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Ruger LCR
Con il modello LCR la Ruger ha finalmente scelto di produrre un revolver leggero (385 grammi) a cinque colpi in calibro .38 Special +P. L’ha fatto alla sua maniera, ossia con un concentrato di tecniche produttive modernissime Testo e foto di Paolo Tagini
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a arma corta di impiego generale, il revolver ha progressivamente visto ridurre – in maniera sempre più evidente dalla metà degli anni Ottanta in poi – i propri spazi a favore della pistola semiautomatica. L’arma a tamburo non è certo scomparsa dalla produzione, tuttavia le sue quote di mercato resistono saldamente solo in certe nicchie specialistiche. Una di queste è il comparto delle armi per difesa tascabili, dove il revolver può effettivamente essere più competitivo rispetto alle pistole, perché può essere
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più leggero e occultabile. Hanno intuito per tempo il giusto orientamento tecnico/commerciale due nomi storici nel campo dei revolver, ossia Smith & Wesson e Taurus: la prima coi suoi modelli di lega di scandio, la seconda con quelli costruiti in larga misura impiegando il titanio. In questo campo ha inizialmente perso competitività un altro grande nome, ossia la Ruger, che per anni ha continuato a proporre ostinatamente il modello SP-101 calibro .38 Special/.357 Magnum che è completamente d’acciaio inox e quindi, per forza di cose, troppo pesante
per gli standard attuali. Alla fine degli anni Duemila è però avvenuta la rivoluzione, con l’avvento del modello LCR (Lightweight Compact Revolver), vale a dire “revolver leggero e compatto”. Qui la Ruger è arrivata dove non si pensava che la tecnica potesse osare: la parte del fusto che incorpora il meccanismo di scatto e l’impugnatura è infatti di materiale plastico, mentre l’altra (l’alloggiamento del tamburo) è di lega d’alluminio serie 7000 ad uso aerospaziale, rifinita mediante un particolare trattamento superficiale (Synergistic Hard Coat) che è più resistente della solita
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