Premio Leonardo Fibonacci 2007

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Premio LEONARDO FIBONACCI XV edizione

Pisa, 13 giugno 2007



Il Premio Leonardo Fibonacci fu istituito dalla Camera di Commercio di Pisa nel 1967. La decisione non fu dettata da una vana rivendicazione localistica delle glorie dell’insigne matematico pisano, né dal tentativo di rinverdire i fasti lontani della città di Pisa allineandosi alla moda ormai imperante delle grandi celebrazioni e anniversari. Chiunque conosce la storia del Premio sa bene che esso è sempre stato inteso dalla Camera di Commercio come un significativo riconoscimento ad operatori economici e ad altre personalità che nel loro operato abbiano contribuito alla crescita dell’intero territorio provinciale, coniugando, in questo, doti professionali e qualità umane. Fin dall’istituzione del Premio fu previsto che facessero parte della Commissione di valutazione anche i Presidenti delle Camere di Commercio di Livorno e Lucca, un chiaro segno di anticipazione dei tempi in una visione prospettiva dell’area metropolitana. La titolazione del Premio non è casuale. Leonardo Fibonacci (secondo l’accezione ormai comune, che tuttavia non trova ancora del tutto concordi gli storici) fu cittadino pisano. E lo fu in un’epoca in cui la città, approfittando del clima di generale “risveglio” dell’occidente, seppe partecipare a quell’enorme sforzo collettivo che la vide ben presto protagonista, insieme ad altre, della vita politica, culturale, artistica, ma soprattutto economica dell’Europa, che trovò proprio nel bacino del mediterraneo il suo epicentro. All’aumento demografico che si registrò intorno all’XI-XII secolo, corrispose un contemporaneo aumento della domanda di beni e servizi e conseguentemente la necessità di innalzare il livello della circolazione delle merci. Le vie di comunicazione terrestri, oltre che pericolose, erano però ancora difficoltose, non prive d’asperità e certamente insufficienti, mentre il trasporto marittimo si prospettò come il mezzo più economico e veloce.

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Leonardo, figlio di un notaio, ossia di quella classe sociale legata strettamente ad interessi di tipo commerciale e mercantile, trascorse la propria infanzia a Bugia (l’attuale Béjaia, in Algeria), dove il padre era funzionario di dogana nel fondaco pisano. E qui, a stretto contatto con la cultura araba, apprese l’algebra e la geometria. Lo studio dell’abaco (ovvero dell’aritmetica commerciale) lo portò ben presto ad applicare le nuove tecniche alle pratiche di mercatura: il Liber Abaci, forse la sola testimonianza attraverso la quale è possibile reperire elementi autobiografici, è infatti - tra molte altre cose - il formidabile adattamento del nuovo sistema decimale alle necessità commerciali dei mercanti. La pratica contabile ne fu estremamente trasformata, sveltita e semplificata: prezzi delle merci, valore dei cambi, unità di misura, unità di peso, conti di monete, problemi di ragioneria ecc. Leonardo non ebbe nel corso dei secoli quella fortuna che invece meritava. Eppure alcune tra le sue scoperte erano destinate a divenire spunto di riflessione per i matematici delle epoche successive. Basti pensare a quello che è stato definito il “giocoso problema dei conigli”, in cui, prendendo ad esempio la riproduzione annuale di una coppia di questi animali, Fibonacci dimostrò come si potesse costruire una sequenza numerica in cui un numero qualunque della serie fosse uguale alla somma dei due precedenti ed il rapporto tra il precedente e l’antecedente fosse sempre costante (ratio aurea). Il Liber Abaci è senza dubbio il testo di maggiore rilevanza scritto da Fibonacci alla cui stesura ebbe modo di dedicarsi probabilmente una volta rientrato in patria; proseguì poi l’attività teorica e di ricerca (Pratica geometriae, Liber quadratorum, Epistola, Flos) entrando anche in contatto con alcune delle figure di spicco del tempo tra cui l’imperatore Federico II che si interessò molto ai suoi studi matematici. Allo studio e alla riflessione unì poi anche la funzione civile: la Repubblica, infatti, gli assegnò l’incarico di riorganizzare la contabilità pubblica, dimostrazione, questa, del grande livello di considerazione di cui godeva. Portò a termine il lavoro ricevendone, oltre ad un cospicuo compenso, grandi attestazioni di stima. L’opera di Fibonacci rappresenta dunque un fondamentale passaggio per capire l’evoluzione non solo del pensiero matematico ma anche la

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storia del progresso delle tecniche commerciali e mercantili: sulla sua scorta i maestri d’abaco diffusero la pratica di riportare per scritto qualsiasi conto, il che produsse ben presto l’esigenza di una registrazione sistematica delle transazioni commerciali consentendone l’immediata verifica grazie alla estrema “maneggevolezza” dei numeri arabi rispetto a quelli romani. Tutto ciò ha permesso di reperire nei fondi archivistici quell’enorme massa di informazioni senza le quali, oggi, la ricostruzione della storia della civiltà occidentale sarebbe stata certamente assai più ardua. Non solo: la crescente necessità di trasmettere le conoscenze teorizzate da Leonardo Fibonacci dette luogo alle nascite di “botteghe” d’abaco, che, nate in Toscana, si diffusero rapidamente nel resto della penisola. Fu questo uno dei canali di diffusione della lingua volgare, nonché un formidabile strumento di alfabetizzazione per tutti coloro che, pur volendo intraprendere una professione, non avevano bisogno di ricorrere all’istruzione impartita nelle Universitates. Stava nascendo una nuova classe sociale, che non conosceva il latino ma che tuttavia si era affrancata dall’analfabetismo: mercanti, artigiani, artisti, architetti, idraulici, cartografi spesso si formarono proprio nelle “botteghe” apprendendo le conoscenze elaborate sulla scia delle riflessioni di Leonardo. Furono questi personaggi gli autori cui si devono oggi larga parte delle grandiose testimonianze trasmessesi in ogni campo dal ’300 al ’500. Conferendo il Premio, ancora una volta, la Camera di Commercio di Pisa intende riconoscere l’impegno che insigni personaggi hanno profuso nell’accrescere gli assetti produttivi locali facendo tesoro di culture, tecniche e tecnologie differenti, così da permettere prospettive di sviluppo necessarie per il benessere dell’intera collettività. Pierfrancesco Pacini Presidente della Camera di Commercio di Pisa

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IL PREMIO FIBONACCI



ALBO D’ORO 1967 1967 1968 1968 1969 1970 1971 1973 1974 1975 1985 1985 1985 1992 1993 1995 2000 2002 2007

sez. italiana sez. straniera sez. italiana sez. italiana sez. italiana sez. italiana sez. italiana sez. italiana sez. italiana sez. italiana sez. italiana sez. italiana sez. italiana sez. italiana sez. italiana sez. italiana sez. italiana sez. straniera sez. italiana

On. Prof. Giuseppe Togni Ing. Fortuné Betrancourt Cav. del Lav. Harry Bracci Torsi Cav. del Lav. Alfredo Gentili Prof. Enrico Avanzi Ing. Corradino D’Ascanio Prof. Alessandro Faedo Prof. Egidio Giannessi Avv. Leopoldo Testoni Comm. Renato Buoncristiani Prof. Ing. Lucio Lazzarino Ing. Alfredo Persoglio Gamalero Cav. del Lav. Lanfranco Catastini Prof. Avv. Fabio Merusi Prof. Luigi Donato Dott. Giovanni Alberto Agnelli Ing. Franco Forti Prof. Michele B. Jamiolkowski Dott. Roberto Colaninno

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REGOLAMENTO Art. 1 La Camera di Commercio di Pisa conferisce, con cadenza annuale o pluriennale, il Premio “Leonardo Fibonacci” ad una o più personalità viventi, italiane o straniere, che si siano particolarmente distinte in qualsiasi campo di attività con iniziative ed opere dalle quali l’economia pisana in genere abbia tratto impulso, prestigio e decoro. Art. 2 Il Premio consiste in una medaglia d’oro. Il nome dei premiati sarà inciso su una lapide marmorea collocata nell’Auditorium “Rino Ricci” della Camera di Commercio. Art. 3 La Giunta camerale stabilirà ad ogni edizione il numero dei premi da conferire; questi in nessun caso potranno essere superiori a tre. La Giunta nominerà nella stessa occasione anche la Commissione di cui al successivo articolo 4. Art. 4 L’assegnazione del premio sarà effettuata – con decisione motivata – da una Commissione costituita come segue: a. Il Presidente della Camera di Commercio di Pisa; b. Due Componenti della Giunta camerale di Pisa; c. Due Presidenti di Camere di Commercio confinanti con la provincia di Pisa; d. Il Prefetto di Pisa; e. Il Sindaco di Pisa; f. Il Magnifico Rettore dell’Università degli Studi di Pisa. I Componenti di cui ai punti b. e c. verranno designati ad ogni edizione. La Commissione sarà presieduta dal Presidente della Camera di Commercio di Pisa e le funzioni di segretario saranno espletate da un funzionario.

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LEONARDO FIBONACCI DA PISA



Lionardo Fibonacci fue nostro concive, e vivette nelli anni 1203. Vidde tutto el mondo; tornoe a Pisa, e recò i numeri arabichi e l’aritmetica, e ne compose un libro, che in questo tempo, dello anno 1506 pisano, nello tempo scrivo, tiene la famiglia delli Gualandi, e vi sono expressi li numeri fino al decimo, quale composto forma la decina, et insegna contare...

così il notaio pisano ser Perizolo nei suoi Ricordi (1), a tre secoli di distanza, rammentava il grande concittadino e nel breve cenno ne tratteggiava una sintetica e veritiera memoria, accennando anche all’esistenza in città di una copia del Liber abaci della quale oggi si è persa ogni traccia. Sul “piu grande matematico del Medioevo latino” (2), come sovente e meritatamente è chiamato il Fibonacci, si hanno poche notizie e date sicure. A lungo si è discusso anche su come si chiamasse: infatti, il nome Leonardo compare accompagnato sia dall’aggettivo Pisano, a indicarne il luogo d’origine, sia dall’attributo Bigollo (Bigolloso, Bigollone), ormai riconosciuto come soprannome di cui tuttavia non è chiaro il significato, sia da Fibonacci, unanimemente accettato infine come nome di famiglia derivante per successive evoluzioni da un originario filius Bonacii da riconnettersi a un avo di nome Bonaccio di qualche generazione precedente. Oggi egli è comunemente conosciuto come Leonardo Pisano o Fibonacci, specie tra i matematici, mentre è andato completamente in disuso Bigollo, che pure aveva a favore il maggior numero di testimonianze antiche. Le fonti per le informazioni su di lui, che comunque non permettono di fissare i limiti estremi della sua esistenza, sono: un atto notarile del 1226 (3), che consentì di porre fine alle illazioni sul soprannome di “Bigollo” di cui tanto discettarono i primi studiosi di Leonardo, e di far luce sul nome di famiglia; una delibera del Comune di Pisa del 1241 (o da collocarsi, più prudentemente, tra il 1233 e il 1241 (4)), che attesta come egli in quel periodo fosse ancora in vita e continuasse l’attività di pubblico amministratore, oggi incisa sul marmo e murata nell’atrio d’accesso all’Archivio di Stato; e poche altre notizie che egli dà di sé nei propri scritti, tra le quali primeggia per ampiezza e importanza quanto scrive all’inizio del Liber abaci.

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La sua vita si colloca comunque a cavallo tra il XII e il XIII secolo e, con riferimento alla storia di Pisa, tra la vittoriosa crociata alle Baleari (1113-1115) cantata dal Liber maiolichinus e la sconfitta alla Meloria (6 Agosto 1284), nell’ultima fase di splendore del Comune che ha ormai definito e consolidato le proprie strutture politiche, ha scelto in modo quasi irreversibile di allearsi con l’Imperatore che lo ricompensa con feudi e benefici, ha raggiunto grande floridezza economica con numerose colonie di mercanti nelle isole e sulle coste del Mediterraneo, ha dato forma definitiva al Duomo fondato con i proventi della campagna contro Palermo del 1063 e lo ha arricchito delle porte di Bonanno, ha iniziato la costruzione del Battistero, mentre l’arcivescovo Lanfranchi ha sparso la terra del Golgota sul Camposanto; tra le rotte commerciali meglio consolidate dai Pisani, grazie anche a trattati politici e mercantili stipulati e regolarmente rinnovati con gli Almoravidi prima e con gli Almohadi poi, hanno una parte importante quelle con il Maghreb orientale, dove nel fondaco di Bugia passerà diversi anni anche Leonardo. Le fortune di Pisa, a partire dalla metà del secolo XI, si collocano nel generale periodo di risveglio dell’Occidente, che sfocerà nella “rinascita” del XII secolo, vivificando ogni settore di attività: politico, militare, economico e culturale. Iniziano la loro vita le Repubbliche marinare; il mondo latino si espande e contende il predominio nel Mediterraneo a musulmani e bizantini, combattendo nelle crociate, per la sicurezza della navigazione e dei traffici o per la difesa di interessi commerciali e politici; si afferma il volgare che fa le sue prime prove come lingua letteraria; a Salerno nasce la prima università; specialmente per le scienze e la filosofia inizia il ricupero sia del sapere classico, quasi esclusivamente attraverso la mediazione delle traduzioni arabe, sia di quello autonomamente elaborato nel mondo musulmano. Leonardo si inserisce pienamente e con grande originalità in questo diffuso fervore culturale, costituendone uno dei momenti più alti che bene può collocarsi accanto alle coeve splendide testimonianze politiche, economiche e artistiche della sua patria. * * *

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Porto Pisano -“Cocca” durante operazioni di scarico merci, con mercanti che usano l’abbaco.


La ricostruzione delle vicende biografiche del Fibonacci non può che partire da quanto egli dice di sé all’inizio del Liber abaci (I, p.1). Cum genitor meus a patria publicus scriba in duana Bugee pro Pisanis mercatoribus constitutus preesset, me in pueritia mea ad se venire faciens, inspecta utilitate et commoditate futura, ibi me studio abbaci per aliquot dies stare voluit et doceri. Ubi ex mirabili magisterio in arte per novem figuras Indorum introductus, scientia artis in tantum mihi pre ceteris placuit, et intellexi ad illam, quod quicquid studebatur ex ea apud Egyptum, Syriam, Greciam, Siciliam et Provinciam cum suis variis modis, ad que loca negotiationis postea peragravi per multum studium et disputationis didici conflictum. Sed hoc totum etiam et algorismum atque arcus Pictagore quasi errorem computavi respectu modi Indorum. Quare amplectens strictius ipsum modum Indorum, et attentius studens in eo, ex proprio sensu quedam addens, et quedam etiam ex subtilitatibus Euclidis geometrice artis apponens, summam huius libri, quam intelligibilius potui, in XV capitulis distinctam componere laboravi, fere omnia que inserui certa probatione ostendens, ut extra, perfecto pre ceteris modo, hanc scientiam appetentes instruantur, et gens Latina de cetero, sicut hactenus, absque illa minime inveniatur. Si quid forte minus aut plus iusto vel necessario intermisi, mihi deprecor indulgeatur; cum nemo sit quit vitio careat, et in omnibus undique sit circumspectus.

Questa nota autobiografica è contenuta nell’introduzione al Liber abaci che la tradizione manoscritta concordemente attesta “compositus in anno MCCII”, e sottoposta poi a revisione nell’anno 1228: l’anno 1202 può quindi essere assunto come data fondamentale per la ricostruzione della vita di Leonardo. Riassumendo il testo, ne risulta che in un anno imprecisato il Fibonacci, ancora fanciullo, lasciò la patria per raggiungere il padre che era un funzionario di dogana nel fondaco dei Pisani a Bugia, e mise il figliolo a studiare l’abaco, vale a dire l’aritmetica commerciale. La fase scolare dovette tenere occupato il giovane per un periodo di almeno un paio d’anni - quindi per aliquot dies non va preso alla lettera -, tanto più che l’istruzione fu estesa anche all’apprendimento del sistema indoarabo di numerazione decimale posizionale, oggi universalmente adottato e allora presso che sconosciuto nell’Occidente latino. L’insegnamento, che lo stesso Fibonacci qualifi-

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ca ex mirabili magisterio, dovette essere particolarmente efficace se alla fine l’allievo fu in grado di comprendere perfettamente i vantaggi offerti dall’uso dei nuovi numeri, tanto da indurlo da un lato a rifiutare l’uso della numerazione romana e delle pratiche contabili ad essa connesse, e dall’altro a cercare ovunque nel bacino del Mediterraneo, in quei luoghi dove i mercanti avevano accesso per svolgere i loro traffici, ogni occasione di accrescere e di affinare le proprie conoscenze al riguardo, apprendendo cose nuove e discutendo dei suoi studi con i dotti locali, come esplicitamente ricorda nello stesso Liber abaci (ad esempio, I, pp. 188, 190, 249): è interessante notare come tra i paesi citati siano ricordati la Sicilia e la Provenza; nella prima convivevano le civiltà greca, latina e araba, mentre nella seconda erano specialmente attivi gli ebrei che in questi secoli, in particolare per le scienze - matematica, astronomia e astrologia, medicina - e per la filosofia, svolsero la funzione di intermediari tra la tradizione culturale musulmana e l’Occidente latino. Questa fase di formazione e di ricerca dovette concludersi - anche se Leonardo non vi accenna - con il ritorno in patria; seguì la stesura del Liber abaci, in cui confluirono sia quanto egli aveva avuto occasione di apprendere, sia suoi contributi originali insieme ad altre “sottigliezze” desunte dalla geometria di Euclide, il tutto rigorosamente dimostrato e raccolto, così da offrire un trattato esauriente e sistematico, una summa di quanto era stato fino ad allora sconosciuto ai Latini. La vivace narrazione non fornisce purtroppo alcun riferimento cronologico utile per fissare date precise; congetturalmente e considerando sia le dimensioni del Liber abaci - nell’edizione del Boncompagni occupa 459 pagine in quarto stampate fitte in minuti caratteri bodoniani -, sia il tempo che Leonardo dovette dedicare tanto all’approfondimento e all’organizzazione della materia - il trattato si presenta come un’opera complessa e matura -, quanto all’esame delle traduzioni dall’arabo relative agli argomenti da lui svolti, le quali nella seconda metà del XII secolo erano state prodotte in gran numero e che difficilmente avrebbe potuto avere a disposizione durante la permanenza a Bugia o durante i viaggi nel Mediterraneo, si può ritenere che nel 1202 il Fibonacci fosse almeno trentenne, collocandone quindi la nascita non

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oltre il 1170, che fosse rientrato in patria verso il 1195 e si fosse recato a Bugia tra il 1180 e il 1185. Ritornando alla già citata delibera del Comune di Pisa pubblicata dal Bonaini, nella quale Leonardo compare ancora in vita, si può concludere che egli superò senz’altro i sessant’anni, un’età ragguardevole specie per quei tempi. Del periodo pisano successivo al 1202, almeno un evento può essere fissato con sicurezza: la presentazione di Leonardo all’imperatore Federico II che visitò la città nel Luglio 1226. Il fatto è ricordato in due opuscoli: nel Flos (II, p. 277) e nel Liber quadratorum (II, p. 253), ed è particolarmente significativo perché dopo l’incontro negli scritti del Fibonacci compaiono a vario titolo diversi personaggi della corte imperiale, alcuni come dedicatari, altri per avergli posto problemi matematici: un maestro Domenico - di cui non si hanno altre notizie -, maestro Teodoro e maestro Giovanni da Palermo - entrambi notai imperiali, il secondo noto anche come letterato e traduttore dall’arabo in latino di un anonimo trattato di geometria delle curve -, il filosofo e astrologo Michele Scoto. A maestro Domenico è dedicata la Practica geometriae (II, p. 1) a Michele Scoto l’edizione riveduta del Liber abaci (I, p. 1), allo stesso Imperatore il Liber quadratorum (II, p. 253), a maestro Teodoro un’Epistola con problemi aritmetici e geometrici (II, p. 247); il cardinale Ranieri Capocci, cui è dedicato il Flos (II, p. 227), è l’unico dedicatario estraneo alla corte. La tradizione manoscritta assegna date non sempre accettabili ad alcune delle opere citate: comunque l’attività scientifica di Leonardo per riferimenti interni ai vari scritti, può essere ordinata come segue: al 1202 il compimento del Liber abaci, al 1220-21 quello della Practica geometriae dopo il 1226 dedicata a maestro Domenico, tra il 1226 e il 1228 il Liber quadratorum, entro il 1228 la revisione del Liber abaci, tra il 1226 e il 1234 il Flos, dopo il 1228 l’Epistola (5). Il Fibonacci compose almeno altre due opere, ricordate da lui stesso e da altre fonti e oggi perdute: un commento al X libro degli Elementi di Euclide, e un testo di matematica pratica per i commerci citato come Liber minoris guise. ***

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Fol. 1 Recto dal “Liber Abbaci” di Leonardo Fibonacci (1202).


L’ampia produzione di Leonardo (6) può essere divisa in due gruppi di opere: nel primo i testi di maggiore estensione, il Liber abaci e la Practica geometriae, che hanno la struttura di trattati sistematici nei quali la materia è svolta partendo dai primi elementi per raggiungere livelli anche elevati, nel secondo gli opuscoli che affrontano argomenti particolari, specialistici, per lettori già esperti. Il Liber abaci si apre con la presentazione delle “nove figure” degli indiani e del segno 0 “quod arabice zephirum appellatur”, vale a dire delle cifre dall’l al 9 e dello zero, e prosegue quindi metodicamente, fino al capitolo VII incluso, illustrandone l’impiego nella moltiplicazione, addizione, sottrazione, divisione di interi e di frazioni, e mostrandone la maggiore semplicità d’impiego rispetto al sistema romano di numerazione: la materia è svolta con gradualità e attraverso un gran numero di esempi, insistendo sulla necessità e sulla superiorità del calcolo scritto rispetto ai modi tradizionali dell’indigitazione e della tavoletta dell’abaco nelle sue varie forme; sono insegnate le prove del 7, del 9 e dell’11; sono presenti numerose tavole numeriche di moltiplicazione, di numeri primi, di decomposizione in frazioni fondamentali ... Dall’VIII all’XI sono trattati, in particolare ricorrendo soprattutto alle regole del tre semplice e composto, problemi di aritmetica commerciale relativi a transazioni di ogni genere, cambi di monete, calcolo di interessi, conversioni tra differenti sistemi di misura, spartizioni proporzionali di utili e di perdite rapportati ai capitali impegnati, scambi di merci: questa parte è anche una splendida testimonianza dell’ampiezza dei traffici del tempo; tra gli esempi è inserito anche un problema di analisi indeterminata, il “problema dei cento uccelli”, che, già nella matematica cinese, per questa via perviene al mondo latino dove comparirà sovente in un gran numero di variazioni. Il XII e il XIII raccolgono “questiones erraticas”, cioè di vario genere, tra le quali anche molti rompicapi di antica tradizione e ancora oggi in circolazione nella cosiddetta matematica divertente o curiosa; sotto l’aspetto più propriamente tecnico-scientifico i casi presentati coinvolgono altri problemi di analisi indeterminata, la trattazione dei “numeri perfetti”, già considerati da Euclide, vale a dire quei numeri che sono uguali alla somma dei loro divisori, le progressioni aritmetiche e geo-

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metriche in connessione ad esempio con il famoso “problema degli scacchi”, la cosiddetta “serie di Fibonacci” utilizzata per risolvere il ben noto “problema dei conigli”, il ricorso al metodo della falsa posizione semplice e della doppia falsa posizione denominata “regula elchatayn”, secondo l’uso arabo, la soluzione, la discussione e l’applicazione di equazioni di primo e secondo grado: in ogni caso egli presenta una grande capacità nella scelta del metodo migliore per risolvere i problemi, anche quando ricorre a procedimenti algebrici. Il XIV e il XV capitolo trattano dell’estrazione della radice quadrata e cubica e delle addizioni e sottrazioni dei radicali semplici e doppi; attestano il completo controllo di Leonardo sui metodi risolutivi, tanto algebrici che geometrici, e sono pure di notevole interesse storico perché mostrano vari esempi dei procedimenti classici di approssimazione per le radici quadrate e cubiche. La ricchezza del Liber abaci, dei cui contenuti si è dato solo un sintetico cenno, costituisce veramente una summa del sapere aritmetico e algebrico, teorico e applicato, in grado di colmare l’abisso di ignoranza del Medioevo latino: nello stesso periodo si era cominciato a tradurre varie opere dall’arabo, ma rispetto alle pure versioni, il testo del Fibonacci costituisce una rielaborazione complessiva e organica con molte parti originali; inoltre, l’avervi legato la teoria alla pratica così da interessare insieme i dotti e i mercanti, assicurerà il più esteso ambito di diffusione alla grande innovazione rappresentata dall’introduzione delle cifre indoarabe. Anche la Practica geometriae risponde al duplice scopo di presentare insieme la teoria geometrica e le sue applicazioni, tanto che in diversi casi gli argomenti sono svolti sotto forma sia rigorosamente dimostrativa con sviluppi ricchi di discussioni critiche secondo la tradizione classica dei geometri greci, sia speditiva benché sempre corretta. Pure in questo trattato la materia è molto ampia anche se meno varia e originale che nell’opera precedente, e sovente si sente la vicinanza della fonte (7) cui Leonardo attinge benché non la citi esplicitamente. Euclide, Archimede, Erone, gli Agrimensores, la Geometria o Verba filiorum dei Banu Musa, il Liber embadorum di Savasorda nella versione latina di Platone di Tivoli ... L’opera è articolata in otto “distinctiones”,

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con una premessa comprendente i postulati e gli assiomi di Euclide e le misure lineari e di superficie in uso a Pisa. Nella prima “distinctio” si tratta dell’area dei rettangoli con esempi relativi alle varie unità di misura; nella seconda e nella quinta sono considerate le radici quadrate e cubiche in forma analoga a quanto già esposto sul medesimo argomento nel Liber abaci, nonché il problema della duplicazione del cubo con le soluzioni classiche di Archita, Filone di Bisanzio e Platone: la trattazione delle radici quadrata e cubica sono preliminari rispettivamente agli argomenti della “distinctio” terza dedicata alle superficie e della sesta sui volumi. Nella terza sono raccolti e dimostrati i procedimenti per il calcolo di figure piane - triangoli, quadrati, rettangoli, rombi, trapezi, poligoni e cerchio - e di loro parti: trattando del cerchio, Leonardo riprende il De mensura circuli di Archimede, e a conclusione della sua discussione ottiene una migliore approssimazione di π (3, 14182… rispetto a 3, 14286...: attualmente 3, 14159...); egli inoltre sviluppa vari problemi di agrimensura, illustrando anche strumenti come l’archipenzolo e il quadrante, e dà istruzioni per l’uso dei medesimi. Nella quarta “distinctio”, sul modello appunto del Liber embadorum, tratta della divisione delle superfici secondo condizioni date; e nella sesta considera i volumi, ivi compresi i poliedri regolari per i quali è richiamato il XIV libro di Euclide. La settima riprende temi di geometria applicata e di telerilevamento, usando il quadrante per l’applicazione dei criteri di similitudine dei triangoli. L’ottava tratta di “sottigliezze” geometriche, relative ad esempio al pentagono e al decagono regolari inscritti e circoscritti a un cerchio, o al rettangolo e al quadrato inscritti in un triangolo equilatero; comprende anche due problemi di analisi indeterminata, che torneranno nel Liber quadratorum e che qui sembrano francamente fuori luogo. Il contenuto, molto sommariamente richiamato, attesta per la Practica geometriae un’ampiezza che va ben oltre i limiti che la modestia del titolo sembrava indicare, e che, con caratteristiche analoghe al Liber abaci, arricchì incomparabilmente le conoscenze scientifiche dell’Occidente latino. L’aspetto più originale dell’opera risiede comunque nello sforzo del Fibonacci di trattare i problemi e le dimostrazioni della geometria in forma aritmetica e algebrica senza ritenere di dover

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ricorrere, per dare forza e rigore al proprio discorso, alla geometria: è il capovolgimento dell’atteggiamento tradizionale della matematica greca, e sarà ripreso solo con la geometria analitica nel Seicento. Mentre le due opere di maggiori dimensioni attestano l’ampiezza delle conoscenze acquisite da Leonardo, la sua capacità di elaborazione, la sua abilità nel trovare i più idonei procedimenti risolutivi e le sue eminenti qualità didattiche, gli opuscoli, che sono delle vere memorie matematiche, danno la misura della sua originalità e della sua genialità: di questi soprattutto il Liber quadratorum è stato studiato in modo approfondito (8). Gli argomenti trattati nei tre scritti riguardano ancora l’analisi indeterminata di primo e di secondo grado, la discussione e il tentativo di risolvere un’equazione di terzo grado della quale dà una soluzione approssimata esatta fino alla decima cifra decimale, un’ampia e approfondita ricerca sui numeri congrui, il primo uso di quantità negative presentate come “debito” nel relativo problema, la soluzione algebrica di problemi geometrici ridotti ad equazioni: in particolare nell’Epistola tale riduzione è esplicitamente sottolineata con la dichiarazione: “et sic reducta est questio ad unam ex regulis algebre” (II, p. 250). * * * Le opere del Fibonacci, anche le più difficili, ebbero una notevole fortuna fino alle soglie del Cinquecento, specialmente tra i matematici italiani, i cosiddetti abachisti o maestri d’abaco - che coltivarono i loro studi e svolsero il loro insegnamento al di fuori dell’ambiente universitario, dove all’algebra cominciò ad essere riconosciuta dignità di scienza solo dalla metà del XVI secolo -, e come quasi tutta la loro produzione non furono mai stampate: si ricorda solo l’intenzione di Federico Commandino, alla metà del Cinquecento, di pubblicare la Practica geometriae (9), ma il progetto non ebbe seguito. In tal modo non solo gli scritti ma anche il ricordo del Fibonacci rapidamente scomparvero, tanto che il Regiomontano nella sua prolusione padovana del 1463, dove pure ricorda molti matematici greci, arabi e latini, non lo cita; Tartaglia dice di saperne solo quanto di lui riferisce il Pacioli nella

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“Carta” del “Liber Abbaci” - Biblioteca Magliabechiana - Firenze


Summa, il quale sembra l’ultimo ad averne utilizzato direttamente le opere; il Cardano, pur parlandone nell’Encomium geometriae del 1535, lo mette tra i contemporanei insieme al Regiomontano, al Cusano e a Luca Pacioli; lo stesso Cossali, che fu il primo in pieno Settecento a riprenderne lo studio, ne intuisce la grandezza e l’importanza leggendo il Pacioli. Dal Duecento al Cinquecento però gli insegnamenti del Fibonacci, e segnatamente il Liber abaci e la Practica geometriae, ebbero un influsso decisivo non solo nel campo delle matematiche, ma anche in quello della cultura in generale. Ricordiamo anzitutto la parte che egli ebbe per l’adozione in Italia e in Europa dell’uso delle cifre arabe presso i matematici, i mercanti e la gente comune: l’impiego di esse ebbe una così rapida diffusione che nel 1299 l’Arte del Cambio di Firenze, per prevenire possibili illeciti, fu indotta a inserire nei propri statuti (10) l’articolo 102 “Quod nullus de Arte scribet in suo libro per abbacum”, mantenuto fino al 1316, che recitava: Item statutum et ordinatum est quod nullus de hac Arte audeat vel permictat per se vel per alium scribere vel scribi facere in suo libro vel quaterno vel in aliqua parte eius, in quo vel quibus scribat data et accepta aliquid quod per modum vel licteram abbachi intelligatur, set aperte et extense scribat per licteram.

Inoltre le due opere divennero i modelli ai quali si uniformarono le ricerche e l’insegnamento dei maestri d’abaco i quali, da un lato, quando non ebbero solo interessi didattici ma anche scientifici, ne approfondirono e svilupparono gli aspetti matematici, soprattutto algebrici (11), e dall’altro ne adottarono i principi, i metodi didattici e i contenuti per quanto riguardava la contabilità commerciale e comunque le applicazioni. In tal senso è da sottolineare un altro aspetto profondamente innovativo introdotto da Leonardo nella matematica in generale e nella computistica in particolare: la necessità di svolgere per iscritto qualsiasi conto per poterne avere un controllo continuo, da cui derivò l’esi-

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genza di registrare sistematicamente qualsiasi transazione commerciale. Tale principio adottato dai maestri d’abaco che ne hanno fatto un punto fisso del loro insegnamento, ha finito con il caratterizzare tutta la vita del mercante, facendo del mercante italiano in particolare un infaticabile “scrittore”. Le istituzioni che ebbero tuttavia la maggiore incidenza sull’intera civiltà del tardo Medioevo e del primo Rinascimento furono le scuole o “botteghe” d’abaco: sorte inizialmente in Toscana verso la metà del Duecento per impartire ai mercanti le conoscenze necessarie all’esercizio della professione quali erano state teorizzate dal Fibonacci e secondo i suoi metodi, si diffusero rapidamente in Italia nella scia dell’espansione commerciale, tanto che già nel 1284 il Comune di Verona affidava una scuola d’abaco a un maestro Lotto da Firenze (12). Tali scuole per necessità e per convenienza adeguandosi alla cultura dei loro allievi, adottarono molto presto come propria lingua il volgare e come propria scrittura quella stessa dei mercanti, la cosiddetta mercantesca; altrettanto rapidamente passarono, pur senza nulla mutare dei loro programmi, da scuole specializzate per contabili commerciali a scuole generiche d’istruzione, simili ai vecchi istituti di avviamento professionale, per quella numerosa parte della popolazione che non avrebbe frequentato l’università e che non intendeva rimanere analfabeta. Le botteghe d’abaco divennero così in breve tempo un potente e diffuso strumento di alfabetizzazione in volgare per i giovani che si sarebbero poi dedicati non solo ai commerci ma anche ai mestieri, alle professioni e alle arti, cioè a quelle attività che non prevedevano una preparazione universitaria: in quelle scuole furono educati i mercanti, gli artigiani, gli artisti, gli architetti, gli ingegneri, gli idraulici, gli agrimensori, i cartografi, i meccanici, i costruttori di orologi e di strumenti, i chirurghi, gli speziali, i maestri d’artiglieria … Si venne così formando, nella via aperta da Leonardo, uno strato culturale intermedio tra chi sapeva il latino e chi era analfabeta, che ha segnato profondamente la civiltà soprattutto italiana dal Trecento al Cinquecento, e che è ancora in gran parte da scoprire. Allo stesso modo fino a tempi molto recenti era sconosciuta l’enorme produzione matematica dei maestri d’abaco che ha lasciato un’incredi-

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bile testimonianza di centinaia e centinaia di manoscritti (13) - dai testi scolastici a trattati di ampio respiro, dal prontuario di calcoli fatti alla memoria matematica di alto livello -, che attendono di essere scoperti, studiati e pubblicati. Dalle prime indagini pionieristiche in questo settore (14) emerge chiaramente che le opere matematiche del Fibonacci, ivi comprese le più complesse come gli opuscoli e segnatamente il Liber quadratorum, hanno costituito per almeno tre secoli il filo rosso che ha guidato le ricerche più avanzate dei matematici. Carlo Maccagni Ordinario di Storia delle Scienze Università degli Studi di Genova

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NOTE “Ricordi di Ser Perizolo da Pisa dall’anno 1422 sino al 1510”, a cura di F. BONAINI, in Archivio Storico italiano, 6 (1845), pp. 385-396, in particolare p. 388. (2) Dopo le ricerche pionieristiche di P. COSSALI (Origine, trasporto in Italia, primi progressi in essa dell’algebra, I, Parma 1797), di G.B. GUGLIELMINI (Elogio di Lionardo Pisano recitato nella grand’aula della regia Università di Bologna, e nel giorno XII Novembre MDCCCXII, Bologna 1813), e di G. LIBRI (Histoire des sciences mathématiques en Italie, depuis la Renaissance des lettres jusqu’à la fin du dix-septième sìecle, II, Paris 1838, pp. 2044, 287-479), Baldassarre Boncompagni compì sistematiche ricerche che lo portarono a diverse pubblicazioni sul Fibonacci stesso, sulle fonti manoscritte delle sue opere e all’edizione delle superstiti: B. BONCOMPAGNI, “Della vita e delle opere di Leonardo Pisano matematico del secolo decimoterzo”, in Atti dell’Accademia Pontificia dei Nuovi Lincei, 5 (1851-1852), pp. 5-91, 208-246 (il lavoro, preliminare all’edizione degli scritti del Fibonacci, è rimasto incompiuto), ID., Intorno ad alcune opere di Leonardo Pisano matematico del secolo decimoterzo, Roma 1854; Tre scritti inediti di Leonardo Pisano secondo la lezione di un Codice della Biblioteca Ambrosiana di Milano, a cura di B. BONCOMPAGNI, Firenze 1854, ristampati in edizione migliorata e con l’aggiunta di un’introduzione, con il titolo: Opuscoli di Leonardo Pisano pubblicati da B. BONCOMPAGNI secondo la lezione di un codice della Biblioteca Ambrosiana di Milano, Firenze 1856; Scritti di Leonardo Pisano matematico del secolo decimoterzo, pubblicati da B. BONCOMPAGNI. I. Il Liber Abaci secondo la lezione del Codice Magliabechiano C.I, 2616, Badia Fiorentina, n. 73, Roma 1857; II. La Practica Geometriae secondo la lezione del Codice Urbinate n.292 della Biblioteca Valicana. Opuscoli secondo la lezione di un Codice della Biblioteca Ambrosiana di Milano contrassegnato E. 75. Parte Superiore, Roma 1862. (3) G. MILANESI, “Documento inedito e sconosciuto intorno a Lionardo Fibonacci”, in Giornale arcadico, 197 (1867), pp.1-10 (estratto). (4) F. BONAINI, “Memoria unica sincrona di Leonardo Fibonacci novamente scoperta”, in Giornale storico degli Archivi Toscani, 1 (1857), pp. 239-246; ristampata in: Iscrizione collocata nell’Archivio di Stato in Pisa a onore di Leonardo Fibonacci cui va unita una spiegazione del prof. Francesco Bonaini, Pisa 1867. (5) C. MACCAGNI, “Leonardo Fibonacci e il rinnovamento delle matematiche”, in L’Italia e i paesi mediterranei. Vie di comunicazione, scambi commerciali e culturali al tempo delle repubbliche marinare, Pisa 1988, pp. 91-116. (6) G. LORIA “Leonardo Fibonacci, in Gli scienziati italiani dall’inizio del Medioevo ai nostri giorni, a cura di A. MIELI, Roma 1921-1923, pp. 4-12; ID., Storia delle matematiche, Milano 1950 (1° ed. 1929)” pp. 219-235; A.P. YoUSCHKEVITCH, Geschichte der Mathematik im Mittelalter, Leipzig 1964, pp. 371-387; K. VOGEL, “Fibonacci, Leonardon”, in Dictionary of scientific biography, C.C. GILLESPIE ed., New York, 19701978, IV, pp. 604-613; E. PICUTTI, “Leonardo Pisano”, in Le scienze, 15 (1982), n. 164, pp. 96-105. (7) M. CLAGETT, Archimedes in the Middle Ages, I, Madison 1964, II-V, Philadelphia (1)

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1976-l984, ad indicem; A. ALLARD “The Arabic origins and development of Latin algorism in the twelfth century”, in Arabic sciences and philosophy, 1 (1991), pp. 233-283; R. RASHED, Entre arithmétique et algèbre. Recherches sur l’histoire des mathématiques arabes, Paris 1984; ancora utile per qualche indicazione E. BORTOLOTTI, “Le fonti arabe di Leonardo Pisano”, in Memorie dell’Accademia delle scienze dell’Istituto di Bologna, Classe di scienze fisiche, sezione di scienze fisiche e matematiche, s. 8, 7 (1929-1930), pp. 3949. (8) Tra gli ultimi studi ricordo: Le livre des nombres carrés de Léonard de Pise, traduit du latin en français avec un introduction et des notes par P. VER EECKE, Bruges 1952; E. PICUTTI, “Il libro dei quadrati di Leonardo Pisano e i problemi di analisi indeterminata nel Codice Palatino 577 della Biblioteca Nazionale di Firenze. Introduzione e commenti”, in Physis, 21 (1979), pp. 195-339; ID., “Sui numeri congruo-congruenti in Leonardo Pisano”, in Physis, 23 (1981), pp. 141-170; R. FRANCI, “Numeri congruo-congruenti in codici dei secoli XIV e XV”, in Bollettino di storia delle scienze matematiche, 4 (1984), pp. 3-23. (9) B. BALDI, Cronica de matematici, Urbino 1707, p. 89. (10) Statuti dell’Arte del cambio di Firenze (1299-1316), a cura di G. CAMERANI MARRI, Firenze 1955. (11) R. FRANCI - L. TOTI RIGATELLI, “Toward a history of algebra from Leonardo of Pisa to Luca Pacioli”, in Janus, 72 (1965), pp. 17-82; E. GAMBA - V. MONTEBELLI, “La matematica abachistica tra ricupero della tradizione e rinnovamento scientifico”, in Atti del Convegno internazionale di studi: Giovanni Battista Benedetti e il suo tempo, Venezia 1987, pp. 169-202. (12) E. GARIBOTTO, “Le scuole d’abbaco a Verona”, in Atti e memorie dell’accademia di agricoltura, scienze e lettere di Verona, 99 (1923), p. 315. (13) W. VAN EGMOND, Practical mathematics in the Italian Renaissance. A catalog of Italian abbacus manuscripts and printed books to 1600, Firenze 1980 (Supplemento agli Annali dell’Istituto e Museo di storia della scienza, monografia n. 4). (14) Mi limito a ricordare i numerosi studi di Gino Arrighi (per i quali rinvio a Gino Arrighi storico della matematica medioevale. Una bibliografia, a cura M. PANCANTI e D. SANTINI, Siena 1983), e le collane di testi e di studi del Centro studi della matematica medievale presso l’Università di Siena, dirette da L. TOTI RIGATELLI e R. FRANCI.

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“Carta” del “Liber Abbaci” - Biblioteca Magliabechiana - Firenze


L’EREDITÀ DI FIBONACCI SCUOLE E MAESTRI D’ABACO NELLA TOSCANA MEDIEVALE



Nel 1202, al suo ritorno a Pisa da una serie di peregrinazioni per tutto il Mediterraneo, che lo avevano portato a toccare “l’Egitto, la Siria, la Grecia, la Sicilia, la Provenza”, in breve tutto il mondo arabo comprese le regioni non più soggette alla dominazione musulmana, Leonardo Fibonacci consegnava all’Europa cristiana una delle opere più significative della matematica dell’Occidente, il Liber abaci. Pervenutoci solo nella sua revisione del 1228, già per la sola mole il volume ci appare un vero e proprio monumento, con il quale ben poche opere riusciranno a reggere il confronto, non solo in Occidente ma anche in quel mondo arabo nel quale Fibonacci aveva trovato scienza e ispirazione. Nel panorama della cultura matematica europea, che solo da poco aveva cominciato ad avvicinarsi alle grandi opere del passato, peraltro accessibili a un numero limitatissimo di studiosi, e che tutto si potevano considerare meno che acquisite, sarebbe stato un passo importante la sola introduzione delle cifre indoarabe e del calcolo relativo. Leonardo ci consegna invece una summa del sapere aritmetico e algebrico del mondo arabo, molto più ampia di quanto le conoscenze dell’epoca permettessero di apprezzare; ci vorrà almeno un secolo prima che le opere del Pisano potessero dirsi pienamente comprese. Non è certo per caso che ancora agli inizi del Trecento gli Statuti dell’Arte del Cambio di Firenze proibissero esplicitamente, con ogni probabilità per tema di imbrogli, l’uso delle cifre arabe nella tenuta dei libri contabili: quod nullus de hac Arte audeat nec permictat per se vel per alium scribere vel scribi facere in suo libro vel quaterno vel in aliqua parte eius, in quo vel quibus scribat data et accepta aliquid quod per modum vel licteram abbachi intelligatur, sed aperte et extense scribat per licteram (1)

A fronte di queste resistenze, stava però la duttilità del sistema posizionale e la semplicità delle operazioni aritmetiche, una duttilità e una semplicità che risaltavano ancora di più se paragonate alla macchinosità dei numeri romani e alla complessità delle operazioni eseguite con l’abaco o con la tavola di Gerberto e i suoi gettoni, che pur comportavano una certa conoscenza, se non degli algoritmi di calcolo e della scrittura posizionale, almeno delle cifre arabe. La stessa classe mercantile che emette-

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va ordinanze contro i giocolieri a dieci cifre era quella che avrebbe tratto i maggiori vantaggi dalla diffusione dei nuovi metodi di calcolo. In effetti è proprio dall’espandersi delle dimensioni delle imprese commerciali, e dalle conseguenti necessità contabili, che vengono le motivazioni per la diffusione, se non del Liber abaci in quanto tale, certamente delle tecniche e delle notazioni innovative che conteneva. Agli inizi il mercante viaggiava assieme alle sue merci, che commerciava spostandosi da una piazza all’altra. L’espandersi e l’intensificarsi dei traffici portarono in breve ad aziende che dal centro governavano estese reti anche di decine di rappresentanti residenti nelle diverse città, mentre l’aumentare del volume dei prodotti trattati e del loro valore impose il ricorso alla costituzione di società o compagnie, non solo unifamiliari e per un singolo negozio, ma aperte a estranei e attive per periodi di tempo più o meno lunghi. Il controllo di queste reti commerciali, benché gli agenti avessero una notevole autonomia per la necessità di prendere decisioni rapide specie in rapporto alla lentezza delle comunicazioni, poggiava su due pilastri: da una parte un efficiente servizio postale gestito in proprio dalle stesse corporazioni di mercanti, e dall’altra un collaudato sistema di contabilità che la pratica aveva sempre più perfezionato. Le scritture contabili, che all’inizio erano semplicemente un aiuto per la memoria, con lo svilupparsi delle attività divennero un indispensabile strumento di gestione, sempre più raffinato e funzionale. E se, come si è detto, per un certo periodo prevalse la diffidenza verso le nuove notazioni, ben presto i mercanti si convinsero dell’utilità di tenere sistematicamente per iscritto la loro contabilità: la mercatura divenne così l’unica professione non dotta che imponeva a chi l’esercitava la pratica assidua della scrittura. L’uso di registrare in modo regolare e completo i fatti dell’impresa si diffuse talmente che già nel Trecento si riconobbe ai libri contabili il valore di prove in giudizio. Contemporaneamente essi andavano assumendo funzioni e caratteri specifici: accanto alla prima registrazione per memoria, comparve il giornale con la scrittura quotidiana in successione cronologica delle operazioni, e poi il libro mastro, dove a ogni corrispondente abituale era riservato un suo conto apposito, diviso in dare e avere, e infine altri

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Biccherna Senese: il camarlingo e lo scrittore.


quaderni particolari relativi ai beni patrimoniali e strumentali, alle merci, ai soci. La tenuta dei libri contabili richiedeva dunque non solo una generica capacità di leggere e scrivere, ma la padronanza di tecniche matematiche specifiche. La diffusione delle cifre arabe e dei corrispondenti metodi di calcolo avviene in gran parte attraverso istituzioni forse uniche nella storia d’Europa: le scuole d’abaco. Fin dal loro primo apparire, queste occuparono, accanto alle scuole di grammatica, il secondo livello del corso di studi, che faceva seguito a un primo ciclo scolastico elementare in cui i ragazzi imparavano a leggere e scrivere in latino e volgare (2). Mentre la scuola di grammatica era dedicata all’approfondimento del latino e allo studio delle lettere, la scuola d’abaco era riservata all’apprendimento della matematica e aveva in prevalenza lo scopo di preparare all’esercizio di attività mercantili, commerciali e artistiche. Il primo maestro d’abaco fu probabilmente lo stesso Fibonacci, che almeno in età matura dovette istruire i giovani pisani alle nuove tecniche, e fungere da consulente del Comune per misure e calcoli, due tipiche occupazioni dei maestri d’abaco medievali. Una testimonianza decisiva è la ben nota delibera del Comune di Pisa, che tra il 1233 e il 1241 assegnò a Fibonacci una pensione annua per i suoi meriti passati e per i servigi che renderà alla comunità. Si tratta di un documento notissimo, che tra l’altro è anche riportato su una lapide posta nel 1867 all’Archivio di Stato di Pisa (3), e che, anche se di data incerta, permette di fissare un terminus post quem per la data di morte di Fibonacci: Considerantes nostre civitatis et civium honorem atque profectum qui eis tam per doctrinam quam per sedula obsequia discreti et sapientis viri magistri Leonardi bigolli in abbacandis estimationibus et rationibus civitatis eiusque officialium et aliis quoties expedit conferuntur ut eidem Leonardo merito dilectionis et gratie atque scientie sue prerogativa in recompensatione laboris sui quem sustinet in audiendis et consolidantis estimationibus et rationibus supradictis a comuni et camerariis publicis de comuni et pro comuni mercede sive salario suo annis singulis libre XX denariorum et amisceria consueta dari debeant ipseque pisano comuni et suis officialibus in abbacatione de cetero more solito servat presenti constitutione firmamus (4).

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Bisognerà aspettare quasi mezzo secolo perché l’esempio di Fibonacci sia seguito da altri maestri, e scuole d’abaco vengano aperte e fioriscano in varie città, soprattutto nei centri della Toscana più attivi economicamente, dove le attività mercantili si consolidano e si espandono, dando luogo a una opulenta borghesia commerciale, che non tarderà di lì a poco di rivendicare per sé il controllo politico delle repubbliche. Attorno alle scuole d’abaco fiorisce poi un’attività sistematica di produzione di testi e manuali, in molti dei quali è evidente l’influenza del Pisano. A volte si tratta di vere e proprie volgarizzazioni delle sue opere, facilitate con l’eliminazione delle parti più astratte e teoriche; più spesso l’autore si limita a scavare nella miniera di esempi e problemi del Liber Abaci, per trarvi materiale da inserire nel proprio trattato. Il primo maestro d’abaco attestato è un non meglio noto Pietro di Bologna, che compare come testimone di un atto di vendita a uno scolaro guascone. Pietro ebbe un figlio di nome Giovanni, che fece testamento nel 1279 e che fu anche lui maestro d’abaco. Quasi sicuramente esercitarono entrambi l’insegnamento a livello privato. Sono invece maestri pubblici quelli che esercitarono durante l’ultimo quarto del secolo XIII in varie città d’Italia, soprattutto in Toscana. Per lo più essi venivano stipendiati dai Comuni, come avvenne ad esempio a San Gimignano, dove nel 1279 troviamo nominato un non meglio precisato Michele, che venga provvisto di una pensione … per il tempo che starà a San Gimignano per insegnare ai fanciulli, secondo quanto piaccia agli Otto stanziare per questa pensione (5).

o a Lucca, dove in più occasioni la necessità dell’insegnamento dell’abaco e la sua importanza per lo sviluppo della mercatura furono sottolineate da delibere dei magistrati comunali che stabilirono, tra l’altro, di eleggere un maestro d’abaco il quale “insegni ai fanciulli affinché siano più accorti e sottili nei traffici” (6). Delibere analoghe a quelle dei magistrati lucchesi venivano prese dal Comune di Pistoia nel 1353, quando si nominò maestro d’abaco un Ricco di Vanni da Prato, utilissimo a tutta la città sia insegnando quest’arte, sia misurando la terra per

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i cittadini pistoiesi che vogliano comprare o vendere (7).

Ben presto la diffusione delle scuole d’abaco superò i confini della Toscana, e maestri d’abaco sono attestati nelle più importanti città italiane. Benché ovviamente incomplete, queste testimonianze indicano una netta prevalenza di centri e di maestri d’abaco toscani, soprattutto di Pisa e Firenze. Pisa Bologna San Gimignano Perugia Verona Venezia Siena Savona Lucca Pistoia Genova Genova Arezzo Volterra Modena Brescia

1241 1265 1279 II metà del XIII sec. 1277 1305 1312 1345 1345 1353 1373 c. 1375 1394 1409 1421 1436

Leonardo Fibonacci Pietro da Bologna Michele Lotto da Firenze Gentile dall’abaco Gherardo di Chiaro da Firenze Nello da Pisa Iacopo da Firenze Ricco di Vanni da Prato Tommaso di Miniato da Pisa Tommaso di Bonaccio da Pisa Benedetto di Domenico da Prato Filippo de Follis da Pisa Bonifacio di Ferro Benedetto da Firenze

Da notare un Tommaso di Bonaccio da Pisa, forse appartenente alla stessa famiglia di Leonardo. Abbiamo solo riportato le date attestate da documenti, ma con ogni probabilità insegnamenti d’abaco pubblici venivano tenuti anche anteriormente a queste date. Per quanto riguarda Pisa, dopo Leonardo Pisano dei maestri d’abaco sono attestati solo nel 1399, anno in cui una delibera comunale menziona due docenti locali, Filippo de Follis e il suo socio Iacopo di Maestro Tommaso, che dovevano tenere scuole pubbliche: al primo, probabilmente più anziano, vennero assegnate 105 lire, al secondo 70 lire l’anno (8). Prima di quella data doveva avere esercitato a Pisa anche il

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Trattato di aritmetica e geometria - Biblioteca Comunale - Siena


padre di Iacopo, Tommaso dell’abaco, poiché dal suo testamento, redatto nel 1398, si ricava che egli lasciò al figlio le sedie, i banchi e i libri d’abaco della sua scuola (9). Questo Tommaso è forse da identificare con Tommaso di Miniato o con Tommaso di Bonaccio, entrambi maestri d’abaco a Genova. Più tardi, sempre a Pisa, avremo Cristofano di Gherardo di Dino, attivo durante la prima metà del XV secolo, e autore di una volgarizzazione della Practica geometriae di Leonardo Pisano (1442) (10). Sulla scuola di Cristofano di Gherardo torneremo più avanti. Se come abbiamo detto le scuole d’abaco furono quasi sempre pubbliche, nei centri maggiori, in particolare a Venezia e a Firenze, l’insegnamento dell’abaco avvenne soprattutto a livello privato. A Venezia, si ha testimonianza dell’esistenza di tali scuole fino dal 1305, anno in cui insegnava un certo Gentile dell’abaco. Nei due secoli successivi troviamo numerosi altri abacisti (11), molti dei quali di origini toscane. Durante il Trecento ricordiamo un certo “Dardi Ziio” o “Dardi de Zio”, forse da identificare col maestro Dardi di Pisa autore dell’importante Aliabraa argibra (1344), uno dei pochi trattati medievali di argomento esclusivamente algebrico (12); sempre nel XIV secolo furono attivi il fiorentino Piero di Lapo Foraboschi e il maestro Diamante, ricordato in un passo del codice Palatino 573 (c.1460) della Biblioteca Nazionale di Firenze (13). Altri maestri attivi a Venezia furono Giorgio, Giacomo Moron, Bartolomeo e Francesco di Troilo. All’inizio del Quattrocento, precisamente nel 1408, venne fondata la Scuola di Rialto, con insegnamenti di logica, filosofia naturale, teologia, astronomia e matematica, propedeutici agli studi universitari. Alla Scuola di Rialto studiò Luca Pacioli sotto la guida di Domenico Bragadin, che vi insegnò per trent’anni succedendo a Paolo della Pergola (14). Il Pacioli fu condiscepolo di un altro maestro d’abaco, Antonio Cornaro. Ancora alla fine del Cinquecento, esattamente nell’anno 1587, si potevano contare a Venezia una cinquantina di maestri d’abaco: in una scuola di San Silvestro, il trevigiano Biagio Pellicaneo insegnava a 143 scolari “leger, scriver, abbaco et tenir conto et libri doppii ... il dì de lavoro et la festa” (15). Più precise e dettagliate sono le notizie che abbiamo sulle scuole d’a-

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baco a Firenze, grazie agli studi approfonditi di Elisabetta Ulivi (16). Nell’arco di tempo che va dalla seconda metà del XIII alla prima metà del XVI secolo, la Ulivi ha individuato una settantina di abacisti e venti “botteghe d’abaco” operanti nei quattro quartieri nei quali era articolata la città. La maggior parte delle scuole si trovava nel Quartiere di Santa Maria Novella. Gonfalone dell’Unicorno Scuola di Santa Trinità (c. 1340-1450)

[Biagio il vecchio] [Paolo dell’abaco] [Michele di Gianni] Don Agostino di Vanni Antonio di Giusto Mazzinghi Giovanni di Bartolo Lorenzo di Biagio Mariano di M° Michele Taddeo di Salvestro dei Micceri

Scuola di Lungarno Corsini (1367-1445) Biagio di Giovanni [Antonio Mazzinghi] Michele di Gianni Luca di Matteo Giovanni di Luca Calandro di Piero Calandri Scuola di Via dell’Inferno (1514)

Marco di Iacopo Grassini

Scuola di S. Maria della Scala (1458-1469) Benedetto da Firenze Gonfalone del Leon Rosso Scuola della Corticina dell’abaco Calandro di Piero Calandri (c. 1460-1506) Benedetto da Firenze Pier Maria Calandri Filippo Maria Calandri Scuola di Via Ferravecchi (1493-1500)

Giovanni del Sodo

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Gonfalone della Vipera Michele di Gianni Scuola di Santi Apostoli (1375-1527) Orlando di Piero Mariano di Michele Benedetto di Antonio Banco di Piero Banchi Niccolò di Lorenzo Taddeo di Salvestro dei Micceri Niccolò di Taddeo Micceri Piero di Zanobi Giuliano di Buonaguida della Valle Scuola di Piazza dei Pilli (c. 1447-1458) Calandro di Piero Calandri

mentre relativamente meno numerose erano quelle del Quartiere di Santa Croce: Gonfalone del Carro Benedetto da Firenze Scuola di Orsanmichele (1448 1451) [Bettino di Ser Antonio da Romena] Scuola di Via dei Neri (1475)

Niccolò di Taddeo Micceri

Gonfalone delle Ruote Scuola della Badia Fiorentina (1452-1453) Bettino di Ser Antonio da Romena [Lorenzo di Biagio da Campi] [Scuola di Borgo Pinti] (1519-1522)

Francesco di Leonardo Galigai Giuliano di Buonaguida della Valle

Gonfalone del Leon Nero [Scuola di Piazza Peruzzi] (1283 1334) Iacopo dell’abaco Scuola di Via dei Rustici (c. 1530)

Antonio di Taddeo dei Micceri

e ancora più sporadiche quelle dei quartieri di San Giovanni: Gonfalone del Vaio Scuola di Santa Margherita de Ricci Tommaso di Davizzo dei Corbizzi (1370-1376) Bernardo di Tommaso

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Schema per cambi di monete - Biblioteca Comunale - Siena


[Cristofano di Tommaso] Antonio Mazzinghi Scuola del Canto di Croce Rossa (c. 1493-1495)

Iacopo di Antonio Grrassini [Marco di Iacopo Grassini] [Raffaello di Giovanni Canacci]

Gonfalone del Drago [Benedetto da Firenze] Scuola di Via Teatina (1452-1464)

e di Santo Spirito: Gonfalone del Drago [Scuola di Via della Chiesa (1458-1469)] [Lorenzo di Biagio da Campi] Gonfalone del Nicchio Raffaello di Giovanni Canacci Scuola di Borgo S. Iacopo (c. 1495) Gonfalone della Scala Scuola di Via dei Bardi (1495-1499)

Ser Filippo

A un così gran numero di scuole corrispondeva un altrettanto grande numero di studenti, al punto che si può a ragione parlare di un’istruzione di massa. Scrive Giovanni Villani nella sua Cronica relativamente al 1338: Troviamo ch’e’ fanciulli e fanciulle che stanno a leggere da otto a diecimila. I fanciulli che stanno a imparare l’abbaco e algorismo in sei scuole, da mille a milledugento. E quegli che stanno ad apprendere la grammatica e la loica in quattro grandi scuole, da cinquecentocinquanta in seicento (17).

I dati forniti dal cronista fiorentino ci informano che ciascuna delle sei scuole d’abaco attive a Firenze nel 1338 aveva in media 170-200 studenti. In effetti negli anni 1386-1387 la scuola d’abaco dei maestri Biagio e Luca doveva contare proprio circa 200 alunni. Molto tempo dopo, nella prima metà del Cinquecento, lo stesso numero di scolari frequentava la Scuola dei Santi Apostoli di maestro Niccolò Micceri, scuola in vita da oltre un secolo e sicuramente molto quotata. Nello

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stesso anno d’altra parte, la Bottega di Via dei Rustici di un non ben identificato maestro Antonio, una scuola senz’altro meno importante della precedente, aveva invece solo 40 studenti. Altrettanti erano stati i ragazzi che avevano frequentato nel 1433 la Bottega di Santa Trinita, al tempo di maestro Giovanni di Bartolo, allora settantenne e molto sofferente a causa di una grave caduta che lo aveva reso zoppo. Anche le quote che gli studenti dovevano pagare per un corso di studi in una scuola d’abaco subivano sensibili variazioni. In genere, come risulta da numerosi Libri di ricordi, il costo di un anno di studi variava da mezzo fiorino a un fiorino, a seconda della fama del maestro. A questa cifra si dovevano poi aggiungere varie mance o “vanti”, che le famiglie dei ragazzi davano all’insegnante in occasione di particolari ricorrenze: la Candelora, la Pasqua, Ognissanti e Natale. Ad esempio, tra la fine del 1460 e la fine del 1461, Francesco Castellani racconta di aver speso 5 lire e 8 soldi, esattamente un fiorino, più 16 soldi e 6 denari di mance (18), per un anno di corso del figlio Niccolò alla Scuola di Piazza dei Pilli del maturo ed esperto maestro Calandro. Bernardo Machiavelli, parlando di Pier Maria Calandri, il giovane maestro d’abaco del figlio Niccolò, scrive: ... e d’acordo fumo gli dovessi dare per insegnatura di tutto fiorini uno largo in questo modo, cioè uno mezo quando entrerà nelle librettine, e un altro mezo fornito gli arà d’insegnare.

In base ai dati precedenti, si può in definitiva ragionevolmente ritenere che a Firenze un maestro d’abaco titolare di una scuola ricavasse da un minimo di 20 fiorini a un massimo di 200 fiorini l’anno. Anche tenendo conto delle spese di gestione, si tratta di un guadagno nettamente superiore allo stipendio medio di un maestro d’abaco comunale. Altro invece è il discorso per coloro, usualmente maestri più giovani, che collaboravano con un maestro anziano nella conduzione di una scuola. In genere questi venivano pagati in ragione degli alunni e del programma svolto, come appare dal contratto stipulato tra Francesco Galigai e Giuliano della Valle, in virtù del quale Giuliano della Valle avrebbe ricevuto un tanto per ogni scolaro che entrava nelle differenti “mute”, e precisamente:

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Alle Librettine Alla Prima de’ partitori Alla Seconda de’ partitori Alla Terza de’ partitori Ai Rotti Alla Regola del tre Alle Monete fiorentine

7 soldi 5 soldi 5 soldi 3 soldi 4 soldi 4 soldi 4 soldi

Il contratto specificava poi che una volta arrivate a 12 fiorini, le spettanze si sarebbero ridotte a 3 soldi a scolaro per le librettine, e uno per le altre mute. Lo stesso rogito specificava quali erano le materie da insegnare: 1. Dicho che la prima muta si chiama librettine, nella quale muta si chontiene rachorre, multiprichare librettine, e ragione che in atto nessuno non vi intervengha el partire. 2. Doppo la muta detta librettine segue una muta di ragione detta prima de’ partitori, nella quale gli scholari fanno regholi e ragione le quali non si partono se none una volta. 3. Quando l’aranno imparata di modo entrino nella sichonda de’ partitori.... E chiamasi la sichonda de’ partitori tutte le ragioni che si partono dua volta, bene che più volte si multiprichino. 4. Quando l’aranno inparata di modo entrino nella terza de’ partitori.... E la terza de’ partitori s’intende tutte le ragioni che si partono tre volte o più. 5. Quando aranno inparato detta terza de’ partitori di modo entrino ne’ rotti.... E e rotti s’intendono multiprichare, partire, agugnere, trarre quale più ho quanto piglia, e rechare in parte; non abandonando gli scholari e regholi. 6. Quando aranno inparato detti rotti di modo entrino nella regola delle tre chose.... E detta reghola fa dua efetti, cioè detta vende o si detta chompera, chome si vede per pasato che s’è insegniato. 7. Quando aranno inparato detta reghola delle tre chose di modo entrino nelle monete fiorentine (19).

Un documento ancora più ampio si trova nella Pratica di geometria di Cristofano di Gherardo di Dino (1442): 1. Prima, quando lo garzone viene a schuola, si l’insegnia a fare le fighure, cioè 9, 8, 7, 6, 5, 4, 3, 2, 1. 2. Poy l’insegnia lo ponere alle mano, cioè alla mano mancha l’unità et a

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Leonardo Fibonacci alla corte di Palermo presenta il “FLOS” a Federico II.


mano ricta le decine, centonaia e migliaia. 3. Poy li fa lo libbrecto. 4. Poy se fae lo partire. 5. Poi si fa lo multipricare de’ rocti. 6. Poy si fa l’agiungere de’ roti. 7. Poy si fa lo partire. 8. Poy si fa meritare denari senpricimente, alcune ragioni; di poy meritare a capo d’anno. 9. Poi si fa lo misurare delle terre, cioè recare a quadro. 10. Poy si fa denari dello sconto, cioè sconti senprici e sconti a capo d’anno. 11. Poy si fa le ragione delli arienti a uncie. 12.Poy si fa lo aconsolare et alleghare delli arienti. 13.Poy la prima oppositione. 14.Et nota che in fra le sopradicte mute, s’usa la matita alli scolari sighondo lo modo, cioè sighondo le mute che fanno. Et, in fra dì, fare accogliere in pancha a le mani, et alchuna volta in taula, et alchuna volta dare loro alchune ragione straordinarie, come pare al maestro. 15.Et nota che questa è reghula generale: ogni sera dare loro le ragione, a ciaschuno sigondo le mute loro, che le denno recare facte la mactina rinvegniente. Et nota che, se fusse festa, le ragione sopradicte si danno doppie (20).

Nel Cinquecento, sotto l’azione combinata della stampa, che metteva disposizione di tutti libri a buon mercato sui quali studiare da sé, della crisi economica, che riduceva drasticamente il numero degli addetti al commercio, e delle scuole confessionali sorte anche sulla scia del Concilio di Trento, la funzione delle scuole d’abaco si ridusse notevolmente. Se a Venezia ancora alla fine del secolo erano attive molte scuole private, in Toscana queste scomparirono quasi tutte, e con esse quell’istruzione universale che sembrava sul punto di realizzarsi due secoli prima. Perché si giunga di nuovo a un livello di scolarità confrontabile con quello descritto dal Villani bisognerà attendere più di tre secoli. Enrico Giusti Dipartimento di Matematica Università degli Studi di Firenze

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NOTE Statuti dell’Arte del Cambio di Firenze (1299-1316), a cura di G. CAMERANI MARRI, Firenze 1955. (2) Talvolta, soprattutto verso la fine del Medioevo, l’apprendimento dei primi rudimenti dell’aritmetica poteva avvenire parallelamente a quello della scrittura e della lettura, sotto la guida di uno stesso maestro. (3) Si veda Iscrizione collocata nell’Archivio di Stato in Pisa a onore di Leonardo Fibonacci, cui va unita una spiegazione del prof. Francesco Bonaini, Pisa 1867. (4) Constitutum pisanum legis et usus, Archivio di Stato di Pisa. Pubblicato in F. Bonaini, Memoria unica sincrona di Leonardo Fibonacci, nuovamente scoperta, Giornale Storico degli Archivi toscani, I (1858), p. 238-246: “Considerando l’onore e il profitto della nostra città e dei cittadini, che derivano loro dalla dottrina e dai diligenti servigi del discreto e sapiente maestro Leonardo Bigollo nelle stime e ragioni d’abaco necessarie alla città e ai suoi funzionari, e in altre cose quando occorre, deliberiamo col presente atto che allo stesso Leonardo, per la sua dedizione e scienza e in ricompensa del lavoro che sostiene per studiare e determinare le stime e le ragioni sopraddette, vengano assegnate dal comune e dal tesoro pubblico venti lire a titolo di mercede o salario annuo, oltre ai consueti benefici, e che inoltre lo stesso [Leonardo] serva come al solito il comune pisano e i suoi funzionari nelle pratiche d’abaco”. (5) I. VICHI IMBERCIADORI, L’istruzione a San Gimignano dal secolo XIII al secolo XX, Miscellanea Storica della Valdelsa, LXXXVI (1980), p. 60. (6) P. BARSANTI, Il pubblico insegnamento in Lucca dal secolo XIV alla fine del secolo XVIII, Lucca, Tip. Marchi, 1905 (rist. anast. A. Forni, Bologna, 1980), p. 55. (7) A. ZANELLI, Del pubblico insegnamento in Pistoia dal XIV al XVI secolo, Roma, E. Loescher, 1900, p. 39. (8) T. ANTONI, Le scuole di abaco a Pisa nel secolo XIV, Economia e Storia, 20 (1973), pp. 334 - 335. (9) Ibidem, p 336. (10) La Pratica di geometria. Volgarizzata da Cristofano di Gherardo di Dino cittadino pisano. Dal codice 2186 della Biblioteca Riccardiana di Firenze, a cura e con introduzione di G. ARRIGHI, Pisa, Domus Galilaeana, 1966. (11) E. BERTANZA, G. DALLA SANTA, Documenti per la storia della cultura in Venezia, I.. Maestri, scuole e scolari in Venezia fino al 1500, Venezia, Tip. Emiliana,1907: pp. 1 e segg., e Indice dei nomi. (12) MAESTRO DARDI (sec.XIV), Aliabraa Argibra dal manoscritto I. VII. 17 della Biblioteca Comunale di Siena, a cura e con introduzione di R. FRANCI, Quaderni del Centro Studi della Matematica Medioevale 26, Siena, 2001. (13) G. ARRIGHI, Nuovi contributi per la storia della matematica in Firenze nell’età di mezzo (il Codice Palatino 573 della Biblioteca Nazionale di Firenze), “Istituto Lombardo, Accademia di Scienze e Lettere, Rendiconti, Classe di Scienze, A”, 101 (1967), p. 401. (14) C. MACCAGNI, Le Scienze nello Studio di Padova e nel Veneto, in Storia della Cultura (1)

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Veneta, 3/III, Vicenza, Neri Pozza, 1981, pp. 149, 160 -161. (15) V. BALDO, Alunni, maestri e scuole in Venezia alla fine del XVI secolo, Como, New Press, 1977, pp. 62-63. (16) E. ULIVI, Benedetto da Firenze (1429-1479), un maestro d’abaco del XV secolo. Con documenti inediti e con un’Appendice su abacistl e scuole d’abaco a Firenze nei secoli XIIIXVI, Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche, XXI (2001). Si veda anche E. ULIVI, Scuole e maestri d’abaco in Italia tra Medioevo e Rinascimento, in Un ponte sul Mediterraneo. Leonardo Pisano, la scienza araba e la rinascita delle matematiche in Occidente, a cura di E. GIUSTI e R. PETTI, Polistampa, Firenze, 2002. (17) G. VILLANI, Cronica…a miglior lezione ridotta coll’aiuto de’ testi a penna, Firenze, Sansone Coen, tomo III, 1845, p. 324. (18) Ricordiamo che a Firenze, fino verso la metà del Duecento, 1 fiorino valeva 1 lira; tra il 1350 e il 1390 circa, valeva da 3 lire a quasi 4 lire; tra il 1460 e il 1500 valeva da 5 1ire e 8 soldi fino a 7 lire. Inoltre 1 lira = 20 soldi, 1 soldo = 12 denari. (19) R.A. GOLDTHWAITE, Schools and teachers of commercial arithmetics in Renaissance Florence, The Journal of European Economic History, 1 (1972), pp. 422-423. (20) G. ARRIGHI, Un “programma” di didattica di matematica nella prima metà del Quattrocento (dal Codice 2186 della Biblioteca Riccardiana di Firenze), Atti e Memorie della Accademia Petrarca di Lettere, Arti e Scienze di Arezzo, n.s., 38 (1965-1966), pp. 120-125: G. ARRIGHI, La Pratica di geometria…, cit., pp. 7-8.

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PREMIO LEONARDO FIBONACCI XV edizione



Roberto Colaninno, nato a Mantova nell’agosto del 1943, sposato con due figli, è Presidente e Amministratore Delegato di Piaggio & C. S.p.A. (Gruppo Piaggio) e Presidente di IMMSI S.p.A., società quotate alla Borsa di Milano. IMMSI S.p.A. controlla il 55% circa del capitale del Gruppo Piaggio. Dopo le iniziali esperienze in Fiaam, azienda italiana di componentistica auto di cui diviene Amministratore Delegato, fonda nel 1981, a Mantova, la Sogefi, sempre operante nella componentistica auto, e ne guida il processo di espansione, anche sui mercati internazionali, fino a farne uno dei principali gruppi italiani del settore, quotato in Borsa. Nel settembre del 1996 è chiamato ad assumere l’incarico di Amministratore Delegato della Olivetti, nel pieno di una grave crisi finanziaria e industriale. In breve tempo, anche grazie ad una strategia di accordi internazionali, porta a compimento un vasto piano di risanamento, che trasforma il Gruppo di Ivrea in una holding di telecomunicazioni, con quote di controllo in Omnitel e Infostrada e con partecipazioni di minoranza nell’Information Technology. Nel settembre 1998, Roberto Colaninno fonda Omniaholding S.p.A., società finanziaria di famiglia di cui è Presidente del Consiglio di Amministrazione. Nel febbraio del 1999, alla guida di una Olivetti completamente risanata, lancia sul mercato la più grande operazione di acquisizione mai tentata sino ad allora in Italia: l’Offerta Pubblica di Acquisto del 100% di Telecom Italia, per un valore complessivo equivalente a oltre 60 miliardi di euro. A seguito del successo dell’Opa, conclusa con l’acquisizione del 51% circa di Telecom Italia da parte di Olivetti, Roberto Colaninno diviene Presidente e Amministratore Delegato di Telecom Italia, oltre che Presidente di TIM, cariche che mantiene fino al 31 luglio 2001.

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Nel settembre 2002 Roberto Colaninno costituisce, insieme ad altri soci, Omniainvest S.p.A., società di partecipazioni oggi controllata per il 79,5% da Omniaholding S.p.A. Nel novembre 2002, attraverso le controllate Omniainvest e Omniapartecipazioni S.p.A., acquisisce il controllo di IMMSI S.p.A., società di gestione di attività immobiliari quotata in Borsa, di cui diviene Presidente. Alle attività immobiliari IMMSI affianca, a partire dal febbraio 2003, anche quelle finalizzate all’acquisizione di partecipazioni in aziende industriali e di servizi, tra cui quelle di controllo del Gruppo Piaggio (ottobre 2003), del Gruppo Rodriquez Cantieri Navali (maggio 2004) e del Gruppo Aprilia (dicembre 2004). Roberto Colaninno, membro dal 1997 al 2002 del Consiglio Direttivo e della Giunta Nazionale di Confindustria, è Cavaliere del lavoro. Nel 2001 è stato insignito della laurea honoris causa in Economia e Commercio dall’Università degli Studi di Lecce. È membro del Consiglio di Amministrazione di Mediobanca, nonché membro del Consiglio di Amministrazione e del Patto di Sindacato del Gruppo Bancario Capitalia, in rappresentanza di Omniaholding e di IMMSI che partecipano, ciascuna con una quota intorno allo 0,45% del capitale, all’azionariato del gruppo bancario. È membro della Giunta di Confindustria.

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Dott. Roberto Colaninno - Premio Leonardo Fibonacci 2007


LA MOTIVAZIONE E IL PREMIO Il Dott. Roberto Colaninno è un imprenditore che ha voluto fortemente impegnarsi nello sviluppo dell’area pisana acquisendo Piaggio & C. per farle assumere in pochi anni il ruolo di primo produttore delle due ruote in Europa e tra i primi al mondo. La capacità di rinnovamento delle tecnologie di prodotto e di processo, la presenza sui principali mercati, con l’acquisizione di marchi e siti produttivi e con la realizzazione di nuove iniziative, hanno fatto riconoscere alla storica azienda una posizione di assoluto rispetto, tanto più pregevole perché ottenuta mantenendo la centralità dell’impresa sul territorio pisano.

Medaglia d’oro - Coniatura ad alto rilievo, successiva martellatura del bordo e finitura a mano.




INDICE - INTRODUZIONE

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- IL PREMIO FIBONACCI

7

ALBO D’ORO REGOLAMENTO

9 11

- LEONARDO FIBONACCI DA PISA

13

- L’EREDITÀ DI FIBONACCI

35

SCUOLE E MAESTRI D’ABACO NELLA TOSCANA MEDIEVALE

- PREMIO LEONARDO FIBONACCI XV edizione LA MOTIVAZIONE E IL PREMIO

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Finito di stampare


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