Liber - Crescendo in musica

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[Crescendo in musica]

SOMMARIO

ome suonano gli albi illustrati? L’intreccio, o meglio il cortocircuito, tra il suono della parola e quello della musica può dare vita a libri dove il lettore di ogni età può entrare solo a patto di abbandonarsi al ritmo.

Ritmo: successione ordinata o regolata nel tempo di forme di movimento diverse. Sono sempre stata attratta da questa parola-seme, capace di custodire, in cinque lettere, il segreto della relazione tra silenzio e suono, vuoto e pieno, stasi e movimento. Quando parliamo di ritmo, ci viene da pensare subito ai ritmi per le orecchie (alternanze di suoni e silenzi, ma anche di suoni più acuti e meno acuti, accenti forti e accenti deboli) o a quelli per gli occhi (alternanze di pieni e vuoti, chiari e scuri, luce e ombra, bianco e nero) o ai ritmi che possono essere evocati da una danza, che mette in moto il corpo tutto intero. Eppure anche pensieri e sentimenti hanno un ritmo preciso, se solo ci abituassimo a osservare che forma prendono nel tempo, come si muovono. Lo sanno bene i bambini, i tifosi e i pubblicitari, che nelle loro conte, tiritere o slogan si ritrovano accomunati da quella scansione ritmica della parola che fa scaturire il gesto dentro l’emozione. Ritmo. Fin da piccolissima, subodoravo che questa parola avesse poteri straordinari, non solo perché era capace di rin-

parola avesse in pectore un silenzio indomito, origine di un tempo-cuore da riconoscere e misurare. Rrrrrrrrit-moooooooooo!: se non potevo agire sul centro, avrei lavorato sulla periferia della parola, mi dicevo. Mi allenai così a dilatare quella parola pre-potente, arrotando la “R” iniziale come un ventilatore indomito e stirando la “O” finale sino a svuotare i polmoni. Mi intignavo a mutare anche l’intonazione (andando ora in su, ora in giù) per vedere se riuscivo a dotare quella parola lì, non solo di tempi, ma anche di significati diversi. “Ti domerò”, le dicevo. “Ti domerai”, diceva lei a me. Seguita a dirmelo, perciò è facile intuire come sia andata a finire la storia. Posso dire, però, che la mia è stata ed è una resa felice: quella che spetta a tutti coloro che capiscono che farsi guidare dal mistero è decisamente più affascinante che tentare di opporsi o, peggio ancora, di spiegarlo. I bambini lo sanno. È stato proprio così, assaporando e assecondando il potere del ritmo, che ho imparato a stare nell’arte, con la gioia della parentela. E non in una sola arte ma in tutte (musica, poesia,

Il cortocircuito tra il suono della parola e quello della musica, tra immagine e immaginario, può scatenarsi facendo girare la corrente in una direzione o nell’altra chiudere tante forme diverse dentro un’unica espressione, ma anche perché suonava esattamente come il concetto che esprimeva, e un’onomatopea del pensiero non è certo cosa di poco conto! Rit-mo: lei mi provocava, io la provocavo. Provavo a pronunciarla senza ritmo: impossibile! Quelle due consonanti, “t” e “m”, piazzate lì, spalla a spalla, proprio al centro del gioco della pronuncia, obbligavano il suono a spezzarsi e, per un attimo, mi facevano sospettare che non solo lei, ma ogni 34

danza, pittura, scultura, scrittura…), perché il ritmo è componente architettonica di ognuna. Ora che ho imparato, lascio che ciò che di queste arti mi colpisce, dialoghi con quei ritmi (cuore, respiro, passo, battito di ciglia…) che il corpo mi suggerisce da quando sono al mondo. Anche il pensiero, ora, si sente meglio. Credo sia così, con questa sorta di abbandono coreutico (e di ostinazione a masticare il tabacco delle parole e del loro suono), che lettori e lettrici di ogni età debbano entrare nella lettu-


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