di propaganda israeliana. Per diverse settimane alle cisterne che trasportavano carburante in aiuto alla popolazione di Gaza è stato negato l’accesso alla Striscia.

Secondo il governo di Benjamin Netanyahu, Hamas utilizzava quel carburante per produrre razzi. Quindi, non andava fatto passare. Peccato che nei razzi dei miliziani dell’organizzazione terroristica il propellente c’era già (per

6 MASTERX | MARZO 2024 GUERRA | TRAPPOLE DAL FRONTE
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4.

È il 18 ottobre 2023 quando si diffonde sui social l’immagine di una bandiera nera issata sulla cupola di una moschea in Iran, nella regione del Khorasan. Viene letta come una chiamata alle armi per tutti i musulmani sciiti, per cui l’edificio è un importante santuario. Non aiuta il fatto che proprio quel 18 ottobre le milizie libanesi di Hezbollah abbiano invocato il “giorno della rabbia”, in risposta all’esplosione dell’ospedale al-Ahli (di cui accusano Israele). Lo stesso imam della moschea ha però spiegato che il colore dello stendardo fosse un segnale di lutto per le vittime nella Striscia. E vari esperti del Corano hanno confermato questa versione, sottolineando come il nero sia un segno di conforto e speranza per tutti i fedeli islamici. Altro che chiamata alle armi.

quelli importati dall’Iran e da altri Paesi). O, nel caso di quelli prodotti in loco, veniva fabbricato con fertilizzante e urina degradata. La benzina che entrava nella Striscia, al massimo, poteva servire ad alimentare i generatori di corrente in mano ad Hamas.

e i palestinesi?

Fin qui si può notare che la maggioranza dei casi di cui si è discusso sui media internazionali è stata diffusa da parte israeliana. E i palestinesi? Non producono anche loro fake news? Certo che sì.

Ma in Occidente fanno meno scalpore, salvo casi eclatanti come quello dell’ospedale alAhli. Perché? Non sono rivolte agli occidentali. Come a Israele interessa tenersi stretto l’appoggio di Nato e Paesi partner, lo scopo di Hamas è incitare il mondo islamico all’indignazione, così da garantirsi supporto. Senza contare l’ostacolo linguistico. Tel Aviv comunica abitualmente in lingua inglese, mentre i miliziani sciiti usano solo l’arabo.

Tutto questo dimostra l’anormalità del conflitto mediorientale. Dall’Ucraina le fake news arrivano chiaramente sui nostri schermi. Da Gaza no. E una delle conseguenze è che entrambe le fazioni, con i rispettivi sostenitori, non solo vivono due narrazioni opposte ma addirittura due guerre diverse.

«Troppo pochi i reporter a Gaza»

L’intervista ad Azzurra Meringolo Scarfoglio, inviata di guerra del Giornale Radio Rai specializzata in questioni mediorientali. Il suo sguardo sui conflitti è tra i più lucidi del giornalismo italiano.

Di U. C. e F. d. C.

Qual è il ruolo dell’inviato nel contrasto alla disinformazione dai territori di guerra?

La propaganda è da sempre uno strumento della guerra e tutte le parti la usano a proprio vantaggio. Negli ultimi decenni, con internet, il suo utilizzo è molto aumentato. Uno dei ruoli dell’inviato è proprio quello di dare un tipo di informazione il più lontano possibile dalla propaganda. Non solo verificare le notizie in modo specifico, ma anche dare a quel racconto la giusta cornice. Ma attenzione, propaganda è dare a una notizia particolare importanza, celandone altre. Inoltre nella propaganda può essere che diventi notizia anche ciò che giornalisticamente non lo è. Una fake news, invece, è un’informazione sbagliata,. Si può dire perfino manipolatoria.

la Striscia. E tutti quelli che rimangono potrebbero essere sottoposti al rigido controllo di Hamas. Quindi sempre meno reporter raccontano il conflitto. Non esistite una copertura internazionale. In Ucraina invece si può andare fin dentro le trincee con i militari. Ma molte cose le abbiamo viste da soli. La cosa importante è vedere oltre il punto di vista ufficiale. Quindi parlare con i civili, con i soldati. Vedere non basta, ma vedere è necessario. E certamente ha un valore che fa la differenza. Ancora oggi.

Lei conosce molto bene il Medio Oriente. Le fake news che effetti hanno sulla popolazione locale? Ogni parte in causa è in una bolla del suo racconto. Ad esempio, l’attacco all’ospedale di Jenin del 30 gennaio. Gli israeliani parlavano dell’uccisione di terroristi, i palestinesi di eroi morti per la resistenza. Come giornalisti dobbiamo stare in mezzo e cercare di dare a chi ci ascolta la notizia: tre persone, che Israele considerava terroristi, sono state uccise dai soldati. La narrazione è totalmente polarizzata, e influenza anche il modo in cui le persone vivono questo conflitto. E in tutto questo nessuno parla della componente arabo-israeliana, che sta nel mezzo.

Una fake news è un’informazione sbagliata, perfino manipolatoria A.M.S.

Le capita di telefonare in redazione perché è stata data una notizia di agenzia che lei non ha modo di confermare?

Io nello specifico lavoro con fonti dirette, quindi con persone che sono sulla Striscia, il cui racconto viene verificato incrociando luoghi ed eventi. Spesso però le notizie arrivano direttamente in redazione già parziali: metà di una dichiarazione oppure informazioni che noi non riusciamo a verificare. Io, fino a quando non ho il tempo e gli strumenti necessari per verificare, uso un linguaggio che non le dà per certe. C’è sempre la possibilità che si creino fake news, soprattutto nei teatri di guerra, dove il racconto del dolore è spesso quasi pornografico. In questi casi mi capita di chiedere di trattare il tema con una certa cautela.

Quindi la fretta, che spesso pervade il giornalismo, può generare fake news. Capita che siano gli stessi giornalisti, involontariamente, a crearle?

Ma a Gaza non si può entrare... Questa guerra non è raccontata da noi giornalisti. A Gaza è interdetto l’ingresso di reporter. Gli unici colleghi che sono entrati lo hanno fatto sotto scorta dell’esercito israeliano: visite molto brevi, niente interviste e censura militare sui materiali raccolti. I pochi cronisti a Gaza stanno morendo o stanno lasciando

Sì, per non controllo delle fonti. Le agenzie sono fonti primarie, affidabili. Molte volte, quando riceviamo notizie da altre fonti, abbiamo un filo di dubbio. Se scegliamo di darle, basandoci sul nostro intuito, rischiamo di diffondere al pubblico una bufala. Oppure aspettiamo che esca sulle agenzie. È successo anche a me un paio di volte. Magari mi ricordo la storia, la persona. Quindi, pur usando sempre il condizionale, mi sento di anticipare le agenzie.

MARZO 2024 | MASTERX | 7 MARZO 2024 | TRAPPOLE DAL FRONTE | GUERRA
LA “CHIAMATA ALLE ARMI”

Sguardo sulla psicologia delle

La fragilità dell’identità sociale e delle emozioni delle persone può creare false convinzioni in chi non possiede uno stile di pensiero critico

Con l’avvento dei social media e la diffusione virale delle informazioni, le fake news hanno assunto un potere insidioso, manipolando non solo la percezione della realtà all’interno delle comunità reali e virtuali ma anche le fondamenta stesse della nostra comprensione del mondo. Quando un individuo si avvicina al proprio gruppo sociale, il desiderio di conformarsi porta spesso all’accettazione acritica di notizie false, creando una bolla informativa che ne amplifica l’effetto. Ma il problema non si limita solo alla sfera sociale

esterna: all’interno della mente umana, la disinformazione sfrutta le vulnerabilità cognitive e psicologiche per radicare convinzioni erronee.

social media e cyperpsicologia

Quando si parla di fake news, si fa riferimento a quelle diffuse mediante la rete. I motivi sono i più disparati: possono essere un’arma per accusare i rivali politici, un modo per guadagnare denaro o semplicemente per generare consenso. Non è un caso che le fake news trovino terreno fertile online. I social media, infatti, hanno avviato nuovi processi di cambiamento nel campo della psicologia cognitiva e della comunicazione. Non solo. A questo proposito è nata una nuova branca della psicologia che prende il nome di cyberpsicologia. Il suo scopo è lo studio dell’interazione tra l’individuo e i nuovi media comunicativi, o più in generale le tecnologie.

Oggi le fake news hanno il potere di toccare la dimensione emotiva del lettore, cambiare la sua percezione della realtà e, soprattutto, farlo sentire parte di un gruppo di persone con cui condividere gli stessi ideali. Un circolo vizioso accelerato dai tempi della rete e,

Alcuni esempi di fake news del passato

In alto, il professor Giuseppe Riva, autore del libro “Fake News: vivere e sopravvivere in un mondo post-verità”. A sinistra, il prosecco screditato dal giornale britannico The Guardian perché considerato dannoso per i denti: una notizia, poi smentita, volta a diminuire l’import del prodotto dall’estero. A destra, lo scatto del 1991 ritraente il bacio tra l’immunologo Fernando Aiuti e Rosaria Iardino, una sua paziente sieropositiva. L’intento del gesto era smentire la falsa credenza secondo cui l’HIV si trasmetteva con la saliva.

dunque, con un impatto ancora più forte sugli utenti.

identità sociale

Secondo Giuseppe Riva, docente di Psicologia della Comunicazione all’Università Cattolica di Milano, l’identità dell’individuo non si limiterebbe alla consapevolezza di essere un soggetto nella sua unicità. Nel suo libro Fake news. Vivere e sopravvivere in un mondo post-verità (2018), pone l’attenzione sul concetto di identità sociale: quella che ogni persona assume all’interno di un gruppo. Lo stesso gruppo che porta il soggetto a difendere anche ciò che è falso. L’identità sociale è parte dell’individuo ed è costruita all’interno delle relazioni. «Se, per esempio, io sono interista (identità sociale) e una fake news dice che gli avversari hanno rubato, io userò quella notizia per attaccare la squadra avversaria nonostante l’informazione sia falsa. Le fake news sono costruite a tavolino a partire da ciò che sta a cuore alle persone», ha spiegato Riva. Con il passare del tempo, però, le relazioni sociali della vita quotidiana sono state superate da quelle del mondo digitale. «Una volta, la dimensione relazionale si svolgeva nelle

8 MASTERX | MARZO 2024
Di Letizia Triglione ed Erica Vailati
8 | MASTERX | MARZO 2024 SOCIOLOGIA | DIETRO LA MENTE

delle fake news

scuole, in piazza. In questo nuovo spazio ibrido, tra verità e finzione, ciò che accade nel mondo digitale ha anche un impatto sulla vita reale».

iil fenomeno delle echo chambers

Un’altra differenza riguarda il poter esprimere opinioni divergenti rispetto a quelle del proprio gruppo sociale online, dove secondo il professore «chi ha pareri contrastanti è penalizzato, essendo i social media un mondo creato per ridurre le differenze e aggregare persone simili tra loro». Nella società contemporanea, questo concetto si concretizza nelle cosiddette echo chambers, delle “casse di risonanza”. In questio fenomeno sociale, la forte interattività e lo scambio di informazioni non sempre veritiere – ripetute continuamente – cancellano visioni diverse da quelle imposte dai partecipanti. Le fake news sono costruite appositamente per creare quell’eco. La necessità di sentirsi parte di qualcosa è fondamentale per l’indole umana. Non solo per la paura di essere soli, quanto più «per conoscere se stessi». «Gli uomini sono esseri sociali e hanno bisogno di esprimere la

propria socialità. Questo, ora, passa attraverso i media digitali. Le relazioni faccia a faccia sono sempre più rarefatte: una persona può avere centinaia di followers sui social, ma soffrire di solitudine, come accade per molti adolescenti», ha detto Riva.

i neuroni “specchio”

Uno degli elementi principali della crescita personale è l’identificazione con l’altro. Nel cervello esistono dei neuroni detti “specchio”, responsabili della reazione del cervello quando ci si relaziona con i propri simili. Se un individuo vede qualcuno compiere un determinato gesto, si attivano, come se fosse lui stesso a eseguire quell’azione. «Sui social questi processi non esistono, non vediamo un corpo, ma solo un’icona. Così diventa difficile creare una connessione con l’altro». È proprio grazie all’esigenza umana di difendere se stessi e affermarsi in un gruppo sociale che le fake news trovano il loro spazio. «Se la falsità mette in discussione l’identità, sarà sempre più importante difendere l’identità piuttosto che la verità – ha commentato il docente –Per esempio, se l’essere terrapiattista è legato al fatto che la terra sia piatta, allora sarà im-

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CASI Quando le notizie false influenzano

il nostro agire

1. LA TERRA È PIATTA?

Bob Knodel, figura di spicco del movimento Terra Piatta, ha investito migliaia di dollari in attrezzature di precisione per dimostrare che la Terra non ha curvatura. Utilizzando un giroscopio laser - un misuratore di angoli derivanti da spostamenti spazialiKnodel sperava di rilevare variazioni nella rotazione terrestre che contraddicessero il modello scientifico globale. Ma i risultati hanno confermato le teorie che cercava di sfatare, mostrando una rotazione coerente con una Terra sferica. Nonostante l’esito dell’esperimento, Knodel e i membri della comunità Terra Piatta non hanno riconsiderato le proprie convinzioni. Hanno invece cercato spiegazioni alternative coerenti con il loro modello di credenze.

2. L’ATTACCO A CAPITOL HILL

L’affermazione infondata secondo cui le elezioni presidenziali USA del 2020 fossero state truccate a favore di Joe Biden, diffusa dai sostenitori dell’ex presidente Donald Trump, ha avuto gravi conseguenze. Le false accuse hanno alimentato la sfiducia nel processo elettorale, culminando nell’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio 2021. Migliaia di sostenitori di Trump, convinti della veridicità di queste affermazioni, hanno invaso il Congresso nel tentativo di impedire la certificazione dei risultati elettorali. L’assalto ha scosso la nazione, portando alla mobilitazione delle forze dell’ordine e all’incriminazione di numerosi partecipanti. L’evento ha messo in evidenza la pericolosità delle fake news e delle ondate di disinformazione che esse possonno generare.

MARZO 2024 | MASTERX | 9 psicologia
MARZO 2024 MASTERX | 9 DIETRO LA MENTE | SOCIOLOGIA
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PSICOLOGIA

V.C. e A.C.

Pregiudizi e distorsioni cognitive

Donna al volante, pericolo costante: bias o verità?

Immaginate di imbattervi in una notizia online che sembra confermare esattamente tutto ciò in cui credete. Prima ancora di domandarvi se sia vera o falsa, sentite l’impulso irrefrenabile di condividerla. Questa reazione quasi automatica è guidata da quello che in psicologia cognitiva viene chiamato “Bias - o pregiudizio - di conferma”. Il termine indica la tendenza a favorire, ricercare, interpretare e ricordare le informazioni in modo tale da confermare le proprie credenze o valori. Quante volte abbiamo sentito l’espressione: «Donna al volante, pericolo costante»? E quante volte, in un modo o nell’altro, abbiamo finito per crederci? In caso di incidente stradale, chi è convinto di questa “verità” si aspetta di trovare una donna come presunta responsabile. Nel caso in cui lo sia davvero, lo stereotipo sarà confermato. Nel caso in cui, invece, a guidare sia un uomo, la persona in questione troverebbe giustificazioni sommarie che non riguardano il sesso del guidatore, ma ben altro. Questo insidioso desiderio di trovare conferma nelle nostre credenze crea un terreno fertile per la produzione e la diffusione di notizie false o fuorvianti. Le fake news creano così la disinformazione, che non si limita a distorcere la nostra percezione individuale, ma influenza anche l’intera collettività. E, soprattutto, ha il potere di modellare il discorso pubblico su temi critici: dalle elezioni alla salute pubblica. La diffusione virale di notizie false può avere quindi ripercussioni reali, influenzando decisioni e comportamenti della collettività. Per contrastare questo fenomeno, conoscere l’esistenza del bias di conferma si rivela un’arma potente. Comprendere che siamo inclini a cercare conferme delle nostre credenze ci può spingere a interrogarci più criticamente sulle informazioni che ci arrivano. Invece di accettare passivamente ogni notizia che sembra rafforzare le nostre visioni, possiamo imparare a porci alcune domande essenziali: «È veramente così? Quali prove ci sono? Chi ne trae beneficio?». Nel nostro quotidiano, ogni click, condivisione o like a una notizia falsa contribuisce a diffondere la disinformazione in rete. Qui, la responsabilità personale incontra l’azione collettiva. Interrogarsi sulla fonte e condividere le notizie consapevolmente aiuta a creare un’informazione più sana.

possibile negare questo fatto perché vorrebbe dire dimenticare la propria identità. L’obiettivo di ogni uomo è capire chi è, in qualità di animale sociale. E lo fa partecipando attivamente ai gruppi di cui sceglie di fare parte».

come funzionano le fake news

Le fake news funzionano in particolari circostanze. In primis, se costruite in modo da riflettere obiettivi, interessi e personalità dei membri della comunità. Poi, se vengono viste da molti. Ancora, se le persone non si accorgono che sono false, se non ci sono notizie in contrasto con esse e se un numero basso di lettori si informa. Per Riva, infatti, l’accettazione delle fake news ha a che fare sia con il basso livello di attenzione, sia con la superficialità del pubblico di riferimento. Le notizie false diventano dunque un «percorso periferico del soggetto nella decisione», la via più facile. «Se una persona dedicasse energie nel leggere le notizie, potrebbe accorgersi di quelle false o fuorvianti. Ma limitando lo sforzo cognitivo al minimo, è spinta a sceglie-

TRA REALTÀ E FINZIONE

In alto, la ragazza musulmana diventata virale perchè “indifferente” all’attentato al ponte di Westminster, a Londra, del 22 marzo 2017. Una bufala smentita dalla seconda foto, che mostra la solidarietà di tutte le donne islamiche sul luogo della tragedia. In basso, alcuni passanti soccorrono una vittima in fin di vita dell’attentato

re ciò che più si accosta alle sue visioni. Uno dei rischi del mondo digitale è la pigrizia». Le decisioni periferiche in rete fanno prevalere la resistenza al cambiamento e l’assunzione di posizioni estreme, che più facilmente garantiscono il consenso del proprio gruppo.

meccanismi psicologici

Oltre all’interazione fra l’utente e i social media, la diffusione della disinformazione affonda le radici nei meccanismi psicologici che si innescano nella mente dell’individuo. Queste dinamiche dipendono in parte dall’identificazione delle persone in un particolare gruppo sociale, di cui fanno proprie abitudini e ideologie. Sviluppano un senso di appartenenza che condiziona anche il modo in cui si informano, portandole a credere più facilmente alle notizie in linea con le idee del gruppo di riferimento. Il contesto culturale è uno degli aspetti che più determinano questo meccanismo. Ma non è l’unico fattore a intervenire. Molto ha a che vedere, infatti, con la soggettività. E, soprattutto, con lo stile di pensiero.

scettico o credulone?

«Chi ha un pensiero scientifico è ragionevole, riflette in modo critico e mantiene un certo grado di scetticismo», ha spiegato Cristina Clemente, psicologa clinica e psicoterapeuta. Soprattutto, si fida di notizie verificate e supportate da prove concrete, dimostrandosi abile nel riconoscere le fake news. «Le persone scientifiche – ha continuato – sono sicure di sé e hanno un forte senso d’identità». Caratteristiche che mancano agli individui più inclini a cadere nel tranello della disinformazione. «Si tratta di soggetti paranoici, che vedono l’insidia ovunque. Vivono nel sospetto e non sono ragionevoli. Hanno un pensiero rigido: per loro è tutto bianco o nero, si aggrappano ai loro ideali e difficilmente cambiano idea», ha affermato Clemente. Dai due stili di pensiero derivano due diversi approcci all’informazione. «Lo scientifico cerca il dubbio, il paranoico cerca la fregatura», ha sottolineato la psicologa.

le emozioni contano Nelle dinamiche psicologiche legate alle fake news intervengono anche le emozioni. «Se sei arrabbiato con la società o la famiglia, ti ribelli contro l’informazione che arriva dall’alto. È un modo per buttare fuori la rabbia», ha commentato la dottoressa. La capacità della disinformazione di colpire il lato emotivo ne spiega la rapida diffusione. Gli individui meno razionali, infatti, sono più propensi a credere alle notizie false. Secondo Clemente, però, è anche una «questione di momenti della vita. Le persone di una certa età non hanno alcuna intenzione di cambiare idea, mantengono la loro routine, rimanendo nella comfort zone». Quando si imbattono in una fake news coerente con quello che già sanno, sono più inclini a fidarsi. Alla base di questi meccanismi psicologici che spiegano la forte presa delle fake news c’è, quindi, una questione identitaria. Come ha ricordato la psicologa: «Più la tua identità è forte, meno la devi cercare altrove. E meno sei incline a credere a tutto».

10 | MASTERX MARZO 2024 10 | MASTERX | MARZO 2024 SOCIOLOGIA | DIETRO LA MENTTE
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Dieta: sfatare falsi miti

Pasta, riso e olio fanno ingrassare? Arriva il workshop all’Università IULM che contrasta la disinformazione in campo alimentare

Di Erica Vailati e Rebecca Saibene

La pasta fa ingrassare. Il burro è da evitare per il colesterolo. Carni bianche sì, rosse no. Verità o fake news? Spesso distinguerle non è facile. A volte, una notizia riportata male, storpiata dal passaparola o costruita ad hoc con uno specifico obiettivo, acquista un potere tale da diventare dogma. Proprio per combattere i falsi miti sul cibo e le frodi dell’alimentazione, arriva all’Università IULM “L’imbroglio alimentare”, un workshop ideato da Nicola Sorrentino, medico dietologo e direttore scientifico di IULM Food Academy.

i consigli del dottor sorrentino

La conferenza di martedì 20 febbraio, tenuta dal professore, inaugura un ciclo di sei incontri in programma fino al 26 marzo. «Tanti pazienti mi chiedono se la pasta faccia ingrassare, ma la risposta è no. È il condimento a renderla un cibo ingrassante», ha spiegato Sorrentino. «Un’altra domanda frequente è ‘pasta o riso?’. È uguale, hanno un apporto calorico simile, seppur con delle differenze. Per esempio, il riso è più digeribile e sazia maggiormente. 100 grammi di riso crudo, infatti, diventano 260 con la cottura». Tra gli altri miti smontati dal dietologo, anche quello sul pesce contenente mercurio: «È presente in quelli di grossa taglia come il tonno e il pesce spada, ma mangiarli una o due volte a settimana non comporta un problema per la salute. In Italia, oltretutto, esistono controlli rigidi».

calorie», ha specificato il dietologo. «Inoltre, 100 grammi di burro equivalgono a 250 milligrammi di colesterolo, due uova a 360». Il burro, quindi, deve essere incluso in un regime alimentare equilibrato. Tanto che, secondo Sorrentino, «è la miglior merenda per bambini e sportivi, soprattutto con un cucchiaio di cacao sopra».

vero o falso?

L’acqua fa dimagrire?

Uno dei dibattiti più diffusi in ambito alimentare riguarda la carne rossa. Meglio quella bianca? Anche in questo caso, il professore sfata un mito. «Mangiare tanta carne rossa aumenta il rischio di patologie cardiovascolari, ma non è meno salutare di quella bianca. A renderla dannosa è il tipo di cottura». Il modo in cui i cibi sono cotti, infatti, ha un notevole impatto sul loro valore nutrizionale. Ne è un esempio il pomodoro, che «contiene importanti proprietà antiossidanti, ma per poterle assimilare è necessario cuocerlo».

Berla fresca

prima dei pasti permette di alzare il tasso metabolico

Altro dubbio amletico: olio o burro? Spesso si preferisce il primo, considerato – erroneamente – più leggero e meno grasso. «Il burro è digeribile tanto quanto l’olio e ha meno

Se si parla di dolci, non si può non menzionare il cioccolato. Perché piace così tanto? «I motivi sono due: la feniletilamina e l’anandamide. La prima sostanza è la stessa prodotta dal cervello quando si è innamorati. La seconda imita gli effetti della cannabis», ha spiegato il professore. In materia di bevande, caffè e acqua sono protagonisti di falsi miti. «Se prendete un americano pensando che essendo diluito abbia meno caffeina, vi sbagliate, perché ne contiene il triplo rispetto all’espresso». Sull’acqua, invece, la credenza più diffusa è che faccia dimagrire. In questo caso, «siamo di fronte a una verità. Bere acqua fresca prima dei pasti permette di alzare il tasso metabolico attraverso la termogenesi», processo attraverso cui l’organismo consuma energie per adattare la temperatura del liquido a quella corporea.

il cibo del futuro

«Io credo che la farina di insetti diventerà un alimento del futuro. Quante volte mangiamo i gamberetti, le lumache o il sushi? Sono tutti cibi che in passato non avremmo mai pensato di avere sulle nostre tavole», ha affermato Sorrentino.

L’avversione per questo prodotto è un «problema culturale, perché non penso ci sia nessuna differenza fra una cavalletta e un gamberetto. In alcuni Paesi è normale, per esempio, trovare menù a base di grilli».

Molti, però, sono convinti che sugli scaffali dei supermercati italiani la farina di insetti sia già venduta spacciandola per quella di grano. «Dobbiamo aver fiducia nella legislazione alimentare, perché le etichette ormai sono chiare», ha sottolineato il dietologo. «Non è vero che rischiamo di mangiare qualcosa che non sia segnalato».

i progressi della scienza

Sulla carne coltivata, invece, il professore distingue «Sorrentino uomo» da «Sorrentino scienziato». «Probabilmente io non la mangerò, almeno per ora.

Ma la scienza non si può fermare. Se ci assicurerà che la carne coltivata sostituirà quella animale senza controindicazioni, che sarà prodotta in modo ecologico e che apporterà ciò di cui l’organismo ha bisogno, ben venga anche la carne coltivata».

MARZO 2024 | MASTERX | 11 MARZO 2024 CREDENZE | ALIMENTAZIONE
DOTT. NICOLA SORRENTINO. ”L’imbroglio alimentare”, il workshop della IULM

David Puente

Fact-checker, giornalista, vicedirettore di Open

NOI FACT-CHECKERS
«SIAMO UNA FIGURA ANOMALA. NON DOVREBBE ESSERCI BISOGNO DEL NOSTRO LAVORO»

Di Thomas Fox

«Siamo in un periodo di propaganda, guerre ed elezioni politiche, un periodo in cui inevitabilmente proliferano le fake news. Penso che non finiremo mai di lavorare». Non usa mezzi termini David Puente, vicedirettore di Open con delega al Fact-checking. Incaricato di monitorare le notizie false o fuorvianti, il giornalista originario del Venezuela è fra i più importanti fact-checkers dell’intero panorama italiano. Alle spalle ha centinaia di contenuti smentiti e persino una nomina come consulente del governo durante la pandemia. Dall’ottobre del 2021 la sua testata è partner italiano di Facebook nella lotta alla disinformazione. Soprattutto, nell’aprile del 2021 è entrato a far parte con Open dell’International Fact-Checking Network di Poynter, una rete di fact-checkers che collaborano fra loro e forniscono servizi a oltre cento organizzazioni di tutto il mondo.

Dalla guerra nella Striscia di Gaza a quella in Ucraina, dalla disinformazione sui social all’intelligenza artificiale, l’importanza di questo lavoro è oggi sempre più evidente. In questo contesto, David Puente ha voluto parlare di sé, delle sue attività e dei danni che le fake news possono arrecare alle persone e all’intera società.

In cosa consiste il mestiere di fact-checker?

Noi andiamo a verificare le notizie che sono già circolate in ambito giornalistico. In questo, siamo una figura anomala, che non dovrebbe esistere. Il nostro lavoro dovrebbe già essere interno alle redazioni: alla base del giornalismo dovrebbe esserci la verifica dei fatti, prima della pubblicazione delle notizie.

Perché spesso non è così?

Anzitutto per un problema di tempo. Quando c’erano solo i giornali cartacei la notizia usciva il giorno dopo, quindi c’era la possibilità di telefonare e verificare. Adesso, con Internet, siamo obbligati ad arrivare prima degli altri. Inoltre, molti giornalisti hanno un lavoro precario, quindi sono affamati di pubblicare qualcosa che li lanci, anche a costo di scrivere “a manetta” senza fermarsi troppo a pensare. Poi, ovviamente, c’è la malafede. Tanti durante la pandemia si sono fatti soldi e pubblico cavalcando le bufale.

Concretamente come si svolge il suo lavoro?

Gli utenti ci segnalano le notizie che ritengono dubbiose o certamente false. Noi le controlliamo e vediamo se sono virali, perché se non lo sono si rischia l’effetto contrario, cioè di aumentarne la diffusione proprio dopo il fact-checking. Valutiamo inoltre la pericolosità: ci sono tanti contenuti sui social che non sono particolarmente dannosi e che è meglio lasciare stare. E poi valutiamo se quella notizia è fuorviante, falsa, o se magari si tratta di un contenuto satirico sfuggito di mano. Per fare questo analizziamo la fonte, leggiamo eventuali studi scientifici e ci avvaliamo del parere degli esperti.

Come è arrivato a fare questo lavoro?

Prima ero un informatico e mi occupavo di cercare le persone online. Per esempio, mi chiedevano di trovare il proprietario di un certo sito perché volevano contattarlo per comprare la sua pagina. Quando tornavo a casa la sera, però, online vedevo delle bufale in cui, a volte, cascavo pure io. Ho dunque iniziato a verificarle: avevo creato anche un tool che monitorava tutti i siti che già sapevo essere diffusori di contenuti falsi. Ogni ora mi diceva quanto i loro articoli venivano condivisi sui social. Così ho creato il mio blog e da lì è stato tutto un susseguirsi di scoperte.

Qual è la fake news più importante che è riuscito a far

INTERVISTA 12 | MASTERX | MARZO 2024

emergere?

Quella del missile caduto in Polonia. Era la notizia del secolo. Tutti i giornali la stavano pubblicando, dicendo che era un missile russo, invocando l’articolo 5 della Nato, dicendo che saremmo entrati in guerra. Io invece ho scritto un articolo il cui titolo cominciava con “Cosa sappiamo finora”. Ho avuto la fortuna di riconoscere nel cratere un pezzo di missile ucraino e quindi non ho dato subito la notizia, anche se in redazione mi dicevano di pubblicarla alla svelta per non arrivare per ultimi. Ho rischiato molto, lo ammetto.

Rispetto a quanto avveniva in passato, la rapida e ampia diffusione di questi contenuti dipende anzitutto dai social?

Il rischio viene soprattutto da Telegram. Se su Facebook e YouTube i contenuti sono in qualche modo pubblici, lì invece sono chat private dove circola di tutto. Persino i canali dell’Isis e di Hamas erano ad accesso libero, quindi chiunque poteva vedere la loro propaganda. Poi hanno commesso qualche violazione e sono stati cancellati, ma avevano già inondato la rete. Lo stesso è successo con la pandemia e con la guerra in Ucraina. Se gli altri social avevano ad esempio ostacolato i canali controllati dal Cremlino, via Telegram si poteva bypassare questo blocco. Comunque io non sono contro i social: il problema è come vengono utilizzati.

E cosa succederà con lo sviluppo dell’intelligenza artificiale?

Io già vedo rischi enormi. Molti credono nelle immagini prodotte con l’IA anche quando presentano degli errori, perché non conta tanto la precisione, quanto l’emozione che suscitano. È circolata, ad esempio, una presunta immagine di Assange, trafugata dal carcere, che lo mostrava in condizioni drammatiche. Gli utenti non si sono resi conto che il fondatore di WikiLeaks aveva un piercing. L’IA aveva avuto la sua “allucinazione”, ma persino alcuni giornali tedeschi avevano chiamato la sua famiglia per sapere se lo riconosceva.

Quelli che hanno una parvenza di verità sono ancora più insidiosi e dannosi dal punto di vista sociale, perché in questi casi la gente ha più appigli cui aggrapparsi. Ad esempio, nell’ultimo mese si è parlato della presenza nelle liste di Jeffrey Epstein di personaggi come Donald Trump e Bill Clinton. Nei documenti non c’era nessun riferimento a un loro viaggio sull’isola insieme a Epstein, ma la sola citazione dei loro nomi ha fatto passare l’idea che anche loro avessero rapporti sessuali con le minorenni.

Oltre a verificare le fonti, per difenderci da queste fake news serve una maggiore regolamentazione a livello statale o comunitario?

Le leggi già permettono di avviare procedimenti, basti vedere la normativa sulla diffamazione e il procurato allarme. Quello che serve è più educazione, non le censure e i ministeri della verità: come il nazismo non va cancellato dai libri di storia, per non dimenticarci di quell’errore, così vale per i contenuti falsi. Mi piace ad esempio il lavoro che facciamo con Facebook.

In cosa consiste?

Quello che serve è più educazione, non censure e ministeri della verità

dAvid puente

Come può fare allora il lettore a capire che si trova di fronte a una fake news?

Bisogna sempre vedere da quale fonte proviene. Se si tratta del video di un evento pubblico, si può cercare l’originale. Se l’evento non è pubblico, si può comunque cercare quel video in un canale ufficiale. E poi ci sono le stranezze: uno sfarfallio negli occhi, il labiale che non coincide, la dentatura fatta male, le mani che eseguono sempre lo stesso movimento. Per quanto riguarda invece i testi, oltre alla fonte bisogna vedere come la notizia è stata raccontata e quali emozioni sta provocando. Perché se è scandalistica impone già di per sé una maggiore attenzione.

A volte le persone continuano a credere in una fake news anche di fronte a una smentita palese. Quali meccanismi mentali entrano in gioco?

Anzitutto, quella persona magari è già dentro un circolo vizioso di amici e gruppi che la pensano in un certo modo. E quindi le risulta difficile ammettere la verità, anche per non essere attaccato e isolato: più è dentro queste bolle, più fatica a uscirne, come nelle sette di credenti. Poi ci sono quelli che ci cascano per via dell’emozione che suscita una notizia, sia essa la paura, la rabbia, o anche un sentimento positivo.

Al di là dei contenuti completamente falsi, alcuni sono parzialmente veri o verosimili. Sono questi quelli più problematici?

Noi di Open monitoriamo quello che circola sui social e riceviamo le segnalazioni degli utenti. Poi scriviamo un articolo che viene collegato al contenuto condiviso con l’informazione scorretta. Questo viene dunque etichettato con la smentita e i vari gradi di gravità, cioè se la notizia è falsa, incompleta, satirica o alterata. A quel punto chi l’ha condiviso riceve una segnalazione: il contenuto non viene cancellato e chiunque è libero di ricondividerlo, sapendo però che verrà accompagnato dalla risposta del fact-checking. Altri social optano invece per la cancellazione: ad esempio, alcuni canali YouTube vengono completamente rimossi. Ma così si perde una fonte preziosa, e le persone che si vedono cancellare quei video pensano che i poteri forti vogliono occultare le loro verità scomode.

Al netto di Facebook, durante il primo lockdown ha lavorato pure per il governo. Di cosa si occupava? Facevo consulenze su come, secondo noi, il governo avrebbe dovuto comunicare ai cittadini il tema della Covid (N.d.R. usa “Covid” al femminile, una forma segnalata dall’Accademia della Crusca come più corretta). Era un bel gruppo: insieme a me c’erano divulgatori scientifici, giornalisti, persone che si occupano di deontologia giornalistica. Molti hanno raccontato quell’esperienza in modo sbagliato: non era un ministero della Verità e lavoravamo gratis.

Perché poi è andato via?

Con la pubblicazione del documento finale avevamo terminato il lavoro. Le consulenze sul tema sarebbero potute continuare, ma io ne sono uscito perché vedevo che di quella relazione non se n’era fatto niente. Il governo non ha visto i risultati, o comunque ha continuato a fare come voleva.

Guardando invece al futuro, pensa che il lavoro del fact-checker verrà messo a rischio dall’IA, oppure rimarrà una specifica degli esseri umani?

Il fact-checking di intelligenze artificiali, come ChatGpt, ha già creato alcune bufale. Ad esempio, ho fatto diventare no-vax una sezione di intelligenza artificiale, quindi per principio mi definiva false tutte le informazioni vere. Questo perché l’IA non ha tutte le informazioni attuali e dunque dipende da come e da chi viene allenata. Andrebbe allenata ogni giorno su qualsiasi cosa circoli in rete. Per questo motivo il rischio mi sembra ancora lontano.

Libro. La copertina di Fake News, guida di sopravvivenza per scientisti e idealisti, edito da Poliniani

DAVID PUENTE

Fact-checker, giornalista professionista e vicedirettore della rivista online Open. È titolare del famoso blog «Il cacciatore di bufale», in cui smaschera casi di falsa informazione virale online (www.davidpuente.it).

INTERVISTA MARZO 2024 MASTERX | 13

SMS ED E-MAIL TRANELLO

Nelle tre immagini, alcuni classici esempi di phishing. Nel primo e nel terzo, i truffatori inviano una e-mail spacciandosi rispettivamente per MediaWorld e Netflix. Nella seconda immagine, viene inoltrato un link-truffa tramite SMS

Difendersi dal phishing in 7

Truffe, adescamenti e inganni. Utenti del Web e clienti ignari ci cascano spesso. Ma esistono alcune accortezze per evitare spiacevoli conseguenze

nali. Le vittime, tratte in inganno dalla e-mail, cliccano su un link-tranello dove inseriscono le proprie credenziali o scaricano, anche inconsapevolmente, un allegato infetto. Il termine deriva dall’inglese fishing perché le persone vengono adescate come pesci. Spesso, i mittenti fingono di essere organizzazioni e aziende conosciute, come banche o servizi davvero utilizzati dall’utente. Il phishing è un’evoluzione dello shoulder surfing, il furto di dati personali ottenuto grazie alla non consapevolezza di essere osservati, generalmente in uno spazio pubblico.

aumentare su base annua. Spesso, i criminali informatici utilizzano messaggi di testo che sembrano provenire da operatori di telefonia mobile o da spedizionieri.

Le truffe telefoniche prendono il nome di vishing e aggiungono anche una componente emotiva. Gli aggressori escogitano una storia, che renda plausibile e necessaria un’azione della vittima (come aiutare un parente in difficoltà).

come sventare una truffa

La diffusione sempre più capillare di strumenti capaci di connettersi al Web ha reso l’informatica parte della vita della popolazione. L’evoluzione tecnologica ha portato benefici e cambiamenti, ma anche l’avanzata di tecniche mirate alla sottrazione di dati personali e credenziali d’accesso ai servizi Web. Si pone quindi il tema dell’autenticità delle comunicazioni tra soggetti su Internet.

Le strategie utilizzate dai cybercriminali per rubare dati e informazioni sono molteplici. Ma le truffe più comuni sono di solito attuate tramite il social engineering: una tecnica che si basa sugli errori umani per ottenere informazioni private. Nell’ambito del social engineering esistono diversi metodi per portare a termine l’attacco informatico. Quello più noto è il phishing

che cos’è il phishing

Si tratta di un tentativo di truffa che sfrutta posta elettronica e SMS per rubare dati perso -

metodi per trarre in inganno Di pari passo con le tecnologie, anche le tecniche di phishing evolvono. Quasi tutte utilizzano siti Web fasulli che assumono le sembianze di quelli di aziende o servizi utilizzati dalla popolazione. Tuttavia, i modi in cui le persone vengono indotte a inserire i propri dati personali all’interno di questi portali sono diversi. I canali più utilizzati sono la posta elettronica e gli SMS: l’utente riceve e-mail provenienti da indirizzi che fingono di appartenere ad altre persone o società che contengono link a falsi siti Web o allegati che contengono malware. Lo stesso accade per gli SMS e, in questo caso, viene chiamato smishing. Secondo lo State of the Phish Report del 2023 dell’azienda di cybersicurezza Proofpoint, gli attacchi di smishing sono tra le principali minacce e continuano ad

Alcuni indizi in e-mail e SMS possono aiutare a riconoscere i tentativi di phishing

Nonostante le tecniche di truffe online si siano sempre più affinate negli anni, alcuni indizi in e-mail e messaggi possono aiutare a riconoscere i tentativi di phishing

1. Controllare nome e indirizzo del mittente

Se una vera banca dovesse chiedere dati personali al cliente, userebbe solo un indirizzo che termina con «@ nomebanca». Inoltre molti istituti di credito specificano, nelle comunicazioni ufficiali, che non chiedono mai di inviare dati sensibili via e-mail.

2. Formule di apertura

Solitamente le aziende si rivolgono ai loro clienti chiamandoli per nome, cosa che i truffatori non sempre sanno. Se un messaggio comincia con saluti standard, ci si può chiedere perché una banca non sappia il nome di un suo cliente.

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Di Andrea di Tullio
INFORMATICA | CONSIGLI
SICUREZZA

in 7 mosse

3. Controllare ortografia e grammatica Ortografia errata e formulazioni contorte sono un indizio delle intenzioni fraudolente. Probabilmente è stata scritta in un’altra lingua e poi tradotta in automatico. Lo stesso vale per testi contenenti parole non accentate.

4. Attenzione a link e allegati

Se a un primo sguardo un messaggio sembra autentico, bisogna verificare che il link rimandi a quello dell’azienda in questione. Se il browser blocca la visualizzazione, quasi certamente non è un sito autentico. Inoltre, se il mittente è sconosciuto, è meglio non scaricare gli allegati.

5. Mai trasmettere dati per e-mail

Nessun negozio online chiede ai propri clienti di farlo. Un modulo in cui devono essere inserite login e password è un indizio di un tentativo di phishing

6. La fretta è cattiva consigliera

I truffatori possono mettere sotto pressione gli utenti e spingerli ad azioni avventate. Ma nessuna azienda minaccia un blocco della carta di credito.

7. Attivare l’autenticazione a due fattori

Per aggiungere un ulteriore livello di sicurezza agli account è possibile attivare la verifica in due passaggi. Oltre alla password, verrà richiesto di confermare la propria identità tramite un codice “usa e getta” via SMS o con un’app per smartphone specifica.

Cripto-Caos: troppo bello per essere vero

Di I.T.

È il 16 ottobre 2023 quando sul social X (ex Twitter) inizia a circolare una notizia: la SEC – la Commissione per i Titoli e gli Scambi –ha autorizzato il primo ETF spot sul Bitcoin, rendendo di fatto più istituzionale la loro compravendita. Il valore della valuta digitale schizza oltre i 30mila dollari in poche ore. Peccato che l’indiscrezione, attribuita al fondo d’investimento BlackRock e diffusa da CoinTelegraph – sito specializzato in criptovalute – fosse totalmente falsa. La successiva smentita della SEC e di BlackRock e la quasi immediata rimozione del post dopo soli 30 minuti – con tanto di scuse di CoinTelegraph e avvio di una “indagine interna” – hanno innescato un’ondata di vendite sul mercato. Milioni di dollari bruciati per una notizia falsa. La forza di questa fake news stava nella sua verosimiglianza. Poco meno di tre mesi dopo, infatti, il 10 gennaio 2024 l’autorizzazione della SEC c’è effettivamente stata, con investimenti da centinaia di milioni di dollari. È solo uno degli ultimi esempi di notizie false sul mercato delle cripto diffuse sui social. Il modus operandi è sempre lo stesso: qualcuno lancia il “bait” (letteralmente l’“esca”), gli utenti della piattaforma rilanciano la notizia e il mercato agisce di conseguenza. Quando si scopre che la notizia è una bugia tutti corrono ai ripari, ma a quel punto i furbetti hanno già raccolto i loro profitti. D’altra parte sul piatto c’è un mondo che fa gola a molti, quello delle criptovalute. Un mercato con una capitalizzazione complessiva da circa 1.500 miliardi di dollari.

Le fake news in questo campo si assomigliano tutte. Dai finti annunci di fallimento di una criptovaluta, alla multinazionale che magicamente decide di adottarla per i propri prodotti. Il tutto passando per i falsi endorsement di celebrità e persone di spicco del mondo finanziario, fino ad arrivare alle nazioni che, in gran segreto, acquistano grossi quantitativi di una determinata moneta digitale.

I modi per districarsi in mezzo a questo oceano di falsità sono due. Primo: diffidare dal “troppo bello per essere vero”, da quelle occasioni che sembrano troppo ghiotte e alla portata di tutti. Secondo: andare a fondo nella notizia e informarsi attraverso fonti affidabili. Senza farsi abbindolare dall’influencer di turno che sponsorizza la sua cripto preferita. E senza mai dimenticare che, come in ogni oceano, gli abissi sono pieni di squali.

Da Charles a Squid Game: truffe milionarie

Da 5 mila dollari a 15 milioni in soli sei mesi. È quanto è stato capace di realizzare nel 1920 un emigrato italiano negli Stati Uniti. Ma un risultato tanto strabiliante non poteva che essere frutto di una truffa, da allora conosciuta come “Schema Ponzi”.

Charles Ponzi, nato Carlo, è arrivato negli States nel 1903. Per anni ha sbarcato il lunario con lavori saltuari, a volte anche illeciti. Nel 1919 ha avuto l’intuizione di speculare sul valore dei francobolli tra un Paese e l’altro. Nonostante l’attività fosse poco redditizia, tenendo conto delle spese troppo alte per generare profitto, Ponzi ha costituito una società: la Securities Exchange Company. E ha così avviato un sistema di enorme successo, smascherato dopo solo sei mesi.

Il funzionamento dello schema - strutturato a “piramide” - è semplice ed è applicato allo stesso modo in tutte le frodi di questo genere. Il primo passo è individuare potenziali investitori ai quali promettere lauti guadagni in tempi rapidi, rapidissimi. I loro stessi versamenti verranno prontamente ridistribuiti come ricavi della società, convincendo questi primi azionisti a spargere la voce e portare altre persone ad investire i propri soldi nell’attività. La rete può quindi estendersi in maniera esponenziale, in un sistema i cui gli ultimi arrivati ripagano i primi. Dal momento che i soggetti coinvolti possono guadagnare solo individuando nuovi investitori, lo schema si interrompe quando le richieste di rimborso superano i nuovi ingressi. E, in questo modo, gli ultimi arrivati vengono completamente raggirati.

Quello di Ponzi replica il cosiddetto “Schema di marketing multilivello”, adottato dalle società che accrescono il proprio capitale inglobando nuovi investitori. Ma in uno Schema Ponzi, a differenza di ciò che è legittimo, la società non ha un reale prodotto su cui investire i propri guadagni e cresce solo continuando a coinvolgere nuove persone, ridistribuendo i soldi versati da queste ultime.

Anche il mondo delle criptovalute non è completamente esente da truffe con prodotti inesistenti. Tra i tanti esempi, nel 2021 è stato lanciato un token il cui acquisto avrebbe permesso di partecipare a un gioco online ispirato alla popolare serie tv sudcoreana Squid Game. Il valore della valuta è esploso rapidamente. Ma l’intera operazione si è rivelata un gigantesco “rug pull”. Gli sviluppatori, infatti, hanno abbandonato il progetto e sono scappati con i soldi degli investitori, circa 2,1 milioni. La classifica fuga con il malloppo.

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CRIPTOVALUTE
CONSIGLI | SICUREZZA INFORMATICA

GLOSSARIO

Notizie e personaggi creati dall’IA

1. MORTO E RISORTO

Il 6 novembre 2023 un articolo generato da una AI e pubblicato sul sito Global Village Space raccontava dell’inesistente psichiatra di Benjamin Netanyahu. Nel pezzo si sosteneva che il dottore fosse morto lasciando una lettera in cui accusava il primo ministro israeliano di essere coinvolto nella sua uccisione. Prima di essere smentita,

Sicuri sia reale? L’era dei deepfake

Le intelligenze artificiali creano contenuti sempre più (in)credibili: scopriamo come distinguere il vero dal falso in questo nuovo mondo

La diffusione di fake news si è sempre affidata a eserciti di scribacchini mal pagati o a servizi d’intelligence professionali per costruire siti che sembrino legittimi. Le intelligenze artificiali (AI) generative hanno rivoluzionato il gioco. Oggi chiunque può creare queste piattaforme online, dal team di spie all’adolescente nella sua cameretta. Spesso producendo contenuti difficili da differenziare dalle vere notizie.

Stiamo assistendo a un’esplosione di testi che diffondono menzogne e informazioni inventate su elezioni, guerre e disastri naturali. Secondo il Social Impact Report annuale di NewsGuard – un’organizzazione che monitora la disinformazione – i siti web che ospitano UAIN (Unreliable AI-generated news, ossia “notizie inaffidabili generate dalle AI”) sono passati dai 49 del 2022 ai 614 del 2023. Un aumento di oltre il 1.000%.

«Alcuni di questi siti generano centinaia se non migliaia di articoli al giorno», ha affermato Jack Brewster, uno dei ricercatori di NewsGuard. «Sono il prossimo grande superdiffusore di fake news». E questa ondata gene-

rata dalle AI sta raggiungendo anche i video. Sempre stando a NewsGuard, solo lo scorso anno su TikTok ci sono stati 336 milioni di visualizzazioni di contenuti fatti da account che usano tecnologie d’intelligenza artificiale text-to-speech (dal testo all’audio) per diffondere notizie false. Il tutto accompagnato da 337 campagne pubblicitarie in 16 lingue che operano a partire dalle UAIN.

il mercato dietro la tecnologia

Deepfake, text-to-video e clonazione digitale: gli sviluppatori di queste tecnologie si trovano nell’occhio del ciclone. È il caso di BHuman.ai e del suo fondatore, il newyorkese Don Bosco, diviso tra le esigenze dell’etica e quelle del mercato. «La nostra visione è clonare digitalmente gli esseri umani», ci ha detto, «per fare questo lavoriamo con tecnologie di clonazione dei volti e delle voci, ma la parte fondante è quella della riproduzione AI in video».

Le proposte dalle grandi aziende che vogliono lavorare con Bhuman.ai stanno già arrivando. Un popolare media statunitense che ha preferito rimanere anonimo «e altre grandi compagnie ci hanno già chiesto se possiamo clonare i loro conduttori e i volti noti del giornalismo, in modo da creare un’informazione più targettizzata». Cosa significa? Se non fossi interessato alla politica potrei ascoltare un telegiornale virtuale che non ne parli. Non solo: potrei ascoltarlo con il volto del mio conduttore preferito. «Mettiamo che io adori Bill O’Reilly (un

UN DEEPFAKE DI TOM CRUISE

Una immagine del celebre attore di Hollywood generata dall’intelligenza artificiale

la storia è stata trasmessa in uno show televisivo iraniano, per poi circolare sui media arabi, inglesi e indonesiani. È stata anche diffusa da vari utenti su TikTok, Reddit e Instagram. Il sito che ha pubblicato

la fake news si è giustificato sostenendo che l’articolo facesse parte della categoria “satira”.

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Di Ivan Torneo
| DEEPFAKE
IA

DEEPFAKE | IA

2. ONCE UPON A TIME ON TIK-TOK

Le stelle del cinema brillano su TikTok. Ad animarle sono le intelligenze artificiali attraverso i deepfake. L’ultimo esempio sono i video in cui Leonardo Di Caprio e Margot Robbie ballano e scherzano a ritmo di musica. Ma è tutto finto. Per ora a pubblicarli – per fortuna –sono account che specificano che si tratta di contenuti falsi.

3. L’APPARENZA INGANNA

A fine 2023 Rubén Cruz ha lanciato su Instagram Aitana, 25enne di Barcellona dai capelli rosa. L’influencer ha già quasi 300mila follower, ma non esiste: le sue foto sono create con una AI. «Un attore latinoamericano le ha mandato un messaggio per chiederle di uscire», sostiene Cruz, «non aveva idea che Aitana non esistesse».

giornalista americano) e voglia fargli dire le previsioni del tempo qui a New York… potrei farlo», ha ipotizzato Don Bosco.

Non si tratta dell’unica azienda coinvolta in questo boom tecnologico. Dietro ogni pericolo e cambiamento si nascondono delle grandi opportunità economiche. Secondo AI 4 Italy – il report a cura di The European House Ambrosetti e Microsoft – il mercato globale dell’AI raggiungerà i 645 miliardi di dollari entro il 2027. E gli investimenti aziendali in intelligenza artificiale sono schizzati dai 14,6 miliardi di dollari del 2013, ai 276,1 miliardi del 2021.

come funzionano i deep fake

Ma come si crea un deepfake? Usando un Generative Adversarial Network (GAN). In pratica due intelligenze artificiali generative si affrontano. Una deve generare un video credibile e fa decine, centinaia di tentativi in pochi minuti. L’altra è il giudice del lavoro della prima, e quando lei stessa si ritiene “ingannata” –sulla base di dati ed esempi simili – il deepfake è pronto. La qualità di questi lavori è correlata alla bravura delle due AI, in particolare alle capacità della seconda di distinguere quando una immagine non è credibile.

La domanda sorge spontanea: è possibile utilizzare le AI per combattere altre AI? Cioè addestrare delle intelligenze artificiali a riconoscere al posto nostro le immagini generate da altre intelligenze artificiali? «La risposta è sì, assolutamente», ha sottolineato Don Bosco, «fondamentalmente quello che occorre è una capacità di ricerca analitica in cui a questo punto le AI sono molto, molto brave. Stiamo lavorando con alcuni dottorandi che hanno aperto la strada in questo campo. Presto avremo agenti intelligenti che possono controllarsi a vicenda mentre fanno ricerca. Gli sviluppatori lo chiamano “albero del pensiero”». Intanto crescono i timori tra la gente comune. Stando al rapporto Disinformazione e fake news in Italia di Ital Communications-Censis, tre italiani su quattro ritengono che le fake news siano sempre più difficili da scoprire. Inoltre uno su cinque è convinto di non avere gli strumenti e le competenze per riconoscerle. Il report mostra anche come quasi un terzo del Bel Paese neghi l’esistenza di bufale e pensi che non si debba parlare di fake news, ma di notizie vere che vengono censurate dai media. Un terreno fertile in cui operano truffatori e creatori di notizie non vere. Ed è difficile per i governi contrastare i contenuti falsi senza violare le protezioni della libertà di parola.

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POLITICA

USA, elezioni a rischio?

Come nel 2016, le fake news diffuse da sostenitori di Repubblicani e Democratici potrebbero influenzare la strada verso la (ri)conquista della Casa Bianca

Gli Stati Uniti si preparano al bis. Trump contro Biden. Un duello già visto e che, negli ultimi quattro anni, non si è mai interrotto davvero. The Donald ha annunciato la sua ricandidatura lo scorso autunno. E da allora, da grande favorito alla nomination repubblicana, si è destreggiato fra le primarie del partito e la campagna elettorale per la presidenza. Da candidato in pectore, primissimo in tutti i sondaggi di gradimento fra gli elettori della destra americana, Trump ha già cominciato a sferrare attacchi al Presidente Joe Biden. Fra un post su Truth - il social network creato da Donald Trump - un tweet e una storia Instagram, è partita la volata verso la Casa Bianca.

una storia già vista

Come ha insegnato il 2020, sarà una campagna senza esclusione di colpi. Se già in passato la correttezza fra i due ha vacillato, quest’anno molti analisti sono preoccupati dal ruolo che potrebbero giocare le fake news. Immagini, dichiarazioni e registrazioni manipolate che, sfruttando la capillarità dei social network, potrebbero orientare l’opinione degli americani creando difinformazione. Eppure, forse, ci si sta facendo prendere un po’ troppo dagli allarmismi. Le piattaforme online, al centro della scena comunicativa, fungono da grandi casse di risonanza. Ma, osservando bene la storia, non è nulla di nuovo.

Ne è convinto Alberto Mingardi, presidente dell’Istituto Bruno Leoni e docente di Comunicazione Politica all’Università IULM di Milano: «Il dibattito sulle fake news mi pare esagerato. Da che mondo è mondo, i politici mentono in campagna elettorale per garantirsi consenso. Non so se la tendenza si sia veramente acuita in questi anni». Secondo Mingardi, le persone si sono sempre rifugiate nelle cosiddette echo chambers in cui il loro pensiero veniva rafforzato: «È vero che oggi tutti viviamo in delle camere dell’eco, ovvero tendiamo ad ascoltare solo media e persone di cui già condividiamo le opinioni. Ma anche questo non è un fenomeno nuovo. Quando leggevamo Repubblica o Il Giornale, il Washington Post o il Wall Street Journal, che cosa sta-

vamo facendo?». Il tema, quindi, non è tanto il rischio di venir intercettati da fake news. Ma interfacciarsi con definizioni diverse di realtà.

establishment e populisti

«A vincere sarà il candidato più bravo a mobilitare i suoi elettori contro un avversario indigesto»

La questione riguarda quindi sia i repubblicani, considerati i più populisti, sia i democratici, più allineati al sistema mainstream: «La differenza è che oggi non si confrontano solo opinioni ma anche, per così dire, la stessa definizione della realtà. Ciò non significa che su molti temi, dalla transizione verde alla guerra in Ucraina, i più “fantasiosi” siano i populisti e non invece l’establishment», commenta il presidente dell’Istituto Leoni.

antichi rancori

Negli occhi dei più ansiosi per l’impatto delle notizie fake, c’è ancora l’assalto a Capitol Hill. È innegabile che una fetta di elettorato sia ancora arrabbiata e creda che le elezioni del 2020 siano state manipolate. Ma, secondo Mingardi, Trump non avrà bisogno di aggrapparsi a notizie false per convincere gli americani a votarlo: «Buona parte dell’elettorato statunitense è insoddisfatta di Biden. Conta la percezione dell’inflazione. Ma conta anche il fatto che, a dispetto della sua storia di parlamentare centrista e incline al compromesso, Biden non ha

fatto nulla per tendere la mano ai repubblicani». Il presidente in carica ha preferito affrontare Trump sul suo terreno, andando al muro contro muro: «Ha allargato la percezione della distanza fra i due partiti, aumentando la polarizzazione. Questo farà sì che a vincere sarà il candidato più bravo a mobilitare i suoi elettori contro un avversaro considerato come indigesto».

sempre più distanti

La maggiore distanza fra schieramenti non è dipesa solo dalle politiche di Joe Biden. La messa al bando degli account social di Donald Trump ha scatenato la rivolta dei suoi sostenitori. L’accusa mossa alle big tech è quella di censura e violazione della libertà di parola. Dopo anni di strenua lotta alle fake news e alle opinioni indigeste, il nuovo Twitter targato Elon Musk ha fatto da apripista al ritorno della libertà sui social. Anche Facebook e Instagram stanno allentando man mano le loro maglie. Se per qualcuno ci troviamo di fronte ad un potenziale pericolo, per altri è un ritorno alla normalità: «Penso sia un bene. Le opinioni stravaganti devono essere affrontate e smentite con argomenti e idee, non cancellate», spiega Mingardi. «Infatti, la censura di determinate posizioni rafforza solo le credenze di chi le condivide: se non viene permesso di dire qualcosa, il messaggio che traspare è una paura verso quelle posizioni. Il che, per molticonclude il docente - le rende vere».

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USA 2024. A sinistra il presidente degli Stati Uniti Joe Biden. A destra, il repubblicano Donald Trump
| CASA BIANCA

REPUBBLICANO

Trump e i suoi “antenati” scomodi

Donald Trump è stato uno dei Presidenti più controversi della storia americana. Secondo molti analisti, la sua vittoria alle Presidenziali del 2016 è stata favorita dalla diffusione di molte fake news contro i suoi avversari. Ma anche The Donald non è stato immune dagli attacchi immotivati. Sui social, dopo la sua elezione, era diventata virale la notizia secondo cui suo nonno fosse uno sfruttatore di prostitute ed evasore fiscale. Non solo. Il padre del nonno sarebbe stato un membro del Ku Klux Klan, organizzazione violenta di matrice suprematista. Notizie ovviamente false e diffuse per minare la credibilità del leader repubblicano. La nuova frontiera dell’intelligenza artificiale ha poi ampliato la possibilità di diffondere fake news. Da settimane sono virali sui social dei montaggi realizzati tramite software di AI che ritraggono Trump mentre viene arrestato dalla polizia. Un tentativo di screditare l’ex Presidente, ancora alle prese con vari procedimenti giudiziari.

DEMOCRATICO

Biden tra gaffe e accuse infamanti

Fin dai tempi della campagna elettorale del 2020, Joe Biden è stato vittima di numerosi montaggi e notizie fake sul suo conto. La più eclatante e che ciclicamente torna ad intasare le tab dei social, è l’accusa di pedofilia. Partita da una serie di foto e video in cui Sleepy Joe accarezza e bacia dei bambini, la notizia fa parte di un più ampio quadro complottista conosciuto come QAnon. Nel corso degli anni sono stati manipolati diversi video per far credere che le accuse nei confronti di Biden fossero vere.

È il caso del filmato diventato virale a gennaio 2024: alterato tramite software, il Presidente sembra toccare il seno della nipote minorenne e baciarla sulle labbra. Anche il leader democratico, come il suo avversario Donald Trump, non è riuscito a sfuggire alle immagini fake generate tramite AI. Sul web è anche divenata virale una foto che ritrae il Presidente democratico in tuta mimetica mentre sembra autorizzare un intervento militare in Medioriente.

Ue 2024, l’Europa s’è “destra”?

I cittadini dei 27 Stati membri dell’Unione saranno chiamati a rinnovare il Parlamento europeo. Ma le fake news rischiano di alterare il corretto svolgimento delle consultazioni elettorali

Di A.M.

Fra il 6 e il 9 giugno 2024, i cittadini di tutta l’Unione Europea saranno chiamati a scegliere. Mai come quest’anno, il voto dei 27 Stati membri sarà fondamentale. Per la prima volta, dopo anni di bipolarismo e grandi coalizioni fra Popolari e Socialisti, lo schema del Parlamento Europeo potrebbe subire uno stravolgimento.

l’ascesa della destra europea

Già nel 2019, l’ascesa di partiti di destra come la Lega di Salvini e il Front National di Marine Le Pen aveva posto il tema di una forte insoddisfazione sulla gestione delle politiche europee. Oggi però non sono solo i movimenti accasatisi sotto lo stemma di Identità e Democrazia - il macro partito europeo della destra antisistema - a turbare gli equilibri. In tutti i Paesi dell’Unione sono cresciuti i partiti conservatori che, guidati da Giorgia Meloni, potrebbero diventare il terzo gruppo dopo Popolari e Socialisti. Il tutto, affiancato anche all’avanzamento di ID, potrebbe aprire le porte a nuove possibili alleanze. Destra e Conservatori, sommando i loro parlamentari, potrebbero ottenere più rappresentanti del Partito Popolare, da sempre perno del centrodestra europeo.

alto rischio di fake news

Con uno scenario così mutevole e in divenire, le preoccupazioni legate al voto di giugno

sono in aumento. In particolare, la lente di ingrandimento è puntata sulla diffusione di fake news. In ogni schieramento c’è il timore che una manipolazione dell’informazione possa falsare i risultati delle prossime consultazioni elettorali. Per questo, a muoversi sono state le istituzioni europee. Su iniziativa dell’Alto Rappresentante Josep Borrell, è stato redatto il secondo rapporto sulla “Manipolazione e Interferenza dell’Informazione Straniera”. I risultati mostrano come il maggior numero di fake news dell’ultimo anno sia stato incentrato sull’Ucraina e la guerra contro la Russia.

a che pro?

La diffusione di notizie false può avere varie finalità. In primis, il consumo di informazioni attraverso cui si cerca di controllare l’agenda su determinati argomenti chiave. Ciò genera sfiducia nelle fonti ufficiali e nei canali di comunicazione mainstream. Altro obiettivo è scoraggiare il voto, promuovendo l’astensione. Nel mirino possono entrare candidati e partiti, polarizzando i cittadini tramite il supporto o gli attacchi a posizioni politiche specifiche. Come successo negli Usa nel 2020, le fake news possono minare la fiducia nelle istituzioni, spingendo le persone a non riconoscere i risultati elettorali. Serve quindi essere preparati: attingere a più fonti di dati possibili, sfruttare risposte pre-identificate per i diversi tipi di attacco e promuove la collaborazione comunitaria per attivare le risposte più efficaci è la via indicata dall’Unione Europea. Il tutto con vista sulle prossime elezioni.

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Parlamento europeo. Una sessione plenaria dell’Eurocamera all’emiclo di Strasburgo
UNIONE EUROPEA | POLITICA

LE FAKE NEWS ATTRAVERSO LA STORIA

EGITTO

Chi ha costruito le piramidi?

Il fatto che le tombe dei faraoni furono costruite dagli schiavi è un falso storico. Furono costruite da operai salariati. La prova fu data da una serie di scavi che portarono alla luce le tombe di ben 2500 manovali egizi. Molto probabilmente, la colpa di questo equivoco è da attribuire agli storici greci prima e romani poi, che non riuscirono a spiegarsi le capacità degli egiziani di aver realizzato queste imponenti strutture. (A Manni)

TUNISIA

Il sale sulle rovine di Cartagine

Lo abbiamo studiato tutti a scuola. 146 a.C. Scipione l’Emiliano orfinò di spargere il sale sulle rovine di Cartagine. Uno degli episodi più famosi della storia romana. In realtà, non è mai accaduto. Fu lo storico

LA MOSSA DEL CAVALLO

Greoriovus a scrivere che nel 1298 Papa Bonifacio VIII ordinò di cospargere con il sale la città di Palestrina, proprio come era stato fatto con Cartagine. Ma il Pontefice si riferiva all’aratro passato sulle rovine e Greoriovus confuse i termini. (E. Saladini)

BETLEMME

La bufala dell’asino e del bue

In nessuno dei vangeli si accenna alla presenza di un asino e di un bue nella mangiatoia in cui nacque Gesù. Fu San Francesco d’Assisi a inserire i due animali a fianco al bambinello in occasione della prima rappresentazione

A Troia la prima fake news della storia?

Il Cavallo di Troia, episodio narrato nell’Iliade di Omero, rappresenta l’inganno più celebre dell’antichità. Forse, la prima grande fake news della storia. Creato dagli Achei per penetrare le mura di Troia, fu presentato come dono di pace, nascondendo però guerrieri al suo interno. Accettato dai Troiani, segnò la loro rovina. Oltre a essere un racconto epico, il Cavallo simboleggia la vulnerabilità umana alla disinformazione, un monito eterno sull’importanza del dubbio e dell’analisi in ogni epoca, inclusa la nostra.

scenica della Natività: il presepe di Greccio. A trarre in inganno il poverello fu probabilmente la lettura di vangeli apocrifi, contenenti aneddoti sull’infanzia di Gesù. (A. Dowlatshahi)

FRANCIA

Reliquie a scopo di lucro Un dente da latte può fruttare parecchi quattrini. Specie se il presunto proprietario è nientemeno che Gesù. Pratica comune nel Medioevo, il traffico di reliquie false fruttò a laici ed ecclesiastici europei guadagni ingenti ai danni del popolo credulone. Notizie di queste truffe ci arrivano dal trattato De sanctis et eorum pigneribus, scritto

da Gilberto di Nogent agli inizi del XII secolo. (A. Dowlatshahi)

REGNO UNITO

Giorgio II e l’inganno della stampa

A metà 1700, Giorgio II era a capo di Inghilterra e Irlanda. Il re, da tutti considerato debole, per rinnegare le accuse partecipò a tutte le imprese militari di quel periodo. Ma l’opinione pubblica non vedeva di buon occhio questa partecipazione. Fu così che la stampa dell’epoca sparse la voce della cagionevole salute del re. Una fake news per innescare le ribellioni. (F. Neri)

STATI UNITI

La burla della luna

Quando gli affari vanno male, ogni trucco vale. Nel 1835 il New York Sun, sul lastrico, pubblicò una notizia sconvolgente: «La luna è abitata». Ma da chi? Si sarebbe trattato di uomini-pipistrello, unicorni e altre creature. La scoperta, falsamente attribuita all’astronomo Herschel, fece così scalpore che il New York Sun divenne il quotidiano più letto in città. Una fake news decisamente proficua. Questo episodio segnò uno dei primi grandi casi di giornalismo sensazionalistico. (V. Fassola)

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SPORT

Calcio, NFL, F1: la gogna mediatica

A cura di Christian Leo Dufour

RUSSIA

I protocolli dei savi di Sion 1903, Russia. La polizia zarista creò un falso documento per diffondere odio e smascherare un complotto da parte di ebrei e massoni. Un presunto piano per impadronirsi del mondo attraverso il controllo dei media, della finanza e delle masse, che gli “anziani” passavano ai giovani. Nonostante la quasi immediata smentita, la bufala si diffuse in virtù del clima antisemita dell’Europa del ‘900. (E. Betti)

STATI UNITI

“Paul is dead”

Nel 1969, alcuni giornali americani diffusero la notizia della presunta morte del cantante Paul McCartney, avvenuta tre anni prima e nascosta con un sosia. Il risultato? Isteria e teorie del complotto tra i fan dei Beatles: testi ascoltati al contrario, personaggi e simboli misteriosi sulle copertine dei loro dischi. Per i fan tutto divenne indizio della morte di McCartney. Ovviamente, la notizia fu subito smentita. Ma ancora oggi c’è chi crede veramente che Paul is dead. La leggenda metropolitana tesimonia come le teorie del complotto possano radicarsi nell’immaginario collettivo. (E. Saladini)

UNIONE SOVIETICA

Il nuovo che avanza Nel 1983, l’Unione Sovietica diffuse la notizia che il virus dell’HIV fosse stato creato come arma biologica nel laboratorio di ricerca di Fort Detrick nel Maryland. Lo scopo? Alimentare il panico nell’opinione pubblica, complicare gli sforzi della comunità medica occidentale attraverso la disinformazione e diffondere l’antiamericanismo nel Terzo Mondo. Una notizia virale, in tutti i sensi. Questa operazione di disinformazione, nota come Operazione INFEKTION, rappresenta uno dei più grandi esempi di manipolazione psicologica durante la Guerra Fredda. (G. Spini)

CINA

Il presunto golpe cinese L’assenza di Xi Jinping a una riunione militare, voli cancellati da Pechino, video di mezzi militari diretti verso la capitale. Questi i motivi che spinsero a credere, nel settembre 2022, che il presidente cinese fosse stato rimosso dall’incarico a seguito di un colpo di stato militare. Una fake news alimentata dai media indiani proprio a poche settimane dal XX Congresso del Partito comunista, creando un clima di incertezza e tensione internazionale. (E. Cecchetto)

Le fake news non risparmiano neanche lo sport. La frequenza è minore rispetto ad altri settori, ma possono momentaneamente alterare il risultato. Come accaduto in Formula 1 nel GP d’Austria 2019. Finita la gara, in rete appare un documento in cui si parla di cinque secondi di penalità a Max Verstappen (nella foto) che consegnerebbero la vittoria a Charles Leclerc. Il pdf, creato da un giornalista italiano autorevole, circola su WhatsApp e per qualche minuto trae in inganno tutti. Quello che è accaduto nel 2017, con gli Usa invasi dalla notizia che la National Football League (NFL) ha imposto una multa di 1 milione di dollari a ciascun giocatore dei Pittsburgh Steelers per non aver cantato l’inno nazionale. La bufala, pubblicata su un sito satirico, alimenta dibattiti sui social e in vari ambienti sportivi prima di essere smentita dall’NFL. Ma per giorni i giocatori vengono accusati senza motivo. Come a fine 2023 quando in Italia emerge il Caso scommesse. L’ex paparazzo Fabrizio Corona prima rivela che Nicolò Fagioli ha saltato la tournée estiva della Juventus perché il club bianconero sapeva della sua implicazione. Poi accusa di coinvolgimento Stephan El Shaarawy, Federico Gatti e Nicolò Casale. Entrambe menzogne, che però inizialmente macchiano l’immagine dei calciatori. Insomma, anche lo sport è invaso dalle notizie false. Una piaga contro cui le federazioni devono trovare un rimedio.

AMBIENTE

Negazionismo climatico delle corps

A cura di E.V.

Oltre 670mila dollari tra il 1998 e il 2007. È l’importo che la compagnia petrolifera americana ExxonMobil ha versato nelle casse dell’Heartland Institute, organizzazione che promuove il negazionismo climatico. L’obiettivo? Finanziare campagne di disinformazione sul tema del riscaldamento globale. Un impegno che continua anche oggi. Secondo un rapporto di InfluenceMap, le cinque super-majors del petrolio (ExxonMobil, Shell, Chevron, British Petroleum e Total) hanno investito per il medesimo scopo più di un miliardo di dollari tra il 2016 e il 2019. Proprio il triennio successivo all’Accordo di Parigi del 2015. Ma c’è qualcosa che stona. La COP28 di Dubai, la 28esima Conferenza dell’ONU sul clima, è definita dall’Heartland Institute un «danno ingiustificato» che «distruggerebbe la vita di miliardi di persone». Una retorica fuorviante, diretta all’emotività delle persone, sostituisce i dati scientifici. Dinamica tanto sottile quanto scaltra, nell’ambito scientifico in cui il punto di forza è quello interrogativo. E in cui la certezza è impossibile, soprattutto nel caso di scoperte recenti che hanno aspetti ancora da chiarire. Su questa zona d’ombra agisce la disinformazione climatica, che nega che l’uomo sia la causa principale dell’aumento delle temperature. E che afferma che di fronte ai costi delle tecnologie green, le fonti non rinnovabili convengono.

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FOTOGRAFIA

In centro, la celebre foto dei soldati americani a Iwo Jima. A sinistra, una copertina del giornale svizzero Blick in cui il colore grigio è stato trasformato in rosso sangue. In basso, un’immagine della propaganda di Stalin con la censura degli oppositori politici

Image Is Everything: fake

La fotografia oscilla tra rappresentazione fedele e strumento di manipolazione della realtà. È facile alterare la percezione delle cose attraverso immagini modificate, didascalie e contesti falsificati

Di F.d.C e A.d.T

«The camera doesn’t lie», si diceva nel 1895. Già nel diciannovesimo secolo le fotografie venivano percepite come rappresentazioni fedeli del mondo. Esattamente ciò che la pittura non riusciva a essere. Una potenzialità che ha legato gli scatti a una sensazione di reale, portando con sé i rischi di questo connubio. Numerose ricerche psicologiche hanno dimostrato che è più probabile che le persone credano a false dichiarazioni quando queste sono accompagnate da immagini. Non solo. Attraverso la fotografia cresce la capacità di ricordare e immedesimarsi nelle situazioni raffigurate. «Non devi illustrare direttamen-

te ciò che stai dicendo. Conferisci legittimità semplicemente con la presenza di fotografie», scrive la giornalista Laura Mallonee.

il senso delle immagini attraverso le parole Ma se ciò che viene impresso su pellicola (o adesso rappresentato in bit) è universale, è il testo che accompagna l’immagine a darle un’interpretazione. Ed è proprio qui che si possono generare diversi significati. Anche ben distanti dall’intento originale. Nel 1939, la fotografa Dorothea Lange realizza uno scatto di una madre con il figlio in braccio. Entrambi hanno un’espressione stravolta che viene elevata dalla Farm Security Administration a simbolo della Grande Depressione americana. Peccato che un’immagine di pochi secondi successiva ritragga gli stessi due protagonisti in tutt’altro modo: sorridenti, rilassati, quasi felici. Quale delle due è la verità?

didascalie fuorvianti

Nel mondo contemporaneo in cui la circolazione delle fotografie è sempre più diffusa, questa ambiguità è ancora più evidente. Si pensi al 2015 quando diventò virale sul Web un’immagine di due bambini abbracciati l’un l’altro. Presentata come foto simbolo del tre-

mendo terremoto che aveva colpito il Nepal, in realtà era stata scattata otto anni prima in Vietnam. Oppure l’anno successivo, quando un’immagine di Hillary Clinton che inciampa fu diffusa come indizio di sua salute precaria. Insomma, quando a una fotografia viene abbinata una porzione testuale, non c’è limite a quello che le si può far dire. Anche perché lo stesso scatto – opportunamente orientato –sembra solo confermare e corroborare la versione presentata dalla parola scritta.

la manipolazione delle immagini

Se in questi casi a produrre la fake news è la fusione di visivo e testuale, non mancano esempi di manipolazione vera e propria di immagini. Fin dal 1838, quando Louis Daguerre scattò la prima foto, la mediazione dell’umano tra realtà e sua rappresentazione è sempre stata necessaria: dalla camera oscura fino agli algoritmi degli smartphone. Una manipolazione che non sempre è compiuta, o è stata compiuta, con fini estetici. Tra gli esempi più celebri, l’operato della macchina propagandistica di Stalin che, cancellando sistematicamente da ogni ritratto pubblico Trotsky e altri nemici politici, propinava alla massa un’immagine edulcorata e falsa del

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photos
| MANIPOLAZIONE

fake photos

Nella prima foto, una copertina di The Mirror del 1997 ritrae Lady Diana in un presunto bacio a Dodi Al-Fayed. Il secondo a destra è uno scatto di Dorothea Lange del 1939, interpretato dalla stampa come simbolo della Grande Depressione americana. La terza foto è stata presentata come simbolo del terremoto in Nepal nel 2015. Tre esempi di come il racconto della realtà è stato manipolato attraverso l’utilizzo delle immagini

CONSIGLI Alcuni siti per riconoscere le foto ritoccate

1. IMAGE EDITED?

Esistono numerosi strumenti online che consentono di caricare un’immagine e verificare se è stata manipolata o meno. Tra questi, “Image Edited?” è uno dei più avanzati. Questo servizio è in grado di identificare le modifiche più comuni (ritaglio, rotazione, nitidezza, sfocatura, regolazione colore…) e di risalire ai metadati originali dello scatto. In questo modo è possibile controllare quando, dove e come la fotografia è stata realizzata. Tra le sue funzionalità, fornisce anche una lista di possibili software con i quali la foto potrebbe essere stata ritoccata. ”Image Edited?” si distingue per la sua interfaccia intuitiva e facile da utilizzare, rendendo il sito accessibile a utenti di ogni livello di competenza tecnica. Il servizio promuove la trasparenza e l’etica nell’uso delle immagini digitali.

suo potere. Agire sull’immagine non significa solo eliminare le parti scomode. In un numero del The Mirror dell’estate 1997, si vede a tutta pagina Lady Diana intenta a baciare Dodi Al-Fayed. Il titolo – Hot Lips – rimarca l’esclusività della notizia.

Che però notizia non era. È chiaro, guardando lo scatto originale, che l’uomo era in realtà rivolto dalla parte opposta. Nessun bacio, nessuno scandalo. Se non quelli fabbricati ad hoc dal periodico.

fake news e giochi di colori

A volte però basta lavorare sul colore. Un’ombra più calcata, una luce più soffusa. O, come nel caso del giornale svizzero Blick, un grigio trasformato in rosso sangue. Poco conta se la scalinata raffigurata – quella del Tempio di Luxor – è stata davvero teatro di un massacro. La vecchia regola if it bleeds it leads (se c’è sangue, fa notizia) è portata all’estremo. Ben oltre l’etica giornalistica. Così come tagliare l’immagine a proprio piacimento, selezionando cosa far vedere e cosa nascondere. Nel 2003, durante la guerra in Iraq, spopolano due immagini. Nella prima un soldato locale è raffigurato a terra e morente, con un mitra americano puntato vicino

alla tempia. Nella seconda l’esatto opposto. Anche se il militare è lo stesso, così come la sua postura, un altro soldato americano sembra soccorrerlo porgendogli una borraccia. La verità sta nel mezzo.

fotografia, immaginazione, pittura Non bisogna però generalizzare. Non tutte le foto hanno un intento manipolatorio. In poche parole, non tutte sono propriamente fake news. Spesso e volentieri sono l’ansia da scoop e la preoccupazione di perdersi eventi cruciali che spingono i media alla fretta e alla scarsa attenzione nella verifica dei contenuti. O, talvolta, alla fabbricazione di situazioni spacciate per storiche. La celebre foto dei soldati americani a Iwo Jima ne è la dimostrazione. Qualunque siano le intenzioni, è innegabile che la bugia si sia annidata anche tra i bit delle fotografie digitali. Portando il fotografo Joan Fontcuberta a definirle «Baci di Giuda». E Jonathan Jones, giornalista del Guardian, a lanciare una provocazione: «Se la fotografia non è più elaborazione di un fatto, perché non accettare che abbia uno status identico alla pittura? Pure la fotografia di guerra è immaginaria come la pittura».

2. FOTOFORENSICS

Un’altra piattaforma molto usata dagli utenti per riconoscere foto modificate è FotoForensics. Funziona in modo leggermente diverso rispetto ad altri strumenti online. Quando si carica uno scatto da analizzare, FotoForensics compie una Error Level Analysis (ELA), al termine della quale colora la foto nei punti in cui è stata manipolata. Al contrario, se l’immagine è originale, il sito restituisce solo una schermata bianca. FotoForensics è uno degli strumenti più all’avanguardia nel riconoscimento di foto generate dall’intelligenza artificale: una delle sfide più significative dell’era digitale.

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MANIPOLAZIONE | FOTOGRAFIA

MODA | IL LUSSO FALSIFICATO

Devil wears fake-Prada

Il mercato della moda contraffatta attira un pubblico sempre più numeroso. Ma ci pensa l’intelligenza artificiale a smascherare gli articoli falsi.

stampa. Solo due mesi dopo la presentazione della collezione, i giornali avrebbero potuto vedere e scrivere dei suoi abiti. Ma se all’epoca, per limitare il problema era sufficiente posticipare la pubblicazione dei bozzetti sulle riviste, oggi non basta. Le maison sono costrette a incrementare continuamente i prezzi dei loro prodotti, per aumentare il divario tra chi può permetterseli e chi no.

Quando la volpe non arriva all’uva, compra un falso. Con un valore di 120 miliardi di euro il mercato del contraffatto acquisisce sempre più consenso popolare. Piuttosto che rinunciare ai brand più famosi, se ne acquistano delle copie. Avere a che fare con il mercato parallelo - che segue delle regole ben precise - è semplicissimo. Esistono delle piattaforme online dove è possibile navigare liberamente tra oggetti di lusso fasulli. Più il cliente desidera acquistare articoli di qualità, più il costo aumenta. E, infatti, le copie migliori possono raggiungere anche prezzi molto elevati. Si possono spendere anche più di 2 mila euro per una replica luxury – quasi – perfetta. Se l’Occidente è la patria dell’originale, l’Oriente è quella del contraffatto. Turchia e Cina sono i Paesi più forti nella produzione di falsi. Tanto che «riconoscerli diventa sempre più difficile, in alcuni casi quasi impossibile» spiega Andrea Liconti, esperto nelle trattative di prodotti di lusso second-hand. Titolare del negozio Must Have in via Plinio a Milano, vanta su Tik-Tok più di 400mila followers. In diretta social, smaschera i capi falsificati e spacciati per veri.

oriente e occidente: due mondi a confronto La moda del fake non si limita alla riproduzione di borse. Vestiti, accessori, orologi sono i protagonisti della contraffazione. Ormai si replica ogni dettaglio: peso, colori, modelli e meccanismi. «Una delle griffe più complicate da valutare è Chanel – continua Liconti – Gli asiatici hanno studiato ogni singolo aspetto dei brand, investendo capitali importanti per realizzare articoli contraffatti di qualità. Stiamo assistendo a una vera e propria battaglia a colpi di borse tra Occidente e Oriente». Ma il mondo della moda non si è mai tirato indietro per difendere il suo valore. Il primo a iniziare, negli anni Sessanta, una battaglia personale contro i falsi fu lo stilista Cristóbal Balenciaga, fondatore dell’omonima casa di moda, seguito poi da Hubert Givenchy, creatore del noto brand che prende il suo nome. Balenciaga non sopportava di vedere le sue creazioni realizzate con scarsa qualità. Lo stilista era famoso per la sua precisone: la fissazione per le maniche delle giacche ha fatto la storia della moda. Per combattere la produzione delle copie, secondo il creativo, l’unica soluzione era chiudere le porte delle sue sfilate alla

entrupy: l’ai che smaschera il falso In aiuto alle grandi firme, però, è arrivata anche l’intelligenza artificiale. La start-up newyorchese Entrupy ha infatti sviluppato un’applicazione che, dopo un’ attenta analisi, è in grado di valutare l’autenticità di un capo luxury. Una volta registrati, per usufruire del servizio, sarà necessario selezionare uno degli abbonamenti proposti. Dopodiché verrà

ANDREA LICONTI

Una vita da factchecker delle borse

Nato e cresciuto nel mondo della moda e del lusso, Andrea Liconti è ormai un volto noto delle trattative sui social. Figlio d’arte, suo padre era il proprietario di «Cash converter», negozio in viale Vittorio Veneto dove si vendeva e comprava solo usato: mobili, tv, impianti stereo, macchine fotografiche.

Il personaggio nasce sui social quasi per caso nel giugno 2021. Il format comincia da subito ad avere grande seguito: i follower si appassionano alle sue trattative degli oggetti di lusso e raddoppiano nel giro di pochissimi mesi. Ma non solo. L’influencer fa uno step successivo e decide di andare, sempre in diretta social, in giro per i mercati delle grandi città italiane a cercare articoli usati ma originali da acquistare e rivendere.

fornito un mini scanner in affitto, dotato di microscopio, che mapperà l’oggetto riuscendo a ingrandire l’immagine fino a 260 volte, per effettuare un esame approfondito di ogni singolo dettaglio. «Sono le minuzie a fare la differenza - sostiene Liconti - C’è un feedback di sguardo, di olfatto. Poi si procede con i controlli incrociati: bisogna verificare le cuciture, se c’è l’impuntura, se le chiavette del lucchetto della Kelly o della Birkin, ad esempio, sono poste all’interno di un tondino oppure sono dentro il pezzo di pelle. Tanti piccoli dettagli che aiutano a determinare l’originalità o la non autenticità dell’articolo».

L’obiettivo che, grazie al sistema brevettato, la società americana vuole raggiungere è «mettere i bastoni tra le ruote al traffico dei falsi». Lo ha precisato Vidyuth Srinivasan, CEO di Entrupy.

L’applicazione funziona in base a degli algoritmi che, a partire dalle foto sul Cloud, confrontano i dati e ricavano i risultati in pochi minuti. La comparazione avviene tra l’immagine caricata dall’utente e quelle presenti nell’archivio. «Per adesso il sistema è in grado di riconoscere un originale da un falso di soli 22 brand - dichiara il CEO dell’impresa - tra cui: Hermès, Céline e Saint Laurent, ma anche Balenciaga, Dior, Bottega Veneta e Valentino. Più l’applicazione verrà utilizzata, meglio si svilupperà. Perché le foto, oltre ad arricchire il database di riferimenti, permettono un miglioramento del funzionamento stesso dell’app».

la moda come status sociale

Ad oggi molti store di lusso offrono come ulteriore servizio, a pagamento, l’autenticazione con Entrupy della propria borsa. Se il prodotto è valido, viene rilasciato un certificato di originalità. In caso contrario, viene stilato un verbale dove sono elencati i particolari che determinano la falsità dell’articolo.

Ma un ruolo chiave per ridurre la contraffazione lo ricopre il consumatore. Diventare dei clienti consapevoli significa comprendere tutti i problemi economici e occupazionali legati ai prodotti falsificati. Quella che viviamo ogni giorno è un’epoca caratterizzata da una costante bramosia di possedere capi firmati. Se in passato il lusso rappresentava un ambito riservato a un’élite, o a una cerchia ristretta di appassionati, oggi tutti possono entrarvi in contatto. Anche grazie alla continua sovraesposizione mediatica a cui siamo soggetti. Il second-hand – il mercato dell’usato – diventa allora un modo utile al venditore per selezionare articoli validi e per il consumatore una possibilità di acquistare prodotti luxury a prezzi inferiori rispetto a quelli di listino. Possedere un pezzo originale significa attribuire il giusto valore al lavoro creativo di uno stilista e del suo team di esperti. Come diceva Coco Chanel, «la moda ha a che fare con le idee». Non si tratta solo di oggetti, ma di uno status sociale a cui tutti – in un modo o nell’altro –vogliono arrivare.

24 | MASTERX | MARZO 2024
Di Elena Capilupi e Alessandra Pellegrino

LA DIMENSIONE DELL’INCERTEZZA | SOCIAL MEDIA

Social network e racconti falsi

Da sempre le piattaforme web pullulano di storie rimaneggiate o inventate di sana pianta. Ma oggi il confine tra bugia innocente e falsificazione del reale si fa sempre più labile

Di E. C. e A. P.

Parafrasando Andy Warhol, quante volte abbiamo sentito la frase: «l’ha fatto solo per avere un minuto di celebrità». Nell’era dei social network, per ottenere il fatidico minuto si è disposti a tutto. Anche a inscenare eventi solo per guadagnare consensi e visualizzazioni. In gergo tecnico: “diventare virali”. In base ai contenuti che si condividono, le conseguenze possono essere più o meno gravi. Molti possono sembrare innocui, come nel caso della finta proposta di matrimonio fatta in via Condotti, a Roma, nel dicembre 2023. In quel caso la futura sposa aveva detto no. Il video era diventato subito virale, dividendo il pubblico tra sostenitori della scelta della ragazza e haters. E mentre il ragazzo soffriva per il rifiuto, le visualizzazioni, i commenti e le condivisioni aumentavano minuto per minuto. Non c’è però bisogno di preoccuparsi: si è trattato di un semplice esperimento, un contenuto creato dal finto sposo per ottenere visibilità.

bugia innocente o manipolazione?

Sul web, chiunque può decidere di fare informazione. Non esistono filtri per la condivisione dei contenuti, se non la possibilità di segnalarli una volta riconosciuti come falsi. Il confine tra una bugia innocente e l’invenzione di fatti più gravi diventa, quindi, estremamente labile. Un esempio è la storia del noto influencer Marco Ferrero – in arte Iconize – che, nel 2020, con un video condiviso su Instagram, aveva denunciato un’aggressione

omofoba nei suoi confronti. Ferrero si era mostrato sul social in lacrime, con il viso pieno di lividi, mentre raccontava la violenza subita da tre ragazzi nelle strade di Milano. La vicenda è esplosa dopo le insinuazioni di amici e conoscenti che sostenevano la falsità delle sue dichiarazioni. Falsità confermata dallo stesso Iconize, poco tempo dopo: «E’ stato un atto di autolesionismo. Mi vergogno di quello che ho fatto ma tutti possiamo sbagliare, siamo umani».

L’infelice scelta è stata dettata dalla perdita di consensi che l’influencer stava vivendo negli ultimi mesi. In questo modo era riuscito a tornare al centro dell’interesse pubblico, venendo invitato a talk show e programmi di approfondimento. Ma il giudizio del pubblico non è tardato ad arrivare, condannando l’influencer a una gogna mediatica.

una strategia inefficace

Un esempio simile è quello di Giovanna Pedretti, titolare della pizzeria Le Vignole a Lodi. Dopo aver risposto a una recensione omofoba, Giovanna diventa un’eroina. Ma la veridicità della storia viene presto messa in dubbio, scatenando una caccia alla verità. Pedretti passa rapidamente da paladina dei diritti a furba titolare sospetta di marketing ingannevole. Una disapprovazione social che porta a un esito tragico: la titolare de Le Vignole viene trovata morta e l’ipotesi è quella del suicidio. È l’ennesima dimostrazione del fatto che creare e divulgare contenuti falsi è una strategia inefficace.

LA VICENDA

Sensibilizzazione sul cancro

Attrice indiana

Poonad Pandey e la finta morte in rete

Sul web, le notizie errate e molte volte ingannevoli nascono non per informare ma per veicolare il consenso pubblico. Fare falsa informazione non è mai giustificabile, neppure quando le motivazioni sono “nobili”.

Proprio come nel caso dell’attrice indiana Poonam Pandey, che ha inscenato la sua morte su Instagram, dove è seguita da quasi un milione e mezzo di follower. Lo ha fatto attraverso un post nero che annunciava il decesso a causa di un tumore cervicale. «Per noi questa è una giornata difficile. Siamo profondamente rattristati dal dover comunicare che la nostra cara Poonam è venuta a mancare per colpa di un tumore cervicale. Chiunque l’abbia mai conosciuta ha compreso la gentilezza e l’amore. In questo momento di dolore, chiediamo riservatezza, per poter ricordare con affetto tutto ciò che abbiamo condiviso».

Il giorno dopo l’attrice è riapparsa con un video: stava bene. Si era trattata di una operazione mediatica per sensibilizzare l’opinione pubblica sul tumore cervicale. «Sono viva - ha scritto Poonam nel nuovo post sul suo profilo - Non sono morta a causa del cancro cervicale. Purtroppo non posso dire lo stesso di quelle centinaia e migliaia di donne che hanno perso la vita per il tumore al collo dell’utero. Non è perché non potessero farci nulla, ma perché non avevano idea di cosa fare al riguardo. Sono qui per dirvi che, a differenza di altri tumori, il cancro cervicale è prevenibile. Tutto quello che bisogna fare sono test e vaccinazioni contro l’Hpv».

La risposta dei fan non è tardata ad arrivare. L’attrice è stata presa di mira e insultata. E, anche in questo caso, le critiche sono state dure: la sua è stata definita una «pessima trovata pubblicitaria». Per rispondere agli attacchi sui social, Poonam si è difesa sottolineando che il post faceva parte di una campagna a cui aveva iniziato a lavorare quattro mesi prima con l’agenzia di marketing indiana Schbang.

«Anche se capisco che possiate aver giudicato di cattivo gusto questa operazione, vi prego di considerare anche la causa più grande a cui io mi sono ispirata», ha dichiarato l’attrice. Per la giovane Poonam, però, il fine non ha giustificato i mezzi.

MARZO 2024 | MASTERX | 25
Instagram. La falsa proposta di matrimonio a Roma e la finta aggressione all’influencer Iconize

Covid: vaccino e verità

La pandemia ha causato un’incredibile proliferazione di fake news. Specialmente sul farmaco definitivo, e sugli studi decennali dietro la sua creazione

Di Sara Leombruno

La capacità di condividere e diffondere rapidamente informazioni rende i social media uno strumento potente per la comunicazione professionale, compresa quella in campo scientifico. Ma instaurare conversazioni sulla scienza con il pubblico di massa viene considerato rischioso dagli esperti del settore. A dimostrazione di questo meccanismo, l’enorme quantità di fake news circolate sul web durante il periodo della pandemia. Lo stesso Istituto Superiore di Sanità (ISS) aveva creato, in quell’occasione, uno sportello online chiamato Bufale e disinformazione, attraverso il quale un team di esperti si occupava di scardinare alcune notizie non verificate che riguardavano la salute.

Caso emblematico è stato il vaccino anti-Covid, un farmaco prodotto e sviluppato in tempi record.

falsi miti

Uno dei falsi miti più diffusi riguardava la sua sicurezza. Alcuni, infatti, sostenevano erroneamente che i vaccini fossero stati sviluppati troppo rapidamente per essere affidabili. Ma ignoravano il fatto che le basi per questi antidoti fossero state studiate per anni prima dell’emergenza sanitaria, superando rigorosi test clinici. Altre false informazioni riguardavano i presunti effetti collaterali gravi, come insufficienza cardiaca o problemi vascolari. È vero, è possibile sperimentare dopo la vaccinazione complicanze leggere, come febbre o affaticamento. Questi sintomi però sono generalmente temporanei e molto meno pericolosi dei rischi associati all’infezione da Covid-19. Come l’ospedalizzazione o la morte.

l’epidemia delle fake news

nato il vaccino anti-Covid? Come anticipato, la sperimentazione del farmaco era cominciata tempo prima grazie a Katalin Karikó. Si tratta di una biochimica ungherese naturalizzata statunitense, che da oltre vent’anni lavorava alla nuova tecnologia. La sua ricerca - che le ha permesso di conseguire il Premio Nobel per la Medicina nel 2023 - era incentrata sullo sviluppo dell’mRNA. È un tipo di acido ribonucleico a filamento singolo, trascritto per terapie proteiche in vitro, cioè al di fuori di un organismo vivente.

Le fake news hanno influenzato negativamente la percezione pubblica della vaccinazione

Durante la pandemia, le fake news hanno influenzato negativamente la percezione pubblica della vaccinazione. Ma quando e com’è

Nata in Ungheria da una famiglia modesta, Karikó ha iniziato a studiare la modifica dell’RNA durante il suo dottorato. Convinta delle promettenti terapie con l’acido ribonucleico, ha continuato la sua ricerca negli Stati Uniti. Nonostante un momento di incertezza riguardo il suo progetto, ha scelto di perseverare. In particolare, si è rivelato decisivo l’incontro con Drew Weissman, fisico e immunologo interessato allo sviluppo di vaccini. Insieme, i due scienziati hanno trovato un modo per rendere l’RNA meno infiammatorio, sostituendo una “lettera” della molecola di DNA con un’altra. E mettendo a punto un meccanismo per somministrare questa modifica. Dopo vari esperimenti, hanno optato per l’utilizzo di nanoparticelle lipidiche come vettori di trasporto, dimostrando la loro incredibile efficacia nella risposta immunitaria desiderata.

un lavoro lungo vent’anni

Quando nel 2019 si è avuta notizia di un misterioso agente patogeno che causava polmonite a Wuhan, in Cina, la studiosa ha subito riconosciuto il potenziale dell’RNA per lo sviluppo di un vaccino contro questo virus, collaborando con Pfizer-BioNTech e Moderna per realizzarlo. In una recente intervista a Scientific American, Karikò ha spiegato che il suo lavoro con Pfizer era cominciato nel 2018: «Eravamo già pronti ad avviare una sperimentazione clinica, passare al Covid è stata solo una questione tecnica - ha detto la studiosa - Se la pandemia fosse avvenuta all’inizio del nuovo millennio, avremmo dovuto avere tra le mani un pezzo del virus. Quindi ci sarebbe stato un grande ritardo. Ma la sintesi genica commerciale è iniziata circa 20 anni fa. Ora – ha proseguito la ricercatrice - è possibile ordinare un gene. Si ordina il DNA, lo si inserisce in una molecola di DNA e poi si produce l’RNA. Ma realizzare la nanoparticella per veicolare l’mRNA è impegnativo». Il potenziale del nuovo vaccino non si limita solo al Covid: «Penso che questa tecnologia potrebbe funzionare per tutti i vaccini, tranne quelli contro le infezioni. Potrebbe rivelarsi efficace contro virus e parassiti, come quelli che causano la malaria e, naturalmente, contro il cancro, ma – ha concluso Karikò - dobbiamo capire a cosa mirare».

SCIENZA | CORONAVIRUS 26
| MARZO 2024
MASTERX
Vaccino Covid. Il farmaco che ha permesso al mondo di uscire dalla pandemia

EVENTI | IULM

IULM e Carabinieri

Università e Arma firmano una partnership per accrescere la qualità della comunicazione istituzionale. Grazie all’accordo, studenti e docenti potranno partecipare a eventi organizzati da facoltà e forze dell’ordine

Marketing e comunicazione, anche d’impresa: sono questi i campi su cui sarà attivata la convenzione siglata dall’Arma dei Carabinieri e dall’Università IULM. È la prima volta che si sottoscrive una partnership che – spiega la IULM – «servirà ad accrescere la qualità della comunicazione istituzionale in sinergia con il mondo universitario».

L’iniziativa è stata sottoscritta lunedì 29 gennaio nella sede del Comando Legione Carabinieri “Lombardia” dal Generale di Divisione Giuseppe De Riggi e dal Rettore dell’Università IULM, professor Gianni Canova. La convenzione avrà una durata di tre anni e le modalità di collaborazione tra l’Ateneo e l’Arma riguarderanno attività di comune interesse: il marketing, la comunicazione e la comunicazione d’impresa.

corsi di aggiornamento professionale

L’Università IULM - polo di eccellenza italiano nei settori della comunicazione istituzionale e di impresa - realizzerà progetti volti a strutturare percorsi universitari di aggiornamento professionale. Saranno dedicati al personale dell’Arma dei Carabinieri e consisteranno in un approfondimento delle tematiche di comunicazione istituzionale, pubblica informazione (specie in scenari di emergenza e soccorso) e di interazione con i cittadini anche nei

settori di impresa. Vi sarà inoltre un’adesione congiunta a progetti di rilevanza nazionale e dell’Unione europea. Saranno organizzati, sempre in modalità coordinata, conferenze, convegni, workshop, seminari e iniziative nell’ambito di attività di ricerca, analisi, formazione, approfondimento o aggiornamento professionale.

La IULM e l’Arma realizzeranno insieme documenti, pubblicazioni e articoli di rilevante valenza accademica. Ci sarà, tra le parti, uno scambio di docenze, esperti, pubblicazioni e materiale relativo alle aree e alle tematiche oggetto di collaborazione della convenzione.

eventi e manifestazioni per gli studenti Gli studenti e i docenti dell’Ateneo potranno partecipare a eventi e manifestazioni organizzati dai carabinieri nei casi in cui queste ultime riguardino tematiche oggetto della collaborazione. Come, ad esempio, seminari per approfondire scenari complessi di emergenza. Allo stesso modo, gli appartenenti all’Arma avranno la possibilità di partecipare ad eventi organizzati dall’Ateneo.

L’accordo di collaborazione rappresenta, quindi, un’opportunità di scambio di conoscenza ed esperienza tra Università e Arma. La cooperazione è inoltre uno strumento per accrescere la qualità della comunicazione istituzionale in sinergia con il mondo universitario, sempre attento alle innovazioni sul piano mediatico e tecnologico.

EVENTI

For the city: l’Università aperta a tutti

A cura di Tommaso Ponzi

Torna “IULM for the City”, la serie di appuntamenti che, a partire dal 20 febbraio, permette alla cittadinanza di partecipare alle lezioni di quattro insegnamenti. Nello specifico, si tratta di Storia del cinema italiano - con il rettore Gianni Canova -, Teoria delle relazioni internazionali con Angelo Panebianco, La contemporaneità dell’antico con i professori Roberto Vecchioni e Stefania Mancuso. E, infine, Comunicazione sportiva con Pierfrancesco Barletta. Per il calendario completo e le iscrizioni si consiglia di consultare il sito: www.iulm.it

CURIOSITÀ

“Avventura”: la parola

dell’anno

A cura di Rebecca Saibene

“Avventura” è la parola del 2024. Il Rettore Prof. Gianni Canova l’ha eccezionalmente scelta per il suo ultimo anno - il sesto - di Rettorato: «Si tratta di una parola a cui tengo moltissimo, nel suo significato etimologico e nel suo senso profondo», ha dichiarato Canova. Il termine è, infatti, da intendere secondo la sua accezione latina, “adventura”. La traduzione corretta è “ciò che deve accadere”, “ciò che verrà”. «Che questa parola guardi appunto al futuro», questo l’auspicio del Rettore dell’Università IULM.

ARGOMENTO | SEZIONE MARZO 2024 | MASTERX | 27
La firma dell’accordo. Il Rettore Gianni Canova (a sx) e il Generale De Riggi (a dx) siglano la partnership IULM for the City. La copertina
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