Quaderno 12

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anche in età carolingia, con l’istituzione del Regnum Italicum e l’introduzione del sistema comitale, quando il gastaldatus Bismantinus è assegnato al Comitato di Parma5 e il castrum Verabulum al Comitato di Modena6. Le comunità di entrambi i distretti, sia in ambito bizantino che longobardo e successivamente in epoca carolingia e feudale, erano organizzate in corti pubbliche che avevano i loro possedimenti terrieri sparsi in più abitati, a volte distanti anche decine di chilometri7. Questo assetto si manterrà anche negli ordinamenti plebani che vennero a costituire, su iniziativa della popolazione locale, il centro amministrativo e religioso del territorio8. Un diploma di Ottone II del 14 ottobre 980 conferma al Vescovo di Reggio, fra altri beni e diritti, otto pievi nella zona collinare e montana: la pieve di S. Maria di Toano, la pieve di S. Maria a Minozzo (oggi scomparsa), la pieve di Bismantova, cum castrum, trasferita poi a Castelnovo ne’ Monti, San Vitale di Verabulo presso Carpineti, Lizulo presso Paullo, vengono poi citate le pievi di Castrum Oleriano (attuale Castellarano) ed Albinea, con annesse le rispettive corti. Non citata in questo documento, ma coeva alle altre, è la pieve di S. Vincenzo nel comune di Ramiseto, facente parte dell’episcopato di Parma9; a queste nel corso del XI secolo si aggiungeranno le pievi di Baiso nell’alta montagna e di Salvaterra, nella zona della bassa collina. Nello stesso diploma sono menzionate anche le corti di S. Salvatore, Castellarano, Minozzo, Belleo e Albinea, ma non erano le uniche esistenti: nel medio Appennino sono accertate le due corti di Felina e Malliaco, entrambe di proprietà imperiale, mentre nell’alto Appennino troviamo in documenti coevi Lama Fraolaria e la corte di Cerreto, con le rispettive pertinenze. Vito Fumagalli riporta inoltre anche la presenza di altre tre corti: a Nirone, Vallisnera e Cervarezza, collocate a poca distanti dai passi montani che collegano il territorio reggiano con la Toscana. All’interno delle corti, la distribuzione della popolazione sul territorio rurale avveniva in villaggi, o ville, che costituivano nei secoli IX-X il modello più diffuso di insediamento. Si trattava di piccoli centri abitati fissi, composti da pochi nuclei famigliari e abitazioni, in cui gli edifici erano tra loro distanziati e distribuiti in fasce concentriche10. Il territorio ad essi dipendente, denominato nelle fonti del IX e X secolo come locus et fundus, era organizzato in spazi agrari, anch’essi disposti 5  O. Rombaldi, 1976, p. 63. 6  A. Tincani, 1993, p. 71. 7  A. Castagnetti, L’organizzazione del territorio rurale nel medioevo, Bologna, 1982, pp. 6771; un esempio di queste corti studiato da Fumagalli è la corte Vilinianum, il primo acquisto terriero dei Canossa in territorio emiliano. V. Fumagalli, La corte di Vilinianum e le sue dipendenze. Dalle origini alla dinastia dei Canossa, in P. Bonacini (a cura di), Il territorio parmense da Carlo Magno ai Canossa, Atti e Memorie del Convegno, Neviano degli Arduini, 17 settembre 1995, Aedes Muratoria, Modena 1997, pp. 3-10. 8  G. Santini, 1976, p. 15; A. Castagnetti, Circoscrizioni amministrative ecclesiastiche in area canossiana, in Studi matildici. Atti e memorie del III convegno di studi matildici, Modena 1978, pp. 309-330.; A. Castagnetti, 1982, pp. 22-26. 9  O Rombaldi, 1976, p. 61. 10  A.A. Settia, La funzione poleogenetica, pp. 196-197, in A.A. Settia, Proteggere e dominare. Fortificazioni e popolamento nell’Italia medievale, Roma, 1999. 220


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