L'armonia della nascita

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Marta Campiotti

L’ARMONIA DELLA NASCITA Diventare mamma con rispetto e amore

BONOMI EDITORE



INTRODUZIONE Quando si aspetta un bambino ci si chiede quando nascerà e come sarà. Cosa succede dentro e fuori il corpo di una donna in questo “tempo non tempo”? Trascorrono duecentottanta giorni e duecentottanta notti dal momento in cui si può dire con certezza: “Aspettiamo un bambino” al giorno in cui lo avremo tra le braccia. Ma quanto è lungo per ciascuna coppia questo tempo intimo e interiore, il tempo dell’attesa? Desiderare un bambino e sentirsi vivi e fertili, immaginarlo e sognarlo insieme, poi generarlo, sentirlo crescere nei mesi della gravidanza e una notte partorirlo, dandolo alla luce e al mondo, poi nutrirlo con il seno e le coccole... e infine, giorno dopo giorno, imparare da lui a sentirsi mamma e a sentirsi papà. Una gioia inquieta accompagna i futuri genitori durante “il tempo della nascita”, certamente la consapevolezza di fare qualcosa di unico e straordinario, ma sono compagni di viaggio anche i dubbi, le incertezze e talvolta le paure: “Cosa succederà?”, “Saremo in grado?”, “È normale quello che sentiamo?” L’arrivo di un bambino può essere la realizzazione di un antico desiderio, un calcolo previsto razionalmente oppure una sorpresa della vita che spiazza. È un cambiamento totalizzante che impegna il corpo, la psiche e le emozioni, che dà un nuovo significato al nostro essere nel mondo. La coppia, con la sua stabilità, la sua storia, le sue relazioni, nel momento in cui diventa coppia generante si apre a una serie infinita di cambiamenti, sul piano fisico, sociale, nelle relazioni affettive del mondo familiare e del mondo grande intorno. La gravidanza, il parto, i primi mesi di un nuovo cucciolo d’uomo sono un’esperienza umana semplice e complessa, così ordinaria e insieme straordinaria, piena di sfumature e ambivalenze, di variabili e di costanti.


Questo è il ciclo vitale di cui ci occuperemo, endogestazione ed esogestazione, cioè i nove mesi di gravidanza e i primi nove mesi fuori dall’utero in stretto contatto con la madre, dove ogni piccolo tassello serve a costruire quello che verrà dopo, come un puzzle di cui all’inizio non ci viene svelato il disegno ma che sarà da scoprire solo alla fine. Ma la coppia non è un’isola e non nasce solo un neonato; nascono anche due genitori, quattro nonni, gli zii... Nasce una nuova famiglia, tutto cambia e si rinnova. Ogni nuova nascita è la base del futuro di una società. Il ciclo vitale che va dalla gravidanza ai primi nove mesi di vita del bambino è costituito da una catena di eventi che sono considerati normali, felici, invidiabili. Ciononostante, questi mesi nascondono giorni delicati, periodi di grande trasformazione, fasi di crescita, di crisi e di adattamento che fanno qualche volta sentire un po’ fragili o disorientati. Ma, è bene ribadirlo, tutto ciò è normale ed è definito uno stress fisiologico che aiuta ad attivare risorse, dentro e fuori, a porsi domande e a cercare risposte, a stabilire mediazioni, alleanze, punti fermi e qualche volta autorevoli. Questo vale certamente per la gravidanza ma ancora di più per il primo anno di vita del bambino, con le problematiche dell’allattamento, del sonno e dello svezzamento; fasi fisiologiche delicate e con una quota di stress inevitabile. L’arrivo di un bambino è un fatto sociale e proprio la comunità interviene dettando convenzioni, scelte, tradizioni, ma anche regolamenti e leggi; ogni luogo e ogni tempo esprimono una cultura della maternità e della paternità che riflettono, in modo più o meno coerente, i valori dominanti. Oggi mi pare che la cultura in cui siamo immersi proponga in modo automatico ai nuovi genitori l’assunzione di tre possibili atteggiamenti: la medicalizzazione, la commercializzazione e infine la banalizzazione di ogni dubbio in risposte stereotipate. Vediamoli. Ogni domanda e ogni bisogno della donna e del neonato hanno una risposta sanitaria e/o commerciale: da quale specialista andare o quale oggetto comperare. E le parole magiche che tutto risolvono sono: delegare e acquistare. La medicalizzazione è l’interpretazione in chiave esclusivamente sanitaria specialistica e parcellizzata di ogni disagio e di ogni cambiamento, anche psicoemotivo, e propone di cercare risposte facili in un esame o in un farmaco in più o di volere sicurezza nell’ecografia più costosa. 10

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La medicalizzazione è un processo attivo fatto di azioni, frasi, interventi che portano a stravolgere e a negare l’intima energia dei processi fisiologici, producendo esiti disastrosi in termine di salute e benessere. Da cosa deriva? Dal guadagno economico che se ne può ricavare, dal potere maschile sul corpo delle donne e sulla loro competenza generatrice, dal desiderio di controllo e di dominio di eventi di per sé perfetti e anche un po’ misteriosi e anche dalla paura che un parto e una nascita “secondo natura” incutono all’uomo tecnologico. Come diceva Ivan Illich nel libro Nemesi Medica, la medicalizzazione è una forma di controllo ormai su tutti gli stati della vita, dalla nascita alla morte. E veniamo alla commercializzazione. È la sollecitazione continua ad acquistare prodotti che vengono pubblicizzati come strumenti che garantiranno a chi li usa di essere “bravi genitori”: quel tipo di pannolini, il latte tal dei tali meglio se antirigurgito, la fascia portabebè di quella marca, il biberon tedesco, i saponcini alternativi e soprattutto il paracapezzolo! Oggetti che magicamente dovrebbero risolvere ogni problema, farci sentire competenti e rendere tutto più facile; una bacchetta magica, talvolta agitata per un acquisto davanti allo schermo del computer. Ma è davvero così? È possibile affidare a oggetti il compito di trasmettere amore, fiducia, benessere? Non è che forse non riusciamo a riconoscere che siamo noi per primi a essere coinvolti e stravolti dall’incontro col neonato? Ma quale parte di noi? È il corpo “mammifero” a essere coinvolto per primo, il corpo genitoriale che genera sensazioni intime e profonde nel neonato, attraverso la pelle, lo sguardo, l’abbraccio. Quando il linguaggio del corpo adulto è in difficoltà nella relazione con il neonato, l’oggetto può certamente aiutare ma mai sostituirsi. Poi c’è un terzo fenomeno, la banalizzazione culturale: svilire e ridicolizzare, appunto banalizzare ogni domanda dei genitori, ogni interrogativo, ogni richiesta di approfondimento e di comprensione di ciò che accade, ma anche di quello che si può fare nello scegliere strade ed esperienze personali. Tante volte, chi detiene il sapere ufficiale, quindi il potere, e non si mette in gioco per affrontare le nuove problematiche, nasconde resistenza e paura ad andare un po’ più a fondo e si difende dietro un muro alto e invalicabile di certezze. INTRODUZIONE

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Qualche frase fatta che esemplifica questo atteggiamento? Eccole: “Tutti hanno fatto sempre così”, “Di latte artificiale non si muore, si cresce bene lo stesso”, “Prendo quello che mi danno perché è gratuito”, “È ridicolo non fare l’epidurale visto che c’è, ma tu l’ascensore lo prendi o vai a piedi?”, “L’importante è che sia sano”, “Il mio bambino è bravo perché dorme”, “Con un neonato non è difficile, basta abituarlo a dormire da solo fin da subito”, “Ma scusa perché allatti ancora, lo stai solo viziando” e anche “Il parto in casa lo faceva mia nonna”. Bisogna riconoscere che questo è il modello dominante nel nostro paese e da qui dobbiamo partire. Sono atteggiamenti che generano incapacità a guardarsi dentro, a scoprire le proprie risorse e quindi i propri desideri, sono alla base della delega agli esperti e creano nelle mamme una sensazione di impotenza, disarmonia, estraneazione e poi alla fine disagio e senso di inadeguatezza. Ma è sempre solo così? No, c’è anche dell’altro e in Italia questo “altro” oggi è come un fiume in piena. Talvolta scorre sotto terra, talvolta è un fiume visibile fatto di genitori, di ostetriche, di associazioni femminili e di professionisti che attorno a queste tematiche fondamentali lavorano, studiano, si confrontano e nel frattempo anche danno alla luce e accudiscono i loro bambini. La filosofia di fondo, come si vedrà nel corso del libro, è la certezza che il parto possa essere l’evento straordinario che unisce, che crea armonia e che sa portare pace, che intreccia infine legami duraturi grazie alla sua potenza energetica. Una buona nascita produce salute e benessere anche per le generazioni future. L’armonia però va ricercata, accordando maschile e femminile, mamma e bambino, natura e cultura, corpo e anima; armonia sta a indicare l’equilibrio e la proporzione tra le diverse componenti e crea bellezza. E la bellezza crea armonia. Pensare e vivere occupandosi di nascita è creare ogni giorno insieme ai genitori uno spazio futuro, in cui si prova a gettare semi per un mondo migliore. Occuparci del passaggio dalla vita fetale a quella extrauterina è occuparsi della “prima separazione”, e della sua sacralità, perché così è all’inizio e anche alla fine della vita. 12

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La nascita, per estensione, non si consuma nelle poche ore del travaglio, ma è dentro ogni piccolo gesto che si compie in quei giorni così speciali, perché ogni azione deriva dalla precedente e tutto è collegato; la nascita è avere cura del più semplice particolare, perché avere cura di una piccola parte è avere cura del tutto. In un linguaggio semplice, arricchito da testimonianze e storie, questo testo prova ad affrontare gli argomenti con uno sguardo circolare, di chi conosce dal di dentro, dall’intimo delle donne, i loro dubbi e le loro certezze, la forza della maternità e la complessità di molte situazioni. Si parte dalla gravidanza per arrivare alla nascita, alla storia del bambino che viene alla luce. E poi l’incontro tra madre e bambino, il loro conoscersi e riconoscersi, nella diversità di ogni biografia. Il focus è la trasformazione che avviene da nove mesi prima a nove mesi dopo; si parte dall’inizio perché la storia di ogni nascita è sempre un lungo racconto dove ogni passo ne precede un altro. La donna è al centro con il suo corpo, le sue emozioni, la sua spiritualità: dare la vita consapevolmente è una grande impresa. Un’impresa che ha anche dei compagni di viaggio che possono essere scelti. Un’impresa che non deve essere mai essere idealizzata, che va compiuta senza troppi modelli e ideologie perché è l’insieme di tante piccole situazioni, sorprese, variabili e dove anche l’imprevisto e l’inaspettato possono trovare spazio. E soprattutto dove non tutto dipende solo da noi. Questo libro non sempre ha delle risposte, anzi spesso si pone delle domande, utili spunti per proseguire la riflessione personale di chi non vuole delegare, comperare e banalizzare.

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CAPITOLO I

La buona nascita Nascere bene, nascere dolce, partorire senza violenza, nascita naturale, nascita normale, parto umanizzato, indisturbato e anche nonviolento: come districarsi in queste definizioni? Come orientarsi? E come se non bastasse: parto in acqua, in casa, in casa maternità, lotus birth, parto in acqua nel grande ospedale, parto in clinica, parto gentile... E come capire cosa è meglio se non lo si è mai fatto? È come comperare un vestito senza poterlo provare prima. È proprio così e non è per nulla facile. Ma il parto è uno solo: il proprio! Allora è bene partire dalla gravidanza, dal qui e ora dell’inizio e decidere con calma da chi e come ci si vuole fare accompagnare e sostenere. Chi offre la relazione di cura nel parto deve accogliere la donna nella sua interezza, il corpo certamente, ma anche le emozioni e la spiritualità. È solo attraverso la totale apertura emotiva e la motivazione trascendente al dare la vita che la donna può partorire. Quando questo non viene considerato, o addirittura negato, diventa più facile iniettare ossitocina sintetica in vena o… aprire la pancia col bisturi.

La donna e il percorso fisico: il corpo La gravidanza è un tempo fisico che si sviluppa e si consuma molto lentamente: durante nove mesi il corpo femminile ha la capacità di trasformarsi per accogliere, contenere, far crescere e poi lasciar andare.


Il corpo ha un sapere genetico familiare e un sapere biologico specie-specifico. L’eredità che ci appartiene fin dal nostro concepimento è il patrimonio genetico maschile e femminile, quello che ci scorre nel sangue e che deriva dalle nostre madri, dai nostri padri e dalle nostre antenate, unico per ognuno di noi. Esiste, ed è riconosciuta anche dalle recenti ricerche sul microbioma, una memoria genetica “familiare” delle esperienze fondamentali, come quella del dare la vita. Le storie di nascita fino a tre generazioni precedenti sono nella memoria genetica individuale e, se tutto è avvenuto in pericolo o sicurezza, se gli esiti sono stati buoni o avversi, questo il corpo lo sa. Nella memoria somatica sono anche inscritte le forti sensazioni fisiche che abbiamo provato, corpicini nudi accanto al seno di nostra madre, nei primi giorni e nella prima culla Questo sapere personale e familiare viene in realtà a integrarsi con il sapere biologico, istintuale, la memoria mammifera arcaica. L’istinto arcaico è funzionale alla sopravvivenza della specie umana. Possiamo definirlo anche “una memoria di gruppo” che sa attivare azioni istintive in modo complesso ma totalmente prevedibile. Esso appare come una guida nei primi sogni della gravidanza e sostiene azioni precise come nei primi mesi l’impulso a dormire di più e negli ultimi “la sindrome del nido”, un insieme di gesti, quali la pulizia accurata della casa, la preparazione dello spazio del bambino, andare dal parrucchiere... sentirsi pronte! Lo stesso istinto che si attiva in modo complesso ma totalmente prevedibile al momento del parto. Come dice Erri De Luca in Il nome della madre, “partorire è fare con il corpo”. Il corpo femminile sa attivarsi grazie all’impulso di ormoni meravigliosi che guidano ogni trasformazione fino al momento del parto e molto oltre. È attraverso di loro che la donna può accogliere l’embrione, attivare il sistema neuroendocrino e nutrire e dare vita all’ecosistema fetoplacentare accettando, senza rigettarlo, un corpo altro da sé. Il pancione che cresce avvicina giorno dopo giorno la donna a Madre Natura e alle sue leggi, regalandole risorse e strumenti per divenire madre. Ma come usare questi nuovi strumenti? Qui ogni donna gioca la sua parte, 16

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integrando la parte “mammifera” nella sfera della consapevolezza e della accettazione, con la gioia adulta di esserci in prima persona. L’energia che servirà per mettere al mondo il bambino cresce nei mesi dell’attesa se riconosciuta, ascoltata e rispettata.

La donna e il percorso psichico: le emozioni Ogni cambiamento del corpo richiede la volontà della psiche di attivarsi per creare una situazione di salute e di adattamento. La psiche lavora per la ricerca di benessere, sicurezza e stabilità per la nuova famiglia che cresce e per il piccolo che deve arrivare. I nuovi bisogni affettivi sono percepiti chiari e necessari e pur, nei chiaroscuri del femminile, sono la base di una nuova forza intuitiva che può guidare le scelte personali. Allora partorire non è solo “fare con il corpo”, ma anche “sentire con il corpo”. La madre è invasa da emozioni che si muovono con una velocità e una intensità profonda e nuova, emozioni che talvolta la spiazzano sia per la loro lucidità che per le sfumature ambivalenti. Il mondo emotivo è facilmente accessibile alla donna stessa, attraverso meccanismi quali la regressione, l’identificazione col bambino, una certa disinibizione; è come un mare, fecondo e aperto, da attraversare e navigare per scoprire nuove terre. Ci sono le emozioni, quelle antiche e infantili di quando si giocava alle bambole, che possono riaffiorare impreviste attraverso un’immagine o una connessione, ma c’è anche un forte senso di consapevolezza di fronte a emozioni primarie del “qui e ora” che accompagnano il trascorrere della giornata: senso di sicurezza o di paura, di benessere o di disgusto, di simpatia o antipatia. Le parole “emozione” e “motivazione” hanno la stessa radice: movimento, cambiamento, spinta propulsiva. Corpo e psiche hanno nove mesi per sintonizzarsi e arrivare insieme al momento del parto, pronti all’incredibile lavoro del lasciar andare per accogliere e nutrire il bambino. La psiche è guidata dalla soddisfazione unica e profonda di avere una parte nella creazione, compito femminile e materno che origina da una LA

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spinta interiore; per diventare azione reale concreta occorre però permettere l’entrata in gioco di altre forze sinergiche. Il futuro padre può fare da contenitore, da specchio per i cambiamenti della donna; anche lui è invaso dalla novità che lo induce a confrontarsi, talvolta in modo inconsapevole, con il modello di padre che ha dentro di sé e con il padre che vorrebbe essere. Ma anche con la sua compagna che sta diventando mamma e che a tratti fa fatica a riconoscere. Sarà solo dandosi tempo e ascolto che la nuova coppia genitoriale riuscirà a costruire un paradigma esclusivo del diventare futuri genitori insieme.

La donna e il percorso spirituale: la trascendenza La spiritualità, anche se raramente nominata, in realtà interroga la coppia in attesa che si pone domande e cerca risposte sul senso della vita, dell’eredità educativa, della responsabilità, ma anche sui temi della salute, delle scelte professionali e abitative; ogni decisione sottende dei valori e i valori danno un senso preciso e unico alla propria vita. Sarebbe bello riuscire a parlare del significato e del senso delle esperienze fondamentali della storia di ogni famiglia: nascita, malattia, amore e morte. Sì, amore e morte, e nascita. La nascita è il “venire al mondo” di un essere umano nuovo, altro da noi, ma che solo attraverso di noi ha il dono della vita. È un dono che ha un significato particolare, nascosto nel desiderio che viene affidato a questo grande progetto figlio, forse espresso proprio nel nome che la coppia sceglie. Ma poi il figlio arriva, maschio o femmina, diverso da come lo si è immaginato, semplicemente arriva. E va oltre di noi. Tutto sembra diverso. Quasi subito ci appare chiaro che non è solo un dono “per noi” ma è qualcosa che lasciamo al mondo dopo di noi, che entra nel cerchio della creazione e trascende ogni nostro pensato.

La storia di Paola

Paola ora ha due bambini. Il primo è nato in ospedale, un parto indotto a cui è seguito un travaglio rapido, vissuto in solitudine con una forte sensazione di abbandono. Quando arriva da me, consigliata da 18

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un’amica, è passato un mese dal parto ed è sul punto di abbandonare l’allattamento per il dolore acuto che prova nell’attaccare il bambino al seno. Come spesso succede dopo un senso di fallimento, reale o presunto che sia, la donna mostra la ferita psichica attraverso il corpo; in questo caso ci sono ragadi importanti che mettono a dura prova la mamma. Nell’incontro in cui ci conosciamo le offro come prima cosa la possibilità di raccontare il suo parto, con tutta l’intensità e l’emozione che il ricordo le evoca: un parto apparentemente veloce e perfetto, ma in realtà a lei totalmente estraneo. Paola è fine, delicata, sensibile, non è certo “una donna fuoco”, e il travaglio prodotto dalle prostaglandine sintetiche è stato per lei un vero trauma. La ascolto e lei, raccontando, piange, non pensava che il parto fosse così violento, è ancora disorientata ma alla fine del racconto visibilmente sollevata. Quando il bambino si sveglia, lei le offre il seno e per la prima volta da quando è nato è incredibilmente facile, semplice e lei non avverte dolore! Il processo di guarigione è iniziato proprio dal riconoscimento della ferita emotiva. È incredula e felice e anche il bambino le sorride. Ci vorranno ancora alcuni giorni perché le ragadi guariscano completamente, ma il primo passo è fatto! Paola e il suo bambino frequentano successivamente il gruppo di mamme per quasi un anno, portando una presenza dal sapore di vento leggero e caldo. Molto presto arriva una seconda desiderata gravidanza e lei e il suo compagno decidono di farsi seguire da noi e di partorire nella casa maternità. Tutto avviene serenamente, nella tranquillità e nella calma di un’alba di fine estate, proprio così, come lei lo aveva immaginato e come sono loro due: la nascita non è solo un fatto fisico e la carica di energia vitale sottile e continua che si sprigiona in quella stanza è molto forte. È un parto dolce, come lei desiderava, e questa volta nasce una bambina. Due anni dopo ricevo inaspettato questo sms da Paola: “Ciao Marta, la mia mamma ha finito il suo viaggio sulla terra ed è salita in cielo. È stato un viaggio tormentato ma sereno negli ultimi giorni. So che visiterà la casa maternità quando, al momento giusto, arriverà il suo terzo nipote!” LA

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