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Peak&tip

Progettare il futuro

di Luca Calzolari*

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Sono tante le lezioni che abbiamo appreso in questi lunghi mesi di pandemia. Impossibile elencarle tutte. Non è questo il contesto, né il momento giusto. E altre ne impareremo nei mesi a venire. Eppure c’è un elemento che, più di altri, appare chiaro ai miei occhi: la montagna è al lavoro per costruire una nuova centralità. Parlo di una nuova acquisizione non a caso. Perché la montagna, come ben sappiamo, anche nella sua storia più recente è stata epicentro di vita. Nel dopoguerra, complici i richiami del boom economico, le Terre alte si sono progressivamente spopolate. I segni di quella scelta sono ben evidenti ancora oggi, nei molti paesi che si rianimano solo d’estate, nelle frazioni abbandonate e mai più abitate, le cui macerie sopravvivono e spesso si mostrano con pudore avvolte dalla vegetazione, anche durante le nostre escursioni. Indizi meno evidenti, ma non meno importanti, si ritrovano nell’abbandono dei campi, del bosco, nelle attività tradizionali, nelle mulattiere cancellate da eventi imprevedibili o dalla trascuratezza figlia del loro mancato utilizzo. Ebbene, già prima che il Covid contribuisse alla rivalutazione popolare della montagna, nel corso degli ultimi anni abbiamo assistito a timidi (ma non troppo) segnali di ripresa, che già in tempi non sospetti facevano intravedere l’inizio di una nuova stagione. Non turistica, sia chiaro. O almeno non del tutto. Già prima del 2020 ha, infatti, avuto inizio il percorso di ri-progettazione del futuro della montagna, che non passa certo solo attraverso scelte individuali. Questo nuovo rinascimento - in cui al centro di tutto ci sono l’ambiente, il paesaggio, la natura e le relazioni umane - coinvolge ogni aspetto della vita produttiva e sociale di una comunità, qualsiasi sia la comunità in questione. Che il futuro sia già ora lo dimostra il percorso intrapreso dalla Carnia, regione prevalentemente montana del Friuli-Venezia Giulia. Il progetto che hanno imbastito (“Carnia 2030”) ha messo insieme privato e pubblico in un percorso reale di co-progettazione, che può farsi ancor più concreto grazie anche a nuove opportunità economiche. Alle tradizionali e non sempre sufficienti risorse provenienti da Stato, Regioni ed enti che governano i territori, ora si sommano i finanziamenti dei programmi europei 2021-2027 e soprattutto le risorse del Recovery Plan. Al primo incontro, rigorosamente online, si sono iscritte più di trecento persone (tra cui mi confermano dalla Carnia anche tanti nostri Soci). A diversi tavoli tematici ha aderito anche la Sezione Cai di Tolmezzo. L’interesse c’è, ed è diffuso. «Viviamo un momento che non avremmo mai immaginato, che dimostra come non sia possibile prevedere tutto» ha detto nel suo intervento Annibale Salsa che, tra le altre cose, oltre a essere past president Cai, è anche presidente del comitato scientifico dell’Accademia della Montagna del Trentino. «Mi sono chiesto cosa sarebbe successo se questa pandemia fosse capitata negli anni Sessanta o Settanta» ha aggiunto Salsa. «Le risposte sarebbero state sicuramente diverse. Fortunatamente oggi siamo in grado di riconoscere il valore della qualità ambientale e paesaggistica», ha aggiunto. Si tratta di una questione assai poco scontata che, di fatto, si stratifica sulla ritrovata attenzione che in questo nuovo millennio ha portato alla creazione di originali fenomeni, come lo è ad esempio quello dei “ritornanti”, che ha facilitato la nascita di numerose cooperative di comunità. Le nuove economie di montagna sono anche oggetto di riflessioni e studi, tanto da trovare spazio in eventi non tradizionalmente ad appannaggio della montanità. Penso alle Giornate dell’economia civile di Bertinoro organizzate da Aiccon, l’Associazione italiana per la promozione della cultura della cooperazione e del non-profit. Una delle nuove anime di questa co-progettazione diffusa, infatti, in Carnia come altrove coinvolge anche il mondo del terzo settore. Perché da soli (e senza la componente sociale) non si va da nessuna parte. C’è poi chi sceglie la montagna perché lì c’è una migliore qualità di vita. C’è chi sceglie la natura e gli spazi all’aperto, chi il recupero della storia e delle proprie tradizioni familiari. Ci sono Comuni che hanno scelto di vendere ai giovani le case abbandonate dei piccoli borghi a un solo euro. Iniziativa lodevole, non c’è che dire. Ma ciò che più conta, nel fare le cose, è farle insieme. E in montagna questo è ancora più importante.

* Direttore Montagne360