Dragone e la storia di Bionzo

Guido Boeri e Dante Chiola

Autore

DRAGONE E LA titolo

STORIA DI BIONZO

Impaginazione e grafica editoriale - Renata Boeri

ISBN978-88-6195-XXX-X 978-88-6195-349-9 ISBN © 2020 Editrice Impressioni Grafiche Via Carlo Marx, 10 – 15011 Acqui Terme (AL) Tel. 0144 313350 – editoria@impressionigrafiche.it www.editriceimpressionigrafiche.it La cooperativa sociale Impressioni Grafiche è un’organizzazione non lucrativa di utilità sociale (ONLUS) che ha per finalità il reinserimento lavorativo di soggetti svantaggiati.

I saluti del Sindaco Cavallero

Nella mia qualità di Sindaco di Costigliole, plaudo a questa iniziativa editoriale dei miei concittadini e amici Guido, già Sindaco del nostro paese e Dante, amministratore di lungo corso. A quasi 86 anni, portati benissimo, con i suoi occhi e le sue mani che raccontano ancora oggi una vita fatta di umiltà, di sacrifici, rinunce e duro lavoro, Guido ha deciso di raccontarsi diffondendo delle cose importanti della sua vita, prima da contadino come molti giovani della sua epoca, poi da imprenditore; la famiglia, la gioventù, la sua Bionzo e per finire, dell’impresa che ha creato e che lo ha visto pioniere di una modesta officina meccanica sposata all’agricoltura, ormai evoluta e diventata industria conosciuta in tutta Italia, Europa e tante altre parti del mondo, rimasta sempre a conduzione familiare. Una sentita gratitudine anche a Dante Chiola bionzese con origini di una famiglia contadina coautore del libro che ha saputo raccogliere e riportare fedelmente con un lavoro molto “dotto” testimonianze, fotografie riprendendo tradizioni passate regalandoci vere emozioni con una bellissima visione di un mondo che, agli occhi di molti, sembrerà impossibile, che ci servirà anche in un futuro, speriamo lontanissimo, quando Guido e Dante non saranno più con noi a farci capire molte cose di questo territorio bellissimo che abbiamo ricevuto in eredità e che abbiamo la fortuna di vivere.

Cav. Enrico Alessandro Cavallero Sindaco di Costigliole d’Asti 3

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Introduzione degli autori

Alla soglia dei miei 86 anni, già bisnonno, ho pensato di raccontare, in particolare ai miei nipoti, ed a chi si pone domande su “DRAGONE”, come è nata l’impresa e perché questo nome. Nel fare questo parlo della mia famiglia, della mia gioventù, del mio borgo e di chi ho conosciuto. Insomma della mia vita, che mi ha visto anche Sindaco di Costigliole d’Asti. Ho chiesto all’amico Dante Chiola, che ho voluto con me come Assessore alla cultura, di collaborare alla stesura perché ho saputo che sulla parte storica e folkloristica della borgata ha raccolto documentazione interessante. Ho scoperto, leggendo la storia di Bionzo, che il cognome Boeri è presente in queste zone già nel 1677. Si tratta di Antonio Francesco Boeri, un “particolare” (così in piemontese si chiamano i proprietari di cascine) che assieme a Secondo Quaglia fa parte del direttivo della Chiesa. Nel 1705 viene citato Sebastiano Boeri, rettore della Chiesa. Nel 1767 Gerolamo Boeri. Cappellano e curatore del benefizio ecclesiale nel 1826 è Don Giuseppe Boeri. Rosa Boeri, cugina di Don Giuseppe, dona alla Chiesa l’importante somma di 2500 lire nel 1866 (allora era una somma considerevole). Inoltre mio bisnonno Domenico (1836 - 1897) fa carriera militare nei “Dragoni del Re”, corpo scelto di cavalleria che scortava il Re, inquadrato poi nel Regio Esercito con il nome “Cavalleria Savoia”. Da quel periodo i suoi discendenti vengono chiamati “Figli del Dragone” quindi più semplicemente “I Dragone“ al posto del vero cognome Boeri.

Ma, oltre alla mia storia, desidero ricordare la vita in campagna di 70 anni fa, gli usi ed i costumi di allora. Le memorie di fatti e persone che non ci sono più.

Guido Boeri 5

Ho accolto con piacere la proposta di collaborazione di Guido perché abbiamo condiviso in gioventù, pur in anni diversi, la stessa cultura contadina, le tradizioni, gli usi ed i costumi della borgata in cui siamo nati. In diversi anni ho raccolto documentazione storica ed antropologica sugli abitanti della nostra borgata. Alcuni stralci li ho pubblicati sul bollettino locale nel 2012.

Sono partito dai documenti che parlano di Bionzo nel 1200 .

Ho tralasciato tutta la storia di molti secoli prima degli Euburiati, da cui comunque Bionzo discende. In tutti questi secoli i borghigiani evidenziano un carattere forte e tenace; sono combattivi e scaltri nel difendere i propri diritti. Queste caratteristiche emergono nel capitolo sulla storia della borgata, dove per evidenti ragioni di spazio vengono richiamati solo stralci di una pubblicazione molto più corposa, frutto di una meticolosa ricerca bibliografica. Si tratta della “Cronologia Sacra delle Chiese di Costigliole d’Asti”, volume III, di Don Paolo Prunotto, 2015. Chi vorrà approfondire la storia di Bionzo e di tutte le frazioni di Costigliole, potrà far riferimento a quel testo. riferimento a quel testo. Colgo l’occasione per esprimere a Don Paolo tutta la nostra riconoscenza e gratitudine per la traduzione dal latino e la catalogazione di importanti documenti storici che rappresentano le nostre radici sociali. Durante i lavori di ricerca ho scoperto, con sorpresa, che un ascendente di Guido, Don Giuseppe Boeri, è stato curatore del benefizio ecclesiale e nel 1850 ha donato alla chiesa la sua cascina (“la cassinetta”). Quando il benefizio è stato sciolto ed i beni venduti ai privati che affittavano i terreni, mio bisnonno paterno (Giuseppe Chiola) acquistò nel 1877 “la cassinetta”, dove risiedo dalla nascita. Ho anche scoperto di aver conservato la camera da letto di Don Boeri. Mio nonno diceva di averla avuta da un prete, da cui fu acquistata la casa. Un ultimo motivo che mi ha spinto a scrivere “a quattro mani” è l’aver condiviso quattro anni di Amministrazione Comunale con Guido, 6

durante il suo mandato di Sindaco di Costigliole (1995 - 1999).

Mi ha voluto con sé in Giunta e nel capitolo dedicato ripercorriamo con tutti gli amministratori di quella lista vincente gli interventi e le impressioni di quel periodo.

Dante Chiola

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Ringraziamenti

Al Sindaco Cav. Enrico Alessandro Cavallero per la presentazione.

Al Comune di Costigliole per aver concesso il Patrocinio.

Al Parroco Don Paolo Prunotto per le cartelle dattiloscritte su Bionzo.

A tutta la famiglia Boeri per la fattiva collaborazione.

Ai molti Bionzesi che hanno concesso fotografie e ricordi personali.

Alla Prof. Erica Bertolusso per i suggerimenti e le correzioni.

A Michele Ponzo per le foto ed il supporto relativo al calcio.

Alla Prof. Maria Iraldi per i consigli e le indicazioni.

A Giancarlo Rossi per la consulenza informatica

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La famiglia Boeri di Bionzo

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Nell’introduzione, parlando dei suoi avi, Guido è risalito fino al bisnonno che, involontariamente, ha dato il soprannome DRAGONE a tutti i discendenti. Il nonno Alfonso, nato e residente a Bionzo (1870 - 1934) ha 3 figli: Rosa, Giovanni e Pacifica. Giovanni è il padre (1902 - 1980) e sceglie di rimanere nella casa del nonno a Bionzo. Guido è l’ultimo di tre fratelli. Luigi, del 1927, primogenito, ha scelto la vocazione sacerdotale. Ci sono, tra gli ascendenti molti Boeri sacerdoti, tra cui Giulio Boeri, mancato a soli 40 anni.

Maddalena Grasso e Giovanni Boeri

Alfonso, del 1933 e Guido, del 1934 terminate le scuole elementari proseguono gli studi ad Asti, in collegio. Dopo alcuni anni decidono di interromperli per aiutare i genitori nella conduzione dell’azienda vitivinicola. Per la scelta spirituale di Luigi, due sole persone non sono sufficienti a condurre i molti terreni coltivati a viti. Nei primi anni cinquanta tutta l’economia agricola astigiana si trasforma velocemente. Da un lato vengono sottratte 12

I tre fratelli: Luigi, Alfonso, Guido Boeri

braccia in favore dell’industria, in particolare la Fiat, con tutto l’indotto. Da un altro lato si stanno sviluppando la meccanizzazione e la motorizzazione anche nei lavori dei campi e delle vigne. Assistere e condividere le fatiche manuali nelle varie fasi delle lavorazioni stagionali ha spinto Alfonso e Guido ad inventare nuovi metodi di conduzione agraria e nuove macchine.

Il “verderame” alle viti da secoli viene irrorato con una “ macchina” spalleggiata, dal peso di circa 30 kg ed una pompa azionata manualmente. Dopo una intera giornata di lavoro anche un giovane forte e vigoroso è distrutto dalla fatica.

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I tre fratelli Alfonso, Luigi e Guido Boeri in eta matura

In quel periodo i fratelli Boeri pensano di interrare in un lotto delle loro vigne dei tubi di metallo, successivamente incatramati del diametro di mezzo pollice, installando così un impianto di irrorazione fisso. Lo stesso viene poi collegato ad una motopompa a pressione. L’idea in sé è buona; non tiene però conto delle radici delle viti che anno dopo anno si espandono andando così ad ostacolare, restringere e spezzare i tubi sotterrati. Di quell’idea i fratelli Boeri salvano la motopompa, collegandola a delle lunghe gomme “Pirelli”, trainate a braccia, resistenti e duttili, ma anche pesanti (soprattutto quando occorre tirarle in cima, dal fondo della collina ). Passano gli anni dell’adolescenza e si rendono conto che la scelta di rimanere in campagna è quella giusta, tuttavia non piace loro “la stalla”, ossia affiancare alla vigna, come integrazione del reddito, l’allevamento del bestiame. Tutte le cascine di quel tempo allevano mucche con relativi vitelli e buoi.

Così se l’annata agraria è avversa per una brinata o una grandinata la vendita dei vitelli consente di sopravvivere. Alla stalla preferiscono i lavori artigianali quali la lavorazione del ferro; iniziano con un fai da te senza esperienza, utilizzando i locali che potevano essere adibiti a stalla. Alfonso e Guido dedicano tutto il tempo libero dai lavori in vigna a questo secondo apprendistato. Sono aiutati e stimolati in questo progetto da due personaggi 14

della borgata: Nato, al secolo Fortunato Scarrone e Carlo Finale.

Quest’ultimo è un bravissimo meccanico della “Lancia” di Torino. Costretto dal padre, anziano, a ritornare alla sua cascina, viene eletto “il meccanico” del borgo. Nato è un falegname con la passione dei lavori artigianali creativi, e nel suo tempo libero costruisce una piccola trebbia in legno per il granoturco. A Carlo Finale ed ai fratelli Boeri viene delegata la parte meccanica.

Finita e collaudata sommariamente, la trebbia viene agganciata al trattore dei Boeri dotato di apposito volano a cui collegare il robusto nastro per la trasmissione dell’energia motoria. Iniziano a provarla come contoterzisti. Trasportando la trebbia sulle nostre colline Guido un giorno conosce casualmente Carla, intenta a raccogliere le pere su un albero; rallenta la corsa del trattore, la saluta con la mano e sfodera istintivamente il suo caratteristico sorriso. Carla, non conoscendolo, osserva sorpresa. Il trattore passa oltre e Guido si volta ancora: a quel punto il sorriso è ricambiato. Alla sera, alla Madonnina c’è il ballo a palchetto.

Guido decide di andare, la rivede e la invita a ballare. Nasce una bella storia d’amore e Carla diventerà sua moglie. Mentre per la trebbiatura del grano è usanza allestire grandi pranzi, per il granoturco si praticano gran b ­evute veloci. Esiste anche un detto in piemontese: “la ciuca del panse slanguie”, ovvero bere senza mangiare.

Arrivano così i primi anni sessanta.

Entrambi i fratelli si sposano ad un anno di distanza ciascuno.

Foto di famiglia: Alfonso con la moglie Carla, i genitori Maddalena e Giovanni, Guido con la futura moglie Carla

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Con l’arrivo dei figli lo spazio in cascina si fa stretto. Acquistano allora da Ettore Della Casa un cascinale lungo la provinciale per Calosso dove trovano lo spazio per la loro prima officina meccanica.Viene ancora concepita come un lavoro extra, integrativo del reddito della vigna, per mantenere le due famiglie che crescono.Sono riconoscenti al sig. Della Casa per aver favorito il contratto, ed aver compreso le loro necessità familiari. La casa viene ristrutturata in base ai bisogni del nucleo e Guido ricordando che alla mamma piacciono le scale doppie interne (tutte le scale hanno un’unica rampa semplice e ripida) la realizza per lei. A fianco viene adattata l’officina meccanica.

Qui nasce il primo “ atomizzatore”. Ad Asti i fratelli acquistano

Foto del primo atomizzatore

da un pastificio in liquidazione una grande ventola, che, opportunamente adattata, può servire all’idea che frulla loro in testa. In commercio esistono già delle macchine simili ma sono costose e poco adatte alle nostre colline. Vengono fabbricate 16

soprattutto in Francia e nell’Oltrepò pavese. Nel frattempo acquistano un trattore a cingoli “Lamborghini”. Programmano di sistemarvi sopra questa nuova macchina con un grande serbatoio, costruito in lamiera saldata, adattandolo alla motopompa che già hanno sperimentato. Applicano poi dietro al serbatoio, dotato di appositi ugelli, la grande ventola acquistata ad Asti.

Il giorno della prima prova l’enorme nuvola d’acqua viene notata dalle colline e dai paesi vicini. In molti accorrono per vedere la novità. Tra le persone del pubblico che si ammassa, si palesano i primi acquirenti. Viene precisato loro che i tempi di consegna saranno lunghi perché quel lavoro viene eseguito solo nel tempo libero. La nuova macchina, inoltre, necessita ancora di modifiche, essendo sperimentale e nata senza un disegno tecnico. E, comunque, prima viene l’azienda del padre. Solo nel poco tempo libero possono dedicarsi alla loro “creatura”. Si arriva così al 1965 quando vengono consegnati a diversi clienti gli atomizzatori, sia nel paese di Costigliole che in quelli limitrofi.

Frequentando i mercati della provincia di Cuneo e soprattutto dell’albese, arrivano ordini più importanti. Risultano vincenti il passaparola e l’assistenza che viene fornita a tutte le ore. Aumenta il lavoro. Crea speranze soprattutto la vendita in contemporanea di piu atomizzatori. A Guido non pare vero poterne vendere in un solo contratto tre. Si comprende che lo spazio della piccola officina che hanno creato non è più idoneo. Si pensa anche di assumere del personale. L’idea è di costruire un capannone di grande capienza. Viene loro in aiuto un parente Mauro Boeri di San Michele che li mette in contatto con i fratelli Baldi di Burio per l’acquisto di un lotto di terreno adiacente la strada.In pochi anni sorgono due capannoni. Di fianco viene costruita una casa bifamiliare in cui si trasferiscono le due famiglie, che nel frattempo sono cresciute.

Guido ha due figli: Giovanna e Claudio.

Alfonso tre figli: Marilena, Giorgio e Roberto 17

La famiglia al completo

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La ditta DRAGONE A Burio nasce nel 1971 il logo DRAGONE. Poiché Guido ed Alfonso sono conosciuti con quel soprannome tanto vale scriverlo sul capannone della ditta e sulle loro originali e creative macchine agricole.

La ditta Dragone a Burio

L’investimento sostenuto per i terreni e gli immobili è notevole: devono accendere i loro primi mutui con le banche. Gli anziani genitori osservano con preoccupazione, mista ad orgoglio, la loro avventura. Felici del buon accordo tra i fratelli, tra le rispettive famiglie e felici che il progetto non li abbia allontanati dall’azienda agricola. La Ditta DRAGONE inizia ad assumere dipendenti, soprattutto della borgata: i primi sono Franco Santero e Battistino Ponzo. Il lavoro procede bene, il mutuo con 19

il passare degli anni viene estinto. Crescono i figli e quasi tutti, dopo aver terminato le scuole superiori, si inseriscono in azienda: Giovanna, Claudio, Giorgio e Roberto. Marilena invece preferisce un impiego in banca. Con il successo commerciale, derivante dalle capacità di creare nuove macchine agricole con moderne tecnologie produttive, adattandole alle nuove metodologie agrarie, brevettano non solo atomizzatori di varie dimensioni e carreggiabili, ma anche trinciatrici adattabili ad ogni trattore. La produzione aumenta fino a coprire il territorio na-

Una delle nuove macchine agricole

zionale ed internazionale. Felice l’incontro con un rivenditore di Viterbo Mario Togni che riesce a commercializzare fino a trecento mezzi agricoli in un anno. Durante i ventidue anni di permanenza a Burio si sposano tutti i figli di entrambi i fratelli e cambia l’organizzazione del lavoro sulla base delle singole capacità e preferenze dei membri della famiglia. Alfonso preferisce il 20

lavoro sulle macchine utensili, specializzandosi al tornio. Oltre ai rivenditori sono ancora importanti in quegli anni i contatti e le vendite che si realizzano seguendo costantemente le fiere ed i mercati provinciali. Guido con le sue innate capacità comunicative è sempre presente, affiancato di volta in volta dai giovani delle due famiglie. La figlia Giovanna intuisce l’importanza del mercato estero ed inizia a creare contatti con la Germania e con la Francia, da cui giungeranno molti ordinativi e si instaureranno rapporti commerciali con nuovi rivenditori. Lo spazio che vent’anni prima sembrava immenso inizia a farsi stretto. Si pone nuovamente il dilemma di ampliarsi e spostarsi. Ora la catena decisionale è più complessa. Non basta più l’accordo tra fratelli. Occorre anche sentire e convincere i giovani figli. Si tratta soprattutto di fare nuovi investimenti e nuovi mutui sia per la parte strutturale-edile che per l’ammodernamento delle macchine utensili. Ci vuole coraggio; da alcuni viene giudicato avventatezza. La Ditta Dragone è ad un bivio: fare un lungo passo o rimanere ferma, con il rischio di andare fuori mercato. Viene acquistato un nuovo terreno alla Motta dove si sta costruendo la nuova autostrada. Poiché le procedure amministrative e le norme urbanistiche richiedono tempi lunghi, non si costruisce nulla. Questo ritardo si trasforma in fortuna: la disastrosa alluvione del ’94 rende quei terreni alla Motta simili ad un immenso lago. Avrebbe distrutto ogni cosa. Viene allora acquistato un grande lotto di terreno a Castagnole delle Lanze, vicino al Boglietto. Qui si decide di insediare la nuova futura media impresa.

All’inizio del ’94 viene completata una parte della sede attuale.

Lasciare la propria borgata ed il proprio paese non è semplice per Guido. Il paese in cui si è nati è sempre il più bello; lì ci sono gli amici d’infanzia, la vecchia contrada. Prende una certa malinconia ed un groppo in gola lasciarlo.

Diceva Cesare Pavese in “La luna e i falò”: “un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è 21

qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti.”

Per capire il profondo legame di Guido con il suo borgo natio occorre conoscere meglio Bionzo, situato nel Comune di Costigliole d’Asti. Occorre immergersi nella sua storia, nelle sue tradizioni, nei personaggi tipici, in tutto il contesto che ha formato chi vi è nato.

Bionzo dall’alto

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Le origine storiche di Bionzo Dall’ Archivio Diocesano di Asti troviamo un manoscritto di Don Ferrero datato 1900 riportante i cenni su Bionzo: “Costigliole trovasi spartito in parecchi cantoni, che si appellano borgate, in ciascuna delle quali si innalza una chiesetta con casa annessa per il cappellano, che gli abitanti vi mantengono a loro comodità nei bisogni spirituali.” Bionzo è una di queste borgate la cui chiesa è tra le più antiche, dopo quella di Costigliole. “...Esiste prima della distruzione del borgo di Loreto, avvenuta nel 1255, giacchè essa insieme ad altre chiese trovasi tra i possedimenti dell’abbazia di S.Michele della Chiusa( sul principio del 1200)...” “...Blone, o Blonai, questo luogo che oggi appellasi Bionzo, occupava il sito tra Costigliole e Calocio.”

In un estratto del Codex Astensis vol.1 - doc. 100 troviamo invece: “Verso il 1200 dal conte di Loreto Manfredo I, detto Lancia o Lanza, ne furono fatti Signori i Lanzavecchia di Alessandria che lo tennero fino al 1288, epoca in cui lo dovettero cedere agli Astesi (al prezzo di 300 lire)” Due anni dopo Bionzo viene distrutta dal Marchese Guglielmo di Monferrato, come registrato sempre nel Codex Astensis: “Nell’anno del Signore 1290… con numeroso esercito… venne nei possedimenti degli Astesi, vale a dire presso Isola... bruciando case e devastando vigne e piante fino a Neante e fino a Castagnole e Bionzo per tre giorni, e non passò il Tanaro”.

Passano pochi anni e viene nuovamente distrutta nel 1316: “...nelle malaugurate guerre civili fra il partito Guelfo, rappre23

sentato in Asti dai Solari, ed il partito Ghibellino rappresentato dai Castelli, gli abitanti di Bionzo furono mandati abitare il luogo di Isola, dalle medesime fazioni quasi spopolato...”

(ADA Manoscritto di Don Ferrero 1900) Anche i primi anni del 1600 sono terribili per Bionzo e per un vasto territorio circostante. I secoli precedenti sono stati segnati da guerre ed invasioni, tuttavia non così frequenti e cruente come quelle legate alla prima guerra di successione del Monferrato. Se poi aggiungiamo anche il dilagare della peste che colpì duramente il nostro territorio in quel periodo, possiamo immaginare quali prove di sofferenza hanno subito i nostri avi; quei pochi che sono riusciti a superarle. Nel 1613, essendo le truppe spagnole impegnate altrove, i Savoia tentano il colpo, invadendo gran parte del territorio occupato dagli spagnoli. Bionzo si trova sui confini e risente della posizione di Calosso, che è, per la sua altitudine, una strategica rocca difensiva. Subisce pertanto diverse scorrerie e cambi di fronte. Nel giugno del 1613 avviene l’assedio di Canelli, alla cui difesa partecipano diversi giovani bionzesi. Negli anni successivi, Bionzo è citato, nei testi che descrivono la sua chiesetta. Può sembrare un racconto un po’ lungo, soprattutto quando vengono elencati i molti cappellani che vi hanno dimorato; è tuttavia una sintesi di 150 anni di storia della borgata, che, attraverso fatti legati alla chiesa, documenta il carattere dei suoi abitanti, a volte un po’ cocciuti ed ostinati.

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La chiesa campestre È dedicata a San Siro, primo Vescovo di Pavia. Conserva le reliquie di San Siro, San Lorenzo e degli Apostoli Tommaso e Simone. E’ stata ricostruita più volte. Nel 1640 viene innalzata ed ampliata. “…é probabile che la chiesa sia stata riedificata a seguito della terribile pestilenza del 1630-32, come voto degli abitanti del posto”. (Don Prunotto Chiese campestri, vol 3, 2015) L’ultima costruzione è del 1712; in quell’anno la collina viene abbassata di circa tre metri e vengono costruite due nuove strade carrabili, che risultano ancora alquanto impervie. Come tutte le Chiese campestri delle altre borgate, anche quella di Bionzo dipende dall’unica parrocchia di Costigliole. Quest’ultima gode del ricco patrocinio del Marchese Asinari di San Marzano, Signore del Castello in comproprietà con il Conte Verasis. Per la distanza del borgo dal paese, circa 5 km, viene concesso all’oratorio di Bionzo, fin dal 1619 (parroco Don Scarampi), di celebrare battesimi, matrimoni, funerali ed interrare i defunti nei due sepolcri esistenti (nei pavimenti della chiesa). Lo testimonia il priore Andrea Fogliati: “…tutte le domeniche e le feste di precetto viene celebrata la messa, non solo per i borghigiani ma anche per quelli di Burio e per le cascine lungo il Tinella...” (Boglietto ancora non esisteva). Nel 1663 il nuovo parroco di Costigliole, Don Secondo Bosco, rifiuta, per disposizioni del Vescovo di Pavia, di concedere ai cappellani (nominati dai borghigiani) di celebrare matrimoni, battesimi e funerali a Bionzo. Possono celebrare solo messe. A partire da quell’anno gli stessi borghigiani costituiscono un apposito comitato (sostenuti dal Conte Verasis, già in contrasto con il Marchese Asinari, patrono della parrocchia). Per contestare le nuove imposizioni ricorrono al Vescovo 25

di Pavia, il quale inizierà un fitto scambio epistolare con il parroco di Costigliole. La lite, basata sostanzialmente su richieste di autonomia per motivi logistici, (distanze, strade pessime, ecc.) si prolunga per oltre un secolo tra momenti di contesa ed altri di tregua. Si susseguono almeno due generazioni (i figli subentrano ai padri) e tutti, a seconda del parroco che trovano (più rigido o più tollerante) si mostrano determinati nel rivendicare quelli che ritengono i loro diritti legittimi e di buon senso. Nessuno dei “particolari” di Bionzo è acculturato. Solo pochi sanno leggere e scrivere; nonostante ciò tutti hanno la capacità di stringere alleanze (con il Conte Verasis, con il Conte Roero di Cortanze) che consentono loro di presentarsi al Vescovo di Pavia e persino al Senato di Torino. Questi fatti li ritroviamo, più dettagliati, nel capitolo che segue, grazie all’opera, già citata, di Don Paolo Prunotto.

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Il benefizio di Don Viale Nel 1637 tramite testamento (notaio Icardi) Don Giovanni Battista Viale, cappellano, di origini nobili con molti terreni a Bionzo, istituisce un benefizio laicale per la chiesa di Bionzo. Costruisce altresì una cappella laterale (alla destra dell’entrata) dedicata a San Giovanni Battista, con l’obbligo di tre messe settimanali da pagarsi con il godimento dei frutti del benefizio; questi devono inoltre servire anche per il mantenimento del cappellano, scelto dal Direttivo della chiesa e non dalla parrocchia di Costigliole.

Quet’ultima peraltro non sempre può disporre di un curato, sia per la gestione di molte borgate, sia per la distanza (di circa 5 km). Questo atto notarile diventa, tuttavia, fonte di frequenti litigi tra vari parroci di Costigliole. La dote del benefizio è di 52 giornate di terreni e della “cassina di Bions delli Signori Leva di Acqui”, per un totale di circa 200.000 metri quadri di estensione.

I terreni sono i seguenti: - Regione del prato grande: 2 giornate - Cascina con prato viti e sito: 19 giornate - Regione colonne: 3 giornate - Regione Loberto Canapale: 1 giornata - Ponte d’Allinaro: 3 giornate - Piana Tinella: 2 giornate - Prato delle oche: 1 giornata - Prato Causano: 2 giornate - Regione bruciata: 2 giornate - Bricco di graffagno: 2 giornate boschive - Prato benento: 5 giornate - Piana Tinella (su territorio di Calosso): 10 giornate Ancora oggi molte vigne sono chiamate “del benefise”. La ricca dote della Chiesa e l’atteggiamento dei borghigiani che si 27

vantano di poter scegliere loro il cappellano (in pochi anni ne cambieranno diversi) indispone la Parrocchia di Costigliole. Dal 1663 il parroco Don Bosco rifiuta di concedere la facoltà di celebrare i battesimi a Bionzo. I borghigiani ricorrono al Vescovo, la cui sede è a Pavia. Vengono chieste spiegazioni al Parroco ma non si arriva a conclusioni. Bionzo fa da sé e non accetta direttive. Nel frattempo si abbellisce la chiesa. Al capomastro Pietro Baldi vengono date 6,15 lire ed al pittore Secondo Arellano 2 lire (Archivio Chiesa di Costigliole fald. 10).

Nel 1701 diventa Parroco Don Scotti e nascono nuove liti con i borghigiani. Scrive Don Scotti al Vescovo di Pavia: “...li detti particolari di Bionzo hanno per loro ordinario costume di fare il tutto a modo loro e quando il prete venisse a negare ingiusta richiesta lo manderebbero immantinemente via con mille strapazzi ed ignominie in pregiudizio del decoro ecclesiastico...”

(APC fald. 100) Nel 1702 con un memoriale a firma dei borghigiani, depositato il 22 giugno, ha inizio una causa legale in Senato a Torino tra i rettori di S.Siro e Don Scotti. La chiesa di Bionzo ha una buona dote e può sostenere le spese legali. È soprattutto appoggiata dal Conte Verasis, mentre Don Scotti può contare sul Marchese Asinari, patrono della Parrocchia. Nel 1703 il Presidente del Senato scrive a Don Scotti: “...sono raccorsi ai piedi di Sua Altezza Reale diversi particolari di Bionzo dolendosi di essere aggravati da Lei in diverse maniere... il Re mi ha ordinato di prendere cognizione, così la prego di portarsi in questa città (Torino)…”

(APC fald.100) Vengono raccolte diverse deposizioni giurate di testimoni di Bionzo. La causa prosegue per anni. Nel 1708 il Duca Vittorio Amedeo II di Savoia, in accordo con il Vescovo di Pavia affida al Generale dei Barnabiti Padre Presset il compito di portare la pace tra Parroco e borghigiani. Nell’archivio parrocchiale di 28

Costigliole risulta depositata una proposta, ma non sarà firmata dalle parti. La lite continua fino al 1712, e, di fatto, fino alla morte di Don Scotti nel 1722. Si sono succeduti, nel tempo, alcuni vescovi ed anche i membri del direttivo dei borghigiani.

Finalmente ottengono quanto richiesto ed agiscono come fossero una parrocchia. Passa un solo anno e con il nuovo Parroco Don Saraceno (1723) rinascono tensioni. I motivi del contendere sono sempre gli stessi: il Parroco non vuole concedere autonomia; tutto deve essere autorizzato da lui. I borghigiani resistono con ostinazione; non vogliono dipendere da Costigliole. Dal 1730 al 1743 si susseguono otto cappellani. I sacerdoti sono stressati dai borghigiani e dalle loro contese e poco inclini a fermarsi in tale luogo per lo scarso compenso economico. Dalla parrocchia nascono contestazioni ai rettori sul loro modo di amministrare e si inizia (1749) a compilare “il libro dei rettori e sotto rettori di San Siro e S.Giovanni Battista.” (fonte: fald. 100 Archivio Parrocchiale) Non sempre i conti tornano. Nel 1773 “…il suddetto rettore Fogliato comparve nella sacrestia della Chiesa per dare il suo conto, ma essendosi sbagliato in una nota che presso di sé teneva di caricamento e scaricamento, prese la sua nota, fugì, ne mai più diede tal conto…” (fonte: fald.100, fascicolo 12).

Con il parroco Don Pola nel 1783 sorgono gravi questioni circa i funerali da celebrarsi a Bionzo. Il parroco rifiuta di concedere licenza di tumulare i defunti nella chiesa, perchè i due sepolcreti esistenti sotto il pavimento sono stati sospesi. Ci si accorda per la costruzione di un nuovo cimitero. Nel frattempo nascono difficoltà per il beneficio Viale. Gli eredi rivendicano parte dei terreni. In quel periodo è curatore Don Giuseppe Boeri (1774 - 1863). Si apre una causa legale. Nel 1824 si costruisce il nuovo cimitero, ma il Parroco Don Serratrice si oppone alla benedizione perché è stato costruito senza il permesso del marchese 29

Asinari e senza l’autorizzazione dell’autorità civile. Ad aggravare la situazione si aggiunge l’erezione di un mausoleo da parte del Conte Luigi Roero di Cortanze che possiede molti terreni al Boglietto. Seguono lettere al Vescovo e dopo alcuni mesi il Parroco acconsente ma non viene a benedirlo; manda un giovane curato, per marcare il suo dissenso. Questo cimitero, distante 50 metri dalla chiesa, è utilizzato fino al 1881, anno in cui si costruisce la parte vecchia dell’attuale edificio.

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Il benefizio di Don Boeri Nel 1851 Don Giuseppe Boeri, con proprio testamento, fonda un nuovo benefizio. Quello precedente è stato in parte sottratto per vie legali dagli eredi Viale. È ancora curatore ( è quello che si è fermato di più a Bionzo, ben 49 anni) e dona i suoi beni immobili alla chiesa. La dote consiste in una cascina (“la cassinetta”) con 12 giornate di terreno che circondano la casa, accatastate come vigneti. Don Boeri sceglie come prima persona investita del beneficio il nipote Don Carlo Boeri, ex frate, deceduto giovane nel 1853. Poi nomina il nuovo cappellano della borgata Don Michele Cirio, da sostituirsi alla morte con il chierico, poi sacerdote Don Giovanni Boeri. Nel 1863 Don Giuseppe Boeri muore all’età di 89 anni. A fine anno si riuniscono i capifamiglia della borgata e decidono di vendere i terreni e la casa della cappellania. Dalla vendita restano escluse solo i terreni attorno alla chiesa circa 3 giornate. La Curia di Asti accoglie la richiesta dei borghigiani con decreto: i beni possono essere venduti a privati ed il ricavato convertito in cartelle del debito pubblico a favore della Chiesa di Bionzo, per il mantenimento del cappellano residente. La “cassinetta” con i mobili di Don Boeri e nove giornate di terreni adiacenti vengono acquistati da Giuseppe Chiola, (bisnonno di chi scrive) che già li lavora in affitto (1864). Nel frattempo accanto all’abitazione del cappellano si costruiscono i locali per la scuola elementare e per la maestra, in accordo con il Municipio. Davanti alla chiesa un piccolo orto con una fossa per l’acqua piovana. Nel 1866 Rosa Boeri, con proprio testamento, dona alla chiesa 2500 lire. Il legato diverrà effettivo agli inizi del 1900 allorchè i figli di Domenico (Federico, Alfonso, Edoardo e Giuseppe Boeri) depositano presso la Curia tre cartelle fruttifere di pari valore. Nel 1881 viene benedetto il nuovo cimitero, ampliato ancora nel 1905. (A.P.C. fald. 100)

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Bionzo risulta la prima borgata ad avere un suo cimitero. È anche l’unica borgata ad aver rivendicato con tenacia un’autonomia da molti anni, come evidenziato dai documenti storici.

Il testamento di Don Boeri

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La chiesa dal 1900 ad oggi La cronaca che segue è più attuale; molti avvenimenti sono tramandati oralmente dai protagonisti e ben impressi nella memoria di molti borghigiani viventi. Nel 1901 viene benedetta la cappella di Santa Libera, voluta dalla famiglia Stella per le grazie ricevute. Con la Parrochia di Costigliole non ci sono più tensioni. L’accordo è raggiunto con la cessazione dei benefizi Viale/ Boeri e la vendita dei terreni. I cappellani vengono nominati dal Parroco. Nel 1932 si costruisce la nuova abitazione per il cappellano. L’impresario è Edoardo Genta ed il costo finale è di 17.000 lire. I borghigiani iniziano ad autotassarsi per il passaggio da cappellania a parrocchia autonoma. Entro il 1935 i borghigiani raggiungono la somma richiesta dalla Curia di 100.000 lire (sarà decisivo il contributo elargito da Don Sebastiano Visconti, cappellano di Loreto e di Bionzo). Nello stesso anno, con Regio decreto Bionzo viene eletta a Parrocchia con il titolo di Arcipretura. Primo Parroco sarà proprio Don Visconti, nominato nel 1936, ma con ingresso ufficiale il 10 gennaio 1937. Con Don Visconti viene ripresa la tradizione di ricordare nelle preghiere con almeno una messa all’anno Don Carlo Beccaris, cappellano a Bionzo nel 1826. È venerato dai borghigiani per le sue virtù e ne serbano grata memoria per le sue intercessioni con le preghiere al fine di allontanare la grandine. Quando era già vecchio e cieco si faceva accompagnare sul sagrato della chiesa all’approssimarsi di un temporale e con le preghiere ed il lancio di una sua ciabatta verso le nuvole temporalesche, la grandine non scendeva. Nel 1968, unico anno in cui quella messa non fu celebrata, scese su tutto il territorio provinciale una rovinosa grandinata, che diede poi vita al sessantotto contadino. Si organizzarono proprio alla Madonnina di Costigliole le prime assemblee dei contadini che decisero di scendere in corteo ad Asti con i trattori in più occasioni con l’appoggio di tutte le forze politiche e sindacali fino a 33

quando non ottennero un decreto legislativo che istituì il fondo nazionale di solidarietà.

All’inizio del 1900 erano due le principali preghiere utilizzate in occasione di temporali, tramandate da Don Beccaris.

La prima: “Pietosissimo Iddio che quando giustamente vi adirate per le nostre colpe, altrettanto degnamente ci riguardate appena ne facciamo penitenza, piegatevi adesso alle preghiere del vostro popolo che sinceramente compianto dei proprii falli ve ne domanda perdono. Ed in vista della sua umiliazione e del suo ravvedimento degnatevi di preservarlo da tutti quei mali che gli minacciano le tempestose nuvole addensate sopra il suo capo, ridonando all’aria che lo circonda la sua primitiva serenità. Fate che convertasi in santa allegria la sua presente afflizione. Pater.

Ave. Gloria. A fulgore tempestate libera nos Domine” La seconda: “O Signore, in nome di Cristo nostro Salvatore, fate che questa tempesta sia distrutta da ogni bene e sia mandata sulle ghiaiaie e sui beni incolti. Vogliate esaudire le nostre preghiere, non fatelo per noi ma usate misericordia per l’innocenza. Pater.

Ave. Gloria. A fulgore tempestate libera nos Domine” Subito dopo si recitavano litanie alla Madonna, pater ai Santi protettori, specialmente a S. Barnaba, a S. Irene protettrici contro i fulmini, Santa Genoeffa, San Grato, intercessori della serenità ed all’Angelo Custode. Queste preghiere si dovevano recitare con profonda devozione e con animo sincero e credente.

Nel 1952 viene nominato Parroco Don Alessandro Paltro di Calosso. Con le sue doti musicali rinnova la cantoria, inserendovi molti giovani e dotandola di un nuovo organo. Negli anni 195355 si restaura radicalmente la Chiesa nel suo interno, così come la possiamo ammirare oggi. L’altare maggiore viene rivestito in marmo. Sotto il pavimento viene deposto, in una cassetta, 34

La preghiera a Don Beccaris

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l’ossuario di Don Beccaris. Gli affreschi del presbiterio e del coro sono opera pregevole del pittore Francesco Mazzucchi sotto la direzione e sovrintendenza del cav. Frescaroli (bello l’affresco nell’abside raffigurante l’ultima cena). Le decorazioni si devono al pittore Giovanni Gatti. Nel 1959 viene collocato l’orologio sulla torre del campanile. Da ogni angolo della borgata si può leggere l’ora, scandita dal suono delle campane. Va perduto purtroppo, nel 1964, in favore della Chiesa N.S. di Lourdes di Asti, il grandioso crocifisso, con scultura policroma in legno di fico, di epoca tra il cinquecento ed il seicento, rappresentante un Cristo di 2 metri di altezza, posto su una croce in legno scuro.

Don Visconti l’ha donato nel ’42 alla cappella del castello di Burio perché a suo dire “...scomparendo dalla vista dei borghigiani, eliminava la pessima abitudine delle mamme del posto di portare i propri bambini capricciosi al cospetto del crocifisso, perché il viso severo del Cristo li mettesse in soggezione” (“Gazzetta d’Asti”, n. 40, 2008, Nolin)

Quando il castello di Burio sta per essere venduto, dai Padri Orionisti a privati, Don Visconti, il 6 settembre 1961, chiede alla Curia di scrivere al Superiore della Congregazione: “...siccome negli anni dell’ultima guerra la Parrocchia di Bionzo ha ceduto ai Rev.mi Padri un grande crocifisso ligneo, sarebbe desiderio del Rev. Parroco e dei borghigiani che tale crocifisso ritornasse alla Chiesa di Bionzo, in caso di vendita del vostro stabile”.

Il 23 settembre 1961 risponde il Superiore: “...comunichiamo che il castello di Burio sta per essere venduto ed a giorni si dovrebbe fare l’atto notarile. Preghiamo quindi voler ritirare dal castello stesso il grande crocifisso”. (Archivio Diocesano Asti, fondo Amministraz.)

Questa lettera però si è fermata in Curia. Non sono stati informati né Don Visconti né il nuovo Parroco di Bionzo. Presunto 36

responsabile di tale azione risulterebbe Don Quaglia, architetto, (progettista di molte chiese, tra cui quella del Boglietto e della Torretta di Asti). Ha voluto dotare quest’ultima di un crocifisso “importante”.

Peccato che è di proprietà della parrocchia di Bionzo che lo ha correttamente e tempestivamente rivendicato. Riusciranno ancora i borghigiani a far valere i propri diritti? Se sapranno ritrovare lo spirito caparbio, unitario e battagliero dei loro nonni e padri, certamente si. Ci ritroviamo di fronte a diritti legittimi. È auspicabile che l’attuale Direttivo della chiesa presenti l’istanza di restituzione del grande e prezioso crocifisso nelle sedi opportune. Nel 1970 si tengono i funerali di Don Visconti. È sepolto nel cimitero della frazione. Corrono gli anni e nel 1992 viene festeggiato Don Paltro per il suo 40° anniversario di presenza pastorale a Bionzo. Nel 2005 viene inaugurato sul piazzale davanti la chiesa il nuovo monumento ai caduti, progettato dal geom. Marco Chies. La lapide di marmo in origine era posta sulla facciata delle scuole elementari; con la vendita delle stesse è stata provvisoriamente spostata all’ingresso del cimitero. Nel 2006 viene nominato parroco Don Remo Borello, il quale mantiene i precedenti incarichi di parroco del Boglietto e S. Margherita. Don Paltro per motivi di salute si trasferisce ad Asti dove l’anno seguente conclude la sua esistenza terrena. Con Don Borello viene rifatta la casa canonica e vengono ricavati locali idonei per le attività parrocchiali e per il ritrovo dei parrocchiani. Nella borgata è stato chiuso da qualche anno il bar-tabacchi della famiglia Santero che per un secolo è stato luogo laico di socializzazione. Si giunge così ai nostri giorni in cui viene nominato parroco Don Josef Sheyson, nato in India, nello Stato del Kerala. È giovane, molto attivo. Ripristina l’usanza di pubblicare “il giornalino”, abbinato alle sue due parrocchie: Bionzo e Boglietto.

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Inaugurazione del monumento ai caduti

Don Josef Sheyson

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Le scuole elementari Fino al 1871 le scuole erano situate dietro la chiesa, vicino all’abitazione del cappellano. (APC 1871, fald.100).

Nel 1928 il cappellano scrive al Vescovo circa le condizioni disastrose della casa canonica e delle stanze adiacenti adibite a scuole: “...posso null’altro dire che essa è in pessimo stato e minaccia di cadere per una parte... per quanto ho potuto ho cercato di far fronte alle più urgenti necessità per riparare il tetto e le stanze entro cui entrava acqua.. .essa casa avrebbe bisogno di essere completamente rifatta...” (APC 1871, fald. 100 ) L’anno successivo il Comune, visto il pessimo stato delle aule, decide di affittare alcune stanze nella casa della famiglia Cantamessa, appena sotto la Chiesa. Due aule vengono ricavate al primo piano; sopra l’abitazione della maestra. Prima, seconda in

Una scolaresca di fronte alle aule Santero

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un’aula e terza, quarta e quinta nell’altra. Dopo venticinque anni le scuole vengono poi spostate nei locali della famiglia Santero, sopra l’osteria. Guido ed Alfonso hanno frequentato in entrambi i luoghi gli anni delle elementari. Nel 1953 Il Comune delibera di costruire le nuove scuole elementari, su terreno di proprietà parrocchiale, previo accordo contrattuale con il parroco. È un edificio a due piani. Sopra ci sono due alloggi per gli insegnanti.

Sotto due aule grandi, un lungo corridoio e due bagni. All’esterno un piccolo appezzamento di terreno utilizzato come orto.

Qui a volte viene mandato chi non ha voglia di seguire le lezioni: a zappare l’orto. Diversi hanno subito quella “punizione”, più moderna rispetto ai colpi di righello sulle mani che i fratelli Boeri hanno conosciuto, anni prima; tutti gli allievi “puniti” si sono comunque inseriti bene nella società, dimostrando ottima imprenditorialità.

Una scolaresca di fronte alla nuova scuola

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Abbiamo vissuto e sperimentato in quegli anni una libera interpretazione pedagogica, applicata in scuole rurali. Certamente non sono strutture come quelle di città: non dispongono di palestra, attrezzature sportive, ecc. La ginnastica viene praticata all’aperto, a corpo libero, tempo permettendo. Esistono le pluriclassi (un solo maestro/a per più classi) e per la scrittura si utilizzano ancora i calamai ed i pennini, posizionati sui banchi.

Si indossa il grembiule; nero per i maschi e bianco per le femmine. Un colletto plastificato bianco ed un fiocco blu per i maschi, rosa per le femmine. Le uscite consistono in belle passeggiate nelle vigne per apprendere delle nozioni di botanica, geografia ed orientamento.

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La cantoria È nata nel 1946 con Don Visconti ed un piccolo organetto. Solo voci maschili. Viene chiamata, come da tradizione, “Schola Cantorum”.

Con la nomina di Don Alessandro Paltro ad Arciprete di Bionzo (1952), il coro si rinforza e si rinnova. In pochi anni l’organista ed il “maestro” della cantoria diventa Alfonso Boeri, affiancato da Bussi Amilcare, Massasso Remo che, con il figlio Giorgio, oltre al canto hanno capacità di direzione. Vengono inseriti molti giovani e si arriva ad un organico di 25/30 cantori. Di più non si può: crollerebbe il soppalco in legno che li sorregge, posizionato davanti all’altare maggiore, in fondo alla chiesa. Vi si accede attraverso una bella scala a chiocciola sempre in legno. Tutti i coristi delle varie sezioni raggiungono ottimi livelli di esecuzione. Tra questi ricordiamo: Tommaso Baldi, Giuseppe Bergamasco, Amando Borgnetto, con i figli Angelo e Francesco, il fratello Pietro (uno dei migliori bassi del territorio provinciale) con il figlio Tonio, Franco Borgnetto, Giuseppe e Giovanni Bussi, Pio Lignana, Domenico Ponzo, Luciano Ponzo, Giovanni Perrone, Giovanni Revello, Riccardo Rosso, Adriano Santero, Franco Santero. Con le prove serali, una o due volte alla settimana, vengono affinate diverse voci, che rendono più solenni le funzioni religiose e le messe domenicali. Oltre che in chiesa si canta anche al bar-osteria, dove si intonano canti alpini e di folclore. Si sentono voci intonate, dove un orecchio attento distingue i tenori primi dai tenori secondi; i baritoni dai bassi. È veramente piacevole ascoltarli. Vengono tramandate così partiture introvabili, trasmesse di generazione in generazione e riconducibili ai Trovatori del medioevo.

In quegli anni si canta ovunque. Nelle vigne sale un eco dalle diverse colline. Si accompagna così il lavoro faticoso e le preoccupazioni per una vita dura, fatta di sacrifici e pochi mezzi 42

La cantoria vecchia

di svago. E’ altresì una giustificazione per bere la buona barbera prodotta. Nel 1968, diversi cantori di Bionzo partecipano contemporaneamente anche alla nascita del nuovo coro “K2” di Costigliole, a dimostrazione di quanto preziose siano le loro voci. Anche per merito loro ottengono il terzo posto al concorso nazionale di Saint Vincent in Valle d’Aosta.

Tra questi coristi ricordiamo: Giuseppe Bergamasco, Francesco Borgnetto (diventerà anche primo tenore della corale S. Secondo di Asti) Domenico Ponzo, Luciano Ponzo, Giovanni Perrone, Riccardo Rosso, Franco Santero. Nel 1996 è stato festeggiato il 50° anniversario della fondazione della cantoria parrocchiale. Al Presidente, Domenico Ponzo (l’unico ancora in vita tra i fondatori del ’46) è stata donata un’ artistica pergamena.

Negli anni, venendo a mancare molti coristi, per mantenere attiva la corale si decide di aprirla alle voci femminili. Diventa così polifonica, raggiungento con i soprani tonalità sempre più alte.

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L’ organico degli ultimi anni vede ancora le seguenti voci, oltre al Presidente Domenico Ponzo: Michele Baldi, Giuseppe e Teresa Bergamasco, Carla Boeri, Nella ed Elide Botto, Lucia Bussi, Rina ed Enzo Gozzelino, Roberto Grasso, Carla Grisotti, Aldo Icardi, Pio Lignana, Renato Meistro, Giovanni Revello, Olga Rosso, Franco Santero, Palma Stella, Teresa Vona.

Celebrazione dei 50 anni della cantoria

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La cantoria con l’attuale parroco Josef Sheyson

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Bionzo viene descritto, con dovizia di particolari ed evidente affetto, anche in piemontese dal corista Francesco Borgnetto.

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La festa della borgata L’ultima domenica di agosto da sempre è la festa di Bionzo, in onore del suo Patrono, San Siro. Dal dopoguerra fino al 1995, un apposito comitato di borghigiani, si incarica di organizzare la festa per tre giorni: Sabato, domenica e lunedì. Si è soliti fare un contratto con una ditta specializzata nell’installare un ballo a palchetto e fornire dei musicanti. Il ballo è quello liscio tradizionale piemontese. Sulla sommità del ballo viene issata una pelle di coniglio. Solo nelle feste della leva (prima della partenza dei maschi per il servizio militare) si ballano anche danze di origini occitane, come la “curenta” e i brandi.

Fino agli anni 50 sul ballo a palchetto non si sale, come oggi, pagando un unico biglietto per tutta la sera. Esiste un altro sistema: acquisti il gettone d’accesso per tre balli a scelta: valzer, polka, mazurca. Al termine dei tre balli con una lunga fune tutti scendono dal palchetto e si ricomincia con un nuovo biglietto per altri tre balli. Volendo si può ballare tutta la sera, acquistando di volta in volta l’ingresso. E’ un buon metodo organizzativo: si balla in base alle proprie disponibilità economiche ed alle proprie energie fisiche.Inoltre si è sicuri di trovare sempre una pista libera e non sovraffollata. Dopo gli anni 50 si cambia metodo. Le ragazze vengono invitate a sedersi a bordo pista; ad inizio serata anche gratis, per invogliare i cavalieri a salire. Sono sempre accompagnate dalle mamme o qualche familiare che le osserva dall’esterno. A volte restano sedute a lungo perché ignorate dai cavalieri, rodendosi di rabbia. Spesso ballano, ma non con chi avrebbero desiderato. A fine serata una giuria maschile elegge la “Reginetta” o la “Miss”. Oltre al ballo la festa è ricordata per il pranzo della domenica, dopo la dopo la messa solenne (messa grande delle 11). Si mangia bene così solo poche volte all’anno: Natale, Pasqua e la trebbiatura del grano (fatti salvi eventuali battesimi o matrimoni). Le donne di casa fanno a gara nel 47

preparare il menù; tutto rigorosamente legato alla tradizionale cucina piemontese.

Gli antipasti non finiscono mai: affettati misti, vitello tonnato, acciughe sott’olio, lingua in salsa, peperoni in bagna cauda, insalata russa (da approfondire il suo ingresso in un menù piemontese; in Russia la chiamano insalata italiana), finanziera, fritto misto (niente pesce); poi arrivano i primi: (di solito due) ravioli (al sugo, alla salvia o al vino); brodo di gallina; a seguire i secondi a scelta: bollito misto, coniglio, arrosti, accompagnati dal bagnet al verde; e per finire i dolci: bunet, pesche sciroppate, paste dolci o tirà. Vini di propria produzione a volontà. Caffè e “pusa cafè” (fernet, amari). Questo, è il pranzo tipico preparato in ogni casa di Bionzo e dei paesi confinanti, con poche varianti.

Musica dal vivo per la festa di Bionzo

Il ballo a palchetto

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La Leva 1924

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Il pranzo della Leva 1967 sul ballo a palchetto

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La trebbiatura del grano Si è persa questa tradizione quando le aziende agricole hanno privilegiato la monocoltura, ossia solo la vitivinicoltura. Prima ogni campo era seminato a grano ed a rotazione a granoturco.

Un agricoltore di Bionzo, Vincenzo Vacchina, aveva selezionato una qualità ibrida di grano che portava il suo nome e che si caratterizzava per le spighe molto lunghe e l’adattabilità ai nostri terreni. Il grano si mieteva in luglio e, raccolto a covoni, si trasportava a casa dove si ammassava, nell’aia, formando un “burlè”, grande o piccolo a seconda delle terre seminate a grano.

Esisteva una metodo tecnico per costruirlo e per renderlo resistente ai temporali, ossia al vento ed alla pioggia. Mediamente in ogni casa si producono dai 15 ai 40 quintali di grano (sacchi di iuta da un quintale). Si aspettava quei giorni come la festa del paese.

Veniva assicurato il pane quotidiano per la famiglia e la farina per il bestiame; il resto si vendeva, integrando il reddito delle vigne.

Occorreva molta manodopera e ci si aiutava reciprocamente tra cascinali. Così avveniva del resto per sfogliare il granoturco, durante un parto nella stalla, durante la fienagione e così via. È una bella 51

socializzazione agreste. Se non si trebbiava per primi, si sentiva da ore, in lontananza, il tipico rumore del trattore “a testa calda”; di solito un “Orsi” o un “Landini”, le due fabbriche di trattori più note in zona. Al traino aveva una grande trebbia costruita in legno e dietro la pressa per la paglia detta anche “imballatore”. Occorreva molta maestria per fare “il piazzamento”. Tutta l’energia prodotta dal trattore doveva essere trasmessa alle altre macchine attraverso un’ enorme cinghia di cuoio rinforzata. Una grande e pesante puleggia.

Si iniziava quando tutti gli uomini erano alle loro postazioni: due sul “burlè” per alimentare la trebbia; uno o due sulla trebbia per imboccarla; due per riempire i sacchi; due alla pressa per inserire il filo di ferro per legare i “balot”; due dietro la pressa per spostare le balle di paglia. Vicino alla pressa lavoravano anche i ragazzi per confezionare il filo di ferro, tagliandolo ed arrotolandolo in punta per formare un’asola. Il rumore era assordante e l’enorme polvere sollevata creava dei nuvoloni. Tutti si mettevano un fazzoletto per coprirsi le vie respiratorie. Se non si verificavano guasti meccanici il lavoro proseguiva per ore, al caldo.

Qualcuno provvedeva a ristorare i lavoratori con acqua o vino, tenuti al fresco. Quando tutto il grano era stato introdotto nella trebbia una sirena annunciava la fine del lavoro. Si contavano i quintali prodotti, (metodo utilizzato per pagare il servizio) poi tutti a tavola. Non importava che ora era. Ogni cascinale offriva un pantagruelico pranzo (o cena), come durante la festa della borgata. Ma poichè ci si aiutava l’uno con l’altro, di cascina in cascina, si mangiava così almeno tre/quattro volte al giorno, fino a quando non si era reso il favore a tutti coloro che erano venuti a prestare servizio.

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Il momento della Trebbiatura - La trebbiatrice

Il momento della Trebbiatura - i Burle di grano

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I due forni per il pane Pur essendo una piccola frazione Bionzo, per diversi anni ha avuto due forni. Occorre ricordare che all’inizio del 1900 sono oltre seicento le persone residenti. Oggi meno di cento. Le famiglie sono rimaste pressochè stabili ma sono cambiati significativamente i componenti delle stesse: da una media di sette persone alle pochissime di oggi. I forni erano a casa di Santero Dario e di Scanavino/Dova; erano a legna e spesso nel pane si potevano trovare residui bruciacchiati di tralci di vite. Le fascine essicate servivano per accendere il forno, come avveniva nelle stufe di ogni casa. In ogni famiglia veniva preparato l’impasto con la farina; messo a lievitare per molte ore e poi portato al forno. I bambini della casa, a sorpresa, erano deliziati da piccoli bambolotti o figure di animali fatte di pane. Era una festa.

Al forno si andava una volta alla settimana con una grande cesta.

A metà anni 50 questa consuetudine cambia. Si iniziano a portare ai forni i quintali di farina che vengono convertiti in quintali di pane. Si assapora così ogni giorno il pane fresco e si toglie alle donne di casa l’incombenza di impastare. Su un libretto viene annotato il peso del pane prelevato giornalmente, ed a fine mese si verificano i conti. Il giusto utile per il fornaio è determinato dal fatto che con un quintale di farina si producono circa 120/130 chili di pane. La bottega del panettiere Dario Santero e della moglie Maria è un bazar dove si trova ogni cosa. Oltre a “sale e tabacchi”, zucchero e caramelle, ci sono salami prodotti in casa, formaggi, scatolame vario, prodotti per la pulizia della casa, scope, pantofole, stivali. Sul bancone di marmo bianco, accanto alla bilancia con i piatti ed i pesi in ottone, si può trovare mezza forma di parmigiano, la grande latta aperta con il tonno, quella delle acciughe e dei pesci in agrodolce. Dall’alto pendono salami stagionati, salamini e cacciatorini. L’olio di oliva e di semi si vende sfuso, versato da contenitori in alluminio posti a fian54

co della grande affettatrice rossa, la mitica Berkel, rigorosamente manuale (oggi ricercato oggetto di antiquariato). Solo una volta alla settimana ci si sposta al mercato del paese o a quello di Asti.

La mitica Berkel

Bar ristorante Santero

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La “Societa’ Calcio Bionzo” La tragedia di Superga del ’49 dove perì l’intera squadra del glorioso Torino provocò un immenso lutto tra gli sportivi. Molti giovani già seguivano e praticavano da dilettanti il gioco del calcio. Quel lutto e l’eco che si diffonde in tutta la nazione, particolarmente in Piemonte, fece sì che anche a Bionzo se ne parlasse e si iniziasse a praticare quello sport. Per la morfologia del territorio occorreva giocare nel fondovalle. Al Boglietto o nella valle Nizza. Anno dopo anno sono molti i giovani di Bionzo che hanno indossato la storica maglia azzurra (non quella della Nazionale); è questo il colore scelto dalla società sportiva che viene creata appositamente con tanto di timbro, carta intestata e cariche elettive: Presidente, Direttore sportivo, allenatore e massaggiatore. La squadra aveva un suo ufficio stampa, grazie alla presenza di Dante Rosso, corrispondente dei settimanali locali. Tutti lo chiamavano “il giornalista”. Era ovviamente un grande tifoso. In tal modo il nome della squadra veniva fatto conoscere anche a

Le vecchie glorie del calcio

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livello provinciale. Emergeva una buona capacità organizzativa e promozionale, con molti tifosi al seguito, e giunsero ben presto anche significative vittorie nei vari tornei a cui si partecipava.

Ricordata ancora oggi la partita vinta a Santa Vittoria d’Alba. I giocatori del Bionzo non erano giovanissimi, quasi tutti avevano già dei figli che, ben presto, assimilarono la passione dei padri.

Guido, Alfonso, Emilio Conti, Riccardo Rosso e Luciano Ponzo sono alcuni di questi padri. In tal modo quando viene indetto nel 1972 il primo “torneo dei borghi” di Costigliole la squadra del Bionzo è formata da giovanissimi e promettenti calciatori; sono per lo più i figli delle “vecchie glorie”.Tutti i borghigiani, come del resto accadeva nelle altre frazioni, partecipavano con entusiasmo e seguivano le varie partite serali facendo un caloroso tifo. Si arrivava a volte a tafferugli con tifosi di altre squadre. Successe durante una partita: qualcuno liberò un coniglio in campo: ...invasione del campo, risse... sospensione della partita.

Ancora oggi, quando qualcuno vuole offendere un abitante di Bionzo lo chiama “coniglio”. Quelli del Boglietto invece vengono

Il primo torneo vinto

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chiamati “galletti”. Quelli di Calosso “ciapulin”. Non si conoscono i soprannomi, se esistono, delle altre frazioni.Varrebbe la pena capire da quanto tempo esiste questa usanza e perché vengono assegnati quei nomi. Racconta Fernando Rosso che il soprannome di “conigli” fu affibiato all’inizio del 1900 ai molti operai di Bionzo che lavoravano presso lo stabilimento Cora.

Dall’alto della collina scendevano sul piazzale della ditta attraversando varie capezzagne e strade non inghiaiate, portando nella cattiva stagione molto fango sulle scarpe. Per ripulirsi prima di entrare in stabilimento battevano tutti con forza i tacchi al suolo. Come i conigli appunto. La squadra del Bionzo, dai colori azzurri, era davvero ben organizzata: una buona difesa, un centrocampo flessibile e due veloci ali creavano scompiglio nelle squadre avversarie. Così si vincevano molte partite e soprattutto il trofeo finale.

Bionzo è la squadra che ha vinto più trofei. Nel 1974 e 1975 vinse due volte di fila. Forse intimoriti da tanta forza, gli organizzatori sospesero il torneo fino al 1980, anno in cui venne ampliato per numero di squadre. La squadra del Bionzo conquistò anche quel trofeo. Da allora per oltre ventanni non si è più disputato il torneo dei borghi.

Queste le formazioni-tipo, comprensive, delle riserve; Portieri: Dante Chiola, Aldo Cantamessa.

Terzini: Oscar Cantamessa, Pierfranco Baldi, Giorgio Boeri Mediani: Michele Ponzo, Claudio Boeri, Luigi Baldi Centrocampisti: Bertino Rosso, Augusto Magnano Ali: Sandro Ponzo, Renzo Conti, Roberto Boeri Centravanti: Claudio Rosso, Massimo Duretto, Antonio Orlando

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La poesia sui Conigli di Bionzo scritta da Don Luigi Boeri

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Torneo vinto nel 1980

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Il gioco delle bocce Oggi questo sport si gioca in apposti bocciodromi o campi attrezzati. Quando le strade non erano asfaltate, e non esisteva il traffico veicolare di oggi, si giocava in strada. Occorre tener conto della sabbia e della ghiaia che impedisce il libero scorrimento delle bocce e del “pallino”. Solo dopo molto allenamento ed una certa predisposizione si può diventare dei bravissimi giocatori.

Rino Rosso è uno di questi. Sono due le specializzazioni: sapere andare “al punto” e sapere bocciare o “tirare”. Alcuni sono bravi in entrambe. Di solito la domenica pomeriggio gli appassionati si ritrovano al bar/osteria di Dario Santero ed organizzano le “pariglie” ossia le coppie di giocatori in cui uno è bravo “al tiro”, tanto da riuscire spesso a mettere con una “volé” la propria boccia esattamente al posto di quella dell’avversario (“suc a post”). Grandi applausi naturalmente e pacche sulle spalle. L’altro socio deve essere bravo a prendere il punto, ossia avvicinarsi il più possibile al “pallino”. Ci si sfida di partita in partita fino alla finale. Di solito chi perde paga le consumazioni, ossia il vino bevuto. Nelle feste patronali invece il premio in palio è una medaglia d’oro per i primi tre classificati. Da trentadue millimetri per il primo, da ventiquattro millimetri per il secondo e da diciannove millimetri per il 61

L’addio a Rino Rosso apparso sul giornale locale

terzo. Per impedire la vittoria alle coppie più affiatate e brave si usa giocare alla “baraonda”, ossia si sorteggiano gli abbinamenti.

Non sempre si può vincere pur essendo abbinati ai più bravi. È successo a Guido che, avuta la fortuna di essere estratto con Rino Rosso (il migliore), è riuscito a fargli perdere la partita.

Bionzo può vantare ottimi giocatori. Oltre a Rino molti hanno vinto medaglie d’oro nei vari tornei. È questo il premio più ambito. Le medaglie più grandi di circonferenza vengono agganciate all’orologio da taschino oppure inserite in collane per le mogli o fidanzate. Negli anni novanta la ditta Dragone sponsorizza una squadra di quattro giocatori (Alfonso Boeri, Franco Santero, Mario Santero, Renato Meistro) che vince il torneo di Canelli.

Giocando anche nei campi da bocce del Castello di Costigliole, una sera Luigi Ponzo perdeva diverse partite e gli fu proposta una rivincita: chi perdeva, doveva pagare la pizza ai bionzesi presenti, una decina. Quella sera la fortuna non era dalla parte di Luigi. Perse e si ritrovarono tutti alla pizzeria “Da Maddalena”. Chissà con quale ansia Luigi trangugiò la sua pizza. Alla fine

La squadra Dragone in posa dopo la vittoria di un torneo a Canelli

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lo graziarono e pagarono tutti alla “romana” spalmando solo, in allegria, una torta sul viso di Luigi, come pegno per aver perso.

Tra i migliori giocatori di Bionzo meritano di essere ricordati: Alfonso Boeri, Bruno Fogliati, Roberto Grasso, Renato Meistro, Luciano Ponzo, Luigi Ponzo Franco Rinaldi, Riccardo Rosso, Rino Rosso, Adriano Santero, Dario Santero, Franco e Mario Santero, Alfredo Vacchina.

Alfonso Boeri e uno dei suoi celebri lanci

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Pesca e raccolta funghi Mentre il gioco delle bocce vede coinvolti quasi tutti i borghigiani, sono pochi quelli che si dedicano alla pesca ed alla raccolta dei funghi. Guido Boeri ha organizzato un qruppetto di amici affiatati: Elio Ferro, Piero Ferro, Renato Meistro, Bruno Romito, Piero Rosso (pur essendo giovane ha superato i maestri nelle raccolta funghi) e Dario Zandrino. La meta usuale per la pesca è il Tanaro e lo Scrivia. Per la raccolta funghi si è soliti andare al Sassello, oppure a Calizzano ed alcune volte in Francia. D’obbligo raccontare poi all’osteria un resoconto dettagliato delle avventurose trasferte ed esibire il raccolto.

La foto di rito con il pescato migliore

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La pesca a Tanaro

La felicita del bottino pescato

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Renato Meistro, fraterno amico, e Guido con un fungo raccolto

Guido, Alfonso, Bruno e un carpa da 18 kg

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Personaggi tipici di Bionzo

Nato 1908 - 1958

Di “Nato” (Fortunato Scarrone) si è già accennato come costruttore di una trebbia per il granoturco. Ma il suo mestiere era quello di “minusiè”, ossia falegname. Riusciva a soddisfare le richieste di tutta la borgata e del paese relative a serramenti (porte, finestre, oscuranti, ecc). Possedeva un bel laboratorio in centro frazione. Nel locale campeggiava la grande sega circolare (“Bindel”) ed alle pareti i vari utensili manuali tipici della professione. Aveva due figlie da maritare e tra i suoi clienti non mancavano mai i giovanotti del borgo che cercavano di corteggiarle.

Aveva grandi doti professionali e creative intuizioni. Purtroppo è mancato a cinquant’anni. Con lui la borgata ha perso un creativo artigiano ed anche il laboratorio.

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Personaggi tipici di Bionzo

Tisti 1916 - 1985

Battista Baldi, detto “Tisti” è stato il punto di riferimento per tutti. Abitava nel centro della frazione, nella casa di Nato. Era disabile per aver contratto da piccolo la poliomielite e con le sue stampelle ascellari si spostava con fatica dalla camera alla panchina sulla strada provinciale. Da adolescente aveva trascorso alcuni anni in collegio ad Asti per imparare il mestiere di calzolaio. Tutta la borgata si rivolgeva a lui per risuolare le scarpe (non si buttavano come ora ma si riciclavano due o tre volte).

Tisti era un vero notiziario: Tutti quelli che percorrevano la strada provinciale, se lo vedevano seduto sulla sua panchina, si fermavano sempre per una chiacchierata. Questo durante la bella stagione. In inverno ci si raccoglieva in tanti nella sua stanza/ laboratorio, al caldo della piccola stufa a legna. Non faceva pesare la sua disabilità. Era sempre cordiale ed allegro. Pronto alla battuta. La sua casa era luogo di socializzazione, come l’osteria.

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Personaggi tipici di Bionzo

Carlo Finale 1921 - 1995

È stato il meccanico di Bionzo. Aveva, per uso personale, una piccola officina, fornita di molte chiavi. Quando serviva una chiave si andava da Carlo. Aveva un’ottima esperienza motoristica (lavorava alla Lancia di Torino) e la applicava sui mezzi agricoli che possedeva (trattore, motopompe, motozappe). Si prestava anche per interventi di manutenzione ed avarie sui mezzi della borgata. Mitico era il suo vecchio trattore “Agrimeccanica” che solo lui riusciva a far funzionare, per la complessità del meccanismo di avviamento. Il suo ruolo nel sostenere ed aiutare i fratelli Boeri è stato fondamentale, per le sue nozioni di meccanica e di saldatore. Li seguiva anche nelle principali fiere regionali, come consulente tecnico. È stato anche l’artefice del primo tratto di acquedotto rurale della frazione.

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Personaggi tipici di Bionzo

Guglielmo Cantamessa 1914 - 2011

Anche Guglielmo aveva competenze meccaniche e creative.

Aveva modificato una vecchia automobile “Ardea” trasformandola in motrice per un aratro. Era più richiesto tuttavia per la sua assistenza nel parto dei vitelli. Veniva chiamato in ogni stalla quando una mucca era prossima a partorire. Dopo aver verificato che la testa del vitello fosse posizionata in avanti tra le zampe anteriori o provveduto in tal senso qualora la posizione fosse diversa, invitava i ragazzi presenti, dalle mani piccole e non callose, ad afferrare le zampe del vitello che venivano legate con “le marele” ad una grossa fune. Chiedeva poi ai diversi uomini presenti in stalla di tirare piano piano la fune, fino al parto completo. Si preoccupava poi di verificare che tutte le fasi post-parto procedessero bene. Sostituiva l’intervento del veterinario e si accontentava di un grazie.

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Personaggi tipici di Bionzo

Marietta Bona, detta “Ieta” 1917 - 2018

Orfana di madre a tre anni e di padre a 16 anni, cresce con tre sorelle ed un fratello con cui gestisce l’azienda agricola. Impara l’arte della cucina in famiglia, approfondendo la tecnica di cottura degli alimenti e la loro combinazione. Il primo pranzo importante è quello per il matrimonio del fratello; si sparge la voce e diventa piano piano la cuoca a domicilio per le grandi occasioni (feste di leva, matrimoni, battesimi, cresime, prime comunioni). Fino ai primi anni sessanta si usava fare i pranzi nella casa del festeggiato. Allora non esisteva neanche il noleggio delle stoviglie e quindi ci si aiutava tra vicini e borghigiani prestandosi vicendevolmente tutta l’attrezzatura necessaria. Ma il compito più difficile era cucinare per tante persone. A Bionzo tutti si rivolgevano a Ieta. La regola d’ingaggio era: fare bella figura con il minor spreco possibile. Proprio per rispettare ciò si era dotata di precisi prontuari e di menù particolari. Era 71

una delle migliori cuoche a domicilio. Occorreva prenotarsi per tempo perché la sua fama si era diffusa ed era richiesta anche da altre contrade e paesi. Lei cercava di non prendersi troppi impegni perché doveva conciliare quel lavoro con quello di casa sua, un marito, due figli e le vigne. Ma la passione per la cucina era grande. I committenti venivano a prenderla a casa con l’auto o la moto e lei racchiudeva in due fagotti la padella per friggere, la pentola per il brodo, le forme per i budini, i propri coltelli, le fruste per montare l’albume, il tritacarne. Queste attrezzature spesso nelle famiglie non si trovavano. I pranzi venivano preparati mediamente per 30/35 persone. Il banchetto più numeroso è stato di 150 invitati, nel municipio di Revigliasco per una festa di leva (i famosi tre giorni di visita medica). Raccontava con una punta di orgoglio di 10 cucine a gas sistemate in batteria, ed a lei pareva di dirigere un’orchestra. Per tenere in caldo il famoso fritto misto alla piemontese faceva spargere brace sui pavimenti che allora erano in mattoni. Come frigorifero usava sia i pozzi che il frigo del macellaio. All’apice della sua popolarità ha deciso di smettere, pur con dispiacere. Diceva che è stato più facile incrementare il successo che smettere. Per fortuna tutta la sua abilità culinaria e la sua esperienza l’ha raccolta il figlio Pietro Baldi, che ha descritto con dovizia di particolari quanto sopra.

Si è diplomato alla scuola alberghiera di Torino ed ha lavorato in prestigiosi ristoranti. È diventato chef istruttore presso la scuola di cucina italiana per stranieri, dopo aver girato il mondo nelle varie sedi dell’ICIF.

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Pietro Baldi e alcune sue allieve internazionali Foto nella pagina successiva: il ricettario di Ieta

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Personaggi tipici di Bionzo

Mario Santero 1933

Nato nel 1933 oltre ad essere un bravo giocatore di bocce, molto amico di Alfonso Boeri, è conosciuto come il “masacrèn”, specializzato nella macellazione dei maiali. Nel cortile della famiglia Santero, titolare della panetteria, bottega alimentari e bar-osteria, una volta al mese si assisteva al rito della macellazione del maiale. Un’usanza a cui potevano assistere anche i giovani, nonostante le scene cruenti che la caratterizzavano.

Il maiale più grasso veniva appeso vivo ad un tiro di catene e funi sopra una grande tinozza e con un taglio netto alla gola gli veniva prelevato il sangue tra grugniti strazianti fino alla morte.

Quel sangue veniva raccolto per gli insaccati, detti sanguinacci.

La testa del maiale invece veniva appesa sulla porta della bottega per annunciare ai passanti l’avvenuta macellazione. Poi l’abilità di Mario si concentrava nella lavorazione di tutte le parti del maiale (non si butta nulla) per produrre raffinati e profumati sa75

lami che si potevano consumare cotti o crudi. Le dosi e le spezie utilizzate erano e sono tutt’ora, naturalmente, una ricetta segreta che tiene per sé e che rendono i suoi insaccati unici ed inconfondibili. Ha iniziato questo mestiere nel 1947, quando aveva 14 anni, presso il salumificio Borio di Costigliole e negli anni ha raggiunto una specializzazione ed una fama che è andata oltre il paese. È diventata la sua professione. I salami da lui lavorati hanno davvero un sapore particolare e contribuiscono al successo ed al buon nome del “Pipil”, così è chiamato il salumificio Borio. Oggi Mario si gode la pensione, ma viene ancora cercato da Piero Borio, il titolare, per consigli e suggerimenti.

Dedica al caro amico Mario Santero da Piero Borio

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Insegna della macelleria da “Pipil”

Mario Santero insieme a Piero Borio

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Personaggi tipici di Bionzo

Guido Boeri Sindaco dal 1995 al 1999

Fino alle elezioni del 1990 il Comune di Costigliole d’Asti è stato governato per trent’anni da un monocolore democristiano. Nel Consiglio Comunale la Democrazia Cristiana ha sempre avuto la maggioranza dei seggi; gli altri partiti dell’arco costituzionale rappresentavano la minoranza. Con gli scandali di tangentopoli e la messa in crisi dei partiti di governo sono nate nuove formazioni politiche come Forza Italia e Lega Nord che hanno cambiano totalmente il quadro politico.

Alcuni mesi prima delle elezioni comunali del 1995 si registra anche a Costigliole un qualche dissenso; emergono divergenze tra settori della popolazione, in particolare tra contadini ed artigiani.Si percepisce un flebile desiderio di cambiamento. Una sensazione simile si era avvertita 10 anni prima con la lista so78

cialista del dott. Minniti la quale tuttavia non vinse, dovendosi scontrare con la forte personalità del dott. Bellone, già Sindaco da diverse legislature.

Quando, nel 1995, vengono presentate le liste dei candidati al Consiglio (tutte civiche, ossia senza simboli di partito), appare chiaro che si assisterà ad un confronto tra la lista composta da persone simpatizzanti o iscritte alla Democrazia Cristiana (Sindaco uscente dott. Solaro) e la lista che vede un’alleanza,approvata a livello provinciale, tra la lega Nord ed il PDS con simpatizzanti o iscritti ai rispettivi partiti. La Lega Nord individua come candidato a Sindaco Guido Boeri. Il PDS, nella persona di Bruno Ferraris, indica Dante Chiola, già eletto in Consiglio Comunale nel 1980, 1985 e 1990 nelle liste del PCI. È un’alleanza insolita politicamente, ma possibile in quel periodo perché la Lega Nord dichiara di aver accolto tra i suoi tesserati anche ex-comunisti e rappresenta comunque il “nuovo” rispetto al potere decennale democristiano. Inoltre viene presentata una lista civica, dove più dei partiti contano le persone che li rappresentano e dove prevale soprattutto la volontà di cambiare una gestione amministrativa comunale invariata da trent’anni. Amministrare il potere per così tanti anni, ha significato rafforzare legami economici, sociali e clientelari difficili da sradicare; la competizione politica si presenta incerta ed asimmetrica. Le speranze di vincere da parte della lista Boeri sono pochissime e tutti i componenti ne sono consapevoli. Guido fin dalle prime riunioni non si fa illusioni, ma accetta la sfida perché condivide la formazione della lista, ben rappresentata da tutte le categorie lavorative: artigiani, insegnanti, operai, dirigenti, liberi professionisti, nella quale confluiscono anche diversi giovani e donne motivate.

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Questi sono i candidati in ordine alfabetico: Bianco Elio Domenico - Dipendente P.T. Caglieris Marcella - Consulente del lavoro Casavecchia Gianfranco - Vivaista Cerruti Efisio - Imprenditore- Artigiano Chiesa Paola - Assistente anziani Chiola Dante - Funzionario Comune di Asti Dafarra Valerio - Agricoltore Eccetto Bruno - Pensionato ex dipendente comunale Gallesio Bruno - Dipendente Provinciale Gerbi Fabrizio - Restauratore mobili Maddalena Adelina - Insegnante in pensione Mascheroni Clara - Casalinga Montersino Mario - Agente di commercio Morando G.Tullio - Impiegato commerciale Perrone GianLuca - Musicista Stella GianMario - Ingegnere Alla lista viene dato il nome “Unione Democratica”. Le viene assegnato, in base all’ordine di presentazione, il numero uno. Il motto dichiarato è: lavorare per la gente con buon senso ed onestà. Le altre due liste sono: “Costigliole 2000” (quella del Sindaco uscente) ed “Alleanza per Costigliole”.

Foto nelle pagine seguenti: pag. 81 Guido Boeri e la sua presentazione in lista pag. 82 Tutta la lista “Unione Democratica” candidata

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L’impegno politico Il programma della lista Boeri punta soprattutto ad una maggiore trasparenza amministrativa nelle procedure di gara per gli appalti e per i contratti di fornitura. Le Amministrazioni precedenti hanno lasciato opere incompiute come il bocciodromo, i lavori nel Castello ed il risanamento della discarica di via Verasis. Viene dichiarato pubblicamente che si lavorerà per risanare quegli errori, evitando di commetterne di simili. Il programma è molto dettagliato sul turismo, sulla riqualificazione ambientale, sulla necessità di un nuovo piano regolatore e sulla opportunità di riorganizzare l’ufficio tecnico comunale. Il 24 aprile 1995, giorno dello scrutinio elettorale, l’incertezza del risultato è ancora grande. Con 171 voti di differenza rispetto alla lista di “Costigliole 2000”, Guido Boeri diventa Sindaco. Dopo i festeggiamenti, organizzati nella sua ditta Dragone a Burio, si pensa alle responsabilità ed al lavoro che la vittoria ha generato. Dei sedici componenti la lista, undici vengono eletti in Consiglio Comunale. Cinque sono i componenti della seconda lista.

Il Consiglio Comunale è così composto: Guido Boeri - Alfredo Capello - Elio Bianco - Efisio Cerruti - Paola Chiesa - Dante Chiola - Bruno Eccetto - Giuliano Filippino - Bruno Gallesio - Fabrizio Gerbi - Gabriele Giordano - Adelina Maddalena Ernestino Mondino - Giantullio Morando - Gianluca Perrone - Luigi Solaro - Gianmario Stella.

La Giunta Comunale, ridotta a cinque componenti, è così composta: Guido Boeri, Sindaco. Efisio Cerruti, Assessore con delega al commercio, turismo, sport e Polizia municipale. Dante Chiola, Assessore alla cultura, istruzione, assistenza e servizi demografici. Bruno Eccetto, Assessore e vice Sindaco con delega alle finanze ed agricoltura. Gianmario Stella, Assessore con delega ad Urbanistica, edilizia, lavori pubblici e tutela ambien83

tale. Gli anni dal 1995 al 1999 sono gli unici in cui, per legge, il mandato di Sindaco è di soli quattro anni. Prima e dopo sarà sempre di cinque anni. Bisogna tenere conto anche di questa limitazione per giudicare le opere realizzate. Un anno in meno significa meno tempo per completare i progetti avviati. In campagna elettorale è stato presentato un elenco programmatico di interventi a cui ben presto se ne sono aggiunti altri, imprevisti.

La prima impegnativa delibera di Consiglio riguarda l’assegnazione in comodato all’ICIF (Istituto Cucina Italiana per Stranieri) di alcuni locali del castello, compresi quelli dell’enoteca, finalizzata alla realizzazione di una scuola di cucina. Questo progetto

Cascina Salario data in locazione all’ICIF

Aula didattica dell’ICIF

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prevede la presenza costante di circa trenta studenti stranieri che soggiorneranno due mesi in paese presso i locali comunali della ex cascina Salerio, ristrutturata, concessi in locazione onerosa.

Sei mesi dopo giunge al Sindaco la richiesta del Premio Grinzane Cavour di avere in comodato i restanti locali del Castello. Si risponde con un’altra meditata e sofferta delibera del Consiglio Comunale. Il progetto prevede la completa ristrutturazione del castello a partire da un consolidamento preventivo delle fondamenta per costruire un museo del territorio in cui avrà sede il prestigioso ente culturale. I lavori vengono negli anni realizzati e grazie alla collaborazione con il Presidente Giuliano Soria, costigliolese, vengono organizzate nel castello prestigiose manifestazioni culturali con la presenza di scrittori famosi a partire da Lalla Romano, Sepulveda, Elkan, ed alcuni premi Nobel della letteratura. Vengono organizzati spettacoli nel parco del castello con Luciana Littizzetto, Morgan, Ugo Dighero, Stefano Benni. Il nome di Costigliole è citato spesso sui maggiori quotidiani ed in televisione con programmi nazionali, quali “Linea verde”, “I fatti vostri” e “La domenica del villaggio”.

Alcuni articoli riportanti alcune manifestazioni e iniziative culturali

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Un altro impegnativo progetto è stato lo spostamento della scuola materna nei locali delle scuole medie, con una complessiva ristrutturazione del plesso scolastico. L’edificio dell’ex scuola, di fianco al teatro comunale, oggi è sede della biblioteca e del consiglio comunale. Costigliole da anni aspetta il completamento della rete fognaria, in particolare nelle frazioni. Si decide di risolvere il problema in buona parte delle stesse con realizzazioni definitive. Bionzo rientra fra queste. l progetti vengono redatti dall’Ing. Valter Carosso. Sull’operato della Giunta Boeri e sui problemi dalla stessa affrontati si sono registrate opinioni diverse, ma è innegabile che nei quattro anni si sono svolte più manifestazioni ed eventi culturali rispetto ad altri anni. Si sono svolte molte dirette televisive su reti nazionali, con un incremento turistico notevole il cui merito spetta all’Assessore Efisio Cerruti. Tutto questo grazie al Premio Grinzane, all’Icif ed al contributo del Sen. Scaglione della Lega Nord, regista televisivo della Rai.

Mostra di Lalla Romano svoltasi a Costigliole d’Asti

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Nasce nel 1996 il Consorzio intercomunale socio-assitenziale (CISA). I Comuni del sud-astigiano prima non avevano né il personale né i mezzi finanziari per gestire quelle competenze. A Costigliole viene assegnata la vice-presidenza all’assessore Chiola. Durante il trentennale del’ 68 contadino viene posizionato al bricco Lu il monumento dedicato alla donna contadina e partigiana. Una targa viene posta sulla Chiesa della Madonnina.

Inaugurazione del moumento alla Donna contadina

Nel 1998 viene avviato, su iniziativa della Provincia, il progetto della raccolta differenziata dei rifiuti. Il Comune propone alcuni nomi di volontari per un corso formativo. Per problemi tecnici e di tempistica il progetto verrà poi pienamente attuato dalla successiva Amministrazione Comunale, ed il volontario Francesco 87

Fassone, formato dalla Giunta Boeri, sarà poi l’assessore competente. Sempre in quell’anno viene diffuso a tutti i capifamiglia del paese un notiziario semestrale, redatto da consiglieri ed assessori denominato “L’informatore di Costigliole”.

Estratto de “L’informatore di Costigliole d’Asti”

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Le responsabilità e gli impegni di un Sindaco sono tanti e gravosi. Quel ruolo porta a volte soddisfazioni ed opportunità uniche.

Nel 1998 insieme al fratello Don Luigi ed alcuni Sindaci dell’astigiano Guido prova l’emozione di stringere la mano del Papa, oggi Santo, Giovanni Paolo II, indossando la fascia tricolore.

Guido Boeri incontra il Papa Giovanni Paolo II

La giunta comunale in un incontro con il Cardinale Sodano

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Per problemi di salute, nel 1998, l’Assessore Bruno Eccetto chiede di essere sostituito in Giunta. Subentra Ernesto Cremona come assessore esterno. La funzione di vice-Sindaco passa all’assessore Chiola.

L’Amministrazione Boeri nei quattro anni, grazie all’impegno ed alla tenacia dell’Assessore Ing. Gianmario Stella, ha dotato il paese di un nuovo ufficio tecnico, all’avanguardia rispetto ad altri Comuni di pari dimensioni e pienamente utilizzato dalle successive amministrazioni.

Ciò ha consentito la realizzazione di una variante al piano regolatore e la possibilità di seguire e coordinare le opere realizzate: - Ristrutturazione del presidio sanitario.

- Messa a norma del presidio scolastico del capoluogo.

- Completamento delle fognature.

- Sistemazione di alcune strade comunali.

- Ampliamento degli impianti di illuminazione pubblica.

- Realizzazione delle piste ciclabili.

- Realizzazione dell’area camper in località Salerio.

Questo sintetico elenco delle opere realizzate non comprende i progetti che si volevano ancora attuare, rimasti solo sulla carta, per mancanza di risorse economiche ed in parte perché non tutti gli amministratori potevano lavorarvi a tempo pieno. Non si esprime qui un giudizio sull’operato dei quattro anni perchè, in democrazia, questo compete sempre agli elettori. Certamente c’è stato l’impegno onesto e disinteressato di tutti gli eletti in Consiglio Comunale, sulla base delle singole disponibilità di tempo.

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Foto dell’assessore Bruno Eccetto, ultimo a destra

Don Luigi Boeri, Cardinale Sodano, Guido Boeri

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L’incontro tra Guido e il presidente Scalfaro

Alla conclusione dei quattro anni dell’impegno politico-amministrativo, archiviata l’esperienza di Sindaco del proprio paese, Guido torna ad occuparsi a tempo pieno della ditta Dragone.

Sono passati cinque anni da quando si è trasferito a Castagnole Lanze.

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La ditta Dragone a Castagnole delle Lanze

Qui è iniziato un nuovo modo di produrre macchine agricole.

Dal punto di vista organizzativo si lavora per aree, seguendo un’idea di catena di montaggio ed acquistando macchine utensili sempre più moderne e sofisticate. Subentra una divisione del lavoro su base personale ed attitudinale: Guido è più portato a seguire la commercializzazione e le vendite. Ha un carattere allegro, gioviale, dalla battuta facile e quindi segue soprattutto la clientela, i mercati, le fiere. L’esperienza di Sindaco lo rende ancora più riconoscibile e ciò ha contribuito ad ampliare i suoi rapporti interpersonali. Alfonso, dopo la morte dei genitori, si dedica maggiormente all’azienda agricola con la preziosa collaborazione della moglie Carla e della cognata Carla. I figli maschi di entrambi i fratelli si alternano tra officina, consegne e manutenzione. La figlia Giovanna oltre a seguire la parte contabile si è specializzata nel tessere e curare i rapporti con i mercati esteri (in particolare la Germania), da cui arrivano sempre più importanti ordini di acquisto. Nel frattempo si decide di comprare molti terreni adiacenti al nuovo insediamento. Per ora non servono ma se lo sviluppo aziendale si incrementerà potranno 93

servire. La saggezza contadina emerge anche in questo contesto.

Dopo qualche anno iniziano anche a sorgere divergenze sulla gestione dell’officina soprattutto tra i figli. Si arriva così ad un accordo consensuale tra i fondatori, che porta ad una separazione dei ruoli e delle proprietà: Alfonso decide di occuparsi totalmente con i suoi figli dell’azienda agricola vitivinicola ed occupa anche i capannoni di Burio. Oggi i figli Giorgio e Roberto hanno trasformato i locali in uno splendido “show room” per la degustazione, promozione e spedizione dei loro ottimi e premiati vini, con l’impegno di esportare nel mondo prodotti che rappresentino l’anima del terriorio a cui tutta la famiglia appartiene. Questo locale diventa la “sede moderna” della vecchia cascina, che è stata comunque ristrutturata, conservando la struttura preesistente con le volte a botte.

Il nuovo Showroom dell’azienda agricola Boeri Vini

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L’azienda vitivinicola Boeri Vini

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La nuova ditta Dragone A Guido ed ai suoi figli il compito di continuare a gestire e possibilmente sviluppare la ditta Dragone. Mentre i dipendenti osservano l’orario stabilito, con l’aggiunta di ore straordinarie, Guido, dopo il lavoro in officina, si reca al domicilio di chi si è dimostrato interessato ad un acquisto. Lo stesso metodo è applicato dalla figlia Giovanna che è capace di guidare una intera notte per essere al mattino in Germania a concludere contratti, imparando anche la lingua tedesca.Recandosi al domicilio dei clienti Guido scopre riti e tradizioni, radicate da anni ed ancora presenti nel 1999 in molti cascinali dell’albese e dell’astigiano. Su queste esperienze esiste una buona documentazione, in particolare a livello accademico, con ricerche etnografiche. Sui racconti delle “masche” Guido è stato testimone diretto di un episodio.

Tutti quelli della sua generazione ne hanno sentito parlare nelle stalle. Una sera recatosi a casa del Sig. Crime a Castagnito (CN), dopo aver firmato il contratto di vendita di un atomizzatore, conclude la serata in cantina ad assaggiare il vino, come si usa fare con gli ospiti. La chiacchierata affronta il tema delle masche.

Il Sig Crime racconta che alcune volte sente dei rumori all’esterno e dei colpi contro le finestre, sulle “gelosie”; quando poi esce in cortile trova delle abrasioni sulle stesse. Mentre racconta ciò, Guido ed i presenti avvertono questi rumori quasi come se qualcuno stesse lanciando pietre. Con un certo timore Guido cambia discorso e dopo un po’ saluta per tornare a casa. Uscendo nota dei serramenti spezzati ed appena fuori dal cortile vede un gatto nero fermo su un piccolo paracarro; il gatto piano piano attraversa la strada, lo fissa negli occhi e se ne va.

Guido si ricorda dei racconti inerenti le masche, ascoltati nelle stalle dei suoi vicini di casa. “Si diceva che per nascondere la loro identità queste creature si trasformassero in animali randagi: cane, gatto, capra, civetta, gufo, ecc. In tal modo potevano 96

aggirarsi per il paese senza essere riconosciute. Uscivano dopo il tramonto e scomparivano all’alba. Potevano apparire all’improvviso e poi sparire allo stesso modo. Le colline, con strade e sentieri che dal fondovalle si inerpicano fino in cima, sono il regno incontrastato delle masche, esperte di sortilegi ed incantesimi, grazie al libro del comando”. (M. Irardi Pertusio, Asti Raccontata, Fornaca, 2016) Proprio ciò che è successo a Guido, che ha visto e sentito con i propri occhi. Ha inoltre conosciuto e stretto amicizia con il “settimino” di Costigliole, Sig Giovanni Marchisio detto “Minot”. Sono chiamati settimini quei bambini nati di sette mesi che sviluppano doti e sensibilità particolari. Sono un po’ maghi, un po’ stregoni, un po’ erboristi. Oggi sta ritornando di moda la medicina alternativa omeopatica, a base di ingredienti naturali.

In passato si ricorreva ai settimini; questi consigliavano rimedi a base di erbe, unguenti, intrugli strani, uniti a buone parole, formule magiche ed a volte preghiere. A loro si rivolgevano in molti di fronte a disturbi di vario genere, problemi di salute riferiti a persone od animali domestici e tanto altro.

Il “setmin” ascoltava, consigliava con mille cose che solo lui conosceva, diceva cosa bisognava fare. A volte segnava ossia imponeva la mano sulla parte malata e ripeteva qualche parola come per allontanare il male con formule apotropaiche. I metodi per segnare sono due. Uno più “cristiano” prevede di tracciare dei segni di croce sulla parte interessata. L’altro metodo ha un carattere più “profano” e segue il principio del fuoco scaccia fuoco e traccia con candele o pezzi di olivo benedetto a cui si è dato fuoco con un fiammifero. La visita dal settemino a volte precede a volte segue quella dal medico. L’invito del settemino è sempre alla fiducia, all’attesa, a ritornare a casa tranquillo, a pregare un santo o invocare defunti. Spesso prescrive delle erbe e altri rimedi della campagna. In Provincia di Asti se ne conoscono diversi; tra i più noti ricordiamo il “barbone” di Valgera, Negro di 97

Cessole. Per i Costigliolesi “ Minot” è un punto di riferimento.

Guido ricorda di avere avuto diversi suggerimenti da lui, anche inerenti la gestione della ditta, e dell’Amministrazione Comunale. Le sue indicazioni si sono sempre rivelate utili.

Verso l’anno 1998 avviene ancora un cambiamento nella ditta Dragone. La figlia Giovanna, manager lungimirante ed a capo del settore esportazioni, propone una nuova gestione aziendale che si può sintetizzare in questi due concetti: 1) non produrre più in casa tutti componenti delle varie macchine, per arrivare ad un assemblaggio delle parti che giungono da ditte esterne, in particolare dalla Cina.

2) ridurre la produzione sul mercato locale a favore dell’esportazione.

Sono proposte forti e dirompenti. Guido ha curato, casa per casa una clientela locale, la quale chiede attrezzature quasi personalizzate. Tutte le più grandi e note aziende vitivinicole piemontesi sono registrate tra i suoi clienti e non condivide quindi l’idea di andare verso una produzione di massa e standardizzata. Soprattutto nell’albese esiste una vasta clientela disposta a spendere di più in cambio della qualità e della personalizzazione. Sono visioni produttive opposte che non consentono compromessi ed aggiustamenti. Giovanna decide allora di lasciare l’azienda paterna per tentare una nuova avventura nello stesso settore di macchine agricole. Quei terreni acquistati molti anni prima si rivelano utili per un nuovo progetto. Nel 2014, non distante dalla ditta Dragone, con l’aiuto della fiducia incondizionata dei figli Andrea e Guido, Giovanna apre la Geo Italy. Attualmente i due figli, ingegneri, dirigono con successo l’ufficio tecnico, innovazione e produzione. Questa separazione implica una richiesta di maggiore responsabilità al figlio Claudio, finalizzata a prepararlo per la gestione in prima persona della ditta Dragone. Dopo molti anni di lavoro, dove non si sono mai contate le ore al fine di raggiungere i risultati, subentrano per Guido i primi acciacchi 98

La struttura di Geo Italy

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di salute. Il lavoro frenetico ed attivo viene sostituito da un lavoro di supervisione e coordinamento, pronto a fornire preziosi suggerimenti. Tutto ciò non basta ad evitare il sopraggiungere di un improvviso ictus cerebrale che ferma Guido per diversi mesi, con serie preoccupazioni per la sua ripresa psico-fisica. Segue tutto il percorso di riabilitazione previsto; con la sua forza di volontà recupera pienamente l’uso della parola e del movimento. È sempre affiancato dalla moglie Carla che lo assiste con l’amore di sempre; un amore che resiste e si è rafforzato in sessantun anni di matrimonio. Per prudenza Guido si astiene dalla guida, potendo ancora contare sulla amata consorte, per gli spostamenti.

Quell’idea di scrivere la propria vita, ferma da anni, ritorna in mente, improvvisa e forte, e, per delle coincidenze che a volte si intrecciano, trova oggi la sua realizzazione.

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Gestione del figlio Claudio Per chi ha visto nascere la ditta Dragone entrare oggi nei suoi grandi capannoni sembra di sognare. È cambiato tutto.

Intanto le norme vigenti sulla sicurezza del lavoro hanno imposto nuovi metodi di produzione. Ma è soprattutto l’automazione generata dai robot ad impressionare. Così come gli enormi impianti di aerazione ed aspirazioni dei fumi ed il reparto di verniciatura. Rispetto al 1994 il volume dei capannoni è triplicato. Oggi si sviluppano in circa settantaduemila metri cubi di superficie adibiti ad attività produttive. Sono raddoppiati anche gli uffici amministrativi e tecnici.

Entro il corrente anno saranno inaugurati i nuovi locali al piano rialzato ed i nuovi uffici al piano terreno. Le funzioni direttive sono ancora ancorate alla famiglia di Claudio con la presenza costante della moglie Paola e delle figlie Sara e Simona. È stato rinforzato il settore tecnico con la presenza stabile dell’ ing. Gio-

Claudio con il nipote Leonardo

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vanni Gallo addetto ai disegni, al collaudo ed al commercio estero. Il commercio nazionale è curato da Claudio che esprime lo stesso coraggio imprenditoriale del padre. Un team di ingegneri esterni sviluppa i prototipi.

Un commercialista sovrintende la parte contabile. Un altro mondo se si pensa al primo atomizzatore progettato e prodotto da Alfonso e Guido senza disegni tecnici. Anche la metodologia della commercializzazione è cambiata radicalmente. Oggi sulle fiere e sui mercati regionali si è presenti solo per promuovere le nuove macchine e per fornire i pezzi di ricambio. Le vendite avvengono tramite reti consolidate di rivenditori nazionali ed internazionali.

L’automazione e la robotica nelle varie fasi produttive si è accentuata a partire dal 2007; i primi stimoli alla robotizzazione sono arrivati anni prima da Ernesto Cremona, esperto in ristrutturazioni aziendali già assessore al bilancio nella giunta Boeri. Per competere sui mercati esteri occorreva abbattere il costo del lavoro per unità di prodotto e migliorare la qualità. Con i primi robot addetti alla saldatura è migliorata la precisione e si è velocizzata la produzione. Oggi il rapporto mercato estero e mercato italiano è al cinquanta per cento. Si punta ad aumentare le esportazioni, pur con le incognite legate alla pandemia in corso dovuta al Covid19 ed agli effetti negativi che riverserà su tutta l’economia nazionale ed internazionale. Non bastano le rassicurazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri; occorrono azioni concrete e tempestive a favore delle piccole e medie imprese, per garantire la piena occupazione, abbassando il costo del lavoro con politiche fiscali e monetarie di tipo espansivo, per dare fiducia ai giovani e speranza per il loro futuro.

La ditta Dragone è presente da sessant’anni nel campo della meccanica agricola con due grandi linee di prodotti quali atomizzatori e trinciatrici, con modelli specifici per ogni tipo di coltivazione. Lavora costantemente per migliorare di anno in anno i propri prodotti. Gli ottimi risultati sono garantiti dalla metico102

losità dei dipendenti della ditta e dalla preziosa collaborazione di un’equipe di ingegneri che forniscono idee e consigli ragguardevoli. L’intero team aziendale lavora per raggiungere requisiti di qualità che vanno dalla progettazione alla produzione fino alla commercializzazione ed all’assistenza dopo la vendita.

La ditta pur costruendo attrezzature adatte ad ogni tipo di agricoltura, continua a dedicare alla viticoltura la maggiore attenzione. È nata del resto dedicandosi a questo settore. Negli anni sono stati sviluppati diversi modelli, adatti alla conformazione dei terreni e dei vitigni coltivati. Ultimamente gli sforzi maggiori sono stati dedicati alla riduzione dell’impatto ambientale, cercando soluzioni alternative al diserbo chimico ed alla riduzione delle dispersioni dei prodotti utilizzati, senza compromettere l’efficacia dei trattamenti stessi.

Ultima novità è il timone sterzante brevettato che consente di svoltare senza disinserire la presa di potenza del trattore. Altri prototipi sono in via di sviluppo, droni compresi. Attualmente la ditta Dragone, ha in catalogo di produzione ben 24 modelli di trinciatrici e sei modelli di atomizzatori con dodici varianti di misure, adatti ad ogni terreno.

Guido continua a visionare di tanto in tanto i grandi spazi produttivi lasciandosi scappare qualche lacrima di commozione e di gioia nel ripensare agli esordi della famiglia Boeri.

Sono volati oltre sessant’anni.

Tanta strada è stata percorsa.

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Un particolare ringraziamento, anche a nome di mio fratello Alfonso, a tutto il personale che ha lavorato ed ha contribuito a far crescere la ditta Dragone nei suoi sessant’anni di attivita.

Guido Boeri

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Dragone e la storia di Bionzo

I saluti del Sindaco Cavallero Introduzione degli autori Ringraziamenti Albo genealogico Storia della famiglia La ditta Dragone Le origini storiche di Bionzo La chiesa campestre Benefizio Don Viale e Don Boeri La chiesa dal 1900 ad oggi Le scuole elementari La cantoria La festa della borgata La trebbiatura del grano I due forni per il pane La “societa calcio Bionzo” Il gioco delle bocce La pesca e la raccolta dei funghi I personaggi tipici di Bionzo Guido Sindaco La lista elettorale L’impegno politico La nuova ditta Dragone La gestione del figlio Claudio Le macchine Dragone

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Le macchine

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Guido Boeri incontra il Papa Giovanni Paolo II

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