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Associazione di Promozione Sociale iscritta al Registro dell’Associazione della Provincia di Mantova negli ambiti: civile-sociale, culturale e attività sociale. Decreto n. 17/2007

Curato da Associazione Cultural e Ca’ Gioiosa • Via Trieste, 44

• Mantova

aprile

gioiosa entra nelle case

SOMMARIO Il puntino sotto l’interrogativo Terra di Siena bruciata Una porta aperta sul mondo Viaggiare in un mondo globale Virgilio e il mito della Terra Madre Gea, ovvero le origini del mondo Di terra in terra La buona terra L’attesa e il compito Il letargo Il corpo della natura Piatto di terra

Foto Claudio Compagni

TERRA

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Il puntino sotto l'interrogativo

Foto Giovanni Fortunati

«Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto, ché della nova terra un turbo nacque e percosse del legno il primo canto. Tre volte il fé girar con tutte l'acque; a la quarta levar la poppa in suso e la prora ire in giù, com'altrui piacque, infin che 'l mar fu sovra noi richiuso». [Inferno, XXVI, 136-142] Quando ti metti a saltare di gioia, bada che qualcuno non ti tolga la terra da sotto i piedi. [Stanislaw J. Lec, Pensieri spettinati]

La invocavano i naviganti, stanchi di mare. La cercavano i pionieri. Per gli Ebrei era Promessa. Per tutti i popoli, una Madre – o una madrepatria. Il parlare comune traccia gli estremi: “essere a terra” designa uno stato di depressione, ma “avere i piedi per terra” equivale a un comportamento concreto e pragmatico. Se si vola, prima o poi bisogna atterrare; e per fare un discorso “terra terra”, vanno evitati termini troppo elevati o antiquati. Fu la materia per eccellenza, originaria e seminale: non per nulla l'Adamo biblico era costituito d'argilla; e argillose furono le statuette vo-

tive presso diverse religioni, nonché le tavolette su cui si vergarono le prime scritture (sacre o profane). Lavorare la terra, ossia coltivarla, è il fondamentale paradigma della sapienza umana: i progenitori che impararono ad intervenire sulla natura, a modificarla rendendola produttiva, hanno inaugurato un'attività ben lungi dall'esaurirsi. Addirittura, la “coltura” divenne per metafora “cultura”. I colori delle arti pittoriche, prima dell'avvento della chimica, si ottenevano anche con le terre e le ocre; la scultura non disdegnò certo la terracotta, né l'architettura arcaica il materiale fittile. Dedicare un numero di “Ca'rte” alla TERRA si-

gnifica dunque inaugurare una serie di temi fondamentali, primordiali, ancestrali. Per dimostrare che tutto – per quanto reso complesso ed evoluto nel corso del tempo – si può semplificare, ridurre agli elementi essenziali. Ecco di seguito il risultato, con interventi al solito variegati e differenziati per competenze, tono, stile. Non resta che leggerli, con la speranza che si sia riusciti a circoscrivere l'argomento, a incuriosire, a far scoprire qualcosa di nuovo riguardo alla terra – o alla Terra. A ciò che Stanisalw Lec definiva “questo puntino sotto l'interrogativo”. Claudio Fraccari

Terra di Siena bruciata La “campagna ben governata” secondo Ambrogio Lorenzetti

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uccellino va a beccare i chicchi), altri arano con l’aratro senza ruote di origine romana, altri ancora mietono e trebbiano il grano rigoglioso che dalle terre ubertose germoglia nella bella stagione, tra la Primavera e l’Estate; e quando Ambrogio dipinge gli incantevoli toni bruciati delle terre di Siena non è immemore dei paesaggi di Giotto e di Simone Martini. Alcuni contadini salgono verso la città turrita a portare ai proprietari delle terre che essi lavorano, chi delle uova, chi un maiale, chi grano o farina, chi muli carichi di bisacce gonfie di altri doni della terra, uve e olive. In questa terra bionda come poche altre si

potrà lavorare la terra senza paura, senza correre rischi, senza disuguaglianze; secondo le norme fissate nei cartigli senesi del Buon Governo redatti in perfetta intesa tra feudatari e contadini; che è il fine realizzato di una civiltà ideale. Un viaggiatore d’oggigiorno, che si trovasse a passare nelle terre tra Siena ed Arezzo, incontrerebbe quasi la medesima pezzatura e geometria delle terre così come le aveva dipinte Lorenzetti. Forse non hanno tutti i torti i sostenitori di una Natura che imita l’Arte. Gian Maria Erbesato

Ambrogio Lorenzetti, Gli effetti del Buono e del Cattivo Governo, Palazzo Pubblico (Siena)

Il pittore Ambrogio Lorenzetti (Siena 1285-1348), attivo soprattutto nella città natale, ivi affresca, nel Palazzo Comunale, lo splendido ciclo pittorico intitolato “Effetti del Buono e del Cattivo Governo”. Nell’affresco del Buon Governo, tra le mura della città (la Siena del Trecento) e l’ultimo orizzonte delle terre coltivate, si distende un panorama di respiro e di veridicità mai raggiunti, fino ad allora, in pittura; un panorama nel quale si riconosce la più eloquente immagine del paesaggio campestre giuntaci dal Medio Evo. Nella distesa delle terre senesi si coglie l’operoso via vai di chi lavora la terra. Alcuni seminano (un


Una porta aperta sul mondo Intervista a Andrea Jori

Foto Mara Pasetti

Andrea mi saluta con un sorriso, poi ritorna subito al suo lavoro: decine di disegni con la storia di Pinocchio. Un bel mucchio di fogli colorati sparsi sul tavolo: non fosse che dovunque l’occhio si posi intercetta una forma, sembrerebbe solo lì il caos. Un’opera ricca di simbologie, Pinocchio, solo in parte una favola. Anche in campo artistico è così. Prendi i maestri del passato che ti obbligavano a vari livelli di lettura. Se non abbiamo gli strumenti culturali ci fermiamo alle apparenze. Per questo mi piace intervistare gli artisti… In Italia abbiamo un passato ingombrante: temiamo sempre una frattura con esso senza renderci conto che invece c’è sempre continuità col passato. Il passaggio dall’antico al moderno è vitale. Se la gente non capisce l’opera se ne allontana, si ritrae. Per questo ho scelto di creare un laboratorio aperto al pubblico, per dialogare con la mia gente, in rapporto con la mia città. Lascio che la quotidianità incida sul mio lavoro. Insolito, in genere gli artisti creano nel chiuso dei loro studi, in perfetta solitudine. L’unico momento in cui entrano in comunicazione col pubblico è durante le mostre. Io preferisco non allontanarmi mai dai miei fruitori e cerco di privilegiare sempre l’aspetto divulgativo, il dialogo. Anche nei miei recensori cerco persone che scavano a fondo. Chiunque entri qui può cogliere tutti i passaggi con cui prende forma un’opera, dagli aspetti artigianali ai contenuti. Guardarti, mentre disegni la tua storia di Pinocchio per immagini, mi ricorda il tuo lavoro grafico dei primordi. Con gli anni ci si rende conto di aver fatto tanta strada, ma tutti i viaggi tornano al punto di partenza, il cerchio tende a chiudersi. Io ho cominciato quarant'anni fa, ho fatto cento cose diverse e poi mi sono chiesto qual era il filo conduttore . Ho capito che sono predisposto a una ricerca di espressività totale, ora come agli esordi. Spiegami meglio questo concetto. Qualche esempio? Fin dall’università sono stato attratto dal teatro che ho sempre consi-

d’animo duri a lungo. Una sensazione ti si può spegnere dentro. Dunque, più velocemente puoi fissarla, meglio è. Disegni, progetti sempre prima di operare? Se devi fare un lavoro complesso, non puoi evitare la progettazione. Però sono riuscito a far molti lavori partendo dalla materia per svilupparla poi in corso d’opera. Caso mai mi è più congegnale disegnare alla fine. Spiegami perché. Ogni scultura ne racchiude molte altre in sé. Prova a fotografarla e te ne accorgerai. Così accade anche con il disegno: mi affascina rendermi conto di aspetti di cui non ero conscio al momento dell’esecuzione. Quindi si può dire che ripensi la scultura con il disegno. Nella scultura c’è un’azione istintiva, col disegno subentra la riflessione, sei più distaccato, meno coinvolto. Quando produci arte non puoi essere completamente conscio di ciò che hai espresso. Per questo un critico che sia in sintonia con te a volte ti mette sulla strada giusta per capire il tuo percorso. Può persino capitare che un profano faccia delle osservazioni illuminanti. È importante avere un’opinione personale di un’opera d’arte, filtrata dalla propria esperienza. Tra i tuoi temi prediletti c’è la maternità. Invidio alla donna la gestazione che l’uomo non può sperimentare: ho la sensazione che in quel momento l’umano si avvicini al trascendente. L’immagine in sé è affascinante. Hai scelto spesso di esprimerla con grandi mani in primo piano. Un’opera ha proporzioni che possono ricadere nella soggettività. Dunque si può dirigere l’attenzione di chi guarda su una mano in primo piano: un simbolo di accoglienza, di movimento, di creatività anche. Quindi non è in realtà la mano della madre che rappresenti, ma la tua! Anche il bambino può rappresentare il simbolo della vita in senso lato o simboleggiare te stesso che sei generatore di vita. L’arte ha la funzione di rispondere alle domande dell’uomo. Per questo sei così attratto dalla rappresentazione sacra? È straordinario pensare che un Dio abbia scelto di incarnarsi: questa gratuità, questo essere inerme è fuori da ogni nostra logica. Il fascino di questa scelta sta nella sua attualità. I dubbi, ma anche la speranza non si possono tarpare e in te, artista, scatta una molla che ti induce alla rappresentazione del sacro anche se tu stesso hai mille dubbi. Gli inserti sulla testa delle tue sculture: mi affascinano e incuriosiscono. Sono fondamentali perché propaggini nello spazio che estendono l’opera oltre i suoi confini. Le linee, uscendo dalla figura proseguono all’infinito e simboleggiano anche emozioni, alludere ad altri mondi e modi di pen-

derato una forma espressiva completa. Dopo aver speso la mia vita a sviluppare tutte le componenti artistiche (grafica, pittura, musica, ritmo) sono tornato a una forma espressiva che si richiama al teatro. Facendo installazioni. Questo sentire è presente anche nel lavoro su Pinocchio? Sì, perché io ero specialista nel teatro d’animazione: mi sono laureato sul teatro di burattini di Francesco Campogalliani. Ciò che mi attrae in quest’arte, che si rivolge a bambini come ad anziani, è proprio questa fruizione allargata. E Pinocchio è la finta favola del burattino che nasconde molti simboli per gli adulti. E’ uno dei testi più complessi dell’ Ottocento italiano. Dalla cartapesta dei burattini alla terracotta: si tratta sempre di manipolare la materia. È una delle attività umane più viscerali perché la terra rappresenta uno dei materiali più vicini a noi. E' così innato il bisogno di toccare che ci si immedesima profondamente in questa materia. L’hai dentro di te questo materiale con una confidenza tale che ti permette quasi di “dimenticarlo” per esprimerti con una libertà assoluta. La terra si lavora con estrema immediatezza anche a mani nude: tu imprimi una sensazione in pochi minuti. Mi affascina la possibilità di vedere subito il risultato fissato nella materia. Perché? Se tu provi una sensazione in questo momento non è detto che lo stato

sare. Gli inserti sono realizzati con materiali diversi proprio per far comprendere che la realtà è molto più complessa di quanto noi crediamo. E poi così sottolineo il contrasto tra mobilità e immobilità dell’oggetto. Ecco il risultato cui aspiro: fare della scultura qualcosa di vivo. Cioè il fruitore, a differenza di ciò che accadeva in passato, interagisce con l’opera. È chiamato a un coinvolgimento più profondo. Non solo. I miei lavori riflettono le inquietudini che viviamo ogni giorno, anche culturalmente. Cerco di esprimerlo con la polimatericità (uso contemporaneo di materiali diversi in una stessa opera) associando per esempio al vetro la pesantezza della creta, esprimendo con l’impiego del bronzo quella lucentezza che è estranea alla terracotta. Domani potrei usare la plastica se funzionale ai miei scopi perché non sono condizionato da categorie rigide. Le tue ultime creazioni a quale sfida si ispirano? Una danzatrice ha realizzato una coreografia all’interno di una mia installazione. Si realizza ciò che ho desiderato fin da giovane: un’equipe impegnata a lavorare con entusiasmo su un progetto comune che coinvolga i sensi. Danza, musica, arte, il mio sogno di sempre. Mi va stretta la definizione di scultore.

E si capisce. Andrea Jori è un vulcano di interessi e idee per esprimerli. Mi ricorda un altro scultore, Auguste Rodin, che di se stesso disse: “…ho cominciato come artigiano e in seguito sono divenuto artista. È il metodo migliore, il solo”. Mara Pasetti 03


Viaggiare in un mondo globale Che senso ha il viaggio nell’epoca di internet? Come si modificano gli stili e le motivazioni del viaggiare, oggi che tutto risulta interconnesso, al punto che ogni evento può avere ripercussioni globali, in ogni parte della Terra? Fino a non molto tempo fa mettersi in viaggio significava partire verso un Altrove, ricco di incognite e sorprese; muoversi alla ricerca di mondi diversi dal nostro, a volte addirittura inimmaginabili; andarsene per poi tornare arricchiti, modificati, magari sconvolti dall’incontro inaspettato con quanto si era visto. Vi erano luoghi, sparsi per ogni dove, intorno ai quali risultava davvero arduo, prima della partenza, raccogliere informazioni preliminari, reperire immagini o racconti, che ci facessero capire com’era fatto quel dato posto, come si viveva laggiù, quali le facce dei suoi abitanti. Ma oggi? Qualunque luogo della Terra può essere ormai comodamente visibile e conoscibile, nei più minuti particolari, dalla nostra scrivania di casa: basta navigare su internet, usare un software come Google Earth; per non parlare poi di Twitter e Facebook, o dei tanti blog che ci permettono di dialogare con un numero illimitato di abitanti del pianeta Terra. E questi stessi abitanti oltretutto, giunti proprio da ogni dove, ce li ritroviamo anche per le vie delle nostre città: migranti che in cerca di una vita

migliore, hanno compiuto il grande viaggio fino a noi, portandoci un’infinità di storie drammatiche e romanzesche, di inimmaginabili destini, che tutti loro – se solo ne avessimo voglia – ci potrebbero narrare. Ma allora perché mai viaggiare, quando il mondo intero lo possiamo veder da qui? Il fatto è che il mondo – malgrado internet, malgrado Google Earth – rimane sempre impensabile, inimmaginabile, nei suoi aspetti più concreti, come pure nelle sue verità più intime e recondite. Tutti noi ne possiamo far la prova. Industriamoci, prima di partire per un qualunque posto dove non siamo ancora stati, a raccogliere un gran numero di informazioni (fotografie, libri, resoconti orali) su di esso. Proviamo a immaginarcelo da casa in tutti i suoi dettagli. E poi partiamo, andiamo a vedere di persona. Ebbene: le sorprese, gli imprevisti, le meraviglie saranno ogni volta travolgenti. Nonostante la nostra preparazione puntigliosa, verremo sempre sopraffatti da un paesaggio, da un’atmosfera, da un insieme di sguardi, colori, sapori, gesti, che mai e poi mai avremmo immaginato. La realtà del mondo – l’identità dei tanti luoghi del mondo – va sempre molto oltre quel che ci possiamo figurare: ci disorienta in ogni caso, e proprio così facendo ci arricchisce. Non solo: ci trasforma, volenti o nolenti, in testimoni, in narratori di quanto abbiamo visto. Così che quando torneremo a casa, potremo dire, avremo il dovere di dire ai nostri amici: “Tu non hai idea di quel che si trova laggiù”. È questa la magica frase che da sempre ha spinto tanti uomini e donne al viaggio. Una frase che mantiene intatto il suo valore anche nel nuovo mondo globalizzato in cui ora tutti noi viviamo. Giampiero Comolli

Virgilio e il mito della Terra Madre

La prima leggenda su Virgilio (ancora d’età antica, prima delle fantasticherie medioevali) riguarda la sua stessa nascita: a stretto contatto con la terra. La notte prima di sgravarsi in aperta campagna, appunto sulla nuda terra, la madre aveva sognato di partorire non già un bimbo ma un ramo d’alloro, e questo appena toccò il suolo subito attecchì e crebbe in figura di maestoso albero carico d’ogni sorta di frutti e di fiori. Non è forse improprio accostare la leggenda al mito della Terra Madre, alma parens, che dalle nozze primordiali con l’Etere (la «ierogamia» di Urano e Gea primavera rigenera la natura. Grande mito per grande poesia: Virgilio eredita il motivo da Lucrezio e lo trasmette all’anonimo autore del Pervigilium Veneris Già in Lucrezio, ma ancora più in Virgilio, è lo stesso programma didascalico a generare poesia: così i quattro libri delle Georgiche, formalmente un trattato terra. La Terra è per uomini e cose l’alfa e l’omega, culla e tomba: omniparens, aveva detto Lucrezio, ma anche commune sepulcrum: elemento inderogabile anch mente la giusta pace. Il viaggio di Enea nell’oltremondo è una discesa nel ventre della Terra, dove abitano non solo le anime degli antenati ma anche i simulacri delle generazioni la gran madre delle messi, magna parens frugum, era così benigna da offrire spontaneamente all’uomo i prodotti del suolo. È la speranza, che Virgilio avev Potessimo evocarla anche noi, nei nostri disincantati e frustrati giorni.

Gea, ovvero le origini del mondo Nella Cosmogonia di Esiodo (VI sec. a.C.) si tramanda il mito sulle origini del mondo. In principio era il Caos, il vuoto primordiale, nulla esisteva, neanche il tempo. In questo nulla rivolto su sé stesso, si manifestò il principio femminile: Gea, la Terra in formazione. Essa racchiudeva nel suo interno Tartaro, un abisso ‘infernale’ che rappresenta il fondo delle cose, oltre il quale non vi è alcuna via d’uscita. Insieme a Gea si manifestò Eros, il più bello tra gli dei antichi, che impersona l’energia riproduttiva. Da questa triade iniziale si produssero tutte le cose. Gea diede origine per partenogenesi ad Urano, il Cielo stellato, che volle identico a sé stessa, affinché potesse ricoprirla interamente. Quindi, sempre da sola, generò le montagne, le valli e Ponto, il mare deserto. Il dio Cielo scendeva tutte le notti sulla sua sposa, la dea Terra e insieme procrearono molti figli: Titani, Titanesse, Ciclopi, Ecatonchiri. Tuttavia il dio era geloso e non concedeva spazi ai nuovi individui, anzi li rinchiudeva, appena nati, nel ventre della madre. Il processo generazionale era pertanto bloccato da un amplesso infinito e sterile poiché non tollerava altre vite. Gea non riuscì a sopportare a lungo un tale peso morale e materiale, era necessario un evento forte, di rottura. La Terra escogitò uno stratagemma. Dalle sue viscere estrasse l’acciaio, col quale forgiò una falce. Poi si rivolse ai figli imprigionati dentro di sé, esortandoli a compiere vendetta sul padre per l’ingiustizia a cui condannava tutti loro. Il più piccolo, Crono, rispose all’appello materno e insieme prepararono l’agguato. Una notte, mentre Urano si accostava alla sposa, Crono con la falce recise i genitali paterni e li lanciò in mare. Fecondata dal sangue dello sposo, Gea concepì le Erinni, i Giganti e le Ninfe dalle quali nacque una stirpe umana. Dalla virilità immortale del dio, circondata dalla spuma del mare si generò Afrodite, che i Romani chiamarono Venere e fu dea dell’amore. Così Urano non si avvicina più a Gea per l’unione notturna: il cielo stellato rimane al suo posto e sulla terra la vita può fiorire senza paura di minacce incombenti dall’alto. La procreazione primordiale era terminata, tutti gli esseri potevano adesso trovare un proprio luogo, fuori dai contrasti terribili e oscuri alle origini della materia. Luciano Maria Schepis

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Di terra in terra

Foto Pier Luigi Gibelli

Declinare la parola terra è un esercizio acrobatico perché ci può condurre ovunque, in qualsiasi disciplina, dal momento che la semplice parola evoca immediatamente il dove siamo, dunque la storia dell’umanità. Restringo il campo, zoomando al massimo l’occhio della memoria. La visione di questi giorni è Lampedusa, la fuga di migliaia di esseri umani dalla loro terra, per trovare rifugio in un’altra terra, come sgraditi ospiti. Se si allarga, con lo zoom, il campo visivo, negli stessi giorni si vede che, più a nord, la terra diventa il pretesto per una manifestazione collettiva nella quale si intrecciano ignoranza, falsificazione storica, strumentalità, politica cinica e menzognera. La rimozione e l’alterazione della memoria storica – colpevole, in chi dovrebbe sapere: per ruolo e responsabilità – avviene senza vergogna. La battaglia di Legnano contro l’invasore Federico Barbarossa (più di 900 anni fa) viene oggi presentata come la prima manifestazione dell’identità lombarda, dimenticando che il capo della Lega che si oppose (chiamando truppe da gran parte d’Italia) era il Papa. Sì, quello di Roma. Oppure si dimenticano altri “piccoli” particolari; per esempio che il primo insediamento umano sui laghi di Mantova era etrusco; che le migliaia di uomini e donne che iniziarono (nel 300 e 200 avanti Cristo) l’irregimentazione di fiumi e canali nella pianura veneta erano stati mandati da Siracusa, insomma venivano dalla Magna Grecia, i primi emigranti dalle terre e isole greche. Costoro, e gli etruschi, e i “barbari” che venivano dal Nord Europa (Unni, Celti, ecc.) scendendo dalle valli bergamasche, bresciane, dal Brennero per arrivare fin dopo Roma – questi popoli si mescolarono con le civiltà locali. Questa è la storia della penisola-pontile tra il nord e i paesi del Mediterraneo. Noi italiani – tutti, senza eccezioni – siamo il risultato di uno straordinario melting pot, ossia un crogiolo che ha fuso e fonde diverse etnie. Non c’è nessuna vergogna a dirlo. La vergogna riguarda solo chi dimentica e falsifica. Daniele Protti

e

nella mitologia greca) generò il mondo, e che ogni anno a s, in una trafila che coniuga ad altissimo livello filosofia e lirica, mitologia e storia. o di precettistica agricola, sono in realtà un grande poema dedicato alla Terra, e al lavoro dell’uomo sulla

he nella morte. Perciò l’ombra di Palinuro, la cui salma giace insepolta, scongiura Enea che ricopra di terra quel corpo (tu mihi terram inice!) per avere final-

i future. La catabasi di Enea riconferma la funzione rigeneratrice della Terra: garanzia del mondo a venire, speranza d’un ritorno al regno di Saturno, quando va già espresso – invano – nella quarta bucolica e che ricompare poi a beneficio dell’Italia, evocata come Saturnia tellus.

Giorgio Bernardi Perini

FORSE NON SAPEVATE CHE… Caos non era un dio, ma un gorgo buio paragonabile a una gola spalancata, come indica lo stesso nome Caos, che non significava disordine, ma proviene dal verbo inghiottire. Ciclopi erano giganti con un solo occhio. In Sicilia la loro leggenda trovava conferma nei resti degli elefanti nani, razza che abitava un tempo l’isola e di cui si ritrovano i teschi col foro della proboscide. Crono che i Romani chiamarono Saturno, ricalcò le orme paterne, ingoiando i figli. Fu detronizzato a sua volta dal figlio Zeus col quale ebbe inizio la religione olimpica. Ecatonchiri erano giganti dalle 100 braccia e 50 teste. Erinni erano esseri alati, con serpenti al posto dei capelli, armati di frusta e torce infuocate tormentavano chi aveva suscitato le ire degli dei. In particolare parricidi e matricidi. Eros rappresenta una forza primordiale, antecedente la comparsa degli dei e il cui potere si estendeva sui tre regni: animale, vegetale e minerale. È il desiderio che avvicina e genera tutte le cose, solo in epoca tarda fu identificato con il dio romano Cupido. Esiodo era un giovane contadino, ma molto colto, che pascolava le greggi sul monte Elicona. Quivi si trovano i più antichi luoghi di culto di Eros e delle Muse, ricollegabili alla religione orfica e quindi misteri sacri, metempsicosi… Terra è il nome latino che proviene da un più antico tersa, dal sanscrito e della stessa radice di torreo ‘inaridire’, in contrapposizione ad acqua (L.M.S.).

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Mariarosa Palvarini Gobio Casali

L'attesa e il compito

Foto Vanni Favalli

Nella cultura semita, dentro il cui codice è scritta la Bibbia, “terra” indica fragilità. Da essa è tratto Adamo, il cui nome la richiama, poiché terra è “adamàh”. Adamo, nel volgere del tempo, non sfugge a questa dinamica di provvisorietà, come la liturgia del mercoledì delle ceneri non cessa di ricordarci: “pulvis es et in pulverem reverteris”. Siamo polvere e torneremo polvere. In questa polvere animata dal soffio divino, che noi siamo, dimora un germe di grandezza e una dignità che nessuna fragilità può ridurre a caducità: l’eterno abita la provvisorietà dei nostri giorni. Ma “terra” ha anche un’altra accezione, di grande ricchezza semantica. Per un ebreo dire o pensare “terra” ha una profondità che è sconosciuta alla nostra cultura. Essa non indica semplicemente il campo, il pascolo, il bosco, ma la patria perché è la “terra promessa”. È indistinguibile dal destino dell’uomo perché non è solo né principalmente luogo geograficamente definibile, ma indicazione di un’attesa e di un compito. Attesa: l’entrata nella terra di Canaan non conclude il possesso di essa. È un possesso sempre aleatorio e provvisorio, a cui manca il suggello della definitività. È sì patria, ma in essa perdura la provvisorietà dell’esilio che ne impedisce il pieno e sicuro possesso. Come se Dio non si decidesse ad affidare definitivamente al suo popolo la terra in cui abita. Questa precarietà trasforma la “terra promessa” in “terra della promessa”: terra che, nella sua fisicità locale, rivela di non essere la vera meta dell’esodo antico, ma il segno e l’anticipo – come una caparra – dell’approdo finale. L’approdo è la totalità della promessa: l’eterno oltre la polvere del nostro esodo provvisorio. Come Isaia predice e l’Apocalisse racconta: godere di “terra nuova e cieli nuovi”, dove ogni fragilità e incompiutezza giungono al loro senso pieno e definitivo. Compito: non si sta con le mani in mano ad attendere che il compimento si perfezioni. La terra è affidata all’uomo e ne è responsabile. L’attesa della promessa non giustifica fughe: la terra va presa sul serio. In essa Dio ci ha visitato in Gesù, Verbo eterno fatto carne, eterno divenuto tempo, totalità fattasi frammento. Noi, frammento, prepariamo la compiutezza della terra e dei cieli nuovi, coniugando totalità di attesa e consapevolezza di esilio: radicandoci nella provvisorietà dei giorni, ma innervandoli di tensione per la compiutezza che ci attende. Prendere tutto sul serio, senza aggrapparci a nulla: la patria è oltre. Ulisse Bresciani

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Foto Giuseppe Tripodo

La buona terra

Era il titolo d’un libro della collana della “Medusa” che tutti in casa avevano letto e che finì anche nelle mie mani infantili di accanita lettrice. Mi rimase per sempre nella memoria la figura eroica di una madre cinese in lotta contro gli elementi naturali ed i pregiudizi della sua gente per difendere un pugno di terra. Così vedevo riflesso in mio padre – il primo dottore in agraria della provincia di Mantova – l’ideale del vecchio O’Hara, quando diceva a Rossella che l’unico bene che le avrebbe consentito di continuare a vivere era Tara, la sua proprietà agricola. Dalla mia infanzia un amore profondo mi lega alla terra, anche se oggi, tra tanto cemento, stento a ritrovare le vaste distese d’erba, l’ombra degli alberi lungo i fossati, i lunghi silenzi interrotti dai canti degli uccelli e dalle voci dei contadini. Un destino? La ceramica è entrata nella mia vita così, attraverso il piacere di soppesare una leggerezza impensabile, di stringere tra le mani e di accudire un materiale capace di fruttificare, di far spuntare i fiori, di accoglierci: “sei polvere, e polvere tornerai”. Ho scavato nel terreno e ho scoperto poveri resti di maioliche trattenute nelle zolle o ripulite dall’acqua limpida di un ruscello, con la sorpresa di veder coincidere i pezzi e di ricostruire forme e decorazioni nel materiale a noi più vicino, l’argilla dei fiumi. Dopo tanti anni di studio mi affascina ancora la lunga storia che racconta un mattone sbeccato, un coccio di vasellame modesto o prezioso, divenuto oggi inutile rottame. Ammiro il miracolo del fuoco che la sapienza di antichi operai ha usato per cuocere, per coprire le porosità, per stendere toni di bruno, giallo, verde sotto vetrine e smalti orientali del colore del cielo nevoso, del fiore di pesco, della foglia del melo. Con reverenza ricordo il racconto biblico della nostra origine, uomini e donne fatti di fango impastato, desiderosi di lasciare i contorni della propria immagine dipinta sul muro, sulla parete di un vaso, accompagnati da un messaggio di augurio e scongiuro. Questa è per me “la buona terra”.


Foto Giuseppe Tripodo

Il letargo Si era d’inverno. C’era un freddo insopportabile che allagava le terre. Tutti emigrarono sull’arcipelago del sonno. Prima di addormentarsi si raccontarono delle fiabe, antichissime fiabe sull’alba del mondo, quando gli uomini erano come bambini. Si risvegliarono poco prima di primavera. Le loro teste erano piene di sogni, fatti da raccontare. Il sogno più lungo era quello di un venditore ambulante, che per il freddo si era rannicchiato e addormentato subito, sfinito, senza ascoltare le fiabe degli altri. Non aveva ascoltato le fiabe degli altri per vanità o altro, ma solo per una pesante stanchezza, dovuta al rigore di quell’inverno eccezionale. Lui non era come gli altri, era venuto da lontano, dalle terre calde. Non aveva ancora fatto in tempo ad abituarsi al clima temperato della nuova terra, dove era appena emigrato, quando arrivò quel freddo, così intenso, che gli aveva fatto perfino paura. Si era addormentato in disparte, lontano dall’altra gente, come gli succedeva di solito. E agli altri questo non era dispiaciuto. Anche lui però aveva sognato e voleva raccontarlo il suo sogno, ma nessuno ebbe voglia di conoscerlo, e infatti nessuno rimase ad ascoltarlo. O meglio, alcuni, pochi, quelli che si pensavano educati o generosi si erano messi a starlo a sentire, ma presto anche loro lo lasciarono, come avevano fatto i più, che non gli si erano nemmeno avvicinati. Quei pochi lo abbandonarono dopo poco, perché il suo sogno era troppo lungo, non finiva mai, e poi lui non lo sapeva dire bene, in poesia, come invece facevano tutti gli altri. O forse, ritenevano, che non valeva la pena dare a uno straniero tutto il tempo che lui voleva. E pensare che lui aveva fatto l’impossibile, per raccontarlo come fosse una poesia. L’aveva chiamato “Sogni di sabbia”. Qualche bambino si era fermato ad ascoltarlo fino alla fine, di nascosto dai genitori. Tutti i sogni di quell’inverno, arrivati oggi fino a noi, erano degli altri abitanti dell’arcipelago del sonno. Da tempo li conosciamo, e ce li raccontiamo tra di noi, quei sogni. Da generazioni ce li tramandiamo oralmente. Del sogno del venditore ambulante si sapeva solo il titolo, e che era davvero più lungo degli altri. Ebbene, anche “Sogni di sabbia”, che sembrava dispersosi nel nulla, come d’altra parte dovrebbero fare i sogni, ci è finalmente arrivato. Non si sa per quali strade. Dopo molto molto tempo, ma è arrivato. Attilio Pecchini

Il corpo della natura “Natura naturans” e “natura naturata”, dice il filosofo. Ossia, terra che genera e che è generata, causa e insieme effetto. La natura come corpo vivente, insomma, ove la materia si fonde con l'energia. Di argilla s'immaginò in effetti il corpo del primo uomo, in cui Dio soffiò l'anima e la vita. Nel racconto biblico ma anche negli antichi miti assiri. Nella tradizione ebraica poi, filtrata dal folklore medievale, il golem - che in origine designava la massa argillosa prima che acquisisse il soffio vitale e la fisionomia umana - divenne una figura mostruosa, un gigante di terra costruito oppure evocato da un mago, ora per eseguire lavori pesanti, ora per difendere o aggredire. Una sorta di robot, però fatto di terra. Quanto all'avatar (termine e idea tornati prepotentemente in voga grazie al recente film di James Cameron), esso rappresentava invece nella religione induista l'incarnazione del dio – ed è palese che si tratti di un antecedente sia della consuetudine delle divinità greche di scendere fra gli uomini sotto sembianze umane, sia del Cristo. E' comunque significativo che la discesa dal cielo alla terra prevedesse l'introduzione del divino nell'umano, dello spirituale nel materiale. Presso le società primitive, la fecondazione della terra assumeva varie

forme rituali; la più emblematica è forse quella che comportava che i giovani maschi di una tribù africana, scavando ciascuno una buca in terra, vi introducessero il membro per depositarvi il seme. Il corpo della terra (della “madre” terra) veniva così ingravidato. Inoltre, molte pratiche magiche dell'antichità o delle comunità extraeuropee documentate dall'etnologia vedevano un rapporto assai stretto fra la natura e il corpo umano, individuale o sociale che fosse. Le malattie, ad esempio, trovavano corrispondenza con i cicli o i cataclismi naturali, così che spesso, più della farmacopea o delle manipolazioni, erano le cerimonie a stretto contatto con la natura ad essere considerate decisive per la guarigione. L'attuale decadimento del pianeta Terra, causato dalle numerose forme di inquinamento e di sfruttamento incontrollato delle risorse naturali, è d'altronde paragonabile alla malattia di un corpo. E non c'è dubbio che la cura sia nelle mani di chi ha causato il danno; se l'intervento tarderà o non sarà abbastanza consapevole, si avrà un matricidio. Chi ha dato la vita, morirà per mano di chi quella vita ha ricevuto. Come già prefiguravano innumerevoli miti arcaici. Claudio Fraccari

Per secoli l'obiettivo di ogni cuoco è stato quello di preparare cibo e di scoprire nuovi gusti per deliziare i palati. Ora chi cucina ha davanti a sé un nuovo compito etico: confrontarsi con la terra, con i suoi contadini, con le persone e con le tradizioni. Si spiega anche così il successo dei mercati contadini che si svolgono in tante città, Mantova compresa. I cuochi poi, sempre più numerosi, amano incontrare i produttori locali nelle loro fattorie per vedere come lavorano e interpretarne più rispettosamente i prodotti. In ogni continente, dall’America Latina all’Asia, non c’è cuoco – moderno e consapevole – che non vada a caccia di sapori nuovi e irripetibili attingendoli dal patrimonio di biodiversità (fiori frutta erbe piante …) della terra intorno. È il caso per esempio del brasiliano Alex Atala che da anni studia i sapori inesplorati dell’Amazzonia trasferendoli in tanti piatti creativi del suo ristorante di San Paolo. Ma il legame profondo con la terra e i suoi prodotti si trasforma per gli chef d’avanguardia in una vera e propria filosofia che li porta a concepire piatti in totale simbiosi con la natura e la stagionalità.

Lo chef giapponese Yoshihiro Narisawa, considerato dalla critica gastronomica internazionale il miglior cuoco del mondo, capta anche visivamente lo spirito della terra e della natura. In un suo piatto presentato di recente in un congresso gastronomico il tema era proprio l’alternarsi delle stagioni reso attraverso un’estetica rarefatta e impeccabile. La terra che nelle stagioni più calde regala splendide primizie, in inverno ghiaccia, ma non è morta secondo Narisawa. È da questo principio che nasce la sua zuppa di terra. Il cuoco estrae le radici dalla terra, le taglia e le mette in pentola con acqua e un’aggiunta della terra stessa. Una volta cotte, passa il tutto al chinoise (setaccio a maglia molto fine) e lascia decantare per un po’ di tempo. La parte che rimane in superficie viene servita al cliente dentro a coppe di vetro. Il concetto è che la terra utilizzata, essendo pura (come certificato da un istituto di igiene giapponese), contiene microrganismi che valorizzeranno il piatto. Ma davvero siamo pronti a mangiare zuppa di terra? Raffaella Prandi

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Foto Giovanni Fortunati

Piatto di terra


Curato da Associazione Culturale

Ca’ Gioiosa • Via Trieste, 44

• Mantova

CALENDARIO EVENTI

CA’ GIOIOSA

aprile

gioiosa entra nelle case

Mentre ancora si svolgeva la mostra collettiva di sette artisti mantovani (C. Bonfà, C. Compagni, G. Cossu, G. Fortunati, P.L. Gibelli, A. Nordera, S. Sermidi) organizzata da Ca’ Gioiosa presso lo spazio espositivo del Fashion District Mantova Outlet, Sergio Sermidi veniva improvvisamente a mancare. Lo rimpiangiamo come artista, ma soprattutto come uomo e amico della nostra associazione cui dedicava sempre volentieri un sorriso. Arrivederci Sergio. Il numero di Ca’rte che state leggendo ha un’impostazione tematica un po’ diversa dal solito: è il primo risultato del progetto di lettura del foglio agli anziani da parte di studenti del Liceo Scientifico “Belfiore”, dell’Istituto Superiore “Bonomi-Mazzolari”, dell’Istituto Tecnico Femminile “A. Mantegna” e degli Scout C.N.G.E.I. di Mantova. Infatti i nonni hanno ascoltato, gradito e dato suggerimenti. Specialmente il tema della terra, che si stava sviluppando nel frattempo, ha risvegliato in loro ricordi che andavano incoraggiati. I nostri autori hanno raccolto la sfida! Maggio poi vedrà la conclusione di un importante progetto didattico sperimentale di Ca’ Gioiosa cui ha collaborato anche la Facoltà di Neuroscienze dell’Università di Parma: La Forza dello Sguardo. Siamo particolarmente orgogliosi di aver coinvolto attivamente scuole dell’infazia e primarie di Mantova, Goito, San Polo d’Enza, Igea Marina, Ascoli Piceno e Reggio Calabria. Un bel modo di riunire l’Italia con lo stesso progetto. La mostra degli elaborati e il convegno di studi (per cui si ringrazia il Settore Pubblica Istruzione del Comune di Mantova e l’associazione Amici di Palazzo Te e dei Musei Mantovani che ci ospitano) coroneranno tre anni di attività che ha visto impegnati più di cinquecento bambini, insegnanti e studiosi sul tema del corpo: dalla scultura classica alla figura umana. A loro soprattutto il nostro grazie. Siete tutti invitati! Mara Pasetti

29 aprile 2011 / Anno II Copia omaggio supplemento straordinario a La Cittadella Editrice Ca’ Gioiosa-Mantova Fotolito e stampa: Publi Paolini

Responsabile redazionale Claudio Fraccari Coordinamento artistico Raffaello Repossi Coordinamento editoriale Mara Pasetti Redazione Valeria Borini Claudio Compagni Giovanni Fortunati Claudio Fraccari Carla Guerra Nicoletta Marastoni Laura Pasetti Mara Pasetti Raffaello Repossi Giada Salvarani Giuseppe Tripodo Nicola Zanella Testi di Giorgio Bernardi Perini Ulisse Bresciani Giampiero Comolli Gian Maria Erbesato Claudio Fraccari Mariarosa Palvarini Gobio Casali Mara Pasetti Attilio Pecchini Raffaella Prandi Daniele Protti Luciano Maria Schepis Fotografie di Claudio Compagni Vanni Favalli Giovanni Fortunati Pier Luigi Gibelli Mara Pasetti Giuseppe Tripodo

Giovedì 12 maggio ore 21.00 Porta Giulia, 10 In collaborazione con Fotocineclub Incontro con E. Visconti che parlerà di ripresa e fotografia cinematografica. Ingresso libero

Sabato 7 maggio ore 15.30 “Mantova al buio” Percorso attraverso la città per non vedenti a cura di Mara Pasetti Venerdì 20 maggio ore 10.00 Mantova, Santa Maria della Vittoria Inaugurazione mostra “La Forza dello Sguardo” Elaborati artistici di scuole dell’infanzia e primarie Ingresso libero, fino al 29/05

Venerdì 20 maggio ore 15.00 Mantova, Palazzo Soardi Sala degli Stemmi Convegno di studi per illustrare i risultati del progetto “La Forza dello Sguardo” Ingresso libero

SCUOLE

La Forza dello Sguardo 20 maggio 2011 Mantova Santa Maria della Vittoria Palazzo Soardi, Sala degli Stemmi

Amici di Palazzo Te e dei Musei Mantovani

Info

Invito

Martedì 21 giugno ore 17.00 Mantova, Centro Baratta Sala P. Impastato Presentazione del libro fotografico “Ivanoe Bonomi, una vita per la democrazia” ed. Ca’ Gioiosa Ingresso libero

Giovedì 26 maggio ore 21.00 Mantova, Casa Pasetti, via Calvi 51 “In-contro” La casa di Mara accoglie amici che si incontrano per dialogare

L’associazione Ca’Gioiosa è a disposizione degli eventuali aventi diritto per le fonti non individuate. Scriveteci i vostri commenti e visitate il nostro sito per conoscere l’elenco delle edicole che distribuiscono Ca’rte.

Info: – via Trieste 44 Mantova, il venerdì 17-19,30 tel. 0376 224150 – Via Calvi 51 Mantova, il martedì 10-12 tel. 0376 222583 - 3395836540

cagioiosa@libero.it • www.cagioiosa.too.it

e con il patrocinio

02 11

Ca’ Gioiosa ringrazia per la sensibilità che sempre dimostrano a sostegno delle sue iniziative la Provincia di Mantova, il Comune di Mantova, Levoni spa, Banca Intesa San Paolo, Cleca S. Martino, Banca Popolare dell’Emilia Romagna, Pavimantova snc, Cantine Virgili, Gustus, Valle dei Fiori

Chiusura estiva in luglio e agosto

Sportello Sportello di di Promozione Sociale

Cercate aiuto per orientarvi nella scelta dei servizi territoriali?

Desiderate che qualcuno vi affianchi nel disbrigo di pratiche burocratiche?

Associazione Amici di Palazzo Te e dei Musei Mantovani

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Per informazioni ci si può rivolgere direttamente allo Sportello di Promozione Sociale in via Tassoni 12 a Mantova. L’ufficio è aperto dal lunedì al venerdì, dalle 10 alle 12, telefono: 347/6728025, email: sportellodipromozionesociale@domino.comune.mantova.it. Anche il sito è gestito dai volontari con tutte le informazioni preventive circa il servizio: http://sportellodipromozionesociale.comune.mantova.it.

Informazioni dal Bollettino n. 8/2010 CONTRIBUTO STRAORDINARIO ALLA LOCAZIONE ESENZIONE TICKET MODIFICHE DI SERVIZIO E TARIFFE APAM E NUOVE AGEVOLAZIONI GRATUITO PATROCINIO

RIMBORSO IVA SULLE BOLLETTE DEL GAS BONUS ENERGIA ELETTRICA BONUS GAS NATURALE DOTE SCUOLA A.S. 2011/12 RIDUZIONE ABBONAMENTO TELECOM | ALTRE AGEVOLAZIONI TELECOM FONDO DI CREDITO PER I NUOVI NATI

AGEVOLAZIONI SULLA TARIFFA DEL SERVIZIO RIFIUTI ESENZIONE PAGAMENTO CANONE RAI SOCIAL CARD DICHIARAZIONE SOSTITUTIVA ISEE ELENCO CENTRI AUTORIZZATI DI ASSISTENZA FISCALE (CAAF) DI MANTOVA

Questa pagina ospita sempre lo Sportello di Promozione Sociale e associazioni di volontariato e promozione sociale mantovane

L’Associazione Amici di Palazzo Te e dei Musei Mantovani è un’associazione di volontariato culturale senza fini di lucro, fondata nel marzo del 1997 da un gruppo di privati cittadini con l’intento di promuovere la valorizzazione, la conservazione, il recupero del patrimonio artistico-culturale mantovano. In questi anni ha contribuito ad arricchire e a conservare il patrimonio artistico e storico del territorio mantovano, con un intenso impegno di donazioni e restauri - tra cui il recupero dell’ex chiesa mantegnesca di Santa Maria della Vittoria e a farlo conoscere attraverso convegni, cicli di conferenze, visite guidate, trasmissioni radiofoniche, attività didattiche, studi e decine di pubblicazioni, aperture speciali di monumenti e di mostre. Viale Te 13, 46100 Mantova tel. 338 82 84 909 amicideimuseimantovani@yahoo.it


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